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[Da Copia dattiloscritta]

(Fondo Sacra Congregazione Concistoriale Questione Messina)



Messina, il 14 luglio 1911


Eminenza Rev.ma,


dopo risposto a ciòche nella lettera di Mgr. Arcivescovo si riferiva al governo della Diocesi e al bene delle anime, invio alcune osservazioni su quanto in essa riguarda la mia condotta verso di Lui. E confesso che per più motivi, e anche per non abusare della pazienza di V. Eminenza Rev.ma avrei volentieri lasciato dire questo, se, dietro di me, non venisse una piccola Congregazione nascente.

Sua Eccellenza dice che mi so accomodare con tutti per evitare i contrasti. Mi pare che non sia così. Solo c’è modo e modo di trattare il prossimo: molte volte le croci le manda Iddio, molte volte ce le creiamo noi stessi coi nostri modi. Fatto Vicario, sentii che le croci che Iddio mi aveva dato pesavano già di per sé, e cercai di vincere l’ambiente diffidente verso il continentale con la carità.

Quando da alcuni si vide che, con gli inchini e le arti umane non potevano farmi loro mancipio, cercarono indurmi a lasciare il posto e a stancarmi; si congiurò per tirarmi su un terreno pericoloso di astiosità e di lotte personali, ma con l’aiuto di Dio, non ho risposto.

Se avessi voluto evitare contrasti, e sordi e fieri contrasti non per anco terminati, non avrei parlato sì chiaro a Mgr. Arcivescovo sul conto del Suo Segretario; avrei ricevuto in Curia, per Provicario, il Can.co Bruno, che Sua Eccellenza Reverendissima voleva darmi; ma allora la Curia sarebbe trasformata in un vaso di ira contro altri Sacerdoti, mentre, con l’aiuto del Signore, tutti ora possono accedere, e sanno di trovarvi una buona parola, anche quando essa é forte, poiché si fa ogni possibile per trattarli tutti con eguaglianza, fuori delle passioni dei gruppetti. E benché


















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mi trovi ancora posto in Cancelleria, nella stessa stanza del Cancelliere e pro-cancelliere, e tutti sentano ciò che si viene a dire al Vicario, e si riferisca chi viene da me, e che cosa si dice e si fa dal Vicario (come potrò provare), pure per la divina grazia, tiro avanti, e non me ne sono mai lagnato.

Ho cercato di rendermi uno di loro, e, poco alla volta, di rendermi siciliano per la carità. Nelle cose ove non sia peccato, ho visto che contraddire non giova, ed ho dissimulato con grande indulgenza alcune consuetudini, poiché ogni popolo ha i suoi costumi, e sono buoni agli occhi suoi, ed io stesso, ove non c’è male, cerco di usare i loro costumi; ma non ho ceduto in nulla di sostanziale - Se fossi venuto col subito prurito di riforma, non avrei potuto fare nulla: lavoro per quanto mi si lascia lavorare (e Vostra Eminenza di ciò ne sa qualche cosa), e con ogni riguardo verso l’Arcivescovo, - nel resto mi acquieto. Il Signore vede il desiderio, e dove finisce la mia povera mano credo che là cominci la mano del Signore. Del bene a Messina se ne fa, specialmente da alcune Comunità Religiose; ma vedere subito frutti grandi di lavoro e di rinascita cristiana della Città e Diocesi, dopo tanto disastro materiale e morale, credo che la S. Sede non lo domanderà: il S. Padre, che tanto ha fatto per Messina, li vedrà i frutti dal Paradiso, e chi vivrà, li vedrà spero, quando i piccoli saranno diventati grandi. - Rifare nel morale, dove quasi tutto é distrutto, non é come rifabbricare le case: qui ci vuole, mi pare, una buona base di istruzione cristiana nella gioventù, e dal popolo prendere tutto quello che si può, e poi spirito, e buona condotta e lavoro nel Clero; - certe basi, come Vostra Eminenza comprende, bisognerà morirci per farle.

Mgr. Arcivescovo, come prova che sfuggo i contrasti, aggiunge: tanto vero che, quando trovasi in Curia occasione di odiosità manda l’interessato da me. invece di rendersi solidale con l’Arcivescovo.























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Non so a quali fatti specifici Monsignore voglia alludere. Ricordo, in genere, che qualche volta che non mi sentivo di onerarmi la coscienza col concedere qualche cosa, e, dicendomi gli interessati che S. Eccellenza Rev.ma aveva sempre concesso, per mia tranquillità, e non potendo sempre subito salire, ho lasciato che qualcuno andasse da lui, e poi, per regola mia, ne ho interrogato l’Arcivescovo.

