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[Di altra grafia con correzioni e aggiunte di Don Orione]



promessa. Per non sembrare indiscreto lo ero stato fin troppo mi ritirai ritrassi in un angolo dove, senza essere visto, potei tutto capire. Quella infelice diceva così: - O mio caro Santo, tanto misericordioso pei poveri, cui donasti un dì tutto il tuo favore, ed ora li proteggi dal cielo, io ti prometto, se tu mi guarisci Alberto mio, che egli ti farà la una tela delle più belle, dipingendo te in atto di benedire a noi meschini. Noi verremo tutti quattro a portare qui al tuo altare la tela ed io vi accenderò un grosso cero una lampada...

Quanto dolore, quanta verità in quelle parole! Oh il Santo le ascoltava di certo. Chi non conosce si sarebbe commosso a sentire tanto strazio? Pianto?

Io non potei trattenere le lacrime e dissi tra me al Santo: O grande, esaudisci questi poverini......

Di lì a pochi giorni io era ancora in quella chiesa) nel nostro caro Santuarietto e vidi... cosa vidi? Quattro persone: due sposi e due fanciulli inginocchiati all’altare del Santo; lui teneva in mano un quadro, lei un cero, i bimbi giungevano le manine.

Indovinai: corsi a vedere: erano essi. La sposa e i fanciulli avevano ottenuta la grazia; quell’uomo un po’ pallido mi guardò, sorrise, io gli strinsi la mano.

- Fui sul punto di morire, mi disse, ma il glorioso Taumaturgo mi ha guarito, ed io ho mantenuta la promessa di Gisella e dipinsi questo siamo venuti qui a ringraziare Sant’Antonio.

Quel quadro era magnifico: il pittore vi aveva trasfuso tutto il suo cuore di artista e n’era riuscito un capolavoro. Io piansi un’altra volta ma di gioia ed esclamai: o gran Santo quanto sei buono!