Il pensiero carismatico di San Luigi Orione dai suoi scritti e dalle sue parole

Alessandro Belano, Enchiridion orionino. Il pensiero carismatico di San Luigi Orione dai suoi scritti e dalle sue parole, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma, 2022




a cura di
Alessandro Belano
Piccola Opera della Divina Provvidenza
Prima edizione
Roma – 2022
Note introduttive
Il presente Enchiridion orionino è costituito integralmente da citazioni di San Luigi Orione tratte dagli attuali 121 volumi degli Scritti, dai 12 volumi della Parola, dai due volumi delle Lettere finora pubblicate e dal volume delle Riunioni, ossia dal corpus letterario, storico e carismatico del santo fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Pontecurone, 23 giugno 1872 – San Remo, 12 marzo 1940).
Lo scopo di questo prezioso strumento è quello di mettere a disposizione l’elenco completo delle citazioni orionine riferentisi a una determinata voce, operazione che, pur avendo i succitati testi nel formato cartaceo, richiederebbe mesi e mesi di ricerca. Questo è il principale valore dell’Enchiridion.
Nella faticosa impresa sono stato enormemente facilitato dai moderni sistemi informatici per quanto riguarda l’individuazione dei termini in oggetto disseminati nell’immenso corpus orionino: circa 12.000 testi, distribuiti in più di 20.000 pagine, per quanto riguarda i volumi degli Scritti; circa 3.000 pagine, per quanto riguarda i volumi della Parola.
La scelta delle numerose voci tematiche che costituiscono l’Enchiridion (circa 400) è opinabile e suscettibile di futuro ampliamento con l’inserimento di altre voci ritenute di qualche interesse sotto l’aspetto storico e carismatico.
I testi sono stati lasciati nella loro integrità. Ho semplicemente apportato qualche modifica redazionale secondo i seguenti criteri formali.
1) La grafia e la fraseologia desueta di alcune parole è stata resa in lingua corrente: colla = con la; danaro = denaro; fornajo = fornaio; gennajo = gennaio; Iddio = Dio; io aveva = io avevo; io desiderava = io desideravo; jeri = ieri; niuno = nessuno; ruina = rovina; sagristia = sacrestia; stassera = stasera; veggo = vedo, ecc. Ciò non significa mancanza di fedeltà al testo, ma fedeltà al testo, reso nella semantica odierna per quanto riguarda alcune parole.
2) La grafia errata di alcuni nomi propri di persona e di luogo, specialmente di origine straniera, è stata resa nella forma corretta: Noviski = Nowicky; Lojola = Loyola; Saens Pena = Sáenz Peña, ecc. Come è noto, don Luigi Orione, pur conoscendo i nomi dei suoi Religiosi e delle località delle sue istituzioni, li scriveva secondo la pronuncia, non sapendo sempre renderli nella esatta grafia linguistica.
3) Un’altra rilevante particolarità è la decisione di non riportare quelle parole che don Orione ha cancellato – ossia sbarrato – mediante una linea. Ho riflettuto a lungo su questa decisione. Dal punto di vista storiografico, anche le parole cancellate hanno la loro importanza, poiché permettono, in alcuni casi, una valutazione più precisa e critica. Tuttavia, se l’estensore (San Luigi Orione), dopo aver scritto alcune parole le ha deliberatamente soppresse, scrivendone altre, non si vede la ragione morale di riportarle, poiché lo stesso scrittore le ha rifiutate, eliminandole. Stessa decisione per quanto riguarda l’uso del sottolineato, ampiamente presente negli scritti di San Luigi Orione.
Dal punto di vista contenutistico, la presente raccolta dell’Enchiridion costituisce il fior fiore del pensiero spirituale di San Luigi Orione in riferimento a determinate tematiche.
Don Luigi Orione ha praticato con sacrificio e zelo instancabili non soltanto l’apostolato della carità, ma anche l’apostolato della penna. Egli non scrive con fini artistici, con l’intento di lasciare traccia di sé sul piano letterario. Ben più elevati sono i suoi ideali e le sue intenzioni. Egli scrive e parla con tutta la sincerità, l’ardore, la passione della sua grande anima che fa dello scritto e della parola un mezzo proteso ai suoi altissimi fini: la gloria di Dio, la salvezza delle anime, lo sviluppo della Chiesa, la formazione dei suoi Religiosi, il bene delle sue istituzioni: «Don Orione non era un grande scrittore, non era anzi scrittore affatto: non scriveva per vocazione né per elezione, ma per necessità, come la maggior parte degli uomini. E tuttavia alcune sue parole erano tali, scaturivano da così profondo fuoco, in una luce così nuova, che rimarranno più di molte centinaia di volumi degli anni nostri» (Giuseppe De Luca).
In questo immenso patrimonio letterario, storico e spirituale resta costante il comune denominatore: l’appassionata personalità di un Santo sempre grande, sempre forte, sempre fiducioso in Dio e nella sua Divina Provvidenza, qualunque sia l’argomento trattato: «È sempre la soprannaturalità che determina e accompagna il suo scrivere e il suo dire» (Ignazio Terzi).
La vita di Don Orione, il suo carisma, la sua piena donazione a Dio e ai fratelli, il suo olocausto totale e costante traspaiono costantemente dai suoi scritti e dalle sue parole, le quali costituiscono il testamento spirituale che egli seppe lasciare in eredità ai suoi figli e alle sue figlie: «Sono pagine di echeggiamenti autobiografici e di grande valore poetico e spirituale che ci danno la misura di una straordinaria vicenda esistenziale, vissuta nel nome del popolo di Dio e al servizio dell’umanità sofferente» (Pompeo Giannantonio).
Elenco delle sigle e abbreviazioni utilizzate nell’Enchiridion orionino.
F.D.P. Filii Divinae Providentiae (sigla istituzionale latina per Figli della Divina Provvidenza).
Lett. Luigi Orione, Lettere, Vol. I–II, Postulazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma 1969.
Par. La Parola di Don Orione, Vol. I–XII, Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma.
P.S.M.C. Parvae Sorores Missionariae Caritatis (sigla istituzionale latina per Piccole Suore Missionarie della Carità).
Riun. Le riunioni, Archivio della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma.
Scr. Gli scritti di san Luigi Orione, Vol. 1–121, Archivio generale della Piccola Opera della Divina Provvidenza, Roma.
Per quanto riguarda il corretto modo di citare gli Scritti, ricordo che i curatori degli attuali 121 volumi hanno catalogato i testi sia mediante il numero progressivo dei volumi seguito dalla sigla T, ossia “testo” (es. V001T001 = Volume 1, Testo 1), sia mediante la sigla P, ossia “pagina”, per indicare in quale pagina si trova un determinato testo (es. V001P001 = Volume 1, Pagina 1). In pratica: la citazione Scr. 35,5 indica il testo che si trova a pag. 5 del volume 35; la citazione Scr. 70,196–197 indica il testo che si trova nelle pagine 196–197 del volume 70.
Ringrazio quanti mi segnaleranno, all’indirizzo
Abbandono (in Dio)
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Adesso non mi capirete ancora bene, ma poi vedrete bene. Noi siamo nulla; la Chiesa, il Papa, le anime sono tutto. Abbandoniamoci totalmente nella Divina Provvidenza e nelle mani materne della Madonna SS.ma (Scr. 4,79).
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Preghiamo la SS.ma Vergine nostra Madre e Padrona, che ci accresca sempre il coraggio e la lena nella confidenza in Dio e viviamo pienamente abbandonati nel Signore. «Nostro Signore – diceva Sant’Alfonso – sta sempre vicino a quelli che l’amano e s’affaticano per suo amore». Dunque, Ave Maria, e avanti! (Scr. 4,186).
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Basta, preghiamo, lavoriamo in Domino e poi abbandoniamoci fidenti nelle braccia della Divina Provvidenza (Scr. 9,104).
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Vengo a dirle di avere una grande confidenza in Dio: non c’è nulla di più caro al Signore che la piena fiducia e confidenza nella Sua paterna bontà e misericordia. Abbandoniamoci tra le braccia e sul cuore aperto di Gesù Cristo Crocifisso, Signore e Salvatore nostro. Bisogna avere una speranza, una fiducia tanto grande, quanto grande è il Crocifisso e il Cuore di Gesù (Scr. 9,107).
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Oh, bella, adesso, che proprio un don Pensa non pensi che con le tribolazioni Dio ci fa prendere sperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e in Lui interamente ci abbandoniamo? Gesù ci ama e vuole farci più suoi e della Santa Chiesa, perciò Gesù ci prova (Scr. 19,219).
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Prega, vigila su te stesso e abbandonati nel Signore; quando ci abbandoniamo in Dio, allora Egli ci dà il suo coraggio e la Sua stessa fortezza (Scr. 22,220).
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Oggi è la festa di San Bonaventura che guardava sempre al Crocifisso: facciamo così anche noi e sia Gesù Cristo Crocifisso il nostro tesoro, la nostra scienza, il nostro tutto. E abbandoniamoci nelle braccia e nel Cuore trafitto di Gesù Signore Nostro Crocifisso e nelle mani della SS.ma Vergine, Madre nostra (Scr. 25,193–194).
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Nessuno può mai conoscere tutte le mire piene di bontà che ha la Provvidenza del Signore nel condurre le sue opere e spesso avviene che là dove sembra che tutto sia finito, invece tutto comincia, e secondo lo spirito del Signore. Confortiamoci dunque a vicenda e abbandoniamoci come bambini nelle mani della Divina Provvidenza (Scr. 31,15).
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Ad amare il Signore certo che non si sbaglia ed è nulla tutto il resto, se non si ama Gesù Cristo. Amare Dio è il primo dovere. E abbandoniamoci a Lui e alla Santa Chiesa, in umiltà e letizia di spirito (Scr. 31,240).
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Lasciamo andare ogni cosa come Dio vuole o permetterà: siamo figli della Divina Provvidenza: abbandoniamoci alla Divina Provvidenza con fede grande (Scr. 34,156).
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Il sacrificio con il quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore e ci abbandoniamo dolcemente e da figli alle ammiranti disposizioni della Sua Provvidenza e della Sua santa Chiesa, vale molto agli occhi suoi: è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona di sovente improvvisa (Scr. 37,255).
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Io prego e faccio pregare da anime buone e poi abbandoniamoci pienamente alla santa volontà di Dio. Se sarà l’ora di Dio che noi veniamo a far del bene a Cortona, verremo; e, se non fosse ancora la nostra ora, verremo quando a Dio piacerà (Scr. 38,52).
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La misericordia del Signore nostro è più vasta dell’oceano e più immensa dei cieli: abbandonati in braccio a Gesù, che tanto ti ama, da morire non tanto di patimenti, quanto più di Divina carità verso di te (Scr. 44,186).
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Fratello mio, non fare il passo che stai per fare, ma conferma te e i tuoi fratelli nella Compagnia, e vivete abbandonati al Signore e alla santa Chiesa del Signore (Scr. 44,200).
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Nelle tribolazioni, che il Signore ci manda o permette, Egli vuole che ci rendiamo più buoni e simili al suo divin figliuolo Gesù Cristo: vuol provare la nostra fedeltà, vuole esercitare la nostra virtù, purgando insieme, quasi con il fuoco, le nostre imperfezioni e le anime nostre. Ci fa prendere esperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché, persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e in Lui interamente ci abbandoniamo (Scr. 51,187).
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Abbandonati alla Divina Provvidenza e alla Santa Madonna e non fuggire davanti a Dio, che ti chiama: va’ a fare del bene; un nuovo vasto campo di fede, di carità, di cristiano lavoro e di civiltà si apre. Avanti, avanti, nel nome di Maria! (Scr. 51,230).
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Abbandoniamoci, o carissimo, nel Signore, abbandoniamoci nelle mani dell’adorabile Provvidenza e tutti uniti dalla carità grande di Nostro Signore, consoliamoci che molta è ancora la messe e il terreno da conquistare nel nome di Gesù Cristo! (Scr. 54,73).
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Al Signore e alla Madonna, nostra dolce Madre, piace che noi suoi servi ci abbandoniamo e rassegniamo sempre nella infinita bontà di Gesù crocifisso e che così siamo tutti suoi, amandolo nei dolori, amandolo in croce e vivendo con Gesù e Maria in croce (Scr. 54,226).
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Nascondiamo dolcemente la nostra piccolezza nel Cuore di Gesù Crocifisso: abbandoniamo, o fratelli, i nostri cuori nella materna e amorevole Provvidenza del Signore! (Scr. 57,237).
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Dio conosce le ore e i momenti e il sacrificio con il quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore e ci abbandoniamo docilmente alle ammiranti disposizioni della sua Provvidenza vale molto agli occhi suoi: è una preparazione al tempo della letizia, della perfetta letizia in Domino, di cui parlava il nostro Santo Padre Francesco e la cui ora suona di sovente improvvisa, come certe grazie speciali di Dio (Scr. 58,53).
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Raccomandi l’anima mia alla misericordia di nostro Signore e andiamo avanti con soavità e semplicità, abbandonati alle grandi e materne braccia di Dio e della SS.ma Vergine come bambini. Non pensiamo neanche troppo a noi stessi né alla nostra debolezza, nullità e miserabilità, ma andiamo avanti come bambini di Dio, con confidenza grande in lui e con grande semplicità infantile (Scr. 58,53).
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Caro Signore, sia fatta di me la vostra santa volontà! Voglio vivere e morire in grazia vostra, compiendo la vostra disposizione fino all’ultimo, nella fede che mi avete dato, che è la fede in nostro Signore Gesù Cristo crocifisso, come ce l’ha messa nell’anima la Chiesa. E poiché se fossimo bambini ci abbandoneremmo nelle braccia e nella fede di nostra madre, così abbandoniamoci alla santa volontà del Signore nelle braccia della santa Chiesa, come piccoli bambini, poiché la Chiesa è la madre della fede, che ci conforta nei giorni più dolorosi della vita! (Scr. 59,226).
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Se, abbandonati interamente dalla Divina Provvidenza, pregheremo con fede, se vivremo del Tabernacolo, se staremo umili e in ginocchio ai piedi della Santa Chiesa e dei poveri di Gesù Cristo, la Provvidenza del Signore farà crescere il piccolo seme e lo dilaterà, a conforto e salvezza di un numero grande di infelici (Scr. 62,125).
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Gesù è buono e sarà vicino a noi e lascerà che ci abbracciamo a Lui e che ci abbandoniamo fidenti sovra il Suo Cuore: tutto si può quando Gesù ci conforta! Oh sì, il Signore che ha incominciato l’Opera buona, saprà ben Lui condurla a fine! (Scr. 69,10).
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Madre Provvidenza, quanto siete buona con noi! Noi ci abbandoniamo tranquilli nelle vostre braccia! (Scr. 69,363).
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Prepariamoci, prepariamoci anche noi, poiché in questi nostri cari, che ci precedono, dobbiamo vedere le paterne mire di Dio che, nel dolore e nelle tribolazioni, vuole quasi per una felice necessità di cui si serve la sua grazia, che noi in Gesù Crocifisso interamente ci abbandoniamo, staccandoci mano mano dalla terra e da tutti e rivolgendoci tutti a Lui (Scr. 89,83).
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Non c’è nulla di più caro a Nostro Signore che la confidenza in Lui; né gli ostacoli umani e sopra tutto la nostra debolezza ci deve sgomentare, ma abbandonati nelle braccia di Gesù Crocifisso e sul Suo Cuore SS.mo consideriamo la nostra debolezza come il trofeo della gloria di Gesù Cristo (Scr. 92,30).
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So che Dio vi consolerà anche dei dispiaceri intimi con cui oggi vi prova e consolerà la vita dei vostri cari. Confidate nella Provvidenza, abbandoniamoci nella Divina Provvidenza e seguiamola! (Scr. 102,107).
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Il nostro coraggio deve essere fondato tutto nel nostro Dio! Noi siamo soldati di Cristo e figli di Dio: non entri mai in noi alcuna tristezza, ma abbiamo una illimitata fiducia nella Divina Provvidenza, vivendo pienamente abbandonati a Dio, che ci è Padre, a Gesù Cristo, di cui siamo membri e soldati e allo Spirito Santo, per cui viviamo della vita di Cristo e della Chiesa (Scr. 103,202).
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Tu lo sai, o Vergine Santa, che questa povera Opera è opera tua: Tu l’hai voluta e hai voluto servirti di noi miserabili, chiamandoci misericordiosamente all’altissimo privilegio di servire Cristo nei poveri; ci hai voluto servi, fratelli e padri dei poveri, viventi di fede grande e totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza. E ci hai dato fame e sete di anime di ardentissima carità: Anime! Anime! (Lett. II,479).
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Bisogna non inquietarsi per l’avvenire, pensando a quel che succederà domani e in seguito: sarà quel che Dio vorrà! Abbandoniamoci in Lui. Oggi son qui nella casa di Dio... Con Lui... e basta. Al domani penserà Lui. Ricordiamo sempre che i giudizi di Dio son molto diversi da quelli degli uomini! (Par. I,1).
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Lodiamo il Signore e rendiamogli sempre con la nostra gratitudine degne azioni di grazie, rendendoci, per quanto sta in noi, meno indegni dei suoi benefici. Come è buono il Signore! Malgrado le nostre ingratitudini ed i nostri peccati, Egli continua i suoi favori e le sue grazie! Oh!, abbiate un grande amore per Lui, sia anzi l’unico, il solo vostro amore ed abbandonatevi interamente alla sua Divina Provvidenza (Par. I,98).
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Nostro Signore non è rimasto su questa terra per abitare soltanto nei tabernacoli di marmo o di legno, ma più per poter da quelli passare ai viventi tabernacoli dei nostri cuori. Abbandoniamoci in lui! Qualunque malattia, qualunque persecuzione, qualunque perdita, qualunque morte... nulla, nulla deve turbarci (Par. I,149).
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Ringraziamo il Signore sempre, mille volte sempre; in tutte le cose chiediamo la mano di Dio: se ci abbandoniamo nelle mani della Divina Provvidenza, essa ci prenderà per mano e ci porterà in alto. Bisogna che noi siamo come bambini! Come il bambino che si abbandona con tutto l’amore nelle braccia della madre, così noi dobbiamo abbandonarci con fede grande tra le braccia della Divina Provvidenza, sul cuore del nostro Padre Celeste (Par. III,169).
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Abbandoniamoci nelle mani di Dio, lieti del come vorrà disporre di noi. Nulla piacerà di più al Signore di una grande e piena fiducia in Lui (Par. VI,197).
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Cari figliuoli, dobbiamo sempre cercare soprattutto il Signore e vivere vita di fede, cercare la vita del Signore, il regno di Dio, la salute dell’anima nostra e dei nostri prossimi, fidati e abbandonati al Signore, il quale non mancherà di confortarci, di venirci incontro nelle necessità del nostro corpo e per tutto quello che possono essere i bisogni materiali della vita! (Par. XII,128).
Vedi anche: D’in ginochio, Divina Provvidenza, Fede, Grazia (di Dio), Straccio (spiritualità dello), Unione con Dio, Volontà di Dio.
Abbattimento
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Vi prego, o cari miei figliuoli, di non lasciarvi abbattere se non ricevete mie lettere, per Natale riceverete tutti un mio scritto. Non è che qui non si pensi a Voi, non si preghi per Voi: a Voi pensiamo ad ogni ora, solo che il lavoro è grande, come non ve ne fate idea (Scr. 1,92).
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Mio caro Don Cremaschi, non ti abbattere, no, di ciò che ti scrivo, ma confida nella Madonna; però ti supplico ancora in visceribus Christi di non tollerare quelli che non dimostrano buona volontà, né spirito di sincera vocazione. Agisci pure, oh sì!, con riflessione, con ponderazione, con carità, ma dispiega anche risolutezza, vigilanza e forza (Scr. 3,396).
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Coraggio, figlio mio, non vi avvilite mai, non vi lasciate abbattere mai, ma la vostra fede sia grande e la confidenza nel Signore sia sempre nuova e grandissima e il vostro cuore si dilati ogni dì nella carità e confidenza del Signore (Scr. 4,7).
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Noi lavoriamo per il Signore. Non vi avvilite mai alla vista dei vostri difetti o del bene che non si può fare, ma la vostra confidenza sia sempre nuova e grandissima nel Signore. Tutto riuscirà bene se sarete dolce ed umile e se non farete novità o passi senza dirmelo innanzi e non vorrete far troppo (Scr. 4,30).
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Anche noi, se non sappiamo ancora volare, verrà sotto di noi la mano di Dio a tenerci su nei nostri uffici e mansioni, verrà la Madonna SS.ma, se saremo umilmente, confidentemente e filialmente sempre attaccati alla Madonna e senza mai abbatterci e senza mai avvilirci, con la speranza della Divina grazia, non pretendendo di diventare mai uomini, ma restando sempre fanciulli con i Superiori e con la Chiesa, andremo avanti un giorno dopo l’altro (Scr. 4,149).
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Cerchiamo di essere figli e servi di Dio, figli e servi della Provvidenza di Dio e sotto tale Padre e tale Padrone non lasciamoci prendere mai e poi mai da scoraggiamento, né da tristezza. Sarebbe sconveniente perdere il coraggio sotto un tale Padrone e Padre così amoroso e misericordioso. Perché anzi, vedendo noi le nostre lacune, mancanze e debolezze, preghiamo la SS.ma Vergine, nostra Madre e Padrona, che ci accresca sempre il coraggio e la lena nella confidenza in Dio e viviamo pienamente abbandonati nel Signore (Scr. 4,186).
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Nei servi di Dio non deve mai entrare alcun scoraggiamento e neppure alcuna tristezza. Siamo figli di Dio e dobbiamo avere una illimitata fiducia in Lui: siamo soldati di Cristo, anzi suoi Capitani e sue Guardie giurate e perciò non dobbiamo temere, ma crescere sempre il coraggio e la lena nella confidenza in Dio che ci è Padre e in Gesù Cristo di cui siamo membri e nello Spirito Santo per cui viviamo nella Santa Chiesa di Cristo (Scr. 5,306).
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Caro Don Sterpi, pregate e sustine, sustine, sustine! Deh, per carità, non vi lasciate avvilire: sono grandi prove, ma sarà grande anche la corona e la Madonna SS.ma non ci abbandonerà. Quando mi scrivete e mi date certe frecciate, non è che non le senta, ma è perché ce ne sono tante che sono già morto. Il mio interno è diventato un grande spegnitoio (Scr. 10,47).
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Non vi abbattete, o caro don Sterpi, perché quel sogno, mentre per sé era terrificante, era anche un avviso di bontà che Dio ci dava, è stato un atto della misericordia del Signore. E se io ora oso ricordarlo, non è per rinnovarvi il dolore, ma per prepararvi, direi, ad altre diserzioni (Scr. 19,68).
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Mi pare che don Pensa si lasci troppo abbattere dalle prove che il Signore gli manda o permette. Ma ditegli un po’ che preghi con più fede e abbandono nel Signore! Le tribolazioni dobbiamo sostenerle con pari rassegnazione, forza e costanza: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere in accasciamenti e languidezza: la fiducia in Dio è il balsamo di tutti i mali e la nostra fede è la nostra vita e la nostra vittoria. Facciamo tutto quello che si può e poi avanti in Domino! (Scr. 19,219).
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Il Signore, o mio caro figliolo, vi ha messo lì a fare tanto tanto bene. Non lasciatevi sconfortare dalle difficoltà, il bene costa fatica e la santificazione costa fatica! Ma la SS.ma Vergine vi conforti e vi sostenga! Dio, ricordate, vi pagherà di ogni po’ di bene fatto agli orfanelli come se lo avessimo fatto a Lui! State dunque sempre lieto in Domino: è questo un modo di fare più bene e molto bene agli orfanelli e a quanti ci circondano (Scr. 20,29).
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Un altro aiuto, che in Domino vi suggerisco, è questo: di non esagerare a voi stesso la vostra malizia (perché il nemico vuole avvilirci), ma procurare di conoscere la vostra debolezza e la vostra ignoranza. Queste due cose noi non le conosciamo mai abbastanza e producono la diffidenza di noi stessi, ma senza l’avvilimento (Scr. 20,30).
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La nostra vigilanza deve essere come la luce, che penetra per tutto, ma che non pesa: illumina, rischiara il cammino, ma non pesa. Non avvilite mai nessuno nelle correzioni o punizioni, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere avanti agli altri: si lodino tutti insieme e si correggano e puniscono da soli, possibilmente. Solo eccezionalmente, e per togliere qualche male esempio pubblico, si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri (Scr. 20,92).
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Dio ci pagherà Lui di tutto. Dalle accuse che ci si fa, dobbiamo trar profitto sia per conoscere noi stessi, sia per emendarci dei nostri difetti; ma non abbattiamoci mai, bensì confidiamo nel Signore. La nostra mercede non è su questa terra: «merces nostra in caelis est», sta scritto sotto i piedi di uno dei dodici quadri dei Santi Apostoli, che sono in alto della navata grande della chiesa grande di Pontecurone. La vita è combattimento, la cui palma è il Cielo (Scr. 21,31).
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Pregherò e farò pregare per te. Nelle difficoltà non bisogna avvilirsi, ma confidare nella Divina Provvidenza. Va’ sempre con una grande dirittura morale e lealtà e sincerità con tutti. Semplice come la colomba, ma prudente con tutti come il serpente. Sopporta con pazienza le pene e le sollecitudini annesse al tuo posto (Scr. 23,24).
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Capisco che dei momenti di abbandono e di sconforto possono venire a tutti, e tanto più a voi che siete così lontani, ma la preghiera, i Santi Sacramenti e la fiducia in Dio vi devono rialzare e confortarvi nel lavoro incessante. Su, o figliuoli miei, mettetevi di proposito: guardate che non basta l’istruzione, non basta neppure una educazione qualsiasi, o semplicemente religiosa, per formarvi come voglio io, per farci tali da superare i grandi pericoli che troverete nella vita: ci vuole che conosciate la vostra missione provvidenziale e non vi facciate indegni di essa (Scr. 25,7).
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Confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate longanimi con tutti! Cari i miei figli, cercate sempre di fare del bene tanto gli uni agli altri, quanto a tutti. E state sempre allegri e servite a Dio in santa e perfetta letizia! Non cessate mai di pregare e rendete grazie a Dio per ogni cosa, perché tale è la volontà del Signore (Scr. 26,146).
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Tu, figliol mio, bada bene, e sta’ in guardia, poiché c’è un abbassamento cattivo, che nasce della poca fede in Dio e produce un triste scoraggiamento: guardatevene! C’è, invece, un abbassamento buono, che sa gloriarsi nel Signore, cioè considera la propria infermità come un trofeo della gloria di Gesù Cristo Crocifisso: questa sì è umiltà vera e sincera: seguila! (Scr. 26,167).
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Gesù è il Dio di ogni conforto e il Padre di ogni celeste consolazione, che ci consolerà in ogni ora e sconforto della vita. Tutti i santi passarono per molte tribolazioni e tentazioni, ma ricorsero al Signore e ne profittarono (Scr. 26,173).
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Ho ricevuto la vostra lettera e vi conforto ad amare e a servire il Signore in umiltà, carità, fervore e dolcezza di spirito in Gesù Cristo, senza dare mai luogo a tristezza, abbattimento e melanconie, che non provengono mai da Dio. Servite Domino in laetitia! (Scr. 27,83).
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Che cosa guadagnate a non fare la santa Comunione? Fate ridere il diavolo e vi indebolite nello spirito, sino poi a scoraggiarvi e ad avvilirvi, con grande perdita nella vita spirituale (Scr. 27,90).
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Senza Dio non si edifica nulla! L’osservanza delle pratiche religiose, fatte con amore, ci conserva, ci innalza e ci prepara dei meriti per la vita eterna, ma la rilassatezza, al contrario, ci mette il tedio nel cuore, ci abbatte moralmente e spiritualmente e ci distrugge. Che tutti vedano la santità e la bontà della nostra vita e prendano buon esempio da noi, che siamo sacerdoti (Scr. 29,126).
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Quanto alla tua vocazione nuova, pensavo anch’io che ti saresti poi trovato male e molto deluso. Tu sei stato, evidentemente, portato dalla mano di Dio ai fianchi di Don Orione, «et mutatio locorum multos fefellit», dice il pio autore della Imitazione di Cristo. Sovente è un inganno del demonio, che cerca di farci cambiare di posto e di Congregazione, per poi far cadere nella rilassatezza e nell’abbattimento un’anima che si era messa bene e che avrebbe, perseverando ove Dio l’aveva portata, fatto passi avanti nella virtù e nella vera santità (Scr. 29,149–150).
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Penso che ora che, sarà subentrata un po’ di calma e di riflessione, avrai l’animo abbattuto per esserti lasciato trasportare fuori di te e sotto di te a quel modo. E ti scrivo per rialzare con carità di padre l’animo tuo e al tempo stesso per farti osservare come l’ira deformi anche le più belle qualità d’un servo di Dio, dissecca il cuore ed altera talmente la tua fantasia che ti porta a parole e ad atti non solo dure, non solo dispettose, ma veramente scandalose e a mormorazioni e lamenti che tolgono la dolce convivenza e carità tra i fratelli, oltreché scandalizzano enormemente gli estranei e quelli di casa, specialmente i chierici che devono essere edificati dai sacerdoti e che sono giovani facili ad essere sgogliarditi perché ancora deboli nel servizio di Dio (Scr. 29,169).
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Avanti in Domino, e «nolite timere, pusillus grex, quia complacuit Patri vestro dare vobis regnum»! Noi non dobbiamo prendercela con la popolazione di Mar de Espanha, perché la colpa siamo noi, dobbiamo invece trarre argomento per umiliarci noi, ma al tempo stesso non dobbiamo avvilirci: dobbiamo evitare gli errori passati e raccomandarci al Signore che ci dia grazia di riparare e di fare un po’ di bene alla gioventù di codesta città (Scr. 29,196).
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Ritorna da chi ti rifiuta l’obolo. Dopo un breve tempo, tutti ti verranno dietro! Prima farai il tuo calvario: mortificazioni su mortificazioni, ma non ti abbattere mai, non te ne avvilire! Ricevile in penitenza dei tuoi peccati, poi vedrai che anche i contrari ti aiuteranno e benediranno! (Scr. 29,252).
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Mio caro Goggi, non ti scoraggiare, ma con tutto l’ardore della carità d’un santo prendili con cuore, con dolcezza grande e otterrai tutto. Se vuoi riuscire a fare loro un gran bene, guarda tu di amare il Signore più che ti sia possibile. Questo è il segreto (Scr. 30,7).
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Fatti cuore, o mio buon fratello, e non ti abbattere, Dio è buono: ti è proibito da Dio di temere senza sperare in lui. Per le tue fragilità e perché sei uomo hai ben ragione di temere, ma Dio ti promette aiuto, conforto, perdono. Ah, fidati, o fratello: Gesù non solo vuole perdonarci, ma ci vuole gran santi! Non ti avviliscano le tue tentazioni, le tue debolezze, le tue mancanze: mira le piaghe dell’amore di Gesù Crocifisso (Scr. 30,64).
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Il giovane deve sapere e sentire di essere amato e stimato e vigilato con affetto, ma vigilato sempre e non avvilito mai: non mortificato davanti agli altri, se non in casi eccezionalissimi e per togliere il mal esempio (Scr. 32,9).
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Sono io che ho tenuto indietro la tua ordinazione, non perché te ne sia reso indegno durante gli anni che hai passato con Don Orione, né perché non pensi a te e non ti ami nella carità del Signore, ma per motivi di pura opportunità temporanea. Spero non ti vorrai perdere d’animo, ma vorrai umiliarti, avvilirti no, mai!, prendere dalla mano del Signore questo ritardo, pregare e studiare intanto bene la sacra teologia, e prepararti molto spiritualmente (Scr. 32,168).
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Accettate con amore e coraggio gli uffici che la Divina Provvidenza vi assegna per mezzo dei Superiori e non ammettete nel vostro animo né temerità pazzesche, né scoraggiamenti che avviliscono, che impigriscono: siate fattori con la Mano di Dio che edifica e non disfattisti con il diavolo! Nei servi di Dio non deve mai entrare nessun scoraggiamento: noi siamo soldati di Cristo e perciò dobbiamo pregare, guardare a lui, non temere mai: dobbiamo anzi aumentare un coraggio superiore di gran lunga alle forze che sentiamo, perché Dio è con noi! Non lasciatevi sgomentare dalle difficoltà o dal poco frutto, e stare uniti nella carità di Gesù Cristo! (Scr. 32,244).
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La confidenza in Dio è il balsamo di tutti i mali. Le tribolazioni prendiamole tutte dalle mani di Dio: non scoraggiamoci e molto meno avviliamoci o cadiamo in alcuna languidezza. Dio è con noi, specialmente nelle umiliazioni: patisce egli stesso con noi, caro don Pedrini e le nostre lacrime la Madonna SS.ma le tiene serbate nel suo cuore. Fede e, nella santa fiducia in Dio, coraggio! I dispiaceri e le tribolazioni d’ogni specie passeranno in breve, come un po’ di fumo dissipato dall’aria; ma il merito resterà e resterà in eterno (Scr. 33,29).
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Ciò che vi prego in visceribus Christi è di non avvilirvi mai mai mai: «latrare potest, mordere non potest», se noi preghiamo. Vi conosco da tanti anni e quanto ami l’anima vostra nel Signore lo sa il Signore. Dunque: 1° Vi raccomando di non esagerare a voi stesso la vostra malizia (guardate che il diavolo vi vuole avvilire). Riconosciamo la nostra debolezza e la nostra ignoranza, ma per diffidare sempre di noi, non mai, non mai per avvilirci. 2° Fate atti di fermissima confidenza in Gesù crocifisso misericordiosissimo e in Maria SS.ma Addolorata. 3° Guardate che voi lavorate troppo di fantasia, che è già per tutti la facoltà in cui il demonio gioca meglio ai nostri danni e specialmente guardatevi dai pensieri di tristezza. 4° Siate fanciullo, caro Cesare, siate fanciullo, sempre fanciullo in Domino, cercando più di amare Dio che di fermavi a ragionare sui vostri peccati e sul vostro stato e su Dio. 5° Non pretendete troppo da voi stesso né vogliatevi emendare in un momento o inquietarvi se non vedete alcun emendamento (Scr. 33,32).
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Vedi di attendere alla meditazione e di cavarne frutto; basta non assecondare le distrazioni. Lo scoraggiamento ci fa sperimentare la nostra miseria e ci fa conoscere con il fatto che abbiamo bisogno di Dio, che è il solo fonte della forza. Tu abbi confidenza nel Signore: noi siamo lavoratori di Cristo e soldati di Cristo e perciò non dobbiamo temere; pregare e andare avanti in Domino! (Scr. 34,74).
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Dio sa quello che fa o che permette, sempre a bene nostro. Ora dunque umiliati nelle sue mani, se mai per colpa tua non sei stato promosso. Umiliarti sì, avvilirti no, mai! Datti a Dio di più; forse era necessario questo dispiacere per distaccarti dal tuo amor proprio, per ravvivarti di più nello spirito religioso e nel distacco dalle vanità e dal mondo, per deciderti più risolutamente ad essere non di Cicerone né di Demostene, ma di Gesù Cristo (Scr. 34,107).
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Io sono il Giona che va buttato a mare; le mie colpe e iniquità meriterebbero assai più, onde ci vuole tutta la misericordia di Gesù Cristo Crocifisso per tollerarmi ancora. Ma, fidando nella infinita carità del Signore, ora, nel nome di Gesù, comincio; mi umilio, ma non mi voglio avvilire; e voglio essere tutto e solo roba del Signore e delle anime. Così la Santa Madonna mi aiuti a non ingannare più oltre la gente, ma ad aiutarla da sacerdote a camminare verso Dio, servendo in umiltà, carità e fedeltà Gesù Cristo e la Sua chiesa (Scr. 37,254).
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Le contrarietà dobbiamo sostenerle con cristiana rassegnazione e fortezza d’animo: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere nella tristezza. La confidenza in Dio le sia balsamo per tutti i mali (Scr. 38,195).
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Ora dirà alla buona Sig.ra Maria Vittoria che la nostra debolezza non deve abbatterci: è in Dio che dobbiamo confidare. La confidenza nel Signore è la fonte del nostro coraggio. Io sapevo bene che lei è in alto mare, ma le onde non devono fare paura, basta che alzi un po’ gli occhi e troverà la stella, che è la Madonna SS.ma, e avanti! Se il Signore ha stabilito che essa faccia qualche cosa per lui, non deve forse essa cominciare con i sacrifici? Su, dunque, o buone figliuole del Signore, non ci devono parere gravi i sacrifici che facciamo per il Signore: niente deve piacerci di più che patire qualche cosa per Gesù Signor nostro, per la santa Chiesa e le sue anime (Scr. 39,33).
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Adesso, vedete, che io faccio alla Madonna SS.ma della Guardia il Santuario, il diavolo, per odio, va scatenando anche una grande guerra e fin turpe contro di me. Ma io lo so che è lui; state attente ora voi a non lasciarvi soffiare nel cuore da quel brutto mostro, che tenta e tenterà con la sua scaltrezza di avvilirvi e di farvi perdere d’animo e di speranza. No, pregate e state ferme ai piedi di Gesù e di Maria SS.ma della Guardia. Umiliatevi sempre, ma non vi abbattete mai, e pregate, tacete per l’amore di Dio e della santa Madonna, e state tranquille e di lieto animo e serene (Scr. 39,134).
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Facciano la carità di dire alla loro sorella questo pensiero che mi è venuto di essa dopo avere pregato e appunto dopo avere pregato per loro e per essa. Le dicano dunque che, quanto più si sente malandata e abbattuta e tanto più si getti con tutti i suoi immensi bisogni nel seno della tenera misericordia del Signore, e quanto più sentirà che il male non vorrà andare, e tanto più chiami il Signore come il solo rimedio a tutti i suoi mali. E così abbia una grande fede e una grande confidenza in Dio, che è tanto buono. Oh, quanto è grande lo stato del santo abbandono di Dio! (Scr. 41,9).
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Noi dobbiamo arare nei piccoli cuori e crescervi la virtù, il senso della bontà, della onestà, della rettitudine, della temperanza, del lavoro e un profondo e sentito amore alla famiglia, alla Patria, ma con mano molto delicata. E, quando non corrispondono, non avvilirci; e, quando le cose non vanno come noi vorremmo che andassero, non avvilirci mai, mai! L’avvilimento non è mai buona cosa, non è mai buon consigliere, né mai procede da Dio, né mai porta a Dio, né è fonte di bene. Se ne guardi! Se ne guardi! L’anima, che vuole vivere di Gesù, deve bandire ogni tristezza; «santo triste, tristo santo», diceva San Francesco di Sales. Quando siamo di malo, di cattivo umore, siamo cattivi e tutto ci riesce molesto; ed il demonio, che insinua la tristezza sotto l’aspetto di pietà, di ordine, di disciplina, di retto andamento ecc., tende i suoi lacci. È gran danno avvilirci per i nostri difetti e per i difetti degli altri. Umiliamoci, sì, ma non avviliamoci mai! Viviamo, invece, pieni di filiale confidenza nella bontà del Signore. Non c’è nulla, o distinta mia benefattrice, di più caro al Signore che l’umile fiducia e confidenza in lui. Questa confidenza è il miglior modo di onorare il Signore! Le nostre debolezze, le nostre stesse colpe, non ci devono avvilire mai (Scr. 41,237).
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Va’ avanti in Domino! E ti sia di grande sollievo e conforto il pensare ai patimenti sofferti da Nostro Signore Gesù Cristo e ai dolori della SS.ma Vergine, Madre nostra. Non lasciarti poi mai prendere da scoraggiamento o tristezza, ma vivi pieno di fiducia: preghiera e santo coraggio, ché Dio aspetta ancora molto da te (Scr. 42,14).
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Le tentazioni sono una ragione di umiliarci e di confidare in Dio di più. Le tentazioni non devono farci timore, non dobbiamo avvilirci: diffidiamo, sì, di noi, ma senza avvilimento, caro canonico, mai avvilirci! Nelle tentazioni dobbiamo aver fede e coraggio e ravvivare la nostra confidenza in Dio (Scr. 44,13–14).
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Quando ti vengono dei momenti di sconforto e di tristezza (ed io so che il demonio ti tenterà anche da questa parte) tu allora getta tutta la tua confidenza e il tuo cuore nelle mani di Maria SS.ma! Confidenza grande in Maria vergine, confidenza grande in Maria vergine! Essa può tutto con la sua autorità di madre, con il suo potere celeste sul cuore di Gesù, suo divin Figlio e nostro Dio e Redentore (Scr. 44,27).
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Non pensare alle colpe passate per scoraggiarti: umiliati ai piedi della croce ed il sacrosanto sangue di quel Dio che perdona ai suoi crocifissori cadrà sul tuo capo e ti difenderà nella lotta con le tenebre (Scr. 44,186).
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Scusatemi, mio buon padre [Mons. Igino Bandi], sono troppo audace: ah, il Signore lo sa che non vi vorrei mancare di riverenza per tutto l’oro del mondo. E finisco! Voi mi direte: ma tanti dolori mi abbattono e lo stato di salute non mi permette di fare. Ma io vi dico con San Gregorio: fate quello che potete, Gesù Cristo con il suo sangue supplirà; ciò che non potete fare con il lavoro, fatelo nel sopportare i disinganni e il peso della croce. Se non potete prefiggervi San Carlo per modello, prefiggetevi San Francesco di Sales, usando anche verso voi stesso della dolcezza di questo gran santo e non esigendo troppo dalla vostra debolezza: anche questa è carità e umiltà e attività di spirito degna di un Vescovo, essere dolce verso sé stesso né turbarci per il nostro far nulla, ma stare con Gesù in croce e non dubitare di salvare meno anime che quando si stava con Gesù nella vita attiva. Che pensate, o mio buon padre, che ne abbia salvate delle anime più la vista di Gesù in croce o la vista di Gesù che predica alle turbe? Io penso la vista di Gesù in croce. Dunque, coraggio, «cum exaltatus omnia traham ad me». Coraggio, o mio buon padre, animo grande! Non vi perdete di coraggio! (Scr. 45,32).
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Benché senta tutto il peso del mio fango e la debolezza di tutte le mie debolezze e l’ignoranza di tutte le mie ignoranze, no che non mi voglio avvilire, ma mi getto quasi straccio e vero straccio sotto i piedi della santa Chiesa di Gesù Cristo e mi getto e voglio, con la divina grazia, gettarmi sempre e ad ogni momento e poi restare sempre tra le braccia – ah, non ai piedi solo, ché troppo poco sarebbe più per il mio cuore, oso dire, che per il bisogno mio – sì, tra le braccia voglio gettarmi e mi getto in nostro signore Gesù Cristo crocifisso, e voglio perdermi nel suo cuore! (Scr. 45,178).
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Da per tutto dove c’è afflizione, porterete consolazione; dove c’è miseria, soccorso morale e materiale, dove ci siano animi abbattuti, date incoraggiamento: buona figliuola del Signore, non vi passi davanti una sventura che voi non alleggeriate almeno con il desiderio. Amate di stare più con quelli che piangono che con quelli che ridono (Scr. 46,136).
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Cari figliuoli, non vi abbattano le fatiche, né le tribolazioni, né i sacrifici che avete preso per l’amore di Dio benedetto. Lavorate alacremente e fedelmente, ché grande è il premio che Dio vi prepara. Vicino a noi sta il Signore. Date sempre buon esempio e vivete uniti nella carità di Gesù (Scr. 51,40).
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Io prego particolarmente per te, ma tu stesso hai bisogno di pregare, di non lasciarti avvilire, di confidare molto nel Signore e nell’aiuto materno di Maria SS.ma; poi di non agire da te, ma di lasciarti condurre in Domino, se vuoi trovare pace vera al tuo spirito, e poi fare una morte consolante, a suo tempo (Scr. 51,66).
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Sei uno straccio e sei un nulla, ma la tua debolezza e miseria e il tuo nulla, se ti devono far temere di te, non ti devono avvilire. Fermati ai piedi della Madre di Colui che dà vita al nulla e dà forza ai deboli e copre di misericordia anche te, uomo peccatore (Scr. 51,229).
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Quelli poi che, durante l’anno, avessero fatto quanto potevano, continuino senza avvilirsi, perché il Signore li premierà di aver fatto il loro dovere e ad essi avverrà quanto è detto nella santa Scrittura: «gloriam praecedit humilitas»; ora sono rimasti un po’ umiliati, ma Dio li pagherà con una gloria non terrena e con migliore risultato (Scr. 52,144).
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Se nel Piccolo Cottolengo e nelle nostre persone voi, miei benefattori, vedete che c’è ancora tante manchevolezze, non dovete, scoraggiarvi né raffreddarvi per questo, ma siccome voi amate di sincero amore questa Opera di fede e di carità, voi dovete pregare per noi e aiutarci con i vostri consigli a migliorare ogni cosa e noi stessi, prima di tutto (Scr. 52,215).
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Come diportarsi in questi giorni? Non perdete un tempo di tanto valore. Negli Esercizi Spirituali e nel ritiro sono annesse grazie speciali e benedizioni del Signore: a) «Domine fac ut videam!»; b) metterci di buon animo e non lasciarci turbare dal demonio, da abbattimenti, da agitazioni. Non lasciatevi abbattere da difficoltà. Il demonio cercherà di mettervi inquietudini, pene sulle confessioni, timori di continuare (Scr. 55,43).
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Se la prova fallisce ricominceremo da capo: una seconda, terza, quarta, dieci, cento volte, non scoraggiamoci mai, come le formiche. Don Bosco nei primordi ebbe amarissimi disinganni: non si scoraggiò mai. Il bene fatto non si perderà: se si perdesse avanti agli uomini, resta avanti a Dio. Questo ci deve consolare! (Scr. 56,156).
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Voi farete tutto quel poco che potrete e il Signore farà il resto e la SS.ma Vergine, che è la nostra madre, vi assisterà e conforterà. Nelle difficoltà non bisogna avvilirsi, ma confidare nella Madonna e nella Divina Provvidenza (Scr. 63,119).
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Siamo meschini, lo confesso, ma non dobbiamo avvilirci: l’Altissimo sa rendere adatti alle più elevate imprese i più inabili fra gli uomini. S’infiammi dunque il nostro cuore all’accento sublime e alla celeste carità di Cristo (Scr. 64,306).
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Raccomandiamoci sempre al Signore. Non temiamo lo scoraggiamento! Lo scoraggiamento ci fa sperimentare la nostra miseria e ci fa conoscere con il fatto che abbiamo bisogno di Dio, che è la sola fonte della forza e del conforto spirituale (Scr. 65,116).
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Vedi, caro Federico, in una specie di visione intellettuale ti ho veduto correre all’abisso, accecato dal tuo amor proprio, dalla tua superbia; di solito i vizi, che stanno nascosti nelle anime e le guastano, come il tarlo e la tignola corrode il legno, sono quelli che nascono dall’amor proprio. Bisogna che tu entri in te stesso, sii forte e riconosca i tuoi falli senza avvilirti e che ti metta a combattere le tue male abitudini e a far macchina indietro, se vuoi salvarti. Devi pregare, non devi più essere un nottambulo, devi romperla con certe amicizie e compagnie, devi ritornare cristiano e combattere virilmente le tue male tendenze (Scr. 66,73).
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Non vi avvilite, buona figliuola del Signore, dei vostri difetti e delle difficoltà che incontrerete, ma la vostra confidenza sia sempre nuova e grandissima nel Signore. Tutto riuscirà a bene se sarete, con i piccoli e con i grandi, dolce e umile, come una mamma con i suoi piccoli bambini, se non vorrete fare troppo e troppo presto. Ma quanto più bene fa Gesù, Agnello di Dio! Gesù, mare senza fine e senza fondo di divina dolcezza (Scr. 66,118).
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Levate la fronte abbattuta, sentite l’amore di Gesù che viene o anime, figlie amatissime di Dio: dite a Gesù che venga a partecipare alle vostre sofferenze: quello è un servizio d’amico che non vi potrà rifiutare e che egli non vi rifiuterà mai; e unite a Gesù sarà facile sopportare il vostro dolore! Poveri miei fratelli, figli della valle del pianto, destinati a patire tanto quaggiù, guardate il cielo, o miei fratelli, guardate il cielo! Dalla Croce al Paradiso breve è il tragitto: guai a noi, noi infelici se nell’ora in cui l’anima è oppressa dal dolore della vita volgessimo lo sguardo al basso a cercare sulla terra i conforti degli uomini. Sursum corda!, in alto, o dolci fratelli, in alto sempre con lo sguardo e il cuore. Sofferenti, abbassati, affranti, diciamo al Signore: noi ti vogliamo assomigliare o buon Dio e apriamo e le braccia e il cuore per ricevere la Croce che ci deve assomigliare un poco a Te (Scr. 67,356).
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Coraggio o mio buon Padre e confidenza nella Madonna SS.ma. La vostra croce è aspra e gravosa tanto, ma pregheremo e non lasciatevi abbattere: la vostra malattia è il più bel monumento del Vostro amore al Cuore di Gesù e dell’amore di Gesù verso di Voi e verso la Diocesi. Sono cose che paiono da pazzi, eppure la croce è l’amore di Gesù e Gesù si ama in Croce: chi non lo ama in croce, ho letto su d’un libro, che non lo ama (Scr. 72,253).
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In noi, più che suoi servi, suoi figli, non deve entrare alcun scoraggiamento e neppure alcuna tristezza e, peggio, avvilimento. Siamo nelle mani del Signore. Vogliamo amare e servire il Signore, e che si compia in noi la sua santa volontà, sorretti e affidati alla Sua grazia, stando in ginocchio ai piedi di Maria SS.ma, nostra grande Madre e Consolatrice, ma anche e sempre ai piedi della santa Chiesa, Madre pure e Madre grande della nostra fede e delle nostre anime. Di che temeremo noi? Il Signore sta sempre vicino a quelli che lo amano, che desiderano amarlo e servirlo, da sani e da malati, sempre e sempre più fedelmente, da buoni soldati di Cristo e vogliono con Gesù e per Gesù vivere e faticare in amore santo di carità, di sofferenze, di consumazione di noi stessi, divina ostia, divino olocausto nella volontà di Dio, nella carità di Gesù Cristo (Scr. 73,142).
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Voi pregate e perseverate: le vostre infermità non vi abbattano, ché l’estremo della miseria nostra è ciò che fa risplendere di più la Divina Misericordia (Scr. 73,230).
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La nostra debolezza, o mio caro figliuolo in Gesù Cristo, non ci deve sgomentare né avvilire, dobbiamo considerarla come il trofeo della gloria di Gesù Cristo. Se ci gettiamo in Dio, per quanto miseri, è certo che Egli non ci lascerà in terra, ma ci raccoglierà nel suo seno (Scr. 74,87).
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Pregate di più! Più spirito di pietà, più fervore e osservanza di vita religiosa! Via ogni abbattimento, via la pusillanimità! Siate forte e superiore alle difficoltà e siate felice di fare qualche sacrificio per Gesù Cristo. Confidiamo nel Signore e nella Madonna e Dio e Maria SS.ma vi aiuteranno. Non dovete poi con la fantasia rendere grandi le difficoltà, ma dovete avere un pensare virile e da religioso! Via ogni pigrizia e viltà d’animo! Dio vi penetri del Suo spirito! (Scr. 74,127).
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Fa’ le tue pratiche di pietà bene e non a salti, ricordati che quello che ti abbatte e contrista è spesso una cosa da nulla e una tentazione. Tu hai oggi bisogno di tre cose: di pregare la Madonna, di umiltà e di abbandonarti nelle mani di Don Orione come un bambino (Scr. 75,214).
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Preghiera nei momenti di sconforto e abbattimento morale. Prostrato dinanzi a voi, o gloriosa Santa Rita, imploro umilmente il vostro aiuto nelle mie presenti miserie morali. Sopraffatto da pene, da rimorsi, da tentazioni senza numero e senza tregua, mi sento invaso da tristezza e da sfiducia, che opprime il mio povero cuore e mi toglie l’energia dello spirito, la costanza ed il vigore nel bene. Quante agitazioni io sento nella mia coscienza, quante inquietudini sul presente, sul passato e sul futuro! Alla vista delle mie ricadute, dopo tante promesse d’emendarmi, della poca forza a resistere ai nuovi assalti delle tentazioni, io mi sento oppresso da uno sconforto tale che mi porta allo scoraggiamento, alla disperazione. Deh!, voi che tanto potete presso Dio, supplicatelo affinché si degni consolare il mio povero cuore afflitto e resti così sollevato nelle presenti angosce che mi opprimono. Ottenetemi la grazia di poter risorgere dallo stato di miseria in cui mi trovo e tenete da me lontano il malumore, lo scoraggiamento, la disperazione. Le mie colpe, voi le vedete, sono gravi e ripetute e non ho coraggio di gettarmi ai piedi del mio Dio oltraggiato. Eppure io voglio assolutamente risorgere dalla mia abiezione, voglio da Dio il perdono dei miei peccati, voglio salvarmi! A voi ricorro, o mia cara Protettrice, in voi confido, da voi spero ottenere anche l’aiuto per non acconsentire mai più alla voce delle passioni, del mondo, del demonio! Sono debole, incostante, incapace di mantenere da solo questi miei propositi: fortificate voi la mia volontà, accorrete in aiuto della mia debolezza nel momento terribile e doloroso della tentazione. Ottenetemi, vi scongiuro, la grazia di resistere sempre onde potere in tal modo camminare senza inciampi per la via della eterna salute (Scr. 82,195).
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Gli imbarazzi, i riflessi secondari, i turbamenti, bada che sono macchine del demonio per scoraggiarci, per trattenerci sulla strada, per poi farci deviare, distraendoci dal seguire prontamente con animo generoso la divina chiamata. Se c’è cosa che il demonio odia e cerca di disturbare, questa è la vocazione religiosa; ma tu raccomandati alla Madonna; non si può riuscire, se non col materno patrocinio di Maria SS.ma, pregando e combattendo sempre (Scr. 90,418).
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Nostro Signore Gesù Cristo non permette che siamo tentati sopra le nostre forze. Se restiamo feriti nel combattimento, non ci avviliamo: preghiamo la Madonna SS.ma, mettiamoci nelle mani della SS.ma Vergine, nostra Santa Madre (Scr. 90,423).
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Se ci buttiamo in Dio, per quanto miseri siamo, anche quando noi siamo cattivi, deboli, infermi, è certo che Egli non ci lascerà in terra, ma ci raccoglierà nel suo seno. Non avviliamoci dunque, non scoraggiamoci mai: chi confida in Dio non può perire e non sarà mai confuso. Ama il Signore, pregalo; ama la Santa Madonna, avvicinati al suo cuore di Madre e sarai confortato! (Scr. 101,237).
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Fondiamo dunque tutta la nostra confidenza e il nostro coraggio nel nostro caro Padre celeste, nel nostro Dio grande e buono, sempre buono e sempre Padre! In noi, più che suoi servi, suoi figli, non deve entrare alcuno scoraggiamento e neppure alcuna tristezza e, peggio, avvilimento. Siamo nelle mani del Signore: vogliamo amare e servire il Signore e che si compia in noi la sua santa volontà, sorretti e affidati alla sua grazia, stando in ginocchio ai piedi di Maria SS.ma, nostra grande Madre e Consolatrice, ma anche e sempre ai piedi della Santa Chiesa, Madre della nostra fede e delle nostre anime (Scr. 111,200).
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Il Manzoni ha scritto, nei Promessi Sposi, queste grandi, consolanti parole: «Il Signore non turba mai la gioia, la pace dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande». Dunque non si lasci abbattere qualunque cosa avvenga, ché la Mano dell’Altissimo sta aperta sopra di Lei! Sento che la Sig.ria Vostra mi aiuterà a lavorare, nell’amore di Dio e del prossimo, a fare del bene, e di questo stia lieta in Domino (Scr. 119,49).
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Ridestiamoci, scrolliamoci, senza tanta indulgenza e falsa pietà di noi. Umiliamoci davanti al Signore: non avviliamoci; umiliarsi sì, avvilirci no, mai! Alziamo gli occhi ed il cuore alla nostra Madre, la Santissima Vergine, invochiamola, promettiamole di voler amare di più e tanto, ma tanto e tanto, il suo Divin Figlio, Nostro Signore e Lei, la nostra Santa Madre, e la Chiesa e la Congregazione (Lett. II,269).
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Coraggio, nessuna si avvilisca, è tutto per il vostro bene: raccomandatevi a Maria Santissima e pensate che chi regola e dirige tutto questo è nostro Signore e, se lui vi vuole qui, nessuno può mettervi fuori: se anche vi cacciassi io, il Signore troverebbe modo di farvi restare. Se qualcuna non avesse i voti necessari, non si perda di coraggio, non si avvilisca: avanti sempre. Il Signore vorrà provarla mandandole questa croce (Par. I,55).
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Lavorate su di voi, ma praticamente, in spirito di umiltà, sopportando voi stesse, perché, per talune, la croce più pesante è sopportare loro stesse, e non vi avvilite per i vostri difetti, ma, appena vi accorgete di essere cadute, rialzatevi subito, con la benedizione di Dio, umiliatevi con nostro Signore, con le vostre sorelle e ricordatevi, sempre, che siete solamente quel che siete davanti al Signore (Par. I,157).
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Spirito di grande umiltà, ma santa gioia in nostro Signore. Siate liete! Nulla vi turbi, né il grande silenzio vi dia tristezza, ma gioia spirituale, né la vista dei vostri peccati vi sconforti o vi avvilisca: dolore sì, avvilimento no. Abbiate invece una santa confidenza nel Cuore Santissimo di Gesù. Attaccatevi alla Madonna Santissima (Par. I,164).
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Coraggio, non vi avvilite, non vi scoraggiate! Ave Maria e avanti! Se qualche momento la sorte del vostro Istituto vi ha fatto trepidare parendo fosse lì lì per perdersi, non temete; guardate la Stella, invocate Maria! La barchetta del nostro Istituto è guidata da Maria: Essa è la nostra nocchiera. Noi siamo nelle sue mani, Ella ci protegge, non possiamo perderci (Par. I,166).
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Non voltatevi indietro; quel che è stato è stato, metteteci una pietra. Vi è stato del male? Pentitevi e non pensateci più: solo va ricordato il male, non già per avvilirci, ma per umiliarci. E dite a Gesù: Quanta misericordia per la mia povera anima! Il Signore vuol confortarci e non vuole avvilirci. Vi dico questo per confortarvi, perché lo spirito di Dio è spirito di conforto. Il Signore dimentica e noi vorremmo rivangare? Avanti, con l’aiuto di Dio! (Par. II,121d).
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In mezzo ai contrasti non vi abbattete, o umili straccione, umili Suore Missionarie della Carità! Guardate quel Crocifisso che portate sul cuore e unite i vostri palpiti ai palpiti del Cuore Sacratissimo di Gesù. E quando venissero anche per voi dei momenti di stanchezza, di debolezza, ah, premete sul vostro cuore il Cuore di Gesù, pensate che breve è il patire ed eterno il godimento (Par. II,183).
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La Vergine Santa ci tenga in piedi, non ci lasci accasciare, abbattere nelle pene che il Signore ci manda. Guardando a Gesù, confondiamo le nostre lacrime ai pianti materni di Maria, Virgo dolorosissima! La Madonna! Mentre siamo in questa terra, in questa valle di pianto, versiamo le nostre lacrime sul suo seno: Essa le trasformerà in perle per il paradiso (Par. IV,470).
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Pensiamo ai grandi disegni che Dio ha certamente su di noi, agli scopi, a noi segreti ma sicuri, per i quali ci ha chiamati in religione. Può darsi che, nella vita passata, abbiamo dimenticata questa verità, forse ci siamo scoraggiati. «Spera in Domino et fac bonitatem», dice la Sacra Scrittura: fa’ il bene e abbi fiducia in Dio; va’ avanti senza scoraggiamenti, non dare locum diabulo. Ripetiamo la nostra risposta a Dio: Sì, Signore, io credo in te, nel tuo amore; «in Te, Domine, spes mea»: ogni mia speranza è in Te, tutto in Te confido... Avanti, avanti! (Par. V,88).
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Voi potete essere tentati di ricordare certe cadute, certi peccati della vita passata o pensieri men che buoni: come farai a farti religioso? Ed altre simili tentazioni. Il demonio cercherà di avvilirvi per poi pescare nel torbido. Umili sì, sempre; ma avviliti mai, mai, mai! Bisogna lottare e vincere i turbamenti! E ricordatevi sempre che tutto ciò che vi turba e vi sconvolge e vi agita e vi lascia inquieti, non è lo spirito del Signore. Il suo spirito non è di amarezza; il suo spirito dona e lascia la vera pace nel cuore (Par. VI,149).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Aridità di spirito, Croce, Fede, Fortezza (virtù), Pazienza, Perseveranza, Prove, Tentazioni.
Accademia filosofica
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Qui a Tortona saprete che abbiamo nel seminario l’accademia di San Tommaso: all’anno tiene tre tornate, e vengono invitati alcuni a dimostrare alcune verità di cui ordinariamente si parla nella Somma di San Tommaso, ora ieri siete stato proposto a Mons. Vescovo da Perosi e Campiglio siccome uno di quelli che dovranno tenere discorso in una di dette tornate (Scr. 30,18).
Vedi anche: Cultura, Filosofia, Letteratura, San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae.
Adorazione eucaristica
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Caro mio Signore Gesù, dolcissimo Salvatore e Padre mio, credo che Voi siete realmente presente nel SS.mo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e ardentissimamente Vi desidero nell’anima mia. E perché ora non posso riceverVi sacramentalmente, Vi supplico, o caro mio Gesù, di venire almeno spiritualmente nel mio povero cuore. E come già venuto, Vi adoro, o mio Dio, e Vi abbraccio e mi unisco tutto a Voi: Iesu, filii David, miserere mei! O Gesù, figliuolo di Davide, abbiate misericordia di me! Iesu, filii Dei, miserere mei! O Gesù, figliuolo di Dio, abbiate misericordia di me! Iesus, Deus meus, misericordia mea! O Gesù, Dio mio, misericordia mia! Deh, non permettete che mi abbia mai a separare da Voi. Eterno Padre, io Vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in sconto dei miei peccati e per i bisogni di Santa Chiesa (Scr. 118,117).
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Eccoci, o anime, che amate e desiderate amare Gesù e amare Gesù nei suoi poveri e nei suoi piccoli, eccoci ai piedi del Tabernacolo augustissimo, ai piedi di Gesù Sacramentato. Oh, quale grande grazia ci fa mai il Signore! Quale atto grande d’infinita bontà e di amore verso di noi e verso quest’umile Casa! Che grande pegno di benevolenza e di benedizione è mai questo, di avere qui Gesù con noi, di trovarci qui con Gesù, o anime che amate il Signore ed i poveri (Par. III,69).
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Quanta buona cosa trovarci qui ai piedi, non solo del Tabernacolo, del Signore, ma di Gesù Sacramentato, esposto alla pubblica adorazione della gente che è qui con noi, di Gesù che ha voluto fare sua la casa dei poveri, di Gesù che ha voluto vivere con i più umili, di Gesù che è qui con noi per spargere sopra questa Casa e sopra le nostre anime le sue benedizioni celesti e copiose. Oh, adoriamo anche noi il Signore, con quella effusione di fede, con quella riverenza profonda, con quello slancio di adorazione, come Gesù è adorato dagli Angeli ed era adorato sul monte Tabor da Pietro, Giacomo e Giovanni. Eccoci davanti al Signore, davanti a Gesù, che è il nostro Padre, davanti a Gesù che è il nostro Salvatore, che è il nostro amore, che è la nostra vita, il palpito di tutte le anime che vogliono vivere, non nelle miserie della fugacità di questa terra, ma vivere di Dio, vivere di fede, vivere della vita e dell’amore di Lui. Oh, viviamo di Gesù, e portiamo a Gesù tutte le facoltà dello spirito, l’intelligenza, la libertà, la ragione tutta, gli affetti del cuore, tutti i sentimenti della vita. Tutto abbiamo ricevuto dalle mani di Dio, tutto ritorni a quel Dio che tutto ci ha dato. Oh, con quanto amore si gettava ad adorare Gesù Sacramentato il Beato Giuseppe Benedetto Cottolengo! Oh, le ore sante passate dal Santo della Divina Provvidenza, dal Santo dei poveri, davanti a Gesù Sacramentato! È là che il Beato Cottolengo, ai piedi del Signore, è là che egli attingeva quella fede, quella tranquillità di spirito, anche in mezzo alle prove più intime, più dolorose, anche nelle ore della persecuzione, anche quando tutti avevano fatto il deserto attorno a lui e si trovava solo con i suoi poveri. È là che egli attingeva quelle parole che proferiva a tutti i poveri, il caro conforto dei Sacerdoti di Gesù Cristo. Oh, che anche a me e a voi si degni, Gesù Sacramentato, di dare un po’ di quello spirito che animava e ardeva nell’anima del Beato Giuseppe Cottolengo! Oh, gettiamoci anche noi ad adorare Gesù, per quanto a noi è possibile, come lo adorava la sua Santissima Madre, la Santa Madonna (Par. III,70).
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È ai piedi di Gesù, o fratelli, che si fortificarono tutte le anime che vollero seguire più da vicino il Signore; è adorando Gesù che esse si rialzavano fortificate. Deh, o Gesù castissimo, deh, o Gesù Sacramentato, ecco stese davanti a Voi, ai piedi del vostro trono, le nostre anime, i nostri cuori. Vi adoriamo o Signore, non vogliamo altro che la nostra vita sia una adorazione continua e perenne di Voi. Vi adoriamo, o Signore, da per tutto; seguiamo in spirito tutti i vostri passi ed anche le orme insanguinate lungo il sentiero del Calvario. Ma qui, davanti a Voi esposto nel Santo Ciborio, deh, o Signore, vi adoriamo noi umili servi, vi adorano questi cari poveri. In questa Casa che è vostra, vi adorano quelle anime piene della carità del Signore, che si sono fatte, plasmate di Carità per questi poveri. Vi adorano, spiritualmente uniti a noi, quanti in quest’ora di adorazione non hanno potuto venire con il loro corpo, ma sono qui in spirito con l’anima loro. Deh, o Signore, deh, ricevete per le mani di San Giuseppe, per le mani del Beato Cottolengo, per le mani della Madonna, l’adorazione profonda dei vostri servi, dei vostri figli! (Par. III,71).
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Il Santissimo Sacramento ci parla di amore, è il Sacramento, il segno dell’amore di Dio per noi! Riscaldiamoci il cuore al fuoco della carità di Cristo, di quella carità che dove arriva porta un soffio di vita e di felicità. Questo amore si estrinsechi nella frequente Comunione, nella fervorosa visita al Santo Tabernacolo (Par. V,220).
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Siamo devoti e facciamo visite frequenti a Gesù Sacramentato e vediamo di nutrire delle carni immacolate dell’Agnello di Dio la nostra vita e le nostre anime (Par. VI,191).
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L’adorazione deve essere tale che sia come un’offerta di tutti noi; non solo atto di prostrazione, atto esterno, ma deve essere interiore e deve essere soprattutto viva! Già l’adorazione porta in sé questa idea, questo concetto. Adorazione significa, esprime l’atto massimo del culto. Infatti il Signore dice: «Dominum tuum adorabis», Adorerai il tuo Dio e Signore. «Venimus cum muneribus», Siamo venuti ad adorare il Signore con doni. Non deve essere, il nostro, atto sterile, un atto di apparenza, ma deve avere con sé tutto quello che noi siamo. Adorare il Signore con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze: donare noi stessi. Il resto è molto secondario, è molto secondario (Par. XII,12).
Vedi anche: Adorazione Quotidiana Universale, Eucaristia, Messa (santa).
Adorazione Quotidiana Universale
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L’Opera della Divina Provvidenza e l’Adorazione universale Quotidiana a Gesù Sacramentato sono i prodotti della Carità in questo ultimo tempo: io sono tutto dell’Adorazione Quotidiana Universale, per essere tutto dell’Opera della Divina Provvidenza: là vivrà l’Opera della Divina Provvidenza ove viva sia l’Adorazione Quotidiana a Gesù Sacramentato (Scr. 36,12).
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Convengo pienamente con voi per ciò che riguarda la perpetuità in sé stessa dell’adorazione quotidiana universale. Quando una istituzione è da Dio, e si mantiene viva nello spirito di Dio, il Signore pensa lui a stabilirla e a renderla perpetua. E penso proprio anch’io che la Carità verrà da Gesù, perché non può venire che da Lui: e la porta del Tabernacolo sarà certamente la porta delle divine misericordie Anch’io sento un grande desiderio di amare il Signore e di consumare la mia vita davanti a lui (Scr. 36,25a).
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La divina Eucaristia nell’Adorazione perpetua e nella Santa Comunione è il fondamento della vita cristiana, senza di cui non si farà mai nulla, è il segreto di tutti i conforti, di tutte le virtù, di tutta la santità, di tutti i prodigi della Divina Misericordia: la porta del Tabernacolo è la porta delle Divine misericordie (Scr. 57,223).
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L’Adorazione Quotidiana Universale non deve essere una associazione momentanea, istituita più per i bisogni di un tempo che di un altro, ma deve essere perpetua. Come Gesù ha detto che rimarrà «usque ad consummationem saeculi», sino alla fine dei secoli, così sino alla fine dei secoli, perpetuamente prostrata davanti a Gesù, vi deve essere la Associazione dell’Adorazione quotidiana universale (Scr. 71,93).
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Sento che l’Adorazione quotidiana Universale, come è voluta da Nostro Signore Gesù e raccomandata dal Santo Padre e dai Vescovi, deve assorbire da oggi fino all’ultimo momento della povera vita che piacerà al Signore di lasciarci tutte le nostre forze e che tutte le nostre forze e attività dobbiamo vivificare e consumare nella Carità di Gesù Sacramentato. Allo sviluppo universale e alla perpetuità dell’Adorazione Quotidiana Universale a Gesù Sacramentato io debbo lavorare per ottenere misericordia di tanti peccati e di tanti anni perduti ed ho stabilito di incominciare il mio lavoro subito nel nome del Signore (Scr. 72,92).
Vedi anche: Eucaristia, Messa (santa).
Affabilità
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Tu dovrai stare in Casa più che puoi e metterti tu a contatto del tuo popolo, più che puoi, ma con bei modi, pieni di affabilità, sì che tutti vadano via contenti o, almeno, ben trattati (Scr. 7,315).
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Sabato verranno su in automobile un conte e un generale con i loro figli: offritegli un po’ di caffè e siate affabili e pieni di cortesia con i visitatori. Te lo raccomando (Scr. 30,170).
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Avete fatto bene ad accettare l’incarico che vi ha dato il parroco: fate quanto meglio potete in Domino e vedete di attirare le ragazze. Ci sono tanti che tirano al male, adopratevi a tirare al bene. Siate molto molto affabili con le mamme come con le ragazze; e molto mamma con i bambini (Scr. 39,97).
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Ti mando un compagno, anzi un fratello in aiuto: dagli buon esempio in tutto e confortalo al bene. Vedete di andare d’accordo e che la carità fraterna regni in codesta casa sempre. Tu non essere sostenuto, ma affabile e pieno di carità. Ama e prenditi cura dei giovanetti come di tanti fratelli e procura che la loro anima viva sempre unita al Signore e in grazia grande con Dio. Trattali tutti ugualmente e non affezionatevi ad uno più che ad un altro (Scr. 42,117).
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Tu devi prenderti per protettore speciale San Francesco di Sales che è il santo della dolcezza e della mansuetudine e ricordare che Gesù ha voluto essere indicato sotto la figura di agnello mite e dolce. E quando ha detto che noi dobbiamo imitarlo e imparare da Lui, non disse di imparare da Lui e fare il mondo o cose straordinarie, ma «discite a me quia mitis sum et humilis corde». E così imparerai la affabilità: caccerai da te la collera e avrai dolcezza e carità. La dolcezza con i fratelli e con tutti è anche segno di umiltà e la collera di superbia (Scr. 46,96).
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Ispiriamo nei giovani l’amore e il desiderio dei Sacramenti della confessione e Comunione parlando loro della predilezione di Gesù verso i fanciulli, nei Catechismi, nelle istruzioni, nei fervori esortiamoli alla frequenza della Congregazione e Comunione con la dolcezza di San Francesco di Sales, con l’affabilità di San Filippo, con le viscere di paterna carità del Divino Maestro (Scr. 56,97).
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Chi confida in Dio non sarà confuso. Nessuno di quelli che hanno confidato nel Signore è mai perito. La sua conversazione era umile e modesta: sempre eguale, piena di benignità, di prudente delicatezza e di affabilità, nemica di tutte le parole inutili e oziose, delle superflue conversazioni e di ogni vana curiosità (Scr. 56,264).
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In modo speciale vi raccomando la mansuetudine e l’affabilità: quella mitiga l’impeto dell’ira, con la quale nessuna cosa può farsi diretta e considerata: questa vi spoglia delle abitudini rozze, aspre, inurbane e vi riveste di maniere cortesi, dolci e, vorrei dire, signorili, senza affettazione. La mansuetudine non deve degenerare in debolezza, l’affabilità in cortigianeria. «Medio tutissimus ibis»: la virtù rifugge dall’eccesso e dal difetto (Scr. 62,9).
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Tratta bene e sempre con grande educazione e affabilità tutte le persone, buone e non buone, piccoli e grandi: sii tu il primo sempre a salutare (Scr. 68,114).
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Agite senza fretta, con tatto delicatissimo e con quanto avete di fede e di carità verso i fratelli, con quanto avete di forza morale, di preparazione di sana cultura e di prestigio sociale e tutto e sempre con affabilità grande, con fine educazione, senz’aria di predicatori né di conquistatori. E Dio sarà con Voi! (Scr. 72,10).
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Non siate di quelle che hanno sempre bisogno di combattere, di fare la guerra: fuggite le contese, non contrariate per cose da niente. La carità è affabile, mansueta. Gesù Cristo non dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore? Non siate di quelle che sono graziose con i superiori e invece con le consorelle, con quelle che sono sotto di loro, vere furie, che bisogna farsi il segno della Croce per avvicinarle (Par. I,207).
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Se i Sacerdoti sono privi dello spirito di pietà – quand’anche fuori di casa il loro nome corra sulle labbra di tutti e tutti ammirino l’abilità, l’ingegno e perfino lo zelo apostolico – quei di casa, che li hanno sempre sotto gli occhi, che mangiano il pane insieme, che hanno diritto di avere nei Sacerdoti degli Angeli custodi, non sono affatto contenti di loro. Mirabilia fuori: miserabilia in casa. Se si ha la pietà si è affabilissimi non solo con quei di fuori, ma anche con quei di dentro. Persuadiamoci che dallo spirito religioso e di pietà dipende il buon andamento della Casa e della Congregazione (Par. III,33b).
Vedi anche: Educazione (civica), Galateo,
Aggregati
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Verrà a giorni, e forse anche domani, un nuovo aiuto alla Parrocchia di Ognissanti. È un Sacerdote di Imola, che io conosco da qualche anno, ottimo sotto ogni riguardo, il quale era già da anni addetto a quell’Istituto Santa Caterina di Imola, che ora si è aggregato alla nostra Congregazione; si chiama Don Vincenzo Errani. Egli entra ora a fare parte della nostra Congregazione e lo mando a fare la sua prova con te a Roma, visto il bisogno di codesta Parrocchia. Lo affiderai a Don Candido, perché non essendoci costì un Noviziato regolare, almeno è necessario ci sia chi ne curi e formi lo spirito religioso (Scr. 7,268).
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Vai tu personalmente a Grotte di Castro e dirai da parte mia al sig. Flavio che ti mando a ringraziarlo per le £. 50 mila. Se egli le dà a fondo perduto, come si suol dire, io Lo iscriverò tra i Benefattori Insigni della nostra Congregazione. E se oltre a questo atto di beneficenza egli volesse fare testamento a nostro favore o dare altro denaro, vorrei iscriverlo come tra i nostri Aggregati, come il Conte Servanzi e altri, quindi egli avrebbe dopo morte, tutti i suffragi e aiuti spirituali come uno di noi (Scr. 7,300).
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Ti prego, entro non più di tre giorni dacché avrai ricevuta la presente, di riunire in chiesa o nella cappella della Casa a cui presiedi, i confratelli sacerdoti, eremiti, chierici novizi e quei coadiutori che, anche senza voti, pure da anni lavorano insieme con noi come moralmente aggregati alla nostra Congregazione. Recitate tre Ave Maria, prima e dopo, con Pater, Ave e Requiem infine per i nostri confratelli già passati alla eternità, darai loro lettura della presente comunicazione e ciò farai senza alcun commento, solo raccomando a tutti la carità e la unione dei cuori nel Signore e che non se ne chiacchieri né si mandino rallegramenti (Scr. 24,59).
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Quanto ai due sacerdoti che si sono allontanati in quel modo, senza alcun mandato, senza alcun permesso, se tu sarai interrogato da qualche autorità dirai nettamente che essi non hanno alcun mandato, né il Superiore riconosce quanto essi arbitrariamente faranno. Scriverai loro, se sai dove sono, che li invito a venire in Italia o, presentandosi a codesta casa, notificherai ad essi l’ordine di venire; oppure che si cerchino un Vescovo benevolo che li accolga in sua diocesi; ma in codesta casa non devono più stare, se non per breve tempo, e solo in qualità di ospiti, non più come destinati o aggregati alla casa, né devono avervi nessuna mansione od ufficio (Scr. 32,110).
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Data la raccomandazione di V. Signoria e la prova già fatta dal sac.te Visini, sarei disposto a riceverlo, come semplice aggregato, destinandolo a un eremo della Divina Provvidenza, purché egli venga già con la facoltà di celebrare e accetti di fare vita di solitudine, di orazione e di lavoro. Informerei di anno in anno la Sacra Congregazione della condotta di lui (Scr. 42,179).
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Del sacerdote Augusto Sampaoli, per tutto quel periodo di tempo che rimase aggregato a questa Piccola Opera, mi è gradito di poter dare buone informazioni quanto a moralità (Scr. 48,116).
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Il sottoscritto è ben lieto di poter attestare che il giovane Alessandro Furlani da Venezia, durante il periodo di tempo di sua permanenza presso la Piccola Opera della Divina Provvidenza, prima negli anni che vi rimase in educazione, poi quale aggregato a questa Istituzione di carità, tenne sempre condotta lodevole, sotto ogni rapporto (Scr. 53,222).
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Dichiara il sottoscritto che il Sac. Riccardo Gil del fu Francesco, di nazionalità spagnolo (regione Aragone) da venti anni è aggregato alla Congregazione religiosa detta la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Egli fu sempre Sacerdote di condotta illibatissima ad esemplare sotto ogni rispetto, tutto dedito all’orazione e alle pratiche di pietà proprie della vita sacerdotale (Scr. 74,187).
Vedi anche: Carissimi, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Famuli, Fratelli coadiutori.
Alighieri Dante
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Cristo intanto vuole che voi che studiate, non vi lasciate sedurre dalla vanità e superbia del sapere umano «immagini di ben seguendo false, che nulla promession rendon intera», direbbe Dante (Scr. 26,158).
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Dobbiamo essere apostoli, se no tradiremmo la nostra vera vocazione e finiremmo nel nulla, se pur non diventeremo degli apostati, se non di nome e di forma, di pratica e di fatto, cioè di vita ignava, «a Dio spiacenti e a’ nemici sui», direbbe Dante. Dio e la Chiesa hanno bisogno di avere in noi dei vivi, anche quando questo corpo sia caduto sulla breccia (Scr. 29,267).
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Carità lieta, che mai si turberà, la quale, perché verace e veramente da Dio, non avrà, no, a dispetto la ragione, ma darà anzi ad essa il suo posto d’onore e maggior importanza darà alla ragione di quello che non le hanno dato finora molti che parvero o si dissero di essa paladini, cultori e adoratori financo. Ma una carità «che non serra porte», come direbbe Dante nostro (Scr. 31,58–59).
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Non dice forse Dante che la libertà è «lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando?». E questa santa libertà dei figli di Dio io intendo da padre di rispettare e far rispettare in te, o figliuol mio; né le mie espressioni devono intendersi, né mai dovranno intendersi altrimenti. Quindi non è da lasciarsi turbare mai, ma solo amiamo Dio e affidiamoci alle mani della Sua Divina Provvidenza (Scr. 31,231).
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La attuale mia situazione risente tanto della crisi generale che proprio non potrei far altro che pregare per essa, ma, anche potessi dare, ella comprende che sarebbe cosa assai delicata. La ragione però, onde vorrei poterle parlare, oserei dire che è più grave e Dante direbbe: «Se’ savio; intendi me ch’io non ragiono» (Scr. 37,145).
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Caro padre Ignudi, la Grazia di nostro Signore sia sempre con noi! Ricevo la gradita sua e la ringrazio. Ero passato per ringraziarla di persona per il suo articolo su «La Madonna in Dante», che è piaciuto tanto. Dio la rimeriti! (Scr. 37,166).
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Va’ qualche volta, dai chierici a Sette Sale. Vada, vada, e parli loro di Dante, faccia sentire e vivere lo spirito e la fede purissima di Dante e la devozione sua alla Vergine Madre (Scr. 37,173).
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A Bra faccia un po’ di Esercizi ai pochi o ai tanti che non li avessero ancora fatti. E, se si sente e lo può, dica qualche parola sulla Madonna e Dante, su la pace e Dante, sul Papa e la Chiesa e Dante, a quei liceisti di I e II liceo. Grazie di tutto, Dio la benedica (Scr. 37,174).
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Non c’è carità senza umiltà. In questa dolce novena dell’Immacolata chiediamo alla Vergine SS.ma la grazia della santa umiltà. La Madonna fu scelta da Dio ed elevata alla più grande dignità d’essere la madre di Dio perché fu trovata umile. E Dante dice della Vergine celeste: «umile e alta più che creatura». Ma fu alta, perché fu umile (Scr. 39,89).
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Alziamo gli occhi al Paradiso e mettiamo nella Madonna ogni nostra confidenza: è la nostra Madre! Rinnoviamo ogni dì questi nostri sentimenti. Ricorriamo a lei nelle nostre pene, nelle nostre tentazioni e in tutti i nostri bisogni spirituali e corporali. Possiamo noi fare cosa migliore che di avvalorare le nostre orazioni e suppliche che con la intercessione di sì potente avvocata? Che con la mediazione di tanta nostra Madre? Preghiamola con San Bernardo, il grande santo della Madonna, che pure Dante ha voluto porre là nell’eccelso del Paradiso, a cantare la grandezza, la potenza, la gloria di Maria (Scr. 41,49–50).
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In Italia e fuori ho modestamente lavorato con cuore di sacerdote e di italiano: per questa Italia che Dante chiamò umile, lavorerei anche qui sul campo della carità, d’una carità pratica e feconda, senza chiacchiere, ma con umile anima e grande amore! (Scr. 42,46).
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Ingrandisca la fede i nostri cuori, la fede che è sostanza delle cose che abbiamo a sperare che ha ispirato tutto ciò che è grande nella vita e nella civiltà. Fede! fede! O, non è Dante che sublimamente canta la fede nel passo di San Paolo agli Ebrei? «Fede è sustanza di cose sperate e argomento delle non parventi e questa pare a me sua quiditate». Sì, la fede è virtù basilare, è sostanziale fondamento sul quale si basa la speranza della beatitudine, che è piena di immortalità (Scr. 44,145).
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Oltre al buon esempio, i Figli della Divina Provvidenza dovranno avere qualche nota speciale del loro insegnamento, di far risplendere Dio dappertutto e la Provvidenza di Dio «che l’universo penetra e governa», come direbbe Dante, farla risplendere la Divina Provvidenza e vedere dappertutto (Scr. 51,24).
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Domani è San Bernardo, la novena della Guardia, dunque, comincia nella festa di questo grande santo, che fu devotissimo della SS.ma Vergine, tanto che Dante lo pone là, nell’alto del Paradiso, a cantare la dignità, la grandezza, la potenza, la gloria di Maria (Scr. 52,62).
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Diventiamo umili di cuore e saremo più uniti, più fratelli più religiosi! Che la Vergine SS.ma, la quale fu tanto umile da aver meritato che Dio la scegliesse tra tutte le creature per farla sua madre, ond’è che Dante la canta «umile e alta più che creatura», ottenga a me e a voi tutti, o carissimi, e ad ogni nostro fratello, la virtù della umiltà che ci farà vivere della più dolce e soave carità fraterna e del prossimo (Scr. 52,100–101).
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Io non vorrei, o carissimi miei figli in Gesù Cristo, che alcuni di voi dormissero il sonno dell’anima, non vorrei che vivessero in quel languore e torpore di spirito che, al dire di Dante, «poco è più morte». Dio nol voglia! (Scr. 52,151).
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È Cristo che ci darà l’Italia di domani: un’Italia credente, gloriosa, invincibile! Era dunque giusto che animatrice, illuminatrice, soave e forte, splendesse sui passi della nuova generazione italiana quella luce di alta poesia che canta e insieme ispira la fede in Dio e in questa Patria nostra, la quale profondamente cristiana, si è levata a cantare la sua fede con Dante e con Tasso, con Petrarca e Manzoni (Scr. 53,23–24).
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Salve, beata! Soave a noi «solenne è il nome tuo, o Maria»: «Vergine madre, figlia del tuo Figlio: umile e alta più che creatura»: Tu non hai redenta la umanità, ma tu l’hai resa sì nobile agli occhi di Dio che per te l’umanità fu degna di essere redenta, poiché in te sono tutte le virtù: «in te s’aduna», cantò Dante, «quantunque in creatura è di bontate». Ond’è che «tutte le genti ti diran beata» (Scr. 53,83).