Talora, non acquietandosi alcuno a quando la Curia disponeva per tasse ecc., e insistendo di voler parlare con Mgr. Arcivescovo, o perché da lui conosciuto, o altra volta agevolato, o amico di famiglia, - non potevo impedire che andassero, e perché non sembrasse che la Curia voglia incontrare, e perché si comprendesse che non si fa per la miseria del danaro. Così prima si può dire che si battezzava e sposava da tutti in casa, - venuta la provvidenziale disposizione di togliere tali abusi, Mgr. Arcivescovo non notificò tale deliberato dei Vescovi alla Diocesi, così che tutti se la prendevano col Vicario nuovo, come avesse voluto portare una novità, e in Curia gridavano come ossessi, poiché di qui fanno presto a gridare. Io ho dubitato anche che ci potesse essere un gioco sotto, e allora, - e ciò feci solo in quei primi mesi mi pareva prudente mandare taluni più increduli ad assicurarsene da Mgr. Arcivescovo. E so che il Segretario diceva: Come? non c’è il Vicario sotto? perché disturbare Mgr. Arcivescovo? e altre frasi. Ma se qualcuno voleva giuocare me, mi dica un po’ Vostra Eminenza: non potevo io liberarmene in Domino a quel modo?

Ricordo ancora uno o due altri fatti dei quali Sua Eccellenza potrebbe forse servirsi per credere che abbia cercato di riversare sopra di lui le odiosità; ma non li dico per non essere troppo prolisso, e perché non meritano importanza. Uno riguarda la sepultura di una signora protestante, morta a Palermo. Io non la conosceva, era di domenica, e la Curia era chiusa; mi trovavo all’Oratorio coi ragazzi. Venne il figlio che é cattolico, mi disse che anche la madre era morta cattolica; ma non mi fidai, e lo mandai da Mgr. Arcivescovo che conosceva la famiglia; se fossi stato in Curia, sarei andato io dall’Arcivescovo. Poi ci sarebbe il caso Donati sul quale già risposi e nel quale ho domandato al S. Pa-





















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-dre, affinché l’Arcivescovo fosse libero di negare in avvenire a chiunque, e agii per non creargli grattacapi.

Quanto all’aver strombazzato costà ecc.: mi pare per grazia di Dio, di non aver detto nulla da giustificare tale lagnanza. Il S. Padre, Vostra Eminenza e l’Eminentissimo Cardinale De Lai conoscono con quanta riverenza ho sempre parlato di Mgr. Arcivescovo. Chi ha riferito a Mgr. Arcivescovo diversamente, lo ha ingannato.

Qui si ha un grande timore del Papa, e si credono perseguitati perché l’Arcivescovo non fu ancora fatto Cardinale, mentre Catania e Palermo hanno il Cardinale, e il suo antecessore era Cardinale. - Volevano che io lavorassi in questo senso, ma ho detto che sono cose che non aspettano a me. Parve anche loro che l’avere un Vicario continentale sia un’umiliazione per Messina, e mi mettono tra quelli che, secondo loro, hanno ruinato l’Arcivescovo, e questo hanno fatto credere anche a Lui, che é un santo uomo per carità coi poveri, per zelo, per purezza di dottrina e per santità di costumi; ma che mi pare un po’ indebolito dai lavori e dai dolori sofferti. Pensi Vostra Eminenza che, per delicatezza verso Monsignore e per prudenza con gli altri, ho lasciato talora passare fin più di sei mesi senza muovermi di qui, e andare a visitare le Case della Congregazione, perché Don Albera e altri mi dicevano, ed io stesso vidi che si adombravano ogni volta che dovevo passare da Roma. Stavolta ho dovuto leggere a Sua Eccellenza la lettera di Mgr. Misciatelli, che si riferiva alla Colonia, affinché stessero in pace ed ho dovuto far conoscere la cosa a parecchi, perché non fantasticassero chissà che congiure.

Parlando del S. Padre sono sempre andato con semplicità , credendo che l’amore al Papa non dovesse turbare nessuno. Tornando da Roma, ed essendone interrogato, con l’anima ancora piena di dolce emozione, ho manifestato in Curia, e con altri, la bontà con la quale il S. Padre mi suole ricevere, ed ho parlato del S. Padre coll’affetto con cui un Sacerdote deve parlare del Vicario






















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di Gesù Cristo, ma non ho menato vanto né della fiducia né della Sua protezione. Si capisce, dopo il Signore e la Madonna SS. non abbiamo altro conforto.

