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[Minuta]


Quoniam illic mandavit Dominus benedictionem.

Il Vangelo non potrebbe parlare più chiaramente: Se due di voi consentirono sulla terra, ogni cosa che chiederanno sarà loro accordata dal mio Padre che è nei cieli (Matt. XVIII, 19). Ma chi offre a Dio l’incenso delle sue preghiere e ricorda che il fratello ha della ruggine in cuor suo contro di lui, vada prima a riamicarsi con lui e poi venga ad offrire il sacrificio della sua preghiera (Matt. V. 25 - 26). Questo Ciò dice chiaro che Dio non benedice che i fratelli e le anime concordi: quoniam illic mandavit Dominus benedictionem.

E notate che queste benedizioni di Dio non sono già come quelle di Mosè o di Giacobbe, che promettevano abbondanza di armenti e di biade e una terra stillante latte e miele, ma sono benedizioni ben più alte, sono benedizioni di cielo e di vita eterna: quoniam illic mandavit Dominus benedictionem et vitam usque in saeculum.

Questo Salmo infatti pare fosse composto perché fosse venisse cantato in un trasporto di gioia dagli ebrei reduci dall’esilio babilonese in Gerusalemme, loro patria, dove doveva rifiorire l’antica fratellanza e togliersi lo scisma fra Giudea e Israele (Vedi Rosenmüller, Scholia in Vetus Test. P. IV). Ma checché sia di ciò, il vero si è che molto più propriamente e con più altezza di poesia e di santi affetti vuol cantarsi questo Salmo dai fratelli e da tutte le anime concordi che ancora si sentono nell’esilio della terra, ma che vogliono camminare e vanno col divino ajuto peregrinanti alla patria del Cielo ove tutti i giusti saranno consumati in unum, come dice S. Giov. al c. XVII, e colà giunti e accolti dalla beatissima Vergine Maria, Madre del Signore e Regina sanctorum omnium, tolti i dispiaceri e i dissapori di questo misero mondo, perpetueremo quel Cantico per tutti i secoli: usque in saeculum! Ah quanto mi è dolce pensare che ad ogni arrivo dei miei cari fratelli che dall’esilio torneranno alla patria beata.

Ah quanto deve esserci di dolce conforto il pensare come noi dopo che avremo umilmente servito N. Signore e la Sua S. Chiesa, nella santità e fedeltà della nostra grande vocazione, giunti lassù ad ogni arrivo di alcune delle anime a noi più care, ad ogni arrivo dei nostri con quanta soavissima gioja e lacrime di santa felicità rinnoveremo gli antichi abbracciamenti e intoneremo con essi di concerto sulle arpe degli Angeli il Salmo della nostra fratellanza con quella pura giocondità e dolcezza che è solo del paradiso! Ecce quam bonum et quam iucundum habitare frates in unum! Oh sì che io voglio cantare questo dolcissimo canto della carità: lo voglio cantare per divina grazia sulla terra e voglio che tutta la povera vita mia sia un cantico di divina carità! E voglio cantarlo entrando in Paradiso con quella soave carità che da Gesù Amore mio, che da Cristo Crocifisso, da Cristo Carità e Misericordia, da Cristo Capo si diffonde a tutte le membra demersi in un oceano ben più immenso che questa amplitudine dell’Atlantico donde a voi scrivo, in oceano infinito di luce e di splendori che ci farà più gloriosi che non furono i Monti di Ermon e di Sion per le rugiade, eternamente benedetti dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo! Quoniam illic mandavit Dominus benedictioinem et vitam usque in saeculum.

Fiat! Fiat! E pregate per me sempre!

Dal Piroscafo Re Vittorio, 24 Giugno, festa di S. Giov. Battista giorno del 1922, 50.mo anniversario del mio battesimo - sotto la linea dell’Equatore - A gloria di Dio benedetto.