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[Da copia manoscritta]
Sola fides sufficit!
Sì, la sola Fede basta ad affermare un’anima, cioè a renderla perseverante nella lotta contro le tentazioni e nel fiducioso abbandono in Dio se - come canta l’autore del Pange Lingua - ell’è sincera, ossia retta nelle intenzioni, semplice nell’azione, quale agli occhi del divino Maestro apparve l’anima ingenua di Natale di Galilea. - Ma quante son le anime di simile tempra, oggi? - Famigliarizzati con le astuzie del traffico, gli inganni della diplomazia, le raffinatezze dell’arte, le burocratiche complicazioni della vita civile, posseduti dalla smania della notorietà, dall’ansia dei guadagni, dalla febbre dell’arrivismo, noi non sappiamo più portare nella nostra vita interiore quell’unità e ingenuità di viste che è fonte di tanta luce e di tanto conforto! - è quindi da stupirsi se ciò che v’è di più grande e di più armonioso negli arcani decreti della Provvidenza ci sfugge e se, ad ogni piè sospinto, siamo tentati di criticarne l’azione e di scandalizzarcene? - No, purtroppo.
Ben doloroso è però il riflettere che, mentre sulla semplice testimonianza di geografi e dotti ammettiamo la splendida armonia dell’Universo - materia e l’esistenza delle leggi d’equilibrio e di compenso concretata nel succedersi delle stagioni, nella varietà delle flore e delle faune, negli effetti delle correnti aeree e marine e vai dicendo, siamo tanto presuntuosi ed ingrati da non prestar fede, sulla testimonianza stessa di Dio e dei Santi suoi, all’esistenza di quelle eterne leggi d’intelletto e d’amore con cui la Provvidenza governa e mantiene in equilibrio il mondo morale! Ammetto che in cotesto campo non possano esserci d’aiuto - come lo sono in quello materiale e scientifico - i sensi e la ragione e sia per conseguenza, più arduo il riconoscere il sacro stigma della misericordia divina nel complesso della disuguaglianza, delle incoerenze, delle ingiustizie ed assurdità che la
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la logica crede scoprire nell’economia spirituale del mondo. - VEdere infatti piangere il giusto fatto bersaglio ai colpi della calunnia e della sventura, languire l’innocente, l’umile il buoni essere spesso i vinti, mentre l’empio consegue gli ambiti onori e imbaldanzito dal successo si fa più procace nel male, è sufficiente a scuotere la fede di chi la basa sulla fallace testimonianza della ragione.
Ma dobbiamo noi credere nella paterna bontà di Dio solo quando essa determina in noi e attorno a noi ciò che siamo inclinati a considerare giusto e consolante? - o non è obbligo del cristiano ed unica vera, sostanziale estrinsecazione di gratitudine di rispetto e d’amore per Dio, l’aver piena fede nell’opportunità, nell’umile, nella bellezza di quanto Egli ordina e dispone, unicamente perché sappiamo d’aver a che fare con un Legislatore infallibile, con un Re generosissimo, con il più tenero fra i padri, il più fedele e disinteressato fra gli amici nostri della terra e del cielo? - Ah! sì, ecco il segreto di “sovrabbondare di gaudio” in mezzo alle tribolazioni più amare, sotto il peso delle croci più grevi e spinose -: l’essere persuasi che tutto, tutto è rivolto da Dio al bene di coloro che si abbandonano fiduciosi al suo beneplacito - che la sofferenza, di qualunque specie ella sia, è sempre proporzionale alle forze nostre, al grado di distacco, di riparazione e d’espiazione necessario a ciascun anima. - Questa persuasione che è una delle più pure e durevoli gioie della terra, formerà uno dei più inebrianti nostri rapimenti nella seconda vita, allorché nella luce della visione beatifica scopriremo quali furono i moventi segreti della misteriosa azione di Dio sull’anima nostra e nel mondo. - Ma quaggiù non ne avremo mai una qualche intuizione consolatrice? - Sì, benché l’Altissimo manifesti quasi a malincuore i motivi delle sue operazioni e non più di quanto è strettamente indispensabile perché l’anima non si smarrisca di coraggio e desista dal corrispondergli.
