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[Da copia dattiloscritta]



MEMORIALE



Tortona, 24 Maggio 1934

Festa di Maria Ausiliatrice



Nel 1927 Don Vincenzo Minetti di Genova, con l’approvazione del suo Arcivescovo, passava con le opere sue - qualcuna eccettuata - all’Opera “Cardinal Ferrari”. E ciò non solo perché già da tempo egli trovavasi in difficoltà economiche, ma anche per assicurare alle stesse sue iniziative attuazione e perpetuità.

Nel 1928 lo stesso Don Minetti veniva dalla “Cardinal Ferrari” trasferito a Roma, mentre alle sue opere in Genova già si era mutata fisionomia e finalità.

Egli, in tal epoca, col beneplacito ed incoraggiamento dell’Arcivescovo di Genova e del Cardinale Vicario di Roma, beneplacito e incoraggiamenti confermati dall’augusto compiacimento del Santo Padre, lanciava ai Genovesi e a tutti i devoti della Madonna della Guardia l’idea e l’appello a sottoscrivere per l’erezione in Roma di un Santuario ad onore della Madonna, venerata sotto tale titolo, costituendo all’uopo un comitato del quale facevano parte Mons. Malfatti, Rettore del Santuario del Monte Figogna, P. Antonio Minetti dei Figli di Maria, il Sac. Prof. Vaccari, l’Avv. Camillo Corsanego e altre personalità genovesi e romane.

La località scelta dallo stesso Don Minetti era una piccola altura, fuori porta Cavalleggeri, denominata Monte del Gallo. E Don Minetti che in breve era riuscito a raccogliere già circa settantamila lire in offerte, spinto dall’entusiasmo, si tuffava il 7 giugno 1929 in un affare di pessimo genere (v. copia di Compromesso all.) impegnandosi all’acquisto di detta località di mq. 7011,38 di terreno di proprietà della S. A. Fornace toscana materiale laterizi - Roma.

A giudizio non solo dei competenti, interpellati poi, ma anche di persone semplicemente dotate di buon senso, la cosa era da ritenersi fuori di misura non conveniente, principalmente perché: 1° il terreno era stato pattuito al prezzo di lire 100 il mq. quando poteva forse valerne 60, sessanta, perché di cattiva natura (argilla e arenaria) e tutto accidentato e scosceso: da












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un lato poi, e per buona parte della sua superficie, esso presenta un profondo avvallamento; 2°) non v’era alcuna strada di accesso diretto; 3°) il compromesso sottoscritto aveva tutto il carattere di scrittura iugulatoria; basterebbe dire; basterebbe dire che Don Minetti rilasciò in una sola volta un cumulo di 84 cambiali “pagherò” a scadenze successivamente trimestrali per l’ammontare di lire 701.138 == poi l’interesse debitore del 7.50 per cento dalla data di compromesso, e si impegnò anche al pagamento delle imposte e tasse sul fondo a partire dalla stessa epoca, senza riservarsi neanche il diritto di disporre subito del terreno, e, quel che era enorme, se avesse mancato al pagamento di una sola cambiale (poteva essere anche l’ultima e la più piccola), avrebbe perduto completamente quanto sino allora aveva versato, senza aver diritto ad un solo palmo di terreno.

Don Minetti, malgrado tutto, il 7 Marzo 1930 era già riuscito a raggiungere, tra offerte e prestiti, e a versare, mediante estinzioni di cambiali scadute, lire 246.975, =; aveva già ottenuto in dono al Rettore della Guardia di Monte Figogna ed esposto in S. Ambrogio in Genova, un gigantesco gruppo della Madonna della Guardia, destinato al futuro Santuario in Roma, ed aveva fatto preparare un progetto completo di costruzione veramente grandioso (Ing. Ferrari - Genova).

Intanto la Cardinal Ferrari trovavasi in difficoltà e dava segni di impressionate decadenza economica, per entrare più tardi in stato fallimentare: il credito morale di Don Minetti, che di essa - come abbiamo detto - era entrato a far parte, subiva di conseguenza una forte scossa.

