V104T088 V104P153
[Da bozze di stampa; vi sono correzioni e aggiunte di pugno di Don Orione.]
...do:
“guarda che sentito grazie ho detto a
Domineddio
Dio”,
naturalmente parlando, come si usa in questi casi, con parole di
pietra scolpita, verbi d’acciaio, congiunzioni di cemento,
aggettivi di marmo e superlativi d’ora.
Ma si sa che cotesti sono discorsi non facili a farsi. Discorsi che costano cari. Preoccupante passo, dunque, quello che Don Orione avrebbe dovuto compiere. Per quale via uscire dal mondo dei sogni, ove i templi se ne stanno appollaiati sulle nuvole, e vanno e vengono come foglie morte, ed entrare nel mondo terreno? Don Orione non esitò. Questo irrequieto uomo dagli occhi lucidi come gli occhi d’un bambino, non nuovo alle grandi imprese, (2) nota in corsivo (evvia! troppo! troppo!) niente grandi imprese, tutta roba piccola, ma che sa di divina provvidenza, e, soprattutto, alle imprese di amorevole fratellanza, per realizzare il suo Santuario cominciò col realizzare quella che un giorno ne diventerà la leggenda.
I suoi “buoni tortonesi” gli diedero il primo aiuto: il seme necessario. Poi cominciò la fatica eroica. Don Orione ha costruito il suo tempio con soli cinque o sei artieri. Proprio così, cinque o sei. E non ha impiegato, per costruirlo, una cinquantina d’anni. In lunghe file nere, i suoi chierici sono usciti dalla Casa che egli dirige. Ragazzi di quattordici, quindici anni: si sono strette ai fianchi le sottane, si sono collocate sulle spalle picconi e badili, i secchielli di calce, i sacchi di cemento, le pile di mattoni; hanno cominciato a salire e a scendere per le rampe e le impalcature a servizio di pochissimi artieri: proprio come le formiche, un passetto dopo l’altro, pazienti, diligenti, qualche volta cantando come se già fossero nel coro della chiesa che, giorno per giorno, cresceva.
Poteva forse mancare, a questo miracolo umano, il premio d’un miracolo divino? E il miracolo c’è stato, a quanto i chierici …