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Riservata


 +        Anime e Anime!

XII Maggio 1922


 Al Reverendo Don Brizio Casciola

Orfanotrofio al Villaggio Regina Elena


 Caro Don Brizio,


 ricevo la gradita tua.

 La buona giovane mandala a Tortona con due tue parole di presentazione, che la sistemerò tra le mie Suore, ben volentieri.

 Dille che non la spaventi, specialmente a principio, l’umile casetta in [cui] entrerà e la povertà di essa.

 Si troverà poi felice, io spero, di ciò che, a tutta prima, la potrebbe impressionare non bene. Intanto vi troverà un largo spirito di fraterna unione e di carità, e la concordia dei cuori è il primo bisogno d’una Casa religiosa.

 Ti dirò che ve ne sono altre come quella che mi mandi, e anche di quelle che andarono, poverette, molto più in là, e furono di tutti.

 Ma Cristo è venuto per tutti, e specialmente per quelli che erano periti.

 Tutti possiamo errare e cadere, e Gesù è sempre per tutti!

 Il danaro che ha non lo porti, se lo metta su d’un libretto postale, e anche il libretto non se lo porti, ma lo dia a persona fidata.

 Può esserle necessario più tardi o venirle bene per la sua creatura, se venisse a mancare l’aiuto del padre, e anche non gli venisse a mancare.

 Essa non dica qui ad alcuno il suo passato, nessuno dovrà mai saper nulla.

 Vi è qui un Sacerdote che è circa della nostra età, piissimo e larghissimo in Domino, Direttore Spirituale al Seminario e Canonico della Cattedrale.

 Egli fa parte interiormente del nostro Istituto, ha posto qui da noi sua Madre, e così non mangia neanche più in Seminario ma viene a pranzo e a cena con sua Madre, che era rimasta sola, e che è una santa donna.

 Era già stato proposto per Vescovo, ma Iddio non ha permesso che – almeno fino ad oggi – ci fosse portato via.

 Tu forse non lo conosci, ma vederlo e sentirsi presi da venerazione pel candore di vita che traspare da tutta la sua persona, è la stessa cosa.

 Ora io ho affidato queste mie straccione di povere figlie a lui, e Dio le va benedicendo.

 Siccome potrei non essere a Tortona quand’essa giungerà, tu indirizzila a lui che è sempre qui. Si chiama Don Arturo Perduca. A lui leggerò quanto mi hai scritto di essa, ed essa sappia che lui solo sa, onde anche abbia a chi rivolgersi e avere, occorrendo, una parola di conforto.

 II Non conosco il P. Manni barnabita, ne l’Istituto da lui aperto.



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 III Ci soffro a sentire che dovrai lasciare il tuo paese, e penso al dolore di tua Madre specialmente.

 E anche tutto il resto che mi dici mi da grande pena.

 Se posso fare qualche cosa per te, dimmelo.

 Sono pronto a scrivere a codesto Vescovo che il titolo agli Opuscoli l’ho messo io, come mi pare veramente che sia.

 Tu non c’entri; mi avevi lasciato libero, o almeno quando ci lasciammo non s’era deciso che titolo dare. Non è così?

 Io poi, vedi, ci ho pregato su un poco: m’è parso che dalla Fede, e solo dalla Fede, dovesse uscire un’altra, la più alta e viva vena di vita religiosa e civile per le giovani generazioni e per l’Italia.

 Mi è parso sì vero e sì bello quel titolo che veramente sintezza il fine che ti eri proposto e tutta la tua fatica, che ho sentito che meglio forse di così non si potevano chiamare quegli opuscoli.

 Anch’io ho pensato un momento al periodico Fede e Vita, che era già diretto da Ianni di S. Remo, e che ora neanche so più se ancora lo si pubblichi.

 Ma m’è parso di non dovermi perdere in una sciocchezza, in un criterio che sapeva di piccolo, mentre qui poi si trattava non già di un periodico, ma di un testo di letture religiose per le Scuole.

 Oggi, vedi, gli darei ancora quel titolo, o ti chiederei il permesso di darglielo, tanto mi par bello e adatto.

 Sarei anche pronto ad venire andare a Spoleto, se credi di parlare col Vescovo, e gli farei vedere un bel numero di lettere d’altri Vescovi e fin di qualche Cardinale, di elogio del tuo lavoro, lettere che sarà bene anzi pubblicare.

 Mi fu riferito che anche il Santo Padre sfogliò gli opuscoli tuoi, li lesse qua e là e se ne mostrò soddisfatto.

 Lo so che s’è fatto anche attorno ad essi un grande lavorio di demolizione, e ora non mi meraviglierei che fossero stati anche denunciati. È un dubbio.

 Io non potei più andare a Roma: mi sono trovato in grandi pene.

 Sono andato tante volte alla stazione e fino a Genova, e poi sono tornato.

 E vivo tuttora in afflizione di spirito, per disposizione di Dio. È terribile.

 Questo mio stato cominciò quando vidi che gli Opuscoli non uscirono come dovevano uscire, ma quello non fu che il principio. Poi Dio ha permesso o mi ha dato, a bene mio, qualche tribolazione, di quelle che si portano e che rendono nulla, si direbbe, la vita, e che neanche ammettono che se ne possa parlare.

 Solo che non si può più far nulla, e si vive in uno stato che nessuno capisce, e anzi l’unico conforto dopo Dio (quando Dio si fa sentire) è di nasconderci a tutti e di perderci nel silenzio e di passare inosservati e lontani da tutti: fuggire!

 Non mi sono fatto più vivo con te, mio fratello, pur vivendo in una pena acuta e quotidiana di non potermi più far vivo e quasi mostrar faccia con te, perché non sapevo come fare, e ne avevo fin vergogna.

 Dio sa che cosa provo e Dio sa che non mento.

 Questa lettera è il primo sfogo, perché ho sentito che era una croce che Dio ha dato a me, e sono prove così intime che non sono capite, o sarebbe forse un buttare fuori la grazia di Dio e profanare la croce di Gesù Cristo.


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 Anche la situazione tanto per me penosa con cui son venuto a trovarmi con te mi umiliava interiormente tanto, come non ti so dire. E non dico di più.

 Tante volte mi sono detto che tu avresti, certo. Capito e pensato che qualche cosa doveva esserci: che con la tua bontà mi avresti compatito e forse nel tuo cuore avresti pregato per me.

 Iddio, che mi ha messo in questo stato o, meglio, che ha permesso questa prostrazione di forze morali e questa morte, ho fede che mi risusciterà, per la sua grazia, e che la sua mano mi rialzerà ancora.

 Tu prega per me che mi sento tanto arido, tanto arido!

 Con codesti fratelli che ti fanno patire abbi pazienza e coprili di carità in Xto.

 Il portar pazienza e sostenere il Signore è la nostra vita Ammirabile e prepara quella sentenza della Scrittura: «bonum est praestolari cum silentio salutare Dei».

 Ti abbraccio in Gesù Cristo con un affetto che non è terreno, e ti sono fraternamente sempre tuo


      D. Orione