V117T217 V117P192
[dattiloscritto]
Tortona, 7 I 1918
Eminenza Rev.ma,
chiedo scusa di tutto questo ritardo: sia poco; farò quanto potrò, e continuerò per magari qualche altra lettera, appena potrò. Ho da rispondere a due lettere di V. Eminenza; ma comincio da ciò che più ricordo, e che mi par più urgente.
Per quel buon amico adunque, del quale Vostra Em.za chiede un consiglio sincero, secundum Deum, ci ho pregato un po’ su, e direi di no.
Però V. Em.za veda di non stare a quanto a me parrebbe, perché non sono uomo da dare pareri, e simili pareri.
Che se già V. Em.za lo avesse già mezzo fatto, il Signore Le dia grazie di portare anche quella croce, e se ne stia lieta in Domino. Che se altri non ha, o non è conveniente prendersi delle Diocesi, quasi oserei dirLe di attenersi ai suoi anziani di Venezia, per quanto poi tutto il peso gravi su le Sue spalle; avranno difetti, acciacchi, debolezze, ma se li abbracci come glieli ha dati da portare Nostro Signore.
Parrà molto strano questo modo di ragionare, ma giungerei a dire di tenerseli magari solo ad honorem, facendo Vostra Em.za, coprendoli con la sua mantelletta più che può, con la sua ombra: spogliandosi della Sua Cappa magna per meglio ricoprirli i Suoi Sacerdoti, e stendendosi, specialmente sui più anziani, col suo corpo e col suo spirito e col suo cuore di Vescovo, compatendo molto, compatendo molto e vivificandoli in Domino e Nostro Signore sarà con Lei.
Anche voglia nella Sua paterna carità ricoprire chi se n’è andato lontano alle prime avvisaglie, e lo copra con grande soavità. Gli dia magari un qualche cosa da fare, piccoli incarichi, in caritate Christi, da sbrigare a Roma, come per fargli schermo onde poter stare colà. Senza blandire la Sua lontananza, gli dia come ancor tempo: omnia in spiritu lenitatis.
E non solo la dolcezza, ma sovratutto quella carità che dà alla dolcezza lo spirito di Dio che compatisce, e che con magnanimità tiene conto di ogni minima scusa, dell’età soprattutto e dei servizi già resi alla Chiesa e di ogni busca di paglia per compatire, per compatire e far compatire.
Non cesserò da povero peccatore di pregare Iddio benedetto perché degni confortare sempre le anime nostre per questa via.
Poi Nostro Signore con Vostra Em.za farà altro. Intanto si conforti e Lo ami in croce, così come si trova oggi, perché Nostro Signore è così fatto che vuole essere amato in croce.
Ma se V. Em.za Rev.ma credesse diversamente, non badi affatto a questo poveraccio, vada avanti con santa libertà di spirito come meglio Dio Le ispira: solo d’in ginocchio La prego di confortarsi in Domino con le sue croci, e di riposare dolcemente sulla sua croce, e di starsene contenta nelle piaghe di Nostro Signore e nelle palme della SS.ma Vergine Immacolata, Vostra Em.za e i Suoi Vener.li.
Nostro Signore va preparando grandi giorni per la sua Chiesa: le nostre piccole croci sono nulla!
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Povero me, io tremo molto a dover scrivere questo, ma sono spinto a dirlo a suo conforto, e mi metto sotto i piedi di Vostra Em.za e della Santa Chiesa. Sono un gran peccatore, e non vorrei ingannare con le mie sciocchezze.
Se Vostra Em.za sentirà che qualche giorno m’hanno messo al manicomio, vuol dire che non se ne meraviglierà, benedica il Signore, e non se ne dia pena, che nessun là entro sarà più a suo posto di me e di me più felice con l’aiuto del Signore.
Quanto a quella Suora che è qui, di cui Le ho scritto, ritengo che essa sappia mica niente che io so. Nostro Signore mi fa vedere Lei, ma credo che essa sia all’oscuro di questo. E le altre non se ne sono accorte, ed io non ho detto nulla qui, e neanche ho chiesto come si chiama, che poco importa. Sono contento della felicità di Nostro Signore, dei giochetti che fa. Anche in questi giorni ne ha fatto alcuno di quel genere.
Quanto a Venezia Vostra Em.za sa bene che è già una grande grazia che essa sia ancora oggi come è, e c’è da credere che sia la mano invisibile della SS.ma Vergine che sta alta a difendere S. Marco e la sua città.
Bisogna pregare e fare penitenza, penitenza. Su questo punto mi pare che Nostro Signore voglia di più da me e dal maggior numero dei suoi sacerdoti.
Con la grazia di Dio comincio.
Avrei da dirLe qualche cosa per il Santo Padre, ma non so; - è meglio pregare ancora.
Tuttavia, a proposito del S. Padre, oserei dire intanto a Vostra Em.za che ogni qualvolta gli potrà scrivere, Lo conforti sempre, Lo prepari confortandolo grandemente.
E Vostra Em.za gli faccia pure i suoi dolorini, lasciandoli per ora nascosti in Gesù Cristo. Glieli dirà poi, passata la bufera; o solo glieli accenni per confortarLo con la sua confidenza di figlio. Povero S. Padre, è ben più in croce di noi!
E adesso che ho fatto così lo sfacciato con V. Em.za, mi dia un po’ una di quelle benedizioni che mi mettono la testa un po’ a posto, altrimenti chissà dove andiamo!
Ma speriamo di andare in Paradiso con l’Immacolata. Oh, sì! Spero proprio che ci andremo tutti; e io allora voglio stare anche un po’ vicino a V. Em.za, ma starò più a modo, facendo un po’ meno il matto di quello che faccio oggi, e allora gliene voglio contare delle belle in Domino!
Ed ora basta: qui le buone Clarisse ringraziano, pregano, e sono consolate di ogni sua parola.
Quanto all’opuscolo amaro per fiele, non l’ho ancora ricevuto. Sono pronto, per salvare un’anima, a fare, col divino aiuto, tutto ciò che deve fare un Sacerdote.
Per oggi finisco, dunque: mi metto in ispirito ai suoi piedi, come a quelli della S. Chiesa, e La prego di calcarmi bene le sue mani sulla testa, e di benedire a me e a tutti questi figliuoli e profughi veneti.
Suo dev.mo e aff.mo in G. C. e Maria SS.
Sac. Orione