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[Sul retro dell’ultima pagina Don Bartoli scrive: Bozze corrette da Don Orione]
La giornata del miracolo 15 febbraio 1933
Nel foglietto mensile di gennaio u. s., avevo scritto, cari nostri Benefattori, che quel primo numero del nuovo Anno di Grazia 1933 usciva sotto lieti auspici.
Ebbene, tali parole non esprimevano soltanto un desiderio cocente da lungo, ma sempre invano, accarezzato: non esprimevano vaghi presentimenti di cose grandi ed imminenti: quelle parole esprimevano la convinzione ferma di memorabili eventi, prossimi a realizzarsi.
S. Antonio, il Santo che più da vicino seguì le orme del Poverello d’Assisi nell’amore a Gesù Cristo Crocifisso, non poteva e non doveva permettere che si iniziasse l’Anno Santo, a ricordo della data 9 volte centenaria della Redenzione, senza fare uno di quei miracoli che danno l’impronta di miracoli decisivi nelle opere suscitate e volute da Dio: monito ai critici ed agli ipercritici; ad dubbiosi ed ai vacillanti; ai tristi ed ai beffardi; ai faciloni ed agli utopisti; ai denigratori ed ai seminatori di zizzania: monito ai buoni, perché perseverino costanti ed impavidi in un lavoro fatto solo per la gloria di Dio e la salute dei prossimi.
Ed
il miracolo, il grande miracolo, S. Antonio lo ha fatto nel giorno
sano
sacro
alla Sua benedetta lingua, miracolosamente intatta nella corruzione
generale del corpo, il 15 Febbraio 1933: del Vicario di Gesù Cristo,
presso la Tomba del Principe degli Apostoli, come ho accennato nella
lettera circolare di fine Febbraio.
PERCHE’ A ROMA?
Qualcuno vorrà forse sapere perché il miracolo s’è compiuto a Roma e non a Reggio Calabria. Ecco, la cosa andò così.
A Reggio, per munificenza del Papa e per l’interessamento
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dell’Arcivescovo
Monsignor Carmelo Pujia,
è stato costruito, dalla Ditta Castelli, un grande Seminario
Regionale che sarà inaugurato fra qualche mese. In una visita che vi
feci in Dicembre, attirò la mia attenzione un mucchio di ponteggio
già smontato ed accatastato fuori del fabbricato, ancor squillante
cantiere di centinaia di operai addetti al
completamente
completamento
ed alla rifinitura.
Mi
venne spontaneo il pensiero: se avessimo noi dell’Opera Antoniana
una parte di
quel
ponteggio,
quanto
ci farebbe comodo!
E da questo pensiero sorse l’idea di domandare direttamente al
Comm. Pietro
Leone Castelli, per carità, un po’ di quel materiale prezioso: e
pensai subito a Don Orione, perché Egli stesso ne parlasse col Comm.
Castelli. E così, appena seppi che Don Orione era giunto a Roma da
Tortona, presi il treno e via a Roma, portando con me il progetto del
santuario,
che avevo finalmente potuto riavere, firmato ed approvato dal Genio
Civile, dopo tante e seccanti peripezie.
QUALCHE DELUSIONE
Giunto
a Roma, credevo, o almeno speravo, che tutto andasse a gonfie vele.
Parlai subito con Don Orione per la commissione al Comm. Castelli e
per l’inizio immediato dei lavori, appena avuto regalato quanto ero
affidato per chiedere. Don Orione ascoltò, promise che saremmo
andati da
dal
Castelli:
prima però voleva sapere il preventivo di spesa. Fortunatamente si
trovava a Roma l’Ing. Mariano Francescani, che aveva ritoccato e
rifatto il progetto secondo i suggerimenti del Consiglio Superiore
del Ministero dei Lavori Pubblici, e così, grosso modo,
mancando parecchi dati necessari, si calcolò una spesa di circa L.
