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[Da Copia dattiloscritta]


Copia dell’istanza inviata al Santo Padre da Pietragalla con raccomandata 31/ 7/ 1937

Pietragalla, Diocesi di Acerenza, prov. Potenza.


 25 Luglio 1937


Beatissimo Padre,


Il Sacerdote Luigi Mattei, dell’Arcidiocesi di Camerino, Marche, fa umile e calda istanza a V. P. perché gli conceda il permesso di dimorare nell’Arcidiocesi di Acerenza e venga abilitato ai Sacri Ministeri per le ragioni che espone nel Memorandum che qui unisce.

Di V. P.

umilissimo figlio

Sac. Luigi Mattei































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Pietragalla 10 di Luglio 1937


Copia del Memorandum del Sac. Luigi Mattei spedito al Santo Padre con raccomandata del 31 Luglio 1937 da Pietragalla.


Sono sacerdote sessantenne e povero ho l’occhio destro spento, il sinistro molto debole e per di più sono ammalato.

Nato a Treia di Macerata, sono diocesano di Camerino ratione Ordinis. Vissuto per circa 30 anni nella Repubblica Argentina, nel Luglio del 1935 ritornai in Italia per ragioni di salute a spese del Governo Italiano essendo abilitato dal Nunzio Mons. Cortesi con decreto del 25 Giugno 1935, giacché mi era scaduto il permesso della Concistoriale per dimora in quella Repubblica. Amico di Don Orione, accettai l’ospitalità che questi mi offriva ed andai nella di lui casa di Varallo Sesia e ne avvisai il mio Ordinario.

Don Orione così mi presentava a Don Sterpi: “Vi raccomando il portatore della presente il mio amico Don Luigi Mattei che va a Varallo per passare qualche tempo di riposo. Potete fargli fare scuola ai chierici, di latino, di cui egli è professore. Usategli tutti i riguardi e sappiate che tutto quello che per lui farete lo riterrò come fatto a me”. (Documento che esiste a Varallo).

Rimasi colà dal 13 Luglio al 17 Dicembre 1935, giorno in cui partii per Venezia accettando l’offerta che mi faceva Don Sterpi giacché la mia salute non migliorava. Mi alloggiai nell’Istituto Manin della Congregazione di Carità, retto dai Sacerdoti di Don Orione: ma una settimana dopo, dovetti ricoverarmi nell’Ospedale civile di quella Città e vi rimasi fino al 19 Luglio (sic) 1935. Di ciò informai il mio Ordinario.

Dal Luglio 1936 fino a poche settimane fa andavo spesse volte allo Stesso Ospedale per le curazioni e non sono ancora sanato.






















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Tanto per la Diocesi di Novara come per il Patriarcato di Venezia, mi si concessero licenze generali in virtù del Decreto di Mons. Cortesi che presentarono i Superiori rispettivi di Varallo e di Venezia.

Nell’Istituto Manin esercitai prima l’ufficio di Direttore ed Amministratore durante le vacanze del 1936 e poi di professore di francese e di latino, nonché il delicato compito di Consigliere. Così ressi per circa tre mesi la Cappellania delle Suore del Sacro Ciore di Venezia applicando secondo l’intenzione delle medesime la Santa Messa il cui stipendio paga trimestralmente quella Comunità oltre il provento speciale della Cappellania. Di ciò non ricevetti mai un centesimo, come nulla mai ricevetti come professore benché la Congregazione di Carità assegnasse una quota. Altri sacerdoti che mi precedettero, Don Adorni, e Don Ferrari, per esempio, riscuotevano il loro danaro.

Nell’Istituto Manin esisteva poca armonia fra il Direttore ed il Vice fino a prodursi pubblici scandali: la disciplina e la morale da molti anni, ed è a tutti noto, ogni giorno più venivano meno con discapito del buon nome di tutti (al tempo del Cardinal La Fontaine intervenne la polizia) mi fecero indurre a rinunziare al mio posto  il 13 dicembre 1936. Comunicai ciò al mio Ordinario.

