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[Da copia dattiloscritta, con aggiunte di D. Orione]



Là c’è la Provvidenza


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È l’affermazione semplice, popolare, d’una sublime verità, colta sulle labbra di Renzo Tramaglino, ma dettata dalla grande fede di Alessandro Manzoni.


leggere del Capitolo XVII da quel viaggio non fu lieto... sino: “questo era a un di presso...”


Renzo non potrebbe riuscire più simpatico di così. È l’espressione di fede che esce dal cuore riconoscente A Dio, anche nei travagli, e indulgente cogli uomini, anche nella persecuzione, eleva il povero montanaro a una sfera di virtù e d’eroismo cristiano che giustifica pienamente, almeno qui, la qualifica di “primo uomo della nostra storia” attribuitagli dal Manzoni e fa di lui un simbolo vivente della fiducia nella Provvidenza. Ma non è il solo personaggio del romanzo a vivere in questa luce di fede. Né l’episodio di Renzo è l’unico degno di nostra sotto questo riguardo, anche se occupa, per così dire idealmente, una posizione centrale. Il Manzoni ha voluto fare molto di più. Ha inteso esporre - coi Promessi Sposi - il poema della Provvidenza. Dell’immortale capolavoro non si potrebbe infatti dare definizione migliore. Osservare la trama del romanzo. Essa obbedisce ad una regola, ora tacita, ora palese, ma sempre presente: la Divina Provvidenza.

Non è ancora spenta la eco delle ingiuriose parole di don Rodrigo contro il Padre Cristoforo, il quale a testa bassa abbandona alla solitudine tormentosa dell’abbietto rivale, che un sommesso bisbiglio proveniente dall’oscurità di un androne richiama l’attenzione del Frate. È un vecchio servitore del Castello che cautamente lo chiama, l’unico vero galantuomo fra tanti bravacci egli sa molte cose e vuole salvare l’anima sua. Il caro vecchietto ha il suo segreto da confidare al Frate; un segreto che può mandare a monte tutte le mene di don Rodrigo. Fra Cristoforo ne approva lo zelo lo conforta a indagare lo benedice e lo invita ad andare al convento. Poi volta le spalle a quella casaccia, dove s’annida la malvagità e pensa, mentre discende verso Pescarenico: Ecco un filo che la Provvidenza mi mette fra le mani. E in quella casa medesima.

Amici, sì è proprio il filo della Provvidenza che costituisce l’orditura del romanzo. Dio lo mette in mano a Fra Cristoforo in un momento quanto mai difficile e contro oggi sua immediata aspettativa.

Egli che ha il merito d’averlo individuato nel groviglio delle oscure vicende in cui pareva perduto, vi si aggrappa, né più lo smarrisce. Il filo della Provvidenza scoperto da Padre Cristoforo, dove meno si penserebbe, lega tutti gli avvenimenti del capolavoro Manzoniano. A volte sembra spezzarsi, scomparire quasi, per lasciare gli avvenimenti in balia di se stessi.






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o peggio, della forza brutale dei malvagi, ma proprio nei momenti decisivi ricompare in un  sfolgorio di trionfo e di grazie. Vedete: I poveri perseguitati, sfuggiti dalla persecuzione di don Rodrigo, abbandoneranno il paese, dovranno temere il crollo di tante speranze vaghegghiate proveranno l’amarezza del distacco delle cose “più care e dilette” avviati per gli ignoti sentieri da un avvenire incerto; ma il pianto che sgorgherà dai loro cuori pieni di nostalgia e di mestizia, non sarà un pianto di disperazione e di rabbia odio. Passerà attraverso quelle lacrime, a impreziosirle, un raggio di Fede nella Provvidenza di quel Dio “che non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande.”