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L’invincibile Eugenio di Savoia portava sulla corazza l’immagine di Maria e, balzando il primo sulla breccia di Hersan, elevava il grido di «Viva Maria!». Dante, Petrarca, Tasso, Raffaello, Michelangelo, Manzoni e il nostro Perosi, ispirarono il loro genio a Maria! (Scr. 53,84).
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Il bello ideale dell’umiltà, della purezza e della carità, noi lo sorprendiamo in Maria, in quei fatti che l’Evangelo con tanta sapienza ci ha tramandati. In Maria attribuiamo il più perfetto ideale di umiltà e Dante, avendo bisogno nel Purgatorio d’un esempio di umiltà, trascende al fatto dell’Annunciazione (Scr. 53,261).
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Non consideriamo il bene altrui come danno nostro, ma gioiamone come di bene nostro: in cielo sarà appunto così, come ce lo esprime anche Dante in quel canto sublime. Oh, la carità, ma che cos’è la carità? Deus Caritas est. Per questo è un Dio appassionato d’amore per noi (Scr. 55,315).
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Quando Raffaello vorrà dipingere la disputa del Sacramento, tra gli adoratori di Gesù, ben distinti, porrà Dante e Savonarola, il cantore del dogma cristiano e il fierissimo frate (Scr. 56,14).
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La scienza che conosce i beni veri e li distingue dai beni apparenti è assai difficile, onde già Dante diceva che molti seguono immagini false di beni «imagini di ben seguendo false, che nulla promission rendono intera» (Scr. 56,50).
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Italiani, mantenete la devozione a Maria e manterrete la fede e vi salverete! E così i nostri grandi: Dante, Petrarca, Tasso. Dante si gloria d’invocarla mane e sera, la esalta più di 30 volte nella Divina Commedia. L’ultimo Canto del Paradiso comincia così: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno cosiglio» e va avanti: «Donna sé tanto grande e tanto vali... In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantuque in creatura è di bontate». E la invoca contro le passioni: «Vinca tua guardia i movimenti umani» (Scr. 56,196).
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Dante nell’inferno non usò mai apertamente il nome augusto di Gesù. E così per la Vergine Maria. Solo una volta Ella, quale velata immagine, vi appare nel secondo Canto ov’è detto: «Donna è gentil nel ciel» (Scr. 56,211).
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La nostra Italia ha avuto i più grandi poeti di Dio e un’arte cattolica sovrana, da Dante a Michelangelo e da Michelangelo al Manzoni. Sono laici nella poesia italiana i più grandi glorificatori della Chiesa, dall’autore del Cantico di Frate Sole all’autore degli Inni Sacri (Scr. 57,104b).
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Dio che ha dato alla Santa Vergine la pienezza della grazia su questa terra, le ha certamente dato in cielo la pienezza della potenza a favore dei suoi devoti. In Maria sono raccolte tutte le virtù, onde Dante, dice che in Lei «s’aduna quantunque in creatura è di bontate» (Scr. 57,114).
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Ave significa rallegrati, esulta; in Maria dunque non fu ombra di peccato mai, perché al peccatore Dio dice: piangi, e non rallegrati. Anzi in Maria furono, come ben dice Dante, adunate tutte le virtù, perché Dio non ci consente di rallegrarci se non della virtù (Scr. 57,240).
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La nostra devozione a Maria è tanta parte della nostra vita e del poema dell’anima nostra la nostra devozione alla santa Madonna, direbbe Dante, entra «per l’udire e per lo viso» (Scr. 61,119).
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È di Dante l’espressione: «se il mondo sapesse il cor ch’egli ebbe, mendicando sua vita a frusto a frusto, assai lo loda e più lo loderebbe»: vengo a parlarvi di quel gran cuore di Pio X, il gran cuore che volle tutto instaurare in Cristo: «Instaurare omnia in Cristo» fu il suo programma, la sua vita (Scr. 61,129).
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Il Manzoni ha voluto fare molto di più. Ha inteso comporre, con i Promessi sposi, il poema della Divina Provvidenza. Al capolavoro manzoniano non si potrebbe dare definizione migliore. Come Dante ha cantato la fede, Manzoni ha cantato la Divina Provvidenza (Scr. 61,230).
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Il genio della carità e il genio dell’arte si danno la mano. Possiamo ripete per essi i versi di Dante: «La provedenza che governa il mondo... due principi ordinò in suo favore... L’un fu tutto serafico in ardore, l’altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore. De l’un dirò, però, che d’ambedue di dice l’un pregiando, qual ch’om prende» (Scr. 61,235).
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San Francesco d’Assisi amò tanto Gesù Crocifisso che ne portò le Sacre Stigmate e San Bonaventura fu chiamato il Serafino tra i Dottori, come il suo Padre: «Tutto serafico in ardore», lo disse Dante (Scr. 68,81c).
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La provvidenza divina. Dante dice così della provvidenza di Dio, perché molti degli uomini ogni giorno si lamentano del Signore e negano la Sua provvidenza (Scr. 69,220).
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La nostra carità non serra porte, dice Dante. La porta del Piccolo Cottolengo è aperta a qualunque specie di miseria morale e materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede, distinti in tante diverse famiglie, i veramente abbandonati di qualunque nazione, di qualunque religione, anche i senza religione (Scr. 69,338).
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Al Canto 31 San Bernardo addita a Dante la più gloriosa delle creature, la Madre di Dio. E Dante dice che, ai canti di mille Angeli festanti, vide «Ridere una bellezza, che letizia era ne li occhi a tutti li altri santi» (Scr. 72,233).
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La Scuola prenderebbe nome da qualche gloria storica e cristiana di Tortona o da qualche grande scrittore o scienziato cattolico e italiano, come Dante, Volta, Manzoni o Pellico, come meglio crederà Vostra Eccellenza. In quest’ultimo caso, Dante o Manzoni sarebbero forse i preferiti, l’uno per avere sublimemente cantata la fede, il Pater Noster e l’Ave Maria nella Divina Commedia, e l’altro per avere illustrata la sua vecchiaia insegnando il Catechismo a San Fedele di Milano (Scr. 76,136).
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Cristo diede il ministero di diffondere la fede: diede la Legge e i Vangeli, diede la grazia spirituale, che ristora e santifica. Onde molto cattolicamente Dante ha cantato: «Non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. Avete il vecchio e il nuovo testamento, e il Pastor della Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento». Ma “penna ad ogni vento” sono i protestanti che camminano con la guida fallace del proprio lume e non hanno che una fede umana, fluttuante, se fede può dirsi o non invece opinione sempre variabile (Scr. 82,42).
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Questo Ufficio Stampa non è che un modesto sgabuzzino: è, per ora, un povero tavolo, due panche, carta penna e calamaio; in alto, alla parete, un crocifisso, un quadro della Madonna, un Don Bosco, alcuni libri: la Bibbia, Dante, Manzoni; è un passo corto se volete, com’è il passo breve del bambino; il nostro Istituto del resto è ancora tanto bambino! (Scr. 82,83).
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Or ecco Dante! La gloria di questa conversione è propria di lui; la sublime penitenza che la poesia farà sarà la Divina Commedia e chi sarà mai che con la sua dottrina farà piegare la fronte e purificherà il cuore di questa nuova Maddalena? La religione, o signori, è la religione! Dante Alighieri, nella cui testa corrono torrenti di poesia, si accosta agli altari del Dio salvatore, si rinsanguina della dottrina dell’Evangelo e della Chiesa. Apre la bocca e canta: Egli canta l’umanità, ma corre dietro alla fede e il cantore dell’umanità diventa il cantore della religione. Canta Dio nell’inferno e dice come il delitto faccia alleanza con il dolore; canta Dio nel Purgatorio e dice come la debolezza si abbracci con la speranza; canta Dio nel Paradiso e dice come la virtù si confonda con la felicità (Scr. 102,99).
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In ogni Casa vi siano, almeno, due copie in latino della Sacra Bibbia, la Somma Filosofica e Teologica di San Tommaso, la Imitazione di Cristo, in latino, e Dante (Lett. II,281).
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Dante, l’autore del grande e immortale poema la Divina Commedia, quando vuole trascendere ad un sublime esempio di carità e di umiltà, ricorre alla Visitazione della Vergine Santissima, alle parole da lei dette all’Arcangelo Gabriele: «Ecce ancilla Domini», alla grande umiltà e carità di Maria Santissima, che va a visitare la cugina Elisabetta e la serve nelle più umili cose (Par. II,156c).
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La fede, come dice anche Dante, è il principio di carità operosa verso il prossimo e speranza nel bene: è sostanza di cose operate e argomento delle non parventi. Noi dobbiamo chiedere a San Pietro l’accrescimento nella fede: «adauge nobis fidem» (Par. III,193).
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Voi sapete che avete avuto qui a predicarvi gli Esercizi un Padre Francescano che è un dantologo. Io non so se vi ha spiegato Dante, ma so che Dante ha un libro intitolato Vita Nuova. Questa mattina l’ho detto specialmente a voi, o cari Novizi, che bisogna rinnovare tutto. Anche voi che siete venuti qui agli Esercizi, dovete proprio incominciare una vita nuova (Par. V,102).
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L’altissimo Poeta, il divino cantore della fede, Dante, dice: «Assolver non si può chi non si pente, né pentere e volere insieme puossi per la contradizion che nol consente». E un altro famoso verso di Dante è là dove parla «del buon dolor ch’a Dio ne rimarita». Non si può dare l’assoluzione a chi non è pentito del male (Par. VII,19).
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Vi faccio la proposta di fare un componimento scritto, in lingua italiana, intitolato appunto, cioè che ha come argomento, come tema le campane di San Bernardino. Chi vincerà la gara, chi farà meglio il suo lavoro, avrà in premio o un Dante rilegato o una Somma di San Tommaso e la pubblicazione del componimento sul Bollettino della Guardia (Par. VII,167).
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Non vi meravigliate se una piccola sconosciuta Congregazione ha ordinato ai suoi figli, ai suoi seguaci che non si apra nessuna casa, nessun istituto di educazione e di carità se in quella casa non entra il Vangelo, con la Somma di San Tommaso, con l’Imitazione di Cristo e la Commedia di Dante e il nostro, il vostro Manzoni (Par. VIII,41).
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Gesù si valse, per la sua opera, non di migliaia di uomini, ma di dodici poveri pescatori e diede loro per emblema una croce insanguinata. Ecco perché Dante dice che il Cristianesimo si propagò per tutto il mondo, con una trasformazione fatta senza forza, fatta senza grande filosofia, senza grande eloquenza (Par. VIII,106).
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San Francesco! Che grande Santo San Francesco! Il nostro Dante parla di lui al capo XXVII dell’Inferno; non già che lo metta all’inferno, ma ad un certo punto, c’entra San Francesco, là dove accenna a Costantino e a San Silvestro e dove dice che «assolver non si può chi non si pente»; poi ne parla più propriamente, anzi lo canta, al capo undicesimo del Paradiso. Forse di nessun santo Dante parla con tanta vena di entusiasmo! Lo dice «tutto serafico in ardore» e «la cui mirabil vita meglio in gloria del ciel si canterebbe». Dante, che sentì mirabilmente lo spirito francescano, celebra le stigmate di San Francesco che il Santo portò nelle sue membra vive per due anni (Par. IX,391).
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Sempre si deve mettere prima di tutto in grande rilievo cha la nostra maggior gloria è quella di essere al centro del Cristianesimo e di accogliere la sede della Cattedra del Vicario di Cristo. Non ha forse Dante quel famoso verso dove parla di Roma e dell’Impero Romano, «la quale e il quale (a volere dire lo vero) fur stabiliti per lo loco santo u’ siede il successor del maggior Piero»? (Par. XI,7).
Vedi anche: Divina Commedia, Letteratura.
Ambizione
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Io non voglio credere ancora a ciò che egli qui avrebbe detto, però tu comprendi che lui stesso ha bisogno di curarsi di mali vergognosi, da lui contratti: pieno di sé, di leggerezze e di ambizione, che si azzima i capelli (come io lo vidi all’Immacolata), che va cercandosi le scarpette basse e a punta (come io lo vidi all’Immacolata e come venne qui), è già molto che si tolleri alla Moffa. E pensare che ha avuto la veste ieri! (Scr. 3,335).
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Evitino alcuni il contagio di volere comparire più abili degli altri, più capaci di fare, più saputi, e quasi i soli capaci di regolare bene la disciplina o di saper insegnare bene. È un’ambizione questa, è uno spirito di ambizione che si deve sradicare sul suo nascere: questo dico per i chierici. Regni sempre tra noi tutti la carità nelle opere, nelle parole e negli affetti in Gesù Cristo (Scr. 32,14).
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Vi sia sempre un grande ordine e pulizia in casa e nelle vostre persone: niente ambizione, ma grande nettezza. E anche ai nostri buoni fratelli eremiti raccomando in special modo la nettezza e la santa umiltà e l’orazione (Scr. 34,25).
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Bisognerà che chiediamo grazia a Dio e che vinciamo tutti non nelle dignità, ma nella virtù e che ci prendiamo su una vera e sincera umiltà, vincendo l’ambizione e l’amor proprio che tormenta l’anima e ci toglie la pace interiore (Scr. 44,108).
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Per divenire superiore a tutti e acquistare una dignità veramente grandissima, bisogna vincere tutti nella virtù. Una vera e sincera umiltà: vinta l’ambizione, che tormenta l’anima, ritorna la pace e la contentezza. Il nostro Istituto si propone di combattere e sradicare questo vizio da tutti i suoi membri e fa un’obbligazione a questi di non ambire le cariche e le dignità e di rinunziarvi per sempre, a meno intervenga l’obbedienza. Sta’ attento, caro don Sala, perché il nostro amor proprio ragiona sottilmente e si veste talora di umiltà e di dottrina teologica e giustifica facilmente ai nostri occhi le nostre azioni e uccide l’anima come un sottile e dolce veleno. Beati quelli a cui la divina parola «qui vult venire post me, abneget semetipsum» ha penetrato le ossa e le midolla. Non vi è altro bene a desiderare da noi religiosi che quello di rinunziare alla propria volontà in tutte le cose per amore di Cristo: in questa rinunzia e vittoria di noi stessi sta la nostra felicità. In questa gran parola “annegare sé stesso”, sta ogni cosa: tutto il resto è vanità, amor proprio, ignoranza, inganno del demonio. La natura si ribella a questa rinunzia e fa di tutto per impedirla: ma bisogna combattere costantemente contro di essa e pregare e confidare nell’aiuto del Signore, che non manca mai a chi lo chiama (Scr. 44,109).
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Tutto ciò che vi è di ambizioso, di secolaresco, non è lecito, non è lecito! Non è lecito ad una religiosa ciò che è lecito ad una secolare; non è lecito a me, che sono un frate, un vero frate, quel che possono fare anche gli altri sacerdoti (Par. I,232).
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Dobbiamo implorare dal Cuore di Gesù che ci dia la grazia dell’umiltà, che è la base granitica di tutte le virtù e che ci dia, con l’umiltà, la dolcezza. Ma per essere dolci, dobbiamo lottare contro di noi, contro l’orgoglio, contro l’ambizione; dobbiamo rinunciare a noi stessi come ha detto nostro Signore: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso... Dobbiamo vuotare tutto ciò che è mondano e rivestire le virtù divine, cominciando dalla mitezza (Par. VII,72).
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L’ambizione è una debolezza, è un vizio molto brutto. Quante ingiustizie si sono commesse sulla terra per l’ambizione. Se leggeste cosa ha scritto San Bernardo sugli ambiziosi, dell’ambizione... Quanti mali ha mai causato l’ambizione. E voi, cari chierici, siete in un’età nella quale un poco l’ambizione ci gioca. Una volta ci si fa ambiziosi sotto specie della scienza, per cui, dice San Paolo, «Scientia inflat»; quella scienza, però, che fa diventare ambiziosi! Un’altra volta si mette ambizione per la bella voce. Io avevo una monaca che aveva gran voglia, aveva l’ambizione di far sentire la sua voce; poi fallì... Si capisce, l’ambizione, che brutto vizio! L’ambizione si attacca a tante piccole cose, la fantasia si attacca a tanti piccoli fumi di ambizione! Un giovane che conosco, diede a Genova il diploma di geometra. E suo fratello mi raccontava che andò a casa e montò in tanta ambizione che quasi bisognava scrivere un biglietto prima di potergli parlare, come si fa con i ministri. Ma se l’ambizione sta male in tutti, sta male specialmente in un sacerdote, in un religioso. Si leggeva oggi, nella vita di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, qualche cosa che si riferiva a San Vincenzo de’ Paoli. Un suo religioso andò a Parigi ad un’Accademia e là, perché parlava parecchie lingue, parlò, citò autori anche di altre nazioni nella loro lingua e fece gran successo. E c’era anche San Vincenzo. Poi il religioso andò a casa tutto tronfio, pensando di aver tenuto alto l’onore della Congregazione. San Vincenzo, per parecchio tempo non lo guardò perché aveva visto che il religioso aveva agito per ambizione (Par. XII,29).
Vedi anche: Mortificazione, Rinnegamento di sé, Umiltà, Vanità.
Amicizia
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Miei figliuoli, fuggite la compagnia di quelli che non sono buoni e solamente fate amicizia con gli ottimi, consigliandovi anche riguardo a questi con i vostri superiori. Ricordate quanto dice lo Spirito Santo: «Si cum bonis, bonus erit, cum perversis perverteris». Chi più fugge le amicizie particolari (che sono il morbo del cuore e degli istituti) più gode l’amicizia vera. E non possono essere buoni e veri amici in Cristo se non coloro che, in tutte le azioni, hanno un alto fine tra loro comune e non l’hanno se non le anime oneste e virtuose. Voi specialmente che avete studiato insieme e che vi siete amati di più dolce amore fraterno e per le buone qualità che a vicenda avete scoperte in voi, o perché le vostre anime si sono intese di più, perché hanno pianto di una stessa sventura, hanno faticato sullo stesso cammino, hanno combattuto le stesse prime battaglie, hanno avuto luce, forza, conforto dalla stessa fede, nelle stesse ore di lotta e si sono riposate poi insieme, soavemente, «uscite fuor dal pelago alla riva», voi dico è bene continuate a tenervi spiritualmente uniti e che vi scriviate e animiate a vicenda. La vostra è vera amicizia, è vera fratellanza, secondo lo spirito di Dio (Scr. 26,157).
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Questa mia lettera vedi che è riservata a te, è pegno della mia piena amicizia e intimità di cuore in Domino con te, caro don Innocenzo, che pure hai dovuto tanto patire la tua parte (Scr. 35,125).
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L’amarci in Dio è un gran conforto; e il più bel momento per consacrare la vera amicizia e fratellanza sacerdotale è, certo, il momento del santo sacrificio e sono le ore delle prove dolorose (Scr. 38,156).
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Tu sai, o don Lorenzo, quanto ti sono teneramente affezionato e sai che la mia stima per te è grande quasi come grande è il mio amore in Domino per l’anima tua. E questo che t’ho detto, fraternamente e con semplicità di cuore fra te e me, «inter te et ipsum solum», «fra te e lui solo», come vuole il Vangelo (Mt 18,15) l’ho detto «non ut confundam te», non per confonderti, ma per salvarti e perché ti amo, e te lo dico nella più dolce intimità dell’amicizia cristiana, che è il bello della vera fratellanza (Scr. 40,136).
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Oggi è il tuo giorno, la festa tua che è anche la festa della nostra fede e della nostra chiesa di Tortona. Ecco che io sono con te, con tutta l’anima e con l’amore come d’un fratello, per dirti che ti penso con il cuore dell’antica amicizia e che, con tutta l’anima di sacerdote del Signore, a momenti andrò a dire la Messa e pregherò Dio per te, caro Marziano! (Scr. 40,137).
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Tra le grazie che il Signore si è degnato farmi ci è anche la conoscenza personale che ebbi, per non dire l’amicizia fraterna, con il servo di Dio don Luigi Guanella, fondatore dei Servi della Carità e delle suore Figlie di Santa Maria della Provvidenza (Scr. 48,42).
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Non ebbi tempo a rispondere alla gradita sua lettera ultima, con cui mi inviava anche la sua fotografia, quale segno della sua fraterna amicizia e carità verso l’anima mia. Io stavo sul partire e avevo già chiusa la lettera, che avrà ricevuto, e mi limitai a scrivere alcune parole dietro la busta. Ma ora, che sono qua giunto, la vengo a ringraziare ben di cuore, o mio caro padre Faustino, e le dico che ho messo il suo ritratto sul mio tavolo, vicino al crocifisso e alla Madonna SS.ma, e così i miei religiosi conoscono la carità che ci unisce in Domino (Scr. 51,209).
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Nel Cristianesimo non è solo carità l’amore di Dio e del prossimo, ma è carità l’amore materno, l’amore filiale, l’amore di amicizia, l’amore di patria, anche l’amore coniugale. Anzi l’amore coniugale, di sua natura più forte perché destinato a durare nel tempo e nell’eternità, deve bere più largamente a quella sorgente viva, inesauribile d’ogni amore buono e durevole che è la carità divina (Scr. 56,46).
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Senti, o mio caro fratello in Gesù, ho pregato, e poi m’è venuto il pensiero di scriverti per l’amicizia nostra e fratellanza di figli di Don Bosco. Guarda un poco adunque di non disgustarla quella buon’anima della Michel e vedrai che il Signore ti consolerà tanto e benedirà te e il tuo popolo! Tu mi vorrai perdonare; ti scrivo proprio così alla buona, perché ti amo molto nella carità grande e immensa di Gesù! (Scr. 63,90).
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Qui abbiamo pregato per te, per Padre Faustino, per P. Marco, per l’Abate di San Bento e per tutti gli altri che ho conosciuti costì e ai quali mi sento particolarmente legato dai dolci vincoli dell’amicizia. Spero che tutti siate stati preservati, ma gradirei che mi sapessi dire qualche cosa, e me ne assicurassi (Scr. 67,116).
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Quantunque invisibili corporalmente, sento di qui che le vostre anime e la mia palpitano in una medesima fratellanza cristiana e che con molte di esse si è formata una ben profonda comunità di ideali soprannaturali e di quegli affetti che formano una amicizia superiore a tutte le contingenze, una amicizia che confermerà eternamente nel cielo (Scr. 74,138).
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Queste brevi parole, che non hanno pretesa alcuna, se non quella della sincerità, dell’amicizia e della gratitudine mie e dei miei orfanelli, vadano, quale modestissimo omaggio, alla memoria del compianto estinto. A rivederci a domani, o caro indimenticabile dott. Aldini! Arrivederci nella luce soave di Dio! La stessa fede ha cementato la nostra amicizia e ci ha uniti qui in terra: fede divina, consolatrice, che Aldini tradusse più volte in beneficenza e carità verso dei poveri fanciulli, che la Divina Provvidenza mi ha affidato (Scr. 83,10–11).
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L’amicizia tra Don Bosco e l’amico Comollo, era una amicizia santa, come l’amicizia tra San Basilio e San Gregorio Nazianzeno e come l’amicizia, di cui si parla nella Santa Scrittura, tra Davide e Gionata. Dunque non è che parlando dell’amicizia io venga davanti a voi con delle prevenzioni... Vi sono delle amicizie che sono undequaeque buone, cioè sono buone sotto ogni riguardo e queste amicizie si devono coltivare; sono amicizie buone e sante (Par. VIII,115).
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L’amicizia mia con Don Sterpi, incominciata in seminario, è di queste buone e sante, ve lo dico davanti al Signore, non ci siamo mai data la mano, non ci siamo mai detta una parola che potesse anche lontanamente e soltanto lievissimamente offendere lo splendore e la luce della più alta amicizia. Eppure voi sapete quanto ci amiamo. Questa amicizia dura da cinquanta anni, da quando ancora nessuno di voi era nato. Queste sono amicizie, grazie a Dio, lodevoli. Ci sono poi le amicizie lodevolissime; quelle con il Signore, con Maria Santissima, con San Luigi, con gli Angeli Custodi, con i nostri Protettori... Con l’Angelo Custode ci deve essere sempre la più intima, la più grande amicizia, la più santa amicizia, la più lodevole amicizia (Par. VIII,117).
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Ricordo d’aver letto in un libro, che si può ben chiamare un libro d’oro, nelle Memorie di Silvio Pellico, queste parole, questa frase: «l’amicizia è il bello ideale della fratellanza». E nelle Divine Scritture si parla di una grande e santa amicizia fra Davide e Gionata, figlio di Saul. La Sacra Scrittura dice che le loro anime si erano conglutinate, che formavano cioè una cosa sola. E Gesù Cristo nel Santo Vangelo dice ai suoi discepoli: «iam non dicam vos servos sed amicos»: non vi chiamerò d’ora innanzi miei servi, ma amici. E nelle pagine della Storia Ecclesiastica troviamo grandi figure di Santi amicissimi. L’amicizia ha qualche cosa di soave che quasi trascende la fratellanza del sangue e della carne (Par. XII,73).
Vedi anche: Amicizie particolari.
Amicizie particolari
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Voi, o miei figliuoli, fuggite la compagnia di quelli che non sono buoni e solamente fate amicizia con gli ottimi, consigliandovi anche riguardo a questi con i vostri superiori. Ricordate quanto dice lo Spirito Santo: «Si cum bonis, bonus erit, cum perversis perverteris». Chi più fugge le amicizie particolari, che sono il morbo del cuore e degli istituti, più gode l’amicizia vera. E non possono essere buoni e veri amici in Cristo se non coloro che, in tutte le azioni, hanno un alto fine tra loro comune e non l’hanno se non le anime oneste e virtuose. Voi specialmente che avete studiato insieme e che vi siete amati di più dolce amore fraterno e per le buone qualità che a vicenda avete scoperte in voi o perché le vostre anime si sono intese di più, perché hanno pianto di una stessa sventura, hanno faticato sullo stesso cammino, hanno combattuto le stesse prime battaglie, hanno avuto luce, forza, conforto dalla stessa fede, nelle stesse ore di lotta e si sono riposate poi insieme, soavemente, «uscite fuor dal pelago alla riva», voi, dico, è bene continuate a tenervi spiritualmente uniti e che vi scriviate e animiate a vicenda. La vostra è vera amicizia, è vera fratellanza, secondo lo spirito di Dio (Scr. 26,157).
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Guerra al beniaminismo, guerra senza tregua alle amicizie particolari, vera peste degli Istituti di educazione e anche di certe Case di formazione religiosa e di Religiosi già fatti. Le porte dell’amore spirituale e dell’amore sensuale, dice San Basilio, sono molto vicine l’una all’altra ed è assai facile scambiare la prima con la seconda: già ve l’ho detto con il Gerson: «videtur esse caritas, et est carnalitas»! In guardia dunque, o miei cari: preghiamo e vigiliamo e raccomandiamoci alla Madonna sempre! In guardia dal beniaminismo e da ogni amicizia particolare che soppianterebbero la virtù più bella e manderebbero a fallire le più belle vocazioni. Ogni soave affetto è severo. L’austerità è necessaria nell’amare i giovani. Pregare dunque e in guardia sempre: la nostra anima anzitutto! Chi amò la gioventù più santamente di San Filippo Neri? Chi quanto San Giuseppe Calasanzio? Chi potrà assomigliarsi al cuore grande in Gesù Cristo per la salvezza della gioventù quanto Don Bosco? O miei cari, nessuno di questi apostoli della gioventù si crederebbe però mai lecito di attirare a sé i giovanetti con tali mezzi e rimproveravano con molto zelo e allontanavano da sé quelli che facevano diversamente. Ebbene, ciascuno di noi faccia altrettanto e Dio benedirà il nostro lavoro e Dio sarà con noi! (Scr. 51,32).
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Evitate le amicizie particolari: vado d’accordo con quella lì e con quell’altra no... Tutte eguali, tutte eguali. Amatevi come si amano gli Angeli in Paradiso, amatevi d’amore angelico e portatevi con il massimo rispetto l’una verso l’altra (Par. I,218).
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Vi sono amicizie che non si fondano su Dio né sulla virtù. Sono amicizie che si fondano sulla simpatia, sul sentimentalismo, sul talento, sull’apparenza, alle volte anche sulle doti, sull’ingegno, alle volte sulla punta del naso e incominciano così, magari anche insensibilmente. Dice l’Imitazione di Cristo: «videtur esse caritas et est carnalitas». Si incomincia con certi regalucci, si incomincia a prendere le difese di quel tale perché l’assistente gli ha dato un dieci meno e si raccontano magari certe debolezze che non si sono dette nemmeno al Confessore; si comincia a farsi certe confidenze, a fissarsi, a guardarsi negli occhi, a non poter più star fermi, ad avere bisogno di vedersi, di incontrarsi di nascosto. Questi sono i segni delle amicizie particolari, delle amicizie non buone, di quelle che San Bernardo definisce leggere e velenose, che San Basilio chiama fatali, che Santa Teresa di Gesù – riformatrice non solo delle Suore, ma anche dei Carmelitani di più stretta osservanza – stigmatizzava; Sant’Alfonso, il grande dottore della Chiesa, del quale disse l’angelico Pio IX potersi seguire le dottrine inoffenso pede, egli, per quaranta anni missionario e fondatore dei Redentoristi, diceva: «Banditele dalle Comunità, perché non abbiano da crescere e da vivere, le amicizie particolari. Banditele, toglietele, si espellino». Sant’Alfonso, lo dice Sant’Alfonso! Cari miei figliuoli, vigiliamo sopra di noi e tutto facciamo davanti e nell’occhio di Dio e quello che non si farebbe davanti agli occhi dei Superiori non fatelo! Non è molto tempo che io ordinavo l’ispezione dei vostri libri... e per quello c’è stata abbastanza mormorazione per la Casa. Poi un chierico venne da me e mi chiese quali libri potesse leggere: «E allora – disse – quali libri si possono leggere?». I libri da leggersi sono quelli che si possono leggere davanti a Don Orione, a voce alta e guardandolo in faccia! E quali sono le amicizie che si possono tenere e coltivare? Sono le amicizie che si possono tenere allo sguardo di Dio e dei Superiori. Una amicizia buona può fare molto bene, ma una amicizia cattiva fa sempre molto male! (Par. VIII,117–118).
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Non ci siano le amicizie particolari fra di voi, né le dovete permettere tra gli allievi. Ricordiamo che la morale è la base della disciplina ed il modello della vita religiosa ed il tesoro più prezioso deve essere la bella virtù. Nessuna diligenza è soverchia quando si tratta di custodire la virtù e di allontanare i vizi. La virtù è fiore delicatissimo e sensibilissimo da conservarsi a qualunque costo. Via le amicizie particolari! Non si tolleri che i giovani mettano le mani sulla vostra persona, né diano segni di affezione particolare, mai, mai, mai! È perduto il sacerdote, il chierico, che ha beniamini. Non è più Figlio della Divina Provvidenza! Non dico quell’altra parola che si usa nei collegi (cocchetti) perché mi vergogno e perché non l’ho mai udita da Don Bosco. Si possono fare regali di frutta ai ragazzi dal Sacerdote e dal Chierico della Divina Provvidenza? Si possono condurre i ragazzi nella propria camera, nella propria cella? No! No! No! Oh, le terribili conseguenze, non solo per l’anima, per la vita spirituale, ma anche per la Congregazione! Non dico di più, perché mi vergogno di dire di più. Oh, le terribili conseguenze! Non per nulla nel Vangelo Gesù Cristo disse: «Vae, homini illi», guai, guai a quell’uomo per colpa del quale viene lo scandalo. «Melius si natus non fuisset homo ille», meglio si legasse una macina di molino al collo e si buttasse nel profondo del mare»! (Par. XI,76–77).
Vedi anche: Amicizia, Carattere, Castità (virtù, voto), Direzione spirituale, Sistema paterno–cristiano.
Amministrazione
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Se io autorizzo a prelevare denaro, tra poco si darà fondo a tutto: e quando si hanno preoccupazioni amministrative non si può più attendere neanche al morale e spirituale. Economizzare sino all’osso e fuggire i debiti come i peccati (Scr. 1,178).
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Come Voi sapete, io non sono proprio contento di Victoria, poco soddisfatto di Rosario: ancora non so come si è amministrato a Mar del Plata; prego perciò P. Dutto di muoversi di più, di fare sopralluoghi, di farsi dare i registri e la contabilità e di sistemare bene, in ogni Casa, questa benedetta situazione amministrativa. Il Visitatore Apostolico, che già è stato a Rodi nel Mare Egeo e in Polonia, è un Amministratore di prim’ordine ed è di una precisione ed esigenza massima: Vi prego e Vi supplico nel Signore di non dormirci su, di darmi ascolto e di mettervi a posto in tutto e per tutto (Scr. 1,222).
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Un grano, anche un grano solo di frumento perduto sarà sulla vostra coscienza e ne dovrete rendere conto a Dio! Noi non siamo che amministratori della roba della Chiesa e dei poveri: e a Dio, alla Chiesa e ai poveri dovremo darne conto. Io non dico grettezza, non dico meschinità, non dico avarizia, ma dico e raccomando la santa povertà e l’economia e l’ordine. Se si è disordinati si perde molto tempo, si perde molta roba, si fa più poco bene, anzi si fa e si avrà molto male (Scr. 4,265).
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Noi per restare vogliamo ampia libertà di governo interno e di poter sviluppare l’Istituzione e libertà di poterla mantenere nel suo spirito di fondazione. Se essa vuole che restiamo, trovino una formula per cui noi non si diventi dei servi alla dipendenza di estranei amministratori e non abbiano gli estranei amministratori da soffocarci, da farci patire e da renderci cattiva la vita, in questa ipotesi noi verremo sempre via (Scr. 27,14).
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Vedi che io di Victoria e di Rosario specialmente, non sono tranquillo dal lato amministrativo. Tu hai questo incarico particolare e vedi di compierlo in coscienza e darti conto delle situazioni; usa pure modi cortesissimi, ma va’ a fondo di tutto e controlla tutto e, dove c’è da dire no, questo non si fa, dirai no; non bisogna anguillare ma dobbiamo segnare una linea e dare uno spirito e disciplina decisa, religiosamente decisa, e così con le Suore nostre. Fa’ curare molto anche la nettezza, la pulizia e la urbanità: prima la pietà e osservanza religiosa, la buona amministrazione e la pulizia (Scr. 68,123).
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La religiosa conserva la proprietà, ma non l’amministrazione dei suoi beni e questo lo capite anche voi: sarebbe impossibile che ognuna amministrasse il suo patrimonio. Per esempio: una che avesse dei beni a Tortona non si potrebbe mandare in Calabria, a Venezia, ecc.; sarebbe un gran disturbo... L’amministrazione dei beni dovete rinunciarla a chi volete, nella Congregazione o fuori, anche a persone estranee alla Congregazione: restate libere di fare come volete. Colei che entra per farsi suora non deve toccare il suo capitale fin che vive. Dovendo talvolta cedere il capitale per l’acquisto di terreni o di stabili, allora si fa tutto con il pieno consenso della proprietaria, dichiarato per scritto; e, comperando le case, esse restano intestate a chi ha dato i soldi. Questo è un punto importante per la sicurezza e la tranquillità della vita religiosa. La povertà consiste nel distacco del cuore, ma il dominio in radice dovete tenerlo voi, senza però poterlo amministrare (Par. I,192–193).
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Come fronteggiare i debiti. Rimedio sicuro, la sana economia: certe case non hanno amministrazione e sono disordinate È vero che nelle case del Cottolengo non vi è una vera e propria amministrazione, ma le suore tengono conto all’ingrosso delle entrate e delle uscite. Eliminare gli elementi passivi e che arrancano a noi perché affamati e apostati. L’Arcivescovo di Messina mi diceva: «Se sapesse, Don Orione, quanti fannulloni ci sono nei conventi e che dissoluzione c’è in certi ordini religiosi. I Superiori devono chiudere gli occhi. E se si fa qualche osservazione ricorrono a Roma. Certi conventi sono cantine di viziosi, le vocazioni dei religiosi abbondano perché sanno che nei conventi si mangia e bene e tutti hanno denaro in tasca». Non c’è poi da meravigliarsi se poi capitano certi scandali, sui quali purtroppo dobbiamo piangere anche noi (Riun. 12 luglio 1933).
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Quando uno sta bene di salute anche lo spirito è più libero di agire. Quello che si dice del corpo lo si deve dire delle amministrazioni dei nostri Istituti. Quando un Istituto è a posto dal lato amministrativo, uno può darsi con tranquillità a far del bene (Riun. 1937).
Vedi anche: Contabilità, Debiti, Denaro, Economia, Rendiconto (amministrativo).
Angelo custode
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Cari miei Santi, cari miei Angeli, cari miei figli, pregate per me. O SS.ma Vergine Maria, sono il vostro indegno figlio (Scr. 2,29).
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Raccomandati ai Santi che lavorarono ad evangelizzare la Terra Santa, particolarmente a quelli che vi morirono di martirio o di fatiche apostoliche. Raccomandati agli Angeli, custodi di quei venerandi monumenti o sante rovine e a tutte le anime del Purgatorio, specie di quelli che morirono colà, che vi furono in pellegrinaggio, che desiderarono andarvi o morirvi e che furono devoti o benefattori dei luoghi Santi (Scr. 5,527).
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Facciano questo Pellegrinaggio in spirito di umiltà, di penitenza e di preghiera, raccomandandosi ai Santi e agli Angeli tutelari e Patroni dei vari luoghi e paesi dove passeranno (Scr. 8,71).
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Spero che stia bene: mando il mio Angelo Custode a trovarLa e a dirLe tante e tante cose buone e sante e a ringraziarLa ogni giorno di quanto ha fatto. Dio La ricompenserà in eterno! (Scr. 9,70).
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Tu andrai con la croce e con la corona in mano, guidato dalla SS.ma Vergine e dal tuo Angelo Custode. Andrai per il mondo, ma sta’ attento a fuggire dal mondo: sii cauto nelle relazioni, amicizie, conversazioni generali e particolari (Scr. 29,149).
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Io le manderò tutti i giorni per alcune ore il mio angelo custode a confortarla, ma, sovra tutto, o caro amico nel Signore, le sia di sollievo il pensiero ai patimenti sofferti da Gesù: l’amore di Gesù Cristo e l’amore a Gesù Cristo siano le due vene di ogni nostra consolazione (Scr. 35,177).
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Sovente, quando prego per lei, per suo fratello e famiglia sento una viva pena di non poter scrivere e allora dico al mio angelo custode di venire lui a portarvi conforto e gli dico di pregare perché tutti i santi desideri di lei abbiano a compiersi (Scr. 41,72).
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Ti avrà accompagnato il mio angelo che avevo mandato vicino a te in quelle ore nelle quali mi pareva di presentire la tua vicina dipartita. Ti avranno certo accompagnato le anime già ascese al Paradiso, che a migliaia, e da tutti i punti della diocesi, tu avevi ricondotte al Signore: quelle anime sono la tua grande corona di gloria! (Scr. 45,215).
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Le manderò anche, qualche ora al giorno, il mio angelo custode, che le dirà tante cose sante, assai assai più che non potrebbe fare questo suo figliuolo e servitore devotissimo in Cristo (Scr. 49,129).
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Dopo la prova verrà il Paradiso e ci verrà incontro la Madonna SS.ma e di là pregheremo e affretteremo il tempo della letizia, come già pregano quei giustificati che nella carità operarono per i neri e per gli schiavi e come pregano, con aspettazione spoglia da ogni umana fretta, tutte quelle anime dei neri che sono in luogo di beatitudine e di salvazione e i loro Angeli tutelari, i quali tutti, silenziosamente, adorano e pregano con dolce pazienza e affrettano senza fretta l’ora di Dio (Scr. 51,126).
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Dio non ha private le anime nostre di tanta grazia e nel suo nome adorabile e nel nome benedetto della sua e nostra SS.ma Madre e dei beati apostoli e dei santi e angeli nostri protettori si cominciano gli Esercizi anche quest’anno per la gloria di Dio e della santa Chiesa e per la santificazione nostra e la salute delle anime! (Scr. 52,165).
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Sceglietevi qualche santo e raccomandatevi di frequente all’angelo custode (Scr. 52,166).
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Tenetevi sempre davanti Gesù e Maria SS.ma, l’Arcangelo San Raffaele e i vostri angeli e santi protettori. Pensate che le strade che voi farete sono state percorse già da tanti pii pellegrini, da uomini e servi di Dio e da santi e invocateli di frequente (Scr. 52,199).
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Che gioia per quell’angelo custode a cui è dato di condurre un’anima pura! Quando un’anima è pura tutto il cielo la guarda con amore e diventa la padrona di Dio (Scr. 58,217).
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Riposa nella pace di Cristo, dolce e benedetto mio figliuolo che te ne sei andato da questa misera vita a vita beata, prega per noi e per i tuoi fratelli. Ti accompagnano gli angeli santi al Paradiso e i Vergini e i Martiri del Signore portino la tua anima sulle palme delle loro mani. Va’, riposa in pace; noi tutti saremo con te, sempre con Cristo, e sempre con la Madonna e sempre con te, non è questione che di giorni (Scr. 64,283).
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Darsi a Dio la sera coricandosi e domandargli la forza di vincersi alla mattina senza ritardo e invocare a tal effetto la protezione della SS.ma Vergine con un’Ave Maria in ginocchio e raccomandarsi al proprio angelo custode. Molti si sono avvantaggiati assai con questa pratica (Scr. 82,79).
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Levate la fronte abbattuta, vedete, o cari servi di Gesù Cristo, vedete l’angelo delle consolazioni che viene, vi addita un angolo di cielo sereno popolato dai servi di Gesù... Oh, pensate che momentanei e leggeri sono i travagli e non angustiatevi per le cose caduche o per le fugaci sciagure. Soffrite e pregate! (Scr. 85,253).
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Chi vuole pervenire ad essere uomo interiore e spirituale – senza di che mai si avranno le benedizioni del Signore – bisogna che non solamente si scosti con Gesù dalla turba, ma fin anco si allontani affatto dai conoscenti e dagli amici e allora può essere certo che Dio gli si accosterà con gli angeli santi (Scr. 90,435).
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Nei Santi Evangeli di frequente si parla degli Angeli quali ministri di Dio e di Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio. Un Angelo apparve a Maria Vergine e Le annuncia che è stata eletta a Madre del tanto sospirato Messia. Gli Angeli volano sulle capanne dei pastori e cantano la pace. Un Angelo apparve in sogno a San Giuseppe e gli disse di ricevere pure in casa Maria e che da essa sarebbe nato un figliuolo, al quale Giuseppe avrebbe dovuto mettere nome Gesù, perché sarebbe stato il Salvatore del popolo. Gli Angeli andarono a Gesù e Lo servirono dopo la tentazione nel deserto. Nella parabola della zizzania del campo, nostro Signore disse che i mietitori sono gli Angeli. Nella parabola della rete gettata in mare il Vangelo dice: «Così avverrà alla fine della età presente: verranno gli Angeli e toglieranno i malvagi di mezzo ai giusti» (Mt 13,49). E al Capo XVI di San Matteo si legge: «Il Figliuolo dell’Uomo verrà nella gloria del Padre suo con i suoi Angeli e allora renderà la retribuzione a ciascuno secondo le sue azioni». E dove si parla del Giudizio Universale è detto in San Matteo che Dio «manderà i suoi Angeli, i quali, a suon di squillante tromba, raduneranno gli eletti dai quattro venti, dall’un capo del cielo all’altro». E così è pure detto in Marco al Capo XIII. E a San Pietro Gesù dice: «Riponi la tua spada nel fodero, perché tutti coloro che mettono mano alla spada periranno per la spada... Credi tu forse che io non potrei chiedere aiuto al Padre mio, il quale mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni di Angeli?». Un Angelo appare a confortare Gesù nell’Orto del Getsemani, due Angeli vestiti di bianco sono sul sepolcro, ad annunciare che Cristo è risorto! E San Pietro è liberato dal carcere per le mani di un Angelo del Signore e le catene caddero dai polsi di Pietro, mentre la Chiesa faceva fervide preghiere a Dio per Lui. E così come Dio ha mandato il suo Angelo a liberare Pietro dalle mani di Erode, voglia che le schiere angeliche abbiano ad affrettare la liberazione di tante anime dalle catene del peccato e facciano sì che possiamo con gioia presto salutare il trionfo della Santa Chiesa di Gesù Cristo! (Scr. 94,329).
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Vi manderò il mio Angelo Custode che farà sentire ai vostri cuori le gioie soavi e i guadi della carità e sentirete un gran desiderio di amare il Signore e di amarvi gli uni gli altri e di amare i carissimi nostri fratelli poveri, specialmente i più infelici e abbandonati (Scr. 98,267).
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Ti benedico con tanto affetto in Domino e ti manderò ogni giorno il mio Angelo Custode dalle 10 alle 11, che ti conforti ognor più alla pazienza e a prendere tutto dalla Mano di Dio (Scr. 105,228).
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Cari Benefattori miei, pregherò che venga a Voi, per San Giuseppe, il mio Angelo Custode: verrà a confortarVi sempre più al bene, a farVi coraggio, ché questa vita è breve, è una giornata e dobbiamo riempirla di bene, perché chi semina in benedizione, mieterà in benedizione! (Lett. II,205).
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Fatevi piccoli coi piccoli, abbiate una grande pazienza ed un gran rispetto per le anime innocenti che vi sono affidate. Pensate che i loro Angeli custodi vivono al cospetto di Dio e ne contemplano la faccia. Guardate le buone madri: quanta pazienza hanno coi loro bambini! Ricordo mia madre che, quando vezzeggiava i piccini e parlava loro, balbettava con essi! Ieri i vostri Angeli Custodi hanno portato al trono di Dio, in una coppa d’oro, tutti i vostri meriti, gli atti di pazienza, di diligenza, il desiderio di far del bene: e certamente il Signore vi ricompenserà di tutto, dandovi grazie ed aiuti per far maggior bene (Par. I,57).
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Ogni creatura ha il suo Angelo Custode, ogni Chiesa ha il suo Angelo Custode, ogni altare è vegliato, custodito da Angeli; così ogni città, ogni paese, ogni nazione ha i suoi Angeli Custodi. Vi sono gli angeli del mare, vi sono gli angeli della misericordia, gli angeli della bontà, gli angeli della giustizia e vi sono gli angeli dello sterminio (Par. II,40).
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Il primo canto che mi fece tanta impressione per il coro imponente che ho sentito da Don Bosco fu: Angioletto del mio Dio. Una parte dei giovani cantava la prima parte: «Angioletto del mio Dio», eccetera fino a «che fai tu vicino a me»; e l’altra: «Sono l’angiol del Signore, son l’amico del tuo cuore; quando vegli e quando dormi sempre, sempre son con te». È stato scritto da Silvio Pellico – il quale, come sapete, era stato condannato a morte perché aveva troppo amato l’Italia – ebbene, Silvio Pellico – che scrisse anche una cantica a Leoniero da Tortona – compose anche la canzoncina: Angioletto del mio Dio (Par. III,7).
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Domani è la festa del nostro Angelo custode. Il Signore ha dato un Angelo a ciascuno di noi. Il Signore ce lo ha dato quando mandavamo i primi vagiti. È stato il primo amico della nostra infanzia. Dice la Scrittura: «Angelis suis Deus mandavit de te ut custodiant te in omnibus viis tuis». Dio diede ai suoi Angeli il compito di custodirci in tutti i pericoli dell’anima e del corpo. Dobbiamo diportarci in modo da non dover obbligare l’Angelo a voltare la faccia altrove o a coprirsi il volto a causa delle azioni cattive. Dobbiamo corrispondere alle sue buone ispirazioni, dobbiamo promettergli di voler sempre ascoltare i suoi consigli (Par. III,7–8).
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Domani è la festa dei Santi Angeli Custodi. Il Beato Don Bosco quando aprì il secondo Oratorio lo volle consacrato ai Santi Angeli Custodi. Il Signore ad ogni uomo ha affidato ed affida un Angelo che lo diriga. Domani noi, per onorare bene il nostro Angelo Custode, cioè se vogliamo festeggiare il suo onomastico proprio come conviene, dobbiamo cercare di non offenderlo, anche nelle cose più piccole, non disgustarlo, perché quando commettiamo qualche peccato lo disgustiamo e lo facciamo piangere. Preghiamo perché sempre ci stia al fianco e non permetta mai che Lucifero abbia ad impossessarsi della nostra anima. Ringraziamolo per l’assistenza fattaci fino ad oggi. Domandiamogli perdono di tutte le volte che lo abbiamo fatto piangere o disgustato. Domandiamogli, in ultimo, che il giorno della nostra morte ci introduca ai piedi di Gesù e di Maria Santissima in Paradiso, per ricevere il premio e là stare sempre uniti con essi per tutta l’eternità (Par. III,216).
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Cari miei figlioli, abbiamo fatto bene il nostro dovere, tutto il nostro dovere? Pensiamoci bene. E ora, qual è il nostro dovere? Il nostro dovere è di riparare: riparare per il tempo male speso, riparare per quanto bene si poteva fare e non abbiamo fatto, per tante e tante ispirazioni dell’Angelo Custode che abbiamo disprezzato e trascurato (Par. III,245).
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Raccomandiamoci ai Santi Angeli Custodi. Il nostro Angelo Custode è quello che ha pianto con noi, che ha sospirato con noi, che è il nostro protettore (Par. IV,431).
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Oggi abbiamo passato una parte della giornata in compagnia dell’Arcangelo Raffaele. Questa festa ci ricorda di ringraziare Dio di averci affidato ad un Angelo, che appunto è chiamato l’Angelo Custode, perché ebbe l’incarico di custodirci. Come è mai buono il Signore! Egli ci ha messo nelle mani di uno spirito beato per aiutarci, guardarci e liberarci dai pericoli e dal male. Lo dice anche la Sacra Scrittura che gli angeli ci custodiscono: «Angelis suis Deus mandavit de te ut custodiant te in omnibus viis tuis»! Il Beato Don Bosco aveva una grande devozione all’Angelo Custode e non si passavano molti giorni all’Oratorio senza cantare la lode scritta dall’anima bella di Silvio Pellico Angioletto del mio Dio. È una poesia di Silvio Pellico che Don Bosco mise in fine del Giovane Provveduto e che fece musicare. Si cantava nelle nostre passeggiate oltre il Po, a San Vito, a Santa Maria Margherita, a Superga; facevamo echeggiare le valli delle nostre lodi e con quella all’Angelo. Era tanto devoto Don Bosco che volle che uno dei primi Oratori festivi fosse dedicato all’Angelo Custode. E volle che uno dei primi suoi Sacerdoti, Don Francesia, scrivesse un libro sui Santi Angeli Custodi. Spesso i suoi Sacerdoti parlavano dei Santi Angeli. Un giorno, il due ottobre, c’era Don Cremaschi e gli dissi: «Parlate dei Santi Angeli Custodi», ed egli ve ne parlò ed anche molto bene. Con questo desidero che cantiate spesso questa lode come si faceva da Don Bosco. Raccomandatevi a Lui. Quante volte l’Angelo avrà velato gli occhi per non vedere tante cose! Quante volte avrà pianto! (Par. V,259).
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Ci sono certe cose di cui nella nostra vita si fa poco conto: l’Angelo Custode, la Santissima Trinità, il Crocifisso, le Anime del Purgatorio. Dobbiamo farle rivivere queste devozioni troppo dimenticate, ma troppo importanti (Par. VI,224).
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Don Cremaschi parlò un giorno dell’Angelo Custode con tanto spirito e fede che, benché siano passati tanti anni, non ho più dimenticato lo spirito di quelle parole. Ho pensato che anche ai novizi avesse parlato degli Angeli Custodi. Voi sapete che uno spirito celeste è stato posto a vegliare sulla nostra culla, un angelo, missus, un messaggero. Posto da chi? Dal Signore. Mandato a confortarci in tutte le ore della vita: «Ut custodiant te in omnibus viis tuis». Ordinò che ti custodissero in tutti i sentieri della vita. Dio ci ha dato un angelo. I Padri della Chiesa ritengono che ad ogni azione vi sia un Angelo deputato alla custodia. Quante ispirazioni e sentimenti buoni ci manda! Quanta lotta sostiene con l’angelo delle tenebre per mantenerci onesti. Quando eravamo sul ciglione dell’abisso ci ha sorretto. Come avrà velato gli occhi nelle mie e vostre cadute! Come avrà gioito quando ci ha visto procedere ilari e contenti verso il cammino del Signore. Sarà a difenderci nelle ultime ore della nostra vita. Tra le preghiere della sera c’è anche l’Angele Dei: non si tralasci mai anche quando si devono accorciare per necessità. Quelle nostre preghiere del mattino e della sera furono molto ponderate. Ogni Ave è stata pesata. Ascoltare le buone ispirazioni dell’Angelo Custode. E nelle lotte e nelle battaglie aprirgli il cuore con confidenza. Ritorniamo ai nostri Angeli. Cerchiamo di sentire la presenza dell’Angelo, di aprirgli il cuore e nutriamo per Lui un senso profondo di gratitudine e di obbedienza (Par. VIII,14–15).
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Con l’Angelo Custode ci deve essere sempre la più intima, la più grande amicizia, la più santa amicizia, la più lodevole amicizia (Par. VIII,117).
Vedi anche: Demonio, Inferno, Paradiso.
Anime
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Dobbiamo essere bollenti di fede e di carità e avere sete di martirio e infondere questa sete e questo fuoco di ardentissimo amore di Dio e delle anime in tutti i membri della Congregazione. Apostolato e martirio, martirio e apostolato! Avere un gran cuore e una più grande carità e vivere la divina follia delle anime. Noi dobbiamo essere gli inebriati della carità e i pazzi della croce di Cristo Crocifisso, ma forti, non fiacchi (Scr. 1,272).
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Ciò che fate ai piccoli per amore di Gesù Cristo è fatto a Gesù Cristo stesso! Lavoriamo per le anime! (Scr. 4,79).
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Raccomandiamoci alla Madonna SS.ma e vedrai che Essa, che sa i nostri bisogni e il desiderio che abbiamo di salvare anime e di non permetterne la rovina, ci darà conforto e grazia di riparare ove avessimo mancato per nostra negligenza (Scr. 4,119).
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Va’ avanti con amore non solo con le anime, ma con te stesso: l’amore di Dio può sulle Anime più, non dico, del rigore, ma della forza stessa della ragione. Non vivere di timore di mancare ai tuoi doveri e agli impegni che abbiamo, te ne prego, ma fa’ con dolcezza quello che puoi ilarmente in Domino: fa’ così, fa’ così! Vivi di fame e di sete di anime, ma di una fame non arrabbiata, ma dolce, ma dolce, ma dolce. Dico così perché molti scambiano un certo zelo per la carità di Nostro Signore, ma non tutto lo zelo è carità di Gesù e amore dolce alle anime (Scr. 4,127–128).
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Nel Signore ti avviso che tu farai un gran bene di più se sarai più amabile, più dolce in qualche momento, più espansivo e se farai uno sforzo al tuo carattere un po’ chiuso, per tirare attorno a te le anime e portarle al Signore. Dovrai fare sforzo al tuo naturale, ma il Signore te ne pagherà. Moltissime volte parlandoti insieme si vede subito che dentro sei tutta carità e dolcezza, ma cosa vuoi, per chi non ti conosce il vederti così alto, così asciutto, molte volte chiude il cuore di chi non ha pratica con te, caro mio Don Adaglio, quindi prefiggiti di essere bel dolce anche un po’ al di fuori e di avvicinare in Domino le anime. Niente può resistere alla dolcezza ed essa è necessaria in noi come la prudenza (Scr. 4,221).
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Non basta a noi solo il pregare, solo lo studiare, ma ancora bisogna facchinare più che da un’Ave Maria all’altra per il buon andamento degli Istituti, con amore di figli, pensando prima agli altri e poi a noi e mostrando così se c’è o no vocazione, se c’è quello spirito di Dio, quel vero spirito di annegamento di noi e di martirio per la salvezza delle anime, che dev’essere proprio dei figli della Divina Provvidenza. La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina e non raggiungerà il suo scopo. E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù: che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio, che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata, una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna. Noi cadremo, ma mille anime sorgeranno e vivranno di Dio e anche di quella luce onde noi le avremo illuminate e amate nel Signore (Scr. 6,150e).
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Preghi un po’ per noi, che Dio ci assista, che cerchiamo Dio e le anime e niente altro che essere tutti di Dio e delle anime, in particolarissimo modo dei piccoli, dei malati, dei poveri più abbandonati, che hanno bisogno di conforto morale e di pane (Scr. 9,66).
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Ed ora finisco, oggi sento il cuore un po’ stanco, ma pieno di ardore di consumarsi per la Chiesa e per le anime. Pregate per me, fate pregare molto (Scr. 19,18).
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I confini stessi della terra diventeranno la nostra abitazione se saremo umili e fedeli figlioli della Chiesa di Roma e vivremo della carità senza limiti di Gesù Cristo e solo cercando Gesù Cristo e il suo regno, cioè le anime e le anime e le anime! (Scr. 20,79).
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La nostra politica dovrà consistere nel portare a Dio e alla Chiesa la povera gioventù e le anime, a qualunque partito esse appartengono. Gesù Cristo non è forse venuto per tutti? E non è Egli Padre e Redentore di tutti, senza distinzione di nazionalità e di partito? (Scr. 20,95).
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Nostra politica è fare del bene a tutti, ai buoni e ai cattivi, come il Signore che fa piovere la luce del sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Siano rossi o siano bianchi, siano credenti o siano miscredenti, noi non cerchiamo la fede politica e neanche la fede di nascita; noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che, se una preferenza la dovremo dare, la daremo a quelli che ci sembrano più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti (Scr. 20,96).
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A tutti umilmente supplico che conceda nostro Signore un’infaticabile attività e sete per la salvezza delle anime: la più dolce concordia e stretta unione fraterna, con il più grande amore di Dio, anzi tutta la carità di Gesù Cristo crocifisso (Scr. 29,79).
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Il vero sacerdote, sia o non sia religioso, studia ogni giorno sempre un poco e arde di carità per le anime e tutti infiamma con il fuoco dell’amore di Dio (Scr. 29,143).
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Non ho bisogno di trovare in voi dei morti prima di morire, ma dei vivi, degli spiriti ardenti di bene, dei cuori grandi, delle volontà pronte a tutti i sacrifici per Cristo, per la Chiesa, per le anime: dobbiamo essere apostoli, se no tradiremmo la nostra vera vocazione e finiremmo nel nulla, se pur non diventeremo degli apostati, se non di nome e di forma, di pratica e di fatto, cioè di vita ignava (Scr. 29,267).
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In ginocchio: voglio salvarmi e attaccarmi alla Santa Madonna, voglio salvare tante e tante anime, voglio farmi santo in ginocchio. In ginocchio davanti alle anime, a conforto e a salute delle anime: a tutti servo, conformando spirito e vita allo spirito e alla vita di Cristo, per trarre tutti a Cristo benedetto, con pietà grande, con la verità animata da carità infinita (Scr. 31,257).
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Coraggio e avanti: avanti sempre nel bene! Gesù, Anime e Papa! Vivere e morire per Gesù, vivere e sacrificarci per la salvezza della nostra e delle altrui anime, vivere e procombere da eroi per le sante ragioni del Papa che si identificano coi sacri diritti di Cristo: ecco il programma dei santi, facciamolo nostro! (Scr. 35,3).
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Io desidero e voglio, fidato solo dell’aiuto di Dio, voglio convertirmi tutto a Dio e vivere solo per Lui e dell’amore alla santa Chiesa e alle anime e lavorare a salvare anime, se così piacesse mai alla Sua bontà di chiamarmi a portargli un poco di umile aiuto (Scr. 35,163).
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Dilatiamo il nostro cuore e facciamolo diventare grande grande, che le anime da salvare sono infinite e ve ne sono molte che si perdono perché trovano dei cuori troppo piccoli: hanno bisogno di trovare dei cuori grandi, specialmente oggi! (Scr. 35,160).
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Amare Dio e la Santa Chiesa e salvare anime! Ecco tutto. Si salvano anime con la santità, con il buon esempio e con la scienza (Scr. 43,94).
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Io non ti prometto nulla di ciò che il mondo promette: ti prometto il paradiso e una corona sterminata di anime salvate dall’olocausto della tua vita; ti prometto: fame, freddo, fatiche, fastidi, povertà, croci, umiliazioni, fischi, facchinaggi, fiaschi, filze di debiti (Scr. 44,107).
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Io non sono venuto in America a cercare denaro, ma anime e specialmente sono nato per gli orfani, per i derelitti, per il popolo abbandonato, per i poveri di Gesù Cristo, cioè per quelli che sono i più cari a nostro Signore ed alla sua Chiesa: voglio, vorrei con il divino aiuto, riportare il popolo alla Chiesa (Scr. 48,256).
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Ho un desiderio: di amare il Signore e di amare la santa Chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti: vorrei morire per questi miei fratelli e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto i piedi di tutti e solo amore a Gesù, alla Santa Chiesa e a tutti, e perdermi nel Signore: io, indegnissimo, che ho tanto peccato, che sono stato tanto cattivo con il Signore e con la Madonna e non ho tesoreggiato i doni del Signore! (Scr. 50,26).
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La vita è breve e presto presto non ci saremo più! Amiamo Dio, amiamo il prossimo, preghiamo e lavoriamo a salvarci l’anima e a salvare anime, vivendo in semplicità, umiltà, carità e totale sacrificio di noi ai piedi del Papa, dei Vescovi, da piccoli servitori della santa Chiesa di Dio (Scr. 52,43).
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Salva anime e più anime chi più mette sotto i piedi tutte le cose terrene (Scr. 55,228).
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Il Signore mi fa sentire con un amore dolcissimo e chiama me e Lei ad amarlo grandemente. Amare Gesù e le Anime è l’Opera più grande che si può fare sulla terra; mi pare che mi giri attorno un soavissimo canto di amore e che diventeremo i cantori di Dio, cantori della carità di Dio: i piccoli e i poveri di Gesù, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno e il canto di Dio che mi gira d’intorno all’anima e alla mente e la gloria e l’amore che mi ferisce il cuore e la vita e mi fa vivere e morire di un fuoco grandissimo che è vita e mi canta dentro e mi fa esclamare: o cuore di Gesù, amore delle Anime piccole e umili di Gesù. Amare o morire di amore! (Scr. 57,101).
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Non saper vedere e amare nel mondo che le anime dei nostri fratelli. Anime di piccoli, anime di poveri, anime di peccatori, anime di giusti, anime di traviati, anime di penitenti, anime di ribelli alla volontà di Dio, anime di ribelli alla Santa Chiesa di Cristo, anime di figli degeneri, anime di sacerdoti sciagurati e perfidi, anime sottomesse al dolore, anime bianche come colombe, anime semplici, pure, angeliche di vergini, anime cadute nella tenebra del senso e nella bassa bestialità della carne, anime orgogliose nel male, anime avide di potenza e di oro, anime piene di sé, che solo vedono sé, anime smarrite che cercano una via, anime dolenti che cercano un rifugio o una parola di pietà, anime urlanti nella disperazione della condanna o anime inebriate dalle ebbrezze della verità vissuta: tutte sono amate da Cristo, per tutte Cristo è morto, tutte Cristo vuole salve tra le sue braccia e sul suo Cuore trafitto. La nostra vita e tutta la nostra Congregazione dev’essere un cantico e insieme un olocausto di fraternità universale in Cristo. Vedere e sentire Cristo nell’uomo. Dobbiamo avere in noi la musica profondissima e altissima della carità. Per noi il punto centrale dell’universo è la Chiesa di Cristo e il fulcro del dramma cristiano, l’anima. Io non sento che una infinita, divina sinfonia di spiriti, palpitanti intorno alla Croce. E la Croce stilla per noi, goccia a goccia attraverso ai secoli, il sangue divino sparso per ciascuna anima umana. Dalla Croce, Cristo grida: Sitio! Terribile grido di arsura che non è della carne, ma è grido di sete d’anime ed è per questa sete delle anime nostre che Cristo muore. Io non vedo che un cielo, un cielo veramente divino, perché è il cielo della salvezza e della pace vera: io non vedo che un regno di Dio, il regno della carità e del perdono, dove tutta la moltitudine delle genti è eredità di Cristo e regno di Cristo. La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno perché io, per la misericordia tua, lo chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine. Amore delle anime. Anime! Anime! Scriverò la mia vita con le lacrime e con il sangue (Scr. 57,104–105).
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Preti, ci vogliono, e santi preti! Sacerdoti di uno spirito illuminato, di un petto che sfidi la fortezza apostolica e di un carattere intransigente e papale. Preti di azione, preti di preghiera, preti di sacrificio! Preti sitibondi di anime, che tutto diano, anche sé stessi per Cristo per le anime e per il Papa: solo questi ed è questo solo il farmaco della società incancrenita (Scr. 59,196).
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Per prepararsi degnamente ai santi voti religiosi, per disporsi alle sacre ordinazioni, non basta a noi solo il pregare, solo lo studiare, ma ancora bisogna facchinare più che da un’Ave Maria all’altra, per il buon andamento degli Istituti, con amore di figli, pensando prima agli altri e poi a noi e mostrando così se c’è o no vocazione, se c’è quello spirito di Dio, quel vero spirito di annegamento di noi e di martirio per la salvezza delle anime, che deve essere proprio dei figli della Divina Provvidenza. La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina e non raggiungerà il suo scopo (Scr. 62,120a).
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Prego Nostro Signore di farmi consumare di amore per la Sua Chiesa e per le anime (Scr. 64,18).
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Umilmente prego la bontà del Signore di non guardare ai peccati miei né alla grande miseria mia, ma bensì di darmi grazia di cominciare una vita nuova che sia tutta amore di Dio e delle anime, che sia amore dolcissimo ed olocausto pieno e perenne alla Chiesa, ai piccoli e ai poveri (Scr. 64,156).
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Dal cuore nascono gli alti pensieri, le aspirazioni potenti, gli ardori magnanimi, gli eroici sacrifici. Ora, o Signori, se nel cuore dell’uomo è la sua grandezza morale, l’immensa grandezza di Dio noi l’abbiamo nel suo cuore trafitto. È nel suo cuore che s’infiamma la carità, quell’amore forte, sublime, espansivo è la voce della carità, è l’ultimo gemito del cuore trafitto di Gesù Cristo! Anime! Anime, mi grida; ho sete di anime! Levati, o figlio, e dammi delle anime! Sitio!, vi grida Gesù! Ho sete delle vostre anime che valgono il mio sangue (Scr. 64,267a).
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Ti ho scritto per salvare le anime, per fare dei santi. Salvami le anime, salvami le anime! Tu dunque non poggiar così in basso: leva alto le anime, leva alto i cuori (Scr. 65,351).
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Bada, figlio mio, di ricevere umilmente questi rimproveri che ti do, perché la cura delle anime è cosa divina. Coloro a cui Dio ha dato la missione e la cura di lavorare alla salute delle anime e di predicare la divina parola, devono avere una gratitudine speciale a Dio e un impegno speciale, perché la fatica che essi fanno nel curare il popolo cristiano e pascere le anime è il maggior segno che possono dare a Dio della loro carità (Scr. 69,85).
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Pio X vuole sopra tutto le anime: Pio X è il grande Papa delle anime, pur non trascurando il resto. Così almeno l’ho sentito nella sua parola, nei suoi atti, nei suoi sguardi profondi in tutto, su tutto vi è un pensiero che domina, un’idea sola, grande, divina, una volontà tenacissima un desiderio ardentissimo: le anime e le anime! Tutto il resto si aggiusta purché si prendano le anime o tutto si accomodi e coordini ad avere le anime, questo è Pio X. Pio X, il quale non rinuncia a nulla perché, poveretto, ha nulla da rinunciare e tutto da volere per le anime, ma a tutto rinuncerebbe, anche se fosse mai possibile, per un’anima sola! La sua politica sono le anime e sarà politica grande la sua e sagacissima come è lui, perché è più a suo posto (Scr. 69,314).
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Eccellenza Rev.ma, la misericordia di Dio sopra di me e dei miei figliuoli e la salvezza delle nostre anime. Intendo così tesaurizzare questa grazia di Gesù Cristo e voglio, con il divino aiuto, convertirmi tutto a Lui e darmi, con ardentissima carità, ad amare e servire la Santa Chiesa e le anime. Voglio che il piccolo Istituto o serva umilmente la Santa Chiesa e i Vescovi o scompaia, perché la causa della Chiesa è la causa stessa di Gesù Cristo e delle anime (Scr. 69,387).
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Amiamo il Signore! Amiamo il Signore! Salviamo Anime! Salviamo Anime! Tutto passa e in fine della vita si trova il frutto delle opere buone (Scr. 75,43).
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C’è un campo immenso davanti a me: tante lacrime da rasciugare, tanti cuori da confortare, tante anime in cui accendere la fiamma della fede e dell’amore. C’è un lavoro enorme da compiere, c’è da combattere duramente e a lungo; c’è da costringere la nostra società riottosa a cambiare il suo volto e a rinnovarsi in Cristo (Scr. 75,93).
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Allarga le braccia e abbracciali tutti, allarga le braccia e salvali tutti, stringili pure al tuo cuore: sono le anime di Gesù, sono le anime che Dio ti ha dato in pegno, stringetele pure al cuore e sentano che il tuo cuore è cuore di padre, è cuore di sacerdote, è cuore in certo modo di Dio! (Scr. 77,187).
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Lo spirito dei nostri Missionari vuole essere spirito di orazione: spirito della più grande umiltà e povertà e spirito di affocata e inestinguibile carità verso Dio e verso le anime! (Scr. 79.281).
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Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la sua Chiesa e la piccola tua Congregazione si amano e si servono solamente stando sulla Croce e crocifissi di carità (Scr. 80,114).
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Sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono, sentiamo il grido delle anime che anelano a Cristo. Non vi è niente di più caro al Signore che la carità verso il prossimo e specialmente verso le anime (Scr. 81,94).
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Fine del Sacerdozio è di salvare le anime e di correre dietro specialmente a quelle che, allontanandosi da Dio, si vanno perdendo. Ad esse io devo una preferenza non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori (Scr. 99,36a).
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Che io possa amare e servire nostro Signore e la Santa Chiesa e consumarmi per le anime, specialmente per i poveri e per la fanciullezza abbandonata. La misericordia di Dio mi copre e mi tiene in piedi, malgrado tanti miei peccati (Scr. 86,10).
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Gesù nei poveri sia la fiamma che ci spinga a salvare tutte le anime... Assistete ai bisognosi, visitate gli ammalati, consolate gli afflitti, salvate la gioventù, o meglio salvate il povero popolo, salvate tutti, salvate sempre, salvate le anime, salvate le anime! (Scr. 88,3).
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Non cerchiamo che le anime: non chiediamo che di vivere e morire per la Chiesa e per le anime (Scr. 88,95).
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Per predicare bene, bisogna amare molto il Signore e la Madonna e le anime: «Qui non arderet non incendit», poiché il regno di Dio non sta nelle parole, ma nella virtù e nella carità del Signore. E questo amore di Dio e delle anime si alimenta con la preghiera e con l’altare (Scr. 89,155).
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Non aver a cuore che le anime. Lasciate che altri accumuli tesori, cerchi piaceri, corra dietro agli onori: noi altri non vogliamo altro che le anime, vera e soda pietà, la nostra anima, le anime del prossimo (Scr. 100,80).
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Come senza fede è impossibile piacere a Dio, così, senza carità e dolcezza, è impossibile piacere al prossimo e fare del bene alle anime. Non abbiate paura di perdere l’anima vostra, se con la carità e con il sacrificio vi darete attorno a salvare le anime altrui. Sant’Agostino, che se ne intendeva molto bene di queste cose, lasciò scritto: «Hai salvata un’anima? Ebbene, tu hai predestinata l’anima tua!» (Scr. 101,121).
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Siamo assetati di Dio e delle anime del prossimo. La vita nostra sia tutta un apostolato di carità, di fuoco d’amore di Dio e del prossimo (Scr. 106,148).
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Non cerchiamo che le anime, non chiediamo che di vivere e morire per la Chiesa e per le anime e che di essere tollerati nelle nostre grandi miserie e deficienze, che di essere guidati, illuminati nei nostri doveri, sorretti nelle povere nostre fatiche dalla paterna benignità dei Vescovi e dalla Benedizione del Vicario di Gesù Cristo (Scr. 107,183).
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Impariamo da Lui che è morto per noi ad amare le anime nostre e ad agonizzare per esse, pur di salvarle. Dalla sua carità impariamo ad amarci a vicenda, come si legge dei primitivi cristiani, che erano un cuor solo e un’anima sola: e amiamo non con la lingua e con vane parole, ma in verità e con le opere. Che la carità delle anime anticipando sulla vita assorbisca la fede, assorbisca la speranza, assorbisca ogni cosa e fede e speranza e vita intera non sappiamo estrinsecarsi che in un atto continuo e perpetuo di carità e, devo dirlo?, in noi Sacerdoti e specialmente nei Pastori, che la carità del gregge assorbisca oggi in qualche guisa la carità di Dio (Scr. 111,74).
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Gesù ci offre una moltitudine di gente da salvare; Gesù palpita sulla Croce e dalla Croce Grida: Sitio. Don Benedetto mio, che faremo noi? Diamo anime al Crocifisso che muore di sete! O Maria, dolce mamma, no che il tuo Gesù non morrà più di sete; gli daremo il nostro amore, il nostro sangue e le anime dei nostri fratelli, tutte! Non è vero, caro Don Benedetto? Sì, sì e con infinita letizia e con pieno olocausto (Scr. 111,178).
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Amo le anime vivamente, sono nato per amare e vivo per questo e per salvare anime: per questo sono venuto, per farmi tutto a tutti nella Divina Provvidenza (Scr. 112,2).
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Amare le anime, voler salvare le anime, aiutare Gesù a salvare le nostre anime e le anime dei nostri fratelli, con rinnegamento di noi, con ogni sacrificio, con tutto il sacrificio di noi, come ostie pure di Gesù, come agnelli di Gesù, dietro a Gesù e tutto per Gesù (Scr. 117,96).
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Pensa seriamente a salvare la tua anima, a farti santo e a salvare le anime del nostro prossimo, dei nostri fratelli. L’anima è il riflesso di Dio: la sua origine è Dio, il suo fine è Dio, il suo alimento è Dio, il suo prezzo è il sangue di Gesù Cristo, uomo Dio. Per fare il mondo bastò a Dio una parola, ma per salvare le anime nostre Gesù Cristo–Dio ha voluto morire! Caro Daniele: Almas y Almas! Noi, sorretti dalla grazia di Dio, dobbiamo essere salvatori di anime: Almas y Almas! Cooperare con Cristo a salvare anime, la grazia di questa celeste vocazione è grande e, dopo il santo battesimo, è il più gran beneficio di Dio (Scr. 118,31).
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Questo è che piace a Gesù: si vive morendo e si fatica dolorando e immolandoci per il Papa, per la Chiesa, per la santificazione del Clero, per le anime, per la conversione dei peccatori, per la conversione degli infedeli, per la pace del mondo, per chi piange, per chi soffre delle umane ingiustizie, per tutti, per tutti: per vincere il male con il bene! A gloria di Dio! (Scr. 121,187).
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Vi esorto ad avere sempre grandissima confidenza nella Divina Provvidenza e ad amarvi tanto e ad amare le Anime, le Anime, cercando specialmente gli umili e i piccoli abbandonati. Questo è il desiderio affocato dell’anima mia (Lett. I,458).
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Offriamoci, consacriamoci tutti ad amare e servire la Santa Chiesa e le anime, specialmente delle più umili, più bisognose, più abbandonate e il popolo, il povero popolo insidiato nella fede e straviato dalla fedeltà alla Chiesa (Lett. II,447).
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Vi ho già detto che io darei volentieri la mia vita, venderei volentieri la mia pelle sul mercato per riuscire a fare del bene, a portare anime a Dio e alla Madonna Santissima. Mai troppo, mai troppo si fa (Par. IV,460c).
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V’è un altro amore più grande, l’amore delle anime e lo troviamo spiegato nelle sette opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese... Bisogna salvare anime, salvare anime! Che darà l’uomo in cambio della sua anima?, domanda Gesù. Il grande apostolo della gioventù, il beato Don Bosco, chiedeva al Signore: «Da mihi animas et coetera tolle». San Gaetano, l’uomo della Provvidenza e quindi uno dei nostri protettori è chiamato Cacciatore di anime. Siate voi pure, o novelli Sacerdoti, cacciatori di anime! Voi, salvando le anime, darete da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, vestire chi è ignudo, alloggerete il pellegrino, visiterete gli infermi e i carcerati. Così, nel giorno del giudizio, udiremo quell’invito di Gesù: «Tu che mi sei stato fedele, entra nel gaudio del tuo Signore» (Par. V,126).
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Non possiamo fare una vita languida. Bisogna che diventiamo pazzi per l’amor di Dio! I nostri petti debbono sempre essere affocati di amor di Dio e delle anime: «Da mihi animas, coetera tolle»! Frase che nella nostra Congregazione è stata tradotta: Anime e Anime! Non dobbiamo ritrarci da nessuna anima, specialmente dalle più bisognose (Par. VI,88).
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I nostri grandi e santi amori sono, o cari miei figlioli, Gesù, Maria santissima, il Papa, le anime: una grande carità verso le anime dei nostri fratelli, specialmente le anime dei più poveri, dei più bisognosi ed abbandonati nostri fratelli (Par. VI,190).
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Un grande amore verso le anime dei nostri fratelli è il quarto santo amore dei Figli della Divina Provvidenza. Ma per coltivare nei nostri cuori questi sacri amori dobbiamo abbracciare una vita di sacrifici, di umiliazioni, vita di lavoro, di fatiche, di sofferenze e di veglie per salvare le anime dei nostri fratelli e portare i poveri a Gesù. Ecco i ricordi che vi do ai piedi dell’altare della nostra Santa Madonna: Gesù, Maria, Papa, anime. Ecco i sacri amori della Piccola Opera e sacri amori esercitati con una vita religiosa donata a Dio per le mani della Chiesa! (Par. VI,193).
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«Da mihi animas cetera tolle»!, diceva Don Bosco e pregava il Signore: «Dammi, o Signore, le anime dei giovani, toglietemi tutto il resto». Che un poco di quell’amore alle anime si trasfonda da Don Bosco in noi, sì che possiamo anche noi trasfondere dall’animo nostro lo zelo specialmente e l’amore per tanta gioventù così insidiata da tanti pericoli, oggi più ancora che ai tempi di Don Bosco. Chiediamo questo al Signore per l’intercessione di Don Bosco, perché anche noi, quando ci presenteremo al cospetto di Dio, possiamo presentargli un bel manipolo di anime; anime salvate da noi, per l’aiuto di Dio, della Santissima Vergine e per l’aiuto che Don Bosco vorrà elargirci nell’avvicinarsi della sua festa (Par. XII,58).
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Tanto più trascineremo le anime, quanto più sarà grande la stima e la fiducia che emanerà dalla nostra vita, dai nostri costumi, dal candore dei nostri costumi, dalla bellezza della virtù cristiana e religiosa che risplenderà nei nostri costumi, nella nostra vita! (Par. XII,115).
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Quando ero chierico mi ero circondato di alcuni ragazzi; a Pontecurone si associarono a me alcuni figliuoli; uno fu poi un angelo di chierico in Congregazione, il chierico Ottaggi di Pontecurone, che morì studente d’Università; uno è capostazione; un altro è a Genova, ma non finì bene, non ha fatto buona riuscita, vive a Genova, ma non vive bene. Si giocava con questi nel cortile dell’Arcipretura. E quando avevamo terminato di giocare avevamo una parola d’ordine che nessuno capiva, neanche il parroco. E la parola d’ordine è rimasta anche il programma della nostra Congregazione. Era il motto: Anime, Anime! Avrete letto più di una volta questo grido nelle intestazioni delle lettere: grido che è tutto un programma! Anime, Anime! E poi lasciare tutto il resto! Pensare che il nostro campo deve essere tutto spirituale, deve essere il campo di Nostro Signore Gesù Cristo che venne sulla terra per la salvezza delle nostre anime. Quindi dobbiamo attendere a noi, attendere e rientrare in noi, conoscerci (Par. XII,119).
Vedi anche: Anime! Anime! (motto), Apostolato, Carità, Instaurare omnia in Christo.
Anime! Anime! (motto)
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Il motto Anime! Anime! (varianti: Anime e Anime!, Almas! Almas!), posto come intestazione a molte lettere di don Luigi Orione, ricorre più di 6.500 volte nel corpus degli scritti. La prima attestazione di questa espressione, così cara a San Luigi Orione, risale probabilmente all’anno 1892, all’interno di un testo, non datato, che l’allora chierico Orione scrisse per la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, della quale egli era membro attivissimo. Il testo, in parte danneggiato e incompleto, è il seguente: «Quale lo spirito della Società: è spirito cattolico [...] carità [...]. Quale il fine: Anime! Anime! Ne è la vita; senza la carità cessa la ragione di sua esistenza e la carità è un dolore; la vita non è solamente il pane. Assistete ai bisognosi, visitate gli ammalati, consolate gli afflitti, salvate la gioventù, o meglio salvate il povero popolo, salvate tutti, salvate sempre, salvate le anime, salvate le anime! Associazione cattolica [...] se consolate tutti, consolate il Papa che, se è il più grande, è pure il più afflitto padre del mondo; questo è il nostro più grande dovere. Sotto l’umile stendardo di San Vincenzo uscirono i campioni di saggezza cattolica a salvare le anime [...] e prima fare del bene alla nostra e salvarla andando a visitare i poveri. La carità, sacro vincolo dei credenti in Cristo, è quella che ci stringe e ci ispira [...]. Salite al meschino abituro del povero [...] e là si riconosce la vita da quel giorno che il Signore mi ha fatto la grande grazia d’essere da Voi, o fratelli, eletto a visitatore dei nostri poveri. La stamberga e la vista dei poveri macilenti ed ammalati mi ispira a dare la vita e la mia veste ai poveri, viva personificazione di Gesù Cristo, mi commuove, mi fa riflettere seriamente. Amore, carità fra di voi: “cor unum et anima una” nel salvare tutte le anime; Anime! Anime! Questo è il negozio capitale della vita: Anime! Anime! Amore fra di voi: sollievo e consolazione ai poveri, nel povero assistente Gesù abbandonato: sarà un povero vecchio, sarà un fanciullo senza madre» (Scr. 88,2–3).
La prima ricorrenza dell’espressione «Anime! Anime!», posta come intestazione a una lettera, risale al 3 giugno 1894 (cf. Scr. 46,1), l’ultima in alcune lettere, scritte dal fondatore il 12 marzo 1940, giorno della sua morte (cf. Scr. 1,285; 8,266; 44,145; 92,60; 116,48). Come nacque questa tipica espressione orionina? Lo riferì ai suoi chierici e sacerdoti lo stesso fondatore, nel corso della Buona notte del 18 febbraio 1940, a circa un mese dalla sua morte: «Cari figlioli, dobbiamo pensare sempre più alla salute delle nostre anime e attendere al bene nostro! Quando ero chierico mi ero circondato di alcuni ragazzi. A Pontecurone si associarono a me alcuni figlioli: uno fu poi un angelo di chierico in congregazione, il chierico Ottaggi di Pontecurone, che morì studente d’università, uno è capo stazione, un altro è a Genova, ma non finì bene, non ha fatto buona riuscita, vive a Genova, ma non vive bene. Si giocava con questi nel cortile dell’arcipretura. E quando avevamo terminato di giocare avevamo una parola d’ordine che nessuno capiva, neanche il parroco. E la parola d’ordine è rimasta anche il programma della nostra Congregazione. Era il motto: Anime, Anime! Avrete letto più di una volta questo grido nelle intestazioni delle lettere: grido che è tutto un programma! Anime, Anime! E poi lasciare tutto il resto! Pensare che il nostro campo deve essere tutto spirituale, deve essere il campo di nostro Signore Gesù Cristo che venne sulla terra per la salvezza delle nostre anime» (Par. XII,119).
Vedi anche: Anime, Apostolato, Carità, Instaurare omnia in Christo.
Anime del purgatorio
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Preghiamo le Sante Anime del Purgatorio e Don Gaspare e Don Alvigini e Montagna (il nostro caro giovanetto morto da santo) e il chierico Ottaggi e fra Romualdo e San Giuseppe (Scr. 4,54).
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Preghiamo! Dio ci aiuterà. La Madonna ci aiuterà! I nostri santi e le anime del Purgatorio e i nostri fratelli che già sono, spero, in Paradiso, ci aiuteranno! (Scr. 21,101).
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Raccomandati a San Nicola da Tolentino e alle anime del Purgatorio e vedrai la mano del Signore (Scr. 33,63).
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Farò subito pregare per la sua sorella; le dica di raccomandarsi anche alla Madonna della Guardia e chiami in aiuto le anime sante del Purgatorio. E affidiamoci al Signore! (Scr. 37,168).
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Io ho tutta la buona volontà di aprire il più presto la Casa in Cortona a bene della gioventù; e ne vado raccomandando la pratica alle sante anime del Purgatorio e spero che le loro preghiere affretteranno il compimento dei voti di vostra signoria, che sono pure voti miei. E così, venendo, metta subito a posto quanto riguarda quel deposito, come mi ha scritto e non aspetti; oltre al bene che manda avanti, la signoria vostra eviterà un grave pericolo. Sì, ha ragione di scrivere che il fiore della gratitudine si coltiva, in modo infallibile, nel Purgatorio, e che le anime liberate per il santo sacrificio pagano bene i loro liberatori (Scr. 38,49).
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Vorrei anche si pregasse moltissimo per le sante anime del Purgatorio e che fosse quasi un continuo suffragio per esse. Ma di tutto sia fatta la Santa volontà del Signore (Scr. 39,37).
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Attaccatevi alla SS.ma Vergine vostra madre: invocate San Giuseppe, il Beato Cottolengo e le anime sante del Purgatorio, lavorate, datevi attorno per la questua e la Divina Provvidenza vi consolerà (Scr. 39,225).