D’altra parte il Vice Direttore, Sacerdote di quella Congregazione Don Antonio Castegnaro, (lo sa bene il Direttore Don Pensa) per fare onore al suo spirito turbolento, cercava deprimere pubblicamente i miei meriti ascrivendo a vanità le opere di zelo e carità ed interpretava in mala parte i sacrifici e le imprese pie più pure. Era necessario adunque che io mi ritirassi e mi preparava infatti, quando in presenza di più di 60 ragazzi e di vari chierici, il 22 Dicembre 1936 il giovane di quell’Istituto Carlo Busetto, giocando nel cortile, mi colpisce l’occhio destro con una palla. Mi curai prima in
























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Casa e poi dovetti ricorrere al medico Alfredo Viggiano, S. Rocco 3080. Finalmente mi ricoverai nell’Ospedale ed il 1° Gennaio fui operato dal Professor Mammoli sotto la cura del quale rimasi fino a poche settimane fa. Ora la visione dell’occhio destro è perduta.

Fino dai primi giorni del fatto della pallata tutti presagivano male per il mio occhio ed anche lo stesso Direttore era molto preoccupato. Questi volendo sempre che si tenesse nascosto il fatto, prima non mi permise che vedessi l’oculista Tessier fratello del Presidente della Congregazione di Carità, e poi arrivo perfino a farmi chiudere nella mia stanza quando, nella prima quindicina di Gennaio, prese possesso della sua carica il Patrono della Congregazione di Carità che, accompagnato dallo stesso Presidente, visitò la Casa.


Il giorno 29 Gennaio, quando andavo ancora all’Ospedale per le curazioni, essendo le ore 14 mi chiama il Direttore e mi dice; Bisogna che mi accompagnate a Tortona per cose che a voi non appartengono: oggi si parte, prendete una valigetta con qualche medicazione che domani sera ritorneremo. “Io accettai subito, ricordandomi che il 13 Dicembre 1936 nell’atto di rinunciare, avevo detto: “Vi do 20 giorni perché vi troviate un professore che mi sostituisca; ma sappiate, che se durante questo tempo voi vi assenterete, io non rimarrò al fianco del Vice”.

Si doveva insomma partire col diretto delle 15,15 ed io corro a prepararmi. Ma alle 14,30 circa noto nell’Istituto un viavai ed un movimento non comune. Esco dalla mia stanza e trovo nella biblioteca due giovani dell’Istituto, Alberto Antoniazzi e Carlo Busetto, che andavano in cerca di me. - Il primo mi riferisce: “Don Castegnaro va cercando i figliuoli e vuole che dichiarino per iscritto che lei ha tenuto conversazioni immorali ed ha fatto azioni indecenti con noi stessi”.

Il secondo aggiunse “Mi ha chiamato Don Castegnaro e mi ha invitato con insistenza che io facessi contro di lei una dichiarazione scritta.





















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Io ho scritto quello che posso dire in coscienza, ma egli non ha voluto riceverlo, eccolo qua. E mi porge un pezzo di carta che così, presso a poco diceva: Dichiaro che non ho mai inteso parole indecenti dal Professor D. Luigi Mattei, come non conosco che abbia egli commesso atto immorale alcuno”. Data e firma del Busetto.

Maravigliato, anzi sbalordito, corro a portare questa dichiarazione al Direttore e, riferendo quanto accadeva, mi lamento e ne faccio protesta. Don Pensa, senza perturbarsi, ma con un sorriso innocente, ritirandomi il biglietto, che pone nella tasca destra della veste, mi dice: Ma Don Luigi, non sapete che qua ci sono io? - Ed io caddi nella rete e partii pochi minuti dopo per Tortona per cose che non mi appartenevano.

Si doveva ritornare il giorno dopo ed io prendo poche lire lasciando nella stanza che chiudo a chiave, duemila e cinquecento lire, per timore di perderle durante il viaggio, giacché, a causa dell’occhio ci vedevo poco. Ma a pochi passi dalla stazione, mi soffermo e dico al Direttore: “Ha danaro sufficiente?” Ed egli: “Appena per il biglietto”. Ed io: “Vuole che ritorni al Collegio a prendere denaro, giacché non porto con me che poche lire, ed ho lasciato in casa qualche cosa?” Ed egli mi soggiunge: “Non abbiamo tempo e poi andiamo alla Casa Madre. Il Direttore s’incarica di compare i biglietti e si parte. Di sera siamo a destinazione. La mattina seguente cerco il Direttore. Prima mi rispondono: - Non sappiamo - poi: è partito per un caso urgente. Ed io restai in asso e allo scuro fino al lunedì 1° febbraio.

