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[Minute]




Frate Ave Maria

Ai Figli della Divina Provvidenza

A ricordo del Maggio 1923

(riservato agli Alunni delle Case della degli Istituti di D. Orione)

Fu volontario di guerra, e poi brillante ufficiale del nostro esercito; e dalla guerra tornò cieco e decorato. Ma la luce di Dio risplendé su la sua anima, e lo condusse la mano del Signore lo condusse, per attraverso le mirabili vie della Divina Provvidenza, sino al nostro Eremo di S. Alberto di Butrio, in Val Staffora, ove tra valli e montagne boscose, è solitudine grande e pace soavissima.

O beata solitudo! O sola beatitudo!

Diffuso sul volto e sulla fronte larga alta e serena gli splendeva quasi un raggio di divina bellezza e di predestinazione, e viveva infiammato di Gesù come un serafino.

E chiese e ottenne d’essere Eremita della Divina Provvidenza, di vivere nascosto a tutti, e di rendersi negletto per l’amore e servo di tutti, per l’amore di Cristo benedetto. E così visse, da povero fraticello.

Visse semplice e pio, d’una pietà lieta, là nell’antico e diruto cenobio che vide passare tanti santi e tanti guerrieri. E la vita di lui pareva che si andasse infervorando ogni dì più, tutta amore dolcissimo di Dio e degli uomini, tutti abbracciando e vincitori e vinti.

Chi Si seppe mai chi fosse quel monaco cieco che sorrideva a tutti? quel giovane cieco che per tutti aveva una parola buona, parola delicata per tutti?

Lo vedevano i montanari e i pellegrini raccolto in profonda meditazione sul vivo sasso dove Sant’ l’Abate Alberto si fé santo: lo vedevano colle braccia larghe pregare fare orazione davanti a l’urna miracolosa del Santo, o all’altare quadrato, lapideo preziosissimo per venerabilità, dove pochi anni innanzi il suo morire, che fu nel 1444, Bernardino da Siena, che pure peregrinò all’Eremo di S. Alberto di Butrio, volle consacrare il Corpo e il Sangue del Signore, e confortare i monaci con quella sua voce formidabile che sapeva di pace insieme, ma anche, di più frequente, di profeta.















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Fu tutta una vita di penitenza nascosta con Cristo in Dio, vita di penitenza, di adorazione, di elevazione dello spirito: fu come la voce della preghiera la vita del nostro monaco cieco.

Egli sapeva di lettere, sapeva di musica, sapeva di armi, ma venne all’Eremo per sapere altamente di Dio, e tutto seppe nascondere, sì, ch’ei ti parea che solo sapesse dire: Ave, Maria!

Ave, Maria! al coro: Ave, Maria! lungo il chiostro: Ave, Maria! al bosco: Ave, Maria! alla cella: Ave, Maria! sul poggio che mena alla grotta di S. Alberto: sempre: Ave, Maria!

E si chiamava: “Fratello Avemaria”.

Era un tramonto, e venne a morire. Aprì le labbra e un sorriso luminoso, alla evidentemente era la Vergine celeste che dal Paradiso se lo veniva a prendere.

Egli la chiamò, la salutò ancora: l’ultimo suo respiro fu: Ave, Maria!

E dalla torre antica “corse sull’aure l’umil saluto”.

La campana che, fiera, dal Carroccio aveva sonato e chiamati i popoli a raccolta contro il despota del Medio-evo, Federico Barbarossa, la campana che aveva sonata la libertà dei popoli d’Italia, parve in quell’ora che fosse toccata dalla mano di un angelo: con voce dolcissima alle valli e ai clivi andava squillando: Ave, Maria!

Una soave volontà di pianto invase l’animo dei monaci bianco vestiti, e subito una gioia, una pace, un’ardore indistinto di carità si diffondeva d’intorno; mentre le ultime tinte del tramonto sfumavano nella notte e scorreva sulle cime delle montagne e per le pendici della Staffora e fin su le acque della Staffora scendeva a valle scorreva il murmure dolce: Ave, Maria!

Si fece il mortorio. Gli Eremiti, piangendo, cantarono al fratello i salmi del suffragio e della requie sempiterna.





















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E, quando tacquero, dalla bara fonda una voce quale di cigno lontano, s’intese distinta, - diceva: Ave, Maria!

Finite le esequie fu portato al cimitero, a mano, dai fratelli in lacrime: al cimitero, lì, presso l’eremo; ma dove ei passava tutte le erbe e fin le pietre fiorivano e tutti gli uccelli cantavano divinamente.

Posò la bara nella fossa, e la terra la ricoverse, e vi fu piantata una croce di legno che egli s’era fatta.

Si nascosero i passerotti al cipresso, ai folti castagni del bosco di Butrio quietarono i cardellini; era silenzio; e di sotterra una voce piana sommessa s’intese; e veniva verso l’Eremo, e si andava perdendo lungo la stradicciola che conduce alla porta solitaria chiesetta, diceva la voce dolce e sommessa: Ave, Maria!

Passarono dei giorni, e gli Eremiti della Divina Provvidenza si raccolsero a pregare su la tomba di “Frate Avemaria”.

Erano venuti anche di lontano, dalla Calabria di S. Bruno e di Cassiodoro: dalla Sicilia che vide i primi eremi e fu terra di Santi, e pur dalla Palestina ne vennero, di là ove visse il Signore.

