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[Minuta]
Il Vangelo
II.a Domenica dopo Pasqua
(S. Giov. Cap. X, 11 - 16)
Il buon Pastore
(Is. XL, 11 - Ezech. XXXIV, 23, - Matt. XI, 27 - Luc. X, 22)
“Io sono il buon Pastore (I) Il buon Pastore dà la vita per le sue pecorelle. Il mercenario (2) poi, e quegli che non è Pastore, e al quale non appartengono le pecorelle, vede venire il lupo, e abbandona le pecore e fugge; e il lupo le rapisce e le disperde.
“Il mercenario poi sfugge perché è mercenario, e non si cura delle pecore. Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie conoscono me, (3) come il Padre conosce me ed io conosco il Padre, (4) e do la mia vita per le mie pecorelle.
“Ed ho dell’altre pecorelle, (5) le quali non sono di questo ovile; anche quelle fa d’uopo, che io raduni, ed ascolteranno la mia voce, e si avrà un solo gregge ed un solo Pastore. (6)
Gesù, il buon Pastore, qui dipinge se stesso con sì vivi ed amabili colori e ci fa sentire la sua bontà, la sua tenerezza con tali accenti che nulla di più eloquente e più soave.
Note
(I) Io sono il buon Pastore.
Si avverte che, in verità, secondo il testo originale greco, dovremmo leggere: “Io sono quel buon Pastore”.
Quale? Non v’ha dubbio che qui Gesù allude al luogo del Profeta Ezechiele, che sette secoli innanzi lo aveva annunziato, dicendo: “Io susciterò un Pastore che pesca le mie agnelle”. (c. XXXIV, 23)
Ecco perché Gesù dice quel Pastore.
Gesù è il Pastore per eccellenza del quale hanno tante volte parlato i Profeti, Egli non è solo il guardiano, ma il padrone delle pecorelle.
(2) Colui che governa le pecorelle solo per amore dell’interesse, del guadagno.
(3) Sanno l’amore che ho per esse, e mi amano come loro Pastore e Salvatore.
(4) Non solo qui, ma anche altrove Gesù Cristo paragona l’unione d’amore ch’è tra Lui e le sue pecorelle (le anime) all’unione ch’è tra lui e il suo celeste Padre. (Ioann. VI, 56, 57 – XVII, 23)
(5) Ed ho dell’altre pecorelle. I pagani che non sono dell’ovile degli Ebrei.
Viene a spiegare più chiaramente che la sua greggia doveva essere composta non di soli Ebrei, ma ancora de’ pagani, pe’ quali pure avrebbe data la sua vita.
(6) E si avrà un solo gregge e un solo Pastore: Come io sono il solo ed unico vero pastore, così sarà distrutto il muro di divisione fra il giudaismo, e de’ popoli non si farà che un solo gregge, una sola Chiesa, et un solo Pastore. (Ef. II, 14, Col. 2, 15)
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Gesù è il Pastore buono! Perché disse buono e non disse: pastore coraggioso, potente, giusto?
Perché la qualità di buono è quella che più d’ogni altra si addice al pastore. La bontà è la suprema bellezza morale e la corona di tutte le più preziose qualità.
“Dio creò il cuore dell’uomo, scrisse Bossuet, e vi depose la bontà siccome dote che, meglio d’ogni altra, rappresenta Dio stesso”.
Noi stimiamo la scienza, il valore, la giustizia, ma, sopra tutte le virtù, noi amiamo la bontà.
“Hai senno, hai valor? ti stimo hai buon cuor? sei de’ mortali il primo! cantò già il Metastasio.
La grandezza morale dell’uomo sta nella bontà, sta nel cuore.
“Corculum quod facit homines” dicevano i latini.
E Gesù non venne colla spada di Alessandro o di Cesare: non coll’eloquenza di Demostene o di Cicerone: non con la sapienza di Aristotele o del divino Platone: no, nulla di tutto questo apparve a noi in Gesù Cristo, pur essendo la virtù e la Sapienza del Padre.
Forse venne come Socrate l’oracolo della giustizia nella storia antica, così povera di belle figure e così ricca di tristi?