Fu allora solo che Don Sterpi mi disse: Ci sono delle accuse gravi contro di lei.

Io racconto i fatti del Manin, le dichiarazioni dei ragazzi Busetto e Antoniazzi, ricordo il biglietto del Busetto, e ricevo per risposta: Calma, molta calma; faremo che tutto venga alla luce. E non seppi più altro, benché lo domandassi mille volte.
























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Il giorno 4 mi consigliarono andare a Varallo e mi si raccomandò nuovamente la calma. Vado e mi fermo colà fino al 4 di Marzo. Di ciò avvisai il mio ordinario. Da Varallo domandai a Don Sterpi varie volte che mi comunicassero le accuse, ed egli mi rispondeva: “Vi raccomando di stare in pace, perché l’impazienza è sorgente di ogni male”. (8 - 2 - 1937) - “Voi statevene tranquillo...,intanto si appianerà ogni cosa” (II - 2 - 937) – “Bisogna che stiate calmo e tutto si metterà a posto” (17 febbraio 937).

Scrivo al Direttore del Manin e spedisco la chiave della mia stanza pregandolo di mandarmi il denaro lasciato, ma egli non mi risponde se non dopo un mio telegramma urgente: “Riguardo al danaro non abbiamo trovato nulla”. (II - 2 - 937)


L’occhio destro intanto era grave. Il sinistro debolissimo. Dovevo correre due ed anche tre volte la settimana a Novara per essere curato, spendendo più di 80 lire ogni viaggio. Mio fratello non mi mandava più danaro. Il Prof. Bocci riconosceva la gravità dell’occhio destro. = Certif. N 1 = Il Dottor Tavallini vedeva l’urgenza del caso, = Certif. N 2 = Il Professor Cardinale era dello stesso parere degli anteriori suoi colleghi e, come loro, credeva conveniente mi rivolgessi al mio medico curante primo. = Certif. N 3 =

Insomma: Allo scuro di tutto, derubato del mio danaro ammalato di urgenza, partii per Venezia il 4 Marzo per curarmi e per ritirare lo mie cose lasciate nel Manin, deciso di lasciare la Congregazione di Don Orione, giacché non vedevo né carità, né giustizia. Avvisai di ciò al mio Ordinario aggiungendo che sarei andato alla Concistoriale per prendere ordini.

Nell’Ospedale mi dissero: “La vista dell’occhio destro è perduta”. - Nel Manin, mentre i ragazzi mi accolsero con un frenetico e lungo battimani, il Direttore mi fece consegnare quel che volle della mia roba e non si permise che parlassi del danaro























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lasciato e delle Messe dicendomi di non saperne niente. Presi alloggio nell’Hotel Continental aspettando per ritirarmi da Venezia che mi licenziasse il medico oculista.

In quei giorni mi fa chiamare la Curia e mi dice il Cancelliere: “è conveniente ve ne andiate da Venezia perché il Manin minaccia denunziarvi alla Questura per atti turpi, che dicono, avete commesso. Già vi hanno denunciato a questa Curia e Sua Eccellenza il Patriarca non vuole ingerirsi e vi consiglia vi allontaniate. Anzi, come il Direttore del Manin afferma che voi potete celebrare solamente stando nella Congregazione di Don Orione, vi ritiriamo le licenze e così anche quella di Novara. Risposi che si faccia un processo canonico e lì vedremo la verità. - Non mi fu concesso ed io mi astenni di celebrare, comunicando ciò al mio Ordinario.

Avevo già ricevuto minacce che suonano chiaramente ricatto.