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Ho cominciato una novena di sante Messe alle anime del Purgatorio e cerco in questi giorni di fare un po’ più il galantuomo con il Signore, come fanno i bambini con la mamma quando hanno in mente di chiedere e di ottenere qualche cosa (Scr. 41,35).
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Per l’acquisto d’una casa per il piccolo Cottolengo bisogna fare pregare le anime del Purgatorio e San Giuseppe (Scr. 42,65).
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Ora lo affido alla Madonna Santissima e prego tutti i miei cari santi e le sante anime del Purgatorio di fare per me il resto (Scr. 45,30a).
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Ho messo questa mia cosa nelle mani della Madonna SS.ma, di San Giuseppe e delle sante anime del Purgatorio e anche dei poveri morti che appartengono a Vostra Signoria e prego ed ho proprio bisogno di questa grazia da nostro Signore e dal suo buon cuore (Scr. 46,21).
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Ogni mattina, quando prego per voi altri, prego anche per vostro padre e per vostra madre che mi aiutino dal Paradiso o dal Purgatorio, ove fossero, a farvi del bene e a salvare le vostre anime (Scr. 46,113).
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Cominciate una novena alle anime del Purgatorio e abbiate fede che nostro Signore vi consolerà (Scr. 50,136).
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Siate particolarmente devoti del Patriarca San Giuseppe patrono della santa Chiesa e della piccola Congregazione e dei beati apostoli Pietro e Paolo e di San Benedetto Abate e delle anime sante del Purgatorio (Scr. 52,23c).
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Raccomandatevi ogni giorno alle sante anime del Purgatorio e ne avrete grande aiuto (Scr. 52,199).
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Tutto ciò che diamo per carità alle anime del Purgatorio si cambia in grazia per noi e dopo morte troveremo il merito (Scr. 55,110).
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In che consiste l’atto eroico di carità a suffragio delle Anime del Purgatorio? Consiste nell’offerta o donazione volontaria di tutte le nostre opere soddisfattorie personali durante la vita e dei suffragi che ci saranno applicati dopo morte. Basta farlo una volta per sempre. Noi ci spogliamo solo del frutto che a noi proverrebbe da queste soddisfazioni, da questi suffragi. Il che non impedisce di pregare per noi, per i nostri confratelli e parenti vivi e defunti e di adempiere a nostro vantaggio le altre pratiche di pietà. Quel solo che vi è di soddisfattorio nelle opere che si fanno è applicato, ovvero dato per voto alle Anime del Purgatorio. Cosa che deve farsi apprezzare ed amare la Congregazione è la cura che essa si dà per suffragare le anime dei morti, la devozione alle Anime del Purgatorio (Scr. 55,110).
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Raccomandatemi alle Anime Sante del Purgatorio e vedrete il conforto che ve ne verrà (Scr. 66,152).
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Dio grande e buono, Padre di misericordia, alle anime dei nostri Cari, che dopo questa misera vita si addormentarono nel Signore, dà la sede del refrigerio, la beatitudine della pace e la luce della tua gloria. Sii propizio, o Signore, alle umili nostre suppliche e ai cristiani suffragi che ti offriamo a sollievo delle anime del Purgatorio: dona loro il riposo e godano della beatitudine eterna con i tuoi Santi (Scr. 89,86).
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La ringrazio della elemosina e farò anche pregare. Appena lo potrà, compia gli impegni che Ella può avere quanto a celebrazioni di SS.me Messe e preghi le Anime benedette del Purgatorio; io sono sicuro che gli interessi Suoi e tutto l’andamento morale della Sua famiglia volgeranno in meglio (Scr. 106,67).
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Questo delle preghiere per i morti è uno scambio di carità. Siate devotissime delle anime del purgatorio. Le anime del purgatorio mi hanno sempre esaudito: non mi ricordo di essere ricorso a loro invano; sempre, sempre mi sono venute in aiuto! (Par. II,112).
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Avrete pregato i vostri Santi Patroni, le anime sante del Purgatorio e le anime sante delle vostre sante consorelle, che sono in cielo, dove pregano per voi, per le vostre opere, per tutti i vostri bimbi, per tutti i vostri vecchi e gli ammalati. Anime benedette, il cui spirito sento ogni volta che entro in questa casa. Anime benedette, a cui vado raccomandando voi, le vostre case; e mi par di vedere quelle anime, che precedono il vostro cammino, aprirvi la strada e illuminare i vostri passi. Vi raccomando a loro, perché il loro spirito discenda sopra di voi (Par. II,121a–121b).
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Se noi saremo misericordiosi verso le anime sante del purgatorio, quando anche noi saremo morti verranno altri che Dio muoverà a compassione e pregheranno per noi (Par. IV,390).
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Santa Teresa di Gesù ci ricorda di non aver mai pregato le anime Sante del Purgatorio senza essere stata esaudita, mentre invece dice di non essere stata esaudita nel pregare i Santi (Par. V,112).
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Pregate per le anime dei fratelli che sono in purgatorio; pregatele per i vostri bisogni: esse vi possono aiutare tanto. Santa Teresa diceva che non si era mai raccomandata a San Giuseppe e alle anime del Purgatorio che non fosse stata ascoltata. Oggi poi mi aiuterete anche voi, chierici, in un lavoro che dovremo fare assieme, perché si allarghi la devozione delle anime sante del Purgatorio. Vi scaglierò per la città, anche voi, o chierici – e nessuno si deve vergognare – a distribuire foglietti. E se con questa propaganda riuscissimo a dare la gloria ad una sola anima del Purgatorio, grande sarebbe la nostra gioia (Par. V,275).
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Pregare e pregare sempre per le anime sante del Purgatorio; ricordiamo sempre le anime di nostra madre e di nostro padre, dei fratelli e confratelli. Spesso il Signore dà le grazie, se si prega per la intercessione delle anime del Purgatorio. Tenere viva questa fiamma dei suffragi ai poveri morti in Congregazione! Questa devozione è il fior fiore dello spirito di vita cristiana; a Dio è sommamente gradita la preghiera fatta per i morti. Secondo Don Cremaschi, questa preghiera fa breccia sul cuore Divino perché desidera dare la gloria a quelle anime e con la preghiera viene affrettata questa unione. Mantenere questo spirito di riconoscenza, di gratitudine alle anime che forse sono al purgatorio per le nostre colpe, per le nostre impazienze, eccetera... Pregare, e bene, e far suffragi! (Par. VI,270).
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Avevo pregato il Signore e non mi aveva ascoltato; pregavo la Madonna e faceva la sorda; che dovevo fare? Ecco: mi raccomandai alle anime del Purgatorio. Andai in Chiesa e domandai scusa al Signore e alla Madonna se ero costretto a rivolgermi alle anime Sante del Purgatorio. Tenetelo bene a mente! Quando il Signore non vi ascolta, quando la Madonna non vi ascolta, attaccatevi alle anime Sante del Purgatorio, cioè pregate il Signore, pregate la Madonna per le anime Sante, interponete l’intercessione delle anime Sante (Par. IX,355).
Vedi anche: Angelo custode, Defunti (devozione ai), Morte, Paradiso.
Anticlericalismo
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Anche se a San Giovanni si dovesse restare senza Messa, prevale il dovere di venire a dare il voto, poiché si andrà per pochi voti ad avere su il socialista: non bisogna lamentarsi delle leggi cattive e ostili alla Chiesa e alle Congregazioni e faremmo anche colpa grave se in causa siamo noi che permettiamo che salgano al parlamento degli anticlericali (Scr. 6,64).
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Con l’Opera Pia San Paolo domandate quanto più danno: e affrettate, poiché sarà un mezzo per salvarci da un possibile incameramento; è vero che per alcuni mesi non ci sarà nulla nella legislazione italiana contro la Chiesa, per non far vedere che in questo cinquantenario si vuole dargli un carattere anticlericale che allontanerebbe la visita di qualche grande Sovrano da Roma – ciò che tanto si desidera – ma finita l’Esposizione, se le visite non venissero o se appena la Massoneria lo potrà, c’è da aspettarsi qualche cosa (Scr. 11,56).
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La popolazione del quartiere Appio va aumentando ogni giorno più, ed ora, con il ritorno dei soldati dalla guerra, e con la propaganda anticlericale che vi si riprende, i bisogni morali e religiosi di quel vasto e insidiato quartiere vanno di pari passo crescendo. Ma davanti a Dio e alla Chiesa, cresce pure la mia responsabilità (Scr. 59,235).
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Avrà ricevuto copia della Circolare per il Pensionato; gli ho dato un colore apertamente cattolico per più ragioni e anche in opposizione a programmi di Istituti Laici che qui si stanno per aprire e che si presentano con programmi e manifesti pubblici anticlericali spinti e perché non si dubitasse dell’opera mia, non della Santa Sede, che, per grazia di Dio, credo che mi conservi ancora tutta la sua fiducia, ma da altri di qui, i quali, vedendomi nel Patriarcato e in buoni rapporti con il Prefetto, tentano ora farmi passare per un prete liberale o, forse, peggio, come in modo positivo mi risulta e così demolirmi presso la Santa Sede. Per me questa croce la sopporterei anche volentieri; ma ho dietro di me dei chierici e una piccola Congregazione nascente e mi pare un misfatto ciò che ora vanno tentando, di levarci cioè in questo modo la fiducia della Santa Sede, per il danno che ne può venire all’Opera, che è sul formarsi e che vive dell’amore della Santa Sede (Scr. 88,137).
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Il secondo nostro fine è fedeltà e attaccamento alla Chiesa, amore al Papa! Il non serviam dell’inferno va facendo eco nei nostri giorni, nella società popolare che si va scristianizzando. Il nostro scopo è di prendere i figli del popolo più assediati dalle sette anticlericali, discordi tra loro, ma d’accordo contro Roma. Instaurare omnia in Christo, catechizzando e ricevendo i rifiuti della società: far conoscere loro Gesù e chi è il suo Vicario in terra. Questa è la missione nostra, missione di fede e di amore (Par. VI,291).
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Quando passate davanti al Dante fatevi un segno di croce e quando passate davanti al San Giorgio fatevi tre segni di croce. Non sono questi due Collegi che rappresentano lo spirito della Congregazione! Perché, allora direte, li ha aperti? Il Collegio San Giorgio stava cadendo in mano ai borghesi anticlericali; allora il Vescovo concesse che venisse a noi. Il Collegio Dante è stato aperto in un’ora di mia aberrazione e perché ce l’ha donato Benedetto XV. In quegli anni vennero abolite qui a Tortona le Tecniche e, negli studi, la faceva da padrone il liceo che era laico con le conseguenze che voi capite. E allora, per evitare un maggior male e per ridare vita alle Tecniche, io ho permesso che si facessero là, nei locali del Dante. Ma né il Dante, né il San Giorgio rappresentano lo spirito della Congregazione che è rivolto verso gli abbandonati e verso i poveri (Par. XI,23).
Vedi anche: Massoneria, Modernismo, Politica, Socialismo.
Anziani
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Amare Gesù e le Anime è l’Opera più grande che si può fare sulla terra; mi pare che mi giri attorno un soavissimo canto di amore e che diventeremo i cantori di Dio, cantori della carità di Dio: i piccoli e i poveri di Gesù, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno e il canto di Dio che mi gira d’intorno all’anima e alla mente e la gloria e l’amore che mi ferisce il cuore e la vita e mi fa vivere e morire di un fuoco grandissimo che è vita e mi canta dentro e mi fa esclamare: o cuore di Gesù, amore delle Anime piccole e umili di Gesù (Scr. 57,101).
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Il piccolo ospizio dei vecchi di Sant’Antonio ha cominciato così, si va sviluppando così: appoggiato alla Divina Provvidenza. E la Provvidenza ci va usando perfino delle gentilezze! O Madre Provvidenza, quanto siete buona con noi! Noi ci abbandoniamo tranquilli nelle vostre braccia! E con fede indomabile e con amore ardentissimo ai poveri vecchi di Sant’Antonio, usciamo con questo giornaletto che vuole essere, ad ogni mese, la voce diffusa di nostra devozione al grande taumaturgo di Padova e voce di riconoscenza e di amore ai nostri benefattori dei nostri cari vecchierelli (Scr. 69,363).
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Il sacrificio con il quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore e ci abbandoniamo alle ammirande disposizioni della sua Provvidenza è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona, di sovente, improvvisa. Avvenne, dunque, che, quando meno ci si pensava, quasi senza accorgercene, si aprissero, silenziosamente in Domino, una dopo l’altra, le nostre prime, piccole Case di Carità per quei poveri più infelici, inabili al lavoro, vecchi o malati d’ogni genere, d’ogni sesso, d’ogni Credo, e anche senza un Credo che non trovano pane né tetto, ma che sono il rifiuto di tutti e che il mondo considera come i rottami della società. Dette Case non sono nostre, ma di Gesù Cristo: la carità di Gesù Cristo non fa eccezione di persone e non serra porte; alla porta del Piccolo Cottolengo non si domanda a chi viene se è italiano o straniero, se abbia una fede o se abbia un nome, ma se abbia un dolore! (Scr. 114,285).
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Fanciulli poveri e derelitti, vecchi, ciechi, orfanelle, epilettici, malati, mie buone vecchierelle abbandonate dal mondo, ma non da Gesù, addio! Non dubitate: la Divina Provvidenza lo sa che ci siete: pregate, fate Comunioni e la Divina Provvidenza verrà. Non dimenticate i Benefattori e ricordate al Signore il vostro piccolo fratello e servo Don Orione, che non sa pensare a voi senza piangere: Voi siete gli amori del mio cuore (Lett. II,198).
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Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede. Distinti poi in tante diverse famiglie, accoglierà, come fratelli, i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli ebeti, storpi, epilettici, vecchi cadenti o inabili al lavoro, ragazzi scrofolosi, malati cronici, bambini e bambine da pochi anni in su, fanciulle nell’età dei pericoli: tutti quelli, insomma, che, per uno o altro motivo, hanno bisogno di assistenza di aiuto, ma che non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri e che siano veramente abbandonati, di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione; Dio è Padre di tutti! (Lett. II,225).
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È dagli anziani, dai primi compagni dei Fondatori, che si attinge il vero spirito della Congregazione, quando questi non sono più. Sono cinque anni che io prego e domando un sacerdote salesiano per dare gli Esercizi Spirituali ai Figli della Divina Provvidenza: è uno dei compagni di Don Bosco, del primo gruppo, Don Francesia, che con il Cardinal Cagliero è dei più anziani. Ebbene, più volte i Salesiani mi hanno promesso che l’avrebbero lasciato venire, ma all’ultimo momento, per paura che si stanchi, che si affatichi troppo, non sanno decidersi a lasciarlo dare un corso di Esercizi. I Salesiani li tengono come oracoli questi Venerandi compagni del loro Santo Fondatore; ad essi ricorrono per consiglio nei casi difficili, nelle loro difficoltà; ed essi che hanno il vero spirito di Don Bosco, che hanno vissuto con lui, che hanno attinto alla sorgente, dicono: Don Bosco faceva, diceva, si regolava così, e ad essi sono rivolti gli sguardi e i cuori. Così con l’andar degli anni sarà per voi! Quando io non sarò più, bisogna che voi, imbevute del buono spirito, sappiate regolarvi, dirigervi sempre secondo le norme che vi sono date e, quel che è più difficile ancora, regolare e dirigere santamente gli altri, secondo lo spirito della vostra santa vocazione (Par. I,52).
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Vi raccomando la carità, abbiate carità fra di voi; abbiatene molta con i poveri vecchi e ricordatevi che servendoli servite nostro Signore; e un giorno dalle stesse Sue mani avrete la ricompensa che ha promesso a coloro che avranno fatto opere di misericordia (Par. I,94).
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Curare i bambini porta con sé una certa soddisfazione, son così cari, che attirano i cuori, ma nel servire i vecchi è necessaria invece una grande, vera virtù; non sempre sono buoni, pazienti, rassegnati; il più delle volte, per il peso dell’età e per gli acciacchi, sono impazienti, brontoloni, borbottano di tutto e di tutti. Ebbene, abbiate con loro una grande pazienza, pensate a vostro padre, a vostra madre; e, se avete dato a questi qualche dolore, qualche pena, siate caritatevoli con i vecchi, perché il Signore perdoni a voi. Aiutateli a pregare per ottenere la buona morte, il paradiso; ricordatevi che son tesori che si preparano per il cielo. Sappiate che ogni vostra buona parola che arrivi al loro cuore è raccolta da nostro Signore e messa nella bilancia del paradiso! (Par. I,95).
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La buona parola che dite a chi soffre, a chi languisce nella vecchiaia, il sorriso che fate a queste anime innocenti, è un raggio di luce che irradia la loro esistenza e solleva il loro cuore a Dio. Abbiate pazienza con i vecchi, noiosi, brontoloni, che, più gliene fate, non fate mai abbastanza e più hanno da brontolare. Date loro buon esempio; abbiate tanta carità! Carità fra di voi, vivendo nell’unione e nella concordia dei cuori; fatevi conoscere vere missionarie. Amate i vecchi, confortateli, consolateli, confortate gli ultimi giorni della loro vita e preparateli ad una santa morte (Par. II,121o).
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È proprio della nostra Congregazione ricevere i genitori, padri o madri bisognosi dei nostri confratelli, e averne cura particolare. Noi li aiutiamo da vivi e li suffraghiamo da morti. È l’unica Congregazione che accoglie i vecchi genitori dei confratelli, in ossequio al comando di Dio che ha detto: «Onora il padre e la madre». Quando i vecchi genitori avessero bisogno, padre e madre saranno ricevuti in Congregazione e curati con amore; vengono assistiti sani e malati e in ultimo suffragati dopo morte (Par. V,326).
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Siate molto delicati nel parlare. Non siate dei ricercati, ma non fate neppure dei discorsi che siano sconvenienti al santo abito che portate e al magistero e ministero che vi aspetta. Ora siete giovani chierici; domani sarete anziani e, se piacerà al Signore, sarete sacerdoti anziani. Ricordatevi di quello che sta scritto nelle divine scritture: «Adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non recedet ab ea». Le vostre abitudini diventeranno pieghe, le pieghe diventeranno crepe, le scrinature diventeranno spaccature quando sarete vecchi. Vigilate, vigilate su voi stessi! Vigilate sui discorsi, vigilate sulle parole, sui motti, sulle conversazioni e guardatevi da quelli che sono volgari e bassi nel parlare (Par. IX,506).
Vedi anche: Apostolato, Carità, Famiglia, Piccolo Cottolengo.
Apocalisse
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I nostri Arditi andavano all’assalto con un pugnale in mano ed un pugnale in bocca. Anche Cristo signor nostro apparve a Giovanni nell’Apocalisse con la spada di bocca: «Et de ore Eius gladius utraque parte acutus exibat». Ai miei Arditi si degni la misericordia di Gesù Cristo signor nostro mettere la sua mistica spada nella loro bocca, la croce, una nuda e povera croce in mano, e una fornace di divina carità nel cuore. E la SS.ma Vergine mi pianti nella sua umiltà e nella sua fortezza, per la gloria del Signore: a servizio di fedeltà nella Chiesa del Signore, a vincolo di unità del popolo con la Chiesa (Scr. 45,147).
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Le opere buone fatte in peccato non sono peccato, come pretendeva Lutero, ma a nulla giovano per l’altra vita, non sono di alcun merito per la vita eterna. Apocalisse: «Scio opera tua: nomen habes quod vivas et mortuus es». Oh, quali gravi danni reca mai il peccato! (Scr. 55,144).
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Al cap. VIII dell’Apocalisse si legge che quando l’Agnello «ruppe il settimo sigillo, si fe’ nel cielo silenzio di circa mezz’ora». Io credo il silenzio schiude le sorgenti dell’anima, il silenzio fa lavorare in noi il nostro spirito più che degli anni di lettura: mette in azione tutto il nostro interno e rischiara e l’anima e il corpo (Scr. 55,217).
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Nella Genesi vi è appena l’abbozzo di Maria, nei Profeti vi è il suo profilo, ritoccato e meglio eseguito, nella chiusa dell’Apocalisse vi è la visione mirabile dell’Immacolata (Scr. 56,208).
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La lettura del Vangelo sia fatta con quest’ordine: San Matteo, San Marco, San Luca, San Giovanni, poi si ricominci da capo, cioè da San Matteo... Vangelo e non le Epistole, né gli Atti degli Apostoli, né l’Apocalisse: si leggano solo e sempre i quattro Evangeli (Scr. 86,54).
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Nel pomeriggio di domani, al Lido, il Patriarca benedirà solennemente la prima pietra del tempio Votivo che Venezia innalzerà all’Immacolata: è l’Immacolata vaticinata da San Giovanni Evangelista (Apocalisse). Le prime pagine del Genesi e le ultime dell’Apocalisse ci ritraggono i lineamenti della donna invitta. Miriamola anche noi un momento questa donna regale che ha il suo manto, il suo trono, la sua corona: leggiamo a caratteri di diamante nell’augusta fronte di Lei le divine parole: «In perpetuum coronata triumphat». Maria, la regina delle Vittorie! (Scr. 86,134).
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Bisogna assolutamente disporre di una mezz’ora di silenzio al giorno, e di mattino. Quando il libro dell’Apocalisse dice: «E si fece nel cielo un silenzio di mezz’ora», io credo che il testo sacro riveli un fatto ben raro e significante nel cielo delle anime. È necessario fin dal mattino, summo mane, aver detto ai piedi di Cristo: io sono tuo, questa giornata sarà tutta amore di Dio e degli uomini! (Scr. 90,350).
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Ricordate la visione che ebbe San Giovanni nell’isola di Patmos e descritta nell’Apocalisse? «Mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius, et in capite eius corona stellarum duodecim». Una donna vestita di sole, circonfusa di luce immacolata. Uno specchio tersissimo che nessun alito ha mai appannato: «Speculum sine macula». Circonfusa di luce divina, purissima emanazione della divinità: «Candor lucis aeternae... Et luna sub pedibus eius». Varie sono le versioni dei Santi Padri. Una popolare applicazione dice che la luna nelle varie sue fasi, ora crescenti, ora calanti, somiglia all’umore variante dello stolto. L’Immacolata ha la luna sotto i suoi piedi, calpesta cioè la stoltezza del mondo e le sue vanità, come calpesta il velenoso serpente. I Santi Padri spiegano pure che la luna, di cui si fa sgabello la Santissima Vergine, rappresenta la santa umanità di Gesù Cristo, per cui divenne Madre di Dio. Sì, Madre di Dio! E questo titolo è il piedistallo sul quale si innalza la grandezza di Maria Santissima; anzi è la base di tutta la sua grandezza. E, come la luna sorge piccola e a poco a poco, crescendo, raggiunge il suo massimo splendore, per poi decrescere e sparire, così l’umanità di nostro Signore si manifesta, diciamo così, un po’ per volta, piano piano, gradatamente. Gesù, nato piccolo nella stalla di Betlemme, crebbe, brillò, per poi morire sul Calvario e sparire visibilmente dal mondo. Il testo dell’Apocalisse, che abbiamo citato in principio: «Corona stellarum duodecim». In queste dodici stelle che fanno corona al capo della Madonna sono raffigurati i nove cori degli angeli, per cui vien chiamata Regina angelorum, più le categorie dei santi che sono tre: vergini, martiri e confessori; per questo Maria è detta Regina sanctorum omnium. Così i nove cori degli angeli e le tre categorie dei santi formano insieme la corona di dodici stelle che circonda il capo della Vergine Santissima, dell’Immacolata (Par. I,3).
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San Giovanni Evangelista scrisse un libro chiamato l’Apocalisse, nel quale, fra le altre cose, racconta la fine del mondo. Al capo II San Giovanni vi scrisse queste parole: «Est fidelis usquem at mortam, et dabo tibi coronam vitae». O buone Religiose, o buone figliole del Signore, tutto quello che è scritto nella Santa Scrittura, nella Bibbia e quindi nell’Apocalisse, è parola di Dio. Perciò noi dobbiamo ammettere e meditare queste parole: «Sii fedele fino alla fine e ti darò la corona della vita», come parole ispirate da Dio. Oh!, quanto devono consolarci queste parole che lo Spirito Santo rivolge anche a noi. Quanto ci devono consolare, specialmente se ci figuriamo che esse vengono dalle divine labbra, anzi dal Cuore di Gesù! (Par. I,141).
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San Giovanni fu l’ultimo a morire degli Apostoli: lo martirizzarono mettendolo in una caldaia d’olio bollente e non morì, soffri ogni genere di mali per nostro Signore. Perché visse più di tutti? Perché scrisse il quarto Vangelo di Gesù Cristo che è il più bello di tutti, il Vangelo dell’amore che comincia: «In principio erat Verbum»? Perché fu lui l’autore di un Vangelo che è stato scritto fissando lo sguardo in Dio, come l’aquila reale fissa gli sguardi suoi nell’astro maggiore, nel sole? Perché era vergine; perché era puro fissò lo sguardo nella Divinità. È a lui, che era vergine, che è apparsa la Vergine SS.ma, la prima volta là, nell’isola di Patmos, nell’arcipelago greco, e nel suo libro, l’Apocalisse, la descrive così: «Mulier amicta sole, et luna sub pedibus eius. Et in capite eius corona stellarum duodecim». Chi è questa donna? L’Immacolata! La prima visione dell’Immacolata l’ebbe l’apostolo vergine San Giovanni (Par. I,212).
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L’Apocalisse termina così: «Veni, Domine Iesu!». Leggete le Scritture sacre, leggetele. Sapete che libro sia l’Apocalisse? Lo scrisse San Giovanni Apostolo relegato a Patmos: è un isolotto, una collina che emerge dal mare. Gli abitanti ora sono tutti greci scismatici. Oh, quante volte ho desiderato andarci, quante volte! (Par. V,263).
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La candela è ardente, manda luce, è calda. Così deve essere la vita nostra; non tiepida, non smorta, ma calda. «Quia neque calidus neque frigidus es incipiam te evomere ex ore meo», ha detto l’angelo a quel Vescovo dell’Asia Minore, nell’Apocalisse. Dobbiamo ardere e ardere di un amore grande di Dio e del prossimo (Par. VIII,78).
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Se la Scrittura dice – nell’Apocalisse – che il demonio scende a noi con grande ira per tentarci – «sciens quia modicum tempus habet» – non faranno altrettanto le anime sante nel venire in nostro aiuto? Ritengo che per moltissime anime che si salvano, si ripeta per il demonio la scena della sconfitta di cui parla la Sacra Scrittura; le sconfitte di satana si perpetuano nei secoli (Par. IX,447).
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È di San Giovanni Evangelista – dal libro dell’Apocalisse, il libro ispirato delle ultime cose – questa frase: «Tempus non erit amplius». Essa ci ricorda le ultime cose, le ultime agonie, le ultime lagrime, l’estremo anelito della vita, l’ultimo momento, il «momentum a quo pendet aeternitas», non c’è più tempo. I filosofi hanno definito il tempo: «La successione del prima e del poi». Ma allora non c’è più tempo, non ci sarà più il poi: «Tempus non erit amplius» (Par. XI,162–163).
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Quando l’arte cristiana ha voluto darci Maria Santissima Immacolata, non ha fatto altro che trascendere a quel capo dell’Apocalisse che parla della Donna biancovestita, la cui faccia è «quale par tremolando matutina stella», come dice Dante. Questa è la Vergine Immacolata e così dovette apparire anche a quella umile figliola, a Bernardetta, ora santificata (Par. XI,262).
Vedi anche: Bibbia, Vangelo.
Apostati
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Sono contento che siano tenute le ordinazioni, ma non si promuovano che quelli i quali hanno vero spirito di fede, sicura vocazione, spirito di umiltà, di orazione, di sacrificio: se non siete più che sicuro, non promuovete, non promuovete! Vedete le pene che danno alcuni e che diedero altri che finirono di apostatare dalla Congregazione o di disonorarla (Scr. 18,92).
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Dobbiamo essere apostoli, se no tradiremmo la nostra vera vocazione e finiremmo nel nulla, se pur non diventeremo degli apostati, se non di nome e di forma, di pratica e di fatto, cioè di vita ignava, «a Dio spiacente ed ai nemici sui», direbbe Dante. Dio e la Chiesa hanno bisogno di avere in noi dei vivi, anche quando questo corpo sia caduto sulla breccia (Scr. 29,267).
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Qui ho bisogno di sincerità, di lealtà, di aperture di cuori: di gente che non venga qui per ingannarmi, per arrivare a carpire i Sacri Ordini, e poi andarsene, diventando apostati della Congregazione, venendo meno ai voti religiosi e al giuramento di permanenza. Va bene che qualcuno che ha lasciato la Congregazione se ne mostri grato a parole (come ad es. don Lighenza) ma, se tutti avessero fatto così, la Congregazione non esisterebbe e avremmo non dei figli, ma degli spergiuri. Attento, quindi, o caro don Biagio, a chi mi vuoi qua condurre. Apri bene gli occhi. Non condurmi se non dei chierici che, sotto ogni riguardo, siano veramente nostri e non di quelli che fanno della Congregazione una speculazione: non accetto più nessun sbafatore né dei mangiapane a tradimento (Scr. 32,53).
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Se sarete interrogato se qualche nostro sacerdote finì apostata, dite che uno uscì, e poi dopo qualche anno, finì male e morì da anni a Messina (Scr. 59,40).
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Se i Sacerdoti cioè noi, ed io primo, avremo spirito e olio nella nostra lampada, faremo lume, se no, chissà dove andremo; e la Chiesa aspetterà invano di essere da noi consolata, ché, quando il prete non è prete, anche le chiese diventano una rovina e le anime se ne vanno. Né basta più essere prete così: si avvicina un’ora che o si sarà apostoli, o si correrà pericolo di diventare apostati (Scr. 65,78).
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Chi non vuol essere Apostolo, esca dalla nostra Congregazione: oggi chi non è Apostolo di Gesù Cristo e della Chiesa, è apostata. Tutti Apostoli di carità, tutti nella carità, e tutti Apostoli della carità di Gesù Cristo. Noi siamo nulla, siamo un nulla, ma la cognizione del nostro nulla e la cognizione di Dio, la fede e la fiducia piena in Dio ci daranno una vita superiore, un aiuto, un coraggio, una grazia da diventare, nella Mano di Dio e della Chiesa, dei Santi e degli Apostoli (Lett. II,237–238).
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La Provvidenza ha pensato a tutto anche qui a San Bernardino: avete questa casa, che prima era il Circolo Socialista; che, se si raschiasse l’intonaco che copre queste pareti, si troverebbero ancora scritte e figure orribili. Poi passò, in proprietà, fra le mani di un disgraziato sacerdote che poi apostatò. L’ho visto ultimamente a Milano; mi si avvicinò e mi disse: Faccia pregare per me; voglio aiutarla! Che Dio lo perdoni! (Par. I,227).
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Noi Sacerdoti della Provvidenza abbiamo un prete apostata. Ve lo dico per mia umiliazione. A Messina egli ha dato scandalo. Io prego il Signore di avere pietà e misericordia di lui. Ora è ammalato e mi ha scritto che è pentito, mi sta aspettando, mi sta sospirando; ma io non ho mica fretta d’andarci, sapete, non c’è troppo da fidarsi. Prego però il Signore per lui che gli usi misericordia. Non ha saputo mortificare la gola, non ha saputo fuggire le occasioni! Vedete, o buone religiose, in quasi tutte le nostre case abbiamo dei sacerdoti apostati (Par. II,68).
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Oh, la vita infelice che farà l’apostata della sua vocazione, colui che ha rifiutato il gran dono di Dio e non ha corrisposto alle grazie ricevute! Ho veduto più di uno morire di male. Pochi giorni fa mi si presentò un signore ricco che mi si inginocchiò ai piedi con le mani giunte e con sulla fronte e negli occhi il dolore più acerbo e implorava soccorso; alla fine mi disse: «Queste pene, che ricevo dai miei figli, io sento che me le sono meritate, perché non sono stato buono e religioso. Mentre Dio mi chiamava al suo servizio, io mi sono lasciato illanguidire, sono uscito, ho fatto di tutto; ma ho sempre portato la tristezza nel cuore e questi figli che ora mi uccidono sono il castigo che mi sono meritato con la perdita della vocazione» (Par. VI,107).
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Un giorno andai a trovare un sacerdote e gli dissi: «Ha molto lavoro?». «Sì, non ho tempo neppure di pregare!». «Prega, gli dissi, Dio ti aiuterà!». Mi rispose: «Si può fare lo stesso con l’abilità!». Ah, quanto ho fatto per salvarlo. Ma inutilmente! Gli diedi 3.000 lire per aiutarlo: apostata. Quando si cade in peccato allora non si prega e a poco a poco si inaridisce l’anima e si diventa fiacchi (Par. VI,234).
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Che lo sguardo di Dio, che il granello di senape discenda nel nostro cuore e che non trovi in noi un cuore apata, non trovi il gelo, la morte, perché il regno di Dio ci trasformi e dia movimento a tutta la nostra persona, sì che noi possiamo essere trasformati in pane di Cristo, come diceva Sant’Ignazio: «Frumentum Christi sum»; perché chi di noi non si sente di essere apostolo è apostata (Par. VIII,107).
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Sii buon soldato di Cristo se vuoi meritare un giorno la corona, che si darà a colui che non ha piegato e non a chi sarà stato un debole, un fiaccone per non dire un disertore e un apostata. Esto vir! Sii uomo forte da meritare di vincere il rispetto umano nel fare il bene (Par. IX,400).
Vedi anche: Aridità di spirito, Lapsi (sacerdoti), Sacerdozio, Vocazione.
Apostolato
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Raccomando molta pulizia da per tutte le Case, molta pietà, molto spirito di regolarità religiosa, molta apostolicità e molta economia (Scr. 1,217a).
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Dobbiamo essere bollenti di fede e di carità e avere sete di martirio e infondere questa sete e questo fuoco di ardentissimo amore di Dio e delle anime in tutti i membri della Congregazione. Apostolato e martirio, martirio e apostolato! Avere un gran cuore e una più grande carità e vivere la divina follia delle anime (Scr. 1,272).
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Prego perché Dio misericordiosissimo nel Suo santo lume vi dia grazia in questi giorni di conoscere sempre meglio il pregio del rinunciare alla propria volontà e vi ponga nel cuore la risoluzione di conseguire questa umiltà e lo stato dell’apostolato per mezzo della santa obbedienza. Sì, mio caro, l’apostolato per obbedienza e per voto di religione mi pare una gran cosa, un gran bene e che non ci sia altra cosa a desiderarsi fuori di questa. Oh, felice quell’uomo che rinunzia a tutte le cose che possiede per Gesù Cristo e che va all’apostolato spoglio di tutto, anche della sua volontà, per così dire, e della sua libertà, ma vestito di Gesù Cristo, di quella santa obbedienza di cui Gesù era vestito sulla Croce (Scr. 4,1).
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Vengo anch’io da paesi di Missione, e forse di Missione più che non sia la Terra Santa, e penso che, come gli Apostoli hanno cominciato la vita apostolica con il lasciare tutto per seguire Gesù Cristo, così – e solo così – si diventa veri Missionari e non Missionari di nome, da burla e mestieranti e trafficanti di quattrini (Scr. 4,231).
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La messe è grande: preparatevi, ma con cuore apostolico pieno di carità e dovunque andrete in Italia o fuori. Viva Gesù (Scr. 8,198).
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Per la Città di San Remo e per le città e borgate vicine e lontane deve passare il soffio vivacissimo della propaganda nostra a salute dei fanciulli. E deve essere un soffio di attrazione, un soffio gagliardissimo di apostolato che trasporti e trascini tutti tutti a noi per portare tutti tutti a Gesù Cristo (Scr. 10,22).
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Non voglio letterati, ma religiosi: religiosi apostoli, di una carità anche intellettuale, colti, pii, ma formati a soda pietà e a dottrina filosofica, teologica, canonica, scritturale e patriottica: non gente vuota (Scr. 18,102).
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Qui ho bisogno non di gambe buone, ma di sacerdoti buoni che abbiano pietà, spirito di apostolato e la testa a posto e che sappiano quello che deve sapere un sacerdote almeno mediocremente istruito (Scr. 18,180).
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Al carissimo mio figliuolo in Gesù Cristo don Severo Ghiglione, che è tra i più cari figli della Congregazione e ormai tra gli anziani, mando un grido che esce dal cuore di padre nel Signore, perché, ora che Dio gli ha ridata salute e vita, ravvivi in sé un maggior spirito di attività, di propaganda, di azione di apostolato, secondo lo spirito di zelo, di carità, di formazione cristiana che è e dev’essere proprio dei figli della Divina Provvidenza (Scr. 26,125).
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Gesù Cristo vi ha fatto partecipi del grande dono della vocazione religiosa e con me vi ha scelti ad essere ministri e banditori della Provvidenza di Dio nel mondo e apostoli della sua carità: per questo io mi struggo di vedervi degni figli della Divina Provvidenza, pieni di fede, pieni di vita spirituale, pieni di umiltà e di fiducia nel Signore, desiderosi di patire per Lui e per la nostra santa Chiesa, pronti a sopportare ogni cosa per la nostra vocazione, tutti consacrati, anima e corpo, alla nostra Congregazione (Scr. 26,155).
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Sento che la Congregazione deve essere una forza di santità e di virtù religiose: una forza di apostolato di fede e di carità e di carità anche intellettuale, dottrinale, ma capite che questo è altro, è ben altro che orientare i nostri chierici, cioè le speranze e l’avvenire della Congregazione, in senso letterario (Scr. 26,223).
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Non ho bisogno di sciupare le mie ultime energie nel galvanizzarvi, nel tirarvi avanti con la forza di quattro buoi: non ho bisogno di trovare in voi dei morti prima di morire, ma dei vivi, degli spiriti ardenti di bene, dei cuori grandi, delle volontà pronte a tutti i sacrifici per Cristo, per la Chiesa, per le anime; dobbiamo essere apostoli, se no tradiremmo la nostra vera vocazione e finiremmo nel nulla, se pur non diventeremo degli apostati, se non di nome e di forma, di pratica e di fatto, cioè di vita ignava (Scr. 29,267).
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Vivere vuol dire espandersi: chi non guadagna, perde, chi non avanza, indietreggia. «Non progredi regredi est», dice l’Imitazione di Cristo. Gli ostacoli si superano con la fede, con il coraggio con l’entusiasmo, con l’apostolicità (Scr. 29,268).
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Che una novella umanità cresca in noi e nelle nostre umili Case! Diamo morte all’egoismo e cresciamo nell’amore di Dio e dei fratelli: cresca tanto Dio in noi che viva Lui e non più noi e riempiamo la terra di un esercito nuovo, un esercito di vittime che vincano la forza, un esercito di seminatori di Dio, che seminano la loro stessa vita, per seminare e arare nel cuore dei fratelli e del popolo Gesù, il Signore; formiamo un esercito grande, invincibile, l’esercito della carità, guidato da Cristo, dalla Madonna, dal Papa, dai Vescovi! L’esercito della carità ritornerà nelle masse umane disseccate una tale forte e soavissima vita e luce di Dio che tutto il mondo ne sarà ristorato e ogni cosa sarà restaurata in Cristo, come disse già San Paolo. E la tempesta, che ora fa tanto paura, sarà dissipata e il caos presente sarà vinto, perché lo spirito della carità vince tutto e, al di sopra delle nubi ammassate dalle mani di uomini, comparirà la mano di Dio e Cristo riprenderà tutto il suo splendore e il suo dolce impero (Scr. 31,60).
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Pregate e studiate! Dobbiamo diventare una forza poderosa di carità, di umiltà, di scienza sacra e di apostolato ai piedi e nelle mani della Chiesa di Dio, a gloria di Dio e a salvezza delle anime (Scr. 31,246).
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Adorare e predicare Cristo, et hunc Crucifixum, e dar bando alle ciance, ma vivere la sua carità e diffonderla apostolicamente (Scr. 31,256).
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Ciascuno di noi deve essere Venator vocationum, Cacciatore di vocazioni! Apostolo, anzi apostolo di sante vocazioni! (Scr. 32,15).
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Non dico che egli debba fare il vulcano come delle volte fate voi, caro don Alferano, no, ma che si muova di più all’esterno e non si rincantucci sempre: deve accendere in sé una più viva fiamma di zelo per le anime, avere più attività, più speditezza, più apostolicità, più apostolicità! Vi sono tante buone qualità sacerdotali in lui, ma non basta che si accontenti di fare da piccolo vice parroco in un vasto campo di lavoro come è il vostro e non deve sempre ritirarsi e rimpicciolirsi, no! Ciò non va, ciò non va! Non va come Superiore della casa e non va come parroco. Non voglio dei presuntuosi, ma non voglio neanche dei conigli: non voglio sacerdoti, né religiosi pieni di sé e di amor proprio, ma non voglio neanche gente fiacca, piccola di testa e di cuore, priva di ogni sana, moderna, necessaria e buona iniziativa, priva del necessario coraggio! Confidare non in noi, ma in Dio e avanti con animo alto, con cuore grande, con grande coraggio! (Scr. 32,242).
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Ci vuole un illuminato spirito di intraprendenza, se no certe opere non si fanno; la vostra diventa una stasi, non è più vita di apostolato, ma è lenta morte o fossilizzazione. Avanti, dunque! Non si potrà far tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! (Scr. 32,245).
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Sono disposto a mandare tutto il personale che vi occorrerà, purché veda che, realmente, si fa e si creano, con il divino aiuto, opere di polso e di consistenza con lo spirito della Congregazione, che non vuol essere un corpo di sedentari e di fossilizzati, ma una arditissima legione, di missionari zelantissimi e di veri apostoli, che non abbiano requie e non lascino requie né dì né notte (Scr. 34,103).
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La grazia dell’apostolato è, di tutte, la più sublime, ma esige la maggior corrispondenza e preparazione da parte dei vocati (Scr. 44,113).
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Faccia la Divina Provvidenza che la Piccola Opera, nelle mani e ai piedi della santa madre Chiesa, sia una grande luce di fede tra il popolo, sia un apostolato grande di carità a salvezza del popolo, ma anche una forza dottrinale, sana, purissima, a umile e totale servigio della Chiesa, per mantenere o rendere cristiane le masse del popolo (Scr. 50,51).
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Lavoriamo con mai rallentata costanza, con umiltà, con fervore, con modestia, con entusiasmo santo e apostolico. Facciamo della nostra vita, di tutta la vita un apostolato di fede, di provvidenza, di carità: siamo apostoli di provvidenza e di carità (Scr. 51,115).
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Se si vuole fare sinceramente l’unione, sia un’unione piena e perfetta, come piace a Dio e alla sua Chiesa, se no, meglio non farla. Senza l’unione della carità e senza la carità non si edificherà Gesù Cristo né in noi né negli altri: si farà del rumore, si faranno delle opere che poi ci rovineranno addosso, ma per l’eternità, non si edificherà nada! Questo dico a me peccatore ad ogni ora, questo ho predicato qui a tutte le suore in Domino, in Domino! (Scr. 51,137).
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Lavoriamo la nostra perfezione e lavoriamo, fatichiamo, da facchini di Dio, sino alla consumazione di noi, come apostoli e da apostoli, Deo adiuvante. Aneliamo, bramiamo di patire per la nostra santificazione e la salvezza delle anime, a gloria di Dio, tutto e solo a gloria di Dio e a conforto del Santo Padre e dei Vescovi (Scr. 52,56).
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Ravvivarci nella vita religiosa, confortarci a consacrare interamente noi stessi al Signor nostro Gesù Cristo crocifisso e alla santa Chiesa, a servizio dei piccoli e dei poveri, nell’apostolato della carità: perché viviamo senz’altro desiderio che del discepolato dolcissimo e gloriosissimo di Cristo e del suo Vicario in terra (Scr. 52,59).
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Sentiamo in Domino la carità di Gesù Cristo che ci incalza e ci preme: Caritas Christi urget nos! Chi questa carità, che è l’amore di Gesù e spirito di apostolato, non sente, meglio è che lasci la Congregazione, poiché non ne avrebbe lo spirito. Che i nostri occhi si aprano alla luce di Dio e si aprano insieme i nostri cuori alla carità di Gesù crocifisso, sì che tutti abbiamo a sentire e a vivere tutta la sublimità e la santità della nostra vocazione, ad apprezzare il valore, la grazia di dono sì grande e sì celeste (Scr. 52,152).
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Se vogliamo ancora essere creduti e fare del bene dobbiamo guarire i popoli seminando a piene mani l’amore di Dio e degli uomini e moltiplicando la vita di Cristo in tutta l’umanità con opere di carità e seminando la nostra vita spingendoci sino al sacrificio di noi stessi per far rivivere Cristo nella sua divina carità. Apriamo i nostri cuori e i nostri spiriti a questo nuovo apostolato, a questa aspirazione e a questa forza. Bisogna che questa nostra Congregazione cresca, si moltiplichi e riempia la terra e sia come l’esercito nuovo della fede e della carità. Armiamoci di carità e riuniremo nell’unità la Santa Chiesa di Dio e allora i popoli avranno la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Un esercito nuovo armato di umiltà, di purezza, di fede, di carità. La nostra vita deve essere un’agape in cui ciascuno offra invece di prendere (Scr. 55,165–166).
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Tutti dovremmo essere animati dal senso dell’apostolato. Oggi chi non è un apostolo è un apostata (Scr. 56,116).
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Qual è l’anima dell’apostolato? È il vestirsi di Gesù Cristo, il vivere la vita di Gesù Cristo e l’anima di ogni apostolato risulta dalla compenetrazione dello zelo e della pietà per mezzo della vita Eucaristica (Scr. 56,141).
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L‘apostolo qualunque cosa faccia per la sua salvezza e per il suo progresso spirituale e per la fecondità del suo apostolato, corre rischio di costruire sulla sabbia se la sua attività non si appoggia su una specialissima devozione a Maria. Ave Maria e avanti! Per la vita interiore personale il cuore dell’apostolo dev’essere fermamente convinto delle grandezze, privilegi e funzioni del culto alla Vergine, il suo fervore e progresso aumenterà in proporzione della sua devozione a Maria (Scr. 56,141).
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Sia la nostra vita un fecondo apostolato guardando solo e sempre all’onore di Dio e al bene della Chiesa; portiamo da per tutto il fervore della pietà, l’impronta vivida e luminosa della fede, della dottrina sana, cattolica e del lavoro infaticato (Scr. 56,175).
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Facciamo, generosamente, della nostra vita tutta un gioioso olocausto di cristiana e apostolica carità, un’ostia pura e monda di sacrificio ai piedi del Papa e della Santa Chiesa. Dobbiamo essere tutti apostoli e martiri di carità. Dio sarà con noi! (Scr. 57,69).
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Non posso mandare oltre l’Atlantico se non quei sacerdoti che lo chiedono e che, oltre a sentirsi chiamati da Dio a sì ministero, hanno buona salute per le fatiche, zelo grande per le anime e attitudini alla vita di apostolato. Onde vedo ogni dì più la necessità prima di inviarli, anche quando chiedono, che vi premettano una seria preparazione (Scr. 58,80).
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Azione, o Amici, azione cattolica, come la vuole il Papa, come la vogliono i Vescovi: amore a Dio, alla Chiesa, zelo, preghiera, alacrità nel fare il bene, a santificazione nostra e a salvezza dei fratelli. Sono nuovi tempi? Via i timori e non esitiamo: moviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana, intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei Vescovi, con fede ferma, ma con criteri e spirito largo. Niente spirito triste, niente spirito chiuso: sempre a cuore aperto, in spirito di umiltà, di bontà, di letizia. Preghiamo, studiamo e camminiamo. Non fossilizziamoci. I popoli camminano: guardando a Dio e alla Chiesa, camminiamo anche noi, non facciamoci rimorchiare. Tutte le buone iniziative siano in veste moderna, basta riuscire a seminare, basta poter arare Gesù Cristo nella società e fecondarla di Cristo. Nelle mani e ai piedi della Chiesa, noi vogliamo, noi dobbiamo essere un lievito, una pacifica forza di cristiano rinnovamento: fidati in Dio, noi vogliamo tutto restaurare in Cristo (Scr. 62,92a).
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Siamo apostoli di carità, soggioghiamo le nostre passioni, rallegriamoci del bene altrui come di bene nostro; in cielo sarà appunto così come ce lo esprime anche Dante con la sua sublime poesia. Siamo apostoli di carità, di amore puro, di amore alto, universale; facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, con il compatirci, con l’aiutarci vicendevolmente, con il darci la mano e camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi opere di bontà, di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange (Scr. 62,99b).
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Quanto alle Suore, esse vanno diventando troppo comode, troppo signore; c’è poco apostolicità, poco vero spirito di quella affocata carità che di sua natura è diffusiva, benché si chiamino Missionarie della Carità. Quindi non trovano mai Suore da mandare: tolte poche, a me non m’assomigliano neanche nelle unghie dei piedi (Scr. 68,128).
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Non possiamo senza stupore pensare a tante prigioni che gli Apostoli santificarono, a tanti pericoli a cui furono esposti, a tante vaste regioni che corsero, a tante nazioni che conquistarono a Gesù Cristo, mentre noi nulla o poco facciamo per la santificazione delle anime nostre e per ampliare il regno di Gesù Cristo. Gli Apostoli facevano e soffrivano tanto per Dio e si riguardavano ancora come servi inutili e noi crediamo sempre di fare troppo, perché poco amiamo Dio... nella comunione fraterna, fedeli alla verità in uno spirito di amore, noi dobbiamo continuare a crescere in ogni cosa per arrivare a colui che è il capo, cioè a Cristo (Scr. 69,230).
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Bisogna salvare il popolo! Solo penetrando di fede il popolo, migliorandolo, le alte classi sociali non spariranno, accendendogli l’odio che cova nel cuore. E non solo vivrete della vita e pace di Cristo, ma sarete seminatori e apostoli dello spirito di Cristo e servirete la Chiesa, partecipando al suo apostolato gerarchico. Animati da quella carità, che di sua natura è diffusiva, Voi siete chiamati ad essere araldi di amore di Dio e del prossimo, araldi del Regno sociale di Gesù Cristo (Scr. 72,11).
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Ci sia tra voi sempre maggior unione di cuori: sappiatevi compatire e amare di fraterna carità, edificatevi l’un l’altro con il buon esempio, edificatevi a vicenda in Cristo e vivete uno spirito fervido e alacre di lavoro, spirito di vero apostolato sacerdotale e sempre allegri in santa letizia (Scr. 77,42–43).
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Dobbiamo essere noi, tutti noi, apostoli umili di pace, di bene, di amore, di carità. Siamo uomini intelligentemente buoni, soggioghiamo le nostre passioni, non consideriamo il bene altrui come danno nostro, ma gioitene come di un vantaggio vostro (Scr. 80,139).
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Nella piccola cerchia in cui si spiega, si svolge la nostra azione fra le persone che ci circondano, siamo apostoli di bene, o fratelli, facciamo regnare la bontà, la carità con la mitezza del cuore, con la gentilezza del tratto, compatiamoci, tolleriamoci, aiutiamoci, diamoci la mano: che è la vita che vuol essere se non darci fraternamente la mano e camminare insieme? Tenendo alto lo sguardo e il cuore. Se altri non ci amano, amiamoli noi e il nostro cuore si riempirà di gioia, si riempirà di felicità e vivremo di Dio (Scr. 80,140).
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Noi vogliamo, in umiltà, alimentare in noi, con il divino aiuto, quella fiamma d’apostolato verso i poveri e gli afflitti, onde era affocata Santa Caterina e che le benedette sue opere non abbiano fine, ma che si prolunghino nei secoli come il soave cantico della carità cristiana e genovese! Fate, o cara nostra Santa, che in noi spiri e avvampi sempre l’amore di Dio e dei poverelli! (Scr. 83,75).
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Guardiamo con fiducia all’avvenire, nonostante la tristezza dei tempi. Come tutte le anime di buona volontà, lavoriamo con zelo apostolico per gli interessi della Chiesa e del Suo Pontificato supremo e con amore profondo e illuminato per la Patria terrena (Scr. 86,67).
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E la più viva preghiera che ciascuno e tutti si facciano propagandisti attivi, instancabili del nostro Bollettino e ardenti apostoli di fede e di bontà: oggi, chi non è apostolo di verità e di bene è apostata. Coraggio dunque in Domino! (Scr. 92,195–196).
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Vi auguriamo una vita sana, giorni pieni, fecondi, buone opere nell’attività e apostolato del ministero sacerdotale. Anime e Anime! Voi bene conoscete questo grido. Ebbene, il Signore nella sua infinita misericordia Vi conceda di salvarne tante, tante anime, quante ne desidera il vostro zelo di Sacerdoti novelli. Augurio migliore non sapremo né possiamo farvi. La Santa Chiesa e la povera nostra Congregazione siano per Voi la mistica vigna dell’Evangelo, possa recare il Signore sulle vostre braccia molti e molti manipoli carichi di mistiche spighe (Scr. 95,254).
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Gli Apostoli furono grandi lavoratori: uomini di fede grande, di carità grande, di zelo, di lavoro, di sacrificio sino a dare la vita: di notte lavoravano, di giorno predicavano. Si divisero il mondo, si lanciarono sul campo delle fatiche apostoliche, percorsero operosi e instancabili province e nazioni per evangelizzare la terra, per diffondere il regno di Gesù Cristo. A misura del lavoro vengono i frutti: Dio non manca mai a chi fa quanto può. Morire in piedi! (Scr. 104,264).
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Su, figli miei, preparatevi tutti ad essere Apostoli o in Italia o fuori d’Italia. Ma è assolutamente necessario che tutti siamo Apostoli di fede, di amore a Dio e al prossimo, di amore alla Santa Madonna, di amore al Papa e alla Chiesa. Chi non vuol essere Apostolo, esca dalla nostra Congregazione: oggi chi non è Apostolo di Gesù Cristo e della Chiesa, è apostata. Tutti Apostoli di carità, tutti nella carità e tutti Apostoli della carità di Gesù Cristo. Noi siamo nulla, siamo un nulla, ma la cognizione del nostro nulla e la cognizione di Dio, la fede e la fiducia piena in Dio ci daranno una vita superiore, un aiuto, un coraggio, una grazia da diventare, nella Mano di Dio e della Chiesa, dei Santi e degli Apostoli; e tutto faremo e a tutto riusciremo in gloriam Dei: «Omnia in gloriam Dei», ha detto San Paolo. Viviamo da umili, da pii, da buoni Religiosi e la Divina Provvidenza si servirà di noi, suoi stracci e suoi figli, per la gloria di Dio e per dare grandi consolazioni al Papa e ai Vescovi, e guadagnare Anime! (Lett. II,237–238).
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Ebbene, buone figlie e Missionarie della Carità, ricordatevi che uno scopo della vostra istituzione non è soltanto di salvare la vostra anima, ma di salvare delle anime, di seminare Gesù nei cuori. Se il Papa me l’avesse approvato vi avrei chiamate le Apostole della Carità, ma non l’ho neppur chiesto, perché temevo che non me lo avrebbe concesso (Par. II,87–88).
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Gesù Cristo ha detto, prima di salire al Cielo, agli Apostoli: «Andate per il mondo universo, predicate il Vangelo a tutte le creature». Onde è che la missione dei Sacerdoti è la missione degli Apostoli che vanno rinnovando, attraverso i tempi, attraverso le generazioni, l’apostolato dei primi discepoli di Gesù Cristo. Anche oggi vediamo che questi pionieri della fede e della vera civiltà, lasciano la patria, lasciano tutto per andare, forse domani, vittime, martiri là in quei lontani paesi, a portare il balsamo della luce e della fede. E fu sempre così, anime dei miei fratelli, fu sempre così da venti secoli! Da venti secoli noi vediamo in tutti i periodi della Chiesa, noi vediamo che i Papi mandano i missionari, gli apostoli della fede, in terre lontane, remote. Ma il sacerdote non sempre può arrivare a tutto; anzi, vi sono dei momenti nei quali il sacerdote missionario vede che il suo apostolo va frustrato; perché? Perché egli si trova in certi posti, ai quali, per tanti riguardi che voi comprendete, egli non può accedere; ed ecco che noi, come vediamo, in ogni tempo, ripetersi il fatto degli apostoli che si dividono per il mondo, così vediamo, in tutti i tempi della vita della Chiesa che, sulle orme dei missionari e dei sacerdoti che vanno in quei lontani paesi, si mettono, si uniscono ad essi nel lavoro e nel sacrificio delle anime dal cuore veramente pieno e ardente della divina carità di Gesù Cristo, e queste anime sono le Suore, le missionarie (Par. II,177–178).
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Che grande sospiro dell’anima deporre ai piedi del Vescovo consacrante la propria vita, le proprie forze, il proprio cuore, i sogni della giovinezza e trasformare tutto in ardore di apostolato per la diffusione degli insegnamenti di Gesù Cristo, specialmente tra la gente più povera, tra le anime alle quali quasi nessuno pensa, perché è più facile e comodo andare ad evangelizzare i ben vestiti, quelli che hanno studiato, che ci capiscono, che già sono, direi, allenati nella vita cristiana (Par. V,20a).
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Dobbiamo ardere di grande fervore, di santa passione, di forza apostolica. Studiare con retto fine, non vanitosamente! (Par. V,257).
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Non essendoci dato di essere anche noi missionari, saremo almeno apostoli di bene in mezzo al popolo e irradiatori di luce in mezzo alle persone con cui viviamo, per trovarci poi nel paradiso uniti in Cristo (Par. V,282).
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Stringiamoci moralmente ai missionari, baciando il Crocifisso e, se non possiamo essere anche noi missionari, cerchiamo di essere apostoli di bene tra le persone in mezzo a cui viviamo. Che mai, mai, esca da noi una parola che turbi lo spirito del nostro fratello (Par. V,284).
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Dobbiamo essere una forza di apostolato di fede, di carità, di amore a Dio e al prossimo, specialmente per quello che è più bisognoso della luce di Dio. Dovunque, dappertutto e su tutto, dobbiamo portare Gesù Cristo (Par. V,357).
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Sulla vostra fronte, o sacerdoti, o chierici, che siete chiamati ad essere apostoli nella Chiesa, risplendano due raggi: quello della santità e quello della scienza! (Par. VI,275).
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Qual è il segreto per riuscire nell’apostolato dell’educazione cristiana, nel campo della carità cristiana? Ve lo insegnerò in queste sere, il segreto. Questo segreto è: l’unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio. In altre parole è l’orazione intensa secondo la definizione di San Tommaso: essa è il grande segreto! (Par. VII,57).
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Bisogna che ciascuno capisca che noi andremo con un passo apostolico! Non solo con passo cristiano, ma con passo apostolico! Chi non sente della carità, la forza della fiamma, della apostolicità, poteva starsene a casa, al suo paese; non deve fermarsi. Sarà magari un santo trappista! Ma chi rimane qui deve essere lo squadrista della carità. Chi non sente questa volontà di essere qualche cosa di molto spirito, nell’amor di Dio e del prossimo, se ne vada: saremo buoni amici; ma qui noi non abbiamo bisogno di tanta gente! (Par. VIII,6).
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Attorno a Gesù, il collegio apostolico non erano molti, ma erano apostoli! E oggi chi non è apostolo è apostata! Apostoli in tutto! Apostoli non solamente quando chiama la preghiera e quando, chinata la fronte, la mente e il cuore davanti a Gesù Sacramentato, ci raccogliamo in adorazione, ma anche studiando per la Chiesa e per le anime, a gloria di Dio e a salvezza dei fratelli! Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze. Il Signore è totalitario! Tutto o niente! (Par. VIII,254).
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La forma attuale della missione religiosa e dell’apostolato cristiano deve essere di carità e di dedizione di sé medesimo. È necessario che l’apostolo moderno impregni di carità ardente i diversi modi di apostolato che si preoccupi meno di convincere le intelligenze che di penetrare nei cuori induriti e gelati trasformandoli con la forza dell’esempio e questa è la missione che nobilmente ed eroicamente compiono i vari Cottolengo nel mondo (Par. IX,328).
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Noi dobbiamo essere una forza nelle mani della Chiesa, una forza di fede, di apostolato, una forza dottrinale, capaci di grandi sacrifici. Se non si ha questa forza, se non si è vivi, se non si può dare la vita agli altri, non si fa niente. Se si è conigli, se si è talpe, si è buddisti, gente morta o moribonda, non si può fare del bene (Par. IX,401).
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La missione prima, in ordine di tempo, a cui si è consacrata la Piccola Opera e a cui la Piccola Opera dovrà sempre mantenere fede, è l’apostolato cristiano fra i piccoli, fra i poveri, fra i ragazzi abbandonati, orfani e derelitti, derelitti, derelitti (Par. XI,83).
Vedi anche: Anime, Carità, Lavoro, Missioni, Opere di misericordia, Studio, Zelo.
Apostolato del Mare
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In questo giorno sacro a San Giuseppe, sposo di Maria SS.ma, mi è caro di umiliare alla Eminenza vostra la supplica, già fatta a voce, di voler benevolmente concedere che, lasciando l’«Apostolato del Mare», di sua iniziativa, la chiesa con l’annesso locale di San Marcellino, per avere trovato di meglio, l’umile sottoscritto possa far ufficiare detta chiesa da un sacerdote genovese dei piccoli figli della Divina Provvidenza, don Enrico Sciaccaluga, o chi per esso; di unire al nome di chiesa di San Marcellino quello di San Giuseppe Cottolengo. E, poiché, il 30 di aprile sarebbe la festa di questo Santo dei poveri più abbandonati, poter fare un po’ di festa in onore del Santo, ma con molta semplicità. L’«Apostolato del Mare», come anche stamattina ho loro detto, mi farà sempre un vero piacere, se vorrà continuare a servirsi della chiesa, specialmente per la Messa del marinaio nei dì festivi (Scr. 48,222).
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Ho pensato di invitare un altro mio amico carissimo, non avvocato ma ingegnere, non sacerdote, ma secolare, scrittore e pubblicista: oggi sull’Avvenire d’Italia è uscito uno dei suoi articoli. Egli ha girato in molti luoghi e ora ritornava da Rotterdam, nel cui porto aveva passato il giorno di Natale, nella casa di un sacerdote, mio amico, che ha in mano la direzione dell’Apostolato del mare a Rotterdam. Tutti i marinai e quelli che giungono al porto, o cari miei chierici, sono sotto la cura spirituale di questo sacerdote. Quest’ingegnere che copre uffici molto importanti e, direi anche molto lucrosi, è cattolico dalla testa ai piedi e si è dato con attività al suo ufficio, all’Apostolato del mare; un’attività nuova per voi e ancora sconosciuta. C’è l’apostolato della Stampa, l’apostolato della Fede e c’è anche l’Apostolato del Mare (Par. X,27).
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La Chiesa, buona Madre, pensa a tutti i suoi figli. La Divina Provvidenza ha suscitato uomini secolari i quali, nei vari porti d’Europa e del Mondo Cattolico, hanno cura di tutte le anime che si fermano 4 o 5 giorni al Porto e poi ripartono e stanno via per dei mesi. In ogni porto, a questo si mira, vi è un sacerdote consacrato al bene dei marinai. Noi a Genova abbiamo acquistato una casa per l’Opera del Mare. C’era in città, una chiesa vecchia che portava il nome di San Marcellino. Essa apparteneva ad una parrocchia che aveva varie chiese. Il Cardinale Arcivescovo ne prese il titolo e lo trasportò alla periferia dove c’era deficienza di chiese e quella chiesa vecchia fu messa in vendita. Volevamo comperarla noi; ma non si disse nulla per non farlo sapere a nessuno. Era in quell’anno in cui ci volevano mandar via da Genova, perché il Cardinale Minoretti non era favorevole a noi: nell’ultimo tempo della sua vita si mostrò più favorevole. Quando si è saputo che di quella vecchia chiesa se ne sarebbe fatto un cinematografo e che quel luogo sarebbe stato sconsacrato e dove prima c’era il Santissimo Sacramento si sarebbero viste ogni genere di pellicole, buone e non buone – più di queste che di quelle – allora io dall’America ordinai che segretamente acquistassero la chiesa e la Casa che le sta vicina. L’abbiamo così acquistata: e l’hanno venduta senza sapere che la vendevano a Don Orione... Adesso quella chiesa e quel locale vicino l’abbiamo dati per l’Apostolato del Mare, a un gruppo di marchesi e nobili di Genova (Par. X,8).
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Cari miei chierici, dopo pranzo e anche stamattina l’Ingegnere Filiberto Guala vi ha parlato dell’Apostolato del mare e stasera ci ha detto quello che la società aspetta da noi. Ed il versicolo che oggi leggevo diceva la stessa cosa: quello che io e voi dobbiamo tutti i giorni domandare al Signore e invocare dalla bontà del Signore: unam petii a Domino... di abitare nella Casa del Signore in tutti i giorni della nostra vita e di essere veramente quelli che Dio ci vuole: sal terrae (Par. X,33).
Vedi anche: Apostolato.
Archivio
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In virtù di obbedienza vi obbligo di fare leggere subito questa lettera alla Madre e a Mons. Capra, e poi ve la ritornino, e la passate a Don Sterpi, perché legga e conservi tutto per l’Archivio (Scr. 1,41).
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Desidero che gli parli chiaro e che e la lettera e il resto siano conservati in codesto Archivio. E se non c’è si crei. E così gli dirai che non mandi in giro altre sue fotografie, sia pure sotto la speciosità e parvenza migliore. Non è nello spirito della Congregazione (Scr. 3,339).
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Questa lettera desidero sia conservata e poi deposta nell’archivio della nostra Congregazione, tra le carte segrete. Sarà bene che sia letta più di una volta questa lettera (Scr. 4,270).
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Questa lettera lasciatela poi all’Archivio di codesta casa, perché chi verrà dopo di voi sappia qual è lo spirito che voglio animi il Piccolo Cottolengo di Genova (Scr. 5,343).
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Questa lettera si conserva. Si stabilisca un archivio dove riporre al sicuro carte e documenti della Congregazione, in modo che anche in caso di incendio non vadano perite (Scr. 10,101).
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L’archivio fatelo in luogo che nessuno lo sappia presso Don Vincenzo Torti di Castelnuovo. Glielo direte che sono carte riservate che riguardano la Congregazione, così sono a un passo da Tortona e presso persona di piena fiducia. Per ora però fatene la raccolta presso di voi; e questa cosa con calma e in Domino molto (Scr. 10,102).
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Voi riceverete una lunga lettera che ho scritto a Mons. Cribellati, dove dico molte cose; essa dovrà restare per l’archivio. Voi riceverete pure una lunga lettera che ho scritto a don Montagna e altra a don Zanocchi e altra lunghissima lettera inviata oggi alla Michel, tutto deve restare per l’archivio. Quest’ultima è assai grave circa una situazione che si venne formando a San Paolo, ove fui la passata settimana (Scr. 14,112).
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Ti unisco copia di loro fotografie, che riterrai per l’archivio di codesta Casa, poiché è bene che anche la Casa di Rodi abbia il suo piccolo archivio e ben in ordine (Scr. 23,125).
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Date mano a formare l’archivio, meglio che si può: ciò preme assai, assai! Completatelo più che si può (Scr. 36,187).
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Vi prego che queste lettere e tutti gli altri miei scritti di indole delicata siano posti non nello Archivio comune, ma in posto riservatissimo, a voi solo noto. Il Visitatore credo che desidererà vedere anche gli Archivi (Scr. 77,138).
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In ogni Casa deve esservi un piccolo archivio, dove si devono conservare le fedi di nascita e i documenti richiesti di ciascuna, il giorno dell’entrata, la somma entrata, il giorno di uscita per un’altra Casa od il ritorno in famiglia (Par. I,241).
Vedi anche: Ufficio stampa.
Arditi della Chiesa
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Vorrei costituire un Corpo di Arditi nella chiesa: c’entrereste voi? Occorrono cinque qualità: 1) essere e fare i facchini di Dio e della chiesa, sempre pronti ad ogni ora. 2) Non cercare di fare soldi, ma cercare solo Gesù Cristo e le anime. 3) Pregare molto e vivere illibati. 4) Essere devotissimi della Madonna e del Papa. Volere la libertà del Papa. 5) Lottare in tutti i modi onesti, anche più moderni, per mantenere salda la fede e la vita cattolica nel popolo. Mi risponderete. Siete il primo a cui mi rivolgo: spero non sarete l’ultimo a rispondere (Scr. 31,9).
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Noi siamo gli «arditi», della Chiesa, gli «arditi della carità di Gesù Cristo». Ciascuno di noi deve essere Venator vocationum, Cacciatore di vocazioni! Apostolo, anzi apostolo di sante vocazioni! (Scr. 32,15).
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Se Dio mi dà ancora un anno di vita e la sua santa grazia, e la Chiesa, la Chiesa madre, la santa Chiesa di Roma, non vorrà patire scandalo dalla mia miseria, ma mi prenderà come uno straccio nella sua mano forte, e vostra Eccellenza, come un padre e una madre, mi aiuterà e conforterà, io voglio, confidando tutto nel Signore, voglio piantare un corpo di Arditi nella santa Chiesa. I nostri Arditi andavano all’assalto con un pugnale in mano ed un pugnale in bocca. Anche Cristo signor nostro apparve a Giovanni nell’Apocalisse con la spada di bocca: «et de ore Eius gladius utraque parte acutus exibat». Ai miei Arditi si degni la misericordia di Gesù Cristo Signor nostro mettere la sua mistica spada nella loro bocca, la croce, una nuda e povera croce in mano, e una fornace di divina carità nel cuore (Scr. 45,147).
Vedi anche: Apostolato, Azione cattolica, Esploratori cattolici.
Aridità di spirito
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Guai a noi, noi perduti, se la sorgente della pietà e della umiltà si sarà inaridita in noi, o andrà inaridendosi! Per questo, anche per questo sono lieto e ci tengo che facciate tutti e bene e ogni anno i Santi Spirituali Esercizi! E se non li aveste ancora fatti, veda Don Adaglio che si facciano e in ogni miglior modo (Scr. 4,261).
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Pur non essendo quella casa di Prunella una propria e vera casa della Congregazione, sia costituita in maniera che il personale colà addetto non abbia mai da essere deviato o inaridito nello spirito proprio della nostra vocazione, trovi aperta la vena della carità e abbia la più bella e santa libertà di fare; di fare molto bene nel nome di Gesù Cristo crocifisso e della SS.ma Addolorata alla povera e cara Calabria (Scr. 13,101).
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Sono giunto in Italia dieci giorni fa e lunedì, dopo l’udienza del Santo Padre, mi ritirerò negli Esercizi Spirituali, presso Venezia, perché sento che ho lo spirito tutto divagato, inaridito e disfatto. Pregate tutti per la mia sincera conversione e che mi dia a Dio davvero (Scr. 38,3).
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Sempre voglio pregare Gesù che dia loro la ilarità ed il gaudio santo del bene di San Filippo e di San Francesco di Sales, ma badino che, quando si soffrisse di aridità, di noia, di tedio, questo non è sempre segno che si va indietro, molto spesso dipende dalle non buone condizioni di salute o da permissioni di Dio: molte volte si profitta più nelle aridità che nelle consolazioni; le persone che si sono date a Dio, vogliono offrire a Dio l’aridità come una penitenza e fare continui atti di amore di Dio (Scr. 41,150).
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Tu sei la negazione di quello che deve essere un chierico, figlio delle Divina Provvidenza, vivi come una lampada quasi inaridita e fumigante, senza pietà vera e soda, dando parecchio del tuo tempo a poetare e pascendoti di certe vanità. Veramente conoscendo e i dolori che ho per la lontananza e il pericolo di molti dei nostri fratelli, ricordando la grazia che Dio anche ultimamente ti ha fatto, caro mio Continenza, e non dico per questo, ma anche per questo, tu quest’anno avresti dovuto darmi molte consolazioni e conforti (Scr. 43,143).
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Badiamo che se non santifichiamo noi, non santificheremo gli altri: «Nemo dat quod non habet». Non divagarti, non inariditi: le troppe cose esterne come anche lo studio potrebbe nuocere (Scr. 55,55).
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Lo studio, benché utilissimo, sarà infallibilmente dannoso alla nostra spirituale salute, quando non vada unito con l’umiltà e semplicità del cuore, quando non sia accompagnato dall’orazione L’esperienza dimostra che lo studio, senza... non serve che a gonfiarci e inorgoglirci e conduce a quella aridità di spirito che è sempre seguita dal disgusto della pietà. San Tommaso diceva che si impara più ai piedi d’un Crocifisso che sui libri (Scr. 56,101).
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Sì, confidiamo in Dio: tutta la vita cristiana è una vicenda di consolazione e di aridità, ma la consolazione non è segno che noi andiamo avanti, e la aridità non è segno che andiamo indietro. Dobbiamo vivere di fede, la fede ci aiuta nella consolazione a non presumere e nello stato di dolore o di aridità, a non diffidare. Che Gesù sia con noi sempre con la Sua grazia e con la Sua pace (Scr. 57,40).
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Stanotte ci è morto qui un caro fanciullo probando! Ma ai primi dell’anno, in un sogno strano ho visto cadere tante foglie bianche. Eppure, o mio buon padre, ho tanto dolorosi presentimenti per quest’annata. Son ridotto, per la mia aridità, che non posso quasi più pregare, ma vado con l’anima gemendo e mi getto tutti i giorni e più volte al giorno in spirito davanti al Signore supplicandolo a colpire me, ma ad avere misericordia della povera Congregazione (Scr. 59,130).
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Madre mia, o mia Madre del Cielo! Io non posso dire ciò che è avvenuto in me, ma sento che presso il vostro santo altare il mio cuore inaridito ha ritrovato la sua potenza d’amore santo e puro! L’entusiasmo della folla ardente e commossa si è comunicato all’anima mia; eccomi pronto a tutto... a tutto, per voi che io amo, o Gesù Cristo, o Maria SS.ma, o Santa Chiesa Cattolica, o mia Patria amatissima! (Scr. 71,173).
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Gesù e la Madonna non mi abbandonino! Ora non so più pregare, non ho mai saputo, ma ora peggio, non posso quasi più aprir bocca e ho l’anima inaridita e vado ingannando tutti e anche la Santa Chiesa, e ciò tanto mi addolora (Scr. 72,222).
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Se qualcuna di voi, nella sua umiltà, dovrà dire: io son debole, infiacchita nelle vie del Signore, inaridita nell’anima, ebbene io vi dico: da per te non puoi nulla, ma ricorda quello che scrisse San Paolo: «Tutto posso in Colui che mi conforta». E Santa Teresa, ve l’ho già ricordato, diceva: «Teresa e un soldo non vale niente; Dio, un soldo e Teresa tutto possono». Quindi, coraggio, attaccatevi, o buone figliuole del Signore, alla veste di Maria Santissima, attaccatevi alle mani di Maria, al Cuore di Gesù, a cui è consacrata la minima nascente vostra Congregazione (Par. II,121e).
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Nella vita possono venire e vengono, senza dubbio, dei momenti neri, pieni di aridità di spirito; allora bisogna sforzarsi di pregare. È il Signore, forse, che lo permette, per provare la nostra fedeltà, per vedere se noi lo amiamo solamente nelle consolazioni, oppure anche nelle ore fredde, grigie, apate, che ci riserva l’avvenire. Il vero soldato si conosce nella battaglia, il vero religioso si vede nelle avversità e nelle battaglie, qualunque esse siano (Par. VI,184).
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L’Opera della Divina Provvidenza è opera provvidenziale di fede e di amore appropriata ai nostri tempi. Se l’intelligenza deve necessariamente seguire la vera luce, i cuori hanno bisogno di calore e di vita, in quanto le aridità dello spirito che è scetticismo proviene dall’aridità del cuore che è l’egoismo. È faticoso partire dal cuore per conquistare l’intelligenza. La forma attuale della missione religiosa e dell’apostolato cristiano deve essere di carità e di dedizione di sé medesimo (Par. IX,328).
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Colui che dà l’incremento è Dio e, senza la preghiera, la nostra attività farà fallimento, diventerà aridità. Il Signore non prospererà, non benedirà il nostro lavoro, se non innalzeremo a lui lo spirito e se non saremo a lui uniti con la preghiera. È la preghiera, è l’orazione che tira le benedizioni del Signore su tutti i nostri passi, su tutte le nostre fatiche (Par. IX,394).
Vedi anche: Abbattimento, Cecità (spirituale), Tiepidezza (spirituale).
Arte
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Pare che qualche parente della Marchesa vantasse diritto su alcuni quadri. Vedete un po’. Certo, per quell’amore all’arte che sento, io sarei tanto contento se, almeno quelli di soggetto religioso restassero alla Congregazione. Caso mai, vedere di fare un qualche cambio. Così potremo iniziare a Tortona o altrove una Pinacoteca che educhi al bello e a sensi di religione i nostri chierici (Scr. 19,79).
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Adoperare tutte le arti per arrivare a questo, ma usare tale delicatezza che l’arte ci sia, ma non si riveli, non si veda, com’è detto dal poeta (per quanto si riferisce alla letteratura e alle arti belle): «l’arte che tutto fa nulla si mostra». Ma, ripeto, non distruggere, non abolire, non togliere nulla se proprio non ripugni sostanzialmente alla vita cristiana e all’educazione onesta e civile (Scr. 20,97c).
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Cammineremo insieme, guidati dall’alto, dalla divina luce della carità e dell’arte, in un grande amore a Dio e agli uomini, in un grande amore all’Italia e alla nostra Tortona! (Scr. 40,156).
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Tu sarai, ai piedi di Maria, il beato Angelico della musica e canterai Maria, la madre di Dio, la gran madre di tutti gli afflitti, di tutti gli orfani, l’ispiratrice celeste di tutte le arti, di tutto ciò che c’è di puro, di bello, di estasi nell’arte cristiana. Il beato Angelico ogni volta che dipingeva Maria, dipingeva d’in ginocchio e rompeva in lacrime solo guardandola o guardando Gesù. Fu di vita semplice, modesta e non volle mutare l’umile cella nell’Arcivescovado di Firenze; la sua vita non ebbe che due fili d’oro: l’arte e la preghiera! Le sue lacrime gli recavano estasi, che egli traduceva in dipinti e i suoi dipinti sono preghiere e luci di Cielo. Figlio mio, ecco te! I tuoi fili d’oro saranno la Madonna e l’arte per elevare al cielo! Un’arte piena di candore di Maria e piena di fede forte, un’arte che sia un’arma soavissima di paradiso (Scr. 44,22–23).
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L‘arte religiosa, figlia e ancella della Chiesa, servì mirabilmente ad edificare Cristo nel cuore dei popoli e con Cristo edificò la dignità umana, il perfezionamento morale, la fratellanza, la famiglia, l’educazione sociale, il progresso, la libertà, il patriottismo. Quante anime e quanti popoli sono arrivati a Cristo o hanno sentito Cristo per le vie luminose dell’arte, nel fascino della poesia, nel canto della fede! (Scr. 53,23).
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Escono questi manuali di religione in bella veste tipografica, illustrati con squisito senso d’arte da copiose riproduzioni dei lavori della pittura italiana. E ciò ad agevolare il metodo intuitivo che è pieno di attrattive e con il nobile intento di educare al bene e al bello lo spirito dei nostri fanciulli. L’approvazione che i nostri manuali hanno ottenuto dal Ministero dell’istruzione ci affida che essi incontreranno pure il pieno gradimento delle autorità scolastiche e dei signori insegnanti (Scr. 53,27).
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L’arte che celebra, che canta la fede, è vita e la vita consacrata alla carità e specialmente ai reietti, ai rottami della società, ai rifiuti come fece San Cottolengo, quella vita è veramente un inno grande, l’inno più sublime che spirito d’uomo possa cantare (Par. VIII,40).
Vedi anche: Cristianesimo, Musica, Presepio, Teatro.
Asili infantili
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Qualora Sua Eminenza approvi e benedica, sono disposto ad aprire un Asilo per gli Orfani spagnoli, dar loro una istruzione elementare e poi avviarli ad un’arte, sì da restituirli alla Spagna educati cristianamente e con in mano un’arte remunerativa che dia loro un pane onorato nella vita. Però io tutto voglio fare stando ai piedi del Card. Arcivescovo e ai suoi ordini (Scr. 1,180).
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Le 16 suore che hanno dato l’esame governativo per asilo, tolte due, hanno dovuto essere aggregate ad asili non nostri perché il loro diploma possa avere valore legale e questo credo per due anni; pensa quale aiuto è venuto a mancare. Era cosa che non si poteva prevedere. Parecchie e parecchie poi furono dimesse perché pretendevano di vestire l’abito da suora senza averne lo spirito (Scr. 36,108).
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Se durante la sua amministrazione si aprisse un bell’asilo infantile che desse modo a tante povere madri di andare tranquille ai loro lavori campestri, e preparasse meglio i fanciulli per le scuole elementari, che bella cosa sarebbe, e che vantaggio morale e materiale per il paese! Le suore dell’asilo potrebbero occuparsi anche nei dì di festa delle giovanette, come si fa quasi dappertutto ove sono suore. E, avviato bene l’asilo e il ricreatorio femminile, dopo il primo anno, si potrà anche aprire, annesso all’asilo un laboratorio per lavori donneschi, impareranno a tagliare camicie, a cucire a macchina, etc. (Scr. 38,115–116).
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Sono pronto a dare le due suore per l’asilo comunale, una abilitata all’insegnamento delle scuole infantili. Darò anche le suore per il laboratorio e scuola privata. In seguito, come bene ella dice, si farà il resto: da cosa nasce cosa, in Domino (Scr. 38,141).
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Cinque vostre consorelle sono a Voghera, domenica poi apre un nuovo asilo infantile a Sarezzano con scuola di cucito e il giorno della Immacolata un altro asilo e scuola di cucito a Castellar Ponzano. Delle vostre consorelle n. 27 hanno ottenuto il diploma da maestre d’asilo e n. 41 il diploma da infermiere. Deo gratias di tutto! Possano queste buone notizie non farvi insuperbire, ma consolarvi e incoraggiarvi a fare bene anche voi, e a darmi sempre dei motivi di essere contento di voi altre (Scr. 39,217).
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La Superiora delle Missionarie della Carità viene ad accompagnare le tre suore che furono destinate per l’asilo infantile e la scuola di cucito e ricamo di Sarezzano; una di esse ha anche il diploma da infermiera e spero che potrà giovare. Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Vescovo si è degnato, nella sua paterna bontà, di ammetterle stamattina alla Messa e comunione nella sua cappella privata in Episcopio dove fece loro un bellissimo discorso di circostanza e volle benedirle nella forma liturgica, così che le suore vengono confortate e piene di ogni migliore disposizione. Io spero che faranno bene, avvalorate come sono anche dal valido appoggio di v. s. Molto Rev.da e dalla benevolenza delle autorità come della popolazione di Sarezzano. Esse intendono di modestamente coadiuvare i genitori nella prima educazione dei bambini, ispirandosi ai sacri amori di Dio, della famiglia e della Patria, desiderose di collaborare a crescere dei buoni cristiani e dei cittadini degni dei nuovi destini d’Italia (Scr. 43,27).
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Perché non si potrebbe aprire qui un asilo infantile con laboratorio per le figlie del paese e oratorio festivo? Le suore che io darei potrebbero anche aiutare per il catechismo in parrocchia e si salverebbe tutta la gioventù femminile del paese (Scr. 43,29).
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L’asilo è ben visto dalla popolazione e anche dal Municipio e, col tempo, potrà unirvisi una scuola di cucito e ciò mi pare sarà un grande bene per la gioventù. Se poi ti occorressero le suore per il catechismo alle ragazze, non avrai che a dirlo, dopo che ti sarai orientato. Fatti coraggio, adunque! (Scr. 43,163).
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So quanto sta a cuore alla sig.ria vostra il buon andamento e lo sviluppo dell’asilo infantile di codesta borgata, che ella amministra con tanta saggezza; e sento di venire oggi a compiere un mio dovere nel ringraziare lei, sig. Podestà, e il vice Podestà nonché tutta la laboriosa popolazione di Villa Romagnano per la benevolenza verso le mie suore e l’interessamento per l’asilo. Incoraggiate le suore dall’appoggio incontrato, apriranno anche una scuola di cucito e ricamo per le fanciulle; a questo scopo hanno affittata una stanza capace e le ho provviste di una macchina a cucire delle più perfezionate (Scr. 44,125).
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È dagli anni difficili della guerra che, senza parate, ma sotto gli auspici della Madonna della Guardia, le Suore Missionarie della Carità hanno aperto a San Bernardino un Asilo infantile, Asilo che, anche quest’anno, ha una sessantina di iscritti e che è assiduamente frequentato da più che cinquanta tra bambini e bambine. Col cattivo tempo dei mesi d’inverno, con le automobili, motocicli e veicoli che continuamente corrono per Corso Genova, data poi la distanza dell’Asilo di Città, quale madre avrebbe avventurato i suoi piccoli fino a Tortona e fino a Piazza della Merry? Ecco un’opera bella e tanto necessaria, l’opera del nostro Asilo, sorto ai piedi di Maria, senza aver disturbato nessuna persona, nessuna Autorità e senza aver avuto mai un soldo di sussidio. E badate che l’Asilo di San Bernardino è fornito di un materiale didattico pel valore di circa cinquemila lire. E i bambini vi sono istruiti secondo il metodo del celebre pedagogista Federico Froebel, con risultati lusinghieri e soddisfazione generale delle famiglie. I bambini vengono trattenuti dalle 8,30 del mattino alle 17 del pomeriggio. In agosto avremo il saggio, che promette assai bene. E col prossimo anno si vuol adottare il sistema italiano della Montessori. Ora qualcuno dirà: Qui don Orione bussa a denaro. Ma no, ma no, cari Amici; solo dico: guardate cosa si fa, e poi fate quello che l’ispirazione di Dio, che vi parla al cuore, vi dirà (Scr. 62,57).
