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[Da copia dattiloscritta, con correzioni di D. Orione]
Instaurare Omnia in Christo!
Rafat, 4 Giugno 1927
Amatissimo Padre,
Le scrivo avendo a me davanti un quadretto di Maria SS. Addolorata, la quale mi sarà anche testimone della verità del mio dire.
Il
28 di aprile nel pomeriggio giunsero in Rafat
quattro
Suore
S.
E. il Patriarca, Mons. Morcas e Monsignor Faragalli
e quattro Suore. Avuta,
da non so più chi la notizia della venuta di Sua Beatitudine, mi
affrettai, come il solito, ad ossequiarla. Erano tutti riuniti sul
poggiolo vicino alla chiesa quando io giunsi, e S. E. rivolto alle
Suore, facendo segno con la mano verso di me: “Loro
presento” “l’assistente”
dei lavori agricoli di Rafat.
“Rimasi un po’ imbarazzato, tanto più che, non avendo notizia in
precedenza che suore fossero, non ho, sul momento, indovinato il fine
di simili parole alla presenza di forestieri non mai veduti.
Tutto finì lì per quella sera e fino al 5 maggio; giorno in cui Mons. Patriarca di buon mattino giunge a Rafat, e mi fa cercare per ogni dove nei campi. Quando fui alla sua presenza, dopo i primi saluti, mi ordina di far preparare il pranzo per sei persone di più; mi dice che è dispiaciuto che i locali per le Suore non siano ancor pronti; e che sarebbero esse venute verso le ore 10 per dimorarvi. Lo aiutai per l’allestimento delle stanze, giunsero le Suore con Mons. Faragalli, si andò a pranzo, si parlò del più e del meno, ma né S. Eccellenza né Mons. Faragalli mi accennarono a quanto accadeva in quel giorno. Finalmente, verso sera, prima di ripartire, Sua Beatitudine assegna una camera al nuovo Direttore, ed una a me vicino al dormitorio dei ragazzi; ci dice che non vuole D. Alfonso nella Casa nuova e quindi che resti nella vecchia insieme a Benedetto;
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gli altri poi che prendano posto nei vari angoli del dormitorio comune perché servirebbero anche come assistenti.
Ordinò che si facesse unica cucina, che la facessero le Suore e che tutti mangiassimo nei nuovi locali. Siccome però non da tutti si poteva venire, specialmente a cena, a causa delle aie, Mgr. Faragalli fece capire, e ciò più volte, che non era contento; ma, di fronte ad una possibile responsabilità, non se ne parlò più, ed ancora oggi qualcuno di noi è assente non solo dalla cena, ma anche dal pranzo.
Il 7 viene ancora Sua Beatitudine, ma le notizie le va a prendere dal nuovo arrivato, per noi qualche parola indifferente e nulla più. Il giorno 8 Sua Beatitudine mi fa avere da Mons. Faragalli la lettera che unisco. Fino ad oggi è venuto molte volte ed ha consegnato al nuovo venuto danaro, registri nuovi, in cui figuro direttore agricolo, ed ha date tante disposizioni come se noi non esistessimo neppure. Fu Egli il primo che lo chiamò Direttore di Rafat; alle Suore hanno detto che va con loro come Direttore a Rafat; noi abbiamo visto giungere lettere e biglietti di congratulazioni; e Mons. Faragalli stesso non esitò dirsi Direttore non solo coi PP. Trappisti; coi PP. Salesiani, con gli abitanti del villaggio, ma anche con noi dicendo in ogni cosa: “diremo, faremo, combineremo”.
Anzi,
per dirne una, il giorno 16 a sera, mi domanda per l’indomani due
ragazzi che aiutino il pittore; destino il Cenci ed un altro, e poi
al mattino vado per le mie solite occupazioni. Verso le ore otto
viene Renato a dirmi che Monsignore era molto
arrabbiato
adirato, e che
andava in cerca di una cavalcatura per recarsi ad Artuf a
telegrafare
noti
che il telegrafo non vi è neppure
a
Sua
Beatitudine che nessuno lo vuole ubbidire, che facciamo a modo
nostro, ecc.
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Rimasi male e con me tutti gli altri, però di ciò egli stesso capì di aver preso un grosso granchio quando vide che il ragazzo da me mandato non era col pittore unicamente perché aveva paura di salire le scale.