I) Il Direttore del Manin diceva all’Avvoc. Sberlacci - Santa Marina calle Scaletta 6039 - Venezia: “Non si muova il Prof. Mattei e se ne vada da Venezia: se non lo fa, lo schiacceremo”. (Non ci citi)

2) Comm. Tessari, Istituto Manin: “Fraternamente le ripeto di lasciare tosto Venezia (6 marzo 1937)... “La sua permanenza qui Le é di danno. La storiella delle 2000 lire, della palla, tutte bazzecole. Mettiamoci in pace e facciamo Pasqua nella vera pace con Gesù”. (17 - 3 - 937).

Mentre tanto il Comm. Tessari fraternamente si incarica di ordire e tramare l’accusa alla Questura. Insieme a Don Castagnaro chiama e ritorna a chiamare i ragazzi dell’Istituto cercando da loro dichiarazioni scritte contro di me. Un mattina intiera, un venerdì, tennero il Busseto in Direzione.

Pare che i ragazzi in primo si negassero perché il Tessari dovette ricorrere all’astuzia. Difatti l’11 marzo 1937 alle ore 7.30 del mattino il Comm. Tessari si era presentato nella casa






















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dell’ex alunno del Manin Sergio Faiani, - Calle della Testa, Ramo Palude 6264 e con inganno aveva portato il ragazzo nel Monastero delle Suore del Pianto e quivi, in una stanza appartata lo aveva sottoposto ad interrogatorio e minacce se non avesse scritta e firmata una dichiarazione dettata dal Tessari contro di me.

Questo fatto è conosciuto dalla Sezione di Polizia di Castello ed io lo denunziai a S. E. il Patriarca di Venezia, mentre mi preparavo a partire per Roma, e riferire ciò alla Concistoriale, quando il 27 di Marzo sono arrestato, tradotto in Questura e di lì, spogliato della mia veste sacerdotale, portato alle Carceri.

In Questura breve interrogatorio: “Siete accusato di cose molto brutte” - e niente più. - Rispondo: “Desidero conoscerle, come conoscere gli accusatori e le prove per difendermi. Al tempo stesso domando un confronto”. - Non l’ottenni, in cambio si fece un breve verbale e più non ho visto nessuno che due ufficiali di giustizia che si portarono alle Carceri per comunicarmi, uno, che ero stato proposto per il confino e, l’altro, che mi avevano assegnato cinque anni.

Scrissi per ben due volte alla Questura domandando il confronto ed una perizia medica, ma nessuno mi fece caso. Mai sono comparso innanzi alla Commissione Provinciale di cui parla la legge (Prefetto, Questore, Comandante dell’Arma dei Carabinieri, Procuratore del Re, Console della Milizia). Ma tradotto in carcere prima che si stabilisca il delitto, stetti lì 32 giorni rigorosamente incomunicato. Soffrii la fame, non ebbi le medicazioni necessarie per la mia ferita che ancora tengo aperta, rimasi senza camicia, non mi si permise nemmeno che ritirassi le mie cose lasciate all’Albergo, ed il colmo.….. perfino mi si portò via il Rosario. - Scrissi all’Avvocato Bondi, ma non mi fecero passare la lettera e finalmente venni qui tradito ammanettato come un assassino.
























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Qui caddi ammalato prostrato di forze e di dolore. Adesso ho potuto ricevere parte delle mie cose lasciate a Venezia e, vestito di nuovo l’abito ecclesiastico, il I° mi sono presentato a S. E. l’Arcivescovo di Acerenza venuto qui per amministrare la Confermazione. Ad egli ho esposto il mio caso, così anche ho scritto al mio Ordinario, e si è venuti nella conclusione che mi rivolga alla S. C. Concistoriale come oggi faccio.






Risulta chiaro a prima vista, perciò non credo di insistere che nel mio caso i sacerdoti di Don Orione, hanno agito con tutta la - fede.... Infatti è strano il fatto che simile accusa venga fatta da Religiosi di una Congregazione contro un Sacerdote e per di più innanzi all’autorità civile. È giocoforza allora supporre di già una ragione di peso.

