V113T156 V113P193
[Di altra grafia con correzioni e aggiunte di Don Orione]
… promessa.
Per
non sembrare indiscreto lo
ero stato fin troppo
mi
ritirai
ritrassi in
un angolo dove, senza essere visto, potei tutto capire. Quella
infelice diceva così: - O mio caro Santo, tanto misericordioso pei
poveri, cui donasti un dì tutto il tuo favore, ed ora li proteggi
dal cielo, io ti prometto, se tu mi guarisci Alberto mio, che egli ti
farà la
una
tela delle più belle, dipingendo te in atto di benedire a noi
meschini. Noi verremo tutti quattro a portare qui al tuo altare la
tela ed io vi accenderò un
grosso cero
una
lampada...
Quanto
dolore, quanta verità in quelle parole! Oh il Santo le ascoltava di
certo. Chi non conosce
si
sarebbe commosso a sentire
tanto
strazio?
Pianto?
Io non potei trattenere le lacrime e dissi tra me al Santo: O grande, esaudisci questi poverini......
Di
lì a pochi giorni io era ancora
in
quella chiesa)
nel nostro caro Santuarietto e
vidi... cosa vidi? Quattro persone: due sposi e due fanciulli
inginocchiati all’altare del Santo; lui teneva in mano un quadro,
lei un cero, i bimbi giungevano le manine.
Indovinai:
corsi là
a vedere: erano essi. La sposa e i fanciulli avevano ottenuta la
grazia; quell’uomo un po’ pallido mi guardò, sorrise, io gli
strinsi la mano.
-
Fui sul punto di morire, mi disse, ma il
glorioso Taumaturgo
mi ha guarito,
ed
io ho mantenuta la promessa di Gisella e dipinsi questo
siamo venuti
qui a ringraziare Sant’Antonio.
Quel quadro era magnifico: il pittore vi aveva trasfuso tutto il suo cuore di artista e n’era riuscito un capolavoro. Io piansi un’altra volta ma di gioia ed esclamai: o gran Santo quanto sei buono!