D’altra parte, in omaggio al Concordato tra la Santa Sede e il Governo Italiano, si rinnovava l’amministrazione del Santuario del Figogna, e ne assumeva la presidenza S. E. l’Arcivescovo di Genova, che nominava suo rappresentante in tale carica Monsignor Vittorio, Provicario generale della Diocesi. Per Don Minetti cambiava clima, perché la nuova amministrazione gli si volse contro; S. E. Rev.ma l’Arcivescovo di Genova ritirò la sua appro-





















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-vazione, e gli proibì di continuare a raccogliere, in Genova Diocesi, offerte per l’iniziativa di Roma, e, credo per due volte, fu ufficialmente pubblicata contro di lui una diffida sul quotidiano cattolico di Genova.


Questi i precedenti.

Il povero sacerdote - che, quantunque non nato amministratore, pur di tanta stima e affetto era stato sempre circondato in Genova per l’ammirevole zelo del suo ministero e per l’ardore della sua carità verso la gioventù derelitta - vedeva ora da un lato, la rovina delle sue opere cittadine coinvolte nel fallimento della “Cardinal Ferrari”, e, dall’altro, l’insuccesso clamoroso - moralmente più che finanziariamente - della nobile impresa di Roma, con l’imminente perdita di circa duecento cinquanta mila lire già versate.


Tutto questo fu ciò che considerò Don Orione allorquando Don Minetti si rivolse a lui per la prima volta nel Giugno del 1930 allo scopo di ottenere un prestito di lire 13.500, == che gli mancava per far onore ad un gruppo di cambiali per l’importo di(lire) 64.500. == di imminente scadenza ed evitare così la catastrofe: si trattava soprattutto di salvare una veneranda figura di sacerdote, tanto popolare nell’Archidiocesi di Genova, nonché la parte rappresentativa che, appunto con tale aureola di generale stima, - confermata dall’appoggio delle Autorità Ecclesiastiche - egli aveva sino allora compiuto a nome di Genova in Roma.

Al primo aiuto, Don Orione ne aggiunse altri, in occasione di successive scadenze, e ciò non solo per i motivi già esposti, ma anche per salvare con le altre trecentomila lire versate da Don Minetti, quanto lo stesso Don Orione già aveva prestato. Don Minetti promise sempre di restituire. Risulta dal carteggio qui allegato, che la Piccola Opera della Divina Provvidenza diede a prestito per mezzo di Don Orione circa lire 87 mila; alcune migliaia furono restituite, e il debito rimase complessivamente di lire 81. 197.80.






















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Intanto si era affannosamente cercata una tavola di salvataggio, e Don Orione, con l’approvazione di Sua Eccellenza l’Arcivescovo di Genova - che vedeva di buon occhio questa opera di salvataggio - aveva suggerito che si entrasse in trattative con la Commissione Pontificata per l’erezione delle nuove parrocchie in Roma, onde proporle di rilevare a condizioni di favore l’impegno di Monte del Gallo per erigere in quella località una delle nuove parrocchie intitolandola alla Madonnna della Guardia.


Sarebbe stata una soluzione soddisfacente: Sua Eminenza il Cardinale Minoretti - che nel dicembre del 1930 trovavasi a Roma - aveva all’uopo favorito Don Minetti di una commendatizia presso il Cardinale Marchetti Selvaggiani, Presidente di detta Commissione.

Nel frattempo Don Minetti si dimetteva dalla Compagnia di San Paolo (“Cardinal Ferrari”) allo scopo di poter ritrovare in Genova aiuti all’Istituto dei fanciulli poveri, come dice la scrittura redatta e sottoscritta da lui e da Don Giovanni Rossi, Superiore Generale della Compagnia, in data 3 Luglio 1930.

Intanto Don Minetti apriva causa contro la fallita “Cardinal Ferrari” per il riscatto delle sue antiche proprietà, causa che, pervenuta con sentenze sempre favorevoli sino alla Corte di Cassazione, ottenne pieno successo e si concluse poi nel giugno del 1933.


Dopo d’aver iniziata la causa contro la “Cardinale Ferrari” e di essere già stato aiutato da Don Orione, Don Minetti manifestò il proposito di passar a far parte della “Piccola Opera della Divina Provvidenza”.

Fu accettato e si unì.

Però Don Orione non lo tolse da Genova, ma, vivamente desideroso che la tanto necessaria e Santa Opera del Catechismo a cui Don Minetti aveva dato tutta la sua vita, avesse a rinascere, - (essa, dopo l’allontanamento di Don Minetti da





















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Genova, si può dire che fosse morta); volendo che Don Minetti ancora avesse a darle il suo soffio di vita; - e che prima di morire, avesse non solo la consolazione di vederla rinata, ma la speranza che, anche dopo di lui, si sarebbe perpetuata: e perché non avesse a deviare né confondersi, volle che l’Istituto si chiamasse senz’altra: “Istituto catechistico Don Vincenzo Minetti in Genova”.