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La Congregazione della Divina Provvidenza, sempre memore dell’atto munifico che oggi compiono le Madri Argentine e dell’alto spirito onde esse, con immensi sacrifici, seppero dare vita ad un’opera sì benefica pro juventute derelicta, si propone di educare i giovanetti dell’asilo al più alto senso di gratitudine verso l’Associazione e verso quanti diedero opera ad educare all’onesto vivere cristiano e civile la gioventù uscita dal detto Istituto: sempre nello stesso spirito, e di educare il cuore e la mente dei giovani onde essi abbiano da essere non solo buoni cristiani, ma onorati cittadini amanti della loro Patria (Scr. 64,163).
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Oggi, nel ritornare da San Bernardino, ho trovato parecchie mamme coi loro bambini, tutte felici perché si era finalmente aperto l’Asilo. Sono stato molto contento delle parole buone che dissero a me e a voi altre, per il significato e bene morale che ne può venire dall’Asilo. E sono anche lieto che si sia iniziato proprio nella festa di Sant’Anna; così, senza averci pensato, si realizza in questo giorno ciò che da anni avevo desiderato nel Signore. Vorrei che in questi primi giorni Lei se ne prendesse una particolare cura e che i bambini andassero a casa contenti e non desiderassero poi altro che di venire all’Asilo e che a casa non parlassero d’altro che delle loro Maestre e ciò a gloria di Dio. Quelli che si portarono il loro canestrino, possono essere subito trattenuti anch’essi sino alle 5 di sera. La ricreazione la possono fare da voi altre. Penso stamattina a codesti bambini del Signore, e a Lei e a tutte Loro che, nel nome del Signore, si occupano di essi, Le benedico tutte con il nuovo Asilo. Che la SS.ma Vergine Le benedica dal Cielo! (Scr. 65,140).
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Quanto a codeste buone figliole, io, come Lei sa, speravo di aprire loro un sacro asilo loro proprio e secondo lo spirito e la vita basiliana in Roma o nelle sue vicinanze, ma finora non mi è stato possibile più che per le vicende della mia vita, certo per i miei peccati (Scr. 68,30).
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Ebbene mi permetta di poterle dare questa consolazione: questo Asilo che si aprirebbe a San Sebastiano è in gran parte già un frutto, un’opera pratica della Società delle Madri Cristiane, che Don Perduca ha saputo condurre già a tanto. E prevedo che l’Asilo, in quel centro, potrà essere, col divino aiuto, il principio di molto altro bene, del quale poi Le parlerò. Mi limito intanto a far presente all’Eccellenza Vostra che a San Sebastiano Curone cade tutta la montagna, quindi oltre ad un Ricreatorio Festivo per le ragazze, un altr’anno vi si potrà aprire una Scuola di Cucito per le più alte con laboratorio di maglieria a macchina, il che per il paese, che vive ed è ricco per il commercio, non sarà poco vantaggio. Ma sarà anche, e sovra tutto, un bene più alto e veramente cristiano e sociale; dopo la guerra, il provvedere un pane onorato a molte ragazze che dovranno restare sempre tali non sarà piccolo problema di pubblica moralità (Scr. 68,33).
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L’Asilo è frequentato da oltre 60 tra bambine e bambine che vanno dai tre ai 7 anni. Di essi quarantasei sono figli di richiamati. Ci fu la visita delle Signore della Pro Soldato, che portarono grembiulini e calzoncini. Ci fu pure la visita delle Signore della Organizzazione Civile, con la Signora del Sindaco, che portarono dolci e ninnoli. Pare siano tutte rimaste ben impressionate. Io non mi ci trovai; se andavo per le una, avrei dovuto trovarmici anche per le altre. Se fosse stata qui Vostra Eccellenza, l’avrei sentita, andai per parlare a Mons. Vicario, ma era assente, e allora pensai bene non esservi, tanto più che eran tutte donne. Vennero al Convitto per una sottoscrizione a pro della Casa del Soldato, rifiutarsi non si poteva, e allora sottoscrissi per lire 5 mensili. Se avrò sbagliato, Vostra Eccellenza mi darà una tiratina d’orecchi, e io sarò felice. Ai bambini dell’Asilo si continua a dare la refezione a mezzogiorno. Le famiglie di San Bernardino sono molto contente di quest’opera e non insultano più (Scr. 75,65).
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Vi è bisogno in parrocchia di un Istituzione femminile che si prenda cura dei poveri, che visiti gli ammalati a domicilio e che, occorrendo, li assista e ne avverta il parroco: è urgente che si apra un asilo gratuito per i bambini più miseri e abbandonati sulle strade e una casa che accolga anche le orfane del quartiere, almeno le più bisognose di essere tolte dai pericoli. Il campo di lavoro è vastissimo: la nuova parrocchia si estende ai Cessati Spiriti e oltre le Capannelle: la prima parrocchia confinante è la città di Albano (Scr. 83,256).
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È di necessità un asilo gratuito per bambini miseri, spesso abbandonati sulle strade: una Casa che accolga anche le ragazze del Quartiere, almeno le più bisognose di essere sottratte ai pericoli. Il campo di lavoro è vastissimo: c’è bisogno di accrescere quanto si può le braccia, tanto più che, con l’allargamento già attuato di Via Appia (40 metri), avremo fuori Porta San Giovanni una nuova Città (Scr. 101,117).
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In altri tempi bastavano alla Chiesa le Monache coi loro Monasteri di clausura, oggi i tempi sono mutati e la Chiesa ha bisogno di monache e di Suore che aprano asili per l’infanzia, scuole, educandati, ospizi: che assistano i malati negli Ospedali e a domicilio, che curino, confortino i feriti sui campi di battaglie, che svolgano, in una parola, tutte quelle opere di moderna assistenza sociale a cui la Divina Provvidenza oggi chiama (Scr. 104,267).
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Ieri, festa di Sant’Anna, avete aperto il nuovo Asilo per i figli dei richiamati e vi siete prestate con slancio e carità sino a privarvi del vostro pranzo. Coraggio! Avanti! Andate sempre avanti, qualunque cosa possa costarvi: avanti sempre, per portare Gesù nelle famiglie e le anime a Gesù (Par. I,56).
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Vi dico pertanto che io intendo fare una casa per i vostri bambini, un Asilo... Io so che la Signora Maria amava tanto l’infanzia, specialmente la fanciullezza abbandonata. Voi di Vho sapete che, qui vicino a voi, a Villaromagnano, ho fatto sorgere, bello e grande, un Asilo Infantile, nel quale oggi vi sono le scuole elementari, dando così agio al Comune di Villaromagnano per l’istruzione dei fanciulli e delle fanciulle delle prime cinque classi. Sapete che anche ho aperto un Asilo a Castellar Ponzano e a Montale Celli. Anche qui a Vho aprirò un Asilo per l’infanzia tanto cara a Gesù, affinché possiate affrontare sicuri la stagione dei lavori campestri. Affidate a chi terrà l’Asilo, forse delle Suore, anzi certamente saranno Suore, affidate i vostri bambini che saranno educati e sicuri nelle mani delle Suore, e così voi potrete meglio lavorare (Par. VI,35).
Vedi anche: Lavoro, Oratorio, Pedagogia.
Astinenza
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Pulizia di anima e pulizia di abiti: lindi e puri di cuore e pulitezza, freschezza di bucato e lindezza di abiti. Igiene morale e igiene fisica: temperanza nel mangiare e astinenza anche nei moti più innocenti del cuore, che deve essere tutto e solo di Dio. La Madonna ci prenda in mano e benedica (Scr. 2,270).
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Non fare penitenze, né astinenze che possano nuocere alla tua salute e senza che don Cremaschi lo sappia. Prega molto la Madonna SS.ma, non essere mai pusillanime, ma magnanimo sempre, con Dio e con gli uomini (Scr. 32,183).
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Per essere temperanti, religiosi, amorevoli, umili, casti, laboriosi, coscienziosi, bisogna poter dire alla fine di ogni giornata: oggi ho vinto la carne con l’astinenza, lo scoraggiamento con la fede, l’ira con il perdono, la falsa scienza con l’umiltà, la falsa parola con il silenzio, l’avarizia con il generoso distacco dai beni a cui non avevo sicuro diritto. Bisogna insomma combattere sé stesso, perseverare nel quotidiano sacrificio delle nostre passioni, patire per essere virtuosi (Scr. 57,35).
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Ho voluto consultare il Genicot sulla discussione avuta l’altro ieri, almeno per la parte che si riferisce alla quantità di carne che costituisce peccato grave nei giorni di astinenza. Non so quale autore tu hai preso in mano, quando eravamo a pranzo: forse il Gury? Ebbene, bada che anche il Gury, nelle ultime edizioni, non tiene più la sentenza dei tre grammi, ma evidentemente mostra di ritenere che passa oltre l’oncia. Il can.co Guffanti anzi dice che, in una (forse l’ultima edizione), ha trovato che dice duae unciae. Il Genicot dice: «Si praeceptum abstinentiae laeditur manducando carnem proprie dictam, probabile est non committi peccatum grave nisi manducentur duae unciae». Quindi non si pecca grave, arrivando fino ai 50 grammi e anche sino ai 55 (vedi che, oltre i 50 grammi di salame, ci sarebbe forse anche da poter far bagnare una zuppa all’albergo di Voghera). E il Bucceroni dice: «Recentiores sunt Theologi, qui ajunt materiam gravem in carnibus esse tantum duas uncias». E il Bucceroni la tiene, ed è il professore attuale di morale alla Gregoriana: sotto gli occhi della Santa Sede (Scr. 59,230).
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Siamo in quaresima e facciamo un po’ di serietà, se non di penitenza, perché qui la penitenza e l’astinenza sono abolite dalla legge di Dio, si mangia carne a tutt’andare, non c’è né venerdì né sabato, non per nulla si dice che qui è un altro mondo (Scr. 68,100).
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Astenersi dal vino, non mai più di 2 bicchieri a pranzo, uno a cena. Pane e minestra astenersene meno: su essi l’appetito non suole tanto disordinare e la tentazione non spinge, come sul resto, circa le altre vivande e vino e liquori praticare la maggiore e più intera astinenza, perché è in questa parte che si è più pronti, sia l’appetito in disordinare, come la tentazione a spingere a cose ghiotte (Scr. 110,101).
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L’astinenza è come un mezzo digiuno. Proibisce di mangiare di grasso. San Tommaso: la Chiesa proibisce i cibi di grasso perché ordinariamente, sono i più gustosi e più nutritivi degli altri, e, come tali, sono incentivo maggiore alla sensualità. La legge dell’astinenza obbliga dall’uso di ragione. Ogni regola ha la sua. Possiamo essere dispensati: per necessità, per salute, dipendenza e ragioni di famiglia, che non si possono evitare. In questi ultimi tempi la Chiesa ha fatto molte concessioni per la debolezza delle costituzioni fisiche. Oh, se si conoscesse!, ammiriamo la sapienza e materna bontà della Chiesa. Importanza dell’astinenza e digiuno. A nessuno deve sfuggire l’importanza di queste due leggi. L’evangelo raccomanda ripetutamente questo punto della morale cristiana. Tutti noi siamo inclinati al male: le passioni della concupiscenza, l’orgoglio, la gola ci perderebbero, se non fossero combattute dalla penitenza (Scr. 111,53).
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Alcuni oppongono alla legge dell’astinenza e del digiuno quelle parole di Cristo «Non quello che entra per la bocca macchia l’anima». Ed è vero: non è precisamente il mangiar di grasso che contamina l’anima è la rende colpevole, ma la rivolta contro la autorità legittima, è la disobbedienza che macchia l’anima. Lo disse ai farisei: non è il formalismo, lavarsi le mani non era compreso nella legge di Dio, quindi ciò che entrava nella bocca senza quella cerimonia non macchiava. La legge dell’astinenza e del digiuno è della più alta importanza, è legge divino–ecclesiastica, è doppiamente santa. Due sono gli ostacoli che si frappongono all’osservanza del digiuno e dell’astinenza: affievolimento, tiepidezza dello spirito cristiano e il rispetto umano. Che è il rispetto umano? Si evita di mangiare di magro perché non si ha il coraggio di farlo in presenza d’altri. Da soli si mangerebbe il magro, si digiunerebbe, in pubblico c’è la debolezza, c’è il rispetto umano. Le legge dell’astinenza ci offre l’occasione di affermare la nostra fede, perché ci accompagna dovunque: in viaggio, all’albergo, in famiglia (Scr. 111,54).
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I benefici del digiuno e dell’astinenza: quali sono? In poche battute, in poche parole: l’astinenza e il digiuno sono un mezzo potente per placare la collera di Dio, espiare il peccato e ripararlo. Ninive. Reprimono le passioni e prevengono il peccato diminuendo, smorzando il fuoco della concupiscenza che arde nelle nostre membra. Le passioni del senso, della carne, sono il nostro primo nemico: domata la carne, anche gli altri nemici se ne stanno quieti (Scr. 111,55).
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Il digiuno non abbrevia la vita a meno che si tratti di una costituzione debole, allora la Chiesa mitiga e addolcisce la disciplina. Non è il digiuno né l’astinenza che rovinano la sanità. Sapete che cosa rovina la salute? Sono i piaceri disonesti che impoveriscono il sangue, uccidono le stirpi, moltiplicano i tubercolotici, è l’abuso dell’alcool, è ciò che eccita i nervi giovanili e li smidollano nei balli, anche di quaresima, nelle serate, nei teatri... nei cines con varietà licenziose. I Trappisti e i Cistercensi fanno Quaresima e mangiano di magro tutto l’anno eppure vivono lungamente. Leone XIII. I nostri vecchi digiunavano, facevano magro tutta la Quaresima, eppure godevano di una grande robustezza. Il digiuno e l’astinenza favoriscono la salute e la virtù (Scr. 111,56).
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Oggi, primo venerdì di Quaresima, la Santa Chiesa, sempre Madre Benigna, cerca tutti i mezzi per aiutare i suoi figli e per questo ha tolti tutti i digiuni e le astinenze, solite a praticarsi in questo tempo. Così oggi, primo Venerdì di Quaresima, per i Cristiani – non parlo delle comunità religiose che seguono le loro regole e costituzioni, ma per tutti i fedeli – non è giorno di digiuno e di magro come per il passato, ma possono mangiare cibi di grasso. Quelli che accusano la Chiesa di essere troppo stretta, gretta, non ne conoscono la larghezza materna, spinta sin quasi all’eccesso, pare a me, con la quale provvede al bene dei suoi figli. Come Madre tenerissima del benessere dei suoi figlioli, prevede tutto quanto potrebbe nuocere ad essi. Il Signore visita il suo popolo con il terribile flagello della guerra e la Chiesa, Madre amorosa, cerca di sollevare e aiutare i suoi figli togliendo loro ogni obbligo di astinenza e di digiuno. Però noi cristiani, e anche le Comunità religiose, se possiamo servirci di queste benigne concessioni, dobbiamo unirci più strettamente allo spirito della Chiesa, che è spirito di Dio, spirito di ritiro, di mortificazione, di penitenza e in questi giorni far qualcosa di più e di meglio, per placare Dio giustamente sdegnato contro di noi (Par. I,123).
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Che cosa vuole da me, da voi, da tutti i fedeli, la Chiesa? Vuole che consacriamo questo periodo di tempo alla orazione e alla penitenza e al digiuno quaresimale e all’astinenza dalla carne. La Quaresima incomincia con l’imposizione delle ceneri per ricordare all’uomo che è polvere e che in polvere ritornerà. Se noi non vedessimo che i cadaveri si vanno decomponendo, nessuno ci crederebbe, anche per amor proprio. Ma la Chiesa ce lo ricorda e quando dice: «ricorda o uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai», parla del nostro corpo, di questo cartoccio. O uomo, deponi la tua superbia e l’orgoglio; pensa bene quanta miseria racchiudi in te! Siamo polvere! (Par. VI,33).
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Con molta sapienza la Chiesa ha istituito la mortificazione, i digiuni e le astinenze della quaresima; con occhio spirituale e con spirito lungimirante la Chiesa, quale buona madre, ha istituito queste penitenze. Vi esorto a raccomandarvi a Maria Santissima, a mortificarvi, a pregare. Vi metto in guardia; vi raccomando di pregare e vi raccomando tanto e tanto di mortificarvi e di studiare; e con la pratica dello studio disciplinate lo spirito e mortificate le passioni (Par. VI,95).
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Domani non c’è l’obbligo di astinenza. Guai però se il religioso sta alle cose di obbligo! Vi esorto quindi e vi consiglio tutti a fare qualche cosa che vi disponga lo spirito alla celebrazione della festa dell’Immacolata: o digiunare o astenersi da qualche cosa che sia di mortificazione del nostro orgoglio e delle nostre passioni e insieme possa essere un omaggio gradito alla Vergine Santissima. La mortificazione è uno dei mezzi migliori, più efficaci per prepararsi a celebrare le feste della Madonna (Par. VII,126).
Vedi anche: Digiuno, Gola, Mortificazione.
Automobile
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Con tutte le troppe automobili, che spesso corrono all’impazzata, capitano ogni giorno incidenti dolorosi e disgrazie. Io ieri volevo comprare per £. 6.000 un’automobile, che dicono possa valerne 60.000, ma ora voglio andare adagio. Pare che ieri a Belluno sia successo qualche cosa all’automobile del Presidente Comm. Spandri e con lui pare ci fosse anche il Conte Bianchini. Mi telegrafa così Piccardo, dicendomi che seguiranno notizie. Pare ci sia qualche disgrazia: forse feriti gravi o chi lo sa? Che fossero sulla stessa automobile? Basta: preghiamo e che la Madonna SS.ma conforti tutti! (Scr. 16,144).
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Qui mi hanno regalato una bella automobile. Deo gratias! È troppo appariscente: la farò modificare e servirà per i nostri; ne abbiamo parecchie, ma molto andanti (Scr. 19,77).
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Ai fini della carità la Divina Provvidenza mi ha mandata un’automobile, di cui mi valgo per la cerca del rame rotto; dopo la festa della Madonna della Guardia, la vado ad impegnare al Monte di Pietà (Scr. 37,8).
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Ieri fu un vero miracolo che non rimanessi sotto un’automobile: mi voglia aiutare a ringraziare la SS.ma Vergine (Scr. 47,202).
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A tutte le automobili, che verranno a Sant’Alberto domenica, Don Orione darà la benedizione per la incolumità personale automobilistica, invocherà cioè da Dio, per la speciale intercessione di Sant’Alberto, che siano salvaguardati dai pericoli quelli che usano del moderno rapido mezzo di trasporto che è l’automobile (Scr. 52,252).
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Il Molto Rev.do sig. Parroco di Lungavilla, sig. Teol. Don Vittorio Carrera, mi aveva visto un po’ sciancato e stanco, quando ero stato a Lungavilla per la questua del rame. Onde ne sentì pietà, e mosso da Dio e da quel suo gran cuore volle, con gesto munifico, donare e consacrare la sua bella e forte automobile agli alti fini di un più vasto apostolato di fede e di carità. E risparmiarmi anche tempo, fatica e non pochi quattrini, ce ne ho già così pochi! Di questa auto e dell’insigne Benefattore vorrò parlarvene altra volta e più ampiamente, ma non volevo tardare a darvene notizia certo, come sono, che essa farà piacere a quanti ci vogliono veramente bene e che non si scandalizzano di vederci adoprare i mezzi più celeri per svolgere un più gran bene, tanto più quando è la Provvidenza che ci viene incontro. Detta macchina servirà solo a scopi di propaganda religiosa, di beneficenza e di carità e sarà l’automobile della Divina Provvidenza (Scr. 91,190–191).
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Quest’oggi avete assistito alla benedizione dell’automobile che servirà a scopo di bene. L’automobile è un gran vantaggio. Io ho invocato la benedizione sopra la macchina; voi pregate che si allontanino le disgrazie. Un Chierico tiene in mano sua la vita dei suoi Superiori. Pregate per chi l’ha regalata, perché anche l’auto servirà a far molto bene (Par. IV,403).
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Si comincerà subito l’Istituto per le Signore decadute di Genova, fatto bene. Ogni signora avrà una bella camera e avrà un’altra stanza, oltre la camera. Chi vorrà mangiare insieme nel refettorio comune avrà il refettorio comune; chi invece preferisce mangiare privatamente pure ne avrà il modo. Spero che il Signore mi aiuterà a mettere a disposizione delle Signore una macchina, così se hanno bisogno di andare a Genova vi possono andare in macchina e sentiranno di essere ancora qualche cosa e darò loro l’auto della Divina Provvidenza. E stiano sicure che la Divina Provvidenza darà il modo di pagare la benzina (Par. IX,288).
Vedi anche: Viaggi.
Azione cattolica
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Salveremo tanta povera gioventù femminile, che cresce troppo libera; bisogna fare molta istruzione religiosa, questa è la base granitica dell’azione cattolica e sarà quella che manterrà nel timor di Dio e cristiane le future madri di famiglia (Scr. 31,163).
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Questa povera Opera è nata in casa vostra, è la figlia primogenita del vostro episcopato, come quel benedetto oratorio festivo di nove anni fa fu nella diocesi il primo germogliare di un’azione cattolica più viva e più fresca e più decisamente papale (Scr. 45,24).
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Noi non taceremo! Non tollereremo un’azione cattolica leggera, uomini e idee di cui domani dovremo vergognarci. Vedete quello che ci è capitato fin qui. Certi propagandisti dell’idea democratica cristiana che furono tra noi, l’anima di tutto il movimento, si ha fin vergogna oggi di nominarli: certi duci dell’azione cattolica e Direttori del Popolo, si ha pure quasi vergogna di nominarli. A difesa della Chiesa e a salute del popolo, spezzeremo la penna prima di deporla: noi non taceremo. L’affetto al Papa è nei nostri paesi schietto e profondo, ma appunto per questo via i mezzi termini e le mezze misure: non vogliamo dei tentenna con tendenze modernistiche, non vogliamo più oltre il confusionismo delle idee, non vogliamo che si tradiscano i nostri sentimenti cattolici! (Scr. 53,15).
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Il mondo, deridendoci, farà il suo mestiere, noi, pregando, compiremo il dover nostro, ci fortificheremo nell’animo, ci formeremo ad una azione cattolica vera e duratura e affretteremo il giorno della ristorazione cristiana e della pace (Scr. 53,76).
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L’azione cattolica è la milizia dei laici a servizio della Chiesa e in aiuto del Clero per far rifiorire la vita parrocchiale. Pensate di quanta efficacia. «Militia vita hominis super terram», la vita è pugna (Scr. 56,58).
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Sono con voi in una adesione piena e perfetta, di mente, di cuore, di azione cattolica con voi nel compatire le pene e nell’affetto al detenuto. I sacerdoti offerenti sanno di essere nulla, di essere gli ultimi, gli infimi tra i soldati dell’azione cattolica, ma con la loro offerta intendono implorare dal Signore la grazia e la forza di fare e di patire anch’essi qualche cosa per la santa causa del Papa, di cui Albertario è strenuo campione! (Scr. 59,189).
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Cristo non avrà, lui, la sua falange sacra che, nel sacrificio continuato d’una vita immacolata e d’un lavoro assiduo, preghi e sia come una gran voce di amore a Gesù, che lo plachi e implori la vittoria sui campioni dell’azione cattolica in mezzo alla società e affretti la conversione dei peccatori, l’unione dei poveri fratelli separati e il trionfo della Chiesa e del pontificato? Oh sì, ci deve pur essere (Scr. 61,17).
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Azione, o amici, azione cattolica, sì e come la vuole il Papa, come la vogliono i Vescovi: amore a Dio, alla Chiesa, zelo, preghiera, alacrità nel fare il bene, a santificazione nostra e a salvezza dei fratelli. Sono nuovi tempi? Via i timori e non esitiamo: moviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana, intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei Vescovi, con fede ferma, ma con criteri e spirito largo. Niente spirito triste, niente spirito chiuso: sempre a cuore aperto, in spirito di umiltà, di bontà, di letizia (Scr. 62,92).
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Gli uomini di azione cattolica hanno una loro funzione da compiere, una funzione che è una missione, che è un sacrosanto dovere, se pur non è già, per la vostra Argentina, un’urgente necessità. Essi devono far opera di cristiana penetrazione della classe operaia; essi devono andare al popolo, mettersi a servizio del popolo, con quanto hanno di fede e di timore di Dio, con quanto hanno di forza morale, di cultura intellettuale, di prestigio sociale, d’efficacia nell’opera. Bisogna salvare il popolo! (Scr. 72,11).
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Uomini di azione Cattolica, il Santo Padre Pio XI ha fatto di voi un organismo, una istituzione; gli Ecc.mi Vescovi vi hanno tracciato un programma: voi dovete sostenere il Clero; Voi siete chiamati dall’augusta parola del Vicario di Cristo a collaborare all’apostolato stesso della Chiesa per la difesa della fede e del buon costume, per la diffusione dei principii religiosi, per lo svolgimento di una sana e benefica azione sociale cristiana. Voi, i chiamati a collaborare con il Clero, per la restaurazione cristiana della famiglia e della società. E molto da Voi e la Chiesa e la Patria aspettano! (Scr. 72,13).
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Abbiate il coraggio del bene e dell’educazione cattolica italiana che vi abbiamo dato. Perdonate sempre, amate tutti: siate umili, laboriosi, retti, franchi e leali in tutto; di fede, di virtù, di onestà ha estremo bisogno il mondo (Scr. 81,126).
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Un soffio più gagliardo di fede e di azione cattolica chiami i popoli ai piedi di Gesù Sacramentato, corra dalle balze dei nostri Appennini alle sponde del Po e ci unisca in una massa sola, in una lega cristiana di resistenza e di salute popolare. O Gesù, o dolce e forte Gesù, noi veniamo a te, perché tu sei la nostra speranza e la nostra fortezza, trionfa sulla rivoluzione politica e sulla rivoluzione sociale; o Signore, tu puoi bene salvarci e darci forza di salvare i fratelli, piantando il vessillo del tuo regno sulle rovine dell’una e dell’altra. Adveniat regnum tuum! (Scr. 94,176).
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Azione Cattolica. Che cosa è? L’aiuto, la cooperazione che prestano i secolari, i borghesi, i civili alla Gerarchia Ecclesiastica nell’esercizio dell’apostolato. L’Azione Cattolica è nata con la Chiesa. Recentemente ha assunto nuove forme secondo i bisogni e le necessità dei tempi presenti e dei diversi luoghi. È azione organizzata dei cattolici per la maggiore santificazione, sotto la direzione della Gerarchia, aiutando validamente, efficacemente a dilatare nelle nazioni diverse il Regno di Cristo. Il fine dell’Azione Cattolica è il fine stesso della Chiesa: Instaurare omnia in Cristo. L’Azione Cattolica non fa politica, non deve, come Azione Cattolica, intromettersi nei partiti e deve essere aliena dalle divisioni dei partiti; ma con questo non si nega affatto ai cattolici che intervengono en los assuntos pubblicos: essi devono anzi procurare con tutte le loro forze che la vita della Nazione sia avviata dai principi cristiani di fede e zelo, vincolando, con gli interessi della Chiesa, quelli della società domestica e civile ed a questo fine praticare i precetti della religione cattolica, che sono sostegno e fondamento del bene pubblico (Scr. 95,185–186).
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Un tempo la Chiesa necessitava di chierici, oggi necessita di chierici, ma anche di giovani e uomini di azione cattolica che coadiuvano il clero. La lotta tra il bene e il male nel mondo si è fatta più insidiosa e più forte, occorre prima la preghiera, poi un lavoro alquanto diverso dal passato, una più larga visione dei bisogni del tempo, più attività, più sagacia, uno spirito nuovo o, almeno, nuova tattica più rispondente a fronteggiare i mali, una più adatta, più agguerrita milizia (Scr. 104,267).
Vedi anche: Chiesa, Concordato (Stato–Chiesa), Cristianesimo, Società San Vincenzo de’ Paoli.
Ballo
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Come acquisto di convenienza non c’è, c’è, invece, se si tratta di fare un’opera buona in sé e poi di salvare il Castello e il tempio votivo; impedire che, oltre al male morale che già con quei divertimenti e balli notturni si fa a Tortona al popolo, proprio sul Castello, si pianti una bisca e casinò o peggio per il ceto professionale e civile (Scr. 17,185).
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Guai se avremo sempre un fare e una faccia da quaresima! No, no, voglio star allegro e ballare in Domino anche in quaresima! Se saremo tristi, come faremo la felicità di chi sta con noi? Noi dobbiamo irradiare la gioia, la letizia di Dio, la felicità di Dio: far sentire che servire e amare Dio è vita, è calore, è ardore, è vivere sempre allegramente e che solo i servi di Dio sentono la pace gioiosa e il bene e la gioia santa della vita. Niente cappa di piombo, né su di noi né su chi sta con noi! Cantate! Suonate! Letiziatevi in Domino!, riempite la Casa di soave festosità. Servite Domino in laetitia! «Scrupoli e Malinconia via da Casa mia», diceva San Filippo. Io voglio ballare, cantare, suonare anche da morto (Scr. 21,179).
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Al circolo sociale di Cuneo rispondi che sei grato della loro beneficenza a favore della Colonia, sempreché, come non ne dubiti, i loro divertimenti non disdicano ai principi della morale cristiana, come se si trattasse di certi balli notturni o troppo liberi, etc. (Scr. 28,214).
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Caro Padre, oggi ho una gran voglia di ballare: ci sarà il ballo in Paradiso? Se ci sono suoni, ci sarà anche il ballo: io voglio cantare sempre e ballare sempre. Caso mai, il Signore mi farà un reparto speciale per non disturbare troppo i contemplativi. Sono contento perché in Paradiso sarà sempre festa: e, nelle feste, c’è sempre allegria, canti, balli, in Domino e festosità. Io voglio tenere tutti allegri: cantare e ballare sempre: voglio essere il santo dei balli, dei canti e dell’allegria in Domino (Scr. 37,171).
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Egregio e veneratissimo sig. don Bettini, ieri Mons. Vescovo mi ha detto di comunicarle che le dà facoltà di assolvere dal peccato del ballo fino alla III domenica di gennaio inclusive (Scr. 44,233).
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Mi ero pure dimenticato dirle che ci giunse una lettera del Salice, il quale «nella sua qualità di Presidente del Comitato cittadino dei Balli di beneficenza, dice che ha messo a disposizione dei miei orfani £. 1.000. La lettera giunse al Direttore dell’Istituto che ero fuori Tortona e c’era subito chi voleva rispondere con una forma forse un po’ forte. Ho dato disposizioni che non si ritirasse affatto detta somma, ma che anche non si rispondesse, per ora, riserbandomi di farlo possibilmente io a voce, Se verrò per Pasqua, magari nell’andare a fare al sindaco gli auguri pasquali, gli dirò i motivi per cui ritengo non si debba accettare. Questa gaffe, Carbone non l’avrebbe fatta come non avrebbe fatta quella di togliere il sussidio al liceo e Istituto tecnico, per poi offrire £. 1.000 frutto di balli. Però i secolari non sempre ci arrivano, e sono da compatire. Quando poi, in bel modo, si accenna a qualche nostra buona ragione, se sono anime nobili, si può ancora far loro del bene (Scr. 59,134).
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E così il mondo, benché sì crudele, che vi esorta alla fatica, al peso, tuttavia è più obbedito che Dio, e lasciate il Signore per andare alle fiere, ai balli, ai bagordi: e non sapete staccare il cuore e le mani dalla terra, da quella terra in cui marcirete un giorno (Scr. 76,244).
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Ah, ha ben ragione il Signore: «proiciam in faciem vestram stercum solemnitatum vestrarum»! Non solo le sue feste, sono feste del demonio: non all’ozio, non al ventre, alle dissolutezze, ai giochi, ai balli, alle disonestà, ma la festa a Dio, Vostro Creatore, Vostro Salvatore, Vostro Padre! (Scr. 83,243).
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Sono i piaceri disonesti che impoveriscono il sangue, uccidono le stirpi, moltiplicano i tubercolotici, è l’abuso dell’alcool, è ciò che eccita i nervi giovanili e li smidollano nei balli, anche di quaresima, nelle serate, nei teatri... nei cines con varietà licenziose (Scr. 111,56).
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Anche qui, in questa stanza, ove ora regna Gesù, si riunivano i Socialisti a complottare contro la religione, si divertivano, bestemmiavano e ballavano tutta notte. Il Canonico Ratti ricorda di aver visto, passando il mattino per andare a celebrare la Santa Messa, uscire di qui le persone che avevano passato la notte in chiassi e balli. Come se questo non bastasse, un cattivo prete di qui ha dato scandalo, ha apostatato: insomma, chi in un modo, chi in un altro, tutti hanno lavorato a distruggere il bene che si era fatto ed ecco perché oggi San Bernardino è il sito peggiore di Tortona, il quartiere della teppa! (Par. I,62).
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Quando dovete dare qualche spettacolo state attente nello scegliere quello che date, evitate certi balli, certi giochi dove ci sono movenze mondane, poco castigate. Meglio poco, ma che non ci sia nulla su cui l’anima più casta abbia a ridire. E questo vi dico perché in questi giorni avendo in una casa data una rappresentazione e il superiore si trovava presente, è stato disgustato e anzi voleva alzarsi e andarsene e alle suore non ha dato neppure la benedizione; e questo perché desidera che nelle nostre case si dia un’importa cristiana (Par. II,194).
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Al tempo di Monsignor Bandi fui invitato a San Ponzo; si credeva poi che vi fossi andato. Vi era la proibizione di cantar Messa e di celebrare la festa con solennità, perché vi era il ballo e allora, credendo che ci fossi andato io, mandarono la sospensione a divinis per tre giorni; e se l’ebbe Don Sterpi perché, essendo stanco, avevo mandato lui. Ma Don Sterpi non cantò Messa; la disse privata, di maniera che non gli sarebbe toccata la sospensione. Quando seppero che io non c’ero andato, si morsero le labbra, perché è il sottoscritto che volevano colpire (Par. VI,65).
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Una predicazione la feci a Volpara per la festa patronale che è la Madonna Addolorata alla III Domenica di settembre. Lo spunto della predica era la frase scritturale: «gemitus matris tuae ne obliviscaris». Mi ricordo che il Parroco mi diede la stola di Don Mejninger, prete tortonese di grande carità e troppo presto dimenticato, al quale è dedicato l’Orfanotrofio delle Suore di San Vincenzo e mi regalò anche un teschio con il quale predicavo, mettendomelo sul pulpito. Questa stola deve esserci ancora e anche il teschio. Ricordo che, essendo la festa patronale piantarono il ballo pubblico a poca distanza dal cimitero. Ed io cominciai la mia predica con queste parole: dal ballo al cimitero breve è il passo e ogni tanto nella predica ritornavo a ripetere: dal ballo al cimitero breve è il passo. Anzi alla fine poi della predica, dissi al popolo: Ripetete con me: Dal ballo al cimitero breve è il passo... Il ballo si tenne ugualmente, ma di giovanotti e di figliuole della Volpara non ne sono andati. Andarono invece a ballare dai paesi vicini. Avvenne che proprio sul principio del ballo una signorina svenne e morì poco dopo. Io mi credevo di aver fatto delle belle prediche, ma questo fatto è valso più di tutte le mie prediche (Par. IX,290–291).
Vedi anche: Divertimenti, Musica.
Banda musicale
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Ti raccomando vivamente la iniziativa e ti sarò grato del tuo contributo, perché questi nostri bravi Chierici possano costituire la Banda Musicale Madonna della Guardia. Essi poi, quando saranno mandati nelle diverse nostre Case, si faranno iniziatori tra i nostri alunni di fanfare o di musiche strumentali, il che sarà tanto utile a tener viva la esistenza e a rendere sempre più frequentati i nostri Oratori festivi (Scr. 8,228).
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Eccetto quella del reggimento, la città di Tortona non ha banda; una volta noi avevamo una fanfara e faceva furore. Tu hai gli strumenti: a Sanremo non se ne farà mai niente: mandami tutto qui e pianterò a Tortona la banda; servirà a tirar gente al santuario: in certi pomeriggi festivi daremo concerto a San Bernardino: faremo del bene. I barbari di San Bernardino daranno a Tortona anche la banda. Non ti rincresca: in tre mesi la mettiamo in piedi da potersi presentare non male (Scr. 26,115).
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Desidero proprio che si possa costituire in Tortona la banda musicale Madonna della Guardia tutta formata di chierici e aspiranti. Quando poi essi si spargeranno per le diverse nostre case, ecco che daranno vita a fanfare o a musiche, il che gioverà molto allo sviluppo e vita prospera delle nostre opere, specie degli oratori festivi che tanto raccomando (Scr. 26,120).
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Tortona non ha una banda musicale, sarà bello se, domani, vi sarà la Banda della Madonna della Guardia, composta tutta di preti, unica, forse, in Italia. Quando poi i nostri chierici si spargeranno per le diverse case daranno vita e sviluppo a fanfare o a musiche, con grande vantaggio specie degli oratori festivi, tanto necessari e che tanto ti raccomando (Scr. 32,187).
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Domenica mattina, I agosto, la piccola Fanfara del mio Collegio dovrebbe prender parte ad una festa religiosa–educativa che si farà nel sobborgo di San Bernardino in occasione della visita Pastorale di Mons. Vescovo. Egli conferirà la cresima ai fanciulli e presenzierà anche al primo saggio che daranno i bambini dell’asilo infantile, aperto da poco tempo in quel sobborgo, onde agevolare la classe operaia. A sostenere un po’ la nostra Fanfara mi occorrerebbero tre militari, dei quali darà il nome il sig. maestro Marchesini. Essi potranno vestire in borghese ed io, mentre procurerò loro gli abiti, penserei anche ad un modesto compenso (Scr. 40,42).
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La “Fanfara Rossa” a Sale. Giovanetti dell’oratorio festivo di Tortona. Domenica 10 corr. la Fanfara Rossa fece una visita improvvisata a Sale, un gran borgo che s’incammina a diventar città, destando in tutta la popolazione un indescrivibile entusiasmo. I giovanetti dell’Oratorio Festivo di Tortona erano accompagnati dal Rev.do Prev. Milanese di San Michele. I Rev.mi Signori Arcipreti andarono a gara nel fare ai giovani musici la più cordiale accoglienza largheggiando con un trattamento veramente solenne. Parecchi dei maggiorenti vollero, con felicissima idea, che la “Leoniera” desse un po’ di concerto in piazza a maggior soddisfazione del popolo e il Sig. Sindaco offerse poi un vermout d’onore ai bravi musicisti (Scr. 66,258).
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Desidero che sabato a sera la fanfara in divisa vada a suonare nel cortiletto del Vescovo e che così inauguri la sua carriera. Combina bene tutto, e, occorrendo, Don Perduca faccia conoscere a Mons. Vescovo che quest’atto doveroso si fa, perché è dai piedi di Dio e con la benedizione del Vescovo, che vogliamo sempre cominciare (Scr. 74,86).
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Durante il giorno fu un accorrere continuo e spontaneo dei nostri giovani ai piedi del Sacramentato Gesù. La nostra fanfara allietò la ricreazione con marce brillanti e anche discretamente intonate. Era da alcuni anni che la fanfara taceva. E forse più d’uno avrà domenica pensato. A sera poi, invocando Maria SS.ma nell’incominciare il bel Mese di maggio a Lei dedicato, si chiuse questa cara solennità con la Benedizione del SS.mo Sacramento (Scr. 110,93).
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Ed ora passo alla banda musicale. Questa vi piacerà di più, no? Ebbene vi devo dire che cominciano ad arrivare le risposte alle richieste di strumenti che voi avete spedito giorni fa e che io ho raccomandato ai Direttori. Speriamo che la pesca possa essere copiosa. Anche il sapere adoperare questi strumenti sarà di aiuto poi, nell’intrattenere i ragazzi dei nostri Istituti e degli Oratori Festivi. Tutto serve al bene per chi lo fa servire al bene. La vostra banda sarà la prima al mondo nel suo genere. Chi sa che cosa dirà la gente al vedere i preti che soffiano nei tromboni e battono sodo nella grancassa! Ma deve proprio fare rumore solo il male? Deve farlo anche il bene, perbacco! Bene bene! Andate là, che anche questo farà del bene e, alla fine, tutti vi staranno a sentire. Cercheremo un’occasione di grande risonanza per farvi fare la prima uscita. Intanto preparatevi bene! (Par. VIII,135).
Vedi anche: Musica.
Bandiera
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Ricordo che il Cibrario, lo storico di Casa Savoia, dice che, quando i Savoia vollero dare alla loro casa una bandiera, scelsero il celeste, il colore del manto di Maria, ad esprimere la devozione specialissima dei Savoia alla Madonna. Infatti tutti i Savoia hanno anche il nome Maria. E la più alta decorazione che conferiscono esprime amore e venerazione a Maria: il gran collare della Annunciata. Il nostro tricolore è la bandiera della Nazione, ma la bandiera propria dei Savoia è sempre la celeste, come la vollero i loro antenati. Così gli argentini hanno voluto che i colori della bandiera nazionale fossero i colori della Purissima di Luján, bianco e celeste (Scr. 18,107).
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Coraggio! Opera e prega. Operare: parlando, scrivendo, santificando noi stessi, lavorando senza posa alla santificazione dei giovani in cui sta l’avvenire della patria e della società; sacrificandoci a salvezza di quanti, lontani o vicini, hanno da fare con noi, mantenendo sempre in ogni cosa e con tutti alta e spiegata la bandiera papalina (Scr. 59,198).
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Ho fatto il ginnasio dal Venerabile don Bosco e vi andai che il Venerabile ancora viveva. Ricordando come mai Egli abbia permesso che venisse esposta all’Oratorio di Maria Ausiliatrice la bandiera tricolore, benché nelle festività, per il Collegio ne sventolassero altre, ancor io, nel mio piccolo, nei Collegi tenuti dallo Istituto e a Tortona, dove nelle grandi feste si suole imbandierare la Casa con i vessilli di quasi tutte le nazioni conosciute, sormontati dalla Croce, non ho mai tollerato che ci fosse un tricolore, bandiera che nata dalla rivoluzione fu portata a recare oltraggio alla Santa Sede (Scr. 107,166).
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La bandiera della nostra Congregazione, croce rossa in campo bianco, la nostra bandiera esprime due virtù tanto care a Dio e al caro Santo don Bosco: la purezza e la carità, candore e sangue (Par. V,306).
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La bandiera dei Figli della Divina Provvidenza è bianca con una croce rossa in mezzo. Il bianco è simbolo della purezza, del candore. La croce è il nostro sangue. La nostra bandiera esprime le due virtù tanto care a Gesù Cristo e al Beato don Bosco: Purezza e sacrificio, candore e sangue. Vivere solo di purezza e dare il sangue, ecco l’ideale di chi vuol vivere sotto questa bandiera, di chi vuol praticare queste virtù (Par. V,324).
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Questa mattina vi ho benedetta e consegnata la bandiera e ora, non potendo abbracciare tutti voi, bacio la vostra bandiera! Questa bandiera, nei suoi tre colori, rappresenta la fede, la speranza e la carità. Il bianco dice il candore della fede, la speranza è espressa nel verde, nel rosso c’è l’ardore della carità. La croce poi rappresenta ciò che per me e per voi vi è di più caro: l’opera redentrice di Cristo. Ma non solo la bandiera ha questi significati; nei suoi colori rappresenta quell’altro grande, sacro amore del cuore umano: l’amor di patria. Non bisogna mai disgiungere l’amore a Dio e alla Chiesa dall’amore alla Patria! Io vidi questa bandiera issata su di una nave che porta il nome di un grande tortonese, Carlo Mirabello, passando per lo stretto di Gibilterra, ed era la prima nave italiana che incontravo, ed era là a difendere i diritti della civiltà cristiana. Io la vidi, questa bandiera, alzarsi su masse di operai che, in altre epoche andavano a cercare in terra straniera il pane per sé e per la propria famiglia. Amiamo questa bandiera! Teniamo vivi i sacri amori, rappresentati da questa bandiera; i sentimenti cristiani, i sentimenti di fede, di patria, a cui foste educati (Par. VII,76).
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Oggi avete donato le bandiere e siete venute, o buone Benefattrici, a fare da madrine al tricolore italiano che sventola non solamente sulle nostre Case d’Italia, ma sventola a lato della Croce, su tutte le plaghe, in tutte le nazioni dove vi è un Figlio della Divina Provvidenza. Lasciate che io, dai piedi di questa Madonna che è la vostra Madonna e che troneggia in questo Tempio, io vi dica tutta la mia gratitudine profonda, io vi ringrazi, o miei cari Benefattori di Genova (Par. VIII,247).
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Nessuno ha affrontato per vent’anni il periodo di aver chiusa la casa della Provvidenza come io, che non ho mai messo fuori la bandiera italiana e mettevo fuori le bandierette di tutte le nazioni. Sono cambiati i tempi. Ogni casa abbia il tricolore, anche i Seminari. Ogni Casa abbia il quadro del Papa, del Re e del Capo del Governo. Quello che dico per le autorità dello Stato, dico anche per gli enti parastatali (Riun. 4 agosto 1934).
Vedi anche: Patria.
Battesimo
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Chi vive vita di fede è come partecipe della natura divina, secondo la espressione di San Pietro: «Divinae consortes naturae». Oh, figlio mio, quanto noi dobbiamo esser grati a Dio che, nel Battesimo, ha infuso in noi i germi di questa vita, più angelica che umana! (Scr. 31,215).
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La vera rigenerazione che oggi, con l’acqua stessa del Giordano, Gesù Cristo ha operato in te nel Battesimo, ti faccia cristiano sempre più santo e più forte nella fede e nella virtù: ardente di amore per Dio, alla tua famiglia, al tuo prossimo: degno della grande e gloriosa tua Argentina (Scr. 42,129).
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Mi è di ineffabile consolazione nel Signore risponderle dall’Oceano, oggi, che è il dì del mio Battesimo e mentre il vapore sta attraversando oggi la linea dell’Equatore, che vorrebbe essere linea di divisione come di emisferi e così di continenti e di popoli, io a gloria di Dio confesso che invece mi sento portato dalla carità di nostro Signore Gesù Cristo ad abbracciare spiritualmente da questo punto – come sacerdote di Cristo – tutti i popoli e tutte le genti in Dio (Scr. 51,239).
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Ieri era l’anniversario della mia nascita, oggi, festa di San Giovanni Battista, è il giorno benedetto del mio battesimo, onde mi fu dato il nome di Giovanni. Con il santo battesimo ebbi la vera rigenerazione, operatasi in me da Cristo, per divina misericordia, ed ho ricevuto il dono inestimabile della Fede. Sono ormai 65 anni e benediciamone il Signore! (Lett. II,454).
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Del segno della Croce si vale la Chiesa per infondere in noi la grazia di Dio. Quando siamo stati battezzati si è fatto il segno di Croce aspergendo la nostra fronte dell’acqua battesimale e si sono pronunciate le parole: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo». E così nell’amministrazione degli altri Sacramenti si fa il segno di Croce (Par. III,11).
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Voi sapete, o miei figli spirituali, che quando siamo stati portati al Fonte del Santo Battesimo, i nostri padrini, in vece nostra, hanno fatto delle promesse, delle promesse sante, delle rinunce a tutto ciò che è vano e offesa di Dio, a tutto ciò che è terra, che è mondo, a tutto ciò che è nemico mortale di Dio, cioè il demonio. E una volta all’anno, la Chiesa invita i suoi figli a rinnovare quei voti e quelle promesse, a ripetere le rinunce fatte dai padrini in nome nostro nel Battesimo (Par. IX,511).
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Stasera rinnoveremo le sante promesse del battesimo: quelle promesse che comunemente si dicono voti battesimali. Dopo le due parole che sto per dirvi, prostrati davanti a Gesù esposto solennemente sull’altare, rinnoveremo la nostra consacrazione a Dio, unitamente alle promesse del Santo Battesimo. E questo vuol essere, più che una cerimonia, un atto sentito di fede e di consacrazione a Dio: non una cerimonia comune. Quindi è lo spirito e il cuore che devono parlare. Dobbiamo fare direttamente le nostre promesse che i nostri padrini, in nome nostro e per noi, hanno fatto (Par. X,1).
Vedi anche: Grazia (di Dio), Sacramenti.
Bene
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Coraggio, facciamo del bene nel nome di Dio e pensiamo che questi poveri fanciulli del recente terremoto siano la stessa persona di Gesù Cristo Signor Nostro (Scr. 4,75).
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È necessario essere forti e costanti nel fare il bene e fare quello che si può e il resto star tranquilli che lo fa la mano del Signore. Che siamo mai noi? (Scr. 4,148).
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Sopra tutto, o miei cari fratelli Sacerdoti, vediamo di fare del bene a questi fratelli, usando modi pieni di affetto in Gesù Cristo e di carità, dando ogni buon esempio e curandoci della loro anima e profitto spirituale; non lasciandoci mai portare da passione né trattandoli mai dall’alto in basso, come si fa nel mondo (Scr. 4,185).
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Nel Libro della Sapienza sta scritto: «Operiamo il bene, mentre siamo in tempo». E tutto questo, o miei figliuoli, che vi esorto di fare, non vogliate farlo per timore servile, né per timore dei castighi di Dio e dell’inferno, ma per l’amore di Dio e per affetto di carità (Scr. 4,264).
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Negli uomini e dagli uomini (anche religiosi) accontentiamoci del bene, o anche del meno male, e non pretendiamo mai l’ottimo. Quando si trova l’ottimo benediciamone più volte il dì il Signore. Cerchiamo noi di amare il Signore e di dare, quanto più si può, buon esempio di pietà, di carità, di lavoro, di umiltà, di sacrificio e andiamo avanti e tiriamo avanti, cercando di salvare anime, di salvare anime: di fare del bene e di non perderci in ciò che può fossilizzarci nelle vie del Signore e che ci fa piccoli e freddi nel cuore (Scr. 4,286).
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Domanda l’ottimo, ma accontentati del bene: ottenere la libertà di far del bene, non cercare altro che Dio e le anime (Scr. 5,527).
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Vi esorto al bene e ad un sempre maggior fervore di vita di carità e unione fraterna, ad un sempre maggior fervore di pietà e di vita veramente religiosa: io sarò consolato dal ricevere vostre buone notizie, dal sapere le opere della vostra fede e la vostra fiducia nella Divina Provvidenza e la fermezza della vostra vocazione in mezzo alle prove quotidiane di codesta vita e alle afflizioni dello spirito. Il Signore vi faccia abbondare e sovrabbondare in carità fraterna, nel compatirvi e aiutarvi l’un l’altro per l’amore di Gesù (Scr. 5,535).
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Stiamo tranquilli nelle mani di Dio e sia tutto come Dio dispone: basta andare in Paradiso, tutto il resto che vale? Amiamo e serviamo il Signore e la Santa Chiesa e facciamo del bene sempre a tutti e avanti! (Scr. 5,538).
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Non ti perdere di coraggio: il bene costa fatica e non bisogna pretendere di convertire il mondo in sei giorni o in un anno. Penetriamo poco per volta, lavoriamo e preghiamo e poi Dio benedirà (Scr. 6,163).
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Non stanchiamoci di amare il Signore, non stanchiamoci di vivere bene, in umiltà, in carità fraterna, non stanchiamoci di fare il bene: Dio sarà con noi! (Scr. 8,199).
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Preghiamo e facciamo tutto quel bene che possiamo per le nostre anime e per le altrui e lavorare per la Chiesa e poi amen (Scr. 13,49).
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Vedete un po’ che non ci sia dell’esagerazione e non sia messo su da qualche sacerdote. Accontentiamoci del bene se non si può ottenere l’ottimo: accontentiamoci del meno male, se non si può fare il bene (Scr. 15,91).
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Vedete di vincere il male con il bene, di usare molta carità e fermezza: fate qualunque sacrificio per amore di Dio e della Vergine SS.ma per fare loro del bene (Scr. 20,2).
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Il Signore, o mio caro figliolo, vi ha messo lì a fare tanto tanto bene. Non lasciatevi sconfortare dalle difficoltà, il bene costa fatica e la santificazione costa fatica! Ma la SS.ma Vergine vi conforti e vi sostenga! Dio, ricordate, vi pagherà di ogni po’ di bene fatto agli orfanelli come se lo avessimo fatto a Lui! State dunque sempre lieto in Domino: è questo un modo di fare più bene e molto bene agli orfanelli e a quanti ci circondano (Scr. 20,29).
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Il giovane, diceva Lacordaire, è sempre di chi lo illumina e di chi lo ama. Ed è così. Il giovane ha bisogno di persuadersi che siamo interessati a fargli del bene e che viviamo non per noi, ma per lui, che gli vogliamo bene sinceramente e non per interesse, ma perché questa è la nostra vita e perché lui è tanta parte della nostra stessa vita e il suo bene costituisce la nostra missione ed è il nostro intento e affetto in Cristo. Egli deve comprendere che viviamo per lui: che il suo bene è il nostro bene, che le sue gioie sono le nostre gioie e le sue pene, i suoi dolori sono pene nostre e nostri sono i suoi dolori. Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui dei sacrifici e a veramente sacrificarci per la sua felicità e per la sua salvezza (Scr. 20,91).
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Ricordiamoci che, benché l’inclinazione naturale ci porti a restringerci, nel fare il bene, alla nostra patria, tuttavia il principio evangelico della beneficenza e della carità universale è quello solo che, diffuso e predicato, può apportare una vera pace al mondo e, insieme con la pace, tutti i beni. Noi amiamo la nostra patria, ma tutto il mondo è patria per il figlio della Provvidenza che ha per patria il Cielo (Scr. 20,95).
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Nostra politica è fare del bene a tutti, ai buoni e ai cattivi, come il Signore che fa piovere la luce del sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Siano rossi o siano bianchi, siano credenti o siano miscredenti, noi non cerchiamo la fede politica e neanche la fede di nascita; noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che, se una preferenza la dovremo dare, la daremo a quelli che ci sembrano più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti (Scr. 20,96).
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Sopporta con pazienza le pene e le sollecitudini annesse al tuo posto. Abbi vigilanza e pazienza con i tuoi confratelli; amali come tuoi fratelli e fa’ del bene alla loro anima. Fa’ che essi capiscano che tu li ami nel Signore e che vuoi il loro vero bene: fa’ che si sentano confortati dal tuo cuore. Nostro Signore premia le fatiche del superiore, anche quando esse non ottengono né presto né mai il frutto desiderato (Scr. 23,24).
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Fare il bene e la carità ad un fratello, per amore del Signore, uni ex minimis, è fare la carità al Signore: mihi fecistis! Ah, nel parlarvi dell’amore che dobbiamo portare nell’educare per la Santa Chiesa e per la società i figli che il Signore ci manda mi sento una consolazione sì grande che, benché stanco per aver perduta la notte, non lascerei più di parlarvi (Scr. 25,6).
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Per rendere buono il giovane bisogna fargli conoscere la verità salutare confortata dalla grazia; fargli contemplare la bellezza del bene, della bontà, della virtù, della verità che conosce (Scr. 27,9).
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Tutto il bene che faremo al nostro prossimo, Gesù Cristo lo riguarderà come fatto a sé; e qualunque bene che facciamo al prossimo è un guadagno per l’anima nostra (Scr. 27,19).
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Esorto tutti in questo nuovo anno, nel quale la bontà di Dio ci ha concesso di entrare, a cercare davvero di amare Dio e di fare del bene a tutti, opere di umiltà, di mortificazione, di pietà, di unione di cuori nel Signore, di carità verso i poveri orfanelli. In fine della vita ci troveremo contenti e avremo il merito delle opere buone (Scr. 28,168).
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Mi dà molta soddisfazione sentire che lavori, che lavori a fare del bene: fa’ del bene a tutti, fa’ del bene sempre! Che tutti abbiano da piangere quando tu partirai (Scr. 29,143).
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Cerca sempre Dio in ogni cosa e tientilo davanti giorno e notte e cammina con il Signore sempre, ché in lui solo troverai ogni pace e ogni bene. Fa’ del bene a tutti più che potrai, per l’amore di Dio e per condurre le anime a lui. Fa’ tutte le tue cose con molta carità, se manca la carità tutto il resto vale nada (Scr. 29,152).
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Coraggio, o figlio mio, domani saremo in Paradiso: facciamo del bene, del bene sempre, del bene a tutti; viviamo portando e predicando con la nostra vita Gesù Cristo! Amiamo e serviamo la Chiesa, il Papa, i Vescovi (Scr. 29,159).
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Vi è un bene superlativo, ed è l’ottimo, vi è un bene comparativo ed è il meglio, vi è il bene semplice, ma positivo. E poi vi è anche un altro bene, che è il bene negativo, che molte volte è da preferirsi, date le circostanze, i tempi, gli uomini. E talora costa questo bene, costa anche più che l’altro bene, perché non è tenuto da tanti per bene, da molti è tenuto per male, da altri e per altri è motivo di scandalo e addirittura condannato, dai più è messo in sospetto, da alcuni poi è, segretamente, morso con dente acuto e velenoso. Chi sa portare per l’amore di Dio benedetto la croce che gli viene e le tribolazioni fraterne che il Signore permette a nostra purificazione e umiliazione da quest’ultima forma di bene, avrà pure scritto la sua opera buona in Cielo (Scr. 31,82).
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Preghiamo e aspiriamo solo a fare del bene e ad elevarci in Dio e nella sua bontà: a vivere una vita di umiltà senza bassezza, di dignità nella carità, spogli, possibilmente, del nostro amor proprio e da ogni orgoglio, più inclinati a compatire e ad interpretare sempre bene, che a giudicare severamente! Oh, quante volte ho trovato gli uomini migliori di quello che credevo! Quante prove di onestà in chi si ritiene disonesto: quanti giudizi ho dovuto correggere in bene, sulle qualità morali di persone che dapprima non ritenevo meritevoli della mia stima! (Scr. 41,246).
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Io ardo dal desiderio di fare del bene, con la grazia e l’assistenza del Signore! Facciamo del bene, facciamo del bene! Troveremo anche delle spine, ma il santo Paradiso pagherà tutto (Scr. 43,30).
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Che Dio ci aiuti a farne ancora del bene e a farne tanto! Seguendo lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli, cercheremo di assistere materialmente e moralmente i poveri, constatandone i più bisognosi e nascosti e dando alla carità il suo alto e illuminato compito sociale e cristiano (Scr. 45,118).
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Ella, nobile signora, veda di fare ancora e sempre del bene e, se anche ci fu del male, vinca il male con il bene, come ha fatto e ci ha insegnato Gesù; così saremo veri cristiani, cioè seguaci, in opere e verità, di Gesù Cristo (Scr. 47,264).
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Noi non siamo su questa terra per godere, ma per fare del bene: per amare e servire a Dio e al prossimo, per pregare, per lavorare, per patire e per meritarci il paradiso. Dobbiamo adunque tenere il cuore distaccato dalle cose terrene e prepararci per la eternità e per il cielo (Scr. 50,304).
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Facciamo del bene davvero e spendiamoci tutti nell’amore di Dio e del prossimo e facciamolo il bene per l’onore della nostra Madre Chiesa e facciamolo il bene, bene! (Scr. 51,39).
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Ambiente sereno: non si insegnerà a denigrare, a vilipendere alcuno o, che è peggio, ad odiare uomini od Istituzioni, ma ad onorarsi della virtù e di ogni alto sentimento che nobilita, a rispettare tutti, ad amare tutti, perché tutti dobbiamo amarci e farci del bene e ad amare soprattutto e ad esprimere la verità, che ci fa liberi, e Gesù Cristo, nostro Dio e salvatore, che è Via, Verità e Vita (Scr. 53,17).
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Avanti, avanti a fare del bene, o miei figli! Anche fosse per ignem et aquam, avanti sempre! Avanti, tenendo l’occhio e il cuore a Dio. Amiamo tutti: facciamo sempre del bene e del bene a tutti, stando umili e fedelissimi ai piedi della santa Chiesa di Roma, madre e maestra. Morire a noi stessi per vivere a Cristo, vivere la carità di Cristo, fare della vita un olocausto d’amore a Dio e agli uomini, questa è la nostra vita (Scr. 53,86).
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Per operare il bene, per far del bene e molto bene ai giorni nostri è necessario prendere gli uomini non solo per la via del cuore, ma anche per quella dell’intelletto, secondo la espressione di un gran Papa. Gli uomini bisognerà andare a prenderli lontani, perché sono andati lontani: attorno alla Chiesa c’è, purtroppo, troppo deserto; la causa di quasi tutti i mali presenti è che le teste non sono giuste: bisogna risanare le menti con il diffondere e infondere nelle teste giuste idee, sani principi, una filosofia cristiana; solo una dottrina filosofica solida e cristiana rialzerà la causa della religione e gioverà oltre modo alla stessa Italia (Scr. 56,102).
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Non si può far del bene stando con il muso, con la malinconia, con la tetraggine: non con il collo torto né con la faccia da venerdì santo si attira ad amare il Signore e alle pratiche della religione la gioventù. Se vogliamo fare del bene e trarre specialmente i giovani al servizio del Signore, dobbiamo procurar d’imitare la serena e santa ilarità e piacevolezza di San Filippo Neri, di San Francesco di Sales, del Cottolengo e di Don Bosco! Servite Domino in laetitia! (Scr. 57,77).
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La vita presto se ne va: amiamo il Signore, facciamo del bene! Cari amici e benefattori pregate per noi e aiutateci ad amare il Signore e a fare del bene. Ve lo troverete. Dio vi ricompenserà largamente qui e in Paradiso (Scr. 64,159a).
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Tutto andrà a posto, ma devi avere pazienza e devi operare senza ansietà, ma da Sacerdote di vero spirito di Gesù Cristo, con pacatezza e serenità, senza più fermarti, neanche con il pensiero, a chi ha tentato di farti del male; ma fare del bene a tutti, vincere tutti con il bene, con la tua fede, con la tua opera savia e santa, con la carità che copre tutto e che dà luce e vita a tutti, anche ai cattivi e ai morti (Scr. 80,79).
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Siamo amanti dei fratelli, misericordiosi, non rendiamo male per male, ma bene per male e benedizione per male: di quello che uno avrà seminato, quello mieterà. Non stanchiamoci dal fare il bene, facciamo del bene a tutti, massime ai compagni di fede. Il bene dobbiamo farlo bene, rinnoviamoci nella carità (Scr. 80,282).
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L’amore del prossimo si fa tutto a tutti. Compatisce i difetti degli altri, se no c’inforchiamo. Spegnere e non attizzare, acqua e non fuoco. Coprire con un manto d’amore i difetti e i mancamenti. Godere del bene altrui, lieti del bene altrui. Mettere sempre una buona parola, piangere con chi piange. Interpretare le parole e le azioni nel modo più favorevole. Mettere la nostra felicità nel poter fare del bene, sempre del bene, mai del male; chi fa bene troverà bene, accorrere a tutti i bisogni del prossimo ci unifica ed edifica in Cristo. Amandoli, vinciamo tutti i nemici (Scr. 81,314).
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Amare non solo l’amico, ma l’avversario: amici e nemici; non occhio per occhio, non dente per dente, non la vendetta, non sangue per sangue, ma perdonare, ma vincere il male con il bene, fare del bene sempre, del male mai a nessuno, perdonare e pregare, fare del bene a chi ci ha fatto del male, come Dio che manda la pioggia benefica e fa splendere il sole sulla terra dei buoni e dei cattivi. L’amore appassionato. Cristo per primo si è dato, si è immolato (Scr. 81,316).
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Facciamo del bene, e molto bene, perché ce n’è grande bisogno. Non dormono i nemici di Dio e della Sua Chiesa; deh, non dormiamo noi, seguaci di Gesù Cristo, figli della verità. Grandi cose intravedo, un grande bene e profitto della gioventù, dell’umanità sofferente e soprattutto della Chiesa, dopo la guerra. Dio ci assista! Ma intanto facciamo subito quello che possiamo; l’oggi è di Dio, il domani non è in nostro potere, ci saremo o non ci saremo più: facciamo del bene oggi, mentre Dio ci dà vita! (Scr. 83,213).
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Perseverate nel bene: duriamo, o miei Cari, e perseveriamo nel bene, vinciamo il male con il bene. Vorrei con queste brevi parole animare sempre più al bene, a ravvivare quei sani principi, quelle liete speranze che già un tempo abbiamo sentite nei nostri cuori (Scr. 93,149).
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Oh, la gioia che si prova a fare il bene per l’amore di Dio, specialmente ai più infelici e più abbandonati, ai nostri fratelli più bisognosi. Vi invito, dunque, tutti, miei cari Benefattori e Benefattrici, Voi, che desiderate di amare il Signore e di amarvi gli uni e gli altri e nei poveri vedete Cristo: venite tutti, io sarò con voi, vi passerò vicino, in spirito a ringraziarvi e pregherò sempre per Voi e per le Vostre famiglie. Rivestiamoci ogni dì più d’affettuosa e fraterna compassione verso dei miseri e viva sempre in noi lo spirito del Signore e Gesù Re d’amore ci riempia di tutta la più santa letizia (Scr. 94,280).
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Annegare noi stessi, compatire i difetti, farci tutto a tutti, godere della prosperità delle persone e riporre la nostra felicità nel fare ogni bene agli altri vincendo il male con il bene: questa è carità fraterna. Nella sua prima prima lettera, San Giovanni Evangelista scrive: «E questo comandamento ci è stato dato da Dio, chi ama Dio, ami anche il proprio fratello». Quando in una Congregazione, in una Comunità regna questo amore fraterno e tutti si amano vicendevolmente ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse un bene proprio, allora quella Casa religiosa diventa un Paradiso (Scr. 100,203).
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Beneficare per amore di Dio è il grande segreto che imbalsama, fa bella e felice la vita. Fa’ bella la vita presente e assicura il Santo Paradiso! Amici, diamoci la mano, facciamo del bene, molto bene con infiammata e costante carità. Soccorriamo i fratelli con la preghiera, aiutiamoli, confortiamoli con la parola, soccorriamoli materialmente, facciamo loro del bene, sempre del bene, quanto più possiamo per l’amore di Dio benedetto, vedendo il Signore nella persona della povera gente bisognosa (Scr. 104,267).
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Lavoreremo ancora insieme a fare del bene. E faremo del bene a tanti, con il desiderio di fare a tutti del bene. Perché, vedi, la vita non deve essere una festa o solo una festa di bene: confortare tutti, aiutare tutti e non vivere per sé, ma per gli altri e specialmente per quelli che ne hanno più bisogno, proprio come ha fatto, come ci ha insegnato il Signore (Scr. 120,67–68).
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Il bene costa fatica, ma il Signore non solo ha faticato tutta la sua vita, ma è morto sulla Croce per amor nostro, per darci la vita eterna. Egli ci darà la grazia necessaria a fare il bene, ci aiuterà a farlo regnare nelle anime, a preparare l’avvento del Suo regno, il trionfo della Chiesa. Tutte le vostre fatiche, tutte le vostre pene siano per Lui, come fatte a Lui, ricordando le sue parole: «Il bene che farete al più piccolo di questi, sarà fatto a me». Nostro Signore il giorno del giudizio dirà ai suoi eletti: «Venite benedetti dal Padre mio, venite al mio regno; io ero affamato, mi avete nutrito, ero ignorante, mi avete istruito». Ed essi diranno: «Signore, quando abbiamo fatto ciò?». E il Signore: «Tutto quanto avete fatto al più piccolo di questi, l’avete fatto a me: venite a ricevere il premio che vi è stato preparato». Il Signore non dirà mica: Perché sei creduto un galantuomo o perché sei sacerdote o perché sei vescovo o Papa (non vi scandalizzate se vi parlo così), né perché sei predicatore o missionario; niente di tutto questo, ma ricompenserà del bene fatto solo per amor di Dio (Par. I,56–57).
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Questa santa benedizione che il Signore vorrà dare a me e a voi, vi sia sempre di conforto a fare del bene: chi fa bene trova bene ed il Signore ci dà questa vita, perché noi operiamo il bene nel suo santo amore e vediamo nel nostro prossimo l’immagine stessa di Dio e ricordiamo sempre che quello che noi facciamo per il prossimo, nel nome e per l’amore del Signore, il Signore l’avrà come se l’avessimo fatto a Lui. Gesù ci darà la sua santa benedizione; possa questa santa benedizione infondere in me ed in voi una nuova forza di spirito nella nostra vita cristiana (Par. II,117).
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Usate bontà! Ah!, quanto bene fa la bontà, quanto bene fa la bontà. La bontà vince sempre! Usate pazienza: con la furia, la superbia, con la parola che punge, con quel fare avvelenato, si allontanano i cuori e non si fa più bene! (Par. II,165).
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La vostra Congregazione è chiamata a far tanto bene, in un secolo di egoismo in cui c’è tanto bisogno di far del bene, in cui tanta gente, quando vede le opere di carità che andiamo svolgendo, allora viene! Che bella cosa far del bene! Far del bene a tutti, far del bene a chi ci vuol bene, far del bene a chi ci odia, come Dio che fa risplendere il sole tanto sui buoni che sui cattivi. Sentite! A qualunque partito appartengano, qualunque religione abbiano, ricordate che quando si fa del bene, là si conquista; quando vedono che si vuol dare il conforto della fede e un letto a chi non l’ha, tutti sentiranno di dover chinare il capo e credere nella nostra religione. Se noi faremo del bene si convertirà il mondo. Il mondo si converte con la carità. La salvezza della società sta nell’amor di Dio, nella carità, nel far del bene. Gesù è passato su questa terra beneficando e sanando! (Par. II,213–214).
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Siate provvidi nel bene! Noi dobbiamo operare, promuovere il bene, non solo sotto lo sguardo di Dio, ma anche sotto lo sguardo degli uomini; non per gonfiarci, non per gloriarci, non per gli applausi degli uomini, non per la gloria di noi stessi. Videant opera bona et glorificent Patrem qui in coelis est. Vedano i vostri fratelli le opere vostre e diano gloria non a voi: Non nobis, Domine, non nobis, ma a Dio: Videant opera vestra et glorificent Patrem. Ritorno alla prima parola: siate anime operose! Dobbiamo, tutti i giorni, avere come programma di compiere un’opera buona; dobbiamo proporci un’opera buona la quale sia o per la perfezione nostra, per il miglioramento nostro o per il bene della Congregazione, della famiglia religiosa a cui apparteniamo o per il bene dei fratelli a cui la mano di Dio ci porterà nella giornata. Siamo anime operose, anime luminose, anime calde di amor di Dio, anime calde di amor di Dio e anime calde verso i nostri fratelli! «Providentes bona non solum coram Deo sed etiam coram omnibus»! (Par. XII,45).
Vedi anche: Anime, Apostolato, Carità, Opere di misericordia.
Benedizione eucaristica
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E voi, cari chierici, farete nella Messa la Santa Comunione anche ad exemplum, e pregherete per i vostri alunni e indi si dia la benedizione con il SS.mo onde nostro Signore benedica Lui questo nuovo anno scolastico (Scr. 51,21).
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I Figli della Divina Provvidenza e, possibilmente, quanti dipendono o sono diretti da loro, dal canto del gloria del sabato santo (Messa della risurrezione) sino alla Pentecoste (inclusive), pregheranno stando in piedi, eccettuato il tempo della Consacrazione ed elevazione dell’ostia e del calice: durante la Comunione del sacerdote e dei fedeli, nel momento della benedizione Eucaristica o al passaggio del sacerdote con il SS.mo Sacramento e quando il sacerdote benedice il popolo, come in fine della Messa, dopo aver distribuito l’Eucaristia, etc. Ciò si farà in memoria della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 52,53).
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Quello che c’è da fare per le scuole mi pare che possiate fare benissimo voi altri: non è una gran cosa. Mi preme che comincino bene, con la Messa dello Spirito Santo e la benedizione Eucaristica, e niente spampanate, discorsi, etc.: sostanza e serietà. I discorsi li lasceremo alla fine dell’anno, quando tutti avremo fatto con alta coscienza il nostro dovere (Scr. 63,69).
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Fate molto bene a cantare il Pange Lingua, nel Giovedì, come il giorno del Signore, giorno che ci ricorda l’Istituzione del Santissimo Sacramento; ma potreste cantarlo per intero, cioè potreste aggiungere il Tantum Ergo e il Genitori. È vero che il Tantum Ergo si suole cantare solo alla Benedizione del Santissimo, ma voi è bene che l’aggiungiate al Pange Lingua, perché è sempre un atto di adorazione; e cantando il Veneremur cernui chinate la testa e adorate il Santissimo Sacramento benché non sia esposto (Par. I,115).
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Adesso vi sarà la benedizione con il Santissimo Sacramento. Questa santa benedizione che il Signore vorrà dare a me e a voi, vi sia sempre di conforto a fare del bene: chi fa bene trova bene e il Signore ci dà questa vita, perché noi operiamo il bene nel suo santo amore e vediamo nel nostro prossimo l’immagine stessa di Dio e ricordiamo sempre che quello che noi facciamo per il prossimo, nel nome e per l’amore del Signore, il Signore l’avrà come se l’avessimo fatto a lui (Par. II,117).
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Questo Onorevole mi telegrafava che sua figlia gravissima, ma guarita, secondo lui, per grazia della Madonna della Guardia, adesso è ricaduta più gravemente. Egli nella prima malattia della figlia incaricò Don Minetti di dirmi che si facesse un triduo alla Madonna della Guardia di Tortona; e voi direte il Rosario e il vostro Direttore farà dare la Benedizione Eucaristica per questo fine: di salvare, se è volontà del Signore, la figlia di questo Avvocato, nostro benefattore. Fate, se è possibile, anche la Santa Comunione. È dovere di gratitudine, fiore di carità (Par. IV,471).
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In una Casa si dava la benedizione con il Santissimo ogni giorno; dissi al Direttore: Assolutamente no. se la Chiesa è pubblica, sì, ma se non è pubblica, in modo che si debba costringere tutti i Chierici alla Benedizione, questo no! (Par. V,323).
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Il Signore non chiuderà la sua mano se noi lo preghiamo e siamo quali egli ci desidera. Adesso mi fermerò qui con voi per la benedizione Eucaristica e poi andrò a Tortona perché verso le dieci sarà lì una persona che voi tutti conoscete; verrà a passare da noi la notte. E sento quindi bisogno che la benedizione di Dio discenda larga sopra di me e sopra di voi (Par. IX,336).
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Dopo che il sacerdote avrà dato la benedizione con il Santissimo Sacramento, si prega di far largo, perché il Santissimo sarà portato sul piazzale e il celebrante alzerà l’Ostia Santa a benedire anche fuori del Santuario alla molta gente che non ha potuto entrare. Avverto che il Santuario sarà aperto tutta la notte. Vi sarà la veglia eucaristica (Par. IX,364).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Adorazione Quotidiana Universale, Eucaristia.
Benefattori
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Quelle persone, che forse vanno gettando diffidenza non sanno che io porto il Piccolo Cottolengo nel cuore: ci penso ad ogni batter d’orologio ed anche più, e porto il Piccolo Cottolengo sull’altare ogni giorno con me. E prego, anche alla notte, svegliandomi, penso ai nostri poveri e ai nostri benefattori e cerco di pregare per tutti, per tutti. E nostro Signore mi pare che fin mi faccia sentire il respiro delle nostre care poverelle e nella Sua misericordia mi fa pur sentire e vedere i mali umori e altro (Scr. 9,26).
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Abbia piena fiducia in Don Sterpi e nel Canonico Don Perduca, che sono due birbe uso Cottolengo: io in Paradiso andrò, ma dietro la porta; ma quei due lì andranno su su. Poi lasceranno giù una corda ed io mi arrampicherò e poi tirerò su con me tutti i benefattori e benefattrici e i poveri del Cottolengo, quelli di Genova, di Milano e di qui e faremo un regno in Paradiso, con San Giuseppe Cottolengo in trono e anche Lei, nostra buona madre, avrà un bel trono, tutta circondata dai suoi cari di famiglia e dai suoi poveri (Scr. 9,81).
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Con i figli della Divina Provvidenza e le nostre suore Missionarie della Carità, le quali tanto bene fanno anche nelle tre Case del Piccolo Cottolengo di Genova, vi erano pure a far corona a Mons. Minoretti, Arcivescovo di Genova, i tre parroci, nella cui giurisdizione sono le Case del Cottolengo Genovese e altro clero, nonché una corona di benefattori e benefattrici di quella industre e cristiana città di Maria SS.ma: cuori genovesi, cuori generosi siccome quelli che, secondo dice San Paolo nella Sua lettera a Timoteo: «non pongono la loro speranza nelle instabili ricchezze, ma in Dio»; cuori aperti «a far del bene, ricchi di opere buone, pronti a dare, a far parte dei loro averi, in modo da mettere così in serbo, per l’avvenire, un bel tesoro e ben fondato; per conseguire la vera vita» (1 Tim 6). Essi sono, dopo Dio, la mia borsa per Genova, sono quelli che amano e servono Gesù Cristo nei nostri cari poveri e malati ed elevano e glorificano i poveri e malati in Gesù Cristo (Scr. 20,192–193).
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I nomi dei benefattori saranno scolpiti in oro su lapide, a titolo di onore e di riconoscenza e per essi e loro famiglie si pregherà sempre! Come dissi, non le domando denaro, ma mattoni o anche altro materiale di costruzione, tutto che il suo cuore e la sua fede le suggeriranno. La Signoria Vostra e sua distinta famiglia vogliano essere tra i primi e più validi nostri benefattori in un’opera di tanto bene. Le sarò grato se vorrà farmi sapere quando devo mandare e il quantitativo, ché penserò io al trasporto (Scr. 47,242).
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Miei cari benefattori e benefattrici, la grazia, la pace e il conforto di nostro Signore Gesù Cristo siano sempre con voi, che mi avete dato tanto aiuto. Dopo l’aiuto di Dio e la benedizione dei Vescovi e del Papa, devo alla vostra carità, se io ed i miei sacerdoti e le suore Missionarie della Carità abbiamo potuto fare un po’ di bene. Dio ve ne ricompensi largamente in questa vita e poi per tutta la eternità in Paradiso. Queste opere, che ho cominciato col vostro appoggio non hanno più bisogno di me che sento di invecchiare e di diventare un peso: Dio, spero che presto cambierà sentinella, ma queste opere continueranno ad avere bisogno di voi e di tutti quelli che, come voi, amano di promuovere il bene su questa terra: le raccomando alla vostra carità nel Signore. Se volete far prosperare i vostri interessi spirituali e materiali, procurate anzitutto, o miei cari, di far prosperare gli interessi di Dio e di amare e far amare la santa Chiesa cattolica e il Papa e i Vescovi. La vostra fede vada più e più crescendo e il vostro spirito di carità vada più che mai aumentando. Guardatevi dall’offendere Dio, guardatevi dalla profanazione della festa, dalla bestemmia. Fuggite le passioni e procurate di conseguire la giustizia, l’amore di Dio e del prossimo, la pace e con cuore puro invocate il Signore, sopportando i torti, i patimenti le croci per l’amore di Gesù Cristo (Scr. 52,201).
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Pur tacendo di altro bene che, con la grazia del Signore si è fatto per il Santuario nel 1932, ho tenuto doveroso, benefattori e benefattrici, mettervi al corrente della nuova costruzione, perché sappiate dove vanno le offerte che mi mandate. La nuova Casa, come v’ho detto, è già piena di poveri fanciulli e di poveri chierici; essi pregano per voi, o miei benemeriti benefattori e benemerite benefattrici e per voi si pregherà sempre. Se Don Orione e i figli della Divina Provvidenza hanno potuto fare si deve, dopo Dio e l’assistenza troppo evidente della beata Vergine, si deve, dico, alle vostre generose offerte. E ve ne ringrazio di cuore! (Scr. 52,205).
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Alle benefattrici e ai benefattori. Susciti Dio in Buenos Aires e in tutta la nobile Repubblica Argentina molti cuori generosi, aperti al bene, che vengano a coadiuvarci in questa Opera di cristiano amore verso i fratelli più miseri. Vogliano tutti pregare per noi e ricordare con benevolenza i nostri cari poveri: essi, memori e grati pregheranno sempre per i benefattori e le loro benedizioni li seguiranno e conforteranno in tutti i giorni della vita. A quanti si adoprano per il Piccolo Cottolengo Argentino conceda Dio il cento per uno in terra ed eterna ricompensa in cielo! Madre, regina e custode del Cottolengo Argentino è Maria, madre di Dio, la santa Madonna della Divina Provvidenza (Scr. 52,209).
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Miei cari benefattori e ottime benefattrici della carità, fatta per l’amore di Dio, Voi avrete il centuplo in vita: avrete sanità e concordia nella famiglia, prosperità nei commerci e negli affari: sarete liberati da dispiaceri e da disgrazie nell’anima e nel corpo, ma, sopra tutto, avrete un trono di gloria in Paradiso. Poiché voi ben sapete che Gesù avrà come fatto a Sé quanto avrete fatto a bene dei nostri fratelli e poveri. Cari benefattori e amici, io non finirei più di scrivervi, poiché vi amo di un amore grande e santo e così santo che nessuno forse sarà mai in grado di misurare. Devo però far punto. Sappiate dunque che prego e pregherò incessantemente per voi e per le vostre famiglie: che i poveri, da Voi beneficati, tutti e sempre pregano per voi! (Scr. 52,211).
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Noi camminiamo avanti, ai piedi del Signore e della santa Chiesa, pregando e confidando nella Divina Provvidenza e nel vostro cuore, sempre pieno di carità, o cari benefattori, affidati al buon Dio, che vincerà tutte le nostre miserie e trionferà in noi, suoi poveri figli e stracci: noi null’altro desideriamo che amarlo il Signore e servirlo in fedeltà e sacrificio totale di tutti noi, sperando in lui, desiderosi di perfezionarci nel suo santo servizio e nella carità: amare Dio e i poveri. E vogliamo in Domino non impicciolirci, ma pensare in grande, perché Dio è grande, e amare tutti di amore santo e grande e non perderci in piccolezze. E così in Domino e da buon fratello in X.sto esorto voi, o amici, benefattori e benefattrici del Piccolo Cottolengo genovese, a non lasciarvi mai mai inagrire il cuore, se mai vi fosse chi, pur con la intenzione di fare del bene, cercasse di seminare zizzania, sfiducia, critica, diminuendo in voi lo spirito di carità e rubandovi la dolcezza dal cuore, ché questo non sarebbe mai secondo lo spirito del Signore. Ed ora vi saluto nel Signore, o carissimi benefattori e benefattrici, e invoco dal Signore su di voi ogni più consolante grazia e benedizione, su di voi e sulle vostre famiglie (Scr. 52,216).
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Siate voi tutti benedetti, o buoni benefattori e ottime benefattrici mie e dei miei piccoli, a cui la Divina Provvidenza mi ha chiamato a fare da padre: siate in eterno benedetti, che nascondete le vostre elemosine nel seno dell’Opera della Divina Provvidenza! La vostra elemosina, fatta con lo spirito di carità e di penitenza, sale fino al trono di Dio e vi fa trovare misericordia e farà discendere sopra di voi e dei vostri cari le grazie e le benedizioni del Signore. Se sapeste quanti bisogni vi sono nell’Opera e quanto grandi! Vedete, solo nella Piccola Casa della Provvidenza di Tortona, per la quale già si erano spese, or è un anno, £. 25.000, quest’anno si sono spese oltre £. 18.000 circa, un piano nuovo sono belle camerate, capace di 60 letti; e questi posti sono già tutti occupati e la Casa è insufficiente alle domande e bisognerà che la Madonna SS.ma ci pensi un po’. Quest’anno ho ancora quindi tanti debiti, debiti che con l’aiuto della Divina Provvidenza pagherò, sono debiti con i fornitori di pane, di pasta ecc., solo in pane sono parecchie migliaia di lire; ma questi debiti non devono far paura, essi sono la bellezza della Divina Provvidenza e serviranno a glorificare il Signore. Avanti con umiltà grande e grande preghiera e vita di sacrificio: avanti sempre in cerca di anime con grande occhio e vita di fede nella Divina Provvidenza! Vedrete che cosa farà il Signore! Le cose che non sono confonderanno quello che sono. Intanto, in onore di San Giuseppe, ho accettato gratuitamente un orfanello di padre e di madre, di Sarteano (Siena); verrà condotto durante le vacanze di Pasqua da un’ottima maestra. E voi aiutatemi, cari miei benefattori, aiutatemi sempre e vedrete che cosa farà il Signore per mezzo vostro! Dio terrà conto di qualunque minima offerta che darete per amor suo. E state sicuri che pregherò e farò pregare per voi: Siate benedetti! (Scr. 61,48–49).
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Pregherò per le nostre benefattrici e benefattori che generosamente e con tanto spirito cristiano mi hanno sempre e tanto aiutato. Non dubito che vorranno continuare ai nostri Istituti la loro carità, e ne avranno da Dio il centuplo, speciali grazie sulle loro famiglie e la vita eterna. I nostri orfanelli e orfanelle, le cieche, i ciechi, i poveri vecchi, tutti ricoverati dalla Provvidenza pregheranno per essi insieme con me. La voce degli innocenti, dei piccoli e dei poveri è sempre ascoltata da Dio (Scr. 61,83).
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Dio in tutti e per tutto! Divina Provvidenza! Divina Provvidenza! Dà a me, povero servo e ciabattino tuo e alle anime che pregano e lavorano in silenzio e sacrificio di vita attorno ai poverelli, dà ai cari benefattori nostri quella latitudine di cuore, di carità che non misura il bene col metro né va con umano calcolo: la carità che è soave e dolce, che si fa tutta a tutti, che ripone sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri silenziosamente, la carità che edifica e unifica in Gesù Cristo, con semplicità e candore. Benefattori del Piccolo Cottolengo, Gesù ha detto: «Qualunque cosa avrete fatta a questi miei minimi, l’avrete fatta a me stesso». Quali parole per chi ha viva fede! Quale incoraggiamento ad essere misericordiosi e caritatevoli! L’amore di Gesù Cristo divampi nei nostri cuori e divamperà l’amore del prossimo e una grande luce di Dio si alzerà su Genova e sulla Liguria! (Scr. 62,3).