I sacerdoti di Don Orione avevano tutto l’interesse di eliminarmi dalla circolazione, come in gergo si suol dire e, non avendo potuto ottenerlo dal Patriarca, si servono del loro ospite il Comm. Tessari per evitare le pene canoniche e per mezzo di lui mi denunziano più efficacemente all’Autorità civile. Allontanandomi e sotto la censura, non se ne parlerebbe più né dello stipendio delle Messe, né del danaro lasciato, ne soprattutto dell’indennizzazione dell’occhio.

Ecco tutto........Ma veniamo a noi:

In quale concetto e stima mi teneva il Direttore del Manin fino dai primi giorni del mio arrivo?

Egli mi usa tutti i riguardi perché ha già domandato informazioni sul mio conto a Don Sterpi e al Direttore della Casa di Varallo.

1) Mi manda dirigere ed amministrare la casa durante le vacanze.

2) Mi sceglie come professore;

3) Mi nomina confessore straordinario del Collegio Berna di Mestre;



















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4) mi propone la direzione spirituale del Manin

5) mi offre per ben tre volte l’amministrazione della Casa:

6) mi incarica funzioni e sermoncini ai ragazzi dell’Istituto

7) mi ottiene dalla Curia ai primi di Gennaio la proroga delle facoltà generali.

8) mi sceglie come consigliere dell’Istituto, e quando sente che voglio ritirarmi,

ordina perfino a Don Castegnaro che mi domandi scusa per il suo comportamento verso di me.

Ma quando comprende la gravità del mio occhio:

1) Mi proibisce chiamare l’oculista Tessier, perché fratello del Presidente della

Congregazione di Carità ed arriva a farmi

2) chiudere nella mia stanza il giorno della visita di questi all’Istituto.

3) Cerca forza il medico oculista Prof. Mammoli perché dichiari per iscritto la

perdita della vista dell’occhio destro essere stata causata da altra causa, ma non l’ottiene.

4) Ricorre allora al Prof. Forni collo stesso fine e questi per contentarlo, rilascia un

certificato dell’operazione che mi fece e niente più.... - Ma questo non è sufficiente e mi

5) mi porta a Tortona con inganno: “Ritorneremo domani mi dice - ma egli (lo

seppi dopo) prende un biglietto di andata per me ed un altro di andata e ritorno per lui, e mi lascia in asso col pretesto che é dovuto partire per un caso urgente... E mi tengono lontano e a bada più di un mese, allo scuro di tutto senza un soldo e con descapito grave per la mia salute, mentre, valendosi della mia lontananza ed abusando della loro autorità, ordiscono e preparano il colpo di grazia minacciando i ragazzi coll’espulsione.

A queste accuse non dà credito il Visitatore Apostolico l’Abate Caronti, né la Curia Patriarcale a cui ricorrono e dopo minacce e minacce mi consegnano alla Questura e mi aprono le carceri e mi offrono la fame: - ironia delle cose umane. - Il giorno dopo di aver implorato dal Signore: aperiat carceres, famem depellat...






















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giorno di Pasqua i ragazzi andavano in licenza alle loro case e si temeva che qualcuno mi facesse qualche dichiarazione....

Ma insomma so dirà quali le accuse?... Rispondo: Benché non le sappia né dai figli di Don Orione, né dalla Curia, ne dalla Questura, le conosco per la confidenza di una persona seria e di coscienza, il cui nome dicere non est mihi.

1) Carlo Busetto: “Mi masturbò”.

2) N. Camozzo: “Mi sollecitò mi congiungessi con lui carnalmente: essendomi

negato mi masturba”.

3) Alberto Antoniazzi: “Mi lusingò, mi accarezzò ed io caddi congiungendomi con

lui carnalmente”.

Esaminiamo queste accuse, ma innanzi tutto i precedenti dei dichiaranti. Essi sono stati presentati come minori di 15 anni per aggravare il fatto, giacché il codice penale art. 519/2 dice: “è punito da tre anni a 10 la persona a cui il minore di 16 anni é affidato per ragione di educazione. Artic. 530: “è punito da sei mesi a tre anni chi induce persona minore di anni 16”....     Ma essi sono tutti maggiori di 17 anni… Questi tre giovani, orfani e poverissimi, sono stati licenziati varie volte a causa della loro condotta, quindi contemplati dal codice penale, artic. 530: “La punibilità è esclusa se il minore é persona moralmente corrotta.