Lo scopo, come tutti sanno, è di formare personale da mettere a disposizione dei Parroci. Pienamente intesosi con Don Minetti, dispose dunque che la finalità prossima fosse ben specializzata e che lo stampo restasse tutto ligure.


Si raccolsero in Liguria degli aspiranti, che si sarebbero dati all’Opera dei Catechismi, e Don Minetti li avrebbe formati al metodo suo. Ad un gruppo di Ragionieri Genovesi, Don Orione, in una adunanza apposita, prospettò il grande bene che ne sarebbe venuto alle anime e a Genova, ed essi si offersero di lavorare alle dipendenze di Don Minetti, e perché l’opera di Minetti non venisse storpiata né passasse a mani estranee, ma mantenesse puro lo spirito di fondazione e la sua fisionomia genovese. Non era un nuovo istituto che si fondava, era un rialzare con energie nuove l’Istituto di Don Minetti, era dargli sangue nuovo e sangue ligure: era perpetuare, col divino aiuto, una istituzione quant’altra mai buona, che suscitata da Dio in Genova, poteva finire con la vita di Don Minetti, o, passando a mani estranee cioè di non genovesi, non continuare più con lo spirito della fondazione.


Prima, per Roma, il Sac. Orione aveva fatto sacrificio di danaro, immobilizzando ed esponendo un cospicuo capitale: ora lo faceva di personale che molto affidava anche perché nato a Genova; Don Minetti col benestare del suo Arcivescovo, otteneva subito da Don Orione il personale per allora necessario; poi avrebbe avuto, mano mano, quanto gliene occorreva.





















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Anche avesse perduta la lite con la “Cardinal Ferrari”, perdeva le case, ma l’Opera Catechistica non cadeva, e, intanto, restava sempre il Brichetto.

Don Minetti ebbe così modo di provvedere per l’assistenza dell’Orfanotrofio - trasferito al “Brichetto” sopra Borzoli - e per l’Oratorio di Vico Sparviero, la cui casa gli era stata lasciata semplicemente a provvisoria disposizione dal Curatore del fallimento “Card. Ferrari”.


Nel gennaio del 1031 Don Minetti, accompagnato dal Reverendo Don Adriano Calegari, religioso di Don Orione, si recava a Roma per presentare le accennate proposte a Sua Em.za il Cardinal Marchetti Selvaggiani, Presidente, come già si è detto, della Commissione Pontificia per le nuove parrocchie in Roma”.

Il Cardinale Arcivescovo di Genova aveva promesso il suo appoggio a mezzo di raccomandazione, che egli avrebbe inviata direttamente al Cardinale Marchetti Selvaggiani.


Il Vaticano, rilevando i diritti e gli obblighi di Don Minetti a quell’epoca (v. copia di relazione 9/ 1/ 1931 acclusa), avrebbe pagato il terreno al prezzo unitario di liquidazione di lire 80 circa il metro quadrato. Si trattava cioè di fare ancora fronte a lire 327. 497. 30 di cambiali in circolazione, di rimborsare lire 184.100, 25 di prestiti, contratti in precedenza da Don Minetti per l’estinzione delle cambiali già scadute, e addossarsi le spese fiscali di trapasso della proprietà (previste in lire 50.000) spese che, per compromesso, erano esse pure completamente a carico di Don Minetti.


L’offerta fu presa di buona considerazione, ma le trattative appena iniziate, si dovettero sospendere avendo constatato che

1° - la documentazione allegata al compromesso era incompleta;

2° - non era ancora stato fatto l’accertamento della libera e piena proprietà del terreno (certificato storico catastale, confini ecc.) accertamento che, per compromesso, toccava a Don Minetti; né, di conseguenza, se ne aveva controllata con sicurezza la superficie;

















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3° - sul terreno gravava per di più il “diritto di prelazione” a favore della Cardinal Ferrari.


Comunque il Cardinal Marchetti stabilì subito, come condizione “sine qua non”, che, coll’interessamento nostro, si rendesse possibile alla Commissione Pontificia anche l’acquisto, in lotto unico, dell’appezzamento di mq. 3.000 circa di terreno di proprietà “Cardinal Ferrari”, confinante frontalmente con quello in compromesso Minetti, e ciò perché, senza di quello, questo si sarebbe trovato chiuso e soffocato, nonché privo di normali vie d’accesso, e, anche per questo, soggetta a forte deprezzamento.