Nel licenziare i pellegrini Fra Cristoforo aveva loro suggerito una preghiera di rassegnazione e di perdono: “Noi, nella nostra tribolazione, abbiamo questo conforto che siamo nella strada dove ci avete messi Voi: possiamo offrirvi i nostri guai, E diventano un guadagno”. E nell’ultimo istante aveva aggiunto: “Il cuore mi dice che ci rivedremo presto”. Purtroppo la voce del cuore non doveva trovare conferma dagli avvenimenti. Nuovi guai si preparavano per i suoi protetti: Renzo coinvolto nella sommossa di Milano, Lucia tradita e fatta prigioniera dell’Innominato. Ma la coscienza d’essere sotto la tutela della Provvidenza di Dio produce il primo effetto benefico di rendere loro accettabile ogni angustia e di mirare confidenti nell’avvenire. Possono offrire a Dio i loro guai e “diventano un guadagno”. Il filo della Provvidenza, filo d’oro messo loro in mano dal Padre Cristoforo, continua a guidarli nelle  traversie della vita. Ma l’opera della Provvidenza si fa valere anche più efficacemente. Entra nella soluzione della trama del romanzo. Apparentemente tutto congiura ai danni di Renzo, di Lucia, di Agnese. Ad approfondire invece le osservazioni si scopre la costante protezione di Dio su di loro. Le avventure pericolose di Renzo sono una prova, è vero, ma finiscono per procurargli un soggiorno sicuro e proficuo presso il cugino Bortolo, evitandogli le preoccupazioni della carestia e - notate bene - togliendogli la possibilità di intralciare i disegni della Provvidenza su di Lucia, destinata col suo dolore con la sua virtù a far del bene alle anime anche più traviate. Lucia a sua volta è vittima della persecuzione implacabile e rabbiosa di Don Rodrigo, del tradimento di Geltrude, della violenza dei bravi e dell’Innominato, ma tutto questo insieme di sventure ha la sua ragione d’essere nell’economia della Provvidenza. Oltre che purificare l’anima di quella creatura semplice e buona e temprarne il carattere, preparano una serie di eventi straordinari dove si afferma sempre meglio la Provvidenza di Dio. Strumento principale di questi nuovi trionfi sarà la dispensiera di tutte le grazie Colei che tutti gli afflitti invocano e chiamano Maria SS. La Mater Divinae Providentiae. Ricostruite mentalmente la scena del castello: Lucia è abbandonata in una stanzaccia malamente illuminata da una lucerna a olio, in compagnia della vecchia. Si direbbe imminente il trionfo del male impersonato in don Rodrigo e nell’Illuminato. Fra qualche ora Lucia potrebb’essere consegnata all’abborrito persecutore. Renzo è lontano, bandito dallo stato.









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Il Padre Cristoforo, per le mene del Conte Zio e del Padre Provinciale, è a Rimini. Agnese, ignara di tutto, vive sola al suo paese. L’oscurità paurosa che circonda il castello è immagine altamente poetica delle tenebre morali in cui sembra immerso l’anima di Lucia. Eppure da quell’ammasso di violenze e di terrori non balena già il lampo sanguigno del trionfo di Satana e dei suoi satelliti, ma palpita un’alba di redenzione. Lucia giunta al colmo dell’affanno, torna ad invocare la Madonna, “La Vergine Celeste” come la chiamava Don Bosco, la dispensiera di tutte le grazie, anzi fa voto a Lei di perpetua verginità. E Maria - Ministra principale della Provvidenza di Dio - interviene congiurare per il trionfo dell’iniquità, la Provvidenza, come nel castello di don Rodrigo scioglie i nodi e fa trionfare la giustizia. Lucia si rasserena, s’addormenta, l’Innominato si converte, da persecutore si fa liberatore, di Lucia diviene lui stesso strumento della Provvidenza Divina. E quando Renzo ritrova Lucia nel lazzaretto, la Provvidenza gli fa incontrare Fra Cristoforo che scioglie la difficoltà del voto. Occorre dire che la Provvidenza è davvero elemento decisivo nei Promessi Sposi? Quando la Madonna diffonde sui personaggi del romanzo i suoi favori, l’intreccio, che era giunto al punto più intricato, comincia a risolversi. Una luce di gaudio invade gli animi e investe le cose. L’Innominato ritrova il sonno ristoratore, Lucia sorride nella casa del sarto, che dalla gioia si sente tutto pervaso di furori letterarî - persino Don Abbondio, dopo la predica del Cardinale si commuove e, almeno per un istante, di converte; tutto un paese esulta e chiama la conversione dell’Innominato il miracolo della Madonna. Che è? È passata la Provvidenza di Dio, e dove erano rovi e spine adesso è una fioritura di corolle fragranti.