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Il giorno stesso in cui nasceva il Piccolo Cottolengo Milanese il venerato nostro Cardinale Arcivescovo elevava al Signore voti fervidi affinché «fosse a Milano come il chicco evangelico di senapa: piccolo, ma forte»; in occasione, poi, della posa della pietra fondamentale del primo padiglione ha ripetuto il suo augurio, auspicando sia la nuova istituzione come un raggio di luce: luce di quella carità che parla alle anime, anche quando non sempre ascoltano la voce della fede e della speranza. La Benedizione del Papa e dei Vescovi è la Benedizione di Dio: essa non potrà non recare i frutti più consolanti. Ora vorrei, miei buoni Amici e Benefattori, elencare qui accanto a quelli delle più alte Autorità cittadine, a cominciare dal Podestà di Milano, il Sen. Gian Giacomo Gallarati Scotti, che tante prove ha dato della sua simpatia e del suo alto interessamento, i nomi di ciascuno di Voi. Quanto sarei lieto di darVi questa pubblica testimonianza, oltre all’affetto che mi fa memoria di Voi, ogni mattina all’Altare e nella intimità del mio cuore! Nella impossibilità di farlo per tutti, segno qui alcuni dei Benefattori ed Amici più insigni del Piccolo Cottolengo Milanese, così come li vado ricordando: Signora Cornelia Pozzi Tanzi (alla memoria), Sen. Gr. Uff. Stefano Cavazzoni e Consorte, Fratelli Bassetti e Signora Gina Bassetti Cantù, Donna Camilla Sassi De Lavizzari, Gr. Uff. Giulio Brusadelli e Consorte, Conte Aldrighetto Castelbarco e Consorte, Contessa Ida Gallarati Scotti Moncenigo Soranzo, Donna Antonietta Radice Fossati, Donna Lina Cairati Crivelli, Ing. Tito Gonzales, Signor Temistocle Colombo, Gr. Cr. Leone Castelli e Fratelli, Comm. Alfredo e Comm. Paolo, Fratelli Invernizzi, Sen. Gr. Croce Mario Crespi, Gr. Uff. G. B. Colombo e Consorte, Duchessa Marianna Visconti di Modrone, Famiglia Conti Caccia Dominioni, Ing. Giuseppe Casolo e Signora, Arch. Mario Baciocchi, Don Giuseppe Magnaghi, Rag. Vincenzo Sala, Famiglia Conti Dal Verme, Ing. Coronaro e Signora, Sen. Serafino Belfanti (alla memoria), Sen. Senatore Borletti (alla memoria), Mons. Pietro Rusconi, Comm. Eugenio Rainoldi e Signora, Donna Carlotta Alfieri Bonomi, Ing. Pietro Carones e Signora, Signorina Armida Barelli, Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, Gr. Cr. Biagio Gabardi, Gr. Uff. A. Malcovati, Mons. Pietro Gorla, Gr. Uff. Attilio Cassoni e Signora, Dott. Giuseppe Boni e Signora, Nob. Gr. Cr. Mario Geronazzo, Mons. Eligio Lucchini, Avv. Luigi Medici, Mons. Mario Barbareschi, Conte Cesare di Carpegna, Rag. Aurelio de Castiglione, Nobile Costanza Bassi, Comm. Dott. Angelo Vittadini, Dott. Alfredo Donnaloja, Sig. G. Albanese, Sig. Luigi Ponti, Ing. Arturo Danusso e Signora, Cav. Silvestro Pizzali, Signora Raffaella Resnati, Signorina Rosina Storchio, Comm. Arturo Aletti, Conti Eugenia e Gigi Premoli, Ing. Guido Daccò, Famiglia Pugno Vannoni, Fratelli Giuseppe e Umberto Basevi, Cav. Giacomo Navone, Cav. Ettore Uboldi. Conservo nell’animo i nomi di tanti e tanti altri: a tutti vada la espressione della riconoscenza mia e dei nostri cari poveri. Ogni giorno, insieme con loro, Vi imploro da Dio, gentili Benefattrici e Benefattori del Piccolo Cottolengo Milanese grazia, pace e le più consolanti benedizioni (Scr. 62,48–49).
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Santa Madonna della Guardia ispirate cuori benefici che vogliano sopperire agli urgenti bisogni in cui trovasi Don Orione, assillato come è al presente da tanti gravi impegni. O provvido San Giuseppe, nel mese del vostro Patrocinio parlate Voi a molti cuori: mi affido a Voi! Ai Benefattori tutti la mia gratitudine e la mia devozione. Aiutateci: cercate qualche generosa persona che voglia acquistare un letto per la nuova Casa Missionaria di Montebello: sulla lettiera porremo il nome del Benefattore o della persona che si vuole piamente ricordare. Quante grazie ottengono ai cuori generosi le sante preghiere dei nostri cari Chierici e degli Orfanelli! Don Orione versa in gravi strettezze ed ha bisogno di aiuti, il suo pensiero e la sua mano si volgono con confidenza agli Amici e Benefattori! Il nuovo Istituto di Montebello non ha che le mura: abbisogniamo di tutto! (Scr. 70,295).
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Ai miei cari benefattori. Siate voi tutti benedetti, o buoni benefattori miei e dei miei piccoli, a cui la Divina Provvidenza mi ha chiamato a fare da padre: siate benedetti, che nascondete le vostre elemosine nel seno dell’Opera della Divina Provvidenza! La vostra elemosina, fatta con lo spirito di carità e di penitenza, sale sino al trono di Dio e vi fa trovare misericordia, e farà discendere sopra di voi e dei vostri cari le grazie e le benedizioni del Signore. Oh, se sapeste quanti bisogni vi sono nell’Opera e quanto grandi! Aiutatemi, aiutatemi più che potete e Dio terrà conto di qualunque minima cosa darete per amor suo. E state sicuri che pregherò e farò pregare per voi; siate benedetti! (Scr. 76,230).
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Benefattori e Benefattrici, dopo Dio, la Santa Madonna e la benedizione del Papa e dei Vescovi, io devo tutto a voi: il sostegno e l’incremento delle nostre opere lo devo a Voi. Perdonatemi se, per continuare il bene cominciato, vengo ancora a fare appello alla vostra carità, fidato sulla vostra benevolenza. La gratitudine mia non avrà fine! Le opere che sono in Italia, dato il momento che la nostra Patria attraversa e anche un po’ per mia prolungata assenza, hanno particolare bisogno di Voi, o cari Benefattori e Benefattrici: Voi sapete che le ho poste nelle mani di Dio e vostre. Io vi aiuterò di qui con la preghiera e voi vogliate continuarci il vostro aiuto morale e materiale. Dio Vi renderà in vita il cento per uno: farete poi una morte consolata e riceverete una mercede eterna nei cieli (Scr. 119,54).
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Siete Voi, o Benefattrici e Benefattori miei, che mi avete aiutato: siate benedetti! Mi avete aiutato ad asciugare tante lacrime, ad accogliere tanti orfani, tanti vecchi cadenti, ciechi, storpi, epilettici, reietti da tutti, tante malate derelitte e a salvare molte anime: siate benedetti! Con le vostre elargizioni ho potuto alzare Santuari e Chiese in Italia e all’estero: ho aperto Collegi, Scuole gratuite e Ospizi gratuiti, Officine meccaniche, Tipografie, Artigianati, Colonie Agricole, il Piccolo Cottolengo di Genova, il Piccolo Cottolengo di Milano. Ora sto lavorando all’estero per i figli dei nostri emigrati italiani e, se la Divina Provvidenza mi assiste, spero di raccogliere ed evangelizzare i poveri, i mal vestiti, e famelici, i più rudi e ignoranti, i più abbandonati. Ho potuto mandare Missionari e Missionarie in Oriente, in Polonia, nel Nord e nel Sud America. Dopo Dio, la Santa Madonna e la Benedizione del Papa e dei Vescovi, tutto io devo a Voi, lo devo all’aiuto della vostra carità, o miei Benefattori: siate sempre benedetti! Continuate a far elemosina con quello che vi avanza. E Dio vi concederà il centuplo della vostra carità anche nella vita presente, con la sanità e concordia nelle vostre Famiglie, con la prosperità nelle campagne nei vostri interessi e col tener lontano da Voi e dai Vostri Cari ogni disgrazia. Ecco, io vengo a ringraziarVi da oltre l’Oceano e questa lettera Vi porta tanta parte del cuore di Don Orione e tutte le benedizioni d’un povero prete. Le Opere che ho lasciate in Italia forse non avranno più bisogno di me, io sento che passo, ma hanno tanto più bisogno di Voi, o miei Benefattori e Benefattrici, e di tutti i generosi che, sapendomi lontano, vorranno unirsi a Voi per allargare sempre di più la sfera della beneficenza nella nostra cara Patria. Io le ho lasciate nelle mani di Dio e vostre: se Voi penserete alle molteplici Istituzioni sorte nel nome e nella bontà della Divina Provvidenza penserà e provvederà per Voi (Scr. 119,58).
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Se è santo e salutare il suffragare le anime dei trapassati, è pure per me un sacro dovere di gratitudine il pregare per le anime dei Benefattori del Santuario, e in modo speciale per quelli della famiglia Marchese che ha dato l’area per costruirlo. La Cripta sarà la Chiesa del Suffragio e vi si pregherà sempre per i Benefattori defunti. Qui riposerà la salma benedetta del Cardinale Perosi che ha benedetta la prima pietra e riposeranno le salme della famiglia Marchese perché desidero che le salme dei più insigni Benefattori del Santuario riposino qui nella Cripta insieme alle salme dei Figli della Divina Provvidenza, insieme con le salme di tutti i Tortonesi che hanno dato la vita e il sangue per l’Italia. La Cripta sotterranea sarà dedicata a San Bernardino che ha predicato qui. Come oggi si è celebrato l’ufficio e la Messa per i Benefattori, così si farà sempre, finché vi sarà un Figlio della Divina Provvidenza (Par. IV,459).
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Il vostro entusiasmo, o Benefattori e Benefattrici, che in così grande numero siete qui convenuti, mi ha veramente commosso. Vorrei avere un cuore di serafino e lingua di angelo, per ringraziarvi degnamente, a nome mio e dei miei poveri, del bene che fate alle Istituzioni di carità genovesi. Dopo Dio e la sua Madre Santissima, siete voi coloro dai quali hanno origine e possibilità di vita tante opere di bene. Voi siete la mano del Signore e la borsa della Divina Provvidenza. Stasera, volendovi porgere il mio saluto – alla vigilia della partenza per le lontane Americhe – non sapevo né potevo aprir bocca senza dire Deo gratias a voi, Benefattori e Benefattrici del Piccolo Cottolengo. Anche lontano non dimenticherò il cuore dei Genovesi. Popolo di carattere rude, il Genovese, forte come la roccia dei suoi monti, ma dal cuore grande come l’amplitudine del suo cielo e la distesa del suo mare. Il genovese parla poco, informa il suo spirito cristiano, nel fare del bene, alle parole di Cristo: Sii caritatevole, ma fa’ in modo che la tua sinistra non sappia quello che fa la destra. Lontano vi ricorderò tutti e tutte nella Santa Messa. Quelle che io e i miei Sacerdoti celebreremo durante le due settimane della traversata, saranno per voi, o Benefattori e Benefattrici del Piccolo Cottolengo Genovese (Par. VI,199).
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Chi pregherà per i Benefattori se non noi? Chi farà loro questa carità? Alcuni ci hanno ricordato in punto di morte lasciando tutto o parte del loro avere alla Congregazione. Pertanto questo è non solo atto di carità, ma di giustizia. Tutte le preghiere di domani sono per loro. A Magreta c’è l’Istituto del Suffragio dove si prega per i confratelli, parenti e benefattori. Che bello avere quella Casa dedicata a suffragare i morti! In ispecie i nostri Benefattori che furono mani della Provvidenza. Alcuni benefattori si toglievano dalla bocca del cibo per aiutarci. Dal più piccolo al più grande dei Benefattori desidero si faccia come per noialtri, cioè si mandino gli annunci di morte dei confratelli, parenti e benefattori; d’ora innanzi manderemo gli annunci anche ai Benefattori. Si facciano questi annunci e si mettano in luogo conveniente in sagrestia. Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia! La stessa misura di pietà e di misericordia usata con gli altri sarà usata con noi, vuol dire che i suffragi fatti per gli altri, o confratelli o parenti o benefattori, saranno poi fatti a noi quando l’erba sarà cresciuta sul capo nostro (Par. VI,275).
Vedi anche: Bene, Divina Provvidenza, Opere di misericordia.
Bestemmia
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Siano allontanati quelli che fossero di scandalo e contagiosi moralmente, gli insubordinati non saltuariamente, ma sistematicamente, i bestemmiatori sistematici: per tutti gli altri molta tolleranza. I giovani, anche i più abbandonati e miserabili, anzi primi questi, devono sentire che la nostra casa è la loro casa, casa di rifugio, di conforto, di educazione, di istruzione; vera arca di salvamento per le loro anime (Scr. 32,241).
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Castelnuovo Calcea! Quanti ricordi mi desta questo nome! Io sono venuto a fare il garzone selciatore a Castelnuovo Calcea: avevo 13 anni! C’era un operaio selciatore del biellese che bestemmiava ogni tanto e allora ricordo d’essere corso in chiesa a lavarmi la bocca con l’acqua benedetta, pregando il Signore che non mi avesse mai fatto bestemmiare. E mi pare, per il divino aiuto, di non avere bestemmiato mai (Scr. 42,205).
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Guardatevi dall’offendere Dio, guardatevi dalla profanazione della festa, dalla bestemmia. Fuggite le passioni e procurate di conseguire la giustizia, l’amore di Dio e del prossimo, la pace e con cuore puro invocate il Signore, sopportando i torti, i patimenti, le croci per l’amore di Gesù Cristo (Scr. 52,201).
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Noi sentiamo il bisogno d’essere salvati dai nemici spirituali che ci insidiano e ci colpiscono dappertutto! Per opera di tanti nemici! Quanto tristi e funesti i guasti della immoralità, della bestemmia, della miscredenza, onde tutte le classi sociali sono contaminate (Scr. 57,124).
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Buone e pie Signore, vi è ancora di più: vi sono delle anime di fanciulli che si strappano al buon Dio, delle anime che si preparano per la bestemmia e per l’inferno. Questi ultimi oh!, non muoiono forse di fame, è vero, ma soffrono nell’anima loro qualche cosa di peggiore della fame: l’oblio di Dio, l’odio di Dio forse anche e se morissero mai con quei sentimenti perversi che loro si vanno insinuando a poco a poco... poveri fanciulli! (Scr. 61,25).
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Cause di allontanamento di un giovane dall’Oratorio non potevano essere né la vivacità di carattere, né l’insubordinazione saltuaria, né la mancanza d’un bel vestito, né la mancanza di belle maniere, né qualsiasi altro difetto giovanile, causato da leggerezza o da naturale caparbietà, ma solo la insubordinazione sistematica e contagiosa, la bestemmia usuale, ripetuta, i cattivi discorsi e lo scandalo; eccettuati questi casi, la tolleranza doveva essere illimitata. E così faremo noi! (Scr. 70,3f).
Vedi anche: Demonio, Inferno, Peccato.
Bibbia
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Il ritrovamento di Gesù ci ricorda che egli fu trovato mentre spiegava ai dottori della legge la Bibbia; dunque da questo dobbiamo imparare con umiltà che nella Bibbia vi sono dei punti oscuri, che solo la Bocca Divina può spiegare e che ora solo la Chiesa è la columna et firmamentum veritatis. Noi abbiamo bisogno di guida per non errare e vagolare come un pezzo di legno sull’acqua (Scr. 5,237).
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Ogni Casa della Congregazione deve avere una copia intera della Bibbia, una copia della Somma Teologia, una copia della Somma Filosofia per opporsi alle teorie di Gentile; moltissime copie dell’Imitazione di Cristo e dei Santi Evangeli, s’intende sempre in lingua latina: la lingua latina è la lingua della Chiesa (Scr. 6,249).
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I religiosi ascolteranno con attenzione la lettura che si fa durante la mensa, affinché, mentre il corpo prende il suo cibo, la mente non rimanga completamente digiuna. Si leggerà in principio un tratto della Sacra Scrittura, poscia un tratto delle Costituzioni, indi un libro di spirituale edificazione scelto e designato dal superiore (Scr. 17,66).
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Dalle suore che vengono mandami una copia della Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento), in italiano, del P. Sales Domenicano e maestro dei Sacri Palazzi Apostolici: la vende la libreria Internazionale Salesiana; quella che mi avete mandata, l’ho perduta in treno (Scr. 27,220).
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La Bibbia in mano al popolo. E che venite a predicarci, o Signori Protestanti, che al popolo il prete tiene nascosta la Bibbia? E chi lo dice? Voi forse?! Ah, bugiardi! Giù la maschera, o figli di Lutero, e si sappia da tutti che voi non eravate ancora nati e noi la Scrittura l’avevamo data in mano al popolo e 200 e più versioni bibliche correvano per l’Europa prima che s’inventasse il nome protestante. Oh bella! Ci mancava ancor questa, che venissero le Signorie Vostre a sballarcene di così madornali! Ed è proprio qui in Tortona che volete venderle all’ingrosso e al minuto? Eh, poverini! Guardatevi dal non portarne via un sacco... basta: il Signore ve la mandi buona! Badate a non fare sproloqui, tacete per carità e per il bene delle vostre spalle, se no, io per primo, apro il repertorio e vi getto in faccia il marcio delle vostre vergogne. Noi cattolici proibire la Bibbia? No, o signori barbetti, non è la Bibbia che proibì alcuna volta la nostra Chiesa, ma l’abuso di essa, la libertà di tirarla lunga come una calzetta, errore grossolano di darle un senso a capriccio e tanti sensi quanti sono i cervelli che la leggono. È null’altro che lo studio della Bibbia senza note e senza maestro che vietò Innocenzo III, a preservamento della società cristiana e politica. E voi, o Signori mangia santi (scusate, volevo dire protestanti) avreste voi lasciato che, alterate nel secolo XIII le condizioni della società che inchinava allora alla negazione dell’autorità, avreste voi permesso o consigliato lo studio libero, la libera interpretazione della Scrittura, di quella Scrittura che in tal caso sarebbe stata non dirò fomite di un errore dogmatico, ma l’arma di una congiura diretta e pensata contro le autorità pressa poco come le ribellioni dei vostri contadini, le lotte fratricide che dal libero senso della Bibbia avvennero in Germania sotto gli occhi di Lutero? Noi proibire la Bibbia? Evvia! Diciamo le cose quali sono. La Chiesa cattolica proibì le vostre Bibbie, proibì e proibirà sempre le Bibbie protestanti, le vostre bibbie che avete monche e falsate; proibì e proibirà sempre la versione spudorata di quel libertino che fu il vostro Diodati e la proibì affinché la buona gente non sia gabbata o la rigetti e la butti al fuoco come libro d’inferno, come un’ironia di chiunque le venisse offerta foss’anche da certi signori spacciatori che voi forse conoscete. Proibire la Bibbia? Ah, bugiardi! La vera Bibbia è quella che ci dà la Chiesa cattolica non già i vostri falsi vangeli, è il nostro codice. La Bibbia è il gran libro dei nostri popoli e dei nostri grandi; è per noi nell’ordine scientifico la sorgente del vero, nell’ordine morale è la sorgente del buono e nell’ordine delle arti belle è la bellezza ideale che ci porge e ci svela la visione di Dio. E per oggi basta: guai a voi, però, se ci toccate, guai a voi se disturbate il paese. Sorgeremo come leoni a difesa della fede e della religione cittadina. Allegri, buoni Tortonesi, faremo bollir la pentola al fuoco delle Bibbie protestanti! (Scr. 91,98–99).
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È della Chiesa che noi abbiamo ricevuto la Bibbia come per l’autorità della Chiesa ed è essa che ci ha assicurati che la Bibbia è parola di Dio. Da ciò è chiaro che gli Apostoli non ci affidarono tutta la dottrina di Gesù per iscritto, ma molte cose anche senza scrittura e queste cose sono la tradizione, la quale si deve credere. Dunque la Bibbia non contiene tutte le verità della fede e non è l’unico deposito della rivelazione (Scr. 111,86).
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Nessuno deve star ozioso nella vigna del Signore. Si eviti nei discorsi argomenti sublimi e si usi la semplicità di linguaggio: semplicità e fervore di spirito. Si studi la Sacra Scrittura e quei devoti autori che amano Dio e la Chiesa e c’insegnano ad abbracciare la croce di Cristo (Scr. 120,195).
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Se anche conoscessi tutta la Scrittura, i libri santi, senza lo spirito di carità, lo spirito di Gesù Cristo, serve a niente, serve a niente, serve a niente! (Par. I,203).
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Chiudiamo questo giorno, in cui celebriamo la festa di San Raffaele Arcangelo, ricordando il libro di Tobia. Leggetelo, questo libro, almeno due volte, vi farà del bene. Leggete pure e imparate a memoria i santi Vangeli, le lettere degli Apostoli e anche alcuni libri del Vecchio Testamento, specialmente l’Ecclesiaste. Con la lettura di questi libri il vostro cuore si formerà a sentimenti di bontà, di umiltà, di verità, sentimenti tutti che debbono informare tutta la vita di un figlio della Divina Provvidenza (Par. V,260).
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I nostri fratelli separati dicono che noi cattolici leggiamo poco l’Evangelo e i libri del Nuovo Testamento, che sono gli Evangeli, gli Atti degli Apostoli, le lettere degli Apostoli e l’Apocalisse. Ora stasera sono venuto a leggervi questa lettera di San Giuda. È una lettera che il Santo ha scritto a tutti i cristiani. San Paolo scrisse a questa o a quell’altra comunità di fedeli: ai Colossesi, agli Efesini, ai Romani, a quei di Salonicco... Mentre San Giuda scrisse a tutti i cristiani collettivamente (Par. IX,414).
Vedi anche: Libri, Vangelo.
Biblioteca
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Da Venezia fu spedito un baule di libri e biancheria alla famiglia di Don Opessi a grande velocità, porto già pagato. È indirizzato al padre di Don Opessi, ma sono per voi: avvertitelo subito subito subito. E vedi che in questi giorni ne fu spedito un altro: avvertitelo anche di questo secondo, ma subito. Tutti quei libri metteteli in biblioteca, ma a parte. Mi raccomando di fare subito, perché non stiano in bauli giacenti a Bra in stazione, pagando poi una enormità per sosta (Scr. 2,199).
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Quanto al Canonico Ratti, egli per favore chiede la cameretta ove è la biblioteca, perché tiene annessa la ritirata. Tu fai la carità di accontentarlo. E così anche certi libri non cadono in mano di Chierici etc. E sarà bene metterci ogni libro che dovesse essere riservato e non alla mano di tutti (Scr. 2,294).
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Oltre al cortile e locale per l’Oratorio, tenete presente le Scuole serali per gli Operai, diversamente la Chiesa li perde irreparabilmente, cosi il posto per le opere cristiano–sociali, che devono naturalmente sorgere vicino alla Parrocchia per molteplici ragioni, insieme con altre opere Parrocchiali. Così un locale per una Biblioteca circolante Cattolica che sia anche centro di diffusione e di propaganda religiosa della buona stampa, con opuscoli facili e popolari e fogli volanti e vi sarebbe unita anche la direzione del Bollettino Parrocchiale (Scr. 4,23).
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Vedete che alla Biblioteca della Casa di Voghera vi sono opere buone; io, quando andavo là entro, ci morivo sopra (Scr. 19,52).
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Mons. Hoenning O’Carrol, bibliotecario al seminario patriarcale, mi spedisce lettere su lettere, espressi e anche un telegramma chiedendo maggior aiuto per la sistemazione della biblioteca. Vedi se gli si può mandare un ragazzotto, come si faceva prima. È urgente. Mi farete un vero piacere, e la sia finita! Gli ho risposto che faremo, ma che avevo sempre ritenuto che l’impegno fosse per due persone. Sarà un colto e santo uomo, «ma che tormento!», diceva don Abbondio del Card. Federico Borromeo (Scr. 20,291).
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Per i libri non mi rivolgo a don Sterpi perché lo so già troppo aggravato di lavoro e di pensieri: me lo farai tu questo piacere: mandamene tanti e buoni e se un baule grosso non basta, mandamene due. Cosa fanno in biblioteca i libri? Bisogna adoprarli e che non ammuffiscano. Grazie di tutto (Scr. 23,226).
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Vorrei che vicino al Santuario della Guardia ci fosse una pinacoteca, una biblioteca un museo missionario e a Montebello una specola (Scr. 27,262).
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Domenica, o subito dopo entro la prossima settimana, verrà a Sant’Alberto, per una quindicina di giorni, la professoressa Adelaide Coari di Milano. Ti prego di farle subito subito preparare un letto ben pulito là dove dormiva o abitava la maestra, cioè presso la scuola o nella stessa scuola. Poi dalle nostre suore le fai portare su ogni giorno un po’ di cibo, sì che nulla le manchi. Vedi che abbia catino, sapone, tutto, in una parola. Se tu lo dici subito alle suore, esse si adopreranno perché la camera, che prego di prepararle, sia sì povera, ma abbia tutto il necessario, con senso di convenienza e di grande pulizia. Bisogna però fare subito subito. Se essa chiedesse di prendere dalla biblioteca dei libri, lascia pure che vada a prendersi quanto crede. È una intelligente e pia signora (Scr. 30,189).
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Le suore e tua zia non devono girare per la casa, la pulizia la facciano gli eremiti ed esse stiano a dormire da loro, insieme; e, se qualcuna si ammala, la metti con un letto in biblioteca. Fa’ mettere bene in ordine la biblioteca e sta’ attento che non vadano fuori né in giro dei libri (Scr. 30,213).
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Bisogna ben definire quale è e vuole essere oggi il campo vostro: asilo–laboratorio, ricovero–vecchi, collaborare col parroco per l’insegnamento del catechismo, oratorio femminile, accogliere persone che, pur non essendo proprie ricoverate, mostrano desiderio di consacrarsi a Dio o far vita quasi religiosa o portano grande aiuto a voi: dare più vita ad una buona biblioteca per le buone letture, promuovere trattenimenti, passeggiate, lotterie o fiere di beneficenza, a scopo pio (Scr. 39,78).
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Ho mandato nove cassette di libri a Sant’Alberto (e ce ne sono di veramente buoni) e sto mettendone a parte altri ancora, per fare lassù una bibliotechina, sì che chi va trovi, anche nei libri, dei buoni amici (Scr. 45,246).
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Monsignor Emilio Cottafavi Delegato Pontificio Reggio Emilia. Suonate a festa le campane: giovani messinesi dei due oratori festivi riuniti applaudono a lei come a degno rappresentante del Santo Padre Pio X e come a loro indimenticabile amico. Inaugurasi biblioteca popolare circolante a cui prego voglia permettere darsi nome di biblioteca Cottafavi (Scr. 48,167).
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Vicino alla chiesa mi pare che la divina Provvidenza si degnerà far sorgere un ampio oratorio popolare a bene della gioventù tanto insidiata nella fede e nei buoni costumi; annesse vi saranno le opere parrocchiali specialmente pei padri di famiglia e per le organizzazioni operaie cristiane: si apriranno scuole serali e di religione: vi sarà la biblioteca del popolo, vi sarà il teatrino, poi un bel cinematografo e quanto occorre ai giorni nostri per fare un po’ di bene (Scr. 52,20e).
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Ora, allo scopo di fare un po’ di bene alla gioventù ed al popolo, avrei pensato di aprire in Messina, con l’aiuto di Dio e dei buoni, una Biblioteca Popolare Cattolica, poiché si deve con dolore constatare che la cattiva stampa è qui così sostenuta e largamente diffusa che, se non si conoscesse il vivo sentimento religioso dei messinesi, si sarebbe quasi indotti a credere che questa sventurata città, dopo il terremoto, sia caduta in mano delle sette e di una stampa miscredente, sovvertitrice di ogni ordine religioso e sociale. Con la Biblioteca Popolare non si ha la pretesa di redimere Messina dalle sue immense rovine d’ogni genere, ma semplicemente l’intendimento di portare un modesto contributo, affinché essa rinasca cattolica quale fu, e città sempre eminentemente colta e gentile. Si provvede ad un bisogno universalmente sentito, a curare quella febbre di leggere, che vi è oggidì, con letture sane, che attraggono alla tentazione di dissetarsi a fonti inquinate: si diffonde, o concorrerà ad alimentare nei superstiti, la luce della fede che fortifica, la speranza cristiana che consola e la carità di Gesù Cristo che infiamma e ravviva. Fidato nella Divina Provvidenza, che sempre mi sostenne, mi rivolgo pure alla bontà di vostra Signoria illustr.ma per pregarla di darmi il suo valido aiuto. Il concorso, sia esso in denaro oppure in libri, nuovi o usati, giungerà ugualmente benedetto e Dio la ricompenserà dell’opera buona. Si tratta, come ella ben comprende, di una vera opera di conservazione della fede, essendo ormai evidente che la massoneria vuole alacremente attuato in Messina tutto un suo piano di scristianizzamento. Annesse alla biblioteca vi saranno sale di lettura per studenti ed operai e un centro di propaganda religiosa per la diffusione di opuscoli facili e popolari, di foglietti volanti in difesa della verità cattolica e a sostegno del buon costume; ed anche questo confido potere far subito, per l’aiuto dei generosi, dacché il momento è grave, et caritas Christi urget nos! Se l’umile opera è voluta da Dio, come spero, Dio, con la sua grazia vivificatrice, fecondi il piccolo seme di questa parola, e gli dia incremento e benedica largamente ai benefattori (Scr. 52,217).
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Annesso a questa scuola de Artes y Oficios dovrebbe andare, parallelo, un patronato scolastico per la gioventù maschile di Victoria, Patronato che dovrebbe essere la vera casa del giovane, che lo prenda dall’infanzia e lo conduca sino a superare la crisi morale più pericolosa e decisiva della vita. Esso abbraccerebbe le scuole elementari, sino alla sesta, con speciale corso preparatorio alle scuole professionali (Artes y Officios): un oratorio festivo, scuole serali e di disegno applicato alle arti, scuola di canto e di musica, scuola di ginnastica, con sezione di sport, un circolo giovanile, una biblioteca popolare per la gioventù. Così l’educazione di famiglia verrebbe completata e si avrebbero uomini di coscienza, di fede e di ordine (Scr. 52,224).
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Premesso che il sottoscritto sac.te Luigi Orione ebbe dalla distinta Sig.na Giovanna Giovannini, sorella ed erede del compianto Mons. Antonio Bernasconi, protonotario Apostolico e canonico Liberiano, la biblioteca di detto Monsignore, alla condizione che fossero celebrate N. 50 (dico cinquanta) sante messe a suffragio dell’anima del defunto (delle quali N. 30 gregoriane), più un funerale annuo, nel giorno anniversario della morte di lui (11 maggio), dichiara il sottoscritto di obbligare sé e la Congregazione dei Figli della Div. Provvidenza all’adempimento delle suddette condizioni e legato (Scr. 53,244).
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Facciamoci iniziatori di funzioni di espiazione e di propiziazione pel buon esito della guerra: facciamo esercizi spirituali, catechismi; impiantiamo biblioteche popolari per preservare la gioventù, per illuminarla e salvarla nella morale e nella fede (Scr. 61,190).
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Le invio due copie della circolare per la istituzione della biblioteca popolare cattolica e la pregherei di un favore. Se il Berico ne dicesse una buona parola, io tengo qualche amico nel vicentino e forse qualche persona mi potrebbe mandare dei libri. Se ella lo può, faccia passare al cav. Navarotto una copia perché aiuti anche lui, con la stampa, quest’opera buona (Scr. 63,208).
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Vorrei, se piace al Signore, acquistare in San Sebastiano una grande Casa, dove ci starebbe tutto: Asilo, laboratorio, Oratorio festivo, biblioteca, scuola di cucino e di piano e poi Casa a parte per le Suore, a parte sono due fabbricati distinti. Faccia un po’ pregare e preghi tanto anche Lei (Scr. 65,170).
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La biblioteca lasciatela dove è, e punite quelli che la sciupano. È tempo di fare così, con severità. Avvertite tutti e ben chiaro e poi prendete tutti i provvedimenti che sono necessari; ma fatelo (Scr. 67,17).
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Costoro che non vogliono la Chiesa per Madre finiranno col divenire lo zimbello della Massoneria. Vogliono piantare delle biblioteche per diffondere la cultura (l’hanno sempre con la cultura costoro) ma che razza di biblioteche vorranno essere Dio lo sa! Noi non solo strapperemo la maschera, ma opporremo biblioteca, scuola a scuola! (Scr. 69,209).
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Nel Ricreatorio insieme con gli attrezzi ginnastici col teatrino, col cines, vi sarà – se i buoni ci verranno coi fatti in aiuto – vi sarà una piccola bibliotechina per giovani, buone letture, un po’ di musica, passeggiate storiche e ogni altra forma di utile istruzione giovanile (Scr. 76,213).
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Le invio due copie di una Circolare per la Biblioteca popolare Cattolica in Messina. Voglia umiliarne copia al Santo Padre, a Suo conforto, però non mi mandi nulla, che tanto fra poco spero di passare io a Roma (Scr. 79,148).
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Desidero che nelle varie Case vi sia una bibliotechina per le ragazze: libri sani e onesti, non vite di santi, ma libri di svago, che piacciono alla gioventù. Nella Casa di San Sebastiano c’è, e ne sono proprio contento; funziona bene e serve ad attirare la gioventù (Par. I,242).
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Adesso vorrei fare una incetta di quadri e di libri vecchi. A Venezia una volta ho comprato una Biblioteca intera per settemila lire, perché ho visto che lì dentro c’era un Petrarca di pregio. Non gli ho chiesto solo il Petrarca, avete capito?, perché se no mangiava la foglia e poteva sospettare che esso avesse qualche valore; così ho comperato tutto per avere il Petrarca. Faremo poi al Santuario una vera Pinacoteca e una Biblioteca di libri rari (Par. VIII,121).
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Un poeta che conoscete scrisse: Scrivere un libro è men che niente, se il libro scritto non rifà la gente. Che cosa direbbe ora Giuseppe Giusti, se vedesse nelle mani dei giovani libri che, non solo non rifanno, ma disfanno e tolgono i sentimenti più profondi di bontà, di virtù, di moralità? Dunque, cari chierici, mi preparerete una nota esatta dei libri che avete; si creerà una biblioteca perché – adempiti i vostri compiti di scuola e quando risulti che veramente in voi c’è l’impegno che si attende da voi – possiate anche giovarvi del quarto d’ora, dell’ora che vi avanza, leggendo libri che diano alla vostra mente quelle idee che sono necessarie alla vostra formazione intellettuale, senza che vengano storpiati in voi i sani principi della dottrina cristiana (Par. IX,458).
Vedi anche: Cultura, Libri.
Borse di Pane
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Fa’ pregare molto perché, se la mano di Dio non viene in nostro aiuto, noi corriamo al fallimento. Che la Santa Madonna abbia pietà di noi! Se quando venivo ultimamente a Roma non fossi stato ingannato dal Catto, che assicurava di fare per codesto Istituto alcune borse di pane, io non mi sarei impegnato qui e vi avrei potuto aiutare; non ti so dire la pena che provo di non poterlo fare (Scr. 8,96).
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Benemeriti Benefattori e Benemerite Benefattrici, ho letto, sugli ultimi due numeri di questo bollettino della proposta lanciata per le Borse del Pane. Vi dico subito che la cosa mi è piaciuta assai e me ne riprometto un valido aiuto per il mantenimento dei tanti orfani raccolti nelle Case della Divina Provvidenza e di tanti buoni figlioli che dimostrano vocazione ad essere un giorno buoni figli della Provvidenza e Missionari nei vasti campi della evangelizzazione dei fratelli che ancora giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte. L’anno scorso, come sapete, ne ho accolto molti di questi giovani probandi: ne ho riempito talmente la Casa di Tortona, che non era possibile starci tutti. Mi venne incontro con la sua squisita ed illimitata carità il mio amatissimo e Rev.mo Vescovo, il Vescovo di Tortona, Mons. Grassi, che mi concesse per l’alloggio una buona parte del Suo vasto Seminario. Quest’anno la Provvidenza mi manda un’altra grande retata di giovanetti. La sto ora tirando alla barca. Cosa facciamo? Facciamo come le api che quando non campano più nell’alveare, sciamano e vanno a formare degli altri alveari. Proprio così. Si possono forse rifiutare questi nuovi figlioli che la Provvidenza ci manda? E allora ho aperto un altro alveare in Alessandria ed un altro ancora a Voghera che la Provvidenza mi acquistò proprio in questi giorni, nell’ex Convento dei Frati Francescani. In questo di Voghera ci metterò esclusivamente quei probandi che hanno vocazione Missionaria. Vedete dunque, o cari Benefattori, o ottime Benefattrici, se non mi deve arridere la speranza che Voi mi abbiate a riempire tante Borse di Pane per questi futuri missionari. Non vi chiedo troppo; il solo pane quotidiano, come tutti chiediamo al Padre Celeste con la preghiera del Pater noster. Avrei proprio bisogno che entro l’anno mi riempiste almeno 300 Borse di Pane. Un bel tozzetto che ci gettasse dentro ciascuno faciliterebbe l’impresa. Nella seconda pagina di copertina potete vedere le norme per realizzare queste nostre Borse di Pane. Coraggio, miei cari! Siamo in tempi di strettezze economiche, è vero; ma otterrete l’abbondanza appunto con il dare per amore di Dio e delle anime. Chi dà al poverello, i figlioli che accolgo sono tutti poveri, riceve da Dio, ricordatelo! (Scr. 110,125–126).
Vedi anche: Benefattori.
Bugia
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Qui tutti bene: e Voi, ditemi un po’, come state voi? Non dite bugie e non fatele dire (Scr. 19,40).
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Il mentire e il diffidare è cosa sì comune che non si sa più a chi credere. Non vi è più buona fede, né lealtà, né sincerità, non dirò tra quelli che negoziano, sulle fiere, nei mercati, nei negozi, ma pure nelle conversazioni, tra persone che si vantano bene nate ed oneste. Bugie da per tutto, fin nei confessionali: tal che non si sa più a chi credere né di chi fidarsi: mentiscono i poveri e mentiscono i ricchi, mentiscono le serve e dicono bugie anche le padrone. Bugia è ingannare il prossimo o con le parole o con i fatti, far credere ciò che non è. Giocosa: se si mentisce per scherzo, per burla. Officiosa: per scusare sé o un altro, per procurare un bene od impedire un male. Dannosa: per recare danno a terze persone o nella roba o nella stima: nella vita del corpo o nel morale, nella vita dell’anima è la peggiore di tutte. La bugia è sempre illecita, di qualunque sorta; possiamo tacere certe verità che non conviene dire per prudenza, carità, giustizia. Non siamo obbligati a dire tutto a tutti, i nostri interessi a tutti, ma mai bugie (Scr. 86,32).
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Non può far piacere a qualcuno sentir dire e disdire. Mai la bugia! Colui che è bugiardo è vile, non è galantuomo. Dovete essere piccoli galantuomini: se è sì, è sì; se è no, è no, cascasse il mondo; se non volete tradire la vostra coscienza cristiana, se volete godere stima tra gli uomini. Ho stima grande, grande di persone che non sono sotto la mia bandiera, ma so che sono galantuomini e che galantuomini! Voi già giudicate e quindi non vi scandalizzate di ciò che vi vado dicendo. Di certi preti non vi darei un bottone; di certi secolari, anche vadano in chiesa, non ho stima; di onesti ce n’è dappertutto. Anche chi serve la religione può essere bugiardo! La Regina Margherita diceva ad una dama d’onore: «Penso che Umberto non abbia detto una bugia». Anche se domani faceste una mancanza e sapeste che sarete castigati, se dite la verità sarete stimati (Par. III,112).
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Noi invece dobbiamo sempre agire con rettitudine, senza tranelli. Il vostro parlare sia sì, sì, no no. Come ha detto Gesù. Non dir bugie, non imposture, non doppiezze, non intrappolar la gente; sinceri, schietti, leali (Par. III,116).
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Mai dire una bugia volendo mentire, mai fare un’azione indegna, mai offendere un compagno intenzionalmente (Par. IV,342).
Vedi anche: Lealtà, Sincerità.
Buona notte
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione le pratiche di pietà e se si dà sempre la buona notte (Scr. 5,49).
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Questa sera siamo stati insieme per qualche ora, a riandare quei tempi felici e mi pareva d’essere ancora in Italia e d’esser diventato come allora. Ha voluto che dessi la buona notte al personale del Collegio e, poiché domani 31 gennaio, è l’anniversario della morte di Don Bosco, ho ringraziato delle accoglienze ed ho ricordato la santa morte di Don Bosco e come si rimanesse noi in quei giorni all’Oratorio di Valdocco (Scr. 19,17).
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Al caro Padre don Pietro Migliore, da leggersi a principio degli Esercizi Spirituali. I. Dare ogni giorno la buona notte, raccomandando sempre qualche punto dove si vedesse che occorre avvertire (Scr. 29,277).
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Quanto mi hai fatto piacere che tu faccia a tutto il personale riunito, la santa meditazione, la lettura spirituale, il Rosario, etc. Anch’io faccio ogni possibile e dico il Rosario con i chierici, dico loro la Messa, faccio loro la meditazione, visito ogni giorno la infermeria, lo studio, do la Buona notte, e cerco di vivere sotto i loro occhi (Scr. 34,116).
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La buona sera è una pia pratica che consiste nel rivolgere, la sera dopo le preghiere, una buona parola alla comunità raccolta. Dev’essere breve, non oltrepassare i 5 minuti; d’indirizzo spirituale e morale della comunità; sia il superiore della Casa che normalmente dia la Buona Sera. In sua assenza lo sostituisca un confratello atto a tal uopo, ma non si ometta questa pratica (Scr. 115,215).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza ha preso dai Salesiani la costumanza di dare la Buona Notte. I Sacerdoti che fanno da Direttori nelle Case non lascino mai di dare la buona notte ai propri alunni e al personale riuniti per le orazioni della sera (Par. IV,433).
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Avete letto la vita di mamma Margherita Bosco e come è sorta l’usanza della buona sera, della buona notte? A Valdocco, quando il Beato Don Bosco raccoglieva i ragazzi di strada, nel primo tempo dava un po’ di cena e da dormire a quei poveri ragazzi venuti dal Biellese, dalle montagne sperdute, senza modo di vivere, senza che avessero un luogo sicuro da dormire. Allora Don Bosco incominciò ad accoglierli nella sua casa. Ancora adesso, a Torino, nell’anticamera di Don Bosco, c’è il ritratto di Mamma Margherita; ed egli dava loro una parte della sua minestra. Dava poi a quei ragazzi coperte, lenzuola, quel poco che aveva, necessario per potersi coprire; ma, arrivato il mattino, scomparivano le lenzuola e l’altra biancheria... Fu allora che mamma Margherita Bosco, alla sera – sapete come sta a cuore alle donne di non vedersi scomparire la biancheria – dopo che aveva dato il saluto della buona sera, prima di mandare a letto quei ragazzi, incominciò a fare il predicozzo di non portar via la roba. E così è sorta la buona usanza della buona sera. Il Beato Don Bosco poi incominciò a dire qualche buona parola, qualche avvertimento della vita morale e così si è anche sparsa in tutte le case di Don Bosco quella usanza, raccomandando con essa la pietà, lo studio e rivolgendo qualche parola per disporre le anime a qualche novena (Par. VI,56).
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Don Bosco era solito dare la Buona Notte ai suoi. La nostra costumanza di dare la Buona Notte è stata presa da Don Bosco. Don Bosco sempre, nel dare la Buona Notte, si limitava ad un pensiero buono, una esortazione ad amare la frequenza ai Sacramenti o a ricordare certe date gloriose per la fede o per la patria o a commemorare qualche sacerdote o chierico vissuto in concetto di santità. Ogni tanto raccontava qualche aneddoto che faceva del bene (Par. VII,52).
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Sono venuto, sono venuto a darvi la Buona Notte, e sono venuto anche per salutarvi, perché, piacendo a Dio, domani mi assenterò per qualche tempo; per poco o per molto o anche per sempre, come piacerà al Signore. Sono venuto, dunque, a darvi la Buona Notte. Potrebbe anche, sapete, essere l’ultima!... Cari figliuoli, sono venuto a darvi la Buona Notte: potrebbe essere l’ultima! Questa è una Buona Notte tutta speciale, tutta particolare, e voi lo sentite!... Dunque, addio, cari figliuoli! Pregherete per me e io vi porterò tutti i giorni sull’altare e pregherò per voi. Buona Notte! (Par. XII,133–137).
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La buona notte, dopo la preghiera della sera, deve essere di quatto parole e non deve durare più di quattro o cinque minuti (Riun. 4 settembre 1912).
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In certe case le pratiche di pietà lasciano a desiderare. Si tralascia il discorsino della sera. Date sempre la buona sera e magari invitate qualcuno a darla. Da Don Bosco in certi giorni parla il Direttore, alle volte il Prefetto, altra volta l’economo (Riun. 26 agosto 1930).
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Dare sempre la buona sera. È difficile? No, un buon pensiero si trova sempre: una data storica, l’episodio tolto dalla vita di un santo, preghiera, la pulizia, tener d’acconto, obbedienza. Quanto bene si può fare con un pensiero, tutte le sere. Se viene qualche forestiero invitarlo a dire due parole. Bisogna essere brevi (Riun. 31 agosto 1938).
Vedi anche: San Giovanni Bosco.
Calcio (gioco)
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Oggi, senza dirmi nulla, sono andati da soli al gioco del football fuori, ove c’erano uomini e donne, e a pagamento. E stasera se ne sono partiti per Venezia senza neanche più farsi vedere, né salutare per termine di creanza, né vennero a chiedere se avessi avuto qualche commissione per Venezia. Ora dimmi: sono questi gli educatori? Sono questi i Religiosi? Dove si andrà? Io non so o, meglio, troppo lo so (Scr. 2,235).
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Non ti nascondo la pena che ne provo: i divertimenti secolareschi o che la Congregazione non vede bene, si devono fuggire e siano vietati e codesti Chierici ben lo sapevano! E, sapendolo, è poi una aggravante, che ciò sia avvenuto subito dopo gli Esercizi Spirituali. Ma ci mantieni il football? Tu sei già autorizzato ad allontanare da Roma quello o quelli che vedessi, non dico appassionati in tale gioco, ma semplicemente non fervidi nell’indirizzo che, al riguardo, la Congregazione esige. Conviene, anzi è doveroso essere forti; non esitare nel prendere deliberazioni in proposito. Ricorda che il sospettare moderatamente e con qualche fondamento, per il bene delle persone affidate alle nostre cure, non è peccato, è dovere! È da qualche tempo che ti vedo troppo concessivo, anche quando ti ho fatto rilevare che il risultato degli esami era una spiacevole sorpresa, ho visto che tu li scusavi e li scusavi! Eh no, no! Da nessuna parte i nostri Chierici hanno il football e neanche a Roma si abbia, anzi da quei di Roma esigo di più: da tutte le parti si prega, si studia e si lavora, si cresce a vigoroso spirito di disciplina e di mortificazione religiosa e quelli di Roma devono fare di più ed essere all’avanguardia. Che potrei rispondere se i Chierici e i probandi delle altre Case mi facessero rilevare che ad essi no, ma ai signori di Roma il football, sì? (Scr. 8,170).
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Don Ricaldone ha scritto una grave circolare dove si parla dei giochi del football, dello Sport, dei bagni, etc. e si dà la linea da seguire. Non l’ho potuta avere: fatevene dare da don Gusmano due copie: mandatemene una (Scr. 18,96).
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Ora io vorrei che tu ti tenessi più pulito; non ambizione, no, ma pulitezza sì. So che vai a Torino troppo trascurato. E così non sono contento che tu giochi al football, il perché tu lo sai (Scr. 33,13).
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Non bisogna educare i Chierici allo sport, ma bensì alla pietà e alla vita religiosa. Frenare anche nei giovani questa febbre sportiva, soprattutto nei riguardi del gioco del calcio. Si astengano assolutamente i Chierici dal calcio. È avvenuto che un gruppo sportivo di un nostro Oratorio ha tenuto una partita durante le funzioni religiose, provocando le lamentele del parroco del paese (Riun. 21 luglio 1932).
Vedi anche: Divertimenti, Sport.
Calunnie
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Il calunniatore è simile al bruco, che passeggiando sui fiori vi lascia la sua bava e li sporca, ma la mano stessa di Dio si prende cura dell’uomo giusto e non lo ha mai abbandonato ai suoi nemici. Tu abbi fede e sta’ attaccato al Signore e sta’ tranquillo che Dio stesso si prenderà cura di te (Scr. 35,104).
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Un po’ di patire e di calunnie fanno mica male, per l’amore di Dio benedetto. Umiltà, orazione fede, coraggio e avanti! (Scr. 39,64).
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Carissima e veneratissima Madre, o Madre mia, che non hai mai abbandonato nessuno, deh, non abbandonare questo ultimo figliuolo! Non ne posso proprio più... salvami, o mamma cara, salvami con i miei giovani e con il mio Oratorio. Siamo calunniati e siamo abbandonati da tutti... da me non posso più ... se tu non vieni io mi affogo con i miei giovani (Scr. 70,216).
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La mormorazione è un gran male, perché è impossibile riparare tutto il male che fa. In un batter d’occhio essa riempie tutto il villaggio; la calunnia è simile ad una goccia d’olio su un foglio bianco, come una goccia di veleno in un piatto di minestra o di risotto. Voi, che siete brave donne, non ingrandite le cose, ma cercate di intrametterci sempre il bene (Par. V,14).
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Prove, calunnie, fastidi, dolori ne avremo sempre: Dio ci benedice anche del bene che desideravamo compiere, ma che altri, sia il clero o i vescovi, ci abbiano impedito. Sono prove che Dio ci manda; senza dolori non si ha alcun bene: tutti i fondatori e fondatrici hanno sofferto e hanno dovuto combattere (Par. VI,213).
Vedi anche: Carattere, Critica, Mormorazione.
Carattere
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Abbi pazienza con Don Pedrini, caro Don Adaglio, e trattalo con buona cura e con ogni carità. Tu sei un po’ asciutto di carattere e chi non ti conosce ti crede sostenuto; sei dolce di dentro e sii dolce anche di fuori, specialmente con chi ti fa esercitare la pazienza. Ne avrai merito per il Cielo (Scr. 4,152).
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Nel Signore ti avviso che tu farai un gran bene di più se sarai più amabile, più dolce in qualche momento, più espansivo e se farai uno sforzo al tuo carattere un po’ chiuso, per tirare attorno a te le anime e portarle al Signore. Dovrai fare sforzo al tuo naturale, ma il Signore te ne pagherà. Moltissime volte parlandoti insieme si vede subito che dentro sei tutta carità e dolcezza, ma cosa vuoi?, per chi non ti conosce il vederti così alto, così asciutto, molte volte chiude il cuore di chi non ha pratica con te, caro mio Don Adaglio, quindi prefiggiti di essere ben dolce anche un po’ al di fuori e di avvicinare in Domino le anime. Niente può resistere alla dolcezza ed essa è necessaria in noi come la prudenza (Scr. 4,221).
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Tu sai, caro Don Risi, quanto ti amo nel Signore, ma, appunto per questo, ti supplico di moderare con la carità il tuo carattere forte e di conquistare il cuore del personale che hai d’attorno a te e la tua popolazione. Fa’ di essere il padre e la madre dei tuoi Sacerdoti e dei Chierici e del personale della Casa, nonché del tuo popolo (Scr. 7,315).
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L’educazione del Clero deve essere più che l’educazione della gioventù e l’educazione dei Religiosi deve essere più che quella dei Seminaristi e le giovani Congregazioni più che le vecchie. Infondi nelle anime dei nostri una forte volontà e un’alta idea del loro dovere religioso: forma il loro carattere morale, ancor debole e vacillante, con la luce di Dio e con costanza e fermezza (Scr. 8,171).
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I Chierici che si mandano alle Sette Sale perché frequentino la Gregoriana, devono avere buona salute, particolare attitudine agli studi ed essere di ottimo spirito religioso. Possibilmente dovranno non solo avere i voti, ma aver anche fatto il tirocinio pratico, con piena soddisfazione dei Superiori delle Case dove furono ed avere un buon carattere: questo è da tenersi sempre presente; più forte volontà, sia nella pratica della virtù e vita religiosa che nella applicazione allo studio (Scr. 8,206).
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Ora io prego te, figlio mio, di modificare molto il tuo carattere un po’ rigido e di diventare l’idolo in Domino dei fratelli che la Divina Provvidenza ti ha collocato ai fianchi. Non debolezze, ma interessamento al loro bene, anche dimostrandolo e non solo nel cuore come certo, tu fai; vigila sempre, ma poi non stare muto con loro; così non ti accaparri il loro affetto: va’ a loro, aiutali, correggili, ma finisci sempre con una buona e santa parola di conforto, che li sorregga, che li rianimi. Fa’ che sentano che tu li ami in Gesù Cristo, che sei sincero con loro, che vuoi veramente il loro bene, che nulla trascuri per la loro salute, per il loro profitto, per la loro formazione religiosa, per la loro anima. Cerca poi anche con tutti gli esterni di farti più amare che temere: sii dignitoso, ma sorridente sempre, sì da lasciare in tutti un raggio di Dio dove passerai o dove arriverà la tua parola (Scr. 22,121).
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Vedi un po’, caro mio figliolo, di modificare il tuo carattere in modo che la convivenza con te diventi facile e non pesante e dura e impossibile. I santi sapevano render lieta la vita, sapevano rendersi amabili, tiravano a sé, per tirare a Gesù e non avevano forza repulsiva né erano tediosi! (Scr. 24,77).
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Vi sono dei tipi che sono fatti per farsi aprire tutte le porte e aprirle alla Congregazione, vi sono altri tipi, che si direbbe che portino una specie di iettatura o una forza non centripeta, ma centrifuga: disgustano, alienano gli animi e, da per tutto dove vanno, non edificano, ma compromettono se pur non finiscono di urtare, di creare dispiaceri e litigi e di far chiudere le case. E sono, nel resto, di vita buona sacerdotale, ma fatti più per rompere che per aggiustare. E, purtroppo, in Congregazione ce n’è più d’uno che potrebbe rendere immensamente, operare gran bene, ma, per tale carattere, finisce di diventare quasi inutile, se pur non è causa di disagio morale e di malcontenti. E i primi a restarne male è la Congregazione stessa e sono essi medesimi; ma il guaio è che essi sono, sovente, così pieni di sé, che non vogliono riconoscere dove sta la causa del male che ne viene o del bene che non ne viene (Scr. 26,230).
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Prega, prega di più e chiedi al Signore la santa umiltà e la carità e il buono spirito di unione con i tuoi confratelli; una delle mie pene più grandi è il timore che ho, che mandando del personale, tu me lo abbia presto a disgustare con quel tuo carattere così pieno ancora, purtroppo, di te stesso e di caparbietà. Non scrivo questo per confonderti, o caro figliuolo mio, ma con il pianto nel cuore e per dovere paterno e con il più vivo desiderio di vederti più di spirito (Scr. 51,2).
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Avere sortito da madre natura un buon carattere può essere indizio di vocazione. Certi caratteri escludono ogni probabilità di vocazione. Chi è facile all’ira, pronto all’ingiuria, tardo o negativo nel perdonare, chi è litigioso, cupido, non deve farsi sacerdote. Chi non ha cuore nobile, generosità di sensi, magnanimità, non deve farsi della Congregazione. Chi è insofferente di disciplina, restio all’obbedienza, facile alla ribellione, insubordinato, non deve farsi della Congregazione. Chi è sempre pronto alla critica, mordace, maldicente, mormoratore, volgare seminatore di zizzania. Studiate il vostro carattere e, occorrendo, correggetelo, emendatevi ricorrendo a Dio (Scr. 56,165).
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Esto vir et non frasca. Esto vir nell’amare Dio, Maria SS.ma, il Papa, la Chiesa, la Congregazione. Esto vir nel carattere franco, sincero, leale, cristiano, senza ondeggiamenti, senza sbandare. Esto vir nella costanza dei buoni propositi, nella pietà, nella preghiera, nello studio, nel vincerti, nel combattere la buona battaglia per mantenerti fedele, per vincere il nemico, sradicare le passioni, praticare la virtù, disciplinarti con la fatica. Esto vir nel dovere, in tutti i doveri. Esto vir nella fede, nel dare buon esempio ed edificare i fratelli. Esto vir, via il rispetto umano, saluto cristiano, segno cristiano, saluto civile e romano. Esto vir e non un automa, non una formalità, non un mercenario, non un impiegato, ma un figlio. Esto vir: buone opere e non ficulnea da recidersi. Esto vir, ricordati che sei, che devi essere miles Christi, coraggio, generosità, sacrificio, magnanimità. Esto vir, non lasciarti atrofizzare il cuore e la mente. Esto vir nelle prove, calmo nei dolori, tribolazioni, nel sostenere la verità e fare il bene. Esto vir nella vocazione e non frasca! (Scr. 57,132).
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È proprio del sistema razionale e paterno che il Sac. Orione si propone di applicare, imprimere nelle menti dei giovani un’alta idea del dovere. A formare il carattere morale e infondere in essi una forte volontà, principio d’ogni buona riuscita e poi dare alla verità morale quell’infinita luce che divinizza le anime che la ricevono (Scr. 79,304).
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Guarda che l’anima ha bisogno d’essere alimentata e tu le darai ogni giorno Gesù Cristo e orazione molta. Esto vir: sii uomo, vivi di cristianesimo e sii di carattere, non subire gli strascinamenti della folla che applaude o fischia, non vivere la vita della moda o dell’opinione altrui, non essere schiavo di partiti o di correnti (Scr. 80,322).
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La nostra piccola Congregazione deve essere corde magno et animo volenti, una famiglia religiosa di caratteri fermi e di elementi generosi; una Congregazione di umili e di forti nella fede e nella volontà di santificarsi con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ai piedi della Santa Chiesa nel rinnegamento pieno di noi e in olocausto d’amore a Dio, sorretti dalla grazia del Signore, che non lascerà di confortarci: e tutto e solo a gloria di Dio e a conforto della Chiesa. Il nostro carattere deve essere ardente, leale, retto, magnanimo, ma tenero insieme e vivificato dalla carità del Signore e, nella carità, generosissimo sempre. Generosissimi con Dio, senza limiti e generosissimi con le anime dei fratelli, per la carità di Cristo. Bisogna, miei cari figli, che ci diamo a servire Dio ed il prossimo con amore santo, dolcissimo, con intelligenza e con animo grande, ardente di slanci sublimi, sino alla consumazione di noi, generosissimamente! (Lett. II,359).
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Uno dei fini della pedagogia cristiana è quello di formare il carattere. Per formare un carattere leale, retto, deciso, ci vuole spirito di sacrificio. Nostro Signore Gesù Cristo ha detto: «Qui vult venire post me, abneget semetipsum». Sacrificio, dunque, occorre. Il rinnegamento di noi stessi è il più grande sacrificio. Vi sono dei ragazzi che sanno vincere sé stessi, altri invece fuggono lo spirito di sacrificio (Par. III,108).
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Cercherò, anzi, vi parlerò con il cuore e mi perdonerete se qualche volta vi sembrerà, il mio linguaggio, un poco aspro, un po’ forte, o miei sacerdoti, cari chierici e cari giovani. È dovuto al mio carattere piemontese: i piemontesi sono tutti così; sarà forse dovuto al mio carattere che non ho ancora domato... Sento una grande responsabilità però al bene della nostra Congregazione (Par. VI,206).
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Don Bosco aveva di frequente sulle labbra questa espressione: Esto vir et non frasca; metà latino e metà italiano: Esto vir et non frasca! Nel nostro dialetto, essere frasca vuol dire essere uomini che si muovono ad ogni aura di vento. Le frasche si agitano or di qua or di là. Don Bosco era anzitutto un cristiano ardente e un sacerdote forte ed era un piemontese e di quei piemontesi massicci, forti; era un carattere forte. Esto vir et non frasca! Che voleva dire: sii uomo di carattere e non una banderuola. Anch’io, educato per divina grazia alla scuola di questo Santo, più di una volta ho detto a me stesso questa esortazione e questa sera, senza offendervi, dico anche a voi: Esto vir et non frasca. Dobbiamo essere gente di carattere, non dobbiamo essere dei girella. Vi fu un poeta, a cui nocque la poca cultura, benché avesse fama di poeta, che scrisse una poesia intitolata Girella. Mi ricordo d’aver letto che egli voleva non essere una banderuola e lasciò per sé, direi, questa epigrafe che cito a senso: «È buon per me, se avrò almeno in sorte, dopo la mia morte un sasso, su cui ci sia scritto: non mutò bandiera». Carattere, carattere! E prima di lui un poeta, immensamente più grande di lui, scrisse: «Uomini siate e non pecore matte!». Sii uomo! Esto vir et non frasca. Esto vir! Sii uomo! Et non frasca! Non essere una frasca che si muove ad ogni alito di vento! Quindi io vorrei che la nostra piccola Congregazione, che è sul suo formarsi, fosse un’accolta di uomini di carattere, di religiosi di carattere! Meglio un giorno, anzi un’ora leone, che un anno da pecora. Esto vir et non frasca! Sii uomo: cioè, sii fermo, saldo, «come torre che non crolla giammai la cima per soffiar dei venti». Carattere! Tutti i santi e tutti gli uomini grandi, anche indipendentemente dalla luce della fede, furono uomini di carattere. Il nostro Dante, Galileo Galilei, Alessandro Volta, Manzoni, Pellico, furono grandi uomini perché grandi caratteri. Quando uno è uomo di carattere è stimato anche dai suoi avversari! Carattere! Noi ci siamo dati a Dio, alla Chiesa, alla Congregazione. Esto vir et non frasca! Esto vir nell’amare Dio sul serio, non a ciance, a chiacchiere, a parole, ma a fatti! Con una vita degna coltivando la virtù, conformando la nostra vita alla vita di Gesù Cristo, come abbiamo meditato questa mattina (Par. IX, 399).
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Oggi è la festa della Mater Dei, la Madre di Dio e Madre nostra. Cerchiamo di amarla come figli, degni figli; cerchiamo di darci a servirla, non a vernice e a chiacchiere: essere figli degni, militi degni, apostoli degni! Esto vir et non frasca! Essere forti nella professione e pratica delle virtù della vita religiosa! Non lasciarsi girare; non diventare dei Girella, dei disertori! Esto vir et non frasca nella fede; una fede forte in noi e da trasmettere, da trasfondere e da ingigantire negli altri. Non essere come una donnicciola, come una cosa labile, fiacca, debole! Esto vir! Essere forte nella costanza del bene e vincere, con la bontà e con il bene, il male. Esto vir nella costanza, nella battaglia contro le passioni, nella fortezza per mantenersi fedeli a Dio in tutto. Esto vir per mantenersi fedeli ai doveri di ogni genere e sotto ogni riguardo: doveri religiosi, doveri per quanto si riferisce alla pietà, allo studio, alla disciplina, alla osservanza delle regole. Esto vir! Mantenersi fedeli, di carattere forte, costante. Esto vir... Essere calmi nelle prove. La vita è una milizia, la vita è pugna, la cui palma è il cielo. Esto vir! Sii un uomo! Esto bonus miles Christi! Sii buon soldato di Cristo se vuoi meritare un giorno la corona che si darà a colui che non ha piegato e non a chi sarà stato un debole, un fiaccone per non dire un disertore ed un apostata. Esto vir! Sii uomo forte da meritare di vincere il rispetto umano nel fare il bene. Esto vir! Sii veramente un chierico pio, composto, raccolto, modesto. Edifica i tuoi confratelli e quanti ti vedranno con la tua fermezza, con il tuo carattere; edifica con le tue virtù, con la compostezza, dignità di comportamento quanti ti osserveranno. Esto vir. Non essere di quelli che sbandano e ondeggiano e non valgono niente per sé, per la Chiesa, per la società. Esto vir. Non avere vergogna di salutare il tuo fratello con il saluto cristiano: Sia lodato Gesù Cristo. E non avere vergogna di salutare nella vita civile, come ora l’autorità prescrive, alzando la mano, salutando romanamente, perché a romanitate omnis salus; la romanità è la salvezza del mondo, da lei dipende la vita, la salute di tutto il mondo, disse Tertulliano. Non vergognarti di indicare altamente il tuo carattere di chierico, di sacerdote, di cristiano, di italiano (Par. IX, 400).
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Il carattere, o cari miei chierici, lo portiamo da madre natura. Non dipende dalla nostra volontà o almeno, non dipende totalmente dalla nostra volontà; lo portiamo dalla nascita. Si può, alcune volte, si può il più delle volte, si può, si deve migliorare, correggere, domare; tuttavia non si può sostituirlo del tutto. Il carattere buono può essere segno di vocazione; il carattere cattivo può essere la negazione di quello che è la vocazione. Chi, per carattere, vedesse tutto nero, fosse sempre pessimista, chi non sentisse il suo cuore aperto al bene, alla carità, chi fosse sempre geloso, invidioso del bene degli altri, chi si sentisse molto portato alla terra, chi avesse carattere litigioso, non si faccia sacerdote. Chi avesse un carattere che è ribelle al bene – essendo la missione del sacerdote di far del bene – non si faccia sacerdote. A meno che con la preghiera e con un assiduo esame di coscienza e con un costante sforzo sopra di sé, non si senta di vincere il male con il bene e di piegare in meglio il proprio carattere. Per questo, o cari miei chierici, c’è l’esame di coscienza; l’esame di coscienza c’è per correggersi dei propri difetti e per formarsi il carattere. Quanto saggiamente la Santa Madre Chiesa impone ai religiosi l’esame di coscienza (Par. IX,449).
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Ho detto che, chi portasse da natura un carattere negativo al bene, non deve farsi Sacerdote, non si deve fare religioso, non deve restare nella Casa della Divina Provvidenza, nella Congregazione. Chi si sentisse di spirito volgare, chi – attenti bene! – non sentisse altamente, chi non si sentisse il cuore pieno di generosità, pieno di magnanimità, di sacrificio, non si faccia sacerdote. A meno che pregando, facendosi forza – perché Regnum caelorum vim patitur – non si senta di farsi violenza e far della sua vita un olocausto per il bene delle anime. Bisogna esaminare bene il proprio carattere e correggerlo e dominarlo e migliorarlo! Per questo c’è l’esame. Quello che si sentisse insofferente di disciplina, orgoglioso, indipendente, insubordinato, non si faccia religioso. A meno che pregando, lottando, sradicando, correggendo, si senta capace di migliorare il proprio carattere. I mormoratori, i seminatori di zizzania e quelli che sono assai portati alla critica e che non sanno vedere la trave negli occhi propri mentre non sanno che vedere la busca di paglia negli occhi del proprio fratello, non si faccia della Congregazione (Par. IX,450).
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Dobbiamo crescere con un carattere leale, aperto, nemico di ogni impostura, nemico di ogni doppiezza. Siate sempre franchi, a costo di prendervi un castigo; non avvilite voi stessi con la menzogna. Si troveranno sempre male coloro che non hanno un carattere schietto e il cui modo di agire e di operare non è diritto ed evangelico! (Par. IX,501).
Vedi anche: Compatimento, Direzione spirituale, Disciplina (religiosa), Esercizi spirituali, Fortezza (virtù), Mansuetudine, Pazienza, Perfezione (virtù), Rinnegamento di sé.
Carcerati
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Il fine nostro è di gettare nei cuori l’amore di Dio nel cuore di tutti, ma specialmente dei piccoli, dei poveri e degli afflitti da ogni male e dolore e dei carcerati, specialmente dei carcerati pei quali non si è fatto ancora nulla (Scr. 67,166).
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Adesso sento che devo fare qualche cosa: sto pensando ai minorenni, che escono ogni dì dalle carceri, molte volte senza casa, senza pane, senza una buona mamma che li accolga. Sono i più cari a Gesù: molte volte diventano cattivi e borsaioli quasi per necessità, se fossero in campagna e rubassero da mangiare, sarebbe niente, sono in città, ed ecco che li cacciano in prigione, dove si guastano e crescono poi birbanti (Scr. 68,197).
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Mi è dolce ricordare che i primi voti canonici furono emessi nella gioconda solennità di Pasqua, anniversario della mia prima Messa, nella cappella del palazzo Vescovile di Tortona. La terza volta li ho fatti ancora a Tortona, sempre nelle mani del nostro Ven.mo Vescovo, in luogo un po’ differente, se volete, dalla splendida Basilica di San Pietro, cioè nella nuda e ben squallida cappella delle carceri, e presenti i poveri prigionieri. Domandai di emetterli in quel recinto di dolore e di infelicità, e perché luogo a me carissimo, ove da Chierico andavo, con l’aiuto di Dio, insieme con il Rev.mo Canonico Ratti, e dove la bontà del Signore mi aveva largite singolari misericordie (Scr. 82,96).
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Vi scrivo con un senso profondo della mia indegnità, ma con grande letizia e sicurezza e confidenza nel Signore. Il Signore vuole proprio che si faccia qualche cosa per i piccoli, che escono dalle prigioni. Io l’ho pregato a lungo che mi parlasse chiaro per timore non fosse un capriccio mio, un’opera di sentimento mio. Assicurerei accettare fra due anni o almeno almeno fra un anno per potere provvedervi in modo soddisfacente. Quanto alle condizioni mi rimetto a Lei nella quale ho tutta la fiducia. Io non rifiuterò gli aiuti dei nostri, ma preferirei che l’aiuto venisse dagli altri anche massoni, ebrei, ecc. perché dovrà essere un’opera particolare, tutti devono redimersi (Scr. 87,120).
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Coraggio! Per farti santo che ti gioverà tutto il resto se non sarai santo? Visita gli ospedali, visita i carcerati e prigionieri, visita gli ammalati poveri, limosina sempre ai poveri o in denaro o in altro almeno con tre parole e un abbraccio, fatti mostrare dove stanno e digli dove sono i poveri ammalati da volere consolare e confortare. Quando non avrai più niente va’ dai preti canonici e parroci o Vescovo o dai seminaristi. Fatti dare quanto hanno di buono per i carcerati, falli confessare: va’, presentati a chiunque per attenere di andar da loro: da’ tutto, anche la camicia, purché tu tenga la vita (Scr. 96,15).
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Sento un gran fuoco di amore dolce che mi porta a darmi ai minorenni usciti di carcere ai quali finora poco o nulla si è pensato. Da queste prigioni di via Giulia ne escono due o tre al giorno e altrettanti ne entrano; io non posso più stare. Il Signore mi ha dato già le carceri di Tortona, adesso voglio questi cari piccoli che sono i più cari a Nostro Signore. Tenterò una Colonia Agricola per essi, hanno bisogno della campagna, anche la luce elettrica li spinge al borseggio e al male. Il Signore e la Santa Chiesa saranno con me e tutti saranno con me, e chissà che amando Dio possa fare un amore di Dio e di tutti questi piccoli per tutte le grandi città (Scr. 118,1).
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Le Carceri di Tortona sono affidate alla nostra Congregazione per l’assistenza spirituale dei reclusi. Io mi ci recavo fino da Chierico per servirvi la Santa Messa; anzi allora volli imparare a suonare il mandolino e mi recavo sotto le finestre delle carceri a suonare, acciocché i poveri condannati mi sentissero, si rallegrassero e fossero distolti dai cattivi pensieri che poteva loro suggerire la penosa solitudine. Fui trattato da matto ed accusato a Monsignor Vescovo, il quale mi chiamò a sé, ma non mi proibì di andare a suonare (Par. IV,397).
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Ho visto in Argentina al Marcos Paz una colonia di condannati: erano rinchiusi in recinti circondati da alti reticolati, vigilati da agenti di polizia. E lì mandavano giovani detenuti dagli 8 ai 24 anni e di questi più di 100 avevano ucciso! Mi fecero vedere le celle dove erano rinchiusi; stavano in anguste cellette dove a mala pena ci stava una persona in piedi; il cibo era introdotto attraverso dei fori. Mi aprirono alcune di quelle celle e ne veniva fuori un fetore nauseante. Erano giovani scarni, coperti anche di animali immondi e quei disgraziati avevano gli occhi fuori dalle orbite, sempre chiusi! Cose da spaventare (Par. V,4–5).
Vedi anche: Apostolato, Carità, Opere di misericordia.
Carducci Giosuè
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Vi mando due poesiole del Carducci, che, se si fa a tempo, gradirei le metteste in fine dell’opuscolo Poesie Religiose per la V e VI elementare, possibilmente unite, cioè una dopo l’altra (Scr. 14,173).
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So che codesti nostri di V sono piuttosto debolucci in italiano, e per questo mi parrebbe che la lettura del Carducci sarà pane troppo duro pei loro denti e di effetto troppo forte su dei nervi ancora troppo deboli. Letture, facili, letture facili, e presto assimilabili, ci vogliono: sono bambini in italiano! (Scr. 26,169).
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Tanti saluti a don Curetti e a tutti, alti e piccoli, ma siamo tutti piccoli davanti a Maria, non è vero? Lo dice anche il tuo Carducci: «china la fronte Dante e Aroldo». Basta non finirei più, se parlassi della Madonna. Eh!, se ti attacchi alla Madonna, sei salvo e farai un grande cammino! Essa ti parlerà e il tuo cuore intenderà e quel contrasto d’animi, di pensieri, di passioni, d’opinioni che ora ti agitano tanto in certe ore grigie, saranno vinte da te con la fede, con l’umiltà, con la preghiera che vince ogni battaglia (Scr. 26,170).
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Tutti siamo fragili, caro don Lorenzo, ma sempre e umilmente dobbiamo pensare che non v’è uomo più fragile di noi. L’Imitazione di Cristo, questo «sublime libro religioso», come l’ha detto il Carducci, dice: «Reputare sé un nulla, e degli altri avere sempre buona e alta stima, è grande sapienza e perfezione». E poi aggiunge: «E se tu vedessi qualcuno peccare apertamente o commettere gravi falli, non ti dovresti perciò credere migliore di lui, perché nessuno t’ha detto quanto tu possa perseverare nel bene» (Scr. 40,135).
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Quante anime e quanti popoli sono arrivati a Cristo o hanno sentito Cristo per le vie luminose dell’arte, nel fascino della poesia, nel canto della fede! Non per nulla Carducci ha cantato che avanti a Cristo «i piccoli mortali scovrono il capo, curvano la fronte Dante ed Aroldo». Alla religione il compito di essere il fondamento e lo spirito informativo di ogni altro insegnamento (Scr. 53,23).
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Da Dante a Petrarca sino al Manzoni e a Carducci quali inni sublimi e tenerissimi alla Vergine cantò l’italica poesia! La poesia italiana è il cantico della Madonna (Scr. 56,217).
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Caritas Christi urget nos! «Già troppo odiammo!», ha gridato il Carducci, che morì credente e, pare, qualcosa di più, e fu troppo debole per dirlo forte (Scr. 61,93).
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Col Divino aiuto, farò sempre quanto potrò per il suo figliuolo in X.sto, e ne spero bene. Quanto al Carducci, il fatto avvenne a... e il poeta stava benissimo. Però egli non si rivolse ai Sacerdoti di... ma, dopo avere passeggiato buona parte della notte, disturbando anche la quiete di chi lo ospitava, la mattina per tempo salì al Piccolo San Bernardo dove cercò dell’Abate... e con quell’uomo, di grande fede e pietà come di non minore scienza mise a posto le cose dell’anima sua. Come già dissi, per ora non mi parrebbe ancora prudente parlare di questo, ma, intanto, ringraziamone il Signore; spero che si potrà a suo tempo, pubblicare una, forse due lettere che, in modo irrefutabile, dimostreranno la fede e la conversione del Poeta, il quale non aspettò in punto di morte, come non aspettò in morte a sconfessare o a dare a certe sue poesie un’interpretazione meno settaria (Scr. 67,257).
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«Chi segue me, non cammina nelle tenebre», dice il Signore (San Giovanni, VIII). Ed è con queste parole di Cristo tolte dal Vangelo di San Giovanni che si apre quel grande libro che il Carducci, ha chiamato «il più sublime libro religioso del medio evo»: la Imitazione di Cristo (Scr. 86,83).
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L’Italia ha avuto in questi ultimi secoli due grandi scrittori: il cantore di satana, il Carducci, e il cantore di Cristo, della fede, della sua nascita, della sua morte e della sua gloriosa risurrezione, il Manzoni. Carducci morì bene, lo possono testimoniare chi l’ha assistito e due lettere che, per ora, non si possono pubblicare per prudenza e delicatezza, ma che qualcuno ha (Par. VI,230).
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Infelice colui che non sente il beneficio della confessione! Così pensava Dante, il Petrarca, D’Azeglio e persino Dumas! E quando si potrà stampare una pagina di Carducci a Courmayeur, allora si saprà come Carducci sia rinato a Cristo! (Par. XI,235).
Vedi anche: Letteratura, Manzoni Alessandro.
Carissimi
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Appena potete, mandatemi Tonoli con almeno altre tre o quattro Carissimi e, se tanti non poteste subito, mandatene, per ora, due, oltre Tonoli: se fossero due bravi Eremiti, meglio, ma con la testa a posto, di pietà sicura, di vocazione sicura e di buona volontà di lavorare. Se fossero Eremiti, viaggino in abito borghese, portandosi l’abito religioso, almeno due. Che se, invece, fossero Carissimi, siano di assoluto buono spirito, «garantiti» e portati per l’agricoltura, già coi voti: oltre allo spirito di pietà, abbiano la passione del lavoro per santificarsi e non abbiano paura di sporcarsi le mani con il coltivare la terra per dare pane, latte, verdura e carne ai poveri del Cottolengo argentino. Allora però bisogna con i carissimi e Tonoli, mandare uno che possa fare loro scuola e che, quindi, abbia fatto la filosofia e faccia ora il tirocinio, lavori e faccia scuola e sia sicuro per lo spirito religioso (Scr. 18,91).
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La grazia e la pace di N. Signore Gesù Cristo siano sempre con noi! Ti accompagno i due «fratelli carissimi» Tosinazzo e Torresan, i quali faranno a Voghera il loro probandato sino all’Immacolata e poi vestiranno l’abito e cominceranno, forse anche a Voghera stessa il loro noviziato. Essi porteranno sulla veste talare la fascia e si lasceranno crescere la barba. Quindi da oggi non devono più farsi sbarbare (Scr. 23,165).
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Ho scritto al don Giacometti che sono disposto a ricevere il Mani Alberto, ma quale «Carissimo»; Carissimi chiamiamo i fratelli coadiutori (Scr. 44,271).
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Ai carissimi Figli della Divina Provvidenza: Sacerdoti, Chierici, Eremiti ciechi e veggenti, agli Aspiranti, detti Carissimi e ai probandi. Alle Suore Missionarie della Carità, alle cieche Adoratrici del SS.mo Sacramento e alle Figlie della Madonna della Guardia. Agli indimenticabili miei Benefattori e Benefattrici, nonché ai cari miei orfani: ai nostri buoni Vecchi e Vecchierelle, a tutti i Ricoverati, sani o infermi; ai Giovani, che vengono educati negli Istituti e Scuole della Piccola Opera e a quanti vivono nelle case della Congregazione, sotto lo sguardo materno della Divina Provvidenza. A tutti e a ciascuno mando in Domino il mio saluto più cordiale (Scr. 119,89).
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Il Signor Don Rinaldi è vocazione tardiva. Don Zanocchi è vocazione tardiva. Io li chiamo Carissimi perché sono i miei carissimi. Alcuni hanno lasciato l’impiego, alcuni avevano una discreta proprietà. Costamagna è tale che gli possiamo dare in mano una casa. Il Ragionier Calegari, il Ragionier Pellicciotti, Pesce Ranieri, tutti e tre con un impiego di almeno 1.500 lire al mese e poi a Natale e a Pasqua doppio mensile, sono tre elementi d’oro sotto ogni riguardo (Riun. 27 agosto 1930).
Vedi anche: Fratelli coadiutori.
Carità
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Sopra tutto desidero vi sia tra di voi grande vincolo di carità: grande spirito di disciplina e di unione e grande osservanza nella vita religiosa. Fate tutto con carità, ma con decisione. Vegliate, amate in Gesù Cristo Crocifisso, sopportate, perdonate e pascete le anime dei Religiosi a voi affidati con la soave e deliziosa pastura della carità e umiltà (Scr. 1,97).
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Dobbiamo essere bollenti di fede e di carità e avere sete di martirio; e infondere questa sete e questo fuoco di ardentissimo amore di Dio e delle anime in tutti i membri della Congregazione. Apostolato e martirio: martirio e apostolato! Avere un gran cuore e una più grande carità, e vivere la divina follia delle anime. Noi dobbiamo essere gli inebriati della carità e i pazzi della croce di Cristo Crocifisso; ma forti, non fiacchi (Scr. 1,272).
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Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un’opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio. Gesù è venuto nella carità, non con la eloquenza, non con la forza, non con la potenza, non con il genio, ma con il cuore, con la carità (Scr. 4,280).
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Noi Sacerdoti non dobbiamo essere che carità. Tutto il resto conta poco o nulla davanti al Signore. Tu ora, o figliuolo mio, non mi capisci ancora del tutto su questo e per ciò ti lasci trascorrere ad espressioni e sentimenti che domani cadranno, e sarai tu il primo a deplorare e a trovare non giuste; ma più andrai avanti e più intravedrai nel Signore e vedrai che solo dalla carità viene il rinnovamento di tutto nel bene e che noi Sacerdoti siamo chiamati solo o sopra tutto a questo: a rigenerare noi e a salvare gli altri con la carità. Ora io ti prego nella Carità di Gesù Cristo di fare della tua vita un olocausto al Signore sulla croce della carità e dello spirito religioso (Scr. 4,286–287).
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Se avete tutti l’amore di Dio e desiderio di servirLo, come non ci può essere unione? Lo spirito del Signore, l’amore del Signore è spirito ed è amore di unione e di carità reciproca. La nostra forza sta nella carità, che è Dio, e nell’unione, il cui vincolo è Gesù Cristo. Abbiate spirito di compatimento reciproco, perché tutti abbiamo i nostri difetti e fate atti di umiltà gli uni con gli altri (Scr. 5,306).
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La pazienza è la perfezione della virtù insieme con la carità: la carità paziente infonda in te e in tutti la pace e il gaudio di compiere la volontà di Dio e le mani della SS.ma Vergine alleggeriscano i vostri pesi e patimenti ed Essa vi dia animo forte nella carità paziente e confidenza in Dio che vede tutto, che sa tutto, che tiene conto di tutto, che ricompenserà di tutto! (Scr. 5,423).
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La carità non misurarla con il metro: fanne più che puoi, ché Dio nascerà suoi tuoi piedi! Sii largo con i poveri, sii pieno di dolcezza con le povere e con la povera gente e non avere vergogna di chiedere tu la carità ai ricchi per i tuoi cari poveri! Fatti benedire dai poveri! Caro Don Risi, fatti benedire dai poveri e fa’ tutto e amali e consolali per l’amore di Gesù Cristo e Dio sarà in te e sui tuoi passi! (Scr. 6,191).
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La carità è delle virtù la regina. Per questo non acquetiamoci, finché non ci sarà dato di avere in noi e di vedere fiorire nei nostri fratelli e nelle nostre Case la Santa carità fraterna, che al dire di San Paolo, è vincolo di perfezione. Se possederemo questa vera e perfetta carità del Signore, non cercheremo punto noi medesimi, ma solo desidereremo tutto che è gloria di Dio e della sua Chiesa, e che tutto si faccia, non a gloria nostra, ma a maggior gloria del Signore. Chiediamo alla Madonna SS.ma che è Madre del Celeste e Divino Amore, che dia alle anime nostre una grande fiamma di amore di Dio, di vera carità del Signore, tale che ci stringa tra noi inseparabilmente e nella vita e nella morte, nel divino servizio della Chiesa e delle anime. Che ci stringa tra noi e con tutti anche nel soffrire i difetti dei nostri fratelli e del prossimo, con forte e diuturno esercizio di pazienza. Carità anche con noi stessi (non tolleranza o debolezza del male, o colpevoli accondiscendenze di noi di ciò che non è virtù, ma fosse in debolezza e tiepidezza di vita religiosa), carità con noi stessi nel sopportare il disgusto dei nostri propri difetti (Scr. 20,77).
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Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito; tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra, e non più. Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità. Noi dobbiamo dunque chiedere a Dio non una scintilla di carità, come dice l’Imitazione di Cristo, ma una fornace di carità da infiammare noi e da rinnovellare il freddo e gelido mondo, con l’aiuto e per la grazia che ci darà il Signore. Avremo un grande rinnovamento cattolico se avremo una grande carità. Dobbiamo però cominciare ad esercitarla oggi tra di noi: a coltivarla nel seno dei nostri Istituti, che debbono essere veri cenacoli di carità. «Nemo dat, quod non habet»: non daremo alle anime fiamme di vita, foco e luce di carità, se prima non ne saremo accesi noi, e molto accesi (Scr. 20,78).