Don Minetti, indisposto e stanco, fece allora ritorno a Genova, lasciando a Roma Don Calegari con l’incarico di appianare ogni difficoltà (ogni giorno ne sorgeva una nuova) e riprendere le trattative.

Non fu cosa da poco, né di breve durata.

Superate le prime difficoltà, e posta un po’ più in chiaro la vera situazione morale - economica in cui trovavasi in quell’epoca Don Minetti, o chi veniva a succedergli nella qualità di compratore, il Cardinal Marchetti Selvaggiani si decideva a far personalmente un sopraluogo sul terreno e ne rimaneva così male impressionato che, non persuaso del parere favorevole che l’Ingegner Monsignor Chiappetta del Vaticano aveva dato, forse un po’ genericamente, nei primi momenti, incaricava gli Ingegneri Castelli e Busiri della Commissione Pontificia di compiere un sopraluogo ufficiale e stenderne relazione, onde poter già prospettare la cosa al Santo Padre.


Il responso fu sfavorevolissimo: sia dal punto di vista tecnico, per la natura, conformazione e ubicazione del terreno, sia dal punto di vista pratico, essendo i due summenzionati Ingegneri del parere che non convenisse costruire una parrocchia in località così alta, rispetto all’abitato circostante, e in zona così prossima alla già esistente parrocchia delle Fornaci.



















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Quantunque la relazione che i due periti dovevano presentare al Santo Padre per le mani di Sua Em. il Card. Marchetti Selvaggiani dovesse per sé prescindere da ogni motivo di carattere sentimentale, pure, in seguito alle pressioni di Don Calegari, essi promisero di spendere una parola, affinché, in vista della criticissima situazione in cui trovavansi con questa faccenda Don Minetti e Don Orione - che, per le loro opere, erano sempre da considerarsi figli della Chiesa - la cosa non avesse a naufragare.


Fu in seguito alla successiva udienza pontificia, ed in omaggio al pronunciamento di S. Santità, che la commissione abbandonò senz’altro l’idea della Parrocchia, dichiarandosi disposta a prendere in esame il progetto di erigere invece a Monte del Gallo una piccola chiesa che, ufficiata come succursale di Parrocchia, avesse annessa un’opera per l’assistenza dei piccoli, rilevando, così, e migliorando quanto l’Opera di San Paolo (Card, Ferrari) già aveva iniziato in forma rustica sul terreno confinante con quello Minetti.

In tal caso la Commissione Pontificia avrebbe acquistato, col terreno della Cardinal Ferrari una parte soltanto di quello Minetti (retrostante), e cioè tanto per la superficie già da questi pagata con le cambiali estinte a quell’epoca (mq. 4.400 circa) pagandolo a lui solo quanto gli occorreva per il rimborso dei prestiti contratti, e cioè lire 184. 100,= (1. 42 circa al m. q.), mentre gli era costato lire 440.000 circa).

Ben inteso che, per effettuare questo progetto, era necessario indurre la Società venditrice a rescindere il compromesso e a rinunciare alla vendita di quella parte di terreno corrispondente all’importo delle cambiali ancora in circolazione. E a questo la Commissione contava di riuscire facilmente per opera dell’Ingegner Castelli che affermava di avere un mezzo efficace a sua disposizione (l’abbassamento di un piano della Villa di Lulli venditore, che era nelle adiacenze del Vaticano).























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Sarebbe stata una soluzione addirittura disperata perché 1° per salvare 184.000 lire, se ne sarebbero perdute 260.000 per differenza di vendita a prezzo di liquidazione;

2° - si sarebbe clamorosamente rinunciato al progetto di costruire in Roma, comunque, una chiesa in onore della Madonna della Guardia.

In considerazione di questo, Don Callegari si rivolse d’urgenza a Don Minetti perché interpellata la Commissione di Genova e sentito il parere di Don Orione, lo volesse autorizzare a proseguire le trattative di Roma su queste mutate basi.

L’autorizzazione a Don Callegari fu data con raccomandazione di far quanto gli era possibile - ma di non insistere più troppo - perché al nome della Madonna della Guardia fosse intitolata almeno la progettata nuova opera.

