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[Lettera di Don Sante Gemelli con aggiunte e correzioni di Don Orione]




Da pubblicarsi sull’Opera, meno quello che viene escluso da giro di linea rossa.

Da conservarsi per l’Archivio

Dalla Palestina


 Rafat 6 Aprile 1925


Amat.mo Padre,

Il nostro viaggio fu buono. Non ci mancarono neppure le peripezie e le tribolazioni, specie a Giaffa per lo sbarco. Le autorità del porto si erano intestate che i tre venuti con me non erano missionari, ma solo agricoltori, perché così era scritto sul passa-porto; e quindi, come tali, non potevano sbarcare senza un permesso speciale, che loro le autorità del porto avrebbero chiesto per telefono a Gerusalemme

Ricorsi al Cav. Alanzo, console italiano in Giaffa. Egli caldamente s’interessò della cosa presso le locali autorità, ma a nulla approdando, ricorse a Gerusalemme

Dopo circa tre ore di attesa, una protesta energica ed un ordine perentorio venivano a nostro favore. Cenci, Pio e Renato furono subito sbarcati i tre giovani, ed io fui lasciato libero dalla quarantena, ove ero stato fermato per la visita e in attesa; e tutti insieme eravamo nel pomeriggio ospiti dei buoni Padri Francescani alla Casa Nuova.

Verso sera fummo a ringraziare il Console, e per telefono ho potuto parlare col cancelliere del consolato di Gerusalemme, quello stesso che aveva (come ho saputo) protestato per il fatto, dicendo che non era troppo decoroso il modo di trattare gl’Italiani, specie poi i Sacerdoti e Missionari. Lo ringraziai subito dell’interessamento, e non mancai di farlo di presenza, non appena fui a Gerusalemme.

Al mattino, primo giorno di Maggio, ho celebrata e gli altri hanno ascoltata la S. Messa in ringraziamento a Dio ed alla sua Madre SS. per la continua e visibile loro Loro assistenza su noi.

















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I tre giovani dovettero prendere farsi un bagno e passare la visita; però alle 10 1/2 abbiamo potuto prendere il treno da Giaffa per Artuf.

Tutto era nuovo: la lingua, i costumi, la compagna, Pio e Renato, specialmente, ne erano assai meravigliati. Ad Artuf aspettavano con impazienza la nostra venuta.

Il Chierico Gismondi, incontrato casualmente in treno, anch’egli diretto ad Artuf, ci diede le prime nuove e l’asinello, che lo attendeva alla stazione, ci fu assai utile per il trasporto dei bagagli. In pieno mezzogiorno, con un caldo straordinario, e dopo 3/4 d’ora di salita, fummo finalmente a Rafat.

Le nostre prime impressioni e specie quelle dei giovani di Francesco Cenci, di Pio e di Renato non furono troppo belle.

Il paese consiste in poche tane e niente più. In casa abbiamo trovato solamente un il vecchio sacerdote D. Alfonso. Fra Giusepee era a Cafarnao, da di dove è ritornato ieri l’altro assai migliorato in salute, e D. Adaglio trovasi all’ospedale in Gerusalemme, ove ne avrà ancora per parecchio. Si alza un tantino e celebra quasi tutti i giorni. Per ora, volendo anche farlo viaggiare per ritornare in Italia, non sarebbe prudenza.

Fummo a visitarlo subito il giorno dopo il nostro arrivo e ne rimase consolato.

Il Patriarca pure rimase contento del nostro arrivo, non però nel sentire che non eravamo destinati tutti per Rafat, ma anche per Cafarnao. Siamo stati tre giorni in Patriarcato e ne abbiamo approfittato per visitare i luoghi santi.

Domenica ho celebrato alla Grotta di Betlem, lunedì sul S. Sepolcro, martedì sul Calvario. Sono consolazioni che fanno gustare un anticipo di Paradiso!

E’ superfluo dire che la abbiamo ricordata con particolare affetto, e con Lei tutti i Sacerdoti nostri chierici e benefattori. Ai giovani è bastato per far dimenticare i primi momenti. Infatti ora sono allegri contenti e lavorano.





















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Fra Giuseppe sa farli distrarre, e la nostalgia dimentica la strada del ritorno!

Di Rafat non so neanch’io cosa dire. Forse ne ha sentite tante e di buone e di disgustose che le mie sarebbero superflue. Certo che la Casa non è a posto; manchiamo di locali strettamente necessarî.

Gismondi con i tre giovani dormono in nel magazzeno e gli altri tutti in una stanza.

Mi dicono che il Patriarca intende fabbricare, però vedo che loro stessi hanno poca fiducia alle promesse di Monsignore, perché già da quattro anni promette e non mantiene.

D. Gatti era già partito per Rodi, ove dove gli ho indirizzata la lettera a mano. Egli al suo ritorno in Italia Le dirà certamente le cose meglio di noi e più spassionatamente.

Alla Grotta di Betlem ho consegnata la lettera a Gismondi: non mi ha ancora detto nulla. Spero che scriverà a Lei e si metterà a posto.

I soldi Le L. 1600 dateci furono appena basta sufficienti per giungere a Rafat, benché il viaggio fosse pagato. Il solo sbarco di Giaffa ci venne a costare quattrocento e più lire.

Riguardo a Cafarnao prima di mandare personale D. Adaglio aspetta uno scritto di D. Gatti.

Avrà ricevuto il primo nostro saluto da Gerusalemme che Le mandammo con D. Adaglio.

Ci benedica tutti e preghi per noi perché il Signore ci dia forza e costanza per fare il nostro dovere.

A Lei, a Don Sterpi, al Can.co Perduca, a Don Risi, a tutti i nostri Confratelli Sacerdoti, Chierici e Probandi, ma in particolare modo ai Superiori e ai giovani della Casa di Tortona dove ero ultimamente i più affettuosi e fraterni saluti.

Suo dev.mo in X.sto come figlio

Aff.mo

 Sac. Sante Gemelli

 O. D. P.