No, o fratelli, nulla anche di questo. - Socrate pensava a sé stesso: Gesù venne nella bontà, e venne ad immolarsi per gli altri! È il buon Pastore che dà la vita per le sue pecorelle.
Ecco
perché anche dalle labbra de’ suoi nemici, così ostinati a
contendergli gli onori divini, si solleva un canto alla sua
inenarrabile
sovrumana grandezza.
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Russeau,
Strauss e Rènan chiudono le loro critiche inchinandosi
davanti a Lui
con un inno alla divina bontà di Gesù.
“Io m’inchino davanti a Te, grida Rènan: o Gesù, mille volte ti adoro e mille volte ti amo!”
Gesù dà alle sue pecorelle la testimonianza più forte e più toccante dell’amor suo: immola la sua vita per esse: Egli è veramente il Pastor buono!
Ah impariamo da Lui che è morto per noi ad amare le anime nostre, e ad agonizzare per esse, pur di salvarle.
Dalla sua carità impariamo ad amarci a vicenda, come si legge de’ primitivi cristiani, che erano un cuor solo e un’anima sola: e amiamo non colla lingua e con vane parole, ma in verità e colle opere. (I Ioann. III, 18)
Che la carità delle anime anticipando sulla vita assorbisca la fede assorbisca la speranza assorbisca ogni cosa, e fede e speranza e vita intera non sappiamo estrinsecarsi che in un atto continuo e perpetuo di carità, e, devo dirlo? In noi Sacerdoti e specialmente ne’ Pastori, che la carità del gregge assorbisca oggi in qualche guisa la carità di Dio.
Non ve ne scandalizzate. San Giovanni che se ne intendeva, ci dice che Dio nessuno l’ha veduto mai com’Egli è, ma chi ama in Dio il fratello ch’ei vede, con ciò solo ama quel Dio che non vede, e, chi rimane in questa Carità, rimane in Dio, perché Dio è carità.
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“Io conosco le mie (pecorelle) e le mie (pecorelle) conoscono me”, soggiunge Gesù C. Voleva dire: Io conosco ed amo le anime che mi ascoltano, io le segno colla mia provvidenza, le accompagno colla mia grazia.
Gesù è come un padre che riposa nei figli come i figli riposano nel padre!
“Il Padre conosce me ed io conosco il Padre”.
San Cirillo d’Alessandria dice che queste parole si devono collegare alle antecedenti, e vogliono dire: come il Padre conosce ed ama me da tutta le eternità siccome suo Figlio vero e proprio ed io conosco Lui come vero e proprio Padre, così conosco ed amo le mie pecorelle, ed esse conoscono ed amano me come loro pastore. Il vincolo d’amore che stringe Gesù alle sue pecorelle è copia di quello che lo stringe al Padre suo.
Si può concepire amore più alto, più sublime, più santo?
E qui lo sguardo di Gesù si spinge nel futuro, e vede il piccolo gregge crescere ed entrare nel suo ovile immense schiere di pecorelle.
“Ho altre pecore che non sono di questa greggia, e quelle pure devo addurre, ed esse udiranno la mia voce”.
Non occorre dirlo, queste altre pecorelle, il grande gregge che sarebbesi aggiunto, adombravano la gentilità.
Queste parole di Gesù Cristo sono una profezia, e noi ne siamo l’adempimento. La universalità delle nazioni abiurando “gli Dei falsi e bugiardi” verranno alla luce della fede e a riconoscere Gesù Cristo - Dio.
Cosa meravigliosa. Non è se non quando Gesù lascia la sua Chiesa ch’essa prende accrescimenti prodigiosi e immensi.
Cercate nelle storie di tutti i secoli e di tutti i popoli un capo che, per moltiplicare i suoi seguaci abbia immaginato di abbandonarli.
Ordinariamente il successo del partito è legato alla persona del suo autore.
Ma tutto deve essere divino nella religione di Gesù Cristo e la sua stessa propagazione sarà un miracolo luminoso e tanto più sorprendente in quantoché era stato predetto in un momento in cui non eravi alcuna probabilità alcuna apparenza che l’evento giustificherebbe le sue predizioni.
E ancor quando gli Evangelisti riferivano le parole del loro Maestro il mondo era idolatra e attaccato ai suoi idoli con tutti i legami del pregiudizio, delle passioni e della politica.
