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[di don Gemelli]


Per obbedire ai Superiori e per mia leggittima difesa, alla lettera del 5/8/ 929

N. 2682/28 di Protocollo, del S. Dicastero, delle chiese Orientali, mi sento in dovere

di esporre quanto segue relativamente ai punti di accusa che si fanno sull’andamento

morale e disciplinare dell’Orfanotrofio Armeno di Rodi.

1/ -  Negli educatori è sempre regnata la carità fraterna e gli alunni hanno sempre avuto

da che edificarsi da loro, quantunque detti educatori non siano trappisti di vocazione,

sibbene giovani, che alla bontà della vita sanno accoppiare quella allegra voluta

e raccomandata dai migliori educatori di giovani.

2/ -  Vitto: - A colazione latte e caffè e pane a volontà; alle ore 12 pane e minestra

a volontà, una pietanza con contorno; a merenda pane; a cena pane e minestra a volontà,

una pietanza. Nessuno degli alunni si è lamentato per insufficienza di cibo, e più di uno

ebbe a notare il sensibile miglioramento. Il vitto è confezionato dalle suore di Genova.

 La vittuaria è regolata secondo le disposizioni date dall’Associazione ma pei

missionari italiani. Le autorità civili e il dottore, primario dell’ospedale, che è il nostro

medico, e che regola in modo razionale la vittuaria si mostra sempre soddisfatto del vitto.

Un fatto reale e palpabile si è quantunque nell’anno corrente varie specie

di malattie fossero scoppiate nella città di Rodi, l’Orfanotrofio non ebbe a lamentare

un solo ammalato.

 A Rodi c’è stata una sequela di malattie generali: l’influenza, scarlattina, male d’occhi,

nessuno dei nostri fu quest’anno malato, solo uno fu all’ospedale alcuni giorni per un

foruncolo.

3/ -  È vero che qualcuno dei più grandicelli moralmente è ridotto in stato pietoso,

ma ciò non per colpa dei chierici e tanto meno del Direttore.

 Se qualche difetto disciplinare è stato dal medesimo palesato in pubblico si è perché

commesso pubblicamente.

 È anche vero che uno degli orfani è stato messo nelle mani del Capitano dei RR. bl.

Luca, ma non per disciplina correzionale, sebbene in qualità di addetto alla scuderia

del Sig. Capitano medesimo.

È quindi assolutamente falso quanto si asserisce al N.3 della lettera del 5/8/29 cioè:

che il giovane di 19 anni (e non il fanciullo) colto in grave peccato contro i buoni costumi

è stato messo nelle mani della polizia correzionale.

 Oggi il giovane in parola si trova impiegato presso una fabbrica di birra e si

guadagna da vivere.

 L’autorità ecclesiastica era al corrente di questa decisione, tanto è vero che il Padre

Pier Grisologo Falci venne con me dal Signor Capitano e di comune consenso fu lasciato

al servizio del Capitano dei carabinieri il giovane.

 Il vero motivo poi di questa nostra decisione si fu la più negativa volontà

di sottomissione del giovane ad ogni disciplina, pietà e lavoro.

 Egli era anche poco accetto ai suoi compagni, i quali si sentivano disonorati dalla

sua condotta. Inoltre tutti sapevano che prima di venire a tale decisione inutilmente

si tentò ogni via col Consolato turco, col Segretario Gen.le del Governatorato

per restituirlo alla propria mamma residente in Costantinopoli.



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4/ - Non saprei su quali punti di formazione lasciano assai a desiderare i Superiori

proposti agli alunni. Il relatore, o meglio, l’autore della lettera del 5/8/29 poteva anche

venire a qualche particolare. Si prega di venire a dei particolari.

 I tre giovani chierici, dopo aver fatti i loro studi in Italia sotto la diretta vigilanza

dei Superiori Maggiori, da tre anni in Rodi seguono un corso regolare di Morale

e Dommatica avendo per professore il teologo don Airando Cristoforo di Torino,

insegnante di lettere al R. Liceo di Rodi.

 Detto teologo per due anni fece vita comune, si può dire, in Casa, prestandosi con

intelletto d’amore all’insegnamento giornaliero dei chierici.

 Solo l’ultimo anno e cioè nel 1928-29 egli fermatosi in qualità di Cappellano dei

Fratelli delle Scuole Cristiane, veniva tre volte la settimana e precisamente il Mercoledì,

Sabato e Domenica dando ogni volta due ore circa di lezione.

 La prova più bella della loro istruzione sono gli esami di Morale e Dommatica,

che essi per due volte sostennero con esito lodevole davanti alla commissione di tre,

destinati da Mons. Acciari, Amm. Apost., la prima; da s. E. Rev.ma Mons. Arcivescovo

la seconda, alla quale prese parte, quale esaminatore, lo stesso Padre Acciari,

e i voti riportati sono:

5/ - Che i fanciulli una volta praticassero la comunione frequente o quasi quotidiana

non è, a mio giudizio, un «crucifige» per il Direttore: a) - sia perché una volta erano

fanciulli di 18 e 19 anni, di paesi caldi e di generazioni e discendenze non remore

lodevoli. b) - Che il Direttore non abbia forzata la volontà dei giovani alla comunione

frequente mi pare un atto di prudenza e non di accusa. Meglio non far neppure il precetto

pasquale che farlo in modo sagrilego! c) - Al dubbio che si accenna che parecchi dei

giovani abbiano compiuto il precetto pasquale, mi pare un dubbio gratis dato, perché

non tanto io, ma persone equilibrate e spassionate potrebbero dimostrare il contrario.

 Mentre che si potrebbe anche aggiungere che in diverse occasioni si fece da tutti

la S. comunione, come in vari ritiri mensili della «Buona Morte», Natale, Epifania, ecc

fino al 9 di giugno, giorno in cui funzionò nella nostra cappella s. E. Rev.ma Mons.

Arcivescovo. d) - Che il sacerdote direttore abbia mostrata indolenza nel prestarsi

al ministero delle confessioni è una vera calunnia, come calunnia è il generale

malcontento negli alunni e loro famiglie; malcontento, che si osa aggiungere, manifestato

anche con pubbliche scenate: il che è pure assolutamente falso Quando i ragazzi o giovani

dicono che non si sentono di confessarsi perché non hanno si sentono fiduciosi di aprirsi

col confessore, e di altri confessori nell’isola non ce n’è, che si può fare?

 I Padri nell in tutta l’isola sono furono sempre cinque coll’Arcivescovo; ora se ne

si è aggiunto il Segr. dell’Arcivescovo, ma essi hanno tutta la cura delle isole; ne si può

esigere che vengano fin dove sta l’Istituto che è fuori all’estremità della a tre quarti d’ora

circa dal Convento, tanto che per agevolare le confessioni e lasciare libertà di confessare

più volte, specialmente nei ritiri mensili e veglie di solennità, li mando io al Convento.

 Ma si voglia tenere presente che i più alti lavorano anche fuori Istituto, in garage,

in tipografia est esterna, ne sempre sono liberi; altri poi, e sono tra i più alti, lavorano

in campagna alla distanza dal Convento: devono accudire al bestiame.

Il Signore sa tutto e vede tutto! Però ci tengo a far rilevare che in 12 mesi di mia

permanenza a Rodi, le Autorità locali, ecclesiastiche e civili mi hanno sempre dimostrata

la più affettuosa benevolenza e fiducia incoraggiandomi e confortandomi, senza mai nulla

accennarmi di quanto oggi mi si accusa.