650 mila, per fare il solo rustico del Tempio, senza infissi, e senza
serramenti. Tale preventivo di spesa fu comunicato, come da desiderio
di Don Orione, all’Economo Generale della Congregazione Don
Giuseppe Adaglio, anch’egli in quei giorni a Roma.
Erano terminate con ciò le difficoltà? Pare di no, perché Don Orione, qualche mattina dopo il mio arrivo, mi chiamò e
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mi
disse presso a poco così: Senti, devo dirti una cosa che forse ti
farà dispiacere, ma bisogna pure che te la dica. In questo momento
la Congregazione non può addossarsi una spesa che s’avvicina al
milione e forse lo supererà, se il solo rustico sorpassa le 600 mila
lire. Abbiamo ancora da pagare centinaia di migliaia di lire per il
Tempio
Santuario della
Madonna della Guardia a Tortona;
stiamo fabbricando stiamo
fabbricando a Villa Romagnano, stiamo fabbricando a Genova, dovremo
assolutamente fabbricare qui in Roma, se non vogliamo che ci portino
via il terreno della Parrocchia di Ognissanti in via Appia Nuova. I
tempi, tu lo sai, sono critici: non che io non abbia fiducia nella
Divina Provvidenza, nella Madonna e in Sant’Antonio; ma è bene
andare un po’ adagio.
Io
direi che tu per ora facessi solo le fondamenta... poi si vedrà. Non
so se Don Orione dicesse questo per mettere alla prova la mia fiducia
in Sant’Antonio, o per qualche suo particolare motivo. Sta di fatto
che io ne rimasi alquanto conturbato ed un po’ avvilito. Era la
natura che si risentiva: certo a detrimento dello spirito, poiché
tutto ciò che accade, non accade se non per volontà di Dio, che a
tempo e luogo dispone sempre per il meglio?.
Poiché, se il Signore non benedice all’opera nostra, è inutile insistere. Non si dice nel Salmo 126: Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificnte eam? E qui è proprio il Signore che deve edificarsi la Sua Casa, poiché si fa tutto per provvidenza, con la carità e per la carità.
E che il Signore disponesse appunto tutto per il meglio, lo si potrà facilmente vedere considerando gli avvenimenti.
IL SERENO
Col cuore un po’ piccino, dopo tale colloquio con Don Orione, domandai per telefono un’udienza al Comm. Castelli: quel giorno, per quanto ripetutamente telefonassi, non mi fu possibile rintracciarlo. Che tutto congiurasse contro? La fiducia però non mi era venuta meno. L’indomani era Martedì 14 Febbraio, ed a Reggio gli Orfanelli pregavano. Non era la giornata
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del
Santo Taumaturgo? L’
Lo attendevo alla prova, tanto che dissi al Direttore di quella
nostra Casa di Roma, Don Silvio Parodi: “Vedete che fra domani e
dopo si dovrà venire ad una soluzione.... e favorevole. Dovrà
operarsi un vero miracolo!”
La mattina appresso, Martedì 14 Febbraio, alle 10 telefono di nuovo al Comm. Castelli. C'è proprio lui in ufficio e fissa l’appuntamento per l’indomani dalle 10 alle 12 in Vaticano, nel palazzo del Governatore. Il mio cuore sussultò di gioia e non potei tenermi dall’esclamare: Ci siamo! “L’indomani, 15 Febbraio, ricorreva la Festività della «Lingua di Sant’Antonio», e certo il Comm. Castelli non pensava a tale circostanza, anche se avesse saputo che fra devoti del Santo si è soliti festeggiare tale ricorrenza.
Appena vidi Don Orione, gli dissi: Il Comm. Castelli ha fissato l’appuntamento per domani in Vaticano dalle 10 alle 12, domani è la festa della lingua di Sant’Antonio!”
IL SOLE
Ormai per me non c’era più nessun dubbio che tutto sarebbe andato bene: ossia, che il Comm. Castelli avrebbe aderito a darci gratis od almeno a prestarci, il legname occorrente per le impalcature. Desideravo incominciare subito i lavori, che intendevo condurre in economia.
