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[Lettera di terzi indirizzata a Don Orione]



Istituto San Prospero

Reggio Calabria

Al Sacerdote D. Luigi Orione

Roma

La generosità del suo animo e la nobiltà del suo cuore, largamente note alla sventurata popolazione della Marsica, per la quale ella ha profusa tutta la sua attività, in molteplici manifestazioni della carità umana, ci additano il suo nome e la sua persona come quella che è destinata a compiere tutte le migliori opere di carità e di beneficenza di cui le rinascenti energie della regione sentono ancora il bisogno per la loro completa risurrezione.

Pescina è tra i paesi che più alacremente s’incamminano per questa via; ma a compiere il suo destino e la sua rinascita nel nuovo abitato che Governo e Popolo hanno edificato un’opera manca, fra tutte resasi ora la più essenziale, la più necessaria, e che sarà la più duratura, e la più stabile, perché sorretta dall’antica fede dei padri, la Chiesa.

Questa città che da dieci secoli è la sede della illustre Diocesi de’ Marsi, non può ulteriormente sentire, in un centro così numeroso di popolo, la mancanza di un luogo di raccoglimento e di preghiera e la conseguente assenza del suo Vescovo.

Un’apposita commissione si è proposta la costruzione di questa Chiesa, ed ha rivolto il suo appello alle autorità, ai cittadini perché concorrano alla spesa non lieve che un’opera così importante comporta.

E non poteva dimenticare il suo nome, arra sicura della riuscita e su cui fa il suo maggior affidamento, nella convinzione che come sempre ella porterà in questa opera di fede il suo più efficace e valido contributo.

E si augura che ella vorrà rispondere con l’entusiasmo della sua anima generosa all’appello che le viene da questa città, che saprà serbare per lei il ricordo riconoscente del suo interessamento.

Un maggior convincimento della necessità del progettato lavoro le deriverà se ella potrà personalmente visitare Pescina, e noi saremmo onorati di poterle esporre a viva voce quello che con lo scritto non può esserle dettagliatamente spiegato.















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Con perfetta osservanza.

 Pescina 9 ottobre 1916.

 Il Comitato

Avv. Notar. Serafino Maccarone

Avv. Nicola De Giorgio

Antonio Pane. Agente Imposte

Ranalli Ermenegildo. Segretario

Andrea Iammamorelli. Cancelliere

Avv. Orazio Cambiso. V. Pretore

Antonio Carfagna. Conciliatore

Luigi Biondi medico

Di Muzio Gaetano Geometra

Federico Cavallari Ricevitore

Giuseppe Taddei Negoziante

Dott. Canale Parola Edoardo

Vincenzo Ferrara Maestro

Avv. Goffredo Taddei

Rag. Achille Piccini Segretario Genio Civile

Antonio di Muzio Can. Curato

Secondo Sambenedetto


[Di terzi con correzioni di Don Orione]


R. G.          V. G. G. M.

Svolgimento

Tema - Narrate come, trovandovi in procinto di commettere unazione non buona, ve ne siate trattenuti per il ricordo degli avvertimenti di vostra madre.

Svolgimento.

Era una giornata tristissima. Soffiava unaria gelata, e la neve scendea fitta. Il ricco, nel salotto ben riscaldato, ed il povero, per la strada, mal coperto e cascante dal freddo. Le strade e le vie della città erano tutte coperte di ghiaccio, e si stentava a star ritti. Io ed e alcuni miei compagni di sotterfugio, eravamo riusciti ad uscire di casa,; perciò, riunitici tutti si combinò di andare sulla piazza del mercato per fare a pallate; così stabilito, c’incamminammo per il posto convenuto.

E’ una magnifica ed ampia piazza, circondata all’intorno da un muricciuolo alto forse due metri tutto coperto di neve.

La piazza pure sembrava un candido lenzuolo ma noi presto lo la mettemmo tutto tutta sossopra. Difatti, preso possesso del campo e stabilito il piano di battaglia, ci dividemmo in due schiere: una in principio e l’altra in fondo della piazza.; Si si cominciò una fitta sassaiuola, senza sapere dove si tirasse, perché la neve ci veniva negli occhi.

Durò forse mezz’ora quel giuoco; poi, stanchi morti e sudati, ci riunimmo; e stavamo per ritornare alle nostre case colla paura di buscarci una buona sgridata, quando vediamo vedemmo unombra nera che lentissimamente veniva su dalla strada provinciale.

Ci fermammo tutti, curiosi di sapere cosa fosse; e, quando fu vicina distinguemmo un povero vecchio, cieco, con un lungo e sdruscito mantello sulle spalle tutto coperto di neve, ed appoggiato al bastone. Era inconscio del dove andava il poverino!

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Il primo pensiero che venne in mente a me ed a miei compagni fu quello di motteggiarlo. E già alcuni di essi gli davan la baia con nomi scortesi e villani. Io volli imitarli; ma subito mi corse alla mente uno dei tanti avvertimenti datomi da mia madre prima di morire, cioè di rispettare ed amare i vecchi. Ella mi stava davanti, e mi guardava con quegli occhi sempre vivi, coi quali soli tante volte mi aveva rimproverato. Capî che dovevo tacere e non fiatai; cercai inoltre di persuadere i miei compagni a star zitti e vi riuscî; ed anzi, tirati fuori i nostri borsellini, li vuotammo nelle mani del povero e vecchio cieco, il quale, ci mandò mille benedizioni. Io sentivo d’aver fatta unopera buona, ero sollevato e sembravami mi sembrava di veder mia padre sorridermi ed abbracciarmi.

Ravinale Giovanni

4.a Ginnasio

6 –

Manzoni: 9 -/10


G. R.          V. G. G. M.

Svolgimento.

Tema - Ore liete.

Racconto.

Quel giorno, tutti eravamo in attesa di Rodolfo, il mio fratello soldato, che doveva ritornare a casa. Per fare un po’ di festa, s’era cercato di preparare qualche piatto di più del solito e qualche altra casa.

Stavamo tutti in pensiero, e con trepidazione si aspettava l’istante dell’arrivo.

Egli, nell’ultima sua, aveva accertato, tolta una disgrazia, di arrivare per le undici. Ma alle undici non si vide, alle dodici nemmeno, e da noi si cominciava a pensar male

Che gli fosse sia accaduta qualche disgrazia? che non abbia potuto arrivare in tempo alla stazione?

Mentre stavamo così congetturando, così sentiamo il rumore di una vettura ed il galoppar d’una copia di cavalli. Tutti corriamo fuori, i nonni, i genitori ed i fratellini, e vediamo correrci incontro un baldo giovane nell’uniforme di sotto-tenente, con tanto di sciabola che tocca toccava terra.

E’ inutile descrivere quali e quanti furono gli abbracciamenti e i caldi baci che furono contraccambiati. Era troppo grande la nostra gioia; i più piccoli lo stringevano nelle gambe e cercavano, calpestandogli i piedi, di farsi abbracciare.

Finite le prime accoglienze, ci mettemmo a pranzare, con un appetito proprio grande. Tra un boccone e l’altro, tanto da lui quanto da noi, si raccontarono mille e mille cose.

Il nonno e mamma Margherita piangevano e ridevano nello stesso tempo, contenti di rivedere il loro caro nipotino,  come ancora lo chiamavano.

Il pranzo si finì a notte fatta,; e, dopo aver detto due o tre parole ancora, andammo a coricarci tutti, perché non solo Rodolfo si sentiva stanco, ma anche noi.

Ravinale Giovanni

4.a Ginnasio

7 +

Manzoni Lezione 9/10