Ad ogni modo restava sempre da superare la difficoltà dell’acquisto del terreno della “Cardinal Ferrari” che la Commissione era disposta a trattare solo sulle basi di un prezzo molto basso, e senza del quale non le sarebbe stata conveniente la nuova soluzione.


Ma ogni tentativo, anche questa volta, andò a vuoto, perché da un lato la Società Venditrice oppose gravi difficoltà alla proposta di rescissione, avendo già da tempo negoziato tutti i pagherò di Don Minetti, e dall’altro, il Curatore della “Cardinal Ferrari”, all’uopo interpellato, rispose che, sottoposta l’offerte del prezzo alla delegazione dei creditori, essa non venne ritenuta accoglibile “neppure come punto di partenza per trattative”.


Si era di nuovo, e peggio di prima, in alto mare.

Restava ancora da fare il tentativo di supplicare la Commissione Pontificia a rinunciare, almeno provvisoriamente, al terreno della Cardinal Ferrari per rilevare invece completamente, a prezzo ridottissimo, quello in compromesso Minetti.






















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Fu in quell’epoca che Don Minetti scrisse da Genova a Don Calegri: “... Si raccomandi a Sua Eminenza il Cardinal Marchetti Selvaggiani, perché si faccia la carità di levarci da questo impiccio; Egli solo può farlo, prendendo il terreno a metà prezzo a nome della Commissione Pontificia, e credo che il Sommo Pontefice medesimo, se il Cardinale ci raccomanda, definirà in poche parole la questione. (lett. 11/ II/ 31).

E’ bene a questo punto ricordare che la Commissione di Genova per l’erezione del Santuario della Guardia in Roma, già da tempo si era di fatto sciolta, rimettendo ogni cosa nelle mani di Don Minetti (lettera di Don Minetti a Don Calegari 8 e 21 febbraio 1931).

Neppure gli ultimi tentativi di salvataggio riuscirono, perché il Cardinal Marchetti Selvaggiani, quantunque sembrasse disposto a lasciare in sospeso la “conditio sine qua non” circa il terreno Cardinal Ferrari, per l’acquisto del quale la Commissione Pontificia avrebbe potuto rientrare in trattative più tardi, in separata sede, si mostrava invece pieno di difficoltà e restio a prendere in considerazione e a proporre al Santo Padre l’acquisto, anche a prezzo estremamente basso, dell’intera superficie del terreno Minetti. E ciò sempre sotto l’impressione pessima ricevuta nel sopraluogo da lui fatto, nonché nel ricordo del responso, non meno sfavorevole, dei due Ingegneri.

Intanto si avvicinava sempre più la scadenza di una nuova rata (lire 67. 875 al 7/ III/ 931), e, tanto Don Minetti, - quanto Don Orione, di nulla più disponeva per far fronte ad essa.

Si tentò ancora di ottenere un anticipo dal Vaticano, in attesa di concludere le ultime trattative, le quali, però, ben poco adito lasciavano più a sperare. Ma non fu possibile.


Si era ormai all’antivigilia della nuova scadenza e, più nulla avendo, da aspettarsi da Roma, Don Calegari avvertì telegraficamente Don Orione della situazione disperata.

Questi allora lo richiamò d’urgenza, e si incontrarono a Genova





















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il mattino seguente per stabilire con Don Minetti - pure edotto di ogni cosa - come salvarsi.


E fu quando Don Minetti e Don Orione si misero insieme a girare in cerca di aiuto, e pregando, girarono su e giù per le scale per quella mattinata, ma invano; non ebbero un centesimo. Era oltre mezzogiorno.


Don Minetti andò a prendere qualche ristoro da un parente o famiglia a lui benefica, proponendo di incontrarsi dopo al Piccolo Cottolengo per riprendere il giro.

Ma, nel frattempo, la Divina Provvidenza intervenne: Don Orione aveva potuto trovare il denaro a prestito per il primo urgente pagamento, e anche per l’intera somma che restava a pagare. Solo, chi dava, dichiarò che intendeva dare sulla fiducia di Don Orione, e bisognava quindi trovare una forma di operazione che  arantisse il rimborso.


Si prospettarono le tre seguenti soluzioni: 1° - estinguere le cambiali ancora in circolazione per l’importo di lire 327.872.30: per rimborsare i prestiti contratti in precedenza da Don Minetti per l’ammontare di lire 184. 100, 25 (compresi lire 81,197,80 di Don Orione e lire 24.000 dell’Istituto Don Minetti); far fronte alle spese di trapasso, previste in lire 50.000.