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Chi di noi non ne ebbe? - non intuì, cioè, in quale circostanza particolarmente dolorosa della sua vita, la missione purificatrice di una data prova e, pur soffrendone fino allo spasimo, non si sentì fiero di pagare a prezzo di lagrime il riscatto da qualche sua schiavitù interiore, la gioia di sentirsene libero e di poter isperare il sorriso ed i favori di Dio? E se meditiamo, nel raccoglimento dell’anima sulle angosci che funestano il mondo, oh! non peneremo a comprendere come e quanto sia probabile che i dolori dell’innocente o del buono che, dopo esser vissuto di lagrime, muore nell’umiliazione nella povertà e nell’oblio, siano destinati a riparare l’orgoglio, la cupidigia, la sensualità o di persona amica per cui egli abbia supplicato Iddio e forse offerto se stesso in olocausto - e come le malattie, le morti, le sofferente morali d’ogni genere che scarnificano, logorano il cuore di tanti, e gli insuccessi e gli errori e tutto il cumolo di croci che inondano quotidianamente la terra, del pari che i trionfi, le gioie, le soddisfazioni conseguite da chi forse meno le merita, siano - nelle mani di Dio - preziosissimi coefficenti di quella morale fecondità che ha nome: gloria dell’Altissimo, pace nostra! - Geli e arsure canicolari, zeffiri ed aquiloni, tenebre e luce, tutto non collima in natura a perpetuare la fertilità della terra? e perché la pianta germogli, metta il fiore e lo converta in frutto sugoso, non è necessario che il seme marcisca e muoia in seno all’humus nerastro, e dal seme esca e s’affondi nel suolo l’amara radice che manderà al tronco la linfa greggia fecondatrice? - Ebbene: così è dopo che geli, e bufere e arsure e tenebre spirituali, ciò disinganni, tentazioni, aridità, lutti, mortificazioni preparino il rigoglioso germoglio, la fioritura e la fruttificazione abbondante delle anime in seno alla Chiesa. - Com’è indispensabile che il vento trascorra per una regione fertile e
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asporti il polline dei suoi fiori e i semi dei suoi frutti e divella rami e radici per portarli a terre infeconde che altrimenti mai conoscerebbero il sorriso e il profumo del verde, così è duopo che il soffio potente del dolore stacchi dalla natia terra le anime più capaci di virtù e le porti, apostoli della buona novella, ai lidi ove la terra vergine e incolta attende il seme della divina parola.
Ciò che forma, insomma, la vitalità, la bellezza del mondo materiale (contrasti, dislivelli, varietà di prodotti e così via) forma la grandezza dignità del mondo delle anime. E se alla ragione nostra tutto ci si presenta come un arruffio, un disordine caotico che ci induce a dubitare dell’intervento di Dio nelle cose umane (poiché Dio è ordine e pace), gli è che noi guardiamo il mirabile suo lavoro con quella miope e debolissima vista che il Poeta definì “più corta d’una spanna”. E finché i nostri giudizi saranno a base di impressioni, l’anima nostra potrà elevarsi mai a quel concetto che ebbero della Provvidenza i Santi la cui fede è compendiata nel versetto del Salmo: “In Te Domine speravi, non confundar in aeternum”. “Oh! no, niuno di coloro che confidano nel Signore rimase deluso; ma, strano a dirsi, eppure vero, noi, tanto corrivi a riporre fiducia nelle creature, siamo incredibilmente restî nel concederla a Dio; quel Dio su cui si adempirono tutte le profezie, nel quale rifulsero tutte le ombre figurative dell’Antica Legge! Quel Dio la cui vita terrena fu tutta un poema di misericordia e che dopo averci rivelate le “beatitudini” di chi aspira alle gioie del cielo, ci à confortati subito assicurandoci (in San Luca) che “non un capello cadrà dal capo del minimo tra di noi senza che il Padre celeste lo permetta e lo sappia” e richiamandoci le cento volte alla memoria che codesto Padre celeste “ci ama immensamente più di quanto possiamo amarci da noi medesimi”.
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Quando ci risolveremo dunque a gettarci a corpo perso nelle braccia di questo Padre amorosissimo ed a praticare con umile fede l’insegnamento di Gesù: “cercate in prima il regno di Dio e la sua giustizia” giacché “tutto il resto vi sarà dato per giunta?” Ah! conveniamone; se un tale resto spesso ci manca o par mancarci, gli è che non adempiamo al precetto del Cuore divino e lungi dal cercare il regno di Dio, procuriamo affannosamente l’avvento del regno dell’io con tutto il suo corteo di ambizioni, di sensualismi, di opportunità illusorie. - E i tragici avvenimenti che funestarono tutta Italia e le Romagne in isepcie, in questi ultimi giorni mostrano ad evidenza a che si trascorra allorché, illanguidita la fede, si scivola insensibilmente nella negazione della Provvidenza o nel satanico ardire di sconvolgerne i piani e sfidarla! - e per contrario lo zelo con cui si susseguono nelle città nostre i Congressi eucaristici e la pompa e il lustro che loro conferisce l’intervento dei più illustri fra i membri della Chiesa docente e l’affluenza di vere fiumane di popolazioni devote, danno il confortevole esponente dell’elevatezza di sentire cui l’anima si erge se alimenta in sé quella Fede a che à il suo fondamento incrollabile nell’eterna verità che: “Dio non può né ingannarsi né ingannare e che parola di Lui non verrà meno nei secoli senza fine.” - Orbene: affidati alla divina parola che à assicurato alla Chiesa il trionfo, ai cristiani che portano rassegnati la loro croce il cielo, diamo bando risolutamente a tutti i dubbi che il demonio sa così bene insinuarci nella mente ottenebrata o nel cuore sconvolto della prova, per indurci ad accrescere le file di chi mormora della Provvidenza o la sfata o le si ribella; e se le operazioni di Dio continueranno ad apparirci (sia rispetto a noi stessi come agli altri) avvolte in un mistero crocifiggente la nostra natura, avida di tutto intendere
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intollerante di incertezze o di rifiuti penosi, ricordiamo che la Provvidenza
“ ... se niega talor grazia o mercede,
o niega sol perché a pregar ne invita
o negar finge e nel negar concede.”
Questo pensiero ci rassereni, ci tempri alle lotta, ci renda longanimi nell’attese, ci renda facile il giungere al porto cui la Provvidenza ci chiama. - Per me e per tutti così sia.