Un’altra: Nella lettera del 7 maggio Sua Eccellenza mi diceva di far vedere il bilancio dell’annata; importunato da altre richieste ne feci una minuta non completa, e, consegnandogliela, glielo dissi, ma non di meno questa subito fu mandata in Patriarcato, non so ancora per qual fine.
Dietro desiderio di Sua Beatitudine il tabernacolo, la pisside, l’ostensorio, i gradini dell'altare, i candelieri più belli, i vasi per fiori, inginocchiatoio ed altre cose passarono nella nuova Cappella, per modo di dire, e ciò per compiacere le quattro Suore e Monsignore. Però non avendo io il coraggio di farlo, mandai ordine a D. Alfonso ed a quelli di casa in una giornata in cui ho dovuto recarmi a Giaffa.
Il mese di maggio l’abbiamo passato come il Signore ha voluto, e piuttosto freddo di pietà e denso di dispiaceri per tutte queste cose; per la novena dello Spirito Santo facciamo tutto al mattino nella casa vecchia, tutti uniti, e si consuma dopo la Santa Benedizione.
Anche per ragioni che non si è ancora a posto alla casa nuova, non ci siano a pranzo ed alcuni a cena; durante il giorno sparsi ed il rimanente uniti e di buon accordo. Tutti mi ubbidiscano come prima ed oserei dire di più, anche nel lavoro si continua come nulla fosse accaduto e come se fosse roba di nostra proprietà.
Ieri, 3 giugno, fu a pranzo con noi Mons. Patriarca, ho avuto modo di presentarmi e dirgli che io con tutti questi cambiamenti avuti, aspettavo da Lui il come dirigerci; quali fossero le nostre mansioni;
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e che finalmente si facesse un po’ di luce dopo sei lunghi mesi di tenebre, in cui abbiamo sempre dovuto camminare a tastoni, a rischio di avere disapprovazioni per ogni modo di nostro agire; se erano contenti di noi e del nostro operato; e che io avrei finalmente dovuto riferire ai miei Superiori, e se Egli stesso avesse scritto a Lei sul nuovo cambiamento.
Mi rispose che nulla aveva scritto e che aspettava risposta; che erano contentissimi di noi e dei nostri lavori, e che lo stesso Mons. Faragalli aveva fatto ogni elogio per il nostro spirito di lavoro, di concordia; che nessun cambiamento si era fatto e che tutto doveva procedere come prima. Gli feci osservare come mai allora mi si domandava la consegna della contabilità; come mai ancora avrei dovuto e potuto esplicare queste mie nuove mansioni, cioè prendere uomini per lavorare, trattare con quelli del villaggio e di fuori senza denaro, e che non mi sarei sentito di andare ogni momento a domandarne.
Qui la cosa fu girata alquanto; non mi ha saputo o voluto direttamente rispondere; se la prese con alcuni dei suoi preti arabi e fece capire che Mons. Faragalli era quasi come un parafulmine in nostro favore, che si sarebbe occupato delle Suore; dei forestieri d’importanza e poi della predicazione e cura spirituale dei ragazzi, tenendo anche la contabilità generale della casa. Lo pregai di darmi in iscritto una norma di vita, ma si scusò dicendomi che mi sarei inteso volta per volta con Mgr. Faragalli. Soggiunsi ancora che, essendo cresciuta l’azienda, noi non bastavamo più e quando faceva conto di far ire nuovo personale dall’Italia; che D. Orione era disposto a mandarlo non appena avesse ricevuto una risposta alle interrogazioni fattegli.
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“Io scrissi da parecchio a D. Orione su questo argomento, mi disse, ma non ebbi risposta alcuna sino ad oggi, e l’anno scorso non l’ho neppure potuto vedere in Roma. Che mi risponda, e nella via del possibile cercherò di accontentarlo.
Se le cose non si dovessero cambiare in meglio, dato che siamo nel periodo più critico dell’agricoltura e che non ci potremmo allontanare senza che il Patriarcato ne subisca dei veri danni materiali, io giudicherei di domandare il nostro pacifico ritiro verso la fine di settembre o nella prima quindicina di ottobre, quando cioè i lavori importanti saranno finiti, e comincia il nuovo anno.
Questo è un ampio sunto di quanto credo bene di dire nel Signore, con ogni franchezza che viene dal testimonio di una buona coscienza.
I nostri sinceri e filiali auguri per S. Luigi, e che il Signore ci benedica e ci conforti tutti insegnandoci sempre più a fare in ogni cosa la Sua divina volontà.
Suo dev.mo ed aff.mo
firmato:
D. Gemelli O. D. P.