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La carità dev’essere il nostro slancio e il nostro ardore, la nostra vita: noi siamo i garibaldini della carità di Gesù Cristo. Niente più mi spiace che adoperare quel nome in cosa sì santa, sì pura, sì divina, ma lo faccio onde più esprimermi. La causa di Dio e della Sua Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere: non penetreremo le coscienze, non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla Chiesa, senza una grande carità e un vero sacrificio di noi, nella carità di Cristo. Vi è una corruzione nella società spaventosa, vi è una ignoranza di Dio spaventosa, vi è un materialismo, un odio spaventoso: solo la carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni e salvarle. Ma ogni moto non giova, o poco giova se non ci impadroniremo della gioventù, delle scuole e della stampa: bisogna prepararci con grande amore di Dio e riempirci il petto e le vene della carità di Gesù Cristo; diversamente faremo nulla: apriremo un solco profondo se avremo una profonda carità. Che avrebbe mai fatto San Paolo senza la carità? Che avrebbe fatto San Vincenzo de’ Paoli senza la carità? Che avrebbe mai fatto San Francesco Saverio senza la carità? Che avrebbe fatto il Cottolengo senza la carità? Che avrebbe fatto il ven. Don Bosco? Nulla, nulla, nulla, senza la carità! Senza la carità non avremmo né gli apostoli né i martiri né i confessori né i Santi! Senza la carità non avremmo il sacerdozio che è missione e frutto insieme e fiore di divina carità. Ed è lo spirito di Dio che è spirito di celeste carità che deve portarci a curare nei giovani le sante vocazioni religiose e i futuri sacerdoti perché tante scuole, tante rinnovazioni di anime di popoli e di opere non fioriscono che per il sacerdozio e per la vita religiosa (Scr. 20,79).
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Il Signore non guarderà in noi secondo le nostre miserie e i peccati nostri, ma secondo la grandezza della Sua bontà e la moltitudine delle Sue misericordie ed esaudirà la preghiera di noi suoi poveri servi se avremo e vivremo della Sua carità e sotto la scorta della Sua grazia, ci guiderà per la via della pace e del sacrificio di noi ai piedi di questa Sua Santa Chiesa di Roma, che è la madre nostra e la madre dei viventi; e benedirà il Signore e santificherà i nostri passi e i passi della Congregazione nostra e la porterà con benedizione celeste a stendere le tende di Dio e i confini stessi della terra diventeranno la nostra abitazione se saremo umili e fedeli figlioli della Chiesa di Roma e vivremo della carità senza limiti di Gesù Cristo e solo cercando Gesù Cristo e il suo regno, cioè le anime e le anime e le anime! Chi farà vivere e prosperare la Congregazione sarà la carità, questo amore grande e dolcissimo e fortissimo insieme di Dio, della Sua Chiesa e delle anime. Dio sarà sopra di essa se in essa sarà lo spirito di Dio, che è la carità (Scr. 20,80).
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La Congregazione e ciascuno di noi non deve vivere per sé, ma per la carità e per la Chiesa di Roma che è il corpo mistico del Signore e la madre delle anime dei Santi. Non dobbiamo vivere ciascuno per noi, ma ciascuno per tutti i fratelli, nella carità del Signore. Ci siamo uniti in Cristo per vivere ciascuno per tutti e non ciascuno per sé. Noi non viviamo che per la carità e per la Chiesa: solo così si è veri figli della Divina Provvidenza e Dio vivrà in noi, se noi vivremo in Lui e di Lui, per la carità e l’unione alla Sua Chiesa. Cari figli miei, viviamo della carità e in carità e vivremo di Dio, per Dio e in Dio in eterno! Vi benedico tutti, e a tutti dico: avanti sempre in carità grande, amatori di Cristo e della Chiesa et pro amore Dei (Scr. 20,75–81).
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Noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità: quella carità grande e divina che non vede partito. Nostra politica è fare del bene a tutti, ai buoni e ai cattivi, come il Signore che fa piovere la luce del sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Siano rossi o siano bianchi, siano credenti o siano miscredenti, noi non cerchiamo la fede politica e neanche la fede di nascita; noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che, se una preferenza la dovremo dare, la daremo a quelli che ci sembrano più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti (Scr. 20,96).
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Siamo cristiani, cioè seguaci sì o no di Gesù Cristo? E allora ricordiamoci che la carità è il distintivo del Signore e andiamo con carità e usiamo carità. Il personale e il prossimo va trattato con il cuore pieno di amore di Dio e del prossimo: questo vuole Gesù Cristo da noi: questo noi figli della Divina Provvidenza dobbiamo fare, se vogliamo imitare davvero Gesù Cristo e non essere cristiani di nome solo, e non di opere (Scr. 24,125).
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L’opera più efficace ad avvicinarsi ed unirci a Gesù è certamente la consumazione di noi nell’esercizio della carità. Amare intensissimamente Gesù e nell’amore di Lui ardere e sacrificare la vita a salvezza morale ed eterna dei piccoli è il fine prossimo della nostra vita nei collegi. Grande cosa salvare i piccoli dei quali Gesù ha detto che sono il Regno dei Cieli! Fare il bene e la carità ad un fratello, per amore del Signore, uni ex minimis, è fare la carità al Signore: mihi fecistis! Ah, nel parlarvi dell’amore che dobbiamo portare nell’educare per la Santa Chiesa e per la società i figli che il Signore ci manda mi sento una consolazione sì grande che, benché stanco per aver perduta la notte, non lascerei più di parlarvi (Scr. 25,6).
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Il vero spirito di Gesù Cristo è spirito di sacrificio: è quello che ci vuole per noi, quella carità sacrificata che vede molte cose da fare e sa farne un’offerta a Dio, quando per ragioni diverse non le può fare; quella umile carità che non va mai disgiunta dalla prudenza dello spirito e dal tatto, spirito di bene, che andrà lento e adagio, ma che arriva a suo tempo, ma che va avanti, evitando di volere troppo o di fare qualche atto che, per zelo poco illuminato e riflessivo, date le delicatissime circostanze, può impedire poi molto bene, se non finisce con il rovinare ciò che con grande fatica e con stento si era ottenuto già, e che era tutto ciò che – date le presenti circostanze, e di persone e di governo – era tutto ciò che era possibile ottenere. Quanta pazienza, caro mio, quanta fatica ci vuole per fare un po’ di bene! (Scr. 25,186).
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Sono particolarmente lieto della vostra bella armonia e unione dei cuori nella carità. Quando c’è umiltà, c’è carità e c’è unione e lo spirito del Signore è spirito di unione e di carità. Amiamoci in Gesù Cristo! Aiutiamoci per amare Gesù Cristo! Aiutiamoci per il Paradiso! Amiamo questa bella unione di famiglia della Divina Provvidenza: noi ne siamo i figli! (Scr. 26,10).
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Vi stia a cuore l’unione, il massimo dei beni, e allontanatevi da ogni spirito mormoratore e dai seminatori di critiche e di zizzanie: vi stia a cuore l’unione; lo Spirito del Signore è spirito di unione, di pace, di carità. Il nostro vincolo è Cristo! Guai a chi spezza Cristo e infrange l’unione: la forza dei religiosi sta nell’unione. L’unione in Cristo ci avvicina, o miei figliuoli, benché lontani, e ci fa abitare insieme con lo spirito, siccome fratelli, e il luogo dove abitiamo è Cristo. Mai il mio cuore ha sofferto e soffre tanto come quando vedo che alcuno pretende di essere figlio della Divina Provvidenza e religioso e non sa, o non vuole, vivere unito di cuore, indivisibilmente in Gesù Cristo Crocifisso con la dolce unione di famiglia religiosa. Tutti dobbiamo formare in Cristo un solo corpo, direi, un solo cuore e un’anima sola: cor unum et anima una. Aver pazienza in ogni cosa, non inasprirsi di ogni cosa, essere pieni di bontà, non tener conto dei torti, superare ogni cosa, sopportare ogni cosa; ma non venir mai meno all’unione, nella carità e per la carità di Gesù Cristo Signor nostro. Allora produrremo frutto, perché Dio e la Sua Benedizione saranno con noi! (Scr. 26,148).
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Dio sarà sempre con noi, se cercheremo con umiltà il nostro rinnegamento, se con ardore cercheremo di avere la dolce carità del Signore! Il fuoco della santa carità farà dei Figli della Divina Provvidenza un vero esercito del Signore, esercito compatto unito, forte, formidabile ai nemici di Lui e invincibile per le battaglie di Dio e della Chiesa di Dio. Noi siamo piccoli e siamo pochi, ma uniti in Cristo e stretti alla disciplina religiosa e a Roma, ci sentiremo grandi, potenti e felici e le nostre opere saranno benedette e prospereranno e lo splendore della nostra fede ai voti, della nostra fede e fedeltà al Papa e ai Vescovi e la bellezza e lo splendore della nostra unione e fraterna carità edificherà la Chiesa, edificherà le anime, e Cristo sarà glorificato e benedetto, Cristo che è l’anima e il vincolo della nostra carità, è il palpito della nostra vita! (Scr. 26,148).
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Lo spirito del Signore è spirito di unione e di carità: fate che Dio sia il centro della vostra unione. Vi sia sempre in voi e tra di voi la carità fraterna: aiutatevi, confortatevi vicendevolmente, datevi buon esempio e date buon esempio di edificazione religiosa ai ricoverati, alle benefattrici, al prossimo: siate umili, amate l’orazione e il sacrificio (Scr. 27,117).
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Vedi, o caro figlio mio, di edificare nella umiltà e di edificare ed unire nella carità tutto ciò che fu diviso, tutto ciò che fu distrutto o disperso da uno spirito umano contrario allo spirito di pace e di dolcezza e di carità in Gesù Cristo crocefisso. Per la unione e carità, per la concordia e la pace dei miei figli in Gesù Cristo neanche un istante esiterei ad attraversare l’oceano e mille oceani, aiutandomi la grazia del Signore (Scr. 29,19).
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Quando c’è buono spirito e la carità che è il precetto del Signore, tutto va avanti e tutti i figli sono contenti, anche nelle privazioni, e vivono felici! La carità è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo: è umile e annega sé stessa, si fa tutto a tutti, compatisce gli altrui difetti, è illuminata e prudente, gode del bene delle persone e desidera accertarsene ella stessa. La carità ha grande stima di tutti i prossimi: interpreta le parole e azioni altrui nel modo più favorevole e ripone la sua felicità nel poter far ogni bene agli altri. È vero che tu mi dai buone notizie dei prodotti di fagioli, di riso: mi parli di corsi d’acqua e di macchine etc., ma che m’importa, o figliolo mio, di tutto questo, se tra di voi non c’è l’unione e la carità e chi se n’è andato da una parte e chi vuole andarsene da un’altra? Vi dico in Gesù Cristo: siete uniti dalla carità del Signore? E il Signore vi benedirà e vi farete santi e siete i figli della Divina Provvidenza. Ma se questo spirito di umile e dolce carità e lavoro per le anime unione nella pace e concordia dei cuori e della santa vocazione, non è tra di voi, cosa pretenderete voi di edificare? Che frutti di vita eterna possono produrre mai le spine della discordia? Come pretendete di essere Apostoli di fede e di pace e di amore di Dio, se la pace neanche è tra di voi e non tra di voi è la carità di Gesù Cristo? Tutto possono i servi di Dio quando portano nel cuore accesa e nelle opere la carità umile benigna e dolce del Signore! La via della carità fraterna è via assai breve per diventare santi! Ah!, cari miei figlioli, che pena, che profonda pena mi fate di vedervi discordi! (Scr. 29,20–21).
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Beati quelli che hanno la grazia di essere vittime della carità! Noi dobbiamo essere i facchini della carità. Se si può ancora fare del bene ai nostri tempi, si può con la carità, con la apostolica operosità (Scr. 29,144).
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Fate che anche tra di voi vi sia lo spirito del Signore, che è spirito di unione e di carità. Il fuoco della santa carità fraterna edifica con il suo splendore, esso ci edifica e unifica a vicenda in Gesù Cristo. La nostra forza sta nell’unione, il cui vincolo è Cristo. Noi, anche lontani, dobbiamo essere un solo cuore e un’anima sola. Tale dev’essere l’esercito del Signore e così si rende formidabile ai nemici di Dio e della Chiesa, e invincibile (Scr. 29,173).
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Cotesta casa fatemela diventare proprio una casa di santi, pieni di carità. Oh, vi benedica il Signore, se mi saprete comprendere! Vi trasformi la grande e divina carità di Gesù in un gruppo di santi, poveri di tutto ciò che la gioventù del mondo cerca, poveri di tutto ciò che vuole dire mondo, ma ricchi d’una cosa, della carità di Gesù Cristo! La scienza potrà giovarvi, ma potrà anche gonfiarvi e nuocervi senza la carità di Gesù. Io credo proprio che dando al mondo venti o trenta uomini pieni di carità, gli daremo la leva e rinnoveremo la società tutta, ma specialmente vinceremo e guadagneremo la gioventù che vive più con il cuore e con il sentimento che con la mente (Scr. 30,4).
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Che una novella umanità cresca in noi e nelle nostre umili Case! Diamo morte all’egoismo e cresciamo nell’amore di Dio e dei fratelli: cresca tanto Dio in noi che viva Lui e non più noi e riempiamo la terra di un esercito nuovo: un esercito di vittime che vincano la forza, un esercito di seminatori di Dio, che seminano la loro stessa vita, per seminare e arare nel cuore dei fratelli e del popolo Gesù, il Signore: formiamo un esercito grande, invincibile: l’esercito della carità, guidato da Cristo, dalla Madonna, dal Papa, dai Vescovi! L’esercito della carità rimetterà nelle masse umane disseccate una tale forte e soavissima vita e luce di Dio che tutto il mondo ne sarà ristorato e ogni cosa sarà restaurata in Cristo, come disse già San Paolo. E la tempesta, che ora fa tanto paura, sarà dissipata e il caos presente sarà vinto, perché lo spirito della carità vince tutto e, al di sopra delle nubi ammassate dalle mani di uomini, comparirà la mano di Dio e Cristo riprenderà tutto il suo splendore e il suo dolce impero (Scr. 31,60).
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Fate del bene: spargete la carità di Gesù Cristo! Con la carità piacerete al Signore, vi santificherete, salverete le anime: vi guadagnerete il Paradiso e Dio sarà sempre con voi! Senza carità, se anche faceste dei miracoli, non sareste del Signore, sareste prive del suo vero spirito: non vi salvereste e non salvereste le anime. Fate pure le infermiere, sono più che contento: fate anche le spazzine della strada, basta fare opere di carità e amare voi il Signore e farlo amare dagli altri. Vi benedico e servite nostro Signore nei malati. Oh, come sarò mai contento se saprò che avete fatto tanto bene, con spirito di umiltà e di abnegazione e di sacrificio, facendovi come le serve delle malate e come figlie delle malate più vecchie di voi (Scr. 31,24).
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Vi esorto, caro don Alessandro, ad abbondare di carità con tutti: la carità ci edifica e ci unifica in Gesù Cristo. Fate che di tutti voi si debba dire quanto dei primi cristiani sta scritto negli Atti degli Apostoli, che cioè: «erant cor unum et anima una». Quelli che cooperano alla perfetta consensione della volontà e dei cuori sono in Cristo ed edificano in Gesù Cristo (Scr. 32,120).
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Ho sentito in quella Casa la mancanza di ciò che è più necessario: manca la carità fraterna. Quella carità che è dolce vincolo di unione, perché sa compatire gli altri difetti: quella carità che è umile, che è benigna, che è paziente, che è soave, quella carità che è il precetto del Signore, che è trionfatrice di tutte le cose e che ci fa onnipotenti in Dio e nell’amore del prossimo. Ma questa santa carità che edifica e unifica in Gesù Cristo, purtroppo, o caro don Garbarino, fa ancora troppo difetto nella Casa di San Giovanni a Roma e l’incarico e la missione che vi do è appunto di andare colà quanto prima e di farvi vincolo fraterno che leghi insieme di più quei nostri sacerdoti, molto buoni, dico, ma non sempre pronti a compatirsi l’un l’altro per compiere il precetto di Gesù Cristo: «Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi Jesu». L’amore verso i fratelli è veicolo dell’amore di Dio: l’amore fraterno è il più sicuro segno e il più bell’esercizio dell’amore di Dio. E quanto più voi vi adoprerete a crescere l’amore fraterno e più accrescerete la forza spirituale in voi e nei nostri fratelli e nella piccola Congregazione. Noi tanto varremo, quanto più di carità avremo e tutto più potremo, quanto più ameremo Dio e in Dio ci ameremo a vicenda e ci compatiremo tra di noi e ci daremo la mano ad andare al Signore (Scr. 34,36–37).
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Che la carità fraterna vi leghi nello spirito verace di Gesù Cristo, che la vostra convivenza sia reciprocamente utile, lieta, serena e di edificazione a vicenda. Amatevi ed edificatevi in Cristo a vicenda: amatevi come fratelli, come membri della stessa Congregazione, della stessa Famiglia Religiosa. Pensate e confortatevi in questo dolce pensiero! Pensate che i beni spirituali di ciascuno sono beni di tutti, i meriti comuni, comuni anche gli uffici, benché diversi, perché tutti sono atti, sono espressioni della medesima Fede nella Provvidenza e della stessa carità di Cristo Signor Nostro! Datemi questa consolazione, o miei figli: che, avanti di partire per l’Italia, veda finalmente nella Casa di Mar de Espanha quanto ho sempre desiderato e fin con le lacrime scongiurato che vi fosse: lo spirito di umiltà, di obbedienza, di pietà, di unione proprio dei Figli della Divina Provvidenza! E, sopra tutto, spirito a vita di fraterna unione e di carità. Amatevi l’un l’altro in Gesù Cristo! Amatevi come vi ama Gesù Cristo! E Gesù Cristo stesso sia il vincolo indissolubile della vostra unione e carità. E amate teneramente questa nostra Religiosa Famiglia che è la Congregazione della Divina Provvidenza. E ponete affetto non solo alle persone che la compongono, ma anche alle cose sue, alle sue Case, alle sue consuetudini, partecipando alle gioie e ai dolori di lei, come ognuno partecipa ai dolori e alle gioie della propria madre! (Scr. 51,86).
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È la carità, è questa dolce e divina carità, o cari miei figli in Gesù Cristo, che ci affratella, che genera la fiducia scambievole, che rende facile e amabile la religiosa comunanza, che dà cuore di padre ai superiori e agli inferiori cuore di figliuoli. Questo è il comandamento mio, dice il Signore, che v’amiate insieme, come io ho amato voi (San Giovanni 15,12). E noi ci amiamo e dobbiamo sempre più amarci e vivere caramente uniti in questa nostra cara Congregazione per aiutarci l’un l’altro a questo fine: di amare ognor più Gesù Cristo e Gesù Cristo nel Papa, e di stringerci più intimamente a Lui, in Lui: «Ita multi unum corpus sumus in Christo» (San Paolo ai Romani 12,5). Il perché l’amore che ci portiamo e che portiamo alla nostra Congregazione va a terminare nell’amore alla Chiesa, di cui anzitutto siamo figli: al Papa, che è il Capo e Vicario in terra di Gesù Cristo e dolce Cristo in terra, come lo chiamava Santa Caterina da Siena e va a Nostro Signore stesso, a Gesù Cristo, e a Gesù Cristo crocifisso, come va al prossimo, cioè al suo corpo mistico che è la Chiesa e tutta l’umanità redenta. Così, e non altrimenti, lo spirito e la vita della Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza si rinvigorirà in codesta Casa e si manterrà tra di noi vivo, forte e illibato e purissimo, alto e santo come l’affetto che si portano gli Angeli e si potrà dire anche di noi qui al Brasile quello che altrove ho sentito dire dei figli della Divina Provvidenza: Vedete come si amano! (Tertulliano nell’Apologetico). E la forza dei Religiosi, o miei cari, sta nell’unione, il cui vincolo è Cristo e, visibilmente, è il Papa! Che questo spirito di unione e di pace e di fraterna carità sia sempre con voi, o miei figliuoli carissimi, e in codesta Casa di Mar de Espanha (Scr. 51,86–88).
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Se si vuole fare sinceramente l’unione, sia un’unione piena e perfetta, come piace a Dio e alla sua Chiesa, se no, meglio non farla. Senza l’unione della carità e senza la carità non si edificherà Gesù Cristo né in noi né negli altri: si farà del rumore, si faranno delle opere che poi ci rovineranno addosso, ma per l’eternità non si edificherà nada! Questo dico a me peccatore ad ogni ora: questo ho predicato qui a tutte le suore in Domino, in Domino! (Scr. 51,137).
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La carità! Oh, la più grande e la regina di tutte le virtù che incorona tutte le altre! Oh, come vorrei avere la lingua di tutti gli angeli, il cuore di tutti i santi e della stessa beatissima Vergine per balbettarvi, o miei cari, qualche parola sulla carità, sull’amore cioè Santissimo e infinito di Dio per noi, di nostro Signore Gesù Cristo, Dio e redentore nostro per noi: sulle prove d’amore, sui sacrifici di Gesù per noi, di Gesù che tutto si è a noi dato in qua nocte tradebatur e che sta con noi! E ci ha comandato di amarlo, tanto che pare abbia bisogno di noi, del nostro amore. E volle che l’apostolo della purezza e della carità, il prediletto, desse a noi di Dio, la più vera, la più grande, la più consolante definizione: Deus Caritas est. O carità, regno di Dio e Dio, soavissima, santissima, infinita carità, vita nostra, palpito della nostra vita e dei nostri cuori, resta sempre con noi! Tu sei il precetto proprio di nostro Signore, la divisa dei discepoli del Signore: senza di te sentiamo che siamo nulla e con te, anche poverissimi di tutto il resto, saremo tutto: resta sempre con noi! Vieni grande, perché tu sei grandissima e senza confine, vieni grande grande su di noi che siamo piccoli tanto piccoli e bisognosi del tuo spirito e di vivere tutti con te! Vieni e trasformaci da poveri peccatori in veri e grandi amatori di Dio e degli uomini: dilata i nostri cuori, santa carità di Gesù Cristo, sì che noi non poniamo limiti all’amore di Dio e del prossimo, mai, mai! Sii tu, o Signore, il nostro solo e stabile bene e che nulla di quanto vi è in terra sottragga anche un briciolo solo del nostro cuore a Gesù, al suo Vicario, alla santa Chiesa, alle anime, specie dei piccoli e dei poveri. E nella vita di carità e nell’esercizio della carità fraterna diventi la Piccola Congregazione un cuor solo e un’anima sola e glorifichi solo il Signore! (Scr. 52,180–181).
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Abbiate una grande carità fraterna, una grande carità fraterna, una grande carità fraterna, ma guardate, o cari figlioli che se non c’è un grande amore di Dio non ci può essere neppure carità fraterna (Scr. 52,190).
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Più si va avanti nella carità e più si diventa semplici e perfetti. Tutte le regole cominciano con l’ubbidienza e finiscono nell’amore di Gesù e in una grande soavità di carità. La materia della nostra regola è la riforma interiore ed esteriore, secondo la via della perfezione, camminando in umiltà, ubbidienza e carità: in questa vi è poi tutto: quando uno arriva alla santa carità vive puro, perché vive di Gesù e si fa povero perché vive di Gesù (Scr. 54,212).
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Se vogliamo ancora essere creduti e fare del bene dobbiamo guarire i popoli seminando a piene mani l’amore di Dio e degli uomini e moltiplicando la vita di Cristo in tutta l’umanità con opere di carità e seminando la nostra vita spingendoci sino al sacrificio di noi stessi per far rivivere Cristo nella sua divina carità. Apriamo i nostri cuori e i nostri spiriti a questo nuovo apostolato, a questa aspirazione e a questa forza. Bisogna che questa nostra Congregazione cresca, si moltiplichi e riempia la terra e sia come l’esercito nuovo della fede e della carità. Armiamoci di carità e riuniremo nell’unità la Santa Chiesa di Dio e allora i popoli avranno la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Un esercito nuovo armato di umiltà, di purezza, di fede, di carità. La nostra vita deve essere un’agape in cui ciascuno offra invece di prendere (Scr. 55,165–166).
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La carità che è il precetto proprio di Cristo ed è virtù divina, non si raffredda con il volgere dei secoli, né per l’ingratitudine o l’ostilità degli uomini, ma vince il male con il bene; annega sé stessa, si fa tutta a tutti, compatisce gli altrui difetti, gode del bene altrui, accresce l’amore, accresce la forza spirituale, vince tutti i nemici, amandoli, edifica e unifica in Cristo, è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose, ha un balsamo per ogni ferita, un conforto per ogni dolore: sempre ha un balsamo per ogni ferita, un conforto per tutti i dolori (Scr. 55,306).
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La carità vien da Dio, dice l’Apostolo San Giovanni, essa è un dono che Dio fa a coloro che osservano i suoi comandamenti e il mondo non ama Dio. Quindi è che in esso non sarà mai la vera carità tra gli uomini, imperocché il segno per conoscere se si amano gli uomini è, al dir dell’Apostolo, questo solo: se amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti (1Gv 5) Soltanto dunque nelle anime che amano Dio può trovarsi la vera e la costante carità, perché in tali anime Dio discende e pone la sua dimora. Abitandole, Egli comunica loro i propri pensieri, i propri affetti, il proprio modo di operare e di amare, dimodoché esse guardano gli uomini cogli occhi di Dio, li stimano come Egli li stima e li amano come Egli li ama e non altro bramano che di beneficarli e consolarli. Sulla loro tomba potrebbero scriversi le semplici, ma commoventi parole che sono scritte sovra la croce del nostro povero Ottaggi: fece del bene a molti e avrebbe voluto farne a tutti. La carità rasciugherebbe tutte le lacrime e farebbe della terra un piccolo paradiso. Imperocché essa, come è descritta dagli Apostoli, è anzitutto casta, è paziente, è benefica, non è astiosa, non è insolente, non è ambiziosa, non s’irrita (Scr. 55,310).
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Chi vive nello spirito di carità gode di una letizia ineffabile. L’amore del prossimo è il più sicuro segno e il più bell’esercizio dell’amore di Dio in questo dobbiamo cristianamente emularci, nell’operare il bene in carità. Chi accresce l’amore accresce la forza spirituale. Con la carità vinciamo tutti i nostri nemici, amandoli. Solo coll’esercizio d’una carità serena, amabile, instancabile e illuminata potremo far conoscere ai fratelli erranti, ai fratelli separati o ignoranti che cosa sia la Chiesa Cattolica. Quelli che cooperano alla perfetta consenzione dei cuori, sono in Cristo, ma quelli che non si guardano dall’essere cagione di dissapori, di amarezze e anche solamente di freddezze scambievoli, non operano nella carità, non operano in Cristo, essi non vivono secondo lo spirito della unica vera Chiesa di Cristo, essi non seminano, ma disperdono: essi si fanno zizzania e ministri dell’inimico di Cristo (Scr. 55,318).
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Fra voi raccomando molta carità, molta carità, molta dolcezza di carità. Il Signore ci empia di carità, facendo che non abbiamo d’ora in avanti altro scopo sulla terra né altro affetto se non quello di crescere, nel rinnegamento di noi stessi la gloria di Gesù Crocifisso e della Sua Santa Chiesa in tutti i modi possibili e per tutte le vie della Divina Provvidenza con grandissima carità. E in questa Santa Carità, che è Dio, vi scongiuro nelle viscere di Gesù Cristo, di tesoreggiare la Sua Santa grazia che discenderà abbondante in questi giorni, sopra di voi tutti e vi raccomando e vi metto tutti i singoli nelle mani e nel Cuore dolcissimo della Madonna SS.ma nostra Madre (Scr. 57,29).
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Fuoco di carità, tu sei fuoco che sempre ardi e non consumi: tu sei pieno di letizia, di soavità, di gaudio. Dio è carità: la carità sia la nostra vita. Pregate che noi tutti viviamo e moriamo infocati di carità. A questo, o miei figli, siamo chiamati da Dio, a consumarci d’amore di Dio e degli uomini. Rispondiamo visibilmente e con cuore magnanimo. Quando siamo congregati non perdiamo il tempo in parole oziose, né gravarci dei fatti altrui, rodendo le carni del prossimo con mormorazioni, critiche e falsi giudici. Noi, piccoli figli della Divina Provvidenza, non siamo per noi, ma per agli altri, nella grazia e carità di Gesù Cristo: tutto per gli altri niente per noi. Il cuore nostro non si può mai riposare se non in un bene stabile e fermo che non sia terreno. Dio ci arda di quel soavissimo e divino amore che è la Carità (Scr. 57,85).
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Caritas! Mio caro, in questi giorni ho fatto gli Esercizi Spirituali e sono risoluto di farmi santo. Se vuoi seguirmi, in una parola ti porgo il gran mezzo con che – Deo opitulante – certamente che ci faremo santi. Caritas! il segreto che fa i santi, sta tutto qui: Caritas! Carità, o fratello, carità! Carità vuol dire amore, vuol dire amore santo e santificante carità e grande e immenso amore, amore che abbraccia cielo e terra, amore indomabile e foco inestinguibile ed indomabile che scende dal Cuore trafitto di Gesù e va e vola e non vede ostacoli e mai s’arresta e tutto sacrifica e tutto accende e infiamma tutti d’amore a Gesù Crocifisso. Caritas! E che ti dirò io, o fratello, della carità, se non che ti volga all’altare di Dio ove essa fa generoso olocausto? E non la senti dal costato di Cristo una voce? È la voce della carità, è il gemito del Cuore di Gesù che va in fiamme; è il tuo Signore che ti grida: Levati, o figlio, e va’ e per ogni anima dà la vita, dà mille vite per un’anima! (Scr. 57,93).
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La carità è la perfezione, l’unica via per cui ritroviamo noi stessi nell’unione con i simili e nell’unione con Dio. La carità facendosi sempre più fratelli con tutti gli uomini ci rende sempre più figlioli di Dio padre di tutti. Ardete e splendete di carità! Dall’amore di Dio che ci è padre, che è il padre celeste nasce e piglia fiamma il nostro amore di fratelli. Gesù ha parlato d’un comandamento nuovo, d’un precetto suo; e questo e quello li ha annunziati così: «Mandatum novum do vobis: Ut diligatis invicem, sicut dilexi vos, ut et vos diligatis invicem» (Gv 13,34). «Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos» (Gv 15,12). Gesù Cristo ha detto: «Venite a me, quanti siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Alla scuola del Vangelo e della Chiesa di Cristo abbiamo imparato la carità, quell’amore santo che si fa stimolo e segno di redenzione sociale. O dolce Dio, che ami tu più? Risponde Gesù, il dolce Dio nostro: Ragguarda in te, e troverai quello che io amo. E l’anima si leva e guarda e si distende ad amare quello che Dio più ama: i cari fratelli nostri, i più cari, perché i più bisognosi e i più abbandonati (Scr. 61,236–237).
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Sia il nostro spirito uno spirito grande di umiltà, di fede, di carità: sia la nostra vita tutta intessuta di preghiera, di pietà operosa, di sacrificio, sia in tutti una gara a faticare assiduamente per far del bene alle anime, alle intelligenze, ai cuori e anche ai corpi malati dei nostri fratelli, per l’amore di Dio e vedendo nel prossimo il nostro Dio e i più cari al Signore. Solo con la carità di Gesù Cristo si salverà il mondo! Dobbiamo riempire di carità i solchi che dividono gli uomini ripieni di odio e di egoismo. Regni tra voi, o cari miei figli, quella grande, soavissima e sovrumana carità che sempre ha fatto di voi tutti come un cuore e un’anima sola onde Dio ci ha cosi benedetti, che si è potuto per questo grande spirito di unione e di carità, benché in pochi, fare, con il divino aiuto e con la benedizione della Chiesa, del bene a un numero consolante di anime e tenere in piedi non poche opere (Scr. 62,13).
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Facciamo presto a fare il bene e gettiamo più amore di Dio che possiamo nei cuori, perché il lavoro distruggitore del molto è grande, tanto grande che è solo superato dalla carità di Gesù, la quale è più forte dell’inferno e più vasta che il cielo e che il mare e che la malizia del mondo (Scr. 66,460b).
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Volete forse il segreto per guadagnarvi l’affetto e trascinarvi dietro le turbe dei ragazzi? Eccovelo, il grande segreto: vestite la carità di Gesù Cristo! Per piantare e tener viva l’opera del Catechismo una cosa sola basta: la carità viva di Gesù! Tutti gli ostacoli cadono, tutto si ottiene, quando chi fa il catechismo ha la carità di Gesù Cristo. O figliuoli, se sarete scelti all’alto privilegio di aiutare il vostro parroco a fare il Catechismo, domandate al Signore che vi dia carità grande. Quella carità paziente e benigna, umile, garbata, che tutto soffre, tutto spera, tutto sostiene e non viene mai meno. Ripieni di questa carità andate in cerca dei fanciulli che la domenica specialmente vanno errando per le vie e per le piazze: guadagnateli con questa carità: non stancatevi mai, dissimulate i difetti, sappiate soffrire e compatire tanto. Abbiate un sorriso, una parola soave, amabile per tutti, senza differenze, o figli miei, fatevi tutti a tutti per portare tutte le anime a Gesù. Siate pronti per un’anima a dare la vita e a dare mille vite per un’anima. Con la dolcezza di Gesù voi, o cari figliuoli, vincerete e guadagnerete tutti i fanciulli del vostro paese. La carità del Signore Nostro Crocifisso, ecco il segreto, o anime dei miei figli, e dei miei fratelli, ecco l’arte di tirare a noi, di toccare i cuori, di convertire, di illuminare e di educare i fanciulli, speranza dell’avvenire e delizia del Cuore di Dio. Carità viva, carità grande, carità sempre! E rinnoveremo la gioventù! Oh!, quanti poveri figliuoli ho conosciuto sviati, disonesti, arrabbiati fino contro noi preti, ci odiavano senza conoscerci, giovani creduti incorreggibili, eppure non avevano bisogno che d’una buona parola, d’una parola santa di carità, di uno sguardo dolce per essere vinti! Carità viva, carità grande, carità sempre e daremo la leva alla società. Con la carità faremo tutto, senza carità faremo niente! Oh, vieni o carità santa e ineffabile di Cristo e vinci e guadagna il cuore di tutti e vivi grande e affocata nella povera anima mia! (Scr. 69,2–3).
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La vostra minima Congregazione Religiosa porterà il nome di Missionarie della Carità il che vuol dire Missionarie di Dio perché Dio è Carità, Deus Caritas est: vuol dire Missionarie di Gesù Cristo perché Gesù Cristo è Dio ed è Carità, vuol dire Missionarie, cioè evangelizzatrici e serve dei poveri, perché nei poveri voi servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo. Ma questa divina carità dovete cominciare ad averla in voi, a vivere voi di essa, se volete darla e portarla al vostro prossimo. Essa deve prima risplendere in voi. Grazie a Dio, credo che non vi sia alcuna tra voi la quale non voglia questo: vivere di Gesù, portare in sé la carità di Gesù Crocefisso. Ed io umilmente lo prego il Signore che sempre vi dia questa santa e buona volontà e che voi assecondiate e compiate così la vostra grande vocazione e che vi doniate di gran cuore a Lui e che ne portiate la carità a tutti i cuori e a tutto il mondo magnanimamente. E prego la bontà di Dio che per l’infinita sua misericordia si compiaccia versare abbondantemente su di voi ogni sorta di grazie e benedizioni e prego la SS.ma Vergine, Madre nostra, per voi, perché vi dia spirito non di austerità, ma di carità, di penitenza sì; ma di carità, di carità, di carità che tutte ci consumi per il prossimo (Scr. 72,217).
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Il nostro cuore deve essere un altare dove inestinguibile arde il divino fuoco della carità: Amare Dio e amare i fratelli, due fiamme di un solo sacro fuoco. Ed è di questo fuoco che vogliamo vivere e consumarci: questo è il fuoco che ci deve trasformare, trasportare e trasumanare (Scr. 78,86).
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Che è la carità? Quella virtù sovrannaturale per cui amiamo Dio per sé e il prossimo come fratello per l’amore di Dio: è la regina di tutte le virtù. La carità ci unisce a Dio come a nostro fine, è la virtù che valorizza la nostra vita agli occhi del Signore. È tanto sublime che San Giovanni volendo dire chi è Dio, disse che Dio è carità e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio è in lui. Noi dobbiamo amare Dio come Egli ha amato noi, l’amore deve scaturire dal cuore e dobbiamo amare i fratelli non a parole e con la lingua, ma con le opere ed in verità. La carità deve animare e vivificare tutte le nostre azioni, che senz’essa sarebbero sterili per la nostra salvezza eterna. Tanto che San Paolo ha detto: «Benché la mia fede fosse sì viva da trasportare le montagne, se non ho la carità sono niente». La carità è la virtù propria del Cristianesimo: «In questo conosceranno se siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda». Il nostro cuore deve essere un altare su cui arda il fuoco della carità e il fuoco che arde deve essere la nostra stessa vita: il fuoco dell’amore di Dio verso il cielo, il fuoco dell’amore del prossimo verso i fratelli (Scr. 79,339).
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Amiamoci scambievolmente: chi ama il prossimo suo adempie la legge. Anzi, la carità non solo adempie perfettamente la legge, ma la esaurisce con una perfezione che la vince e la supera. Allora, perdonare il male è poco: non ci lasciamo vincere dal male, ma vinciamo nel bene il male. E il bene è desiderato con il cuore, è invocato nella preghiera, è fatto con le opere. Allora si comprende qualche cosa della espressione affocata di San Paolo: «Plenitudo legis, dilextio». Noi dobbiamo amare Dio senza misura, sempre e sopra ogni cosa. Amare Dio come Egli ci ha amato. Amarlo non a parole e con la lingua, ma sì con le opere e in verità. Le opere sono la prova e il suggello dell’amore. E quali sono le opere per mostrar noi che amiamo Dio e il prossimo? L’osservanza dei suoi Comandamenti e le opere della carità o di misericordia (Scr. 80,279–280).
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Deus Caritas est! Dio è carità e chi vive la carità vive di Dio e Dio è in lui! O amici, viviamo Gesù Cristo, ariamo in noi Gesù Cristo e siamo apostoli di carità. Soggioghiamo le nostre passioni, liberiamoci dall’amor proprio, fuori da noi l’egoismo; incarniamo in noi l’Evangelo e la carità e non consideriamo il bene altrui come danno nostro, ma gioiamone come di un bene nostro e di un vantaggio: in cielo sarà appunto così, come ce lo esprime anche Dante con la sua sublime poesia. Non poniamo limite all’amore di Dio e del prossimo: ricordiamo sempre che l’amore del prossimo è il più sicuro segno e il più bell’esercizio dell’amore di Dio. Nella nostra Chiesa la forma più solenne e classica dell’amore di Dio è l’amore del prossimo. Oh, com’è bella la carità: il Paradiso non sarebbe Paradiso senza di essa, perché Paradiso senza carità sarebbe Paradiso senza Dio. Un male spaventevole voi lo sapete, o miei fratelli, divora oggi molta parte d’Europa, è l’egoismo: vedete quanti solchi della terra sono pieni di odio e di sangue. Oh, come un giorno dalle pietre Dio ha suscitato i figli di Abramo, così susciti una legione e un esercito di figli di Dio, susciti l’esercito della carità che colmi di amore i solchi pieni di egoismo, di odio e di sangue e calmi finalmente questa povera affannata umanità. Sentiamo il grido angoscioso di tanti nostri fratelli che soffrono, sentiamo il grido delle anime che anelano a Cristo. Non vi è niente di più caro al Signore che la carità verso il prossimo e specialmente verso le anime. Oh, la carità di quel Francesco d’Assisi che fu tutto serafico. La carità che affocava il petto di Filippo Neri e di San Vincenzo de’ Paoli, di San Carlo Borromeo durante la peste, la carità del Cottolengo, il padre degli infelici. Che la carità, o fratelli, ci edifichi e unifichi in Cristo, quella carità che non s’arresta, che non vede barriere è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose. Rinnoviamoci nello spirito di carità: edifichiamo Cristo in noi e facciamoci apostoli umili di fede, di bene, di amore, di carità. Siamo amanti dei fratelli e specialmente dei più bisognosi, dei più infelici e abbandonati (Scr. 81,93–94).
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Dio non ci giudicherà per quello che avremo saputo, ma per quello che avremo fatto per amore suo. Se sapessimo tutte le scienze, ma non avessimo la carità del Signore? Dio ci premierà secondo le opere della misericordia. Amiamo Dio e il prossimo e saremo conosciuti da Dio e amati da Dio: saremo figliuoli di Dio, veri seguaci di quel Gesù che fu tutto pietà per gli infelici e tutto misericordia per i peccatori. Penetriamoci dello spirito e della carità di Gesù Cristo e tutto sapremo. La dottrina di Lui supera ogni dottrina, dà la gioia e la pace allo spirito e basterebbe ad elevare l’umanità alla più alta grandezza morale, alla più grande civiltà. Che ha guadagnato tanta parte d’Europa dall’avere abbandonato la fede e la fede e la vita cristiana? Presso certi popoli, che hanno giovato, anche solo all’onesto vivere civile, le scienze, le arti e la cultura, tutte rivolte a materiale grandezza, senza la luce sovrannaturale, senza la virtù? No, non la scienza, non le arti, non la cultura ci rendono onesti, buoni, giusti, amici di Dio e veri fratelli dei nostri fratelli; ma la fede, ma le virtù cristiane, ma la carità, che è amore di Dio e degli uomini e scienza di Gesù Cristo (Scr. 82,12–13).
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La carità è il precetto del Signore, è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo. La carità ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri. Essa opera prodigi di abnegazione e di amore alla culla degli orfanelli, nelle scuole dei sordomuti, al letto dei poveri infermi, nelle camerate dei deficienti e idioti, nel sorreggere i vecchi. A tutte le umane miserie, dall’infanzia alla decrepitezza, essa accorre, ministra di Dio, paziente e benigna, soave e dolce, forte, umile e costante. Così è la carità di Gesù Cristo: sempre lieta, sempre infaticata, sempre silenziosa, sempre affocata; è la carità che si fa tutta a tutti e tutti edifica e tutti conforta e tutti vivifica in Gesù Cristo. E così fu la nostra grande Santa, o genovesi. Essa fu eccelsa serafina d’amore di Dio e per questo fu un’instancabile missionaria di carità (Scr. 83,69).
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Come salveremo i fanciulli? Con la carità di Gesù Cristo! I nemici di Dio e della Chiesa potranno spogliarci. La carità traspira dalla bocca, risplende dallo sguardo, effonde una bellezza soave, una grazia divina sul volto del Sacerdote: si trasfonde nei suoi atti per cui egli letifica tutti quelli che lo guardano e quasi dà vita a tutto dove arriva la sua parola e il petto del Sacerdote, che ha la carità, diventa come trasparente, sicché i fanciulli lo capiscono e lo amano, perché vedono dentro un cuore candido, pieno di celeste amore che li ama e corrono volentieri d’attorno al Sacerdote, poiché i fanciulli sono sempre di chi li ama in Domino (Scr. 90,339–340).
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La carità di Gesù Cristo! Ecco l’essenziale: tutto il resto non è che accessorio; dentro e fuori vivere davvero la grande e dolcissima carità di Gesù Cristo. I nemici di Dio e della Chiesa potranno spogliarci di tutto fin dell’onore con le calunnie; potranno spegnerci la vita fisica, ma non ci potranno strappare, non spegnere mai, nella Chiesa la fiamma celeste della carità, che Gesù vi ha acceso e Le ha posto nelle mani, quasi lampada ardente ed inestinguibile, affinché tutte le tribù della terra la vedano e conoscano la vera fra tutte le religioni, poiché non c’è vera carità fuori di Gesù Cristo e della Chiesa: solo il Cattolicesimo, tutte le altre forme di religione escluse, seppe realizzare il precetto della Carità (Scr. 90,340).
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Carità! Ah, vorrei avere la lingua degli Angeli e il cuore di tutti i Santi uniti insieme e della stessa Beatissima Vergine, per dirvi qualche piccola cosa della Carità, dell’Amore santissimo di Dio per noi, di Gesù Cristo, nostro Dio e Redentore, che non badò a sacrifici per noi, che tutto si è dato a noi e che ci ha comandato di amarlo e che volle l’Apostolo suo prediletto ci desse di Dio questa che è la più vera, la più grande definizione: «Deus Caritas est». O Carità, che sei il regno di Dio e sei Dio e che sei soavissima e santissima e sei precetto di Cristo e vita dei discepoli del Signore, vieni a noi, vieni su di me, entro di me e su tutti i miei fratelli e in tutti i miei cari Sacerdoti e trasformaci in veri e grandi amatori di Dio e degli uomini e dilata i nostri cuori, sì che mai poniamo limite all’amore di Dio e del prossimo. E formiamo di Dio il nostro solo e stabile Bene e che nulla di quanto vi è in terra sottragga un briciolo solo del nostro cuore e della nostra vita a Nostro Signore, al Suo Vicario in terra, alla Santa Chiesa e alle anime. Ah, fratelli miei, se in me e in voi dominerà la carità, tutte le cose di questo mondo le riputeremo tosto ut stercora, soggiogheremo tutti gli affetti umani e la vita nostra e della Congregazione diventerà un Paradiso. E nella vita ed esercizio pratico della carità glorifichiamo il Signore! (Scr. 94,203).
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La carità viene da Dio, è un dono che Dio fa a coloro che osservano i suoi comandamenti e vivono del suo spirito. Essa è soave e dolce, è forte, è costante, è illuminata e prudente, è umile, annega sé stessa, compatisce gli altrui difetti, gode del bene del prossimo, è onnipotente e trionfatrice di tutte le cose, è pronta ad accorrere a tutti i bisogni dei fratelli; la carità sola è quella che unifica ed edifica in Gesù Cristo. Bisogna arare Gesù Cristo in noi e incarnare, dire in noi il Vangelo di Cristo per avere la carità. La carità non è realizzabile se non è animata dal soffio ardente della religione e non d’una religione qualunque perché solo il cristianesimo, tutte le altre sono escluse, seppe realizzare questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del suo Vangelo. Con Gesù Cristo e a partire da Lui, la religione diventa ispiratrice di carità e con lui è talmente congiunta che la religione, senza amore del prossimo non è riguardata che come una indegna ipocrisia (Scr. 96,162).
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La nostra è una Congregazione di carità, vive di carità e per fare la carità! (Scr. 99,146).
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È la carità che vince l’egoismo; tutto si lascia quaggiù; in Paradiso non avremo più bisogno di Fede, vedremo quanto avremo creduto: non di Speranza, avremo raggiunto il nostro fine. In Paradiso non entra che la carità. Deus Caritas est (Par. I,6).
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Compatirsi è il primo passo della carità fraterna, ma insieme aiutarsi ad emendarsi con carità, con amore, come fareste con una sorella più piccola! È questo un obbligo che avete con le vostre consorelle: voi dovete aiutarvi scambievolmente a farvi sante (Par. I,73).
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Per arrivare al Signore, noi dobbiamo avere in cuore la carità! Noi in questo mondo non siamo soli, ma siamo in compagnia di altre anime che dobbiamo amare, aiutare, santificare e tutto questo si ottiene con la carità che si compendia nei due comandamenti così detti della carità. Primo: Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore; secondo, che è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso per amor di Dio. Chi è il nostro prossimo? Quello che ci sta più vicino. Bisogna amare tutti gli uomini, è vero, e questo è amore teorico; ma l’amore pratico è dimostrare amore e carità a chi ci sta vicino. Io non vi dico che non dobbiamo amare chi sta in Sicilia, in Calabria, in Francia, nell’Africa; dovete pregare per tutti, amare tutte le anime in nostro Signore! Ma il nostro prossimo sono più specialmente coloro che ci sono più vicini (Par. I,78).
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Amatevi sempre con carità fraterna, con la carità vera di Gesù Cristo e non tramonti mai il sole sulla vostra ira! Vuol dire che, se avete avuto qualche cosa con una vostra sorella, non passi il giorno senza che abbiate chiesto scusa. Dobbiamo in questo essere come i bambini: guardateli, essi vanno in collera, magari si picchiano e, dopo un momento, giocano ancora insieme. San Giovanni dice che non dobbiamo volerci bene soltanto con la lingua, cioè a parole, ma con le opere di carità cristiana. Edificatevi una con l’altra, dandovi buon esempio; e poi, se vedete che qualcuna non va bene, avvisatela a quattr’occhi, con carità, dicendo: a me pare così e così...; se lo facessi io e voi mi avvisaste, ve ne sarei riconoscente; io mancherò più di voi certamente, pregherò per voi; se vorrete aiutarmi, vi sarò grato di quel che farete per me...; forse io vedo la pagliuzza che è nell’occhio vostro e non vedo forse la trave che è nel mio. Così dovete parlare alla sorella! Se essa vi dà ascolto, benedetta lei! Se no, benedette voi! (Par. I,79).
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Parlo molto chiaramente, perché questo grido mi esce dal cuore ed è grido di dolore, di vero dispiacere! Vi raccomando la carità, abbiate carità fra di voi; abbiatene molta coi poveri vecchi e ricordatevi che servendoli servite nostro Signore; e un giorno dalle stesse Sue mani avrete la ricompensa che ha promesso a coloro che avranno fatto opere di misericordia. Buon esempio, carità e preghiera (Par. I,94).
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Due cose sole ci occorrono; molta preghiera e molta carità! Solo con la carità si vince il mondo. Ora dappertutto si va seminando odio e sangue; di odio son pieni i solchi che dividono Nazione da Nazione, i popoli dai popoli. Tocca a noi colmare quei solchi con l’amore di Dio e con la carità del prossimo! Felici noi se ci fosse dato anzi di divenire vittime di questo amore! (Par. I,119).
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Quando in un cuore vi è la carità, vive di carità e respira la carità, è il Cuor di Gesù che in lui vive, opera, ama. Dobbiamo vivere di questa carità, consumarci di dentro, di fuori, non desiderare altro che la vita del Cuor di Gesù in noi. Carità pratica nei pensieri, nelle parole, nelle opere: carità pratica; primo, se opereremo sempre con Gesù e per Gesù, lavorando sempre per lui solo e con lui, andando contro le nostre inclinazioni, rinnegandoci sempre per Gesù, per amor suo; secondo, facendo tutto quello che ci è possibile e anche più, per divenire quali Gesù ci desidera, quali Egli ci vuole; e allora siccome la carità è di sua natura diffusiva, come dice Sant’Alfonso, e non può esistere senza espandersi al di fuori e comunicarsi agli altri, allora daremo Gesù, la sua carità, il suo amore alle consorelle, alle anime, al prossimo. La carità ha bisogno d’espandersi, è come l’acqua di ricca sorgente che irrompe spaccando le pietre che gemono, piangono e trascina tutto sul suo passaggio; è come l’acqua, quando, raggiunta una data pressione, bolle e spinge e porta centinaia e centinaia di tonnellate (Par. I,154).
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Nelle case religiose, dove regna lo spirito di carità, vi è come una fragranza celeste, si respira un odore di Paradiso e in esse da tutto traspare la carità, dagli occhi, dal volto, dagli atteggiamenti, dalle parole, perfino dalle mani dei religiosi! Ed è questa celeste fragranza che attira le anime e le porta a Dio. Come invece si sente il gelo nelle Case religiose, dove non regna la carità, l’amor di Dio! Chi non ha sentito lo spirito d’amore, lo spirito di Gesù Cristo, entrando al Cottolengo? Vedete, là perfino dalle mura traspira la carità: la portinaia che vi accoglie col saluto, le Suore, i Sacerdoti, gli ammalati, tutti parlano di carità, tutto respira l’amor di Dio (Par. I,155).
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Gesù vi aiuti ad essere Missionarie della Carità del Cuor di Gesù. Missionarie vuol dire banditrici, apostole, inviate a far del bene, a far conoscere la Fede, la Carità, l’amore: la missione di far conoscere la Fede lasciatela ai sacerdoti: la vostra missione deve essere di far conoscere la carità, di portare in voi la carità di Gesù Cristo. Se queste mie povere parole, che vi ho dette stamattina, illuminate dalla Fede, dalla luce del Signore, vi faranno essere tali, allora sarete veramente felici, spargerete il buon odore di Gesù Cristo e quanto bene farete! Patirete forse il freddo e la fame, ma se avrete la carità del Signore, sarete felici. Lavorate su di voi, ma praticamente, in spirito di umiltà, sopportando voi stesse, perché, per talune, la croce più pesante è sopportare loro stesse, e non vi avvilite per i vostri difetti, ma, appena vi accorgete di essere cadute, rialzatevi subito, con la benedizione di Dio, umiliatevi con nostro Signore, con le vostre sorelle e ricordatevi, sempre, che siete solamente quel che siete davanti al Signore (Par. I,157).
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San Paolo dice: «Quand’anche avessi tutte le virtù, parlassi tutte le lingue, e non avessi la carità, sarei un tamburo vuoto; se anche conoscessi tutta la Scrittura, i libri santi, senza lo spirito di carità, lo spirito di Gesù Cristo, serve a niente, serve a niente, serve a niente!». Buone figliole del Signore, attente bene, guardate! Tutta la vostra attività dev’essere attività di carità: tutte le vostre devozioni devono servire per infiammarvi sempre più nella carità di Gesù Cristo, perché, attente bene – vorrei che ci fosse a sentirmi anche il Sacerdote che vi ha parlato stamane – sentite: anche la devozione al Sacro Cuore sarebbe vana, servirebbe a niente, se non ci fosse la carità; sarebbe solo e tutta teoria, ideale o vernice, che più nuocerebbe che giovare. La carità illumini, rischiari, consumi la nostra vita. Oh! Quanto vi raccomando la carità! Quando in una comunità c’è l’amore vicendevole, quando una gode del bene dell’altra come di bene proprio, allora la casa diventa un paradiso. Anche nella più grande povertà, anche vestendo abiti alla buona, in una povera casetta, ma unite nella carità, quando ci si compatisce e si gode del bene delle altre, si è felici, veramente felici. Invece c’è l’inferno nelle case religiose, dove non c’è l’unione, la carità (Par. I,203).
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La carità è affabile, mansueta. Gesù Cristo non dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore? Non siate di quelle che sono graziose coi superiori, e invece con le consorelle, con quelle che sono sotto di loro, vere furie, che bisogna farsi il segno della Croce per avvicinarle. Senza carità, non c’è virtù! Siate dolci anche nel vostro zelo; abbiate uno zelo che non abbruci, lo zelo di nostro Signore. Cercate di togliere ogni rancore, ogni ripugnanza con le consorelle, per differenza di carattere od altro; vincetevi, vincetevi! (Par. I,207).
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Grande carità, grande carità, grande carità! Non tollerate l’offesa di Dio, la disonestà, mai, le mormoratrici, le sfruttatrici, le pecchie, che vengono in Comunità, non per essere Suore mortificate, ma per farsi mantenere. Ma, per il resto, grande carità, grande carità, e, finché c’è la speranza che un’anima possa convertirsi e tornare a Dio, sopportate, non spegnete il lucignolo che sta per morire. Vi chiamate Missionarie della Carità, ma come potete essere tali, se non ne avete di carità? Grande povertà, grande povertà, grande carità, grande obbedienza, la santa virtù praticata come gli angeli, rinunzia completa di sé, della volontà propria, uno straccio in mano dei Superiori: ecco come deve essere una Missionaria della Carità. Un giorno San Pietro disse a Gesù: «Quante volte devo perdonare ai miei fratelli? Sette volte?». E Gesù: «Non sette volte, ma settanta volte sette», cioè sempre! Carità infinita tra di voi, con i vecchi, con gli ammalati, con i bambini, con le persone che avvicinate. Chi resta nella carità, resta in Dio! Ultimamente in Roma, in Vaticano mi chiesero: Come chiamate le vostre Suore? Io le chiamo straccione, ma bisognerà chiamarle le Missionarie della Carità. Bel nome! Speriamo che a questo corrispondano i fatti. Grande carità, dunque, grande carità! E grande devozione al Sacro Cuore di Gesù, che è il simbolo della carità. Cuor di Gesù significa carità: Ecco – Egli disse – quel cuore che ha tanto amato gli uomini. Grande carità con le persone che avvicinate (Par. I,238–239).
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Vi ho chiamate le Missionarie della Carità. Dovete infatti essere giganti di carità; dovete essere e ritenervi piccole davanti al Signore, ma farvi grandi seminatrici di amore, di carità; con la carità di Dio e del prossimo; ricordatevi di evitare la preferenza per i ricchi; cercate i poveri; voi altre siete per la scopatura del mondo, per i poveri; siete povere, siete povere, vivete povere e dovete essere per i poveri. Povere, povere, povere! Straccione, straccione, straccione per i poveri, pulite, pulite, sì, ma straccione, e per i poveri. Pensate, o buone Missionarie della Carità, che se Dio ha eletto voi, voi avete eletto Dio. Fra voi e Dio ci deve essere un anello di congiunzione: l’amore fra voi e Dio. L’elezione che ha fatto di voi, se vi corrisponderete, vi darà una grande catena di grazie, voi salirete di virtù in virtù, voi salirete la scala del Paradiso. Delle vostre case fatene altrettanti cenacoli dell’amore di Dio. In ogni vostra casa deve alitare un’aria diversa da tutte le altre case; si deve sentire che anche nello squallore della miseria c’è la carità (Par. II,88).
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Facciamo che la carità leghi tutte le nostre case, per quanto siano lontane, separate. La carità vi leghi attraverso il mare, attraverso i monti, attraverso la morte; e questa unione è il segno sicuro della vostra carità. Dice San Francesco: Amore di carità fraterna, perché mi hai così ferito? Così dovete amarvi fra voi, o buone suore. Niente vi è di più caro al cuore di Dio che la carità fraterna. Gesù disse nell’ultima cena: Padre, fa’ che gli uomini si amino come ci amiamo noi. Ricordatevi, buone suore, che quelle che diffondono la perfetta carità nei cuori sono care al Signore, sono ministre di Dio; e quelle che non hanno la perfetta carità nei cuori, sono ministre del diavolo. Santa Caterina scrive ad una suora: studia di tollerare i difetti degli altri, perché tu ne hai. Mi piace di veder gli altri perfetti, ma intanto noi non emendiamo i nostri difetti. La carità ci deve distinguere da tutti gli altri. La carità deve essere il veicolo dell’amor di Dio. Chi ha carità verso le consorelle è unita a Dio. Lasciate tutti quei discorsi che potessero inaridire la carità fraterna nei cuori. Carità nelle opere, carità nelle parole, carità negli affetti! Carità fraterna! Oh quanto si fa con l’unione e come si va avanti e come si fa molto. Così, come fate con le fascine: se le pigliate un ramo per volta, facilmente si rompono, mentre se le prendete tutte insieme, tutte unite, non si rompono. Così sia di voi. Se sarete unite, il demonio non vi dividerà (Par. II,113).
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Vi chiamano e siete le Missionarie della Carità! Se non lo foste, dovreste esserlo; sarebbe ipocrisia portare il nome e non vivere secondo il vostro titolo, così chi si chiamasse cattolico e non praticasse o, come chi fosse sacerdote e non si comportasse secondo la sua vocazione. Così voi siete suore, avete preso nome, avete preso il titolo di Missionarie della carità. Stamattina apro le labbra a parlare dei vincoli della carità. Se c’è questo vincolo fra di voi, se ci sono questi vincoli di questa carità, che arde fra di voi, da scaldare voi e da dare alle altre – non basta che ardiate voi, ma il vostro splendore deve anche illuminare e riscaldare le anime degli altri – se voi avete questi vincoli della carità, sarete vere Missionarie della Carità. Quali sono questi vincoli? Volervi bene fra di voi. Non parlo dell’amore che dovete avere per Dio; suppongo che l’abbiate; avete lasciato il padre, la madre, il paese, tutto quello che avevate; siete venute qui portate dall’amore di Dio, dal desiderio di servire Dio; però, mentre in questi giorni vi sarete infuocate dell’amore di Dio, vi dico stamattina: Vogliatevi bene, amatevi fra di voi di un amore santo, come si amano le anime sante del Paradiso, come si amano gli Angeli, come si amano gli spiriti beati. Vogliatevi bene (Par. II,202–203).
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Il primo vincolo della carità, dopo l’amor di Dio, è quello di amarvi fra di voi, e di un amore puro; ho fin vergogna di adoperare questo vocabolo “amore” tanto profanato nel mondo. Vogliatevi bene fra di voi nel Signore, come le dita di una stessa mano, come si amano gli angeli in cielo. E voi lo capite. Vuol dire che la carità è benigna, vuol dire che la carità è paziente, che non pensa male, che tutto sopporta, che arriva fino al sacrificio. La carità è benigna, la carità è paziente, la carità è l’amor fraterno, è il volervi bene fra di voi. Vuol dire prima di tutto darvi buon esempio l’una con l’altra, edificare Gesù Cristo in voi con la modestia umile. Secondo vincolo è l’aiutarvi nel lavoro. Com’è bello darsi la mano. Che cosa è andata a fare Maria Santissima in casa di Elisabetta sua cugina? Ad aiutarla nel lavoro. Cosa vuol dire missionarie della Carità? Vuol dire spargere la carità fra di voi; ma questo bene non è fatto di chiacchiere, di parole. Aiutatevi nel lavoro, aiutatevi nel lavoro, aiutatevi nel lavoro; non dite: Quello che dovevo fare l’ho fatto, quello tocca ad essa. Io ho conosciuto delle persone che non vanno in Chiesa, ma hanno sentimenti così nobili! Le ho vedute aiutarsi l’una l’altra! Ma come si aiutano i cattivi a fare il male, non vi aiuterete voi a fare il bene? (Par. II,205).
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Il mondo si converte con la carità. La salvezza della società sta nell’amor di Dio, nella carità, nel far del bene. Gesù è passato su questa terra beneficando e sanando! O Missionarie della Carità, voi siete quelle Suore chiamate dalla mano di Dio a spargere la carità nei cuori dei malati, dei derelitti! Oh, quanto bene voi siete chiamate a fare: a spargere la carità, a beneficare; ma quanto bene farete se vi amerete fra voi. Coraggio! (Par. II,214).
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Vi raccomando queste grandi virtù: l’illibatezza o castità, l’umiltà, la carità. Bisogna amare i fratelli e voi conoscete i comandamenti della carità. Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze; amerai il prossimo tuo come te stesso. A questo riguardo San Giovanni dice: Come potrai amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo tuo che vedi? Se io non amo Dio che trovo nel mio prossimo, come potrò amare il mio Dio che sta nei cieli? Tra voi deve regnare un grande vincolo di carità fraterna e dovete essere di esempio gli uni con gli altri, come disse nostro Signore (Par. V,96).
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Noi, cari figlioli, nella carità di Gesù Cristo, carità che edifica, dobbiamo avere tutti quanti un cuor solo e un’anima sola. Le gioie di uno siano le gioie di tutti, i dolori di uno siano i dolori di tutti. Per quella carità di Gesù Cristo, per cui ci sentiamo fratelli, per quel vincolo che ci unisce a tutti quelli che sono chiamati a far parte della stessa famiglia religiosa, vincolo per il quale dobbiamo essere davvero un cuor solo e un’anima sola, si dividono le gioie, si dividono i dolori (Par. V,307).
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Noi che siamo del discepolato di Cristo dobbiamo avere occhio di spirituale discernimento perché come discepoli possiamo essere tratti in inganno. La carità è la maturità della fede: la fede maturata; per questo non può mai scindersi la carità dalla fede, altrimenti non sarà più carità! Non di chiacchiere si accontenta Dio, ma di opere; non di parvenze, ma di sostanza; e neanche della preghiera, quando la preghiera si limita al solo movimento della lingua e non viene dal cuore! Alla volontà di Dio ci deve essere da parte nostra la piena dedizione di mente, di cuore, di opere. Colui che avrà consumato in sé la volontà di Dio, «ipse entrabit in Regnum coelorum». Non limitiamoci nella via del bene e non contentiamoci delle apparenze, ma facciamo che la nostra vita sia sostanza di opere buone (Par. VI,125).
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Cari miei figlioli e buone figliole di Dio, noi dobbiamo amare le anime di un amore grandissimo, amare con tutto il nostro cuore, dare tutta la nostra vita per la carità. Carità e amore di Dio, che è amore verso il prossimo, verso i fratelli più derelitti, carità materiale ma soprattutto carità del pane della fede. La Piccola Opera della Divina provvidenza è opera di fede e la prima carità verso i fratelli deve essere la fede e tutti dobbiamo abbracciare, in un grande amore a Dio e con il nostro esempio e con la nostra parola, stretti attorno al Vescovo e al Papa. La Piccola Opera non è solo opera di fede, ma di carità e di carità verso gli umili! (Par. VI,192).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza potrebbe essere chiamata altresì la Congregazione della Carità. La carità, prendendo questa parola nel senso ampio e generosamente cristiano, come la definì san Paolo, apostolo delle genti, l’apostolo del popolo, ha la sua ragione di essere, il suo distintivo e la sua missione. Messaggio questo tanto antico come la croce di Cristo e tanto generoso come le parole infuocate dell’Apostolo: «Caritas Christi urget nos», la carità di Cristo ci spinge. E per questo tutte le opere della Piccola Opera sono di carità: oratori, asili, Cottolengo, sono ispirati e si sostengono e vivono grazie alla carità, di modo che se ben si riflette, questa Congregazione viene ad essere come la corda di un ricco pozzo, col secchio in una delle estremità che va levando a poco a poco l’acqua abbondante dal cuore della buona gente per depositarla sopra la terra ferma, mancante di pane, di abitazioni, di fuoco, di consolazione. La carità è la vocazione indeclinabile e diremo fatale dei Figli della Divina Provvidenza, ossia lo stesso amore di Cristo, nei suoi poveri, e riverirlo cordialmente nella persona degli invalidi e degli infermi e dei bisognosi (Par. IX,327).
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Se quanto più cresceremo di numero, tanto più crescerà lo spirito di amore a Dio e la carità fraterna tra di noi, allora la Piccola Opera sarà benedetta e potrà fare del bene; ma ad ogni costo dobbiamo mantenere tra di noi la Carità. Questo è il deposito sacro che dobbiamo lasciare ai nostri fratelli: la carità. Che non tramonti mai il sole sulla nostra testa senza che noi ci troviamo in unione con il Signore e con i Confratelli e con quelli che ci fossero dipendenti. Quando dissero a nostro Signore: Insegnaci a pregare, rispose: «Sic orabitis... Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus...». Terminata la giornata il Signore ci premierà secondo la misericordia e secondo la carità che noi avremo usata verso il nostro prossimo e verso i nostri fratelli in Gesù Cristo! (Par. IX,361).
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La carità è il precetto proprio di Cristo e in questo si differenzia essenzialmente la religione vera da tutte le altre religioni false e bugiarde, tanto che l’Apostolo, quando ha voluto dare una definizione concisa di Dio, ha detto che Dio è carità e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio in lui: «Qui manet in caritate in Deo manet». L’osservanza delle regole nella carità cordiale e la carità fraterna nella osservanza sono il più dolce vincolo di perfezione che avvince tutti e fa tutti cor unum et anima una. L’osservanza delle regole e la carità fraterna sono il più dolce vincolo di perfezione. Cari i miei chierici, obbedienza nella carità, osservanza nella carità, nella più dolce e grande carità (Par. IX,490).
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Vi raccomando, o cari miei chierici, una maggiore carità fraterna tra voi; non dico: Vi raccomando una carità fraterna, ma vi raccomando una maggiore carità fraterna. E penso che se amate tanto il Signore, vi amerete tanto tra di voi. Amiamoci nel Signore! Questo piace al Signore! Un amore più alto, un amore fraterno, un amore che sia veramente quell’amore fraterno che deve unire tutti i nostri cuori, corda fratrum, per essere nell’amore di Dio, uno per tutti e tutti per uno. Come è bello essere tristi delle tristezze dei fratelli, gioire delle gioie dei fratelli, rallegrarci del bene del prossimo. Questa è la vera carità! Come mi fa male! Come mi fa male al cuore quando non mi par di vedere sempre quella bella fusione e unione di anime... Come mi fa male! In una Casa religiosa dove tutti siamo un cuor solo e un’anima sola è un paradiso. Dove c’è il contento di potersi trovare insieme, si sente così una gioia serena, santa e, se c’è del dolore, una combinazione di dolore insieme! Pensate, o cari figliuoli, che se il Signore vi darà grazia, quando sarete sacerdoti, quando sarete sparsi per il mondo, vi ricorderete bene di questo tempo, dei vostri compagni; vi ricorderete di questi anni! E solamente il ricordo vi sarà di grande conforto, di grande consolazione. Edificatevi l’un l’altro, unitevi l’un l’altro tutti per il bene del fratello, senz’ombra, anche senza gelosie. Tutto quello che inagrisce i cuori levatelo, cavatelo, come si cava un dente che fa male; buttatelo via, fuori di voi! Tutti quelli che voi credete siano bisognosi, ammoniteli, correggeteli, con tutta carità fraterna; ma non ci sia mai nessuno fra di voi che turbi la pace, l’unione di voi, la buona armonia dei fratelli (Par. X,74).
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Prima dobbiamo essere sorgenti e luci di fede; poi dobbiamo essere sorgenti vive di carità, vive di carità, di amore al prossimo, di carità verso gli umili, i poveri, i derelitti, i reietti. Poi dobbiamo essere, nelle mani della Chiesa, una forza dottrinale, servendoci degli studi perché essi possono rendere più efficace la nostra azione nel campo della carità (Par. XI,339).
Vedi anche: Bene, Caritas Christi urget nos, Compatimento, Misericordia, Piccolo Cottolengo.
Caritas Christi urget nos
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Il piccolo Cottolengo di Genova deve essere un vero Cenacolo ove si riceva Gesù Sacramentato, possibilmente da tutti, tutte le mattine. Se «Caritas Christi urget nos», se è vero che l’amore o, meglio, la carità di Cristo ci incalza, come non saremo solleciti di farla ardere questa carità e di fecondarla andando noi a Gesù e conducendo ogni giorno i nostri cari ricoverati alla fonte viva ed eterna della Carità stessa, che è l’Eucaristia? È questo un lavoro che non possono fare le Suore, o, meglio, noi Sacerdoti non lo dobbiamo lasciare alle Suore. Siamo noi che custodiamo e abbiamo in mano il Pane di vita, quindi è compito nostro (Scr. 5,340).
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Vi è cosa migliore che rimanere noi nel Signore e il Signore in noi? Su, o carissimi, la carità di Cristo ci incalza! «Caritas Christi urget nos»! Datevi attorno: andate a Marassi, andate a Quezzi, parlate a Quarto alle donne già costà ricoverate, parlatene alle Suore tutte, e anche ai vecchi, i quali forse più di tutti hanno bisogno di Dio e di avvicinarsi al Signore e di prepararsi bene alla eternità. Raccomandatevi alla Madonna e poi piamente, soavemente cominciate questo lavoro. Anche all’Ospedaletto lavorate, lavorate in questo senso verso quei piccoli di Dio. Fatevi il segno della Croce e con coraggio, da buoni militi di Cristo, portate le anime a Gesù e Gesù nelle anime! (Scr. 5,342).
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E poi carità! Carità! Carità! «Caritas Christi urget nos»! La Carità (cioè l’amore di Dio) ci incalza! Amiamo Gesù e ameremo bene anche i poverelli di Gesù. Lei deve avere cuore e modi non da superiora né da direttrice, ma carità di madre, sia verso le suore, che verso i poveri. Noi vediamo nei poveri le membra di Gesù Cristo e in essi amiamo il nostro Dio. Nulla vogliamo amare se non in Dio e per Dio (Scr. 27,23).
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«Caritas Christi urget nos»! La carità, l’amore cioè di Dio e del prossimo c’incalza! Animo, o figli miei! Costì bisogna fare qualche cosa e presto, anche per le suore de la Floresta. Ne ho parlato con l’escribano Varese, tu, don Pedro, vedilo e intendetevi bene. Padre Castagnetti mi scrive una brutta carta, non da figlio di Don Orione, ma da buddista: dice che non sa tenere quei 5 ragazzi. Son cose che si dovrebbe avere il pudore e aver vergogna a scrivermele. Io di 64 anni già stanco di lavoro, faccio 400 km. sabato, per far un discorso a Mar del Plata domenica, e lunedì già son tornato qui al lavoro! Come mai un cristiano, un sacerdote e un Figlio della Divina Provvidenza non sente verguenza a scrivermi certe cose? (Scr. 29,268).
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Sentite, o miei figli, tutta la responsabilità che vi incombe: sopra tutto sentite la Carità di Cristo che c’incalza e ci preme: «Caritas Christi urget nos»! Chi questa non sente esca di Congregazione: non fa per noi! Che i vostri occhi si aprano alla luce di Dio e della vostra vocazione! Che i vostri occhi si aprano, e si aprano insieme i vostri cuori, a sentire nella carità di Gesù, tutta la sublimità tutto il valore della vostra celeste chiamata! Guardate i campi sterminati che aspettano gli operai del Vangelo: i campi ove il male dilaga e fa strage di anime, e sentite il rimorso della freddezza, della vostra indolenza, della vostra pigrizia; e ricordate quanto è scritto al Capo XV,22 dell’Ecclesiastico: Dio non vuole una moltitudine di figli fiacchi e inutili; e più innanzi, al Cap. XXXV,6, dice: «Non apparebis ante conspectum Domini vacuus». Non comparirai davanti al Signore con le mani vuote. Vi supplico quindi o miei amati figli in Gesù Cristo, di redimere il tempo perduto. Scuotetevi dall’intimo della coscienza e, decisamente e col più grande impegno, datevi a riparare i voti scadenti, sì che, per ottobre, possiate essere promossi e compiere la volontà di Dio in quella del vostro superiore e padre in Gesù Cristo (Scr. 52,148).
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Eccoci coraggiosamente all’opera: «Caritas Christi urget nos»! Anime e Anime! Orfanelli e orfanelli! Mancheranno prima gli orfani che la carità di Cristo che ci arde e ci affoca il petto! Ma abbiamo bisogno di maggior locale: abbiamo bisogno di maggior aiuto! Ed è per questo che facciamo un caldo appello a tutti i cuori generosi. La carità non ha partito: la Patria non ha partiti, oggi. Non guardate se siamo preti o frati: guardate che ci facciamo padri dei vostri orfani! (Scr. 61,92).
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La nostra politica è la carità, una politica così larga che non vede partiti: la politica del Pater Noster. In tanta apostasia dalla fede, in tanta onda che ci preme di egoismo e di odio che è tutt’altro che sacro, vogliamo amare e far amare Dio, la Chiesa e la Patria con la carità: vogliamo con la carità trionfare su tanti cuori ostili o ribelli! «Caritas Christi urget nos»! (Scr. 61,93).
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La Piccola Opera vuole servire e serve con l’amore: essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le Opere della cristiana misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri: sua vita è amare, pregare, educare, patire, sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. Ha per grido il «Caritas Christi urget nos» di San Paolo e a programma il dantesco: «La nostra carità non serra porte». Essa accoglie e abbraccia tutti che hanno un dolore, ma che non hanno chi dia loro un pane, un tetto, un conforto: si fa tutta a tutti per tutti trarre a Cristo (Scr. 61,218–219).
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L’amore passa tutte le apparenze ed in fondo alla umanità più dolorosa vede Cristo: Gesù crea quell’entusiasmo del più nobile e più santo amore. «Caritas Christi urget nos»!, ecco gli appassionati della umanità: sono gli appassionati di Cristo... e trasfonde in Dio pensieri, affetti, opere, tramutando ogni attrattiva terrena in un incendio di divino amore. Ed eccola che è anello d’oro e assai assai, assai più tra Dio e l’uomo e vincolo di perfezione tra gli uomini fratelli e dove mette piede porta mitezza di cuore; è paziente e benigna, è soave e dolce, è forte e costante, è illuminata e prudente, è umile, annega sé stessa, si fa tutto a tutti, compatisce gli altrui difetti, gode del bene di tutti e se ne rallegra come di bene proprio; asciuga le lacrime di chi piange, sparge opere di bontà e di amore, stende la mano a tutti per camminare insieme, guardando in alto, guardando al Signore. Ah, fratelli, la Carità! Che cos’è la carità. Deus Caritas est! Dio è carità, il nostro Dio è un Dio appassionato di amore per noi, Dio ci ama più che la madre ami il suo figlio e Cristo Dio non ha esitato a sacrificarsi per amore dell’umanità (Scr. 81,99).
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Aprite il cuore, o voi che piangete, e benedite alla provvidenziale e santa soccorritrice dei miseri! «Caritas Christi urget nos»! Ecco il focolare della carità vera, disinteressata, magnanima. Quando Gesù entra in un cuore, quando un cuore è tutto di Dio, è anche tutto del prossimo. E allora abbiamo l’Apostolato della carità. Santa Caterina da Genova fu di Dio e fu tutta beneficenza e amore verso dei poveri e ineffabile missionaria della carità. La carità è il precetto del Signore, è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo. La carità ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri. Essa opera prodigi di abnegazione e di amore alla culla degli orfanelli, nelle scuole dei sordomuti, al letto dei poveri infermi, nelle camerate dei deficienti e idioti, nel sorreggere i vecchi. A tutte le umane miserie, dall’infanzia alla decrepitezza, essa accorre, ministra di Dio, paziente e benigna, soave e dolce, forte, umile e costante. Così è la carità di Gesù Cristo: sempre lieta, sempre infaticata, sempre silenziosa, sempre affocata; è la carità che si fa tutta a tutti e tutti edifica e tutti conforta e tutti vivifica in Gesù Cristo. E così fu la nostra grande Santa, o genovesi. Essa fu eccelsa serafina d’amore di Dio e per questo fu un’instancabile missionaria di carità (Scr. 83,69).
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«Caritas Christi urget nos»: amanti della Chiesa e della Patria non a parole, ma in verità e trepidanti dei pericoli morali e materiali a cui la necessità espone i nostri connazionali all’Estero, abbiamo fondate Case di assistenza per gli operai emigrati italiani, scuole nuove per i figli degli italiani in Inghilterra, Albania, Polonia, Brasile, Uruguay, Cile, Argentina. Dicono siete invadenti, talvolta sarà vero, ma ripeto, è la carità che è invadente. Del resto, sì, parliamoci franco, noi vogliamo invadere, ma non le borse: vogliamo invadere le anime, vogliamo salvare, vogliamo spargere Dio, Vangelo, Italia, vogliamo invadere le città e le campagne: le officine, la scuola, i tuguri: vogliamo invadere il cuore dei giovani, moralizzarli, crescerli a Dio, alla famiglia, alla Patria: vogliamo invadere le masse operaie, il cuore del popolo lavoratore, il cuore dei poveri e dare conforto e vita ai più abbandonati nostri fratelli, a quelli che chiamano i rifiuti della società, i rottami della umanità (Scr. 94,168).
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Coraggio in Domino, miei cari Amici e avanti, sempre avanti a fare del bene: «Caritas Christi urget nos»! La carità di Cristo ci preme, ci spinge, ci incalza, ci porta, ci fa volare al soccorso, alla salvezza degli orfanelli, dei poveri, dei figli del popolo più umili come degli infelici più bisognosi. Oh, quale grande mercede avrete, o miei Cari, dalla mano di Dio, in terra e poi in Cielo! (Scr. 94,279).
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Il nostro cuore, o miei figli, dev’essere un altare, dove inestinguibile arda il divino fuoco della carità: amare Dio e amare i fratelli: due fiamme di un solo e sacro fuoco. Ed è di questo fuoco che vogliamo vivere e consumarci: questo è il fuoco che ci deve trasformare, trasportare e trasumanare. «Caritas Christi urget nos»! La carità di Gesù Cristo: come è mai bella questa grande virtù! È la regina di tutte le virtù e il Paradiso stesso non sarebbe Paradiso senza di essa, perché un Paradiso senza carità sarebbe un Paradiso senza Dio, che è Carità. «Deus Caritas est, et qui manet in Caritate in Deo manet, et Deus in illo». Quant’è necessaria la carità, se Cristo ha detto che il mondo ci conoscerà se siamo seguaci di Cristo dalla carità (Lett. II,397).
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«Caritas Christi urget nos». Noi non siamo altro che un soffio di quel cuore, non siamo che un palpito, molto languido, del Cuore adorabile di Cristo che, per amore di me e di voi, di tutta l’umanità, volle essere tradito e trafitto. Oh, amiamo il Signore e amiamo i nostri fratelli nell’amore di Dio! Dio e Prossimo: ecco i grandi, santi, sacri, supremi amori! Amare Dio, dobbiamo e vogliamo, nel nostro prossimo e il nostro prossimo in Dio, e amarlo tanto, disse Gesù, che tu vincerai, devi vincere, il male con il bene; e se il tuo nemico ha fame, gli darai il pane; e se il tuo nemico ha sete, gli darai da bere; e se viene a picchiare alla porta della tua casa, spalancherai, aprirai tutte le porte della tua casa; e se il tuo nemico ti odierà e ti calunnierà, tu lo amerai, pregherai per tutti quelli che ti perseguitano, benedicendo tutti coloro che ti andassero maledicendo (Par. VII,160).
Vedi anche: Bene, Carità, Compatimento, Misericordia, Piccolo Cottolengo.
Carnevale
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Nei giorni di carnevale al Cottolengo di Torino si prega molto in riparazione delle offese che si fanno in quel tempo a Dio. Fate così anche voi altre. Tuttavia, ora che il palco c’è, sono contento che ci sia un po’ di divertimento e anzi benedico quel vostro po’ di sollievo, ma purché sia moderato e che non disdica allo spirito del Cottolengo, come spero (Scr. 27,36).
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È venuta la Quaresima e la Chiesa dice ai suoi figli: Cristiani, ricordatevi che siete uomini e siete battezzati: basta con le baldorie del Carnevale e con i peccati: ritornate a vivere da creature di Dio. In alto i cuori! (Scr. 79,159).
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Il divertimento deve essere onesto e moderato. Il divertimento, però, è un veleno, che preso in dosi moderate, può fare e, in realtà, fa bene; preso in quantità solo di poco maggiore, dà inevitabilmente la morte. Esso è come l’arsenico: ricostituente digestivo, stomatico; ma soverchio, uccide. È un vino che esilara, ma preso in troppa quantità, ubriaca, abbruttisce, degrada, rovina. Ed è facile smoderare specialmente a Carnevale. Sempre una segreta passione ci spinge all’eccesso. I divertimenti che titillano i sensi, che sanno l’acre sapore della voluttà. A poco, a poco sovente anche questi vengono a noia e si cade nei divertimenti licenziosi che finiscono in eccessi innominabili. Guai a chi non sa mettersi un limite! Guai a varcare i confini dell’onesta! (Scr. 104,240).
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Domani è carnevale. Nel seminario di Tortona, e in generale in tutti i Seminari e anche nei Collegi tenuti da religiosi, ad esempio da Don Bosco, dai Salesiani, in questi giorni si fanno speciali preghiere, speciali funzioni di riparazione: anzi nel Seminario di Tortona, quando ero chierico, e ritengo si faccia anche adesso, si faceva il cosiddetto Carnevale Santificato. Nella Cappella, quelli di voi che vanno in Seminario da qualche settimana, avranno visto che c’è il quadro con l’immagine della Madonna Addolorata. È il quadro che si espone in Seminario durante il Carnevale perché in questi giorni di Carnevale i chierici sono raccolti per compiere atti di devozione e preghiere particolari. È, ripeto, quello che si chiama il Carnevale Santificato. Nell’Oratorio Salesiano in questi giorni si fanno le Quarantore e, come stanotte e domani, si tiene esposto il Santissimo e quelli che sentono di più la pietà stanno levati alcune ore davanti al Santissimo esposto. E queste penitenze, queste preghiere, questi atti di riparazione sono offerti al Signore appunto per placarlo di tanti peccati e offese, di tanto libertinaggio che appunto si commette durante il carnevale (Par. XII,101).
Vedi anche: Ballo, Divertimenti.
Castighi
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Bandire i castighi troppo lunghi, penosi e umilianti, evitando, ad ogni costo, di battere i giovani; ma, invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l’anima piena di affetto sincero, dobbiamo cercare, o cari figli miei, di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare il loro cuore a Dio! (Scr. 20,90).
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Non avvilite mai nessuno nelle correzioni o punizioni, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere avanti agli altri: si lodino tutti insieme e si correggano e puniscono da soli, possibilmente. Solo eccezionalmente, e per togliere qualche male esempio pubblico, si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri (Scr. 20,92).
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Se c’è da fare una lode, lodali e incoraggiali, possibilmente, tutti insieme, ma le correzioni e i castighi specialmente sempre in particolare, a meno che lo sbaglio sia pubblico e generale. Bisognerà che tu veda di formare un cuor solo ed un’anima sola con i sacerdoti, che sono con te, confortandoli, dando loro lavoro, trattandoli con lieto animo e lieto volto, in Domino, tutto in Domino! (Scr. 23,185).
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Vedete di adottare in tutto il metodo preventivo e di aiutare i giovanetti con la pietà e non con i castighi. Sono aboliti dalle nostre case le percosse o qualunque castigo che consista nel battere i fanciulli o tenerli digiuni o in lunghe punizioni (Scr. 24,26).
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Vi prego di prenderli con il cuore, di affezionarveli i ragazzi, di modo che i ragazzi vi vogliano bene e non vogliano più andare via d’insieme con noi, perché coi modi rustici non si fa mai, mai bene e coi castighi troppo severi neanche. Fatemi questo piacere: son pecorelle smarrite, alcuni dei vostri orfani: fateci da madre, più che da padre (Scr. 25,53).
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Con i nostri allievi non usiamo mai moine o sdolcinature e neppure mai si usino mezzi violenti, né la bacchetta, né simili generi di castighi. Ma con molta pazienza e con industriosa sollecitudine si procuri il vero bene dei giovani che la Divina Provvidenza ci ha affidati (Scr. 32,14).
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So che codesti figliuoli non sono tutti ben disposti verso di voi, ed io vi esorto di non toccarli mai, di non batterli né irritarli: i giovani non si devono toccare né per carezzarli né per castigarli; ogni altro sistema che non sia la ragione, la persuasione e la religione dovete scartarlo. E, più che con le parole, educateli al bene con l’esempio della vostra vita, della vostra condotta regolare, veramente religiosa, esemplare (Scr. 32,258).
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Bisogna i ragazzi non soffocarli di avvertimenti, non soffocarli di correzioni: non pedanteria: correzioni, avvisi e castighi a tempo; il giovane è sempre di chi capisce che lo ama, che lo illumina, che lo istruisce (Scr. 33,94).