Con ciò non si vuol dire che il Manzoni veda tutto roseo. Non sarebbe coerente coi suoi cristiani principî che lo portano a considerare la vita terrena come un esilio. I guai sono sempre lì, appostati sul cammino della nostra esistenza. L’importante è che il Manzoni, da buon quel grande cristiano che è, vede anche nei mal di questa terra la prova risolutiva nei tremendi flagelli che costituiscono, per così dire, il fondo storico dei Promessi Sposi: la carestia, la guerra, la peste. Specialmente la peste, preparata dagli altri due eventi. È l’avvenimento principale del romanzo, la scena più grandiosa. Milano si trasforma nella città degli appestati. La mirabile pagina descrittiva della sfera del sole senza raggi in un cielo di piombo, sulla campagna immobile, dominata dal canto di un meschinello che giunge come un lamento della natura oppressa sotto l’incubo del male, dà il tono fondamentale a questo quadro di tragica grandezza, ma, nel medesimo tempo, fa sentire che l’occhio vigile di Dio tutto vede a tutto provvede. Non c’è in letteratura discorso tanto sublime quanto quello tenuto da Padre Felice, nel lazzaretto, ai convalescenti:












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Benedetto il Signore! Benedetto nella giustizia, benedetto nella misericordia! Benedetto nella morte, benedetto nella salute! benedetto nella scelta che ha fatto di noi!” È l’affermazione della Provvidenza di Dio in quel luogo di miserie e di dolori. È il motivo dominante nell’ammirabile tessitura di questa musica sublime. La peste compie opera di giustizia distributiva nell’ultimo atto del grandioso dramma che mette in azione uomini e cose, buoni e cattivi, sotto l’inviolato controllo della Provvidenza Divina.

Dei tristi non se ne salva uno. La peste - dice Don Abbondio - è stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più.

E sono spariti con tutta naturalezza, in maniera che anche chi non crede nella Provvidenza, non abbia nulla da eccepire. Ma chi ha fede in essa sente, in questi destini, la mano di Dio.

Comincia col Conte Attilio che col suo motteggio caustico e procace ha dato il via alla persecuzione di Don Rodrigo contro Lucia. La peste se lo invola accompagnato - destino! - da una specie di elogio funebre pronunziato da Don Rodrigo, che richiama al pensiero la volgare parodia del Conte a Fra Cristoforo. Tutti i nodi vengono al pettine. E neppure una parola di compianto. A breve distanza, senza onori funebri, scompaiono il Conte Zio, il Padre Provinciale, il Griso, don Rodrigo, l’Azzecca Garbugli, Donna Prassede, della quale “quando si dice che è morta è detto tutto”.

Invece si salvano Renzo, Lucia e Agnese, malgrado i pericoli corsi. Il piano architettato ab initio dalla malvagità umana fallisce completamente, seppellendo sotto le sue rovine i fautori diretti e indiretti, mentre ai perseguitati, condotti dal filo della Provvidenza, è riservato il trionfo finale, anche nell’ambito del tempo.

Dio vede e Dio provvede! “Egli sa che ci siamo” dice Renzo. Dio castiga e premia, atterra e suscita, affanna e consola. L’uomo è libero, ma non in modo tale da potersi sottrarre al controllo di Dio. Dove l’odio ha seminato e distrutto, l’amore trionfa come giustizia. La Provvidenza non esclude la volontà e la libertà, e nemmeno l’attività umana. Vuole anzi la nostra cooperazione, l’apporto e il contributo delle nostre migliori facoltà. I personaggi dei Promessi che credono nella Provvidenza sono i più attivi e i meno fatalisti: Padre Cristoforo, Federigo, Lucia, Renzo, Padre Felice Casati, i Cappuccini durante la peste. L’attività di Lucia è tutta d’ordine spirituale, e chi l’ha voluta chiamar stupida e passiva non ha compreso nulla.

I Promessi Sposi non affermano soltanto la presenza di Dio nella società; non sono soltanto una splendida apologia della Divina Provvidenza. Son anche un manuale trattato pratico, ricco di preziosi insegnamenti morali e religiosi, in ordine alla fiducia nella Provvidenza e alla necessità di cooperare al suo trionfo nel mondo.












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Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius et hec omnia adicentur vobis”. È il grande corollario evangelico della fede nella Provvidenza. Come la pagina piena di poesia che descriva il fiore del campo e gli uccelli dell’aria, è invito alla operosità fiduciosa dei Figli del comun Padre, Dio.

Chi non cerca il Regno di Dio e la Sua giustizia non realizzerà nulla di buono. Chi ha troppa esagerata fede in se stesso è votato agli insuccessi più clamorosi. Dopo le lezioni sulla fiducia nella Provvidenza impartite dal Manzoni, ecco le mirabili scene di Provvidenza in atto a servizio dei più poveri e abbandonati: la madre con una nidiata di bambini, soccorsa da uno dei Sacerdoti mandati in giro da Federico; il reparto del  lazzaretto, riservato ai lattanti, e le caprette mansuete che sostituiscono le nutrici; il Cappuccino dalla bianca barba che sorregge porta tra le braccia due innocenti strillanti, immagine viva della carità cristiana.