In
quanto a fermarmi, dopo fatte le fondamenta, la cosa non mi
preoccupavo
preoccupava
più, anche se l’ubbidienza me lo aveva imposto, poiché ero certo
che Sant’Antonio ci avrebbe messo le mani. Dopo tante prove avute
nel corso di otto lunghi anni, come potevo dubitare del suo grazioso
intervento?
Alle
9.45, dunque, Don Orione ed io scendiamo, dal nostro Istituto di via
Sette Sale, in Via Cavour e con una automobile di piazza, via verso
il Vaticano. Montando in macchina, ho visto Don Orione cavarsi il
cappello e farsi un bel segno di croce e incominciare il Pater
noster, l’Ave Maria, il Gloria Patri, terminando con l’invocazione
Sant’Antonio prega per noi.!
Naturalmente io lo seguivo in tutto.
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Quanti Pater, Ave, e Gloria, con l’invocazione a Sant’Antonio, si dissero? Certo parecchi: non stetti a contarli lì per lì: ma se dicessi che fossero stati una tredicina, non sarei lontano dal vero. Così via Cavour, via dell’Impero, piazza Venezia, Corso Vittoria furono attraversate pregando. Verso la Città del Vaticano, oltre all’invocazione a Sant’Antonio, s’aggiunse quella ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, ed un requiem alle anime del Purgatorio.
Scesi
davanti al bel palazzo del Governatore della
nella
Città del Vaticano, ci rechiamo all’ufficio del Comm. Castelli.
Egli non c’è: sta in udienza dal S. Padre. Attendiamo nella
saletta comune. L’attesa durò un po’ a lungo, fin verso le
11.45, perché altri prima di noi furono introdotti.
Parlando
un po’ maliziosamente di tale fatto, rivolsi a Don Orione questa
frase: “Speriamo che avvenga di noi come avvenne alle nozze di
Cana.!”
Che il buon vino fosse appunto riservato per l’ultimo, ognuno può vederlo da quanto segue.
“CON AUDACIA, COME I POVERELLI”
Appena
introdotti, Don Orione espose senz’altro il motivo della visita:
“Signor Commendatore, non le faremo perdere molto del suo tempo
prezioso: siamo venuti a pregarLa di aiutarci nella costruzione del
tempio
d’un
Santuario
a S. Antonio a Reggio Calabria. Ci aiuti, Commendatore, ci aiuti, ed
il Signore La benedirà”. “Si volentieri, volentieri: ma vediamo
un po’ di che precisamente si tratti, e mentre il Commendatore,
così rispondeva, faceva scorrere l’occhio sul foglio in cui Don
Orione poco prima aveva scritto lo scopo della richiesta
chiesta
udienza, e poi, e poi, come riprendendosi, esclamò: ma Lei è Don
Orione? ed alla risposta affermativa, insistette:
è Lei Don Orione? Com’è umile?!
Io non ho avuto,
prima d’ora, la fortuna di conoscerLa, ma ne ho inteso tanto
parlare come di un Santo, come di un nuovo Don Bosco.
- Lasci
stare, per carità, queste cose, caro Signor Commendatore, che non
servono
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a
nulla. Ci aiuti a fare il
tempio
Il Santuario
a S. Antonio. - Ma sì, ma sì;
!
vediamo un po’... S. E. Monsignor Albera, vescovo di Mileto, mi
aveva accennato per del ponteggio.... sì
“Sì,
Sigr
Commendatore; ma ora sento di
poterLe domandare
che
Iddio mi porta a domandarle qualche
cosa di più. Ce lo faccia Lei il Santuario di Sant’Antonio.!
Vede,
nei giorni passati ho pregato molto, molto: e sento proprio nel cuore
di poterLe dire che il Signore La ricompenserà, La benedirà: e con
Lei, i suoi
figlioli, la sua famiglia, la sua impresa.
- Quando
Lei mi dice così, ma si
sì che lo farò e subito. Ma sa, signor Commendatore, che
noi non abbiamo soldi da poterla pagare lì per lì. - Ph! eslamò
scrivendo il Commendatore, è per questo che si chiede con
tanta....audacia?
fiducia?
– Si
Sì, proprio con tanta
audacia, come fanno i poverelli di Dio. Potrebbe accordarci 10 anni
di tempo per il pagamento? Le
daremo
un cinquanta o 60 mila lire all’anno. Un po’ troppo,
veramente,
10 anni. - Sì un po’ troppo, è vero, per qualunque altro, ma non
per il suo buon cuore, sign. Commendatore. Il Signore La chiama ad
aiutare questa povera, nascente, umilissima Congregazione. Ci aiuti,
ci aiuti! Le posso assicurare che tutti quelli che l’hanno aiutata,
se ne sono trovati contenti, poiché Iddio li ha visibilmente
benedetti e ricompensati in vita ed in morte. Siamo poveri, ma
vogliamo far un di bene: servire in umiltà nostro Signore Gesù
Cristo nei suoi poverelli ai piedi del suo Vicario. Ci aiuti, ci
aiuti! Le ripeto che il Signore benedirà lei, i suoi figlioli, la
sua famiglia, la sua impresa. Vedrà, Signor Commendatore”. Questi,
visibilmente commosso, rispose: Quando Lei mi assicura così, sì, va
bene, la aiuterò: farò io il Santuario; lo farò presto, entro un
anno, va bene? Ed il pagamento dopo, dieci anni e senza interessi
commerciali. E` contento ora?”
Immaginarsi
se Don Orione non fosse
stato
era contento. Io non so riscrivere le altre poche frasi che si
scambiarono ancora fra loro. Ciò
che di quel breve ispirato colloquio ho tentato di ripetere non è
che un’ombra di ciò che spiritualmente si sentiva
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Alitare in quell’ufficio:era Don Orione non era la lingua di Sant’Antonio che parlava?
Il
mio pensiero intanto
era corso subito a Reggio, alla Collina degli Angeli, e nella mia
fantasia vedevo già sorgere bello, maestoso, imponente, il Santuario
Sant’Antonio con attorno l’Istituto per i cari orfanelli; poiché
anche per
l’Istituto
dell’Istituto che dovrà sorgere
Don Orione parlò
parlò
brevemente al
Comm, Castelli.
Quando
ci alzammo, terminato il colloquio, Don Orione accennando a me, disse
al Commendatore: Questo mio Sacerdote è il Direttore della Casa di
Reggio Calabria, venuto apposta laggiù per il Santuario. “Ah! Lei
sta a Reggio? ebbene, quando ritornerà laggiù, dica al mio
Ingegnere, sign. Cocquio che dirige i lavori del Seminario Regionale,
che faccia subito il preventivo, e me lo mandi: faremo tutto con
molta sollecitudine.” Molto gentilmente, il Comm. Castelli ci
accompagnò fin sulla porta del suo ufficio. Il miracolo era fatto.
Viva S. Antonio.!
Fu proprio un miracolo? Si; si, e grande: anzi un duplice miracolo.
Uscito
dall’Ufficio del Comm. Castelli, Don Orione non si mise il cappello
in testa, ma incominciò subito dei Pater, Ave, Gloria, con la
invocazione: S. Antonio, prega per noi.!
Forse agli impiegati ed ai gendarmi pontifici di servizio al Palazzo
del Governatore della Città del Vaticano non capiterà tutti i
giorni di vedere due preti uscire da quegli uffici di lavoro col
cappello in mano e recitando dei Pater noster: anch’essi avranno
presentito che qualche grave
motivo ci poteva essere
fatto
straordinario qualche santa cosa doveva essere avvenuta.
Fu Don Orione a rompere poi il silenzio. “ Sei contento ora?” mi disse.
Ed al mio accenno affermativo, quasi non potendo parlare dalla gioia, egli continuò: “Sai che, entrando dal Commendator Castelli, non avevo affatto divisato di parlare come ho parlato? No so. Il Signore così mi ispirava: sentivo allora di dovergli dire quello che gli ho detto. S. Antonio, nel giorno sacro alla sua benedetta Lingua, ha voluto proprio compiere un duplice prodigio... Quanto è mai buono il Signore! Questo ci serva
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ad incitamento a lavorare sempre sotto il suo sguardo, in umiltà ed in semplicità di cuore. Ed ora andiamo a ringraziare anche S. Pietro”. Entrammo infatti nella Chiesa di S. Pietro. La prima visita fu alla Cappella del SS.mo Sacramento, dove un distinto giovane americano da quattro anni passa le sue giornate nella lode a Gesù Sacramentato, e nella riparazione per i tanti peccati che si commettono anche da coloro, che meno lo dovrebbero.
Don Orione e quel giovanotto si salutarono con molta effusione.
Dalla
Cappella del SS.mo andammo a baciare il piede a S. Pietro, e poi a
pregare davanti all’altare della Confessione, quindi sulla piccola
croce, che segna la tomba del Santo Padre Pio X, che baciammo con
profonda venerazione. Non bastò, però, quest’atto gentile a quel
Santo Pontefice, che amò tanto, tanto;,
e molto paternamente la nostra Congregazione, e nelle lui
mani
di
Lui
mani Don Orione emise i suoi santi voti religiosi.
Don
Orione mi volle condurre nelle grotte vaticane, proprio sulla Tomba
del Grande Pontefice, Che
che
ci aveva chiamati a Reggio Calabria dopo il terremoto e Che
che
ci aveva dato per le mani della Santa Memoria di S. E. Mons. Emilio
Cottafavi,
Suo Delegato, l’Istituto San Prospero, già centro fiorentissimo di
scuole elementari e secondarie, ed ora cenacolo di virtù e di
formazione dei piccoli missionari di Sant’Antonio.
Prima di lasciare la Basilica Vaticana, ripassammo davanti alla statua di San Pietro.
Don Orione mise la sua testa sotto il piede del Principe degli Apostoli e poi lo baciò.
“Ecco, dopo mi disse, ho messo la dura cervice sotto i piedi di S. Pietro!”
Bella missione, degna missione di un cristiano e massime di un Sacerdote e Religioso vivere ed agire ai piedi del Papa in semplicità ed umiltà di spirito alla mostra della Rivoluzione.
Erano esattamente le 12.45 quando uscimmo da San Pietro: ed alle 17.30 doveva ripartire. A Piazza Venezia lasciai Don
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Orione
per andare a fare una commissione. Alle 15 volli
recarmi
mi recai
a visitare la Mostra della Rivoluzione, anche
per
e a far vistare
il biglietto ferroviario.
Oh,
la nostra opera non è una vera e propria rivoluzione di
spiriti
spirituale di
anime che, dal disordine e dal caos dell’indifferentismo e della
negazione di ogni principio morale, dalla schiavitù e dallo
sbrigliamento di tutte le peggiori passioni vengono elevate
all’ordine dello spirito,?
e alla libertà di figli di Dio, a felici abitatori
e abitatrici di
quella Patria beata, dove il
gioir s’insempra nella visione beatifica di Dio.?
“Ignem
veni mittere in terram, diceva Gesù.:
Sono venuto a portare il fuoco
di carità e
che altro desidero se non che si accenda in tutti i cuori, perché li
avvampi, perché li compenetri instaurando in essi il mio regno
d’amore?”
Alere
flamman
flammam!
Dilatare
l’incendio, cari Benefattori! L’incendio però che non distrugge,
ma consolida: l’incendio che non arreca ferite, se non d’amore;:
l’incendio che non lascia rancori e non esulcera i cuori, ma li
vivifica e li cementa; l’incendio dell’amore di Dio,
l’incendio della carità dell’amor
del prossimo della
nella
carità di Dio:,
Egli
che è Carità.