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Quando dovrete pur dare qualche castigo il vostro animo sia sempre elevato e non abbia nessuna apparenza di perturbazione, ma fate vedere il dispiacere che avete di dovere, di essere obbligati – vostro malgrado – a dover castigare. E le punizioni siano date con parole e modi urbani, che vi acquistino l’affetto e la stima e non vi alienino mai l’animo né di chi è punito, né dei suoi parenti, né di chi vi vede punire. E le ragazzate, prendetele per quelle che sono per ragazzate e non castigate mai ad animo eccitato, ma, possibilmente il dì dopo o dopo alcune ore (Scr. 51,29).
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Si bandiscano quei castighi che sono condannati dalla carità cristiana, dalla sana pedagogia e dalle leggi vigenti e ogni altra severa ed umiliante o troppo lunga punizione che disdica a sacerdoti e Religiosi e ad educatori del cuore e a salvatori di anime (Scr. 51,31).
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Anche quando si è proprio costretti ad infliggere castighi, siano dati con grande amorevolezza senza passione, senz’ira, ma nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, tenendo bene lo spirito alto e in Dio (Scr. 64,239).
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Vedere tutto, dissimulare molto, castigare poco, senza passione, senz’ira, senza superbia, nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, con dolcezza, ma senza carezze. Anche il castigo bisogna darlo con amorevolezza, come fa Dio (Scr. 79,303).
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Bandire i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti evitando ad ogni costo di battere i giovani; ma invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l’anima piena di sincero affetto, dobbiamo cercare, o cari figliuoli miei di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare i loro cuori a Dio (Scr. 82,63).
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Non si diano castighi gravi, non mai modi o espressioni violenti o mortificanti: non si umilii mai nessuno con termini di disprezzo. Non si diano castighi generali: si può e talora conviene dare qualche lode a tutti, non a singoli; invece mai castighi a tutti. Si miri sempre ad emendare il colpevole, mai a sfogare la collera (Scr. 99,272).
Vedi anche: Carattere, Disciplina (religiosa), Pedagogia, Sistema paterno–cristiano.
Castità (virtù, voto)
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Noi tutti di qui preghiamo per te in questo tempo dei tuoi santi esercizi, perché Dio ti conceda di custodire una castità santa e conservare inviolabile per tutti i giorni della vita il voto che deve formare la più bella gemma della tua corona. Oggi la tua anima fiorisce di santità, il tuo cuore risplende di angelica purezza: deh!, o mio figliolo e fratello in Gesù Cristo, non abbia mai ad appassire il candore della anima tua, non abbia mai ad oscurarsi la bella e purissima luce sulla tua fronte! (Scr. 25,1).
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Siate costanti in una perfetta purità e temperanza siate di orazione, siete miti, siete umili, siete fermi nel Signore e voi sarete pietre del tempio del Padre, preparate dalle mani della Divina Provvidenza per l’edificio di Cristo che è la Chiesa (Scr. 26,151).
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Siate sempre quali dovete essere: Figli della Divina Provvidenza non solo di nome, ma di fatto, ogni cosa operando per l’amore di Gesù Crocifisso, perseveranti nella pietà, costanti nella vocazione, in una perfetta purità, temperanza e lavoro, tutti d’un cuor solo e un’anima sola (Scr. 26,156).
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La verginità è il prezioso tesoro per la conservazione del quale tante anime generose hanno sacrificato il loro sangue e la loro vita. La conservazione di questo tesoro è difficile, ma la perdita è irreparabile; si può ricuperare la grazia quando è perduta, ma non si può ricuperare la verginità. Eppure non vi ha cosa più agevole che il perderla e nel mondo è così esposto questo tesoro e da tanti è così esposto che pare che cerchiamo di perderlo e ci rechiamo anche a felicità una perdita che dovrebbe essere per noi il fondamento di un eterno dolore, perché è senza rimedio (Scr. 29,90).
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Io ho 63 anni e a gloria di Dio confesso, e ne chiamo Dio in testimonio, che non ho mai avuto in tutta la mia vita un solo desiderio verso donne e ragazze né mai la minima tentazione su questo riguardo, eccetto uno scherzo una volta da piccolo, che potevo avere sette od otto o nove anni, non so di preciso, ma neanche ho toccato quella ragazza. Giuro davanti a Dio che non so come sono fatte le persone di sesso diverso e questo per divina misericordia. Giuro che non so come si compie l’atto cattivo né come si consumi il matrimonio, né come nascano i bambini: questo per divina bontà e misericordia. Certe cose in teologia le ho lette forse, ma senza capirle, e cercando anche di non capirle. In confessionale ho avuto aiuti speciali dal Signore, senza aver bisogno di imparare il male. Quando nelle Missioni ho predicato agli uomini, mi sono valso di certi autori, ho detto certe espressioni fino a un certo punto, per dar loro confidenza a confessarsi: avranno forse creduto che io sapessi tante loro cose, ma, in verità, per grazia di Dio, ne so poco più di quando ero fanciullo, essendomi consacrato alla Madonna, e la Madonna mi ha sempre aiutato tanto, tanto, tanto, tanto! L’efficacia della mia parola e la benedizione sul mio povero lavoro ho sempre pensato che sia in forza della bella virtù. Devo molto a mia madre, che mi ha saputo custodire, ma su questo io sentivo di essere, direi, più di mia madre, evitando, anche e fin da quando ero piccolo, che mi baciasse (Scr. 31,157).
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La scienza della illibatezza e santità della vita è una scienza recondita, che non la insegna il mondo, e rarissimamente la si apprende dalle scuole pure nostre: è scienza che non ha aspetto pretenzioso né faccia baldanzosa, ma è la scienza santa, la scienza della salute! (Scr. 31,224).
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Quando siasi trovato un solo fatto d’un giovane che induce o tenta un altro al peccato d’impurità, si licenzi subito. Che se poi vi avessero solo indizi, senza poterne avere una prova, è dovere con ogni assiduità vigilare su di esso in tutti i momenti e, alla più lunga, al nuovo anno non accettarlo più, bastando, per non accettarlo, avere solo un grave indizio (Scr. 51,30).
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La virtù della purezza è virtù preziosissima da conservarsi a qualunque costo. Si debbono fuggire i pericoli e fino le apparenze dei pericoli. Nessuna vigilanza è soverchia quando si tratta di custodire la santa virtù. Non si facciano visite inutili né in patria, né presso parenti, né presso gli amici del secolo. Non si accettino inviti di pranzi, non si facciano viaggi senza grave necessità e specialmente non si vada a passare il tempo delle vacanze in casa dei parenti (Scr. 52,34).
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Tutte le virtù, miei figli prediletti, voglio che siano da noi praticate, ma quanto alla bella virtù, alla purità, voglio che sia la virtù speciale nostra e per questo vi esorto alla Comunione quotidiana, alla devozione filiale alla Madonna, alla preghiera, alla fuga da ogni relazione pericolosa e alla mortificazione. Vigilanza, vigilanza, vigilanza su di noi e su gli altri, vigilanza paterna, o sacerdoti, ma rigorosa, esatta, continua: in fatto di modestia non si transiga, non si transiga, non si tolleri: o correzione o espulsione (Scr. 52,35).
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La nostra vita sia come uno specchio tersissimo in cui tutti possano continuamente specchiarsi. Il nostro aspetto, il nostro sguardo, il nostro contegno, le nostre parole, tutto il nostro modo di fare deve spirare castità e angelica virtù (Scr. 52,35–36).
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Se non c’è la virtù della castità non produciamo nessun effetto. Dice San Francesco di Sales che per fare del bene non è il gesto, non la parola, ma la purità del cuore e la benedizione del Signore. Don Bosco passava su tutto, meno che su quello (Scr. 55,274).
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Don Bosco non si stancava dal ripetere che Gesù risiede nei cuori puri e che la illibatezza e purezza della vita è requisito indispensabile per ricevere Gesù e divenire Santi. Nessun santo ha mai insistito tanto quanto Don Bosco su la pratica di questa virtù: egli volle che fosse come il distintivo dei suoi alunni, perché solo con questa virtù praticata scrupolosamente si diventa celesti giardinieri, coltivatori dei mistici gigli che devono fiorire e germogliare nei nostri Istituti. Così la nostra vita deve essere una vita di candore e di purezza verginale (Scr. 55,280).
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A voi miei fratelli e figli in Gesù Cristo dico: la purezza insieme con la carità e l’umiltà e l’attaccamento alla Santa Sede, la purezza è la virtù che deve maggiormente distinguere la nostra vita, la nostra condotta, la nostra Congregazione. Povertà i francescani, obbedienza i gesuiti. Purezza è sinonimo di ardore nel bene, è sinonimo di santità. Don Bosco diceva: un giovane puro è un giovane santo, un Sacerdote puro è un Sacerdote Santo, un Religioso puro è un Religioso santo. Cari miei, perché Dio ci ha chiamati? Risponde San Paolo: Egli vi ha chiamati perché siate immacolati e santi al suo cospetto (Scr. 55,281).
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Chi non ha fondata speranza e morale certezza di poter conservare, con l’aiuto di Dio, la virtù della castità nelle parole, nelle opere e nei pensieri non faccia i voti o non li rinnovi in questa nostra Congregazione (Scr. 55,282).
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La moralità degli alunni dipende da chi li ammaestra, li assiste, li dirige. Bisogna esser modelli severi di castità. I grandi disastri nelle Case Religiose succedono quando manca la santità della vita in alcuno dei Superiori, maestri od assistenti (Scr. 55,284b).
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Gesù si pasce di gigli, pascitur inter lilia, perché non vi è cosa più bella di un’anima pura. Un vivo desiderio della purità lo sentiamo in noi, come sentiamo vivo il bisogno di Dio. È la luce purissima di Dio che ci solleva a Lui, Qui pascitur inter lilia! L’anima pura è sciolta dalle cose della terra e da sé medesima e noi la vediamo trasparire negli occhi di innocenti fanciulli o sulla fronte serena del sacerdote, o in tutto l’atteggiamento delle persone semplici e fedeli. I grandi amatori di Dio per acquistare la purezza ed elevarsi vieppiù nell’amore di Lui maltrattavano il loro corpo, non gli concedevano neanche il necessario (Scr. 57,246).
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Del voto di Castità. 1) Chi custodisce su questa terra un fiore così pregevole, si rende abile alla beata visione ed unione con Dio che è la stessa purità; onde ogni Religiosa sia molto attenta a gelosamente conservare la propria purità, tenendo la mente sgombra da ogni pensiero cattivo e vano e la volontà alienissima da ogni attacco terreno. 2) Per custodire questo bel giglio di purità, che tra le spine della vera mortificazione dei sensi nasce e si conserva, si guardi ciascuna di rimirare oggetti pericolosi, leggere libri profani ed ascoltare ragionamenti non del tutto conformi alla cristiana modestia (Scr. 98,99–100).
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Quanto più puro lo spirito e mortificato il corpo, tanto più saremo atti al lavoro intellettuale. Dalla castità saremo molto aiutati ad acquistare la scienza necessaria per istruire i giovani che la Divina Provvidenza ci manda (Scr. 100,152).
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La purità è una virtù che ci rende simili agli angeli, la loro purità è più felice, la nostra è più generosa, ché eglino non hanno carne da combattere e noi ne abbiamo e non possiamo conservare fra tanti nemici la nostra purità, se non con il mezzo delle battaglie. La verginità ci fa essere simili a Dio (Scr. 102,115).
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La purità merita ogni attenzione. Se abbiamo un po’ di fede o di ragione non dobbiamo trascurare cosa alcuna per conservare la purità. Se ella è un tesoro, dice San Paolo, lo portiamo in vasi fragili; basta inciampare per cadere e cadendo rompere i vasi fragili e rovinare il tesoro che entro rinchiudono. Quale sarebbe la cautela di un uomo carico di un tesoro fragile e prezioso e sdrucciolevoli? La nostra deve essere forse minore, mentre siamo circondati da precipizi e da insidie tese dai nostri nemici alla nostra purità. Gli oggetti da noi veduti, discorsi da noi uditi sono per la maggior parte tante insidie del demonio a noi tese; se non vegliamo del continuo sopra noi stessi, se non osserviamo tutti i nostri passi, quanti saranno i passi che faremo, tante saranno le vedute che, facendoci perdere la purità, ci faranno perdere la grazia, la nostra anima, il nostro Dio (Scr. 102,116).
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Purezza, del candore che si deve far rispecchiare nella vita di una suora, che si deve rispecchiare nell’anima e in tutto il contegno esterno di chi si è consacrato a Gesù e non anela ad altro che ad essere la sposa di Gesù. È la virtù angelica che fa simile agli Angeli, virtù che, tanto più splende nella vita dei Santi, tanto più sono cari a noi. L’angelico San Luigi, l’angelico San Tommaso d’Aquino; si dice così di loro, perché possedevano questa virtù eccelsa. Pio IX, che tanto soffrì per la Chiesa, come anche Pio X, si dicevano l’angelico Pio IX e l’angelico Pio X, perché pareva che in questi Pontefici in modo speciale rifulgesse il candore della purezza, della virtù degli Angeli. Sant’Alfonso dice che, quando si predica ai religiosi, non conviene parlare del vizio in opposizione, vale a dire del vizio della disonestà. Sant’Alfonso dice: Siate così delicati da non far neppure una predica sul vizio! Vuole però questo santo che si faccia la predica sulla virtù della purezza; perché, dice, tanto più ameranno la purezza tanto più fuggiranno il vizio o soltanto anche le sole larve di vizio. Sant’Alfonso dice che avere una suora con tanto attaccamento alla purezza è un segno sicuro e indispensabile della vocazione. Se un’anima che volesse consacrarsi a Dio non avesse questo amore è segno che non ha vocazione. È indispensabile questa virtù! (Par. II,55).
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Disse Gesù nelle beatitudini della montagna: beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio; tanto più il loro cuore è puro, tanto più avranno una vista speciale da vedere Dio. In altro passo del Vangelo sta scritto che non entrerà in paradiso ciò che non è puro. Quelle anime che fossero effeminate, non oneste, non illibate, non possederanno il regno di Dio. Dio è purezza. Dio è una montagna a gigli, è il candore della eterna bellezza, della eterna luce e non può ammettere nella sua casa del Paradiso ciò che non è puro. La purezza è necessaria a tutti, ma specialmente alle persone consacrate agli altri, alle persone consacrate a Dio. Gesù volle essere chiamato agnello. San Giovanni Battista con l’indice della mano destra additando Gesù disse: Ecco l’Agnello di Dio. Ma gli agnelli sono qualche cosa di innocente. Guardateli negli occhi, tutto vi dice semplicità e candore e Gesù volle essere chiamato Agnello di Dio e, quando il Sacerdote all’altare alza l’Ostia consacrata, dice: Ecce Agnus Dei; ecco l’Agnello di Dio. Gesù ha voluto essere definito e chiamato in tutto il mondo l’Agnello. E anche la Santa Chiesa vuole che il pane consacrato, che si trasforma nel Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo, sia di bianchissima farina per significare il candore. E di Gesù sta scritto che è l’agnello che si pasce di gigli. Il giglio simboleggia il candore, la purezza dell’anima, tanto che si dice: ha il candore del giglio; è un giglio di virtù. E nostro Signore ha permesso che Lo si insultasse, che Gli si dicesse impostore; Nostro Signore ha permesso che lo si schiaffeggiasse, ma non ha mai permesso di essere insultato nella bella virtù. Ha tollerato tutto, meno quello, tanto vuole che noi siamo puri (Par. II,56).
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Il Signore volle una Madre Vergine, pura, immacolata fin dal primo istante della sua concezione. Il Signore non ha permesso neanche che avesse il peccato originale, l’Immacolata. Avendo voluto scegliersi chi gli facesse da padre, ha scelto San Giuseppe, casto, purissimo. Avendo voluto mandare uno che preparasse la via, che lo annunziasse, mandò San Giovanni Battista che fu di una vita così santa, così angelica, che la gente lo adorava, come fosse il Messia. Fra gli apostoli, Gesù ha amato più di tutti San Giovanni Evangelista, perché era tutto puro. Gli altri erano sposati. San Pietro aveva famiglia, Sant’Andrea pure e, per seguire Gesù, hanno abbandonato tutto e ci hanno insegnato che, per seguire la vocazione, bisogna abbandonare tutto, bisogna ubbidire prima a Dio, che agli uomini. Ma fra gli apostoli c’era San Giovanni, ch’era un angelo di purezza: aveva circa 17 anni e il Signore lo prediligeva, perché era Vergine. E quando nell’ultima cena Gesù istituì il Sacramento dell’Eucaristia, permise che Giovanni posasse la testa sul Suo Cuore e vi si abbandonasse. E quando Gesù disse: Uno di voi mi tradirà! San Pietro disse a Giovanni, sapendo ch’era il prediletto di Gesù: Chiedi a Gesù chi lo tradirà. Giovanni seguì poi Gesù al Calvario e stette, lui solo, ai piedi della Croce e Gesù consegnò sua Madre a San Giovanni. Questo per dirvi come il Signore predilige, come il Signore ama quelli che posseggono questa angelica virtù. E quando Gesù risuscitò, permise che Giovanni arrivasse prima di Pietro, prima degli altri discepoli al sepolcro; e questo vuol dire che i puri hanno una gioia, una leggerezza di spirito che arrivano più in alto. E come Gesù sollevò, e come Gesù confortò tutte le vergini! Sant’Agnese, come fu amata da Gesù! Quali prodigi Egli operò per questa fanciulla, e i Pontefici misero Sant’Agnese, questa Vergine, nel canone della Messa. Ugualmente Santa Cecilia: Santa Cecilia morì martire, tentarono di tagliarle il collo e quando cadde stese la mano con le tre dita per indicare la fede in un Dio in Tre forme. E a Santa Lucia strapparono gli occhi, ma non riuscirono a strapparle il suo giglio; è una delle sante per cui c’è più venerazione, specialmente in Sicilia. E quante Sante, per essersi mantenute pure in vita, il Signore le ha mantenute intatte anche dopo morte. A Messina c’è una grossa cascina e nella chiesa c’è il corpo di una suora, la chiamano la beata Paola. È tutta intatta perché seppe mantenere intatto il giglio della sua anima. Oh! Questa virtù quanto è cara al Signore! (Par. II,57).
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Prima di tutto la Suora deve cercare che risplenda in lei la castità, poi dovrà fare anche il voto di castità, con quello di povertà e di obbedienza. Per mantenersi puri, ogni precauzione, non è mai troppa. Quando l’angelo apparve alla Madonna e la salutò: Ave, Maria, gratia plena..., la Madonna si turbò, perché aveva fatto il voto di purità, aveva consacrato il suo giglio immacolato a Dio e, piuttosto di rinunziare alla sua purità, avrebbe persino rinunziato, se fosse dipeso da lei, ad essere Madre di Dio. La Vergine si tranquillizzò solamente quando l’angelo del Signore le disse che il Salvatore sarebbe nato da essa in modo miracoloso, di modo che si sarebbe mantenuta Vergine. Cosa vuol dire che quando la Chiesa consacra i suoi membri vuole che noi Sacerdoti vestiamo di bianco? La Chiesa vuole che i suoi ministri vestano di bianco per significare il candore che devono avere i sacerdoti. Quando la Chiesa consacra le Suore dà dei veli bianchi, dà dei pettorali bianchi, per significare il candore della vita religiosa. Tutto quello che fa la Chiesa ha sempre un alto significato! E questa virtù non è solo un segno probativo, ma necessario per una buona vocazione. Io osservo i miei ragazzi, quando vedo che un ragazzo sa mantenersi puro, io penso che ha già per metà la vocazione. E quando vedo che nel giocare, nei movimenti, nel camminare i giovani hanno dei movimenti liberi, non sono composti, allora io non credo alla loro vocazione. Oh, quanto è bella la generazione dell’anima casta in cielo (Par. II,58).
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Noi dobbiamo custodire bene i sensi, che sono la porta della malizia. I mezzi per custodire la purezza, sono dunque: la custodia sei sensi, specialmente la custodia della gola; chi desidera mangiare bene non custodisce il senso della gola. Qui fra noi, nei primi anni della Congregazione, era venuta un’anima che fu poi allontanata dalla casa, perché non rispondeva al nostro spirito. Un giorno che la vidi fuori, le chiesi: Come mai siete ridotta cosi? Ed essa disse una grande verità: Non ho saputo mortificare la gola e non ho saputo mantenermi come dovevo. Poi, fuga delle occasioni: chi ama il pericolo, nel pericolo perirà. In fatto di santa virtù, vince chi fugge le occasioni. Voi che siete nelle case dove sono i ragazzi, ricordatevi che quando c’è un ragazzo in refettorio, non ci deve essere la suora; ci deve essere l’abisso fra voi e i ragazzi! Quando il prete viene a dire la Messa, quella che fa da sacrestana deve andar lontano dal prete: dovete essere così delicate (Par. II,59).
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Vi è una virtù, o buone figliole del Signore, che è essenziale nella vita religiosa, e che il mondo stesso, guasto e corrotto, critica e ride quando non c’è, coprendo di fango i sacerdoti e le persone di Chiesa che ne sono privi. Virtù grande, virtù santa, virtù angelica, che si ha quasi timore di profanare nominandola, noi peccatori miserabili. Si chiama la virtù degli angeli, e si dicono “angelici” quei santi in cui questa virtù risplendette maggiormente. Voi capite perché io vi parlo di questa virtù senza averla nominata; temerei di sporcarla con questa mia linguaccia! Abbiate in voi e coltivate la bella, l’angelica virtù! Chi l’avesse perduta, si rifaccia una vita nuova nella penitenza, nella mortificazione. Non è mancanza che vi arrivino addosso dei pensieri, dei sospetti, delle tentazioni; ma è mancanza dar corpo a questi cattivi pensieri, a questi fantasmi, a queste cattive immaginazioni, e può essere mancanza grave. E poi tenete a mente che in simili combattimenti vince chi fugge. Nelle altre battaglie chi fugge è disonorato; ma in questa lotta tremenda vince chi fugge. Chi questiona con la tentazione diventa debole e cade. Il fango non si prende in mano, né ci si monta sopra, si salta; la pece sporca, la paglia vicina al fuoco brucia. Evitate le occasioni. Quanto vorrei raccomandarvi questa bella virtù! (Par. I,209).
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Beati i puri: Beati mundo corde! Beati coloro che hanno il cuor puro! Evitate le familiarità fra voi e, tanto più, con persone di altro sesso. Carità con tutti, confidenza con nessuno! Non entrate in intimità con nessuno! Guardatevi dagli uomini, anche se Sacerdoti, anche se qualche volta vi pare proprio che debba farvi del bene; state da voi, non ascoltate confidenze, non vi fidate, non vi fidate! Chi non si contenta di Gesù Ostia, non è degno della vostra confidenza. Non vi fidate; è il diavolo, che vestito da angelo tenta di farvi cadere. E dovendo andar fuori, per la strada, tenete sempre gli occhi bassi, non guardate in giro; ricordatevi che qualche cosa di quel che si è visto, resta sempre a turbare la mente, a indebolire lo spirito. E una curiosità malsana può costarvi cara. Pregate la Madonna! Ave Maria, Regina Angelorum, Mater Purissima, otteneteci di restar fedeli e praticanti della bella virtù, sin agli ultimi aneliti della nostra vita (Par. I,210).
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Alcuni di voi hanno mostrato desiderio di consacrarsi a Dio con il voto di purità. Questi, che sentono in cuore l’ispirazione di consacrarsi a Dio con il voto di purità, si consiglino con il loro confessore e poi, se il confessore concede di farlo, lo facciano quando lo fanno gli altri. È bene però, il voto, solo per un dato tempo: ad esempio, da oggi, che è l’8 settembre, festa della Madonna, all’8 dicembre altra festa della Madonna. In generale, chi fa questo voto lo fa da una festa della Madonna ad un’altra festa della Madonna ed è un modo molto adatto di prepararsi agli altri due voti di povertà e di obbedienza. È questo – ricordatelo – un vero voto e lo deve fare solo chi si sente in forza e chi ha il consiglio favorevole del proprio confessore (Par. V,214).
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L’altro fiore che vuole Gesù nel giardino della nostra anima è la purità, la virtù angelica detta così perché Angeli in carne diventano le persone pure e caste. Il giglio della purezza è un fiore che trova il suo vero ambiente nelle aiuole del Paradiso, ma può essere trapiantato anche su questa terra dalle anime che la coltivano con vigilanza e amore. Quanto predilesse Gesù la purezza, la verginità. Egli volle una Madre Vergine, volle per custode San Giuseppe perché puro e casto; carezzò i bambini innocenti e chiamò per primi alla capanna di Betlemme i Pastori perché anime semplici e pure. E fra tutti gli Apostoli chi fu il prediletto? Fu San Giovanni Evangelista, l’Apostolo vergine. E tutto in Gesù parla di purezza, tutto! La Sindone candida in cui fu avvolto; i lini candidi che servono per la celebrazione del Santo Sacrificio. Facciamo pure a questo riguardo la considerazione che Gesù accusato e perseguitato sempre come sobillatore del popolo, non permise mai che la più piccola accusa, la minima ombra del sospetto venisse a offuscare la divina purezza di cui sempre era effusa la sua divina persona. Oh, preghiamo Gesù perché ci innamori della verginità, perché ci inebri di purità! Egli che è l’autore della santità, l’Agnello Immacolato, il giglio delle convalli! Non impariamo ad apprezzare questa virtù, la più bella fra tutte, quando già dobbiamo piangere sulle rovine; ma nella preghiera, nella Santa Comunione troviamo tutto lo slancio per divenire angeli, per essere le anime predilette dell’Agnello che si pasce tra i gigli! (Par. V,294).
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Quando c’è la bella virtù allora c’è lo spirito di carità, c’è lo spirito di apostolato. La santa purezza è detta la virtù angelica perché in qualche modo noi ci rassomigliamo agli Angeli. La bandiera della nostra Congregazione, croce rossa in campo bianco, la nostra bandiera esprime due virtù tanto care a Dio e al caro Santo Don Bosco; la purezza e la carità, candore e sangue (Par. V,306).
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La festa dell’Immacolata è la Festa Patronale della Congregazione, poiché nessuna festa è più adatta di questa per i probandi, per i Chierici, per i Sacerdoti, per i Religiosi, essendo la celebrazione della virtù più singolare e più cara a Maria. Deve essere veramente la festa della illibatezza, della castità, dell’immacolatezza. In questo quarantennio della Congregazione questa festa dell’Immacolata deve essere celebrata in un modo solennissimo. Chi non è puro, non può, non deve farsi Sacerdote; anche i cattivi temono e rispettano il Sacerdote di vita illibata, irreprensibile e di condotta tutta santa (Par. V,325).
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L’Immacolata è la festa che celebra la virtù più cara a Maria che è l’Immacolata per eccellenza. Chi non è puro non deve farsi Sacerdote. I Sacerdoti devono essere angeli di purezza. Anche i cattivi rispettano e stimano i Sacerdoti di virtù illibata. Voi che siete invitati e portati dalla Divina Provvidenza a consacrarvi a Dio, chiedete a Maria Santissima che vi guardi, che vi ottenga da Dio la grazia della santa virtù; la virtù che è tanto bella; quella virtù per cui si diventa come angeli al cospetto di Dio e chiedete questa virtù a Maria Santissima (Par. V,326–327).
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La castità è la virtù più cara alla Madonna, chi non è puro non può, non deve farsi Sacerdote, o miei cari giovani. Siamo casti, manteniamoci casti. Anche i cattivi rispettano, e quasi temono, i Sacerdoti di vita illibata, irreprensibile e di condotta tutta santa. Non possono dir nulla quando i Sacerdoti fanno ciò che il ministero sacerdotale esige. Invece i cattivi e anche i buoni si lamentano, mormorano, non lasciano di sospettare quando i Sacerdoti non danno buon esempio, non sono puri, non fanno onore all’abito che portano. Castità, virtù grande, virtù essenziale, virtù santa, virtù angelica, che si fa amare e prediligere da Dio, da Dio si fa benedire. La purezza ci solleva al di sopra della terra e ci fa salire al trono di Dio, a contemplarlo, in altre parole ci rende simile agli Angeli: et erunt sicut Angeli Dei, dice il Vangelo; cioè i puri sono e saranno sempre come angeli di Dio (Par. V,331).
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La purezza deve essere la nostra prerogativa. Purezza e carità. La purezza nasce dall’amore di Dio e chi ama veramente Dio conserva il suo cuore puro, casto, per offrirlo a Lui. Come è realizzata la frase: Qui pascitur inter lilia! I puri si pascono di Gesù, dell’Agnello Immacolato, del Pane Angelico, dell’Eucaristia che germina i vergini e i martiri. Dove attingevano la forza tante deboli donzelle, insidiate, tormentate, esposte alle belve, al fuoco, e che si fecero ostie sante per Gesù, che fecero della vita un olocausto per Gesù? Le sante vergini preferirono la morte piuttosto che venir meno al voto. Tutte le virtù vengono ove c’è la bella virtù: veniunt pariter cum illa! Don Bosco non faceva altro che raccomandar questa virtù: era tanto delicato che parlava sempre della virtù e non del vizio. Era così delicato, guardingo, come dice San Paolo: Non nominetur in vobis invanum! Il segreto di Don Bosco per la diffusione della sua Congregazione era il conservare la bella virtù. Certi vocaboli non li ha mai usati! Era poi inesorabile, terribile contro quelli che erano immorali, anche avessero avuto l’intelligenza di Salomone. I nemici si scaglieranno contro i sacerdoti, diranno e ne faranno di tutto, ma mai cesseranno di rispettarli intorno alla castità se vivranno la vita degli angeli. La Casa del Noviziato di Bra, in Italia è dedicata all’Immacolata: chi sa il perché? Perché esprime tutto il candore, lo splendore dei religiosi. Ogni volta che vedo nelle nostre chiese l’Immacolata, mi consolo, perché penso che ci sia questa virtù. Le nostre ali sono la Carità e la Purezza (Par. VI,259–262).
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Senza castità non si piace a Dio e non c’è virtù. La vita in comune è di grande aiuto, specie per la bella virtù perché si sente il buon esempio. Chi ha perso la bella virtù non si scoraggi, perché la riacquista nella emissione dei santi voti. Purezza è santità e la santità è purezza. Sta scritto: sancti estote e operate con timore e tremore. Stare attenti alla bella virtù! Noi siamo insidiati più che altri; tutto si insinua per farci cadere (Par. VI,280).
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La carità sarà per tutto il corpo delle Congregazioni; l’attaccamento al Papa è tutto il corpo della Congregazione; ma la purezza, nella Congregazione, deve eccellere in tutti i membri: è l’illibatezza dei nostri costumi che deve mandare il profumo e la fragranza che manda sempre la bella virtù, la santa virtù, l’angelica virtù (Par. XI,67).
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Purezza è sinonimo d’ardore, è sinonimo di intelligenza, è sinonimo di buona riuscita nelle cose. Ho conosciuto un giovane intelligentissimo. Finché si mantenne puro, riusciva; ma quando si mise a piegare, quando quel colore angelico scomparve, quando quello sguardo non era più lo sguardo di prima, anche l’intelligenza scomparve; non riuscì più a quello che doveva riuscire (Par. XI,71).
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Cari miei fratelli, la purezza si mantiene con lo spirito di preghiera, di umiltà, con la frequenza ai Sacramenti, con la temperanza e con la fuga delle occasioni, con la fuga delle occasioni, con la fuga delle occasioni! Con il lasciar subito i luoghi o le persone che ci possono fare del male; con l’avere un aborrimento alla colpa, alla sensualità. Mi vergogno di dire questa parola e, forse, questa mattina mi è scappata, senza volerlo, qualche parola che non avrei dovuto dire! Si mantiene la bella virtù fuggendo la pietà sentimentale, fuggendo il secolo e le sue massime, con il non andare in famiglia. Mi dirà qualcuno: Ma si sposa mio fratello. Ma lascia che si sposi! Se sei Sacerdote, vai a fare le funzioni in chiesa e poi passa dal Parroco a prendere una tazza di caffè e te ne ritorni alla tua Casa religiosa. Lascia Gesù e Maria alle nozze di Cana; tu non sei né Gesù né Maria, né hai la virtù di Gesù e di Maria. Fuga del secolo e delle massime del secolo e guardarci dalle relazioni e dalle conversazioni geniali e dalle amicizie particolari; guardarci da tutto ciò che potesse nuocerci, anche sotto parvenze spirituali (Par. XI,75).
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Il demonio è furbo! Attenti ai regalucci, fosse anche un Crocifisso, una immagine! Mi dirà qualcuno: Ma quello lì è un po’ cattivo e io cerco di farlo diventare buono! Niente, niente. Videtur esse caritas et est carnalitas. Il demonio è scaltro; ha tutta la malizia dell’altro mondo e di questo mondo. Non vi fidate mai di voi, non vi fidate mai di voi! Perché cadde San Pietro, Capo del Collegio degli Apostoli, e rinnegò Gesù Cristo? Perché? Perché si è messo nelle occasioni. E chi lo ha fatto cadere? Una servaccia! Attenti bene! Guardiamoci da certe relazioni anche fra noi; attenti ai regalucci; via le strette di mano. Sono più di quarant’anni che Don Sterpi ed io ci conosciamo e ci vogliamo bene veramente, bene grande; ma neppure quando sono partito per l’America ci siamo stretti la mano; neppure da Chierici ci siamo presi per mano. Sono più di quarant’anni che Don Perduca ed io ci conosciamo, e come ci conosciamo!; saremmo pronti a dare il sangue l’uno per l’altro; ma mai ci siamo stretti la mano. Sono più di quarant’anni che Don Gatti ed io ci conosciamo, ma mai ci siamo dati la mano, neanche prima di andare in America. E così con Don Zanocchi e con gli altri Confratelli più anziani, non ci siamo mai stretti la mano. Via le moine, non tocchiamo mai i ragazzi nella faccia! Non ci siano le amicizie particolari fra di voi, né le dovete permettere tra gli allievi. Ricordiamo che la morale è la base della disciplina ed il modello della vita religiosa; ed il tesoro più prezioso deve essere la bella virtù. Nessuna diligenza è soverchia quando si tratta di custodire la virtù e di allontanare i vizi. La virtù è fiore delicatissimo e sensibilissimo da conservarsi a qualunque costo (Par. XI,76).
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Via le amicizie particolari! Non si tolleri che i giovani mettano le mani sulla vostra persona, né diano segni di affezione particolare, mai, mai, mai! È perduto il sacerdote, il chierico, che ha beniamini. Non è più Figlio della Divina Provvidenza! Non dico quell’altra parola che si usa nei collegi (cocchetti) perché mi vergogno e perché non l’ho mai udita da Don Bosco. Si possono fare regali di frutta ai ragazzi dal Sacerdote e dal Chierico della Divina Provvidenza? Si possono condurre i ragazzi nella propria camera, nella propria cella? No! No! No! Oh!, le terribili conseguenze, non solo per l’anima, per la vita spirituale, ma anche per la Congregazione! Non dico di più, perché mi vergogno di dire di più. Oh, le terribili conseguenze! Non per nulla nel Vangelo Gesù Cristo disse: Vae, homini illi. Guai, guai a quell’uomo per colpa del quale viene lo scandalo. Melius si natus non fuisset homo ille. Meglio si legasse una macina di molino al collo e si buttasse nel profondo del mare. Guai! Nelle nostre Regole si legge questa parola, là dove si parla della virtù della castità, in quelle Regole rivedute e corrette in qualche punto da Pio X si legge: Dio benedice sempre i puri! L’altro ieri dicevo ad un sacerdote: Ho fatto questo cambiamento. Ed il sacerdote: Ah! Poveri noi! Se non ci sarà più quel superiore che, con la sua virtù, ha salvato la Congregazione da certe situazioni! Quanti anni è che sei con quel superiore? Cinque anni, rispose. Non ho più avuto il coraggio di dirgli altro, perché lo vidi troppo afflitto per quel cambiamento; ma che piacere è stato per me il sentire che la virtù di quel superiore ci aveva salvati da tanti disastri! La nostra Congregazione prospererà, si dilaterà e farà del bene se noi coltiveremo la virtù degli angeli. Cari miei fratelli Sacerdoti e cari miei chierici! La Congregazione non prospererà perché sorgono i grandi o piccoli Cottolengo; non prospererà se verranno dei belli e grandi ingegni, ma prospererà se ameremo molto, e molto ameremo il Signore, coltivando nel cuore la santa e bella virtù (Par. XI,77).
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La purezza è fortezza! Cristo volle essere preceduto da un martire della purezza: San Giovanni Battista, che fu tanto mortificato. Quale prova di fortezza meravigliosa egli diede! Sapeva bene che il dire Non licet! gli avrebbe attirato l’ira di Erodiade! Lo sapeva, ma esce dal deserto per tutelare i diritti di Dio, i diritti dell’onestà, della virtù. Che precursore! Gesù ebbe un Padre putativo: San Giuseppe. E chi fu l’Apostolo prediletto? Non San Pietro, non gli altri apostoli, ma colui che aveva la prerogativa virginitatis! Chi saranno i prediletti in Cielo? Quelli che, soli, potranno cantare il cantico e che seguiranno l’Agnello quocumque ierit, che seguiranno l’agnello ovunque andrà. Saranno i vergini! Quelli che sono vissuti Sicut angeli Dei in Coelo! Come gli Angeli del Signore. È bello e consolante! Che gran conforto è per voi, voi che state per fare i voti, il pensiero che vi rivestite dell’innocenza battesimale! E questo è, lo sapete, secondo l’insegnamento di Sant’Alfonso e di San Tommaso; ed è anche ciò che ci insegnano, sotto gli occhi della Santa Chiesa, i grandi maestri di Teologia che educano la falange di quelli che saranno i pastori delle anime. Quando emetterete i Santi voti e vi consacrerete, anima e corpo, a Dio, davanti a Lui diventerete mondi come gli angeli. Ringraziate Dio che vi concede tanta grazia, la grazia di separarvi dal mondo e chiediamo, per l’intercessione di Maria Santissima, la celeste e potentissima Madre di Dio e Misericordiosissima Madre nostra, chiediamo che ci dia la grazia di restare fedeli alla nostra vocazione e lottiamo e preghiamo. Raccomandiamoci in modo speciale all’intercessione di Maria Immacolata, affinché risplenda sempre più in noi la luce della santa ed angelica virtù. La virtù che dovrà essere da noi maggiormente coltivata perché la più cara al Figliolo di Dio. Dicono le vecchie Regole: Chi non ha fondata speranza di conservare, con il divino aiuto, questa santa virtù nelle parole, nelle opere, nei pensieri, non si faccia iscrivere a questa Congregazione, perché, ad ogni passo, egli sarebbe esposto a grandi pericoli (Par. XI,78–79).
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Quanto più chi sta con noi incontrerà Gesù Cristo, e lo incontrerà nel cammino della nostra vita e vedrà in noi la vita pura, illibata, vedrà la nostra vita candida, bianca come la neve, tanto più noi opereremo la nostra salvezza e la salute del prossimo. E tanto più trascineremo le anime, quanto più sarà grande la stima e la fiducia che emanerà dalla nostra vita, dai nostri costumi, dal candore dei nostri costumi, dalla bellezza della virtù cristiana e religiosa che risplenderà nei nostri costumi, nella nostra vita! (Par. XII,115).
Vedi anche: Grazia (di Dio), Modestia, Temperanza, Tentazioni.
Catechismo
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Intendo anche dare personalmente un premio a chi saprà meglio, e vorrei che si facesse poi il 15 Agosto o in qualche altro momento una gara catechistica tra i novizi, davanti a tutti i nostri Sacerdoti così essi conosceranno meglio i novizi e ritornando alle loro mansioni promuoveranno altre gare catechistiche tra i giovani e gli orfani, e ne verrà grande bene (Scr. 2,111).
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Non mandate chierici al liceo Regio, ma che i chierici facciano un vero e buon liceo, con molta sana filosofia, da noi: questo molto, molto, molto raccomando. E curino lo studio del catechismo e della religione e la pietà e vita religiosa (Scr. 18,158).
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Per l’Opera catechistica prego ogni giorno e farò pregare, caro mio don Minetti, sì, farò pregare tanto i nostri cari poveri: il Signore ascolta sempre la voce dei poveri! L’Opera catechistica non cadrà, malgrado la nostra miseria, perché non può venire che da Dio. Il catechizzare i fanciulli mi parve sempre un lavoro di molto merito presso Dio; e in questo senso ne ho scritto, mesi fa, al suo Cardinale, dicendogli appunto che mi sentivo portato ad aiutare lei, perché l’opera dei catechisti mi pareva tanto bella e tanto grata a Dio e alla santa Chiesa, poiché così necessaria, specie in questi tempi (Scr. 37,197).
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Oggi ho sentito gli orfani ad uno ad uno, e già a ciascuno in particolare ho raccomandato assai di curare di più le pratiche religiose e lo studio del catechismo (Scr. 48,231).
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L’Opera della Divina Provvidenza è incominciata a Tortona, una quindicina d’anni fa, con un po’ di catechismo ad un ragazzo che piangeva, battuto e fuggito dalla chiesa parrocchiale (Scr. 61,58).
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Quando considero che buona parte dei nostri cari fratelli vivono e muoiono senza pensare donde vengono e dove vanno, vivono trascurati, indifferenti... disperati: disprezzano ogni autorità umana e divina, gettano nella società lo scompiglio, l’agitazione: allora levo lo sguardo e conosco, o cari fratelli di Novi, conosco l’importanza del catechismo e la necessità di ritornare ai piedi di Dio. Allora che penso tra me e me che cosa si è acquistato, che cosa si è ottenuto con il gettare nel fango il catechismo, con il bando della dottrina cristiana, questo celeste libretto? Si è strappata la pace dal cuore dell’uomo, gli strappate la fede, gli togliete ogni stimolo al bene e alla virtù, rendete malcontenti e disgraziati milioni e milioni di spiriti immortali creati da Dio e per Dio e tutta minacciate l’autorità e l’ordine pubblico, lo scalzate dalle fondamenta. Torniamo allo Statuto... nuova vita nuovi costumi! Esiste nel seno della Chiesa la dottrina redentrice e consolante dottrina pura, santa, incontaminata per sanare la misera società... Torniamo al catechismo! (Scr. 64,233).
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Che gioverebbe, o amici miei, possedere noi tanti tesori che consolano l’anima e sanano la vita, se non li mettessimo in luce? E non è forse questo che succede ai nostri giorni, in cui si insegna nella scuola un pochino di tutto e si cela la dottrina del Vangelo e si vuole la esclusione del Catechismo e l’insegnamento senza Dio? La neutralità che si invoca è una impossibilità pratica: il silenzio stesso in questa circostanza ha la sua eloquenza: chi tace acconsente, dice un vecchio proverbio; ebbene, chi tace di Dio nella formazione dei giovani, possiamo dire noi, rovesciando il proverbio, lo nega (Scr. 66,249).
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Ah, l’efficacia del Catechismo! Sapete, o figliuoli, che cosa sia e che cosa importi il Catechismo? Gesù trasformò da capo a fondo la società: la trasformò nelle idee, nei costumi, nelle leggi, in tutto. E con quale mezzo visibile? Con un mezzo semplicissimo. Udite. Chiamò intorno a sé dodici poveri pescatori e dopo avere per tre anni scritto il Catechismo nelle loro menti e nel loro cuore, disse: Andate, ammaestrate tutti i popoli: insegnate loro ciò che io ho insegnato a voi e i vostri successori proseguano l’opera vostra fino al termine dei tempi. E così fecero, e il mondo divenne cristiano. Ed oggi ancora che fa la Chiesa? Mette in mano dei suoi Missionari la Croce, e nell’altra un piccolo libro, il Catechismo, e li manda in mezzo ai barbari, ai selvaggi e i barbari e i selvaggi entrano a migliaia sotto le pacifiche tende della Chiesa. Il mondo fu convertito e si converte con la grazia divina e con il Catechismo. Come il Cristianesimo nacque e si stabilì con la predicazione semplice e pura del Vangelo, ossia con il Catechismo, così con il Catechismo lo dobbiamo conservare e ravvivare fra i popoli (Scr. 69,1).
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A dare impulso sempre più efficace all’insegnamento religioso e a meglio coordinare l’opera dei Catechismi parrocchiali con quella del Ricreatorio Festivo, i quattro Reverendi Parroci di Tortona tennero nello scorso gennaio una riunione presso, Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Vescovo, a cui fu invitato anche il Direttore del Ricreatorio e con la piena approvazione di Lui stabilirono di impartire nelle Parrocchie tutti ad una stess’ora l’insegnamento domenicale del Catechismo e cioè dalle ore undici alle 12. Così i giovanetti del Ricreatorio hanno comodità di assistere prima tutti insieme alla Messa dei fanciulli che si dice per loro ogni festa in Duomo alle 10. Poi divisi in quattro squadre, secondo le quattro diverse Parrocchie, sono condotti ai rispettivi loro Parroci per il Catechismo. E da oltre un mese i molto Reverendi Parroci hanno la consolazione di vedere i loro catechismi più frequentati; i giovanetti si abituano a conoscere più da vicino la bontà intelligente e religiosa dei rispettivi loro Parroci (Scr. 76,212–213).
Vedi anche: Apostolato, Azione cattolica.
Cecità (spirituale)
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A che punto trascina l’ostinazione e la cecità. Si screditano i superiori d’Italia, si ride della Congregazione e si alienano gli altri a rimanere, si fa lo scandalizzato e il puritano su qualche mancamento dei confratelli – difetti non colpe disonorevoli – non si vuole obbedire, si abbruciano le lettere pure piene di carità, ma sincere che dall’Italia venivangli scritte, per richiamarlo a docilità e a prudenza e poi si va a finire così! (Scr. 28,120).
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Quanto amor proprio da sradicare in noi! Quanta fatuità nella nostra vita! Quanta vanità e quanta ignoranza! E poi pretendiamo di metterci innanzi a uomini venerandi per virtù, per dottrina, e fin di riformare e picconare la chiesa di Gesù Cristo! Dio mio, che cecità è la nostra! Ah, avremmo bene da vergognarcene avanti a Dio e avanti alla nostra coscienza e davanti a tutti gli uomini onesti! Omnes fragiles sumus! Purtroppo, è così; ma nessuno è più fragile di colui che si crede così forte e così perfetto da potersi levare innanzi alla chiesa cattolica sua madre e coprendola di ingiurie, pretendesse farsi riformatore di essa, della divina costituzione e della disciplina di lei! (Scr. 40,135).
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Non devo tacervi, caro Brunatto, che questa vostra lettera, la quale mi giunge dopo qualche anno dacché la nostra relazione è stata interrotta, mi ha profondamente addolorato. E voi dovevate pur comprenderlo! Il vostro orgoglio, e Dio non voglia ci sia anche dell’altro, vi ha portato ad una cecità spirituale e durezza di cuore che mi fa spavento e mi fa piangere su la vostra anima; altre volte ho alzato la mano ad assolvervi e benedirvi, ora che vedo che volete dare la vostra anima al diavolo, alzo le mani per trattenere su di voi la maledizione di Dio. Guai a chi si erige a giudice di sua madre e la trascina sul banco degli accusati! Guai a chi si alza a giudicare la madre Chiesa e la affligge: «maledictus a Deo qui exsasperat Matrem!» (Scr. 44,276).
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Che facciamo realmente per salvar l’anima? Qual è l’oggetto primario che occupa i nostri pensieri, gli affetti, le cure, i giorni, i mesi, gli anni della nostra vita? È la terra o il cielo? La terra e noi stessi! O cecità o inganno funesto! Da tre errori ha origine tale inganno. 1) Non si riflette che il salvar l’anima è l’affare della massima importanza. 2) Si ritiene che sia facile, e quindi inutile prenderne premura e fastidio. 3) Non si considera che l’errore in questo grande affare non ha rimedio (Scr. 55,28).
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Fratelli, non è vero che ancora noi viviamo bene spesso da poveri ciechi, e di tal cecità ben più grave che quella del mendico di Gerico? Quante tenebre intellettuali! Quante tenebre morali! Quante tenebre di barbarie! Quante tenebre religiose! Dio mio, quanta cecità è in noi e “nel secolo trionfante dei lumi”. E pur tutti sentiamo il bisogno di uscirne e di dare alla vita un’alta luce di fede e di viverla questa divina luce. Ché non basta aver fede, bisogna viverla; la fede senza le opere è morta (Scr. 82,2).
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I tiepidi sono quelli che fanno un passo avanti e uno indietro: quelli che si contentano di non fare peccati enormi, ma collere sì; orazioni mal fatte, e non ne sentono neanche il rimorso. E si credono fior di galantuomini; si vantano come il Fariseo: non sono mica un ladro, né un bestemmiatore, né un disonesto. Ecco la cecità dei tiepidi: «quia neque calidus Nomen habes quod vivas et mortuus est» (Scr. 85,189).
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Dobbiamo considerare il tempo della vita presente come dataci dalla Provvidenza per fare il maggior bene possibile ai nostri prossimi e ottenerci poi il riposo di un’eternità felice. Preziosità del tempo e cecità dell’uomo, che lo perde vanamente. I momenti sono preziosi, Dio li ha contati tutti. Bisogna redimere il tempo che fugge, con opere utili e sante. «Tempus redimentes Dies pleni!» (Scr. 86,126).
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San Paolo dichiara di non avere altra scienza che Gesù Cristo. Imitiamo dunque la vita di Gesù Cristo e ne avremo praticata la dottrina e la nostra vita sarà trasfigurata in Lui e saremo da Lui veramente illuminati e liberi da ogni cecità. Se Egli ha detto la verità, perché staremo ondeggianti tra color che son sospesi? Perché non gli crederemo, perché non lo seguiremo con generosità, con magnanimità? (Scr. 89,69).
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Badate, Amici: la morale e la vita stessa della società corrono ancora gravissimo rischio, perché troppi vivono una religione di maniera, altri e molti sono gli spiritualmente ciechi, onde avviene che il progresso meccanico va inghiottendo tutta o troppa dell’attività umana. Sola via di salvezza è la Religione (Scr. 91,43).
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Dobbiamo alimentare le processioni, la gioventù cattolica, le associazioni, i congressi mariani ed eucaristici, le adunanze e non essere conigli. Questo è il soffio che ha illuminato, irradiato, aperto gli occhi a tanti ciechi della nostra fede. Mosè vinse gli Amaleciti perché pregò (Par. VI,230).
Vedi anche: Aridità di spirito, Tiepidezza (spirituale).
Cento Requiem (devozione)
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La devozione dei Cento Requiem in suffragio delle Sante Anime del Purgatorio. Per questo pio esercizio ognuno può servirsi d’una corona comune di cinque poste o decine, percorrendola tutta due volte, per formare le dieci decine, ossia il centinaio di Requiem. S’incomincia con il recitare un Pater Noster e poi una decina di Requiem sui dieci grani piccoli della corona, in fine della quale di dirà al grano grosso questa giaculatoria: Gesù mio misericordia delle anime del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Indi si recita di seguito la seconda e le altre decine di Requiem sui dieci grani piccoli seguenti, ripetendo la suddetta giaculatoria invece del Pater noster ad ogni grano grosso, ossia alla fine di ogni decina. Terminate le decine (ossia il centinaio) di Requiem si dica il De profundis. Finita così questa pia pratica, sarebbe molto utile alle Sante Anime se si volesse aggiungere in loro suffragio le seguenti brevissime preghiere, in memoria delle sette principali effusioni del preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. 1. O dolcissimo Gesù, per il sudore di Sangue che patiste nell’Orto del Getsemani, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. 2. O dolcissimo Gesù, per i dolori che soffriste nella vostra crudelissima Flagellazione, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. 3. O dolcissimo Gesù, per i dolori che soffriste nella vostra dolorosissima Coronazione di spine, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. 4. O dolcissimo Gesù per i dolori che soffriste nel portare la Croce al Calvario, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio; e specialmente dell’anima di N. N. e della anima più abbandonata. Requiem, etc. 5. O dolcissimo Gesù, per i dolori che soffriste nella vostra crudelissima Crocifissione, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio; e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. 6. O dolcissimo Gesù, per i dolori che soffriste nell’amarissima agonia che aveste sulla Croce, abbiate pietà delle anime benedette del Purgatorio; e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. 7. O dolcissimo Gesù, per quel dolore immenso che soffriste quando spiraste l’anima vostra benedetta abbiate pietà delle anime Sante del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Requiem, etc. (Scr. 110,193–194).
Vedi anche: Anime del purgatorio, Comunione dei Santi, Devozioni, Indulgenze.
Chiesa
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Lavoriamo per piacere a Dio unicamente e infinitamente. Rivolgiamo tutti i nostri pensieri ed azioni all’incremento e alla gloria della Santa Chiesa nostra Madre, della Chiesa di Roma che è la vera Chiesa di Gesù Cristo! Cari Chierici, studiate per Essa e avrete una grande mercede in Paradiso. Adesso non mi capirete ancora bene, ma poi vedrete bene. Noi siamo nulla; la Chiesa, il Papa, le anime sono tutto (Scr. 4,79).
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Il mio amore alla Santa Chiesa, al Papa e ai Vescovi sento che è grande e forte come la mia vita, anzi sento che è la mia vita, perché è l’amore di Gesù Cristo e a Gesù Cristo stesso (Scr. 4,283).
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La prosperità, la libertà e la gloria e il trionfo della Chiesa di Gesù: questo vi raccomando di cercare, di pensare sempre e di ottenere a costo anche di tutta la vita e del sangue. Non cessate di crescere i giovani, i probandi e i Chierici in questo amore e attaccamento alla Santa Sede senza mai guardare a chi sta sulla Santa Sede come persona, ma sempre nella Persona veneriamo e obbediamo e (direi) adoriamo Gesù Cristo. Coraggio e sempre avanti sino alla fine in questa via e in questo amore di Dio e del Suo Vicario (Scr. 6,74).
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Rivolgiamo tutti i pensieri, tutti gli sforzi e sacrifici individuali e della piccola Congregazione a sostenere la Santa Chiesa, i Vescovi e specialmente il Papa. Questo è secondare e compiere la nostra vocazione e seguire la perfezione: dare tutte le nostre forze a servire unicamente la Santa Chiesa Cattolica e il Suo Capo, che è il Vicario di Gesù Cristo. E per la Santa Chiesa e per il Papa desiderare di logorare le nostre forze, tutte le forze e di versare tutto il nostro sangue ad imitazione di Gesù Cristo e dei Martiri. E così cercare la gloria di Dio e il bene delle anime e la santificazione nostra (Scr. 12,122).
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La Chiesa non la servono e non la amano solamente quelli che stanno in Vaticano, perbacco! La servono e la amano anche quelli che, senza un soldo di stipendio e senza cercare onori né cariche, si logorano la vita nel silenzio e nei debiti, per dare pane e vita timorata di Dio a dei poveri fanciulli (Scr. 14,134).
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Io metto me, Lui e voi tutti nelle mani della Madonna, nostra amabilissima Madre e Fondatrice. E metto me e tutti voi ai piedi della Santa Chiesa di Gesù Cristo e dei Vescovi; noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere, con il divino aiuto, figli, soldati e stracci della Santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi; senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla e non vogliamo essere nulla (Scr. 16,122).
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Noi amiamo anche, e di un amore che sa di più alto, che sa di più grande di più dolce, di più filiale, di più santo la nostra santa madre Chiesa, la Chiesa madre di Roma e il nostro Papa, perché la Chiesa è la vera madre della nostra fede e delle nostre anime e della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi (Scr. 20,96).
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E molto faremo se saremo sempre umili e fedeli ai piedi della Chiesa e dei Vescovi. Il Papa, i Vescovi, la Chiesa sono il grande e supremo amore, l’amore dolcissimo e la vita dell’umile nostra Congregazione. Ecco, o figliuoli miei, io ve lo metto nel cuore questo sacro e vitale amore: vivete di questo amore, poiché per esso conseguirete Gesù Cristo: chi più arde di questo amore più vive di Gesù Cristo e più sarà glorificato in Lui e da Lui in eterno. Ecco che io vi lascio in questo dolcissimo amore alla Chiesa e vorrei che ogni giorno offriste insieme con me la vostra vita per la dolce sposa di Cristo, con dedizione umile, fedele e filiale dell’intelletto, della volontà, della ragione, del cuore e della intera vita vostra. Dio ha posto da più anni questo esercizio e affocato desiderio dell’anima mia, e così prego che sia di voi e in voi: di poter consumare e dare la vita nella Chiesa, cioè ai piedi della Santa Chiesa e per la Santa Chiesa che, al dire di Sant’Anselmo, è la cosa più cara a Gesù. Viviamo morti ai piedi di Essa, legati insieme nel vincolo dolce della carità del Signore. Questo sia la nostra gloria in Gesù Cristo Crocifisso! (Scr. 26,150).
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Or voi ben comprendete, o diletti figli della mia anima, che vi parlo dell’amore della Santa Chiesa di Dio e al Papa, di questo santissimo amore vi parlo che, insieme con l’amore a Gesù Cristo, e perché anzi è un unico e stesso amore con Cristo, è e deve essere l’amore della nostra vita e la vita nostra stessa. Non si può disgiungere Cristo Signor nostro dalla Sua Chiesa, di cui è capo e anima e dal Papa, che è il Suo vicario in terra: amare la Chiesa e il vicario di Gesù Cristo è amare Cristo! La Chiesa Cattolica è la società umana–divina fondata dall’Uomo Dio Gesù Cristo Salvator nostro, essa è cosa sua, è la sua opera, l’opera che il Padre celeste gli ha data a fare, com’è detto in San Giovanni. Anzi, al dire di Paolo Apostolo (1 Cor 12,27) la Chiesa è un corpo del quale Cristo è l’anima e la vita: vita che dal Verbo divino fluisce e si comunica al suo vicario in terra, al Papa, ai Vescovi, alla Chiesa, onde può dirsi con tutta ragione una perenne mistica e sempre nuova incarnazione che Egli compie nella umanità rigenerata da Lui e da Lui in modo ineffabile unita a sé stesso. Certo è cosa più che meravigliosa, ma ciò è fatto dal Signore! (Scr. 26,161).
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Gesù Cristo, il Papa, i Vescovi, la Chiesa si amano e si servono d’in ginocchio, o non si amano o non si servono affatto. Ma non basta, no, non basta ancora, caro mio Ingegnere: noi dobbiamo stare in ginocchio anche davanti al minimo tra i preti e tra i frati o religiosi: in ginocchio, sì, sempre in ginocchio, riconoscendo in loro, anche se dovesse incontrarne qualcuno meno degno, i consacrati, ministri di Dio, ministri di grazia, che hanno autorità nella Chiesa, strumenti designati ad operare il miracolo quotidiano dell’Eucaristia (Scr. 31,257).
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Bada, o figliuolo mio, che chi è chiamato dal Signore, deve veramente dare un addio per sempre alla vita del mondo e ai pensieri secolareschi, e, con la più tenera pietà e assiduità al divino servizio, con la più cauta fuga da ogni ombra di pericolo e di distrazione, con il totale rinnegamento di sé stesso per amore di nostro Signore Gesù Cristo e per ubbidire in tutto e sempre e lietissimamente e filialmente alla Santa Madre Chiesa e al suo capo, il Romano Pontefice, vicario in terra di nostro Signore e dolce Cristo visibile in terra (al quale la piccola nostra Congregazione è particolarissimamente legata) e ai superiori che Dio ti darà nella Congregazione, possa meritarti dal Signore che ti venga più e più confermato il gran dono della vocazione (Scr. 32,1).
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Tu dovrai essere fedelissimo seguace in tutto – anche nei desideri – del Santo Padre, e figliuolo devoto a lui e alla Santa Chiesa di Roma e ai veneratissimi Vescovi che sono con il Papa, sino alla consumazione di te stesso, sino alla morte: e sentire con essi e amarli e difenderli come un figlio farebbe per difendere suo padre; e, se facessi diversamente, tradiresti al tutto lo spirito della nostra professione (Scr. 32,2).
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Questo Istituto pare che dovrà molto patire, molto patire, molto patire: sono tempi che, chi sta coi Vescovi e con la Chiesa, dovrà molto patire: speriamo con l’aiuto, che certo ci darà il Signore e la Madonna SS.ma, di servire umilmente e fedelmente la Santa Chiesa da servi buoni e fedeli sino al martirio (Scr. 32,3).
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A questo soprattutto dobbiamo mirare: a formare nei nostri allievi dei buoni e veri cristiani, dei cattolici non di nome, non di etichetta e di forma, ma di vita pratica e uniti alla Chiesa, al Papa ai Vescovi e insieme dobbiamo formare degli onesti giovani, dei giovani laboriosi, fattivi di bene, degli onesti ed integri cittadini amanti della loro patria, perché anche l’amore di patria è uno dei più sacri amori del cuore umano (Scr. 32,14).
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È per le vocazioni che è nata la prima casetta di San Bernardino: fu per dare alla Chiesa dei buoni sacerdoti, fu un palpito per la Chiesa, fu un pensiero per la Chiesa; ho visto che la Chiesa aveva bisogno di braccia di lavoro e di cuori pieni di carità e di sacerdoti non avari e non disonesti (Scr. 32,15).
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Caro mio don Alessandro, tu puoi ben immaginare quanto io desideri che le tende della Divina Provvidenza si dilatino a gloria di Dio e della Chiesa e a salvezza delle anime e specialmente lo desidero nella Polonia, terra di fede, sempre attaccata alla santa Chiesa Romana; ma lo zelo nostro per il progresso della Congregazione deve essere sottomesso e condizionato al bene della Chiesa, alla benedizione dei Vescovi e deve essere, come tu ben comprendi, uno zelo illuminato e discreto, secundum Deum (Scr. 32,122).
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State, o fratelli, in umiltà: abbiate fiducia e pazienza, state da figli con la santa Chiesa e non da pretenziosi, ve ne supplico; state in ginocchio ai piedi della santa sede e della Chiesa, che è la nostra madre: guai a colui che contrista sua madre! Amatela da figli la santa Chiesa, senza limite devoti, sempre, o miei cari, sempre!, anche quando certe disposizioni vi sembra che non vadano, anche quando si tarda nei provvedimenti, anche quando non si prendono tutti i desiderati provvedimenti (Scr. 37,255).
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Mi hanno detto che talora ti lasci trascendere nel parlare e vai fino a giudicare la Chiesa: no, fratello mio, non lo fare più, non la giudicare la Chiesa; essa è la nostra madre, la madre della nostra anima, e noi dobbiamo avere sempre un grande manto di amore da coprire i difetti che potessimo vedere in nostra madre; voglio fin dire le inevitabili debolezze o le piaghe che talora dolorosamente si scorgono nell’elemento umano della santa Chiesa (Scr. 40,132).
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Se tu sinceramente desideri di uscire dalle tue imperfezioni, di rinnegare te stesso in tutto, di amare Dio e il Papa senza misura e di consacrarti tutto a servire la Chiesa e il Sommo Pontefice a difenderne la dottrina e la causa e la libertà, sino a dare per la Chiesa non solo ogni tuo avere, ma pure a farti servo ultimo e schiavo di essa nella intelligenza e nel cuore, nella vita e nella morte per amore di Gesù Cristo, e a consumarti per essa con tutto l’amore di un piccolo figliuolo verso la sua madre, allora è segno che sei chiamato a venire in questa piccola e poverissima Congregazione la quale è lo straccio della Madonna e della Santa Chiesa di Roma (Scr. 42,57).
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Fine precipuo di questa Opera è di intensificare in noi e nel prossimo l’amore al Papa e alla Santa Chiesa nostra Madre, in questi tempi in cui e nel dogma e nella disciplina purtroppo si vuole, anche da chi meno dovrebbe, l’autonomia (Scr. 42,165).
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Si degni pregare vostra Eccellenza perché noi, figli della Provvidenza del Signore, nati in questi ultimi tempi di nuovi bisogni per la santa Chiesa di Roma, di nuovi pericoli per la fede, amiamo la Chiesa passionatamente e non cessiamo mai di porgerle il conforto della nostra illimitata devozione. E, benché ancora pochi e piccoli e deboli, poniamo la nostra vita e la nostra gloria nel fare sì che nessuno ci vinca nella umiltà ai piedi della Chiesa e nella sincerità e generosità dell’affetto filiale alla purissima sposa di Gesù Cristo crocifisso e madre nostra e al suo capo visibile, il romano Pontefice (Scr. 45,93).
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Mi è dolce fare atto di fede, di amore e di adesione piena di mente, di cuore e di opere agli insegnamenti della Chiesa, perché solo nella dottrina celeste insegnata dalla Chiesa è la pace, il gaudio e la gloria della mente umana e la speranza dell’eterna felicità. Con tutto me stesso credo che ogni corporazione d’uomini sia corruttibile, fuorché la santa Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 45,109).
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Per l’amore alla santa Chiesa che devo e voglio amare e servire, umilmente e da figlio, da vivo e da morto, con l’aiuto che spero ora e sempre da Dio, sono pronto a rilasciare al don Ravazzano qualunque dichiarazione che mi fosse presentata dalla Chiesa, per tutela del suo buon nome, e sono pronto anche a dargli qualunque somma che la Chiesa richiedesse che io a lui rimetta, e anche la camicia, e tutto ciò in Domino, cioè per il Signore e l’amore alla Chiesa, per qualunque tramite ciò mi sia richiesto, o da V. Eccellenza, che ne personifica in diocesi l’Autorità, o per altro Tribunale ecclesiastico. Quando ho ricevuto la sacra ordinazione mi sono steso in corpo ed in spirito – perinde ac cadaver – ai piedi della Chiesa. Ebbene, anche oggi mi è dolce darmi mani e piedi legati spiritualmente e stendermi ai piedi di essa. Io non ho paura della Chiesa: essa è la madre della mia fede e della mia anima, la madre dolcissima mia e di questi miei figli e fratelli in Gesù Cristo e prendo la mia testa superba e il cuore e tutta la mia vita e ogni cosa che a me e alla piccola Congregazione appartiene e metto tutto ai piedi e nelle mani della santa Chiesa: in questa faccenda, come in tutto, desidero fare ciò che desidera la Chiesa (Scr. 45,114).
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Se Dio mi dà ancora un anno di vita e la sua santa grazia e la Chiesa, la Chiesa madre, la santa Chiesa di Roma, non vorrà patire scandalo dalla mia miseria, ma mi prenderà come uno straccio nella sua mano forte e vostra Eccellenza, come un padre e una madre, mi aiuterà e conforterà, io voglio, confidando tutto nel Signore, voglio piantare un corpo di Arditi nella santa Chiesa. I nostri Arditi andavano all’assalto con un pugnale in mano ed un pugnale in bocca. Ai miei Arditi si degni la misericordia di Gesù Cristo Signor nostro mettere la sua mistica spada nella loro bocca, la croce, una nuda e povera croce in mano e una fornace di divina carità nel cuore. E la SS.ma Vergine mi pianti nella sua umiltà e nella sua fortezza, per la gloria del Signore: a servizio di fedeltà nella Chiesa del Signore, a vincolo di unità del popolo con la Chiesa (Scr. 45,147).
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Oh quanto è dolce amare il Papa, amare i Vescovi, amare la santa Chiesa di Gesù Cristo! Partecipare alle sue amarezze, al suo lutto, ai suoi dolori, come alle sue speranze, alle sue gioie, alle sue vittorie, che sono sempre le vittorie misericordiose di Dio! (Scr. 48,267).
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Per divina grazia, mi pare d’aver sempre lavorato e sofferto d’inginocchio, ai piedi della santa Chiesa: l’unico mio sospiro è di vivere e morire d’amore ai piedi di Gesù crocifisso, del Papa e della Chiesa, stretto alla Madonna SS.ma (Scr. 50,4).
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Miei figlioli nel Signore e amici: amiamo la santa Chiesa, amiamo il Papa e i Vescovi passionatamente. Nati in questi ultimi tempi, tempi di nuovi pericoli, non cessiamo mai, mai, mai di porgere al mondo esempi luminosi di affetto sviscerato, di umiltà, di obbedienza intera, di carità verso la Chiesa e il Papa. Teniamo presente l’angusta povertà a cui è stata ridotta la sede apostolica: le catacombe morali che si vanno preparando alla Chiesa madre di Roma e al Papa e teniamoci grandemente onorati se ci fosse dato di fare o patire qualcosa per la santa causa della Chiesa e del Papa, che è la causa di Dio. Amiamo la santa Chiesa con tutta la nostra mente, avendo sempre come nostre tutte quante le dottrine di lei e del suo capo visibile, il romano Pontefice: i desideri di lei e del romano Pontefice! Amiamola con tutto il nostro cuore, come da un buon figlio si ama una madre, e tal madre, qual è la Chiesa!, come da un buon figlio si ama un padre, e tal padre qual è il Santo Padre! Partecipiamo vivamente alle allegrezze della Chiesa e del Papa, ai dolori, ai timori, alle speranze della Chiesa e del Papa, sentendo in tutto con la Chiesa e con il Papa (Scr. 52,20u–20v).
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Amiamo la Chiesa nelle sue Congregazioni romane, nei loro decreti nei suoi Vescovi, amiamola nelle loro Curie, nei suoi sacerdoti. Difendiamola come difenderemmo nostra madre prodigandole le attenzioni più affettuosi. Con l’aiuto della divina grazia assorgiamo sino all’olocausto di tutti noi stessi, da figli umili e fedeli e devotissimi sino alla morte per compiere in noi anche una sillaba dei precetti, delle disposizioni e un tenue sospiro dei desideri della santa Chiesa e del Papa. Amiamola la Chiesa e il Papa con tutta la nostra mente con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze, in tutta la sua gerarchia, in tutti i suoi dogmi, in tutta la sua disciplina, in tutta la sua liturgia, in tutte le sue disposizioni, in tutti i suoi desideri. La benedizione del Signore è discesa sovra la piccola opera perché la piccola Opera si è messa tutta ai piedi della Santa Sede. Voi sapete, o cari figli e fratelli miei, che se io sto qui ci sto per ubbidire alla dolcissima parola del Vicario di Gesù Cristo, e questa vita, per quanto la lontananza sia dolorosa, mi riesce sempre dolcissima perché so di compiere la santa volontà del Signore che mi ha parlato per bocca del suo santo Vicario in terra (Scr. 52,22–23).
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Dobbiamo essere un cuor solo e un’anima sola tra noi e con la santa Chiesa e con il Papa. Il bene della Chiesa, il bene e la libertà della santa Chiesa e del Vicario di Gesù Cristo deve essere sopra ogni nostro pensiero e il nostro primo e più grande amore in Gesù Cristo signor nostro (Scr. 52,167).
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Noi siamo pochi, piccoli e deboli, ma la nostra gloria o cari figli della Provvidenza e amici, ha da essere che nessuno ci vinca nell’amare con tutte le nostre forze il Papa e la Chiesa, che è la sposa diletta di Gesù Cristo: la santa e immacolata sposa del verbo umanato. La Chiesa è cosa sua, è l’opera sua, come dice l’apostolo San Giovanni al cap. XVII. Ed essa è anche la madre nostra dolcissima, e, sino alla fine dei secoli, l’oggetto delle compiacenze di colui che è la compiacenza del celeste Padre: la Colonna di verità, com’è il termine ultimo di ogni eterno consiglio. Nessuno dunque ci vinca nella sincerità dell’amore nella devozione, nella generosità verso la madre Chiesa e il Papa: nessuno ci vinca nel lavorare, perché si seguano i desideri della Chiesa e del Papa, perché si conosca, si ami la Chiesa e il Papa. Nessuno ci vinca nel seguire le direttive pontificie tutte: senza reticenze e senza piagnistei, senza freddezze e senza riserve. Adesione piena e filiale e perfetta: di mente di cuore e di opere, non solo in tutto quanto il Papa, come Papa, decide solennemente in materia di dogma e di morale; ma in ogni cosa, qualunque siasi ch’egli insegna, comanda o desidera. Nessuno ci vinca nelle attenzioni più affettuose al Papa e ai Vescovi e nel sacrificarci e anelare ad ogni giorno e ad ogni ora a renderci quasi olocausti viventi di riverenza e di amore tenerissimo alla Chiesa e al dolce Cristo in terra, il Papa (Scr. 52,259).
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Non fidiamoci di noi, ma della Chiesa, e avremo grazia e aiuto dal Signore e la benedizione di Dio sarà sul nostro Istituto. Solo chi obbedisce alla Chiesa è eletto da Dio alle opere della sua gloria. Dio ci ha benedetti perché siamo figli devoti e obbedienti alla Chiesa e al Papa. Per questo Dio benedirà anche in avvenire le nostre fatiche (Scr. 55,258).
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Mettiamo ogni nostra attività a servizio della Chiesa, lavoriamo in umiltà con fervore di spirito. Sia la nostra vita un fecondo apostolato, guardando solo e sempre all’onore di Dio e al bene della Chiesa portiamo da per tutto il fervore della pietà, l’impronta vivida e luminosa della fede, della dottrina sana, cattolica e del lavoro infaticato (Scr. 56,175).
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Stendi, o Chiesa del Dio vivente, le tue grandi braccia e avvolgi nella tua luce salvatrice le genti. O Chiesa veramente cattolica, Santa Madre Chiesa di Roma, unica vera Chiesa di Cristo, nata non a dividere, ma a dar pace e ad unificare in Cristo gli uomini! Mille volte ti benedico e mille volte ti amo! Bevi il mio amore e la mia vita, o Madre della mia Fede e della mia anima! Oh come vorrei delle lacrime del mio sangue e del mio amore fare un balsamo da confortare i tuoi dolori e da versare sulle piaghe dei miei fratelli! (Scr. 57,51).
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Nulla ho desiderato di più nella mia vita che di essere figliolo umile e fedele della santa Chiesa e dei Vescovi, anche in ciò che non si riferisce alla dottrina e alla disciplina cattolica. Io mi sono dato grazia a Gesù Cristo e alla Chiesa e voglio essere di Gesù Cristo e della Chiesa intero e sul serio (Scr. 58,142).
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Sappi che la piccola Congregazione è tutta della Chiesa: è tutta della Santa Sede, è tutto amore e obbedienza al Papa e ai Vescovi nel senso più ampio, più umile, più profondo, più intero, più sincero, più filiale, più cristiano cattolico che si possa volere desiderare ed essere (Scr. 66,59).
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Voglio che il piccolo Istituto o serva umilmente la Santa Chiesa e i Vescovi o scompaia, perché la causa della Chiesa è la causa stessa di Gesù Cristo e delle anime. Ritengo che il potere della Madre Chiesa sia in sé ben più amplio di quello che fin qui le hanno accordato molte scuole e molti teologi: e fermamente credo che i vincoli spirituali e disciplinari che formano l’organizzazione della società cristiana, ossia della Chiesa di Gesù Cristo, siano le potestà ecclesiastiche e principalmente il Vicario di Gesù Cristo stesso, il Papa e i Vescovi, e ai piedi del Papa e dei Vescovi metto il mio cuore e tutta la mia vita e il piccolo Istituto (Scr. 69,387).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza deve essere ora e sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della Santa Chiesa. Questa umile nostra Congregazione è per la Chiesa e non la Chiesa per la Congregazione. In ginocchio, dunque, e sempre in ginocchio, nella più interna, umile e filiale servitù alla Chiesa e anche all’elemento umano, agli uomini della Chiesa, a costo dei sacrifici più duri: i sacrifici più dolorosi devono essere i più desiderati i più agognati e diventare i più dolci, nell’amore di Gesù Cristo e della Santa Madre Chiesa. Solo così si ama e si serve davvero ai piedi della Chiesa, Madre amorosa, Colonna e Maestra di verità, di sapienza, di santità, Arca unica e sicura di salvezza (Scr. 69,410).
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Nella Chiesa ho sempre trovato la Madre dolcissima e la più grande libertà di lavorare, e nel Santo Padre la via sicura e il più amabile dei padri, il vero Gesù pubblico in terra e bontà stessa del Signore. Né ho mai potuto capire chi sente o parla diversamente. Questa piccola Opera della Divina Provvidenza è nata dall’amore alla Chiesa e al Papa e per fare amare la Chiesa e il Papa (Scr. 74,20).
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Quando, o miei figliuoli, noi, per l’amore di Dio e del Papa e dei Vescovi e della Chiesa, abbracceremo le tribolazioni, le afflizioni e la Santa Croce di Gesù Crocifisso e della Sua Sposa, e ci annichiliremo nelle mani di Essa, allora cominceremo ad essere discepoli di Gesù Cristo (Scr. 74,26).
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Figli della Provvidenza, lasciamoci reggere dalla Provvidenza, ma a mezzo della Chiesa, che Dio ci ha dato, e siamo come corpo morto nelle sue mani. Lasciamoci guidare, portare, maneggiare, ovunque si sia e comunque si voglia, dalla Sede Apostolica: questo è lo spirito e la mente della piccola Congregazione. Supplichiamo ogni giorno Dio che non permetta mai che essa risenta delle massime che sconvolgono tante teste: di quello spirito funesto di novità e di insubordinazione, di superbia nel pensare, parlare ed operare, per cui si pretende dare una smentita ai Dottori maggiormente stimati e venerati dai cattolici, si tenta screditarli, quasi si compatiscono, e si va sino a picconare la divina costituzione della Chiesa e le radici stesse della nostra santa fede (Scr. 74,34).
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Uomini per lo più di Chiesa od usciti dal suo seno, prendono anche a prestito la veste e il linguaggio della Chiesa, per meglio della Chiesa distruggere la dottrina e devastare l’ovile di Cristo. Benché aridi di spirito, usano affettare vita mistica e desiderio di maggiore spiritualità, ma ad un attento esame non vi sfuggiranno atteggiamenti od espressioni tutte nuove e pericolose, che sanno più di profano che di cristiano, se non di scettico perché male essi riescono a nascondere tutto lo sprezzo che hanno per la filosofia e la teologia scolastica, per l’autorità dei Padri, per la tradizione e il magistero stesso della Chiesa. State in guardia: sono lupi in veste di agnello e sono dei più pericolosi. Grande è l’amore che essi affettano per la purezza e la santità della Chiesa, ma, saturi delle aride e velenose dottrine dei più moderni nemici di essa, vogliono tutto riformare per tutto disperdere il deposito stesso della Fede e, se fosse loro dato, giungerebbero pure a scoronare la fronte di Cristo da ogni aureola di divinità. Fanno professione di ubbidire alla Chiesa, ma collocano la Chiesa dove lor piace, un po’ come la donna Prassede del Manzoni, che “diceva spesso agli altri e a sé stessa di voler secondare i voleri del Cielo; ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di collocare la volontà di Dio nel suo cervello”. Fanno pompa d’una severità di condotta imponente, ma sono lupi mascherati che agognano a divorare le pecore. Vi dicono che il Papa e la Chiesa hanno il potere da Dio, ma lo circoscrivono in guisa che diventa una ironia: mettono Pastore contro Pastore, Cardinali contro il Papa, o un Papa contro l’altro Papa, pur di annientare il prestigio e l’autorità della Chiesa. Il Papa lo voglion far loro, perché, se anche dicono di ubbidire, fanno poi a loro talento. Sono figli che contrastano sempre, a voce alta o a voce bassa: sempre critici di tutto che viene da Roma, sempre pecore ammorbate, sempre ossa slogate, sempre ribelli nello spirito, benché non sempre giungano all’eccesso di dire in faccia alla Chiesa: Tu non sei nostra Madre! Pieni di ambizione, di astuzia, di slealtà, essi vanno preparando alla Chiesa giorni ben tristi. Ma i giorni corrono veloci. E sopra i modernisti e ogni falso figlio della Chiesa Gesù Cristo peserà la sua mano trafitta, e ogni albero che non farà buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco (Scr. 82,44a).
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Fratelli, tutto ciò che indebolisce l’autorità del Papa, dei Vescovi, della Chiesa ci deve essere sempre sospetto. Attenti da chi divide, da chi con sottigliezze snerva: egli non edifica, ma distrugge. Guardatevi da chi lima con la Chiesa; la Chiesa ha un potere ben più grande di quello che molti le hanno attribuito sin qui; il Papa e la Chiesa con Lui non possono errare nell’estensione del loro divino e spirituale potere, come non possono errare sugli altri punti di fede. Nostra gloria sia di vivere umili e fedeli ai piedi della Chiesa di Gesù Cristo: stia nell’amarla e servirla con amore dolcissimo di figli, senza limitazioni, senza reticenze, senza piagnistei: amiamola sino al sacrificio, sino all’olocausto della vita e oltre la vita ancora. La Chiesa non si ama mai troppo, come non si ama mai troppo una Madre. E con la Chiesa amiamo la Santa Sede, che non è soltanto il fondamento della Religione, ma ben anco la pietra inconcussa della società umana (Scr. 82,44b).
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Amiamo anche di un amore che sa di più alto, di più dolce, di più filiale, di più santo e divino, la nostra santa madre Chiesa, la Chiesa madre di Roma e il nostro Papa; perché la Chiesa è la vera madre della nostra fede e delle nostre anime, della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi. E perché il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, nostro Dio e Redentore, è il “dolce Cristo in terra” come lo chiamò Santa Caterina da Siena; è la nostra guida sicura, è il nostro Maestro infallibile, è il vero nostro Padre ed è il grande e il primo Italiano (Scr. 82,71).
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Fedeli all’azione interiore e misteriosa dello Spirito e della Verità, guidati dal magistero autentico, vivo e solo infallibile della Chiesa, una, santa, cattolica, apostolica e romana, in uno spirito di amore e di comunione fraterna, i Figli della Divina Provvidenza, tenendo lo sguardo e i cuori rivolti alla Vergine Celeste, cammineranno la diritta via del Signore e cresceranno in ogni cosa, per arrivare a Colui che è il nostro Capo, cioè a Gesù Cristo. Per la Chiesa e per il Papa ascendiamo a Cristo! E così, fedeli alla Verità e in uno spirito di unione, di comunione fraterna, noi continueremo, per la divina grazia, a camminare alla luce della Chiesa e a crescere in ogni cosa, per arrivare a Colui che è il Capo, cioè a Cristo. Noi crediamo nella Chiesa di Roma incorruttibile divina, eterna, nella sua origine, nella sua vita, nelle sue dottrine e per Essa ascendiamo alla luce, alla pace, a Cristo (Scr. 84,223).
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Gli uomini tendono sempre a restringere l’universalità della Chiesa, che è fondata nell’unità della Santa Sede Romana e vogliono spezzare questa unità. Ma la Chiesa di Gesù Cristo è essenzialmente cattolica, universale come la carità del Signore, però la Chiesa non potrebbe essere universale, se non avesse unità. La nostra Congregazione promuove la causa dell’universalità e dell’unità della Chiesa di Gesù Cristo; trasfonde, con la fede e la carità di Gesù Cristo, la fede e l’amore al Papa, Vicario di Gesù Signor Nostro, “dolce Cristo in terra”, come già lo chiamava la grande santa e grande italiana Caterina da Siena. La Chiesa Cattolica, la Chiesa Apostolica, la Chiesa una e santa, e sempre santamente feconda di Santi, la sola fondata sul Verbo Divino che, attraverso a XX secoli, attraverso a dolori e a prove inaudite, si è rivelata sempre opera di Dio e non dello uomo, la Chiesa che “è colonna e firmamento della verità” come la chiamò San Paolo, Maestra infallibile della fede e della morale cristiana, che si lasciò martirizzare, che si lasciò mutilare, ma che non sacrificò il Vangelo, né la morale di Cristo ai potenti (Scr. 90,377).
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È la Santa Chiesa di Roma, la Madre Chiesa quella che ha conservato intatto il deposito della Fede, nelle Scritture e nella tradizione apostolica: che uscì gloriosa dalle persecuzioni e dalle catacombe, che mansueti fece i barbari, che diede ai popoli una dottrina celeste che è la pace, il gaudio e la gloria della mente umana e il più grande conforto nei dolori e una fede alla vita e una speranza al cuore che è piena di immortalità. Essa ha salvate le arti, le lettere, le scienze: ha spezzati i ferri della schiavitù e nobilitata la donna e ha creato la famiglia e tenne saldo e sacro l’unione della famiglia, a costo di vedersi lacerata nel cuore. Costituita da uomini, in essa, oltre l’elemento divino, vi è anche l’elemento umano, con le sue miserie, con le sue debolezze: ma un figlio deve pur sempre avere un manto d’amore da coprire i difetti di sua Madre e il figlio di Noè, che rise su suo padre, fu maledetto da Dio; fu invece benedetto l’altro che, con delicata verecondia, coperse la nudità di suo padre. Ogni corporazione d’uomini è corruttibile, perché è opera d’uomini; non la Chiesa che è opera di Dio, Essa starà a salvezza dei popoli sino alla fine del mondo, assistita dallo Spirito Santo, immacolata nella sua dottrina, Madre dei Santi, Madre e tutrice dei popoli e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Essa, o miei figliuoli, merita tutto il nostro amore: e la Chiesa di Gesù Cristo e il Suo Capo visibile, il Papa, non si possono mai amar troppo: essi devono essere, insieme con Cristo, il centro dei nostri pensieri e dei nostri affetti. Noi, questo amore alla Chiesa, dobbiamo far sì che sia pratico. La società si orienta in senso democratico: dobbiamo portare i popoli alla Chiesa e al Papa. Il Papa è il Vescovo di Roma, successore di Pietro. Essa è la Chiesa di Gesù Cristo fondata su Pietro, morto a Roma (Scr. 90,378).
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Teniamo presente l’augusta povertà cui è ridotta la Sede Apostolica: le catacombe morali che alla Chiesa Madre di Roma e al Papa si vanno dalle sette preparando e teniamoci grandemente onorati se ci fosse dato di fare o patire qualche cosa per la santa causa della Chiesa e del Papa, che è la causa stessa di Dio. Amiamo la Santa Chiesa con tutta la nostra mente, avendo sempre come nostre tutte quante le dottrine di Lei e del suo Capo visibile, il Romano Pontefice, i desideri di Lei e del Romano Pontefice! (Scr. 94,121–122).