Vennero, e videro, meraviglia! Sulla tomba del fratello un giglio candidissimo apriva l’odoroso calice e attorno alla corolla, in lettere d’oro, recava scritto: Ave, Maria!

Vollero svellere il fiore per recarlo alla Madonna, ma era forte; scavarono, e videro che le radici aveva poste entro la bocca di “Fratello Avemaria”, e andavano giù fin al cuore.

E commossi sino e piangendo lacrime d’amore, caddero i buoni Eremiti in ginocchio avanti a “Fratello AveMaria”, che era là bello, incorrotto, sorridente come un angelo, e compresero allora che ad ogni nostra “Ave, Maria!” fiorisce un giglio in terra, e odora in grazia al cospetto della Madonna.

Ma ecco che su le loro teste sentirono come un vento, e passare la nota voce che andava al cielo, ripetendo: Ave, Maria! Ave,Maria!

Ed, oh meraviglia!


















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L’azzurro del cielo era tutto gemmato di stelle, e le stelle che fiorivano nel cielo erano molte, le dolci, le care “Ave, Maria!”.

Perché, o giovani miei, voi dovete sapere che ad ogni nostra “Ave Maria” s’accende una stella in cielo, e risplende in omaggio alla Madonna.

Gigli e stelle le possono essere offerti da noi, o miei figli!

Gigli a far tappeto a suoi passi, a dar aroma a lei da presso; stelle a far diadema alla sua fronte verginale, ad aggiungere luce alla sua aureola.

Gigli che gli angioli colgono; stelle che gli angeli intessono in ghirlanda per lei.

Gigli che vanno così innanzi a prepararci la strada per la quale noi passeremo per salire alla Madonna; stelle che illumineranno la nostra via al cielo, come fu di S. Benedetto, e un po’ della loro luce daranno poi a farci corona eternamente!

Giovani, far sbocciare molti di questi gigli, far risplendere molte di queste stelle equivale per noi ad onorare Maria, ed ottenere sicuro favore e materno patrocinio per la nostra salvezza.

A fasci crescano dunque sui nostri passi i gigli: a costellazioni s’illuminino adunque sul nostro capo le stelle.

E ogni giorno e ogni ora della nostra vita e ogni battaglia del nostro cuore siano segnati, siano suggellati dalla nostra preghiera: “Ave, Maria”.

Figli miei O Giovani: Ave Maria, sempre! Ave Maria e avanti! Ave Maria! sino al beato Paradiso!

Taccian le fiere e gli uomini e le cose,

roseo ‘l tramonto ne l’azzurro sfumi,

mormorin gli alti vertici ondeggianti: Ave, Maria!























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e di sotterra una voce dolce s’intese, veniva verso L’Ere mo e si perdeva sul sentiero che conduce alla solitaria antica chiesetta diceva la voce dolce Ave, Maria!

Passarono dei giorni, e gli Eremiti della Divina Provvidenza si raccolsero e vennero a pregare su la tomba di “Frate Avemaria”. Vennero di lontano dalla Calabria dalla Sicilia di S. Bruno e di Cassiodoro la terra dei Santi, e fin dalla Palestina ove visse il Signore.

Vennero, e videro meraviglia.

Sulla tomba del fratello un giglio candidissimo apriva l’odoroso calice, e attorno la corolla, in lettere d’oro, recava scritto: Ave, Maria!

Vollero svellere il fiore; ma era forte; scavarono; e videro che le radici aveva poste entro la bocca di “Fratello Avemaria”.

Commossi levarno gli occhi al cielo Perché, o giovani miei, dovete sapere che ad ogni nostra “Ave, Maria!” fiorisce un giglio in terra, e odora in grazia al cospetto della Madonna.

Gli Eremiti di S. Alberto commossi sino al pianto caddero allora in ginocchio davanti alla tomba a “Fratello Ave Maria” che era là con gli occhi ancora incorrotto, sorridente e bello come un angelo e istintivamente levarono al cielo in alto i loro occhi pieni di lacrime dolcissime perché avevano udito passare nuova meraviglia perché su le loro teste passava quella voce nota quella che andava  ripetendo: Ave Maria. E videro l’azzurro del cielo era tutto gemmato di stelle, e le stelle che fiorivano nel cielo erano e sono le molte, le dolci, le care “Ave, Mariadella terra.

E compresero allora che a ogni nostra “Ave, Marias’accende una stella in cielo, e risplende in omaggio alla Madonna.



pareva un giacinto.

Morte bella parea nel suo bel viso”

pieni di meraviglia e di pietade”

rivelava la sua beatitudine

E compiendo sua “giornata innanzi sera”

Vergine dolce e pia”

un suon di squilla

sentendosi approssimarsi la morte si fece portare nella primitiva chiesetta di S. Maria ove sono gli antichi preziosi bellissimi affreschi della Madre di Dio e … volle esser disteso là su ... ai piedi degli affreschi, e incrociate le braccia o con le braccia tese cantare a Dio: “Laudato sî, o Signore, per la nostra corporal sorella morte”.

egli che aveva respirato il mal del secolo.

Apparvi quasi trasfigurato mistico fervore con alto animo e forte eloquenza la sua vita fu una vampa di  fede e di aspirazioni purissime.