2° - Estinguere le cambiali ancora in circolazione per l’importo indicato; rimborsare solo parte dei prestiti contratti in precedenza (lire 78903, ==), poiché, in questo caso, allo scopo di rendere possibile la cosa, Don Minetti si sarebbe ritirato colle sue 24.000 lire, e Don Orione colle sue 81.196,80 delle quali, però, Don Minetti si impegnava a rimborsarlo a parte, cedendogli la proprietà del Brichetto (sopra Bozzoli); far fronte alle spese di trapasso, come sopra.

3° - Estinguere le cambiali ancora in circolazione per il suddetto importo; rinunciare completamente al rimborso dei prestiti (Don Orione e Don Minetti si sarebbero ritirati, per intendersi come sopra); far fronte alle spese di trapasso, indicate.



















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Rilevando la situazione alle suddette condizioni, si sarebbe venuto a pagare il terreno al prezzo unitario di lire 78.85 al mq. nel 1° caso; lire 63. 85 II° caso; e lire 52.55 nel III° caso.

Esaminato bene il pro e il contro, in una adunanza tenuta la stessa vigilia della scadenza presso il Piccolo Cottolengo tra Don Minetti, Don Orione, Don Calegari e benefattori di Don Orione, questi ultimi decisero di scegliere la seconda soluzione, ma di intervenire, come si è detto, per tramite di Don Orione (“intuito suo”), per le mani del quale intendevano dare a prestito quanto occorreva, all’interesse semplice del 5% in ragione d’anno, restando però di comune accordo inteso che, in caso di rivendita sfavorevole, il rimborso sarebbe stato fatto soltanto fino alla concorrenza del ricavo della rivendita del terreno, computato al netto della somma di lire 78. 903 == per prestiti precedenti nonché delle spese di trapasso e di registrazione.


In una parola, l’operazione di prestito veniva fatta sulla fiducia di Don Orione, ma, effettivamente, al rischio di chi prestava.

A carico di Don Orione comunque, doveva sempre computarsi l’interesse annuo del 5% sull’intera somma prestata.

L’operazione, così decisa, fu poi dai benefattori stessi ratealmente effettuata, e, restando in tal modo Don Orione obbligato verso di essi per capitale ed interesse, (come da scrittura in carta bollata), fu riconosciuta acquirente, nel contratto di compra e vendita, stipulato poi il 14 gennaio 1932, la Società Immabiliare della Congregazione stessa di Don Orione.


Don Minetti faceva onore ai suoi impegni:


1° - Il 6 Marzo 1931, riconoscendo al Sac. Luigi Orione fu Vittorio...... il diritto di subentrare quale compratore nell’acquisto del terreno ecc...... ciò in seguito alla deliberazione di scioglimento del suddetto Comitato, a causa di gravi



















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difficoltà finanziarie, nonché al forte deprezzamento del terreno stesso, ed al contemporaneo provvidenziale intervento di Don Orione che, rilevando, con vero e proprio sacrificio e rischio, gli impegni finanziarii del compromesso, ai quali si è assunto l’obbligo di far fronte, è divenuto ed è riconosciuto per ciò stesso il compratore di diritto del terreno in argomento”. (scritt. in carta bollata 6/ III/ 1931.)


2° - Il 22 settembre 1931, con compromesso sottoscritto da Don Minetti, dal Signor Giuseppe Morchio, da Don Orione, in cui Don Minetti presenta Don Orione quale stipulatore di diritto nell’acquisto della proprietà già pagata del Brichetto, e Don Orione, da parte sua, dichiara che, “col presente impegno restano saldati i rapporti di dare e avere che egli ha avuto fino ad oggi col Rev. Don Vincenzo Minetti”. (scrittura 22/Settembre 932.)



[Quanto segue è manoscritto sull’originale che si trova presso il Tribunale Rogatoriale della Curia Arciv. di Genova:]


Visto concorda coi documenti; dichiaro che detti documenti son tutte copie dattilografate senza autentica, eccetto l’atto di compromesso del 22 settembre 1921, autenticato da Don Orione.


In fede - Genova, 14 Aprile 1950


d. Rossi dr. Luigi Notaio


(timbro: Tribunal Metropolitanum Januen)