Il Busetto ha la sola madre, donna di età, testé uscita dall’Ospedale dove ha sofferto un’operazione. Essa, quando trova lavoro, guadagna due sole lire al giorno...

Il Camozzo non ha che una zia poverissima.

L’Antoniazzi, svizzero di nascita ed orfano di madre, non ha che il padre, senza lavoro, girovago e senza tetto e per di più con due fratellini che (occhio..,) vivono dell’Opera “Sinite parvulos” retta ed amministrata dal Comm. Tessari.

Resume:

I) I deponenti sono maggiori di 16 anni, di cui parla il codice penale.





















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2) i deponenti sono poveri di solennità:

3) i deponenti Busetto ed Antoniazzi in tempo non sospetto avevano dichiarato a

voce (il Busetto anche per iscritto) che erano forzati:

4) i deponenti sono pubblicamente diffamati,    ecco perché io volevo il confronto. Le loro dichiarazioni anteriori, cioè le loro accuse - e si sarebbe pienamente provato non avrebbero avuto valore alcuno.          Chi é il Comm. Tessari?....    Un vecchio di più che 70 anni che si fa il pazzo ogni qualvolta i suoi numerosissimi creditori incalzano e vogliono riscuotere le 30000 lire circa di debito contratto nella totalità coi Collegi Cattolici. Egli è furbo, egli è scaltro. Da circa 4 anni vive clandestinamente nell’Istituto Manin di Venezia, voglio dire, Senza che lo sappia il Presidente della Congregazione di carità. Egli è Presidente, Segretario e Tesoriere della così chiamata Associazione “Sinite Parvulos” che per fini dello statuto che la regge, venne sempre considerata come ente cattolico, cioè soggetto all’Ordinario. Nei tempi di fondazione il Card. La Fontaine usò con lui delle eccezioni, fidandosi certamente che man mano si sarebbe messo in regola però non solamente non l’hai mai fatto, se non che è arrivato a resistervi alle giuste esigenze della Curia Patriarcale, che oggi, rotto con lui ogni rapporto, ha fondato altra Associazione chiamata “Caritas”. Il Comm. paga ai collegi una certa quota pei fratelli Antoniazzi.

Mi astengo parlare del Direttore e del Vice Rettore del Manin perché non è compito mio accusare questi Religiosi e perché possono informare il Visitatore Apostolico Abate Caronti e le Curie di Padova, Venezia e Tortona.

E veniamo alle accuse:

Prescindiamo di considerare che esse sono state presentate con un crescendo, cioè con arte che esse non dicono quando siano stati avvenuti i pretesi fatti (ciò sarebbe
























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in tutti i modi, essendo partito in Gennaio da Manin essi vengono denunziati tre mesi dopo: che non é naturale il fatto che 3 azioni isolate ed uniche, giacché, se ammettiamo il delinquente, dobbiamo anche ammettere una serie di varie e simili azioni: che e giocoforza credere che si fabbricassero simili accuse giacché ai primi di Marzo due mesi dopo di essere stato allontanato, il Commendatore Tessari va cercando ancora chi mi accusi (Faiani). - facciamo questa domanda: Si può sostenere l’accusa?... Rispondo: Supporre i fatti é azzardato e temerario, sostenerli a assurdo è sfacciato. Si legga e si studi la perizia medica che indarno invocai e che mando oggi alla S. Congregazione e si vedrà.


Termino col dichiarare che sono pronto a provare ogni singola parte di questo esposto ed ampliarlo e spiegarlo ogni qualvolta ne venga richiesto. Così dichiaro che sono pronto a trattare i discutere i miei precedenti di Italia e d’America tante volte invocato innanzi alla Curia Patriarcale e la Questura dai frati di Don Orione.

In ultimo date le mie gravi condizioni fisiche e morali in cui io mi trovo, vecchio e povero, ammalato, mi permetto di chiedere un provvedimento che spero immediato.

Sia fatta la volontà di Dio...


Sac. Luigi Mattei

Arch. di Camerino