La c’è la Provvidenza”. Renzo ha ragione. E per giungere a noi conosce tutte le vie, tutte le forme, tutte le delicatezze. La Provvidenza di Dio trionfa in definitiva nei Promessi Sposi: carità verso i deboli, verso gli infelici, i malati, carità verso i peccatori, i reietti, nelle forme più squisite e delicate. L’anima di don Rodrigo preme a Fra Cristoforo quanto quella di Lucia. Il Romanzo è tutta una fioritura di opere buone che costituiscono l’inno elevato alla Divina Provvidenza da uno dei più grandi geni di nostra gente.

Il “poema della Provvidenza” come possiamo chiamare i Promessi Sposi, ha già fatto tanto bene all’umanità e continuerà a farne perché esso stesso è un dono di Dio alle nostre anime assetate di verità , di fede, di virtù, di bellezza. Noi nelle n. Case. Si è prospettata l’idea di un Manzoni Santo. Canonizzabile? Non saprei. Ma un canto cristiano, sì. Un uomo, uno scrittore, che parli con tanta insistenza, con tanta convinzione della Provvidenza di Dio, non può a meno di possedere la fede operosa dei giusti. Né si venga a dire che egli fece solo della letteratura. Manzoni sviluppò un vero, fecondissimo apostolato. Lo chiameremo dunque il Santo della Provvidenza? Diciamolo piuttosto il poeta della Provvidenza, (senza escludere però l’idea della santità.) Il Santo della Provvidenza cerchiamolo poco lontano di luogo e di tempo.

Osservate un particolare che, certo, non esula dai disegni della Provvidenza. L’anno stesso in cui usciva alle stampe la prima edizione dei Promessi Sposi - 1927 - un povero Prete a Torino era commosso dal triste caso di una famiglia forestiera, abbandonata sul lastrico, risolveva di dar principio ad un’opera di carità di cui il suo nome sarebbe divenuto un simbolo e un’espressione: San Giuseppe Benedetto Cottolengo! Ecco il Santo della Provvidenza. Senza conoscersi, per una divina intuizione di carità, il poeta e il Santo sono legati da un medesimo vincolo, consacrati da un medesimo ideale: Con l’arte e con la vita. Reciprocamente.











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Perché per entrambi l’arte non è separabile dalla vita e la vita di fede di carità è l’inno più bello che lo spirito dell’uomo possa cantare. Il genio della Carità e il genio dell’Arte si danno la mano:

Possiamo ripetere per essi i versi di Dante:

La Provvidenza che governa il mondo

...................................

Due principi ordinò in suo favore

..................................

L’un fu tutto serafico in ardore,

l’altro per sapienza in terra fue

di cherubica luce uno splendore.

Dell’un dirò però che d’ambedue

Si dice, l’un pregiando, quel ch’uomo prende,

Perché ad un fine fur l’opere sue.

Sì: quanto il nostro Manzoni ha vagheggiato con la potenza della sua arte creatrice, il Cottolengo ha tradotto nella pratica quotidiana della sua vita.

Al poeta così penetrato d’ispirazione cristiana noi ci accostiamo con la venerazione con cui avviciniamo il Santo. La sua parola rasserena, conquista, trasforma. L’arte per l’arte diviene al suo conforto un meschino ritrovato di gente senza ideali e senza fede.

Presentiamo a Dio i nostri cuori - dirò per conchiudere colle parole sublimi di Federigo Borromeo - perché Gli piaccia riempirli di quella Carità, che ripara al passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza, che diventa, in ogni caso, la virtù di cui tutti abbiamo bisogno”.


 Tortona, 12 Gennaio 1939


D. D. S.


(Si veda in 1939 - I e la copia matrice dello schema preparato da Don Sparpaglione, sulla quale Don Orione ha fatto alcune correzioni, prima di farsi battere a macchina e poi correggere ancora e studiare il testo qui sopra trascritto.

Si veda pure e “La bisaccia di Fra Cristoforo” (Editrice Agis - Stringa - Genova, 1952, pag. 120) e nei volumi della Parola di Don Orione al 22 gennaio 1939)

(Da una copia dattiloscritta dei discorsi del San. Cavazzoni, di Mons. Gorla e di Don Orione nella riunione di “La c’è la Provvidenza” del 22 gennaio 1939, copiamo soltanto alcuni brani su cui Don Orione ha fatto correzioni o aggiunte autografe: forse voleva fare lui una copia ufficiale della sua conferenza, sotto forma di lettera per i suoi Benefattori: poi evidentemente non ci riuscì...)