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[Da copia stampata. Vi sono correzioni e aggiunte di pugno di Don Orione.]


Dalla Val Staffora


.potrò sembrarti uno spregiudicato, ma non sono che franco. Sai che da anni non usavo frequentare chiese, e mi sarei ben guardato dal prendere parte ad uno dei vostri pellegrinaggi. - Quando eravamo ragazzi, servivamo la Messa insieme, e ricorderai che, ogni tanto, ci menavamo anche col turibolo, tanto per non lasciare d’essere monelli fin davanti all’altare. Ma eran sono ricordi lontani. Vennero poi i fumi del Liceo, poi quelli dell’Università, e dopo non ci mancava altro che l’ubriacatura del bolscevismo anticlericale per rendermi odiosa fin la corona del rosario di che vedevo in mano di mia madre teneva. Senti ora che m’è capitato giorno fa. Sono in Val Staffora a far la cura del fresco e... dell’uva. Domenica, non era ancor giorno, che sento passare sotto le finestre dell’Albergo carri e carretti che non finivano più, e gente festosa che andava litaniando, come si cantava da noi, quando s’era fanciulli. M’affaccio alla finestra: dove va tutta questa gente?  - A Sant’Alberto, mi dice l’ostessa, già in piedi e dalla porta di strada. A Sant’Alberto? - M’avevan ben parlato una volta di Sant’Alberto certi alunni miei di Pavia, che ci erano venuti in escursione, come d’un Eremo con pitture antiche, con antiche memorie di santi e d’eroi; ma che me ne importava - Dove è Sant’Alberto - chiedo. Oh!  bella! è dove va tutta quella gente. E Lei, che è Professore, non sa che oggi è la festa di Sant’Alberto? risponde del bel tipo di donna ostessa. - C’è buon vino a Sant’Alberto? - La si figuri? Basti dirle che, alla tavola del Papa, Santo Alberto ha cambiato l’acqua in vino. E che vino! Non sarebbe il nostro Protettore - E, detto fatto, l’ostessa la donna scomparve. - Dormire non si poteva più; che fare?
























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Andiamo a Sant’Alberto! In breve: mi getto in anch’io in istrada, e vedo che l’ostessa già è su d’un carretto che se ne va. Io salgo ad Horamala con un gruppo di gente che già viene da Santa Margherita, da Casanova, da Cegni, raggiungo Sant’Alberto che il sole si alza dai monti frastagliati. Non starò a descriverti il monumento di fede, d’arte, di storia ch’è davvero Sant’Alberto; solo ti dirò che, andato colà tra la folla dei pellegrini, un po’ per ridere e un po’ sul serio, giunto avanti alle ossa del al Santo, ho sentito in me qualcosa di trascendente, di sovrumano come non avevo sentito più dal giorno della mia prima Comunione. Era la fede che si ridestava? Era la preghiera di quelle umili anime semplici che, elevandosi a Dio, faceva volgere anche su di me lo sguardo del Signore? Non lo so.

Questo so, che dai piedi di Sant’Alberto mi alzai come trasfigurato. Un soffio di alta vita spirituale era sceso passato sopra di me e aveva risuscitata la mia vita da un lungo letargo di anni “che poco è più morte”. È un miracolo? È una conversione? Forse l’uno e l’altra cosa.

Questo so: di aver pianto il pianto più dolce pianto della mia anima, e di vivere oggi in un’atmosfera superiore. Non aspettarti, dopo questo, che mi soffermi a dirti del concorso straordinario, della Messa cantata con tanto fervore da quel buon popolo che stipava la chiesa: sono cose ordinarie codeste per voi altri preti a S. Alberto. Singolarmente pittoresca invece, devotissima e davvero toccante la processione alla grotta del Santo. - Padre Gemelli - (non la vecchia nostra conoscenza rossa della “Plebe” di Pavia, Rettore Magnifico oggi della vostra Università di Milano) - ma un omonimo, un giovane sacerdote messinese, Missionario di D. Orione e valoroso ex combattente, che s’imbarcherà presto per Sud America, dove gli si apre un vasto campo di lavoro tra i nostri emigrati:  - tenne là alla grotta, tra il verde divino dei castagni, un discorso sul Santo ispirato a sì delicata pietà e a tale ardore di apostolo da commuoverci tutti, cominciando da quei molti che s’erano





















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arrampicati fin sulle piante per meglio vedere e sentire il Missionario. Parlò poi ancora al ritorno in chiesa della Processione, e anzi lanciò l’idea di una nuova urna che raccolga degnamente di Corpo di sant’Alberto, in occasione dei grandi festeggiamenti che, coll’intervento del Vescovo di Tortona, di Prelati e della Autorità, si faranno nel 1926, pel Giubileo della ricognizione canonica  delle Reliquie del Santo.

Ed ora passo a dirti d’una cerimonia piena di misticismo e di sublime olocausto, che m’ha profondamente toccato il cuore: la vestizione cioè di un nuovo Eremita della Provvidenza. Un bel giovane, sai, dalla fronte serena, pieno di vitalità, di 24 anni, ma cieco! La bontà d’animo di lui traluceva non dallo sguardo, no, poveretto! ma dal suo sorriso e da tutta la persona molesta ma assai dignitosa: un giovane che parea felice della sua cecità, il quale assunse prese il nome di Frate Ave Maria, a ricordare un Eremita di tal nome, di cui forse avrai udito parlare. Di questo giovane mi fu poi dato leggere una lettera che egli scrisse a Don Orione, subito dopo la sua vestizione. Ne ho stralciato un periodo, e vedi se c’è tempra di milite soldato di Cristo!

Grazie, venerato Padre: al di fuori ho cambiato qualche cosa, ma interiormente vive ancora, purtroppo, il vecchio io. A Lei lo offro, perché lo immoli ai piedi del Signore e della Madonna.” Ed è con questi asceti che l’Eremo di Sant’Alberto rinasce!

Chi sia Frate Ave Maria, quale il suo passato, non è dato sapere, perché la regola degli Eremiti della Divina Provvidenza impone il più severo silenzio: essi scompaiono agli occhi del mondo per consumarsi nel sacrificio, nella preghiera, nel lavoro, nell’umiltà amando Dio e gli uomini. Quando questi ignorati facchini della fede e della carità avranno compiuta la loro giornata là presso la Tomba di Sant’Alberto, illustrata da molti miracoli, o sui campi delle loro Colonie Agricole, educando orfani ad un pane onorato, oppure in
























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Palestina, dove sono già sparsi, sulla terra stessa ove Cristo ha sparso il suo Sangue: allora solo si saprà chi essi erano: solo allora si saprà conoscerà il prodigio e il vivo olocausto di questi servi di Dio. E il mondo stupirà che principi romani e generali d’esercito abbiano implorato in pieno secolo XX, di potersi nascondere con Cristo in Dio sotto l’umile saio dell’Eremita della Divina Provvidenza!...


L’Eremo di Sant’Alberto è in Provincia di Pavia e Diocesi di Tortona. – è nella via Voghera - Varzi. Si scende a Molino del Conte, passando poi da Pizzocorno. - A Molino del Conte ferma l’automobile che fa servizio tra Voghera e Varzi, due o tre volte.

Per avere  stampe che si riferiscano alla Vita di S. Alberto o all’Eremo, come per preghiere alla Tomba del Santo rivolgersi al Sac. Domenico Draghi, Voghera. Molino del Conte per S. Alberto di Butrio (prov. di Pavia).