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Sono e voglio, sino alla morte, essere ai piedi della Chiesa come un bambino ai piedi di sua madre. Non vorrei avere altra volontà, ma la volontà del Santo Padre: non voglio libertà, ma la libertà della Chiesa e del Santo Padre e che Egli questa Sua libertà la possa esercitare prima di tutto sopra di me, disponendone a Suo piacere: io sono il Suo indegnissimo, ma affezionatissimo figliuolo. In questi terribili momenti per la Chiesa, io e i miei nulla più intensamente desideriamo che di poter servire in tutto e sempre, e nello spirituale e, se facesse d’uopo, pure nel temporale, la Nostra Santa Madre Chiesa, da figli umili e fedeli; niente, per divina grazia, vogliamo ave Le più a cuore che di sforzarci a dare in noi, poveretti, al Santo Padre ogni consolazione, essendo Egli, con Nostro Signore il nostro più grande e dolce amore (Scr. 107,82–83).
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Prima è Nostro Signore Gesù Cristo, è il Papa, sono i Vescovi, è la Chiesa, è la Fede Cattolica: e poi, molto poi, è la vita e il pane. Figli umili e devoti della Santa Romana Chiesa, per grazia di Dio, siamo nati: figli umili, devoti, obbedienti e amantissimi della Santa Romana Chiesa – Deo adiuvante – vogliamo vivere e vogliamo morire! La mano della Santa Madonna ci ha condotti fedelmente sin qui: la mano materna della Santa Madonna ci condurrà misericordiosamente sino alla fine e sino al Paradiso, come ad ogni momento La supplichiamo; e ci darà di consumarci di amore dolcissimo e di fedeltà a Dio, al Santo Prade Pio XI, Vicario in terra del Nostro Dio e Redentore Gesù Cristo e alla Santa Madre Chiesa (Scr. 109,172).
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Oh, la soave bellezza della Chiesa! Oh, la mia madre adorata! Oh, se il mio dolcissimo Signore mi desse parole d’amore d’infiammarvi della carità della Chiesa, la quale poco è amata, perché mal conosciuta. Ma guai a quelli che pur conoscendola, tirano a prezzo su di Lei, sulla mistica veste di Cristo! Guai a quelli che la macchiano dei loro vizi, che la lacerano con i loro errori e con la loro ipocrisia! Madre dei Santi... Chiesa del Dio vivente (Scr. 111,123).
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Facendoci Figli umili della Divina Provvidenza, noi abbiamo inteso vivere una vita di fede e di carità e farci amatissimi del Papa e di quella Santa Chiesa Romana, che sola è Madre e Maestra di tutte le Chiese, che sola è guida verace, infallibile delle anime come dei popoli, così nel dogma come nella morale cristiana, unica depositaria delle sacre Scritture, unica e sola interprete delle sacre Scritture, unica depositaria della tradizione apostolica e divina. A questa santa Madre Chiesa e al suo Capo, unico e universale, Pastore dei pastori, Vescovo dei Vescovi, Vicario unico e solo in terra di Gesù Cristo, al Papa, io e voi ci siamo dati per la vita e per la morte, per vivere della sua fede, del suo amore, nella sua piena obbedienza e disciplina, con dilezione piena, filiale, a nessuno secondi. Nostro specialissimo compito è di farlo conoscere, di farlo amare, specialmente dal popolo e dai figli del popolo; è di vivere ai suoi piedi noi e di anelare e faticare a condurre tutti, più che ai suoi piedi, al suo cuore di padre delle anime e dei popoli! Ci siamo, dunque consacrati a Gesù Cristo, al Papa, alla Chiesa, ai Vescovi per dare loro amore, aiuto, conforto, da umilissimi e devotissimi servi e figli, con volontà decisa, irrevocabile, di tutti sacrificarci per essi, di immolarci per il Papa e per la Chiesa, vedendo nel Papa Gesù Cristo stesso e nella Chiesa la sposa mistica di Cristo, l’opera e il Regno visibile di Cristo sulla terra; e così giungere ad avere coronam vitae et sempiternam felicitatem. Col nostro olocausto, con la nostra consumazione per il Papa e per la Chiesa, null’altro vogliamo che giungere a trarre gli umili, i piccoli, le turbe al Papa e alla Santa Chiesa: vogliamo unificare tutti in Cristo nel Papa e nella Chiesa (Lett. II,264).
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La Chiesa è la generatrice dei santi: santo il Fondatore, santa la dottrina, santi i Sacramenti, santa la gerarchia, santa la disciplina. La Chiesa è la viva immagine della Gerusalemme celeste del cielo. La Chiesa, da secoli, conserva il Sangue divino; la Chiesa lotta continuamente, soffre e prega e prega... La Chiesa forma, educa i santi nella preghiera e, perché prega, stende i suoi rami dall’uno all’altro mare. Il suo apostolato è effetto della preghiera. La Chiesa nel suo ufficio prega, il sacerdote con le labbra e con il cuore innalza a Dio la scienza dei Santi, il profumo odoroso dell’incenso; si eleva la vita come preghiera sino al trono dell’Altissimo. La Chiesa è la Casa di Dio e del sacerdote (Par. VI,230–231).
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Quanti e quanti Paesi in cui la Chiesa è combattuta e come gettata in una specie di catacombe morali! Purtroppo io temo dei terribili giorni per la Chiesa, temo delle tempeste e, Dio ci liberi, delle persecuzioni sanguinose fino a far versare il sangue. Ricordiamoci che il nostro attaccamento e amore a Dio e alla Chiesa deve essere forte, potente, più potente della morte. Qualunque siano i giorni di tristezza che dovessero venire, qualunque il tempo, pure la Santa Chiesa deve trovarci sempre vigilanti e pronti a cadere, in sua difesa, ai suoi piedi. E questo è l’amore e l’offerta totale che i Figli della Divina Provvidenza devono fare di sé stessi e della propria vita (Par. X,157).
Vedi anche: Cristianesimo, Papa, Vescovi.
Cinema
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Noi abbiamo dato il Cinema per i fanciulli e gratuito per il popolo, ma grati del favore ci sentiamo ben felici nella nostra pochezza di inviare alla Sala Pia l’offerta umile dei figli della Divina Provvidenza… Si è fatto molto bene con le pellicole; e giovedì, riunendosi il Clero a Tortona, daremo la Passione. Molti non videro mai Cinematografo. Aspetto lettere e notizie del Decano. Saluto in Domino. Portate subito le pellicole, ve ne prego (Scr. 6,62).
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Quanto a piantare il cinematografo nel padiglione presso la chiesa, io sono ben contento: 1) sempreché le pellicole siano moralissime e niente vi sia contro la fede e sia sotto la responsabilità del P. Bonetti; 2) Quanto poi al funzionamento, potete intendervi tra don Martino, P. Bonetti e voi: basta che si faccia del bene alle anime e io sono felice (Scr. 24,34).
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Quanti giovanetti dopo il Cinema sentono il turbamento dell’anima sconvolta e il dì dopo non si sentono più in istato di andare alla Comunione! Quanti dolori ho avuto da qualche nostro Istituto dove gli educatori su questo riguardo, ho capito che non capivano la loro grande responsabilità e che avevano bisogno di essere essi stessi educati, per non dire salvati dalla deplorevole e rovinosa china su cui andavano scivolando. Ho saputo con immenso piacere che in alcune nostre Case il Cinema è stato soppresso interamente e che in altre è stato ridotto a pochissime esibizioni. Altro che il Cinema parlato! Dove appena si può si tolga. E lo si sostituisca con il teatrino e accademie e anche coi burattini che sul Cinema hanno immensi vantaggi educativi. Questi divertimenti costituiscono un utile esercizio intellettuale, un lavoro formativo: è più facile il controllo della materia e si può avere completa sicurezza morale. E dove non sia possibile abolire totalmente il Cinema, se ne riducano le esibizioni, sopra tutto sia circondato da tutte quelle cautele che servano a preservare la purezza dei nostri giovani. Se un Oratorio Festivo o un Collegio non può andare avanti senza Cinema, non dubito di affermare che vi fa difetto una seria educazione e che l’educazione che vi si dà non è secondo il sistema pedagogico e Cristiano che deve attuarsi nelle Case della nostra Congregazione (Scr. 56,99).
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Il cinema, onesto divertimento, circondato da sapientissime norme, che salvaguardino la purezza dei giovani. Non lasciate le sagge e sante norme apprese da giovani. Non il divertimento purché sia, non per divertire, ma per educare. Evitare i pericoli del Cinema, applicazioni della Cinematografia a films storici, etnografici, missionari, sempreché non contrastino con i criteri della morale cristiana: solo allora sono leciti e anche raccomandabili; ma i film solo se drammatica, le comiche, no! no! Film educativi e religiosi sì (Scr. 56,189).
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Al Ricreatorio, come vedrà dal foglietto a stampa che unisco, ho rimesso il Cinematografo anche alla sera delle Domeniche, a bene delle famiglie dei nostri giovani; al lunedì poi c’è sempre per le ragazze dei Ricreatori femminili. Col Cines si lavora quindi tre volte ogni settimana e, con l’aiuto di Dio, del bene anche ai genitori se ne fa, non foss’altro si tengono le famiglie più unite e più morali (Scr. 75,64).
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I giovanetti che vanno al Catechismo parrocchiale ricevono poi dalle mani del loro Prevosto la così detta nota di frequenza e di buona condotta, che dà diritto di assistere, nel dopo pranzo, alle rappresentazioni morali ed educative che si svolgono nel Teatrino, oppure al Cinematografo che di recente si è impiantato nel Ricreatorio Festivo (Scr. 80,85).
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Vicino alla chiesa mi pare che la divina Provvidenza si degnerà far sorgere un ampio oratorio popolare a bene della gioventù tanto insidiata nella fede e nei buoni costumi; annesse vi saranno le opere parrocchiali specialmente pei padri di famiglia e per le organizzazioni operaie cristiane: si apriranno scuole serali e di religione: vi sarà la biblioteca del popolo, vi sarà il teatrino, poi un bel cinematografo e quanto occorre ai giorni nostri per fare un po’ di bene e per salvare le anime (Scr. 82,90).
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La carità del Santo Padre mi aiuta ogni anno con £. 2.000. Là si trasportò la chiesa provvisoria, nel cortile si inaugurò un Oratorio festivo, in un salone si impiantò un teatrino, poi il cinematografo con l’insegnamento della religione a proiezioni e così si diede incremento alle scuole di catechismo (Scr. 83,254).
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I giovani avranno istruzioni morali e religiose e saranno trattenuti in buone letture, giochi ginnastici, teatrini, cinematografo e con divertimenti piacevoli ed onesti atti a imprimere quei principii di educazione cristiana e civile che valgano sempre più ad ingentilire il loro animo e a formare buoni cittadini utili a sé, alla famiglia e alla Patria (Scr. 98,275).
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Direttori di case, ci accontentiamo di essere Maestri, Professori, se volete, diligenti anche ed instancabili, di null’altro preoccupati che di far studiare, studiare e poi studiare ancora, come un qualsiasi insegnante laico, affinché gli alunni abbiano a riportare i più importanti risultati. Si dà, nelle nostre Case, più la preminenza ai giochi, allo sport, al teatrino, al cinematografo, alla musica, a tutte le altre pratiche esteriori, e alla pietà? E alle vocazioni? Ah! Se lo studio e la pratica della religione avranno, d’ora innanzi, nei nostri Collegi il posto d’onore, quale terreno propizio si avrà per svolgere e far fiorire in abbondanza le vocazioni religiose! (Scr. 99,114).
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Il 21 si fece la benedizione e l’inaugurazione del Cinematografo. Venne Mons. Vescovo e si dovette ripetere tre volte per il numero grande di giovani accorsi. Le pellicole piacquero ed il funzionamento fu buono, anzi veramente meglio di quel che mi aspettavo (Scr. 100,52).
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Procurate ai giovani divertimenti, ma essi siano circondati da ogni seria salvaguardia per la purezza delle loro anime. I divertimenti che si danno devono essere assolutamente onesti. Attenti al Cinema. Richiamo ad un maggior senso di responsabilità circa il cinematografo. Vi sono pellicole cinematografiche nel campo dell’istruzione tecnica e scientifica, della documentazione a mezzo di films storici, etnografici, missionari, che non contrastano con i criteri della morale cristiana e possono non solo essere lecite, ma raccomandabili. Ma 99 su 100 la cinematografia teatrale, drammatica o comica non risponde alle sane norme della morale cristiana né al nostro sistema di educazione onesta e civile. In troppi casi il cinema non giova al pudore né ad educare la gioventù, è ancora strumento di corruzione: le conseguenze sono funeste sugli animi giovanili corrompitrici del buon costume: latrocini, assassini, suicidi, fughe, fattacci di ogni genere vengono perpetrati da minorenni corrotti alla perversa scuola del cinema. Il delitto e l’immoralità vengono glorificati. A parte certe pellicole di carattere pornografiche, generalmente nelle Comiche, sono la scuola di atti sconvenienti e delle passioni libertine. Né mi si dica che si fa vedere il male per farlo esecrare. Niente è più contrario alla dottrina della Chiesa e al più elementare buon senso. La povera ed inesperta gioventù è già circondata da tante occasioni e mali esempi, da tanti gravi pericoli, da fiamme così cocenti, che non ha bisogno di altri incentivi al male (Scr. 101,254).
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Più modesti, ma larghi sussidi ci offriranno la ginnastica e anche la musica, le buone letture, il teatro (con cinematografo e proiezioni) giochi di società. Fra tutte le ricreazioni daremo la preferenza alle passeggiate, alle escursioni istruttive, che mettono tanta alacrità nelle membra, che offrono tante, or gioconde or grandiose, immagini per gli occhi, e allo spirito riserve inesauribili di gioia (Scr. 108,112).
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Inaugurazione nuovo Cinematografo. Domenica scorsa, nel locale provvisorio del Convitto S. Romolo, gremito di colte e distinte persone, venne inaugurato uno stupendo e ben riuscito Cinematografo. Verso le 18, Monsignor nostro Vescovo Ambrogio Daffra, il quale presiedeva il caro trattenimento, procedette alla Benedizione del Cinema, dopo la quale fu svolto un attraente e ben riuscito programma, con pellicole preparate dalle migliori Ditte, programma, che fu gustato con vero piacere dai numerosi e gentili convenuti che unanimi applaudirono l’opera eminentemente educativa e zelante dei Figli della Divina Provvidenza, i quali nulla lasciano di intentato, pur di riuscire nella loro santa e nobile missione: l’educazione cristiana della gioventù (Scr. 114,13).
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La Sig.ria Vostra Ill.ma è pregata di intervenire insieme con la Famiglia alle Rappresentazioni Cinematografiche che si daranno in questo Istituto. Il presente serve anche per l’ingresso e vale per una persona: occorrendoLe altri biglietti, li potrà richiedere alla Libreria Editrice, presso la Piazzetta S. Michele. I biglietti sono gratuiti: si gradirà un’offerta. Il ricavo andrà a scopo di beneficenza (Scr. 114,272).
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Se sapeste quanto male c’è nel mondo! Non parlo d’Italia: male che si fa con la stampa, con il cinematografo e con qualche cosa d’altro che ho orrore di dire... I figli di Satanasso non stanno fermi: dormiremo noi? (Par. VII,141).
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I giovani oggi, vengono su in un clima guasto; ora nelle famiglie non c’è più la severità dei cristiani di una volta. I giovani, fin da ragazzi, ora sono allettati dallo spirito di libertà e dai cinematografi e vengono, per la leggerezza propria della loro età, già non portata al bene, vengono ad avere una grande smania di leggere romanzi. E quello che dico della leggerezza dei giovani lo dico anche di qualche chierico; ho rilevato in qualcuno questa leggerezza e, più che leggerezza, smania morbosa di gettarsi su qualunque libro e di pascersi anche di morbosità (Par. IX,457).
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Purtroppo sapete che i cinematografi sono qualche cosa di poco onesto, per non dire immorali, quantunque si debba all’attuale regime se sono state disposte molte depurazioni; ma, nonostante questo, c’è ancora tanto guasto nei cinema per corrompere la gioventù (Par. X,161).
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I Chierici dei probandati e noviziati devono sapere la storia sacra ed il catechismo proprio bene. Per i cinematografi, attenti alle pellicole che non sono buone: le buone sono rare, rarissime (Riun. 16 agosto 1913).
Vedi anche: Ballo, Divertimenti, Musica, Teatro.
Collera
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Tu devi prenderti per protettore speciale San Francesco di Sales che è il santo della dolcezza e della mansuetudine e ricordare che Gesù ha voluto essere indicato sotto la figura di agnello mite e dolce. E quando ha detto che noi dobbiamo imitarlo e imparare da Lui, non disse di imparare da Lui e fare il mondo o cose straordinarie, ma «discite a me quia mitis sum et humilis corde». E così imparerai la affabilità: caccerai da te la collera e avrai dolcezza e carità. La dolcezza coi fratelli e con tutti è anche segno di umiltà e la collera di superbia (Scr. 46,96).
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La madre naturale della bestemmia è la collera... La collera, è vero, può scemare l’avvertenza e quindi la gravezza, ma l’ira, sovente è peccato (Scr. 55,162).
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Carità nei modi; via le animosità, via le parzialità, mai in presenza di altri, mai diminuire il prestigio degli assistenti, mai collera nell’avvisare parole, atti, irascibilità (Scr. 81,309).
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Chi ama avere la pace del cuore deve abituarsi a padroneggiare sé stesso e rendersi insensibile alle piccole cose: non deve giudicare facilmente che altri gli voglia fare ingiuria: non condannare chicchessia senza averlo prima inteso; deve ricordare a sé stesso le sue colpe e imperfezioni e praticare l’umiltà, questa figlia del cristianesimo, che è la più forte armatura contro l’ira. Guardiamoci dalla collera e se vogliamo il bene dell’anima nostra e dell’altrui operiamo con pacatezza e con mansuetudine, secondo gli insegnamenti del divino Maestro (Scr. 82,40).
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Si miri sempre ad emendare il colpevole, mai a sfogare la collera. Se si vuole che gli allievi facciano molto progresso, si correggano le pagine a tutti, si facciano molte correzioni di lavori, molte, e fate conoscere gli errori commessi. Quanto più sovente ciò farete, tanto più grande sarà il profitto (Scr. 99,272).
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Mai parlare nella collera. Un antico filosofo, Pitagora, insegnava ai suoi alunni che quando erano in collera non parlassero senza prima recitare l’alfabeto; e si trattava di un filosofo pagano. Noi che siamo cristiani, dovremo dire qualche preghiera, per esempio due o tre Salve Regina, oppure un De profundis (Scr. 2,110).
Vedi anche: Affabilità, Umiltà.
Colonie agricole
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Se si deve dare alla provincia di Modena una Colonia agricola secondo i moderni sistemi di coltivazione e trattenere gli orfani alla vita moralmente sana dei campi, se si deve dare valide braccia all’agricoltura favorendo le direttive del Duce, e impedendo che tanti giovani di umile condizione e inesperti vadano ad ingrossare le file dei disoccupati e viziosi della città e se Dio vuole che io faccia qualche cosa in questo senso, anche nel modenese, vorrei dare il primato all’Istituto del Suffragio di Magreta (Scr. 41,249).
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Piantiamo qui, su questa vostra terra così forte e feconda delle Colonie agricole. Non dobbiamo accontentarci della sterile e fugace commozione del sentimento ma darci all’opera pratica: raccogliere i figli del popolo e procurare che siano loro impartire, oltre l’educazione cristiana, anche tutte quelle cognizioni tecniche professionali, necessarie a formare un saggio contadino o fattore di campagna. E si comprenderà subito la vasta importanza di questa idea: dare alla società, alla vita rurale, degli agenti diretti di restaurazione dell’ordine sociale cristiano, opera generosa, che nella sua semplicità racchiude un complesso prezioso di vantaggi morali, sociali e anche economici (Scr. 50,248).
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Le Colonie agricole servono a restaurare la semplicità della vita e la borsa; i nostri studentati a restaurare le idee e la fede, gli uomini vogliono pascolo di verità come di cibo; le colonie sono per il cibo, gli studenti per la verità (Scr. 54,208).
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Il sistema di vita e di educazione delle nostre Colonie è molto semplice: cerchiamo di fare vita comune, coi giovanetti che la Provvidenza ci manda. La Colonia deve avere non l’aria d’un Istituto, ma d’una santa e laboriosa famiglia cristiana. Si vive tra i ragazzi in guisa da metterli quasi nell’impossibilità di commettere mancanze, si è in mezzo di loro, anzi si precedono, per quanto è possibile, in qualunque luogo devono trovarsi: nella chiesa, sul campo, nella scuola, nella ricreazione, e si sorvegliano non già con una presenza autoritativa e minacciosa ma con volto amabile e sforzandoci di vestire un po’ di quello spirito soave di santa letizia e familiarità di San Filippo e che fa di noi quasi unus ex illis. E così, diportandoci tra di loro come padri e fratelli e amici affezionatissimi, si fa che torni loro spiacevole la nostra assenza, e che nulla torni loro di maggior contento che lo stare con noi, correre, parlare con noi, manifestarci i sentimenti del loro animo; con noi ricrearsi e persino saltare, correre e giuocare con noi in Domino, in Domino, in Domino. Così essi vivono della nostra vita, con noi e noi della loro, nella carità dolcissima del Signore: il nostro sistema di educazione è molto semplice! (Scr. 57,222).
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Fermate i contadini che, per non sapere coltivare razionalmente la terra, abbandonano sfiduciati la campagna e corrono alle città con gravissimo danno morale, sociale ed economico: piantate scuole agricole, e create all’uomo stesso, nel nome della Divina Provvidenza, quello stato di benessere cui può legittimamente aspirare e sia santificato il lavoro! E così sorsero le nostre scuole agricole, le nostre Colonie agricole. Il governo presso di noi mostra di disinteressarsi tanto della agricoltura? E la Chiesa saluterà questi nuovi religiosi, lavoratori dei campi per l’acquisto di un bene che non è terreno: e Papa Leone XIII chiamerà presso di sé l’Opera della Divina Provvidenza e Pio X la benedirà e raccomanderà di aiutarla. Chi non la vorrà aiutare? (Scr. 61,239).
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Nelle Colonie agricole è poco o nullo il vantaggio materiale (così mi diceva anche don Rua), ma è grande il morale e religioso, purché chi lavora non si attacchi alla terra, credendo che produca per l’arte sua: ma guardi sempre al Cielo (Scr. 63,201).
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Le Colonie Agricole condotte con lo spirito cristiano sono i mezzi moralizzatori e il pane sicuro per la sussistenza dei poveri fanciulli abbandonati: il programma d’istruzione per essi dev’essere un corso tutto proprio e per lettura e per aritmetica e per cognizioni di agricoltura, applicare l’istruzione alla coltivazione dei terreni, insomma una istruzione teorico pratica (Scr. 68,198).
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L’Opera ha tratto dal suo seno gli eremiti e li ha gettati nelle vie segnate dalla Divina Provvidenza e ha loro detto: con la carità di Gesù e coll’agricoltura fatevi padri nel Signore di tanti poveri fanciulli orfani, ritirate gli abbandonati delle vie, delle piazze: piantate delle Scuole Agricole, delle Colonie Agricole... tanti siano cresciuti nelle arti condotte con spirito di fede, tanti accolti nelle nostre Colonie Agricole dove, all’utilità dell’istruzione agraria, che darà vita serena e pane sicuro per la sussistenza dei poveri fanciulli, va congiunta quell’educazione civile e cristiana che dovrà farsi sentire tutta la vita, sì che non abbiano a dimenticare mai il loro Dio, il nostro Dio o buone Signore. Era necessario, in una parola, mettere l’agricoltore nella condizione di avere con la minor spesa il maggior prodotto possibile: fare che possa vivere da cristiano e non da disperato, che possa vivere circondato dai suoi, a casa sua, perché non gli venga la voglia di venire alla città ad invadere l’officina, a rubare il pane dalla casa altrui (Scr. 69,341).
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Ecco una pallida idea del bene che le Colonie Agricole della Divina Provvidenza vanno compiendo a benefizio della società, colonie che hanno davanti a sé un avvenire consolante. Un grave bisogno veramente sentito ai tempi nostri, è il sollievo delle classi rurali. L’Opera della Divina Provvidenza (visto il dilagarsi nelle campagne ecc.) si diede subito all’opera pratica. Raccolse i figli (smania di gettarsi agli studi) spostati (raccolti dalle strade) e procura di impartire loro oltre l’educazione cristiana, anche tutto quelle cognizioni tecniche professionali necessarie a formare un saggio contadino ed anche, i più perspicaci e inclinati, un buon fattore. Di qui si comprenderà subito la vasta importanza delle Colonie Agricole dell’Opera della Divina Provvidenza: dare alla società, dare alla vita rurale degli agenti diretti di restaurazione dell’ordine sociale cristiano; opera generosa che nella sua semplice apparenza racchiude un complesso prezioso di vantaggi morali, sociali ed economici (Scr. 108,293–294).
Vedi anche: Eremiti, Lavoro, Operai.
Comandamenti (divini)
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Le vostre mura morali, le mura del vostro cuore sono l’eremo più bello e sono l’amore di Gesù Cristo crocifisso, Dio e redentore nostro santissimo, e l’amore del prossimo: i due grandi e supremi e sacri amori e comandamenti della carità: amare Dio con tutto il cuore, con tutta la vita e più che la vita, e nell’amore santo di Dio, amare il prossimo come noi stessi, amare tutti senza distinzione in ordine di carità, perché la carità è ordinata, e pregare per noi e per la salvezza degli uomini nostri fratelli, tutti! (Scr. 30,155).
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Se vi è qualcuno del quale si può dire che è amato dal Signore e amato di speciale predilezione, questi siamo noi religiosi che, a preferenza di tanti altri, e senza alcun nostro merito particolare, siamo stati tolti dalla babilonia di questo brutto mondaccio, e chiamati a vita religiosa, cioè non solo ad osservare i santi comandamenti di Dio e della Chiesa, come devono fare tutti i veri e buoni cristiani, ma anche a praticare i consigli evangelici della perfezione, cioè la obbedienza, la povertà e la castità (Scr. 30,224).
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Ed ora lascia che ti dica che mi fu riferito (e ne ebbi tanto dolore!) che, purtroppo, tu non cammineresti più, anche dal punto di vista morale, sulla dritta dei comandamenti di Dio. E come tutta questa lettera, così particolarmente questo ti scrivo con cuore di sacerdote e con l’antico affetto, non per confonderti, caro Brunatto, ma come ad anima a me carissima, a cui ho sempre anelato per fare del bene nella carità di Gesù Cristo, memore e grato del beneficio da te ricevuto. Ti supplico quindi, o caro fratello mio, per le viscere di Gesù Cristo e di Maria SS.ma, Madre di Dio e nostra, di piangere con lacrime di sincero pentimento sui tuoi peccati, lavarli con una buona Confessione che sia il principio di una vita nuova, vita morale e veramente cristiana (Scr. 44,278).
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La vita contemplativa si aggirerà attorno alla pratica dei tre consigli evangelici, oltre all’osservanza dei comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa: intorno all’unione con Dio, all’interna perfezione, ai doveri di pietà e di culto, all’attuazione di ogni virtù, e soprattutto alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza, di ogni maniera ed in ispecie all’annegazione della propria volontà (Scr. 52,2).
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La pace con Dio si ha osservando i suoi comandamenti, e seguendo umili e fedeli la sua santa Chiesa. La pace con gli uomini si ha vivendo rettamente. La pace con sé stesso si ha mediante la testimonianza di buona coscienza (Scr. 52,93).
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Tutto abbiamo da Dio. Tutti devono sudditanza al Signore e osservarne i comandamenti. Ma questo non basta alle anime privilegiate che sono chiamate da Dio a più alta perfezione. Esse sentono una sete inestinguibile d’una sottomissione più intima e più attiva, vogliono unirsi più stretti al Signore e perciò praticare più perfettamente la virtù dell’obbedienza e, prostrate innanzi all’altare, emetterne un voto speciale: il voto d’obbedienza (Scr. 55,256).
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La carità vien da Dio dice l’Apostolo S. Giovanni, essa è un dono che Dio fa a coloro che osservano i suoi comandamenti e il mondo non ama Dio. Quindi è che in esso non sarà mai la vera carità tra gli uomini, imperocché il segno per conoscere se si amano gli uomini è, al dir dell’Apostolo, questo solo: se amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti (Scr. 55,310).
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Alcuni comandano positivi, altri vietano negativi, dunque il decalogo comincia a stabilire i doveri verso Dio. Come il Credo è il compendio di ciò che bisogna credere, così i dieci Comandamenti sono il compendio della legge naturale e di quanto è necessario praticare per salvarci. Decalogo significa parola o legge composta di dieci articoli che si chiamano Comandamenti. È la legge che Dio ha imposto alla creatura ragionevole (Scr. 56,72).
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Fratelli, non dimentichiamo la legge del Signore, ma conserviamo nel cuore e pratichiamo i suoi Comandamenti che ci apporteranno lunghezza di giorni e anni di vita e di pace. Confida nel Signore con tutto il tuo cuore e non appoggiarti agli uomini. In tutte le tue vie pensa a Dio, e la Divina Provvidenza dirigerà i tuoi passi (Scr. 56,176).
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Se vivremo in semplicità e nell’osservanza dei Comandamenti verremo a gran bene e ci avvicineremo alla compagnia dei santi. I poveri sono tanta parte della grande legge d’amore che è la carità, il precetto proprio di Cristo vivo nel campo delle anime e della carità (Scr. 61,120).
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La carità viene da Dio, è un dono che Dio fa a coloro che osservano i suoi Comandamenti e vivono del suo spirito: essa è soave e dolce, è forte e costante, è illuminata e prudente, è umile, annega sé stessa, compatisce gli altrui difetti, gode del bene del prossimo, è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose, è pronta ad accorrere a tutti i bisogni dei fratelli, la carità è sola quella che edifica e unifica in Gesù Cristo (Scr. 80,137).
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E quali sono le opere per mostrar noi che amiamo Dio e il prossimo? L’osservanza dei suoi Comandamenti e le opere della carità o di misericordia. Eccetto che per i fratelli dannati, la carità non conosce limiti (Scr. 80,280).
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Due sono i grandi Comandamenti della carità che incentrano e comprendono tutta la legge e i Profeti. Ha detto il Signore: Amerai il Signore... questo è il primo e il più grande dei comandamenti; l’altro è simile a questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso; amare dunque gli altri come noi stessi: non parla di uguaglianza, ma di somiglianza. Sant’Agostino commenta: «Duo praecepta, una Caritas»; sono due i Comandamenti, ma una è la carità (Scr. 81,90).
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La nostra religione principalmente consiste nella fede e nella morale cristiana, cioè nelle verità rivelate che dobbiamo credere, e nei comandamenti di Dio che dobbiamo praticare (Scr. 82,43).
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Una cosa sola è necessaria: salvare l’anima! Osserva i Comandamenti di Dio e della Chiesa, e ti salverai. Sii devoto di Maria SS.ma. Confessati sovente: la Confessione è il termometro della vita cristiana (Scr. 90,278).
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Cristo predica il Regno di Dio, e questo regno è promesso a chiunque, uomo o donna, osserverà i Comandamenti del Signore (Scr. 91,103).
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Non consumiamo la vita in vanità o in acquistare cognizioni che nulla gioveranno per la vita futura o ci saranno imputate a colpa. È la scienza di Dio il mezzo della nostra santificazione, e seguirà al di là della morte. Scienza di Dio che non consiste solo nell’essere istruito nel catechismo se si è cristiani, o nella teologia se preti, ma nell’osservare i suoi Comandamenti. «Chiunque pretende conoscere Dio e non osserva i suoi Comandamenti, è un mentitore» (Gv 2,4). Alcuni lo conoscono con le parole, ma lo negano con le opere (Scr. 111,12b).
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Nei Comandamenti è compendiato tutto l’insegnamento cristiano, per salvarci bisogna osservare i Comandamenti di Dio e quelli della Chiesa che sono il Decalogo. Gesù Cristo venne a perfezionarli. I Comandamenti obbligano tutti. Sono possibili a tutti, si riducono ai due Comandamenti della carità (Scr. 111,129).
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Tutti devono obbedire alla legge naturale: tutti i battezzati debbono osservare i comandamenti di Dio; ma le anime predilette, le anime privilegiate, care al Suo Cuore, Egli le chiama a seguirlo per la via stretta dei consigli evangelici (Par. I,221).
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I buoni cristiani hanno l’obbligo di osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, fare vita cristiana e fare ciò che ha ordinato Gesù Cristo. Invece la vita religiosa, oltre al dovere che tutti hanno di osservare la sacra legge di Dio, esige di fare un passo avanti, seguire più da presso Gesù, non solo nei comandamenti che egli ci dà, ma anche nei consigli evangelici, povertà, castità e obbedienza (Par. II,220).
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Pratichiamo la santa legge di Dio, osserviamo i suoi comandamenti, cerchiamo di fare del bene, di fare del bene a tutti e del male a nessuno. Stiamo sicuri che, dopo gli anni del nostro pellegrinaggio terreno, verrà la gloria eterna del Paradiso e la visione bella, consolantissima, eterna, della nostra dolce Madre, la Madonna Santissima (Par. IV,323).
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Ad osservare i santi Comandamenti di Dio e della Chiesa, tutti siamo tenuti. Il Signore ha chiamato voi con una vocazione celeste a qualche cosa di più: non solo ad osservare i Comandamenti della legge, ma a seguire Gesù, l’Agnello Immacolato, più da vicino, nella pratica dei Santi Consigli Evangelici (Par. IV,362).
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Dio ci ha dato i dieci comandamenti: i tre primi Dio li scrisse su una tavola di sasso, e i sette ultimi, li scrisse su una tavola di pietra; il primo di questi sette si riferiscono appunto all’amore, all’onore, al rispetto, al conforto e all’aiuto che noi dobbiamo dare ai nostri genitori (Par. XI,192).
Vedi anche: Catechismo, Cristianesimo, Religione.
Compagnia del Papa
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Pro memoria sulla Compagnia del Papa. I. Il Papa è il bersaglio principale degli inimici, ed è il Vicario di nostro Signore Gesù Cristo, è il padre della fede e delle anime nostre e il nostro duce infallibile. Alla difesa del Papa, alla pronta e completa esecuzione delle sue volontà e dei suoi desideri sorgerà, se così piace al Signore, una nuova Congregazione: che ha per titolo: La Compagnia del Papa; per scopo mediato remoto: la santificazione dei congregati e della società; per scopo immediato prossimo: la completa esecuzione del programma pontificio. Questo fine proprio viene sancito da un quarto voto, ponendosi così l’Istituto ad ogni congregato alla pronta ed assoluta obbedienza del Pontefice, in ogni ordine di idee e di fatti, con ogni attività dell’intelletto, del cuore e del braccio; per eseguire dove, come, quando e cosa al Pontefice piace per l’attuazione del suo programma. O in altre parole la Congregazione ha per punto di partenza: il programma pontificio generale (per la umanità, il regno sociale di Gesù Cristo) e il programma pontificio particolare (per ogni nazione quel dato programma secondo i vari bisogni delle varie nazioni). Programma che il Pontefice ha il diritto e l’ufficio di dare e che, riguardando il governo universale della Chiesa, tiene dell’infallibilità del supremo pontificato, programma che il Papa di fatto promulga chiaro, preciso e graduale. Via intermediaria: pongo anzitutto la via gerarchica della chiesa e poi la Compagnia del Papa la quale ha la missione di: a) cercare, raccogliere, ordinare i documenti pontifici; b) studiarli; c) popolarizzarli; d) metterli in pratica; e) farli eseguire dai fedeli di qualunque nazione, nella misura e nel modo desiderato e voluto dal Papa. Punto di arrivo: esecuzione del programma per parte dei fedeli, guidati dai propri pastori; istruiti, sollecitati, agevolati, entusiasmati dalla Compagnia del Papa (Scr. 52,1).
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II. La Compagnia del Papa troverà tanto miglior posto nella compagine della Chiesa: 1° quanto più sarà manifestamente gradita al Pontefice, al cui totale servigio si offre, poiché deve nascere e vivere per la causa del Papa. 2° quanto più sarà protetta dai Vescovi dei quali seconderà l’azione: strumento dei voleri e dei desideri dell’Episcopato; 3° quanto più sarà benvoluta dai sodalizi preesistenti; 4° quanto più sarà amata dai fedeli. Questi favori mi pare si potranno far scaturire dal fine netto e circoscritto della Compagnia, fine che, ben delineato, dimostrerà il vantaggio della nuova Congregazione, il rispetto alle preesistenti e l’agevolezza ai cattolici bene intenzionati di attuare il programma pontificio. La Compagnia del Papa vivrà della doppia vita: contemplativa ed operativa, ritenendo quella siccome il substrato necessario per l’efficace completamento dell’altra. La vita contemplativa si aggirerà attorno alla pratica dei tre consigli evangelici, oltre all’osservanza dei comandamenti di Dio e dei precetti della chiesa: intorno all’unione con Dio, all’interna perfezione, ai doveri di pietà e di culto, all’attuazione di ogni virtù, e soprattutto alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza, di ogni maniera ed in ispecie all’annegazione della propria volontà. La vita operativa si espanderà nell’esecuzione del programma pontificio, IV voto e fine specifico e proprio della Compagnia. Resi forti dalla grazia di Dio, provati nelle virtù, liberi da ogni impegno domestico, politico e sociale, pronti insomma e nello spirito e nella carne per beneficio della vita contemplativa, la Compagnia non domanderà al suo capo supremo il Papa che benedizione e lavoro, che ordini e missioni. Il IV voto si compendia nella più totale adesione di mente, di cuore e di opere al Pontefice e, come il religioso adempie ai propri doveri verso Dio in modo supremamente più regolare e preciso che non il laico in mezzo al mondo, così la Compagnia del Papa, come un sol uomo, si propone con il IV voto di adempire più rigorosamente e in modo assai più perfetto al dovere, pur comune a tutti i cattolici, di unione, di amore filiale e di difesa della sede apostolica, anzi alla volontà del Papa, alla difesa del romano Pontefice ed alla attuazione dei suoi disegni sulla umanità intera si dedicherà e si voterà la Compagnia con tutta la sua anima, con tutta la sua intelligenza, con tutte le sue forze nel nome santo del Signore (Scr. 52,2).
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III. La opportunità che mi pare di vedere al presente, di una Congregazione che si dedichi alla completa esecuzione del programma pontificio, si mantiene anche riguardando il futuro: sia la dimane favorevole o no al trionfo del Papato, sia che gli avvenimenti precipitino o si succedano con lentezza. Se i tempi migliori maturano lentamente, cioè si svolgono per crisi e per evoluzione, la Compagnia del Papa sarà sempre la più atta, o fra le più atte, a preparare con calma la nuova generazione ad essere più docile della cadente al verbo pontificio, e a questo giungerà specialmente coll’impadronirsi della gioventù dalle scuole ai campi. Se i tempi matureranno bruscamente, per rivoluzioni o per catastrofe sociale, la Compagnia del Papa sarà un nucleo di persone preparate ai nuovi tempi. Se il domani sarà benigno per il regno di Gesù Cristo e del suo Vicario, la Compagnia del Papa sarà la tranquilla propagatrice del pacifico e restauratore verbo papale, e varrà a mantenere lo stato di pace e di libertà della chiesa. Se il futuro sarà fosco e saranno giorni di lotta più acuta tra i figli di Dio e i figli degli uomini, tra Cristo e satana, tra il Papa e la massoneria, i membri della Compagnia del Papa saranno sempre, come fermamente lo spero e come ne prego il Signore ogni giorno, saranno sempre all’avanguardia dell’esercito pontificio, i pionieri delle libertà papali epperciò della cristiana e verace libertà in mezzo alla società convulsa ed apostata, pronti all’uopo a suggellare con il sacrificio della vita e con il sangue l’amore al nostro carissimo Signore Gesù ed al suo Vicario in terra, il Papa! Siano grazie a Maria SS.ma e sia lodato Gesù Cristo! (Scr. 52,3).
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Il fine di questa minima Compagnia del Papa è di compiere la volontà di Dio e di cercare la sua maggiore gloria coll’attendere, con la divina grazia, alla propria salute e perfezione e alla salute e santificazione del prossimo; adoperando ogni studio a crescere in sé e nei fedeli l’amore di Dio e del Papa, avendo per suo programma immediato l’attuazione completa del programma papale, nei paesi cattolici; e, nei paesi acattolici, di aiutare, con ogni opera di cristiana carità, le anime a convertirsi alla nostra santa Chiesa cattolica, apostolica, romana, consacrandosi in speciale modo ad ottenere l’unione delle Chiese separate, ut fiat unum ovile et unus Pastor! Questo fine, che è proprio e precipuo di nostra vocazione, pone la Compagnia ed ogni suo membro alla pronta e assoluta obbedienza del Vicario di nostro Signore Gesù Cristo, che è il Vescovo di Roma, pastore e maestro supremo, universale e infallibile dell’unica vera e santa Chiesa di Dio, per eseguire, in qualsiasi parte del mondo, in ogni ordine di idee e di fatti, con ogni attività e sacrificio delle sostanze e della fama, dell’intelletto, del cuore e della vita, tutto quello che al Vescovo di Roma, padre universale della santa Chiesa cattolica e delle anime, piacerà di comandare, o mostrerà desiderare al Superiore generale della Compagnia, alla massima dilatazione del regno di Dio e per il bene delle anime e dei popoli (Scr. 52,4).
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La Piccola Casa della Divina Provvidenza fa parte, ed è Casa madre dell’Opera della Divina Provvidenza. L’Opera della Divina Provvidenza è costituita da diversi elementi personali: aspiranti, novizi, professi, anziani. Ha per scopo remoto: la santificazione dei congregati e della società, e per scopo prossimo la completa esecuzione del programma pontificio. Essi fanno voti perpetui, solenni, assoluti e costituiscono la gerarchia dell’Opera della Divina Provvidenza e il centro della Congregazione, formando nucleo strettissimo che ha per titolo la Compagnia del Papa. Gli anziani ai tre voti: povertà, castità e obbedienza, comuni ai professi, hanno per obbligo il 4° voto: incondizionata obbedienza al Papa. L’azione dell’Opera della Divina Provvidenza e dei suoi capi si sviluppa nella legalità sino a che le sue leggi non urtino volontariamente, direttamente, sensibilmente e costantemente lo spirito della Chiesa e gli intendimenti pontifici. I professi oltre i tre voti semplici, fanno apposita promessa davanti al SS.mo Sacramento di eseguire in ogni ordine di idee e di fatti, e con ogni attività dell’intelletto del cuore, quello che al Pontefice piacerà comunicare al padre Superiore dell’Opera della Divina Provvidenza. Per fare parte degli aspiranti bisogna fare formale domanda, e dichiarazione di osservare le regole e l’ubbidienza e rinuncia di ogni cosa e volontà. Le regole sono rigorosissime, ma la carità le fa più dolci e soavissime, come quelle della Compagnia di Gesù, ma più determinatamente fisse allo scopo tutto papale, secondo i bisogni del tempo nostro. Chi è accettato novizio ha la morale certezza che perseverando, ed essendo poi ammesso a fare la professione, diventerà sacerdote (Scr. 52,5).
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Noi siamo la Compagnia del Papa. Dopo 10 anni che si è in Congregazione, già Sacerdoti, si fa il quarto voto di ubbidienza al Papa. Se il Papa dovesse domandarci le nostre Case, gliele concediamo perché non è roba nostra, ma è roba del Papa! Se domani il Papa ci domanda la nostra pelle, andremo a venderla sul mercato (Par. V,194).
Vedi anche: Chiesa, Costituzioni (FDP e PSMC), Papa, Quarto voto.
Compatimento
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Dirai alle Suore che prego per esse e le benedico: si compatiscano a vicenda e vedano di avere sempre più Nostro Signore, e pensino che servono, nei probandi e Chierici, a Gesù stesso, se lavorano per l’amore di Dio (Scr. 2,208).
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Di difetti ne abbiamo tutti: aiutiamoci nella carità: amiamoci e compatiamoci l’un l’altro (Scr. 4,194).
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Scriverò a Rossi persuadendolo a non darsi a lavoro di mente: aiutalo e compatiscilo anche tu. La vita buona è fatta di compatimento e di carità (Scr. 4,194).
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E quanto è pur bello amarci, confortarci, compatirci, aiutarci tra noi nell’amore fraterno, che viene da Nostro Signore, che è nostro Dio ed è pure nostro Fratello, il Primogenito di Maria SS.ma, perché noi siamo i secondogeniti! (Scr. 4,238).
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Non si turbi il cuor nostro e non tema: Non turbetur cor vestrum, neque formidet: sii longanime e forte nell’amare, confortare, compatire i tuoi fratelli, come una madre con i figliolini suoi (Scr. 4,239).
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Vogliatevi bene fra di voi, amatevi in Gesù Cristo, compatitevi, aiutatevi, esortatevi nel Signore, o cari miei figli. La cosa che più mi riempie di consolazione è di vedere l’incomparabile carità tra i nostri Sacerdoti e Chierici! (Scr. 4,269).
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Nessuno è senza difetto, nessuno senza carico, nessuno bastevole a sé, nessuno per sé sapiente a sufficienza: ma bisogna che facciamo a compatirci, che ci consoliamo insieme, e così ci aiutiamo e correggiamo (Scr. 4,274).
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Fa’ che il tuo occhio sia come il tuo cuore, pieno di carità verso di tutti e di compatimento. Figlio mio, non vedere sempre fosco e nero da per tutto; che l’amore di Dio e del prossimo renda il tuo occhio semplice e il tuo spirito non chiuso mai alla tolleranza e al compatimento verso tutti, ma specialmente verso quelli che Dio ti ha dato a fratelli e posti vicino (Scr. 4,286).
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La nostra forza sta nella carità, che è Dio, e nell’unione, il cui vincolo è Gesù Cristo. Abbiate spirito di compatimento reciproco, perché tutti abbiamo i nostri difetti, e fate atti di umiltà gli uni con gli altri (Scr. 5,306).
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Amate il Signore e amatevi nel Signore tra di voi e nel suo amore compatitevi e aiutatevi, e poi non temete. Il Signore sta sempre vicino a quelli che l’amano e si affaticano per suo amore (Scr. 5,306).
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Il Signore vi faccia abbondare e sovrabbondare in carità fraterna, nel compatirvi e aiutarvi l’un l’altro per l’amore di Gesù. E vivete con Cristo, confortandovi gli uni gli altri ed edificandovi a vicenda! (Scr. 5,535).
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Vedete di sopportarvi e compatirvi l’un con l’altro, e di aiutarvi a vicenda nella carità (Scr. 6,160).
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Bisogna unire le forze, e non dividersi: bisogna che tu compatisca di più le Suore se anche vedi qualche cosa che non è sempre come tu puoi desiderare! Sostienile e di’ loro parole di incoraggiamento paterno e di conforto. Tu a questo riguardo sei un po’ avaro, troppo asciutto, anche con tuoi Sacerdoti che, poveretti, lavorano e facchinano da buoni servi di Cristo. Perché non dici mai loro una buona parola? Ma, vedi, che sono bravi figli, e sacrificati nel lavoro. Ma non è meglio che gliela dici tu, invece di dovergliela dire io, che poi sembra quasi che la mia parola sia in riparazione o in opposizione al tuo silenzio o al tuo modo di fare con essi? Tu non lo fai apposta, lo so. Ma vedi che essi lo dicono: Ci sgrida sempre e non ci dice mai: bravi! Stavolta abbiamo fatto bene: Dio vi ricompensi. Vedi che il loro Padre sei tu: sei tu che li hai vicini, e che devi unirli a te, formare di essi un cuore solo con te, mica per te, ma per fare del bene e confortarvi a vicenda (Scr. 6,220).
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Vedete di volervi bene, di compatirvi e confortarvi a vicenda: è la più grande consolazione che potete darmi (Scr. 7,312).
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Mi pare che ragioniate troppo troppo, quando proprio non ne è il caso; bisogna sempre avere una gran dose di pazienza e di compatimento con il nostro prossimo, senza vedere sempre degli atti pensatamente contrari, quando davvero non c’è il più delle volte neanche la lontana idea (Scr. 10,140).
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Bisogna a tempo debito confortare il personale che ci sta attorno e animarlo con qualche espressione che ne tenga alto il morale; devono non solo credere ma sentire di essere amati, aiutati, compatiti. Devono sentire di essere sostenuti e, direi, di formare con noi un cuor solo e un’anima sola e di godere la stima e la fiducia dei Superiori (Scr. 22,120).
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Io vi compatisco, e non mi offendo di certe vostre frasi che mi scrivete, appunto perché vi compatisco, mentre soffro con voi, e vedo che qualcuno, non comprendendo, non sa capire e non sa soffrire con me (Scr. 29,108).
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I più vicini a me siete voi, o miei cari figliuoli: guardiamo di consolarci, di compatirmi, di tollerarmi un poco, oh sì, tolleratemi, almeno voi! (Scr. 30,145).
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Portiamoci scambievolmente i pesi, i difetti: ché nessuno è senza difetto, nessuno senza carico di infermità morali, caro mio don Bariani: nessuno bastevole a sé, nessuno per sé sapiente a sufficienza; ma bisogna che facciamo a compatirci, che ci aiutiamo: Supportantes invicem, dice San Paolo, scrivendo ai Colossesi; anzi che ci consoliamo insieme: Consolamini invicem (I Tessalonicesi). E così fa’ tu con don Curetti, con gli altri nostri sacerdoti e specialmente con i chierici, edificandoli così e formandoli in Gesù Cristo, al vero spirito religioso e di vera carità fraterna e religiosa (Scr. 31,173).
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Dove c’è la carità fraterna, dove si sa compatirci l’un l’altro nei nostri difetti e confortarci vicendevolmente con il buon esempio della umiltà, della pietà, della osservanza delle Costituzioni, del sacrificio, dello zelo: Dio aiuta e dà la sua benedizione (Scr. 32,236).
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Noi tanto varremo, quanto più di carità avremo: e tutto più potremo, quanto più ameremo Dio, e in Dio ci ameremo a vicenda e ci compatiremo tra di noi, e ci daremo la mano ad andare al Signore (Scr. 34,37).
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Dove c’è umiltà non ci sono contese, c’è compatimento reciproco, c’è l’unione dei cuori, c’è carità fraterna; e si va avanti contenti, si lavora contenti, si prova una grande gioia e felicità interiore e spirituale (Scr. 39,88).
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State molto unite tra di voi nella carità di Gesù Cristo, da vere, da buone sorelle: mantenete la concordia, l’unione, la pace tra di voi: compatitevi, aiutatevi, confortatevi con il buon esempio (Scr. 39,225).
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Compatitevi nei vostri difetti e abbiate pazienza tra di voi, vivete sempre in pace e buona concordia, cercando sempre di fare del bene, dove potete (Scr. 40,245).
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Preghiamo e aspiriamo solo a fare del bene e ad elevarci in Dio e nella sua bontà: a vivere una vita di umiltà senza bassezza, di dignità nella carità, spogli, possibilmente, del nostro amor proprio e da ogni orgoglio, più inclinati a compatire e ad interpretare sempre bene, che a giudicare severamente! Oh quante volte ho trovato gli uomini migliori di quello che credevo! Quante prove di onestà in chi si ritiene disonesto: quanti giudizi ho dovuto correggere in bene, sulle qualità morali di persone, che dapprima non ritenevo meritevoli della mia stima! (Scr. 41,246).
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Vi vogliate compatire nei vostri difetti; e tu senti lui che è tuo fratello ed egli senta te che sei suo fratello e così amatevi nel Signore e fatevi santi e fate del bene! Il mio più grande dolore riguardo a voi fu da quando vi ho saputo divisi, anche solo di luogo; ora vi supplico con amore di padre in Gesù Cristo, di riunire le vostre forze e di compatirvi, sopportandovi l’un l’altro nei vostri difetti, poiché tutti abbiamo in nostri difetti e dobbiamo con il manto della carità coprirci l’un l’altro per l’amore di Dio. Che importa se aveste cento Case, ma se non aveste la carità di Gesù Cristo! (Scr. 51,8).
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Vi esorto a mantenere tra di voi una grande concordia, lo spirito di unione e di pace, la vera carità fraterna. Compatitevi nei vostri difetti: pensate che tutti abbiamo le nostre debolezze e che senza peccato non c’è nessuno. Correggetevi l’un l’altro, ma con amore fraterno, senza amarezza, senza offendervi mai, ma edificandovi con ogni buon esempio e umiltà, aiutandovi a vicenda in ogni cosa da veri Religiosi e da veri fratelli in Gesù Cristo, amandovi santamente e tutti in ugual modo, come fanno gli angeli del Signore (Scr. 52,91).
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La pietà è utile perché ci porta a compatire le pene e le debolezze dei nostri più prossimi: a consolarli con bontà e carità, a sollevare gli sventurati nelle loro miserie corporali o spirituali, ad avere pietà degli orfani, dei derelitti, dei malati, di tutti che hanno bisogno della nostra parola buona, del nostro sostegno, del nostro vestito, del nostro pane, del nostro cuore, della nostra vita. Ah purtroppo, o miei cari figliuoli, che troppo sovente noi ci sentiamo sprovvisti di pietà, di amore verso il nostro Padre Celeste: troppo scarsi di devozione verso la nostra Madre Maria SS.ma, troppo languidi verso la Santa Chiesa, il Papa, i Vescovi, troppo indifferenti nelle devozioni verso i Santi, troppo freddi verso i Sacramenti, forse anche poco rispettosi verso le Sacre Scritture, e senza compassione verso il prossimo (Scr. 55,200).
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Siamo apostoli di carità, di amore puro, di amore alto, universale; facciamo regnare la carità con la mitezza del cuore, con il compatirci, coll’aiutarci vicendevolmente, con il darci la mano e camminare insieme. Seminiamo a larga mano sui nostri passi, opere di bontà, di amore, asciughiamo le lacrime di chi piange (Scr. 62,99b).
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Siete lì due sacerdoti: potete fare un gran bene alle anime della parrocchia e così alle anime vostre. Non perdete più tempo in piccoli contrasti tra di voi. Non perdetevi in beghe tra di voi, ma compatitevi e confortatevi nella vita santa, da buoni e da veri fratelli. Fate che, pensando a voi e a codesta casetta, la mia anima abbia non più da sentirsi rattristita, ma da essere consolata da voi, o miei cari (Scr. 63,133).
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Nella piccola cerchia in cui si spiega, si svolge la nostra azione fra le persone che ci circondano, siamo apostoli di bene, o fratelli, facciamo regnare la bontà, la carità con la mitezza del cuore, con la gentilezza del tratto, compatiamoci, tolleriamoci, aiutiamoci, diamoci la mano: che è la vita che vuol essere se non darci fraternamente la mano e camminare insieme? Tenendo alto lo sguardo e il cuore? (Scr. 80,140).
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La carità comanda di non appartarci un una comoda bastevolezza ma di sentire e avere compassione fattiva per i dolori e i bisogni degli altri, dai quali non dobbiamo riguardarci separati, mentre sono una sola cosa con noi in Cristo (Scr. 81,107).
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Quando, per disposizione della Provvidenza si lascia una Casa dove si viveva circondati da molto affetto, per recarsi in regione nuove e tra persone sconosciute, si sente il bisogno di trovare subito un cuore al quale potersi abbandonare, un’anima che sappia comprendere, compatire, incoraggiare (Scr. 88,190).
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Ci sia tra voi sempre e maggiore unione di cuori: sappiatevi compatire ed amare di fraterna carità: edificatevi l’un l’altro con il buon esempio: edificatevi a vicenda in X.sto e vivete uno spirito fervido ed alacre di lavoro, spirito di vero apostolato sacerdotale, e sempre allegri in santa letizia (Scr. 95,16).
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Sopportatevi, compatitevi: sia sempre tra voi una santa pace e armonia. Io vi prometto le benedizioni di Dio: siate fratelli davvero. Sì, fate, o cari figli, che quando verrò ancora a trovarvi mi veda venire incontro tanti Angeli e tanti Santi. Che lo Spirito di Dio sia sempre sopra di voi, né mai il vostro cuore faccia tregua con il peccato. Abbiate fede e coraggio nel vostro cuore: fede nell’aiuto che vi darà il Signore, e speranza forte in Dio; coraggio grande nella riforma di voi stessi e nel formarvi tutti per Dio, poiché il resto è nulla. Nel silenzio e nella preghiera troverete la forza per sopportarvi e per amarvi, o miei figli (Scr. 96,31).
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Oh, come è bella e dolce cosa vivere insieme da veri fratelli, da umili, pii, da veri religiosi; vivere insieme la vita della pietà, della temperanza, del lavoro, osservanti delle regole, devoti, uniti, compatendoci a vicenda, dandoci a vicenda buon esempio di edificazione! (Lett. II,265).
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Imparate ad avere pazienza, grande pazienza, sempre e con tutte: imparate a compatirvi una con l’altra. È questa una delle prime necessità di tutti gli Istituti, ma specialmente del vostro, nel quale siete radunate molte, di regioni e di indole differenti: e tra voi di quelle che hanno la testa davanti, dietro, per diritto, per traverso! È necessario molto, molto compatimento! E pazienza, pazienza! Grande pazienza! Tutti siamo coperti di miserie, bisogna compatirsi l’un l’altro, e aiutarci vicendevolmente e spogliarci di noi stessi per servire ed amare Dio. Compatirsi è il primo passo della carità fraterna, ma insieme aiutarsi ad emendarsi con carità, con amore, come fareste con una sorella più piccola! È questo un obbligo che avete con le vostre consorelle: voi dovete aiutarvi scambievolmente a farvi sante. Abbiate pazienza, sempre pazienza, estinguete nel Cuor di Gesù tutto ciò che, umanamente parlando, può far perdere la pazienza. Questo ve lo raccomando tanto! (Par. I,73).
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Buone figliole, le parole di San Paolo ci dicono di sopportarci scambievolmente, di portare il peso l’uno dell’altro: dunque compatitevi a vicenda! Senza difetti non c’è nessuno a questo mondo: compatitevi, amatevi, sopportatevi, così osserverete la legge di Cristo, sarete care a Dio, virtuose, perfette, per quanto è possibile esserlo a questo mondo (Par. I,78).
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Non siate scontrose, permalose! Non siate di quelle Suore che quando sono riprese od avvisate di qualche loro difetto, mettono su un muso lungo una spanna, e nessuno le può più avvicinare, né parlar loro... Sappiate compatirvi a vicenda: sopportatevi per amor di Dio e quando vi capita qualche umiliazione, qualche contrarietà, ringraziatene il Signore, che vi dà il mezzo di evitare il Purgatorio e guadagnarvi il Paradiso! (Par. I,81).
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Non ci turbiamo, non perdiamo la pace! C’è già tanta guerra nel mondo! E poi una gran dolcezza, una gran carità e compatimento per il prossimo. Sì, dovete compatirvi tanto, tanto, tanto, ma tanto, tanto. Sì, dovete compatirvi molto, molto, molto. Le parole dell’apostolo: «Portate il peso gli uni degli altri», vogliono dire appunto compatimento, anzi più che compatimento. E di nuovo ripeto: dolcezza, pace, tranquillità (Par. I,149).
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Quando in una comunità c’è l’amore vicendevole, quando una gode del bene dell’altra come di bene proprio, allora la casa diventa un paradiso. Anche nella più grande povertà, anche vestendo abiti alla buona, in una povera casetta, ma unite nella carità, quando ci si compatisce e si gode del bene delle altre, si è felici, veramente felici. Invece c’è l’inferno nelle case religiose, dove non c’è l’unione, la carità (Par. I,203).
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Dovete volervi bene, dovete volervi bene nel Signore. Nel Signore, non in altro modo, poiché allora nascono le differenze in altro modo e le differenze fanno sempre male! Carità fraterna e compatimento, carità fraterna e compatimento, carità fraterna e compatimento! Compatite le Superiori! Di più; se amate la carità, cercate di essere mansuete con ogni genere di persone. Siate mansuete, siate mansuete, usate dolcezza! Nostro Signore ha detto: «Discite a me quia mitis sum et humilis corde!». Parlate con dolcezza, specialmente con quelle persone che per il passato vi avessero offeso o che vi guardano di mal occhio. Tolleratevi, sopportatevi una con l’altra; frenate l’ira che è una cattiva consigliera; guardatevi dall’adoperare modi alteri e aspri (Par. II,100).
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Cercate di fare che i vincoli della carità si tengano desti con il prestarvi aiuto l’una con l’altra: datevi alle altre, compatitevi nei difetti; vincolo di carità, è compatirvi nei difetti. Per carità, non siate mica di quelle che vanno a portare i difetti delle consorelle nelle Case, o peggio, vanno fuori in paese a chiacchierare. Queste seminatrici di zizzania, queste che interpretano male, tante volte, le azioni delle consorelle, che hanno l’occhio fosco e vedono nero, queste che non hanno semplicità di cuore, vedono nero negli altri. Compatitevi nei difetti, tante volte abbiamo la trave nei nostri occhi e vediamo la paglia negli occhi degli altri (Par. II,206–207).
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I nemici, i contrari alla Chiesa, sono ammirati quando vedono che i sacerdoti e i religiosi si amano, si compatiscono, e quando si amano di un amore puro, alto come si amano gli angeli in cielo. Dobbiamo amarci di un amore che non esclude gli altri. Lasciate la mormorazione! Via, via i sussurroni, i seminatori di zizzania. Non bisogna pretendere che i confratelli siano senza difetti; dobbiamo avere un manto di amore da saperli coprire. Se avete offeso il fratello, umiliatevi e quando vi domanda scusa, perdonategli; ma non fate mai il muso duro, non tenete il rancore. Così non fanno non solo le persone del mondo, ma neppure le persone un po’ educate. Dobbiamo imparare dai secolari a non tenere il rancore: non bisogna essere dei litiganti, sempre da trovare da litigare con tutti: alcuni per delle sciocchezze si accendono... «Discite a me, quia mitis sum et humilis corde!». Cerchiamo di spegnere l’ira e guardiamoci dal dire parole aspre, pungenti, perché alle volte dispiacciono più le parole pungenti che le bastonate (Par. VI,265).
Vedi anche: Carità, Pazienza.
Comunione dei Santi
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Che dogma consolante è mai, o figlio mio, la Comunione dei Santi! Hanno ragione di paventare la morte quelli che non hanno speranza, «qui spem non habent», dice San Paolo, ma chi crede e sente la Comunione dei Santi, ma quelli che nell’amore di Dio vissero di fede e di speranza nella bontà del Signore, e che sanno che nulla si infrange di ciò che è buono, la morte, o figlio mio, non è che un istante di merito, un sospiro prezioso verso il Padre celeste, che ci aspetta, verso la Madre di Gesù e nostra, verso gli angeli e i beati, verso quei nostri cari, che da questa misera vita già passarono a vita beata: è un sospiro per essi la morte, dopo il quale la salvezza è assicurata e comincia il gaudio pieno della Comunione dei Santi (Scr. 31,218).
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Consoliamoci dunque gli uni e gli altri nella preghiera dei morti in Cristo e dei nostri cari morti, poiché a noi è dato vivere in quella Luce e di quella Luce, che è simbolo della verità e della fede e della santità, e viviamo alla presenza di Dio, ché presto anche per noi verrà il giorno del Signore, e la pienezza del gaudio nella Comunione dei Santi. Indossiamo, come dice San Paolo ai Tessalonicesi «la corazza della fede e dell’amore e prendiamo per elmo la speranza della salvezza». E aggiunge: «Dio non ci ha destinati all’ira, ma ad ottener la salvezza mediante il Signor Nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi affinché, sia che siam desti (sia che viviamo) e sia che dormiamo (sia che moriamo), viviamo insieme con Lui». E lo stesso concetto è ripetuto dall’Apostolo ai Romani, ai Corinti e ai Galati, che cioè Gesù Cristo è morto per noi, affinché noi viviamo, per mezzo di Lui e per Lui, nella Comunione dei Santi (Scr. 31,219).
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Nella memoria pia dei nostri, che già sono passati, e nella aspettativa – breve aspettativa – della nostra piena Comunione dei Santi, consoliamoci gli uni gli altri ed edifichiamoci in Cristo a vicenda, per vivere anche noi unificati in Lui e da Lui (Scr. 31,220).
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Se questa festa di cuori e di anime tutte unite nella carità di Gesù Cristo è sì dolce, che sarà il Vostro premio nella più perfetta Comunione dei Santi in Paradiso? Ah Paradiso! Paradiso! «Merces nostra in coelis est!». La nostra paga, la nostra mercede sarà il Paradiso (Scr. 56,65).
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Molte membra e un corpo solo in Cristo. San Paolo: Corpo mistico di cui Cristo è il Capo, i fedeli le membra. Le membra unite al Capo attingono da Lui la vita e per Cristo stanno strette fra di loro in una mutua cooperazione di lavoro e di spirituali vantaggi. Questa cooperazione si dice appunto: la Comunione dei Santi. Dei Santi perché avviene tra le anime che realmente appartengono alla Chiesa. Ne sono esclusi nell’altra vita, i dannati in questa: gli infedeli, gli eretici, gli apostati, gli scismatici, gli scomunicati (Scr. 56,120).
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Ad ogni modo è bene che tutta la Comunità riunita nella vostra cappella, nella vostra umile chiesetta, faccia unanime protesta di fede in Dio, Padre Onnipotente, in Gesù Cristo Suo Figliolo e nello Spirito Santo, nella Santa Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne, cioè dell’umanità e nella vita eterna. Farete poi proposta di fedele obbedienza alla santa legge di Dio e alla Chiesa e, come Religiose, alle vostre sante regole (Par. II,189).
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Quanto noi dobbiamo non solo con i nostri voti ma con la preghiera più fervida (anticipare) la letizia di quell’ora tanto desiderata in cui si gusteranno tutte le bellezze dell’unità di fede; bellezza e gioia così grande che solo può essere paragonata alla letizia della comunione dei Santi, cioè a quell’unione che lega in un solo amore tutti gli eletti del cielo (Par. III,173).
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Se la gioia che proviamo qui è dolce, nell’unione e nella concordia, che cosa sarà mai quello che la Chiesa chiama Comunione dei Santi? Eppure domani la vita è finita per me e per voi... Dobbiamo confortarci, lottare la battaglia di questa giornata, per trovarci con quei fratelli che già ci hanno preceduto, nella visione del Signore (Par. IV,274).
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«Ecce quam bonum et quam iucundum abitare fratres in unum». O quanto buona e gioconda cosa è, o cari miei Chierici, il sentirci uniti “in unum”, in Domino. Trovarsi e sentirci una cosa sola, unificati e vivificati da Dio! E noi, quanto gaudio sentivamo in questi giorni per il Santo Giubileo! Se così grande è il conforto spirituale qui in terra, che cosa sarà mai in Paradiso! Che cosa sarà mai la comunione dei Santi. Oh, come dobbiamo, io e voi, affrettarci e seguire i passi del Signore, confortati e sorretti dalla grazia di Dio, anche «per ignem et aquam», se piacesse a Dio di chiamarci al dolore (Par. VI,89).
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Bella cosa trovarsi insieme, in questa Casa, sentire quanto soave sia l’amore tra i fratelli. Noi sentiamo un po’ di quella dolcezza che sarà piena in Cielo, un po’ di quel gaudio che sarà la Comunione dei Santi. Se è tanto bello stare insieme sulla terra, nella bellezza e soavità della vita spirituale e religiosa, quanto sarà più bello e più dolce, il gaudio del Paradiso, quando, per la bontà e misericordia di Dio, e per la celeste e materna protezione della Vergine Santissima, ci riuniremo in Paradiso! (Scr. 6,189).
Vedi anche: Chiesa, Defunti, Paradiso.
Comunità
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Don Contardi rientri nelle tende della Congregazione, e si metta con spirito di umiltà alla piena obbedienza e vita religiosa. In coscienza non posso più tollerare che un Religioso stia fuori di Comunità. Non posso ammettere scuse né protezionismi: tutti siate interessati a fare vita religiosa (Scr. 1,96).
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Anch’io sono del parere e vivamente desidero che in ogni Casa non si viva isolati, ma si formi Comunità, e voglio si faccia vita religiosa. Ogni Casa deve essere un ambiente religioso (Scr. 1,103).
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È vero, caro Don Adaglio, la vita di Comunità ha le sue spine, non per nulla San Giovanni Berchmans disse: «Mea maxima poenitentia vita communis», ed erano i Gesuiti, e dei primi tempi! Anche noi, anche noi come San Giovanni Berchmans, come tutti i Servi di Gesù Cristo. Non lasciamoci sorprendere da nubi, piccole o grandi, che attraversassero il nostro animo: alziamo il nostro sguardo al Signore, mio carissimo Don Adaglio: teniamo sempre lo sguardo ed il cuore nel Santissimo Crocifisso. Lui ci dice tutto, Lui ci insegna tutto, con Lui si vive e si tollera tutto, e si perdona e si ama e si è lieti di patire e di morire (Scr. 5,525).
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Vedete che in Casa siete tutti buoni Sacerdoti, ma bisognerà che ci sia più pazienza tra di voi, più carità reciproca, più tolleranza, e più vera vita da Comunità religiosa. Perdonami se ti dico così, ma vedi che per la pulizia in casa e per il buono spirito di unione la casa sia più a posto (Scr. 7,248).
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Qui ora, e dal giorno che sono giunto, si fa la vera vita di comunità: orazioni e meditazioni insieme la mattina: Ufficio insieme, Visita, lettura a tavola, tutto insomma, e tutti sono contenti, benché non tutti abbiano spirito di Missionari (Scr. 14,106).
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Amerei che tu e il don Giovanni, quando potete, l’Ufficio lo diceste insieme, e così vedi se può venire a fare la meditazione e il rosario e le pratiche devote insieme con voi come si usa in tutte le buone comunità religiose (Scr. 28,161).
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Amatevi da buoni fratelli, facendovi l’uno servo dell’altro per l’amore di Gesù Cristo benedetto; onde di ciascuno di voi possa dirsi: hic est fratrum amator! E insieme siate assidui alle pratiche della vita comune, e puntuali all’orario, come già si fa qui, col divino aiuto. E confortatevi, e sopportatevi a vicenda l’uno i difetti dell’altro, da buoni e da santi fratelli: sempre umili, sempre sinceri, sempre aperti l’un l’altro, sempre allegri di spirito, di cuore, e sereni di anima e di volto, e avanti in Domino in perfetta letizia, lodando e servendo a Dio, alla Chiesa, alle anime, agli orfani (Scr. 29,48).
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Ho sempre sentito dire che quando un religioso diventa parroco, per forza di impegni esterni o per affievolimento di spirito di vocazione, diventa poi un essere a sé, e si fa indipendente dai Superiori, e trascura la vita e la osservanza religiosa: non più povertà, non più obbedienza, non più vita di comunità. Anzi nessuno più li comanda, diventano individui inamovibili, e ossa slogate quasi fuori del corpo morale della Congregazione (Scr. 32,109).
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Oh, la dolcissima carità che deve stringere insieme i Religiosi d’una stessa Congregazione e d’una stessa Casa! «Quando in una comunità, (dice il Ven.le Don Bosco nelle sue Costituzioni), regna questo amore fraterno, e tutti i soci si amano vicendevolmente, ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse un bene proprio, allora la Casa Religiosa diventa un Paradiso». E allora si prova la verità di quelle parole del salmo CXXXII, che recitiamo ogni giovedì a Vespro e che noi figli della Divina Provvidenza cantiamo ben tre volte ad ogni anno, prima di separarci agli spirituali esercizi: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Oh, quanto buona e dolce cosa ella è, che i fratelli siano sempre uniti! (Scr. 34,38).
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Fate voi di bandire ogni censura, ogni critica a questo e a quello, ogni mormorazione: bandite ogni discorso di cose profane, di cose leggere, di cose mondane, di cose secolaresche: tutte assai dannose nelle Comunità Religiose, e in opposizione allo spirito dei Figli della Divina Provvidenza. Che la carità fraterna vi leghi in modo nello spirito verace di Gesù Cristo che la vostra convivenza sia reciprocamente utile, lieta, serena, e di edificazione a vicenda. Amatevi ed edificatevi in Cristo a vicenda: amatevi come fratelli, come membri della stessa Congregazione, della stessa Famiglia Religiosa (Scr. 51,86).
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Ognuno pensi a sé, e cerchi di emendarsi. E a chi non piace la Congregazione e l’osservanza della vita comune, se ne vada con Dio. Io sto molto contento di quei fratelli che se ne sono usciti, perché le pecore infette infettano le altre. Non importa che restiamo pochi; Dio non vuole che siamo molti, ma che siamo buoni e santi (Scr. 52,20).
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Sono spiacente di non poterti ammettere per parte mia alla scuola e alla vita comune del Convitto, perché, se la vita comune è il legame che sostiene le istituzioni religiose, e le conserva nel fervore, l’ammettervi semplicemente chi non ha idea di fare tale vita, ma solo vi si uniforma per le sue personali necessità, non è buona cosa, né si può permettere, secondo le deliberazioni prese nelle adunanze di Sanremo, senza gravissima ragione che non riscontro nel caso tuo (Scr. 54,199).
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Sant’Agostino dice che la carità e unione fraterna fu la madre delle comunità religiose e noi poveri figli della Divina Provvidenza, ogni anno, finiti i santi Spirituali Esercizi e cantato il Te Deum, avanti di dividerci, ci abbracciamo cantando a coro il piccolo salmo: Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum! Ove appunto sono celebrati i precipui beni e vantaggi della soavissima carità e le soavi gioie della serena vita religiosa (Scr. 55,16).
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Casa religiosa non disciplinata: rovescio della medaglia, contrasto desolante! Regole e Costituzioni lettera morta, costumanze religiose dimenticate o trasformate! Orario stampato sulla carta, la vita comune diventa un peso insopportabile. Ciascuno fa da sé, niente obbedienza, e si ritorna al vomito, cioè a quelle cose mondane, secolaresche che, prima, con tanta generosità aveva abbandonate. Uscite senza permesso, non giustificate, visite inutili, pericolose, negligenza nei doveri, poca o nessuna preghiera, perdita della vocazione. Malcontento di sé e cattivo esempio agli altri. Fugge ciò che costa sacrificio: egestas et ignominia ei qui deserit disciplinam. E se è un Assistente, in insegnante, un educatore? «Religiosus extra disciplinam vivens, gravi patet ruinae», si avvia a grave rovina (Imit. Chr. I,25). Via la disciplina, via la pace, trionfa il vizio, si snerva la virtù (Scr. 55,263).
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Se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene e si vedrà che ciò proviene dalla mancanza d’obbedienza e soggezione della propria volontà, o perché essi fanno come Giuda, fanno borsa, e nascondono del denaro, contrariamente al giuramento e al voto di obbedienza e di povertà (Scr. 55,267).
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La povertà è il punto più importante e più delicato della vita religiosa: è la pietra di paragone per distinguere una Comunità fiorente da una rilassata: un religioso zelante da un religioso negligente (Scr. 61,143).
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Siate assidui alle pratiche della vita comune, e fate le vostre fatiche insieme portando l’uno i pesi dell’altro e sopportando ciascuno i difetti degli altri per l’amore di Gesù Cristo: sempre allegri in Domino di cuore, di spirito, di parole e serenità pure nel volto come negli atti vostri: lieti di servire Dio, sempre in perfetta letizia in Domino, nella preghiera, nel lavoro, nelle ricreazioni, nei pasti, sempre e tutto con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e servendo a Dio (Scr. 63,69).
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Se la lampada della vita religiosa sarà nei miei Confratelli bene alimentata interiormente, e se saranno una piccola, sì, ma una vera e bene ordinata Comunità, e un cuor solo e un’anima sola nella carità, e alimentati dal vero spirito di Gesù Cristo Signor Nostro, usciranno animati e guidati dal Signore e faranno del bene vero e duraturo, a conforto della Santa Chiesa (Scr. 68,39).
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Circa quanto sta succedendo a Rosario, non sarei sincero, se non vi dicessi quello che penso, che cioè la responsabilità della mancanza di spirito di povertà e di vita di comunità religiosa ritengo che ricada in gran parte sul modo troppo blando con cui fin qui si è governata la Congregazione in Argentina. La rilassatezza subentra quando viene meno la vigilanza e si lascia che tutti facciano a loro stancheranno e se ne andranno, e i cattivi o rilassati finiranno di rovinare la Congregazione: pensate meno alle monache e di più a curare l’osservanza religiosa e ad esigere assolutamente che ci sia spirito di indipendenza di umiltà, di sacrificio e di povertà (Scr. 68,158).
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Una società o comunità bella e forte, dove vive la dolce concordia dei cuori e la pace, non può non essere cara e desiderevole di edificazione a tutti, come, per contrario, sarebbe sempre di malo esempio, e fin dispregevole presso tutti, una associazione o comunità religiosa debole, disordinata e dilacerata da discordie intestine (Scr. 82,116).
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Quando in una Congregazione, in una Comunità regna questo amore fraterno, e tutti si amano vicendevolmente, ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse un bene proprio allora quella Casa religiosa diventa un Paradiso (Scr. 100,203).
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Nessuna mormorazione, nessuna critica! Guai a quella comunità in cui si trovano i seminatori o le seminatrici di zizzania. È per il bene vostro singolo e comune ch’io dico questo; perché una comunità, dove regna la pace e la dipendenza, è un paradiso; al contrario, è un inferno, dove regna la discordia e l’insubordinazione (Par. I,7).
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La carità illumini, rischiari, consumi la nostra vita. Oh, quanto vi raccomando la carità! Quando in una comunità c’è l’amore vicendevole, quando una gode del bene dell’altra come di bene proprio, allora la casa diventa un paradiso. Anche nella più grande povertà, anche vestendo abiti alla buona, in una povera casetta, ma unite nella carità, quando ci si compatisce e si gode del bene delle altre, si è felici, veramente felici. Invece c’è l’inferno nelle case religiose, dove non c’è l’unione, la carità. Sette od otto giorni fa, il superiore di una comunità religiosa venne dal Vescovo a pregarlo di mandarmi a predicare da loro. Il Vescovo sapeva delle mie occupazioni, e disse che non avrei potuto andare; ma questo sacerdote venne lo stesso da me e, mentre si passeggiava sotto il porticato della casa, mi raccontava i guai di quella comunità, che io, per altro, conoscevo, perché anche fuori se ne sente dire qualche cosa. Vi sono due partiti: una parte delle suore tiene per uno, l’altra parte per l’altro. I partiti sono male nelle nazioni, nei paesi, nei preti, ma sono peggio nei conventi, perché le monache sono ancora peggio degli uomini. Attente, metto il dito nella piaga. Guai ai monasteri dove ci sono partiti; meglio sprofondassero! Partiti no, no; abbiate tanta carità, abbiate più carità (Par. I,203–204).
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Un ordine religioso che diventa ricco, va a finire male. Quando non si sentono i disagi della comunità, allora si finisce male, perché tante volte si attacca il cuore a tante cosucce che impediscono all’anima di farsi santa... Dobbiamo ascoltare ciò che dice il Divin Maestro: «Chi non rinuncia a tutto quello che possiede, non mi segue» (Par. II,103).
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San Giovanni Berchmans sul suo letto di morte si fece dare il suo libro di regole e la sua corona e, stringendoseli al petto, sul suo cuore, moriva felice. Interrogato questo Santo qual fosse stata la sua più grande penitenza, rispose così: Poenitentia mea maxima, vita communis. La mia massima penitenza è stata la vita comune! Egli si è fatto Santo senza far cose straordinarie, osservando soltanto esattamente la Santa Regola della Compagnia di Gesù, perché egli era Gesuita (Par. I,142).
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La vostra croce è la vita comune. Mea maxima poenitentia vita communis. Ma cercate di vivificare la vita comune con lo spirito di fede. Se viviamo dello spirito di fede, anche certe piccole cose che sono inezie portano a Dio, portano ad affinarci nel servizio di Dio (Par. III,211).
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Desidero che tutti siano presenti alla vita della comunità per tutte le pratiche della vita comune e non se ne devono assentare senza il debito permesso. Certe cadute e certi dolori cagionati alla Congregazione da parte di alcuni, certi smarrimenti, certe disgrazie, certe tiepidezze e peggio, certe apostasie dalla vocazione non accadrebbero se si coltivasse la pietà e se si stesse alle pratiche della vita comune. Vae tibi si fons devotionis in te siccatum fuerit... E si inaridisce la fonte, quando non si fanno le pratiche regolari della comunità, perché non facendole con gli altri, non si fanno più da soli e allora vengono le cadute e altre cose più gravi per le conseguenze che ne derivano (Par. V,31).
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Desidero che tutti siano presenti alla vita della comunità per tutte le pratiche della vita comune e non se ne devono assentare senza il debito permesso. Certe cadute e certi dolori cagionati alla Congregazione da parte di alcuni, certi smarrimenti, certe disgrazie, certe tiepidezze e peggio, certe apostasie dalla vocazione non accadrebbero se si coltivasse la pietà e se si stesse alle pratiche della vita comune (Par. V,32).
Vedi anche: Correzione fraterna, Ecce quam bonun, Superiori, Vita religiosa.
Concordato (Stato–Chiesa)
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Qui in Italia, siamo alla vigilia della conciliazione dello Stato con la Chiesa: è già tutto fatto ed imbastito il Concordato; la notizia ufficiale sarà data al mondo cristiano a Pasqua o a Pentecoste. Speriamo che sia un bene duraturo per la Chiesa e per la nostra Patria (Scr. 32,75).
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Oggi è il nono Anniversario della Conciliazione tra la Santa Sede e lo Stato Italiano. Il funesto dissidio durava da quasi tre quarti di secolo. Il nostro Santo Padre Pio XI ha detto che la Conciliazione dava «Dio all’Italia e l’Italia a Dio». Certo il grande avvenimento ha voluto dare alla nostra Patria l’unità degli spiriti e delle coscienze. Che il sole della concordia risplenda ogni dì più su la nostra cara Italia! (Scr. 57,70).
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La conciliazione tra la Chiesa e lo Stato sarebbe stata elaborata, con la effettiva libertà della Santa Sede; e a tanto si sarebbe giunti per la sapienza ed amor patrio del Santo Padre, e per il coraggio di Sua Eccellenza Mussolini di affrontare e risolvere la formidabile questione. Deo gratias! Deo gratias! Questa sarà, certo, la maggior gioia della vita di Sua Santità e la pagina più bella che il Duce possa scrivere. Quanto ne avvantaggerà l’Italia nel mondo! Che ci dovesse essere qualche cosa di cambiato, già si poteva capire dell’avere il Nunzio Maglione accettato un pranzo dall’Ambasciata Italiana di Parigi. Che un’era di pace e di sempre più alta grandezza cristiana e civile si apra, e nella divina luce di Cristo e della Chiesa si aderga l’Italia, e prepari consolazioni grandi al cuore di Sua Santità, e tempi migliori all’Europa e al mondo (Scr. 70,42–43).
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Pare che la Chiesa si trovi in condizioni assai migliori dopo l’avvenuta conciliazione. Apparentemente, sì; ma all’erta, non fatevi delle illusioni, non lasciatevi abbagliare dalle apparenze. La vera necessità di stare con il Papa comincia proprio adesso. Si avvicinano tempi tristi per la Chiesa. E noi dobbiamo tenerci pronti a seguire il Papa anche qualora il Papa dovesse uscire dal Vaticano passando sopra i cadaveri (Par. III,205b).
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Io per il Papa sono pronto a dare il sangue cento milioni di volte! La Conciliazione si doveva fare, ma non in questo modo (Par. V,28).
Vedi anche: Chiesa, Questione romana.
Confidenza
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Io aspetto da voi altri tutto, se sarete umili, e avrete sempre coi vostri Superiori quella bella sincera e semplice confidenza e obbedienza che hanno i bambini con la loro mamma. E se questa semplicità e umile apertura di cuore la avrete ogni giorno e se la alimenterete con la preghiera umile e incessante, vi farete santi. E quanto grande deve essere, e cercherete sia la confidenza e umiltà vostra verso Gesù Signor Nostro e con i Superiori, altrettanto sia grande, o miei cari figliuoli, la diffidenza che ciascuno deve avere di sé stesso (Scr. 2,76).
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Raccomanda a tutti di avere una grande diffidenza di sé, e molta e una più grande confidenza nel Signore. Spes nostra in Deo est! Più umili, più pii, più della Divina Provvidenza, più figli della Madonna, meno schiavi della Madonna, ma più figli, più arditi contro il demonio e più ferventi nella vita religiosa, più operosi nella carità, non mai perderci di coraggio, e meno ancora perderci di fede nel Signore! (Scr. 2,214).
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Caro Pagella, io ti dico di rialzare l’animo tuo in Gesù Cristo, nostro Redentore e Padre e Padre e Padre delle nostre anime; noi abbiamo per Protettore e per Padre Dio e Gesù Cristo, nostro Signore e Dio, che, con l’aiuto della grazia, serviamo giorno e notte, ed Egli veglia sopra di noi, e vuole che abbiamo confidenza grande e veramente filiale in Lui, e grande coraggio e magnanimità nel servirlo e una fede ampia com’è ampia la Divina Provvidenza (Scr. 8,11).
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Son venuto e vengo a farle coraggio, ad avere pazienza e rassegnazione, vengo a dirle di avere una grande confidenza in Dio: non c’è nulla di più caro al Signore che la piena fiducia e confidenza nella Sua paterna bontà e misericordia. Abbandoniamoci tra le braccia e sul Cuore aperto di Gesù Cristo Crocifisso, Signore e Salvatore nostro. Bisogna avere una speranza, fiducia tanto grande quanto grande è il Crocