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[Da copia dattiloscritta appunti sugli ultimi due giorni di vita di Don Orione, passati con lui a Sanremo 11 e 12 marzo 1940 Don Umberto Terenzi Parroco della Madonna del Divino Amore Roma]
Lunedì 4 marzo 1940 mi trovavo a San Giovanni Rotondo (Foggia) dal Padre Pio da Pietralcina, Cappuccino stimmatizzato, del quale più volte Don Orione mi aveva parlato come di persona conosciuta bene, dicendomi sempre: - Io non l’ho mai visto, e il non averlo mai incontrato mi ha giovato assai per potergli far restituire dalle Autorità Ecclesiastiche Superiori il libero esercizio del ministero sacerdotale (confessionale, predicazione, messa in pubblico), di cui era stato privato per circa 10 anni dal S. Ufficio.
Anche Padre Pio, nelle mie visite a lui fatte, più volte mi aveva parlato di Don Orione come di persona conosciuta.
Quale la natura della loro conoscenza, Dio lo sa.
Orbene, il lunedì 4 marzo 1940, mentre ero in colloquio col Padre Pio e parlavamo di tutt’altro, all’improvviso mi dice: Lo sai che Don Orione sta male?
“Ma no, Padre, è stato molto male ai primi di febbraio, gli hanno pure dato l’Olio Santo, ma ora è guarito, ha celebrato pure la Messa subito dopo gli attacchi al cuore.
Ma sì, lo so, allora me l’hanno pure scritto da Genova. Ma ora ti dico che sta male; dicono che sta bene, lo credono, ma sta male”.
Il modo come m’ha detto tutto questo, m’ha dato l’impressione che volesse preannunciarmi vicina la morte di lui. Io ne ho avuto
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subito la convinzione; tanto che decisi, appena fossi tornato a Roma, di correre a trovare Don Orione, se ancora avessi fatto in tempo.
Tornai al Santuario sabato 9 marzo, riferii alle Suore e ai Sacerdoti quanto m’aveva detto Padre Pio e mi consigliarono di non perder tempo e di partire subito. La sera di domenica 10 corr. partivo per Genova. Dissi Messa al Piccolo Cottolengo di Santa Caterina e lì seppi che sabato 9 Don Orione era stato accompagnato a S. Remo, a Villa S. Clotilde, casa della Congregazione in via 23 marzo, 16.
Alle 11,20 ripartii quindi da Genova e alle 14.30 ero a S. Remo, Villa S. Clotilde.
Egli riposava, e intanto le suore ne approfittavano per accomodargli l’unica sottana che aveva, dove (mi diceva intanto che attendevo la Signorina Anna Maria Goldstanb, mia vecchia conoscente, ritrovata lì a S. Remo nella casa di S. Clotilde) non si sapeva da che parte cominciare ad aggiustare tant’era logora! E quando, poco dopo, venne, si scusò, al solito, perché m’aveva fatto aspettare.
“Non potevo venire, mi stavano accomodando la sottana.”
E si mise a sedere accanto a me mentre finivo di mangiare; e si intrattiene con me - Fa portare il caffè e lo prendiamo insieme.
Naturalmente domando come si sente. “Ma bene; ebbi un po’ di fastidio al 9 di febbraio, ma poi sono guarito” Senonché è sopraggiunta una bronchitella che m’ha lasciato un po’ di catarro. Ma non è niente.
Lo informo di qualche notizia di Roma e sulle cose del Divino Amore. Seguitiamo il discorso in camera sua; ha un tavolo pieno di carte e di corrispondenza. Mi dice che approfitta di questo riposo dove l’hanno portato per spicciare qualche cosa. “C’è sempre tanto da scrivere!...”
Mi seguita a parlare della situazione creatasi al Divino Amore con l’invio di due Suore Sacramentine di Bergamo tre le nostre, per l’approvazione ecclesiastica.
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Così - dico - ha voluto il Visitatore Apostolico, Padre Lazzaro d’Arbonne Cappuccino.
Allora egli mi parla del Visitatore Apostolico assegnato alla sua Congregazione, Abate Caronti.
“Che uomo! Vorrei che anche voi l’aveste! Ma pensate: quando sono stato “poco bene” - l’ultimo attacco del febbraio 1940 che lo ridusse in fin di vita! - è corso subito a Tortona, è stato lì con un amore, con una premura veramente commoventi. Che degnazione, vedete! Sapeste quanto vuole bene alla Congregazione, quanto bene ci ha fatto e ci fa. E’ quello che ha salvato anche le opere di Don Calabria, lo sapete? Che uomo! E’ un vero dono di Dio”
Per la situazione del Divino Amore intanto mi diceva: “E’ una prova del Signore. Guai se non ci fossero le prove, dubiterei della volontà di Dio sull’opera del Divino Amore. Appunto invece perché è opera di Dio, ecco che il Signore lo sottopone e questa grande prova”.
Verso le 16.30 Don Bariani lo chiama. Ma che c’è! - Venga qui, Padre, (nella camera attigua, dov’era Modesto) deve far merenda. –
“Merenda? ma che merenda, ma io non l’ho fatta mai merenda, poi non posso cenare”.
Ma venga, venga, è un ristoro. (un torlo d’uovo con il brodo) Si deve sostenere. E si siede a prendere il brodo.
“Beh, ora però lasciatemi stare che faccio da me, non posso prendere tanta roba, ancora non ho digerito il pranzo”.
Poi rivolto a me: “Ma guardate un po’ come sono ridotto. Signore, pure la merenda! Oh, che cosa!…
Poi si ritirò a scrivere. Verso le 19 cenò da solo, ma credo che prendesse quasi nulla. Don Bariani, il rettore di S. Romolo, Don io e il chierico Modesto cenammo insieme ed egli assisteva alla nostra cena, seduto, sfogliando i giornali e parlando con noi della situazione Europea e dell’avvenimento più importante del giorno, la visita del Ministro degli Esteri Tedesco Von Rindenprot al Santo Padre; manifestava il timore che anche questa visita nascondesse qualche altro tradimento della Germania alla Chiesa
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e parlò della persecuzione religiosa che infieriva nella Polonia occupata dai Tedeschi e dai Rossi.
“Già - disse - anche a noi sono arrivati quei fogli che manda l’Ambasciata polacca presso il Quirinale e c’era qualcuno che diceva che era meglio non farli leggere ai nostri chierici Polacchi per non straziarli. Ma io ho detto era meglio che sapessero qual’era la condizione della loro Patria. Poveretti, perché privarli di quella soddisfazione di sapere che succedeva in Patria.
Verso le nove mi ritirai in camera per non stancarlo; ma lui chi sà quanto avrebbe voluto seguitare a parlare.
Egli pure credo andasse a riposare; si ritirò in camera, non so se si sia messo ancora a scrivere.
Martedì 12 marzo 1940
Ho assistito alla sua santa Messa servita da Modesto. Procedeva lentamente, cercando di dissimulare la stanchezza che certamente doveva provare.
Tossì più volte e si vedeva un po’ affannato.
Fece anche la Comunione al Chierico Modesto, a tre Suore e altre tre persone della Casa. Camminava molto lentamente, ma non omise la minima cerimonia.
Tornato in sacristia dopo la Messa andai per dirla anch’io. Modesto dovette uscire un po’. Allora egli vistomi solo a vestirmi mi aiutò come un chierichetto. Intanto gli dissi che quella Messa che andavo a dire l’offrivo alla Madonna per lui e per le sue Opere. Mi ringraziò con tanto cuore.
Intanto Modesto tardava a tornare ed io facevo apposta ad andare lento, perché già capivo che egli stesso mi veniva a servire la Messa. Lui però se ne accorse:
“Via, via, venite, vi servo io la Messa”.
-Ma Padre, per carità, vada piuttosto a sedersi, è stanco.
“Macchè! Via, via, venga, su, la servo io”.
E mi obbligò ad uscire.
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Per non farlo stancare, metto da me la berretta sullo scalino dell’altare invece di consegnarle a lui. Ed egli invece si curva per raccoglierla da terra; la prende e la poggia sulla mensola. Io intanto facevo cenno alle Suore che sollecitassero a chiamar qualcuno. E dico:
“Padre, vada a sedersi, mi rispondono le Suore!”
“Via via, cominci”.
E si mette in ginocchio per terra, a mani giunte, come un piccolo chierico
composto, e lì rimane a servirmi Messa fino al Vangelo.
Finalmente, a forza di rivoltarmi alle Suore per sostituire il Padre, ecco che arriva Modesto.
Allora egli acconsente a togliersi di lì, però va ad inginocchiarsi nel primo banco (molto scomodo), e rimane immobile in ginocchio per tutta la Messa, fino alla fine delle preci.
Poi è uscito e s’è ritirato in camera a scrivere. E’ stata questa l’ultima Messa da lui ascoltata servendola; la sera alle 23 moriva.
Scrisse tutta la mattinata. Dice che aveva tante cose da fare. A mezzogiorno cominciarono a chiamarlo per il pranzo. Macché, non smetteva. Modesto fece scaldare di nuovo tre volte la minestra e diceva Don Bariani: Ma Padre, questo povero riso che diventa? “Mangiate, mangiate voi, non fate aspettare Don Terenzi”. E fu necessario contentarlo. S’accorse che io e Don Bariani mangevamo adagio per aspettarlo (stavamo nella camera attigua a quella dov’era lui a scrivere).
“Ma mangiate, mangiate tranquilli. Non pensate a me, non posso sospendere - diceva a Don Bariani - lo sapete che se vengo a mangiare mi scappa quello che ho nelle cervella e non torna più dopo”.
Finalmente venne e mangiò regolarmente, come se nulla fosse. Aveva appena cominciato a mangiare la minestra e s’accorse che Modesto dicevo una parola in segreto all’orecchio di Don Bariani (a tavolo con Don Orione eravamo Don Bariani ed io soltanto).
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Che c’è? Domandò subito. “Niente, niente - rispose Don Bariani - stia tranquillo, mangi la minestra che si fredda”. Egli seguitò, ma si vedeva che non gli andava giù. Dopo altri pochi cucchiai: “Ma ditemi, è venuto qualcuno?” - Sì, rispose Don Bariani, ma stia tranquillo, adesso mangi”. E seguitò, ma tanto a malincuore.
Poi di nuovo: “Ma insomma, sapete che a me non piacciono le mezze parole, ditemi chi è.
E’ il Canonico Perduca e.... (un borghese benefattore di Tortona); ma stia
tranquillo, già hanno pensato a portargli da mangiare. –
Finì a malincuore la minestra, obbligato da Don Bariani a rimanere tranquillo a
sedere; e disse: “Provvedete intanto a portar loro da mangiare”.
Ma, appena finita la minestra, scatta su in piedi, dicendo: certe persone. E spalanca la porta e si presenta nella sala di udienza dov’erano già a sedere i nuovi arrivati. E si andò a scusare che era occupato con un monsignore di Roma con cui già aveva cominciato a mangiare; e portò lui stesso il vino e i bicchieri; e che avrebbe fatto d’altro per mostrare la sua gran cordialità!....
Finalmente tornò a tavola; tutto freddo s’intende era diventato.
“Ma Padre, ora vede, s’è freddato tutto - gli si disse - .
“Oh! non fa niente. Adesso così va bene, gli ho detto che sono occupato con un Monsignore di Roma e appena mangiato andiamo da loro e vi presento.
Ma, Padre io non sono mica Monsignore....
“Monsignore?!... Ma altro che Monsignore siete voi con la Madonna!
Durante il pranzo parlò delle case di Sanremo, poi della formazione delle Suore.
Dissi che prima avevano anche un’altra casa con chiesa pubblica, “ma per la leggerezza d’un nostro sacerdote dovetti lasciarla”.
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Vide ch’ero rimasto un po’ meravigliato di quella frase. E allora aggiunse: “Oh! mica niente di male. Ma non era lo spirito dei Figli della Provvidenza. S’è fatto far Vescovo! m’ inchino all’episcopato,... sia Vescovo, ma non più figlio della Divina Provvidenza. Così lasciammo quella chiesa. Ci andarono poi i frati e anche il nuovo Rettore fu fatto Vescovo.
Una chiesa da Vescovi! dissi io scherzando; ed ero rimasto pensieroso.
Ed allora egli: “Oh! voi non mi conoscete ancora quanto sono terribile!...Lo sanno le mie Suore che hanno tutte una gran paura di me (non lo credo davvero! ), mi temono. Ma poi tutte quelle che sono morte - e già sono parecchie - sono state tutte tanto brave e mi hanno benedetto. Perché è importante la loro formazione, il loro spirito.
[Nota di chi scrive]
Coscienziosamente devo attestare che questi appunti, fedelissimi alla realtà tutti quanti, fino qui furono scritti così per disteso subito dopo la morte del caro nostro Padre, tre o quattro giorni dopo. Quanto segue, per diversi motivi e per mancanza di tempo, l’ho scritto soltanto oggi, 14 Gennaio 1941, così come segue, per quanto l’avessi appuntato già con note più brevi nel mio quaderno personale, in parte il 12 (giorno della morte del Padre) e in parte il 13 marzo 1940. Quindi, ripeto, tutto è fedelissimo e corrisponde alla realtà.]
E, come per spiegarmi meglio la sua idea, mi raccontava che “trent’anni fa, quando non avevano fatto ancora le suore, la Madre Generale delle Suore della Carità (a Bocca della Verità a Roma) con cui mi trovavo per motivo degli orfani del terremoto di Messina, mi diceva: - Don Orione, se deve fare le suore, stia attento. Io muoio col dolore (era vecchia, e poi
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morì presto infatti) di non riconoscere più le mie suore, quelle dei miei primi anni. Chissà! Sono cambiate, non so; non sono più quelle di prima. Magari saranno capaci di grandi cose, anche del martirio, ma poi si perdono nelle piccole, non sanno magari sopportare una parola, una mortificazione”.
E, alludendo alle suore in formazione al Santuario proseguiva:
“Attento al numero! Che siano unite di cuore, se no, guai! Che siano umili e allora saranno ubbidienti e allora saranno suore”.
Proseguimmo così noi due fino alla fine del pranzo; mentre Don Bariani e Modesto pensavano a far mangiare il Canonico Perduca e gli altri arrivati; e Don Orione ogni tanto ridomandava se mangiavano se gli avevano provveduto tutto, se erano stanchi del viaggio..... insomma, parlava con me ma si vedeva bene che egli voleva correre al più presto all’altra tavola per fare onore agli ospiti arrivati. Sicché, appena finito di mangiare, si alzò, disse con me le orazioni di ringraziamento alla mensa e poi:
“Andiamo, andiamo, ch’è troppo che aspettano. Spalanca la porta e: “Caro Canonico, bene arrivato, e caro.... (il benefattore) come sta? come è andato il viaggio Su, su, accomodatevi, mangiate, mangiate!”
Si rimase lì tutti insieme più d’un’ora. Dopo che gli ospiti ebbero mangiato, fece servire a noi tutti il caffè che anche egli prese con noi. In tutto quel lungo vivacissimo colloquio in cui era sempre lui che parlava, come se non avesse nulla, (lui che per ordine dei medici e per le occhiatacce di Don Bariani non avrebbe dovuto parlare che pochissimo per non affaticarsi) parlò di tante cose.
Domandò notizie di Tortona, di Don Sterpi, del viaggio che avevano fatto, del loro ritorno. Poi lungamente, con minuzia di particolari per più di mezz’ora raccontò tutti una vicenda dolorosa del compianto Cardinal La Fontaine. E lo fece dopo aver narrato che trovandosi egli (Don Orione) in altro pericolo di vita (non ricordo oggi, quando e dove disse) il Cardinale corse al suo letto a fargli quest’opera di carità di raccomandargli l’ani-
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ma e gli volle domandare se era preoccupato, se aveva dei debiti che non poteva pagare. E Don Orione avrebbe risposto, mi sembra, di dover dare a non so chi cinquecento lire; e il Cardinale s’impegnò a pensarci lui. E ricordava le virtù del grande Cardinale e l’affetto suo per lui e per l’opera. Forse per spiegarlo, ma senza spiegarsi troppo; Don Orione venne a dire di una certa calunnia con la quale il povero Cardinale La Fontaine, quand’era Vicario Capitolare a San Giovanni in Laterano, dopo essere stato Vescovo di (credo Viterbo) fu colpito da certe persone ecclesiastiche. Sicché, senza saperne il motivo si sente chiamare dall’Arciprete della Basilica, Cardinal Pompilj, che, con sommo dolore gli comunica che egli, La Fontaine, doveva ritirarsi perché era incorso in una speciale pena gravissima data dal S. Padre. Più tardi (e qui la vivacità di Don Orione fu impressionante) un certo prete (che, da tutto il discorso si vide che era certamente lui) si trovò, per un complesso di circostanze al letto di un prelato moribondo da cui seppe la verità e la macchinazione della calunnia.
Allora quel prete obbligò costui a fare una ritrattazione avanti a due testimoni ufficiali di Curia, che ne redigessero l’atto da mandare al Papa con la promessa di ripeterla a voce personalmente se fosse guarito. E tutto fu fatto.
Quando Benedetto XV ricevette lo scritto non voleva credere; non credeva possibile tanta calunnia; ma poi costui guarì e andò dal Papa a confermare che tutto era stato una calunnia da lui stesso ordita.
Allora il S. Padre fece chiamare subito La Fontaine e quando questi entrò, si alzò dalla sedia, gli corse incontro, lo abbracciò “chiedendogli perdono” di quanto dolore involontariamente gli aveva arrecato, e poi gli disse: - Ora bisogna riparare. C’è vacante la sede del Patriarcato di Venezia; e Lei sarà il nuovo Patriarca.
E così La Fontaine andò a Venezia. E il Papa gli raccomandò di non passare nemmeno per due città d’Italia che gli determinò, ma di andare dritto, ecc......
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La narrazione del fatto lasciò tutti noi impressionati, anche perché egli aveva raccontato quel fatto come per dimostrare la grande necessità di assistere i preti moribondi e di chiedergli se hanno impegni da soddisfare, o qualche cosa da riparare.
Intanto era tardi; e Don Orione cominciò il congedo degli ospiti con tutte quelle raccomandazioni abbondanti che il suo gran cuore gli faceva scaturire dalle labbra, per il viaggio, per Tortona, per Don Sterpi, per tutti gli amici, ecc.... Che a tutti dicessero che stava bene e che tra pochi giorni contava di ritornare a Genova.
A forza d’insistere, Don Bariani riuscì a farlo ritirare in camera per riposarsi un po’. Ma dopo pochi minuti so che già stava al tavolino a scrivere di nuovo. E scrisse quel giorno tra mattina e pomeriggio, non meno di otto ore! Intanto nel pomeriggio, visto che Don Orione stava così sollevato, visto che i suoi di casa mi fecero capire che era meglio non affaticarlo, decisi di ripartire alle 20.30 da S. Remo dovendomi recare a Verona.
Appena lo sa Don Orione, si preoccupa subito della cena. Alle sette precise era con me solo a cenare. Mangiò regolarmente la minestra, la pietanza (verdura e carne con alcuni cervelletti fritti) frutta, vino, pane; quello che gli presentavano prese tutto. Io lo guardavo trasognato; e mi domandavo se, per quanto avesse preso assai poco di tutto, non era troppo di sera per un malato di cuore. E d’altra parte ciò mi confermava che stava bene perché dava l’impressione di mangiare volentieri e con appetito. E non faceva invece che preoccuparsi del mio piatto:
“Mangiate, mangiate, voi dovete viaggiare tutta notte; voi siete giovane.” E riempiva il mio piatto di carne.
Ma Padre, gli dissi, e il digiuno quaresimale?.
“Ma che digiuno, voi dovete viaggiare tutta notte, mangiate, mangiate” e m’aggiungeva i cervelletti.
Ma Padre, li hanno fatti per lei, li prenda lei.
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“Via, via, mangiateli voi, vi fanno bene, voi dovete viaggiare. E riempiva il mio bicchiere di vino.
Intanto si parlò per tre quarti d’ora delle cose del Santuario del Divino Amore. Per le suore, nella cui casa la Visita Apostolica ha messo due Suore Sacramentine per la loro formazione diceva:
“Meglio che siano tribolate così. Quanto farà bene al loro spirito di obbedienza e di comprensione! Così faranno il paragone quando si ritroveranno sole e troveranno tutto facile ripensando al tempo duro. Così si cementa tanto l’unione tra loro e si formano alla vera ubbidienza. Del resto, guai se non fossero piene di prove queste Congregazione nuove; ci sarebbe da dubitare della volontà di Dio per esse. Quindi tutto questo è buon segno”.
Per eliminare l’elemento laico borghese al servizio del Santuario mi dice:
“Ottima l’idea dei cooperatori: pregherò perché la Madonna vi mandi dei soggetti.
Don Bosco diceva E’ meglio fare il fuoco con la legna del proprio bosco! E lo diceva proprio a proposito dei Cooperatori e di eliminare forze estranee dalle opere. A voi, soggetti non dovrebbero mancare. Una volta costituito il primo nucleo, ogni anno, al tempo dei pellegrinaggi altri vedendolo si unirebbero, che ve ne pare?.”
Per la celebrazione del secondo centenario (1940) della Madonna del Divino Amore:
“Seguite il programma che vi faranno i superiori, però bisogna fare, fare tanto! Bisognerebbe proprio che il Centenario fosse distinto con l’inizio di qualche opera dei lavori per il nuovo Santuario”.
Riguardo ai mezzi: Gli avevo detto che il Cardinale Vicario Marchetti Selvaggiani, avrebbe approvato forse la proposta di Monsignor Ercole di assegnare un milione e mezzo almeno, nel 1940, per la costruzione del nuovo Santuario. E con questo ri-
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torna su l’idea, che mi ha detto tante volte, della sepultura del Cardinale stesso.
“Ma si - se vi ha stanziato circa un milione e mezzo per i lavori del Santuario, è segno che lì vuole qualche cosa, che ci vuole essere seppellito lui pure. Ma certo si farà seppellire al Divino Amore. E poi diteglielo, che vuole proprio andare a finire in quel cappellone abbandonato dei Cardinali al Verano ? Chi gli dirà più un requiem? Immaginate invece un bel monumento al Divino Amore, come lo vedranno tutti; e tutti pregheranno per lui! Diteglielo, diteglielo!
In questi tempi vi sono mancati i mezzi? Diminuiti?.
No, Padre, anzi aumentati. Ma ho gli impegni della costruzione dell’Orfanotrofio da pagare al Card. Vicario.
“Avrete anche quelli, seguitate a pregare, vi arriverà anche a voi qualche grossa somma, qualche lascito, con cui metterete a posto le cose”.
Riguardo al passaggio dell’Opera Pia Santa Caterina al Santuario.
“E’ difficile, è un’opera grande, no? Comunque, pregate. Piuttosto che procurare l’udienza vostra dal Duca, fate venire lui dal Divino Amore”.
Ormai erano quasi le 20. Si preoccupa che Don Bariani prepari la macchina per accompagnarmi alla stazione. Ci alziamo da tavola e andiamo alla sua camera attigua. Prima di andare a prendere la valigia, gli chiedo che mi scriva una benedizione per le Figlie della Madonna del Divino Amore. Ritornando giù è pronta: forse fu l’ultimo suo scritto? Sul retro di una cartolina illustrata di S. Remo aveva scritto così:
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S. Remo 12/ III/ 1940 – XVIII
Ave Maria, e avanti! - Ave Maria, e avanti! Ave Maria e avanti!
Alle Figlie delle Madonna del Divino Amore
Don Orione
Una benedizione grande e preghino per me.
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L’ho messa in una busta e sulla busta ho scritto:
“Alle Religiose Figlie della Madonna del Divino Amore”
Roma
Ormai doveva lasciare il caro Padre; sentivo ch’era l’ultimo congedo. E anche lui è stato più affettuoso del solito.
Venendo via infatti mi ha abbracciato e benedetto. Gli ho chiesto ancora, come per avere da lui l’ultimo ricordo: - Padre, che mi dice?
“Crescete nell’amore alla Madonna e spargetelo dappertutto!”
E al Cardinale Vicario (Francesco Marchetti Selvaggini) Padre, ha nulla da mandare a dire?.
“Ditegli tante cose da parte mia, che sento di amarlo e venerarlo tanto.”
Io sento che non ci rivedremo più; vorrei che me lo dicesse, non so come fare a domandarglielo, e gli chiedo: - Padre, quando tornerà a Roma?
“Non lo so se verrò, figlio mio, rispose guardando al cielo. Ormai non mi resta che desiderare e fare la volontà di Dio.”
Gli chiesi se la mattina dopo - 13 marzo - poteva dire la Messa per me e per le opere della Madonna; io, aggiunsi, per Lei e per la Piccola Opera, ho detta quella di stamattina.
Pensò un po’, poi mi rispose:
“Sì, domattina non ho impegni, sono libero.”
Di nuovo mi ha abbracciato e benedetto “con tutte le benedizioni del Signore!”, e poi m’ha accompagnato fino alla porta della sua camera, con tante espressioni di affabilità e di vivacità; nulla faceva intravedere la sua fine così vicina.
Erano le 20 del 12 Marzo 1940. Circa due ore dopo il caro Padre era morto!
Copia conforme all’originale, Divino Amore 28 - 1 – 941
f.to Don Umberto Terenzi Rettore-Parroco del Santuario
(timbro) Santuario Madonna Divino Amore Roma.