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Or voi che leggete e pensate, guardatevi attorno: potete negare che la società sia cristiana.
Vi concederò se lo volete che una parte lo sia a sua insaputa e forse suo malgrado, ma è cristiana, - né potete contrastare a Cristo di avere annunziato questo gran fatto, che voltò faccia al mondo.
“E sarà un solo ovile e un solo Pastore”.
Qui Gesù Cristo dichiara uno de’ principali caratteri della sua Chiesa: la sua unità.
Dio è uno: la verità è una: non può aversi che una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa, ed un solo Capo supremo della Chiesa, il Vicario di Gesù Cristo e Successore di San Pietro.
La Chiesa uscì dal Cuore di Dio divinamente bella della sua unità di fede e di comunione. Unità di fede, che è la professione unanime di tutte le verità insegnate da Gesù Cristo: unità di comunione, che è la riunione cattolica in una medesima società, la partecipazione ai medesimi sacramenti la sommessione al medesimo Pastore. La cattolicità distende la Chiesa su tutta la terra: l’unità di …….
Io sono il buon Pastore! – È il Cuore di Gesù che palpita in queste parole con tutta la sua tenerezza. Ora Che la salvezza è accessibile a tutti, mediante il sacrificio di Cristo e in virtù della Chiesa, dei Sacramenti, l’autorità divina si nasconde sotto la mansuetudine, a vantaggio delle anime che si abbandonano alla grazia del Signore, e la secondano con le buone opere.
E il segnale di riconoscimento è la voce del Pastore. Tra tante voci discordi, voi apparterrete all’Ovile del buon Pastore fin tanto che saprete discernere la sua voce: fin tanto che avrete il coraggio di seguirlo, malgrado tanti perfidi richiami di falsi pastori i quali vorrebbero staccarvi da Lui e della sua Chiesa, falsificando il Vangelo.
Il buon Pastore dà la sua vita per le sue pecorelle. E così ha fatto Gesù, così i Papi, i Vescovi, i Sacerdoti che, all’occorrenza, per la fede e per le anime hanno dato il sangue e la vita.
Gesù, allargando oltre l’orizzonte della Palestina il suo sguardo, vede le anime sparse nel Paganesimo, nel mondo greco e romano, anime lontane e fuor dell’ovile e dice: “ho tante pecorelle che non sono di questo Ovile”, ma le chiamerò e ascolteranno la mia voce, e si avrà “un solo Ovile e un solo Pastore”.
È la missione della Chiesa Cattolica che da XX secoli collabora con Cristo a quest’opera di unione e di amore e di salvezza di tutte le genti.
Imitiamo la pecorella docile che sta vicino al buon Pastore, e saremo nell’Ovile di Cristo.
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I Vangeli di questa e delle seguenti Domeniche, sino a Pentecoste, sono tolti dal Discorso di Gesù dopo l’ultima Cena.
“Asceso alla destra del Padre mio, io non vi perderò di vista: vi vedrò di nuovo e avrò cura di voi, continuerò ad essere per voi il buon Pastore”. (I Pietro, 5, 4 Ebr. 13, 20)
Gli uomini l’hanno ucciso; e si direbbe che la morte abbia troncato ogni possibilità di relazioni tra lui e noi. Non è vero. Egli è risorto, è tornato al cielo: ha mantenuto la sua promessa: ha mandato lo Spirito Santo, ed i credenti vedono il loro Gesù, e sono dal loro Gesù veduti e consolati.
L’idea centrale di questo Evangelo è che, dopo le tribolazioni, che soffre con Cristo, esulterà di gioja nella gloria di Cristo. La tristezza diventerà letizia: i giorni scuri avranno un domani di luce: la notte di tempesta fiorirà in un’aurora di pace.
Sì, pazienza, e Gesù tornerà, e splenderà su tutti i popoli, e sarà la vota vera, la beatitudine, che nessuno ci potrà turbare mai più.
Oh beato il dolore! quando è accettato quaggiù dalle mani di Dio: dolore d’un breve spazio di tempo: dolore che purifica; che redime e si muta in beatitudine eterna!
Diceva San Francesco d’Assisi: “è tanto il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto”.