Qualche Canonico, lusingandosi di ottenere dei milioni dal governo per rifare la Cattedrale, diceva: così ce la faremo vedere al Papa! - quasi che il Santo Padre nulla avesse fatto per Messina; - veniva di conseguenza che dovessi agire contro costoro. Ma debbo, Eminenza Rev.ma, confessarLe che le espressioni usate da Mgr. Arcivescovo, a proposito della fiducia del S. Padre a mio riguardo, mi hanno profondamente addolorato e afflitto, in ciò che ho di più caro. - Non vorrei mancare di rispetto e di carità, e lo premetto: ma mi pare che esse abbiano una punta che non é intinta nella carità di Gesù Cristo, e sentono troppo del sospetto e di certa passione.

Mgr. Arcivescovo ha creduto di dovermi mettere tra gli uomini di mezza coscienza. Se fossi solo, e non avessi dietro di me Sacerdoti e Chierici, dovrei tacere e ringraziare Iddio di questa umiliazione; e sono anche persuaso che Sua Santità e Vostra Eminenza e il Signor Cardinale De Lai, che in qualche modo mi conoscono, per Loro bontà mi dispenserebbero; ma si tratta di principi, e niente mi é di più dolce che di professare il mio amore di povero figliuolo al Santo Padre e alla Chiesa.

Ricevo proprio oggi una lettera del Conte Zileri, e mi prendo la libertà di accluderla, essa dice qualche cosa. Io vorrei poter amare il Papa di più, ma fin qui ho sempre pregato per Lui, ed ho cercato di amarlo e di servire la Santa Chiesa con tutto il mio cuore. Voglio ascoltarne con docilità di figlio gli avvisi e, con l’aiuto che spero tutto dal Signore, benché sia un povero peccatore, voglio essere pronto sino alla morte ad eseguirne con umiltà e fedeltà intera nonché i comandi, anche gli inviti e i desideri.

Ai miei Religiosi e ai fanciulli ho parlato sempre del Papa colla massima devozione, come ne parlo e predico frequentemente























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a questi Messinesi, e non solo in Chiesa, ma al Patronato Regina Elena, e quando mi e occorso, con uomini politici, e in pubblici uffici e in Prefettura. Non ho mai nascosto la mia fede e i miei sentimenti, come non ho lasciato di dire che fatali cadute e castighi incoglieranno quelli che presumono osteggiare o censurare minimamente la S. Sede.

Io so di poter dire che i miei figliuoli spirituali sentono in tutto con la Chiesa, e, se dubitassi di uno solo, lo allontanerei: essi sono pronti a difenderla la Santa Sede insieme con me a costo della vita; e di noi e di tutti i nostri poveri stracci la Santa Sede può disporre come vuole; noi, col divino aiuto, non avremmo più grande felicità su questa terra.

Nessuno della mia Diocesi, o di quelli che mi conoscono, avrebbe mai osato scrivere quello, - se nei modi certo usare prudenza e carità, ciò non faccio mai a scapito dei principi, e in fatto di dottrina, di disciplina, di Chiesa, di Papa, di libertà della Chiesa, di obbedienza e di unione in tutto col Papa mi sono sempre gloriato e mi glorio di essere un intransigente, e non saprei concepire un Sacerdote o un cattolico che pretendesse essere tale, e la pensasse o facesse diversamente.

Sono nel Patronato per impedire molto male e fare un po’ di bene, ma nei rapporti con esso, non ho lasciato mai nei momenti difficili di consultare Vostra Eminenza e il S. Padre, e di attenermi ai loro consigli.

Perché potei scusare, stetti più di un anno senza andare dalla Spalletti.

Dovendo recarmi dal Ministro Finocchiaro Aprile, per fare togliere una grave tassa a questi Canonici, domandai il permesso al S. Padre, che per Sua bontà mi rispose: Ti fai il segno della Croce, e poi ti do il permesso di andare anche col diavolo.

Dovendo parlare col Duca D’Ascoli, gentiluomo di corte della Regina, che abita al Quirinale, per ottenere dalla Regina che provvedesse di chiesa più capace il Villaggio che porta il suo nome,























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ho domandato, in altra udienza, il permesso al S. Padre, che me lo diede con le stesse parole di prima; ma avendo trovato modo di farne a meno, al Quirinale non ho messo piede. Ho rifiutato offerte che di là mi erano state esibite, per non obbligarmi in nessun modo e ciò anche prima di essere Vicario. - Non vidi che una volta la Regina, qui, perché mi fece chiamare, e allora mi trovai in un Orfanotrofio da me istituito, mentre essa lo visitava. Seppi che, dopo, vi veniva il Re, come venne, ma, in bel modo, prima mi allontanai.

L’ultima volta che i Sovrani vennero, dovetti occuparmi della visita che la Regina desiderava fare alle Piccole Suore dei Poveri, alle quali aveva dato lire 50 mila. Ed era bene che essa vedesse come in parte vanno spese, e come si vorrebbe spendere il rimanente della somma. Essa visitò i Padiglioni donati dal Santo Padre - che sono magnifici - domandò chi li avesse donati, li lodò molto, vide in essi già raccolti quaranta vecchietti tutti puliti e contenti, e rimase soddisfattissima. Ma io non ci andai, benché la mia abitazione sia vicina alle Piccole Suore, ed i miei Sacerdoti ed io facciamo da Cappellani all’Istituto.

So che il Duca d’Ascoli se ne lamentò, come si lamentarono quelli del Patronato che non mi recai alla visita fatta dai Sovrani agli Orfanotrofi; ma, dove non c’è necessità per le anime sto piuttosto un passo indietro che uno avanti.

E in questa circostanza manifestai a Vostra Eminenza che per le cinquantamila lire di cui sopra ho cercato, quanto fu da me, che si tacesse; così neanche nessun giornale di qui ne ha parlato perché la notizia di questo atto generoso non potesse, forse all’estero, nell’opinione pubblica, o in mano di diplomatici, servire a far credere, che Casa Savoia sia ancora cattolica, e a far ritenere meno conforme alla dolorosa realtà la condizione della Chiesa in Italia, e rendere meno efficaci le proteste della Sede Apostolica. Quanto sopra detto credo che possa bastare, ma, dacché Vostra Eminenza ha avuto tanta bontà , aggiungo questo altro. Ho fatto il ginnasio dal Venerabile Don Bosco, e vi





















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andai che il Venerabile ancora viveva. Ricordando come mai Egli abbia permesso che venisse esposta all’Oratorio di Maria Ausiliatrice la bandiera tricolore, benché nelle festività, pel Collegio ne sventolassero altre, ancor io, nel mio piccolo, nei Collegi tenuti dallo Istituto e a Tortona - dove nelle grandi feste si suole imbandierare la Casa coi vessilli di quasi tutte le nazioni conosciute, - sormontati dalla Croce, - non ho mai tollerato che ci fosse un tricolore, bandiera che nata dalla rivoluzione fu portata a recare oltraggio alla S. Sede. - E ciò affinché i miei Sacerdoti e Chierici - che sanno bene come io la pensi in fatto del Papa e del Regno d’Italia - comprendano, anche da questo, che la Piccola nostra congregazione debba sentire e mai dimenticare i dolori della Chiesa e del Vicario di Gesù Cristo, e sempre volere quello che il Papa vuole, e come lo vuole, e sempre sostenerne i diritti e la indipendenza da ogni ostile potestà. - Ecco, Eminenza Rev.ma, quali sono, per di viva grazia, i sentimenti della Piccola Opera della Divina Provvidenza, e, se non bastassero, ho altre prove.

Per me e per tutti i miei Religiosi depongo questi sentimenti ai piedi del Santo Padre, per le mani di Vostra Eminenza Rev.ma e La prego della carità di degnarsi umiliarGlieli.

La nostra vita per quanto vita di miseri peccatori, mossi dalla divina grazia l’abbiamo data tutta alla S. Chiesa e al Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo, e non passa giorno che domandiamo a Dio la grazia di amarlo il Suo Santo Vicario, e di servirLo e di morirGli umilmente ai piedi benedetti, come fossero i piedi di Nostro Signore.

Se sapessi trovare espressioni più dolci ad esprimere tutto ciò che il cuore sente pel S. Padre, Iddio sa con quanta gioia lo farei.


Inchinato al bacio della S. Porpora Le domando mille scuse di tanto abuso di pazienza, e colla maggiore venerazione mi professo di Vostra Eminenza Rev.ma Umil.mo Osseq.mo Servo in G. C.


Sac. Luigi Orione

della Piccola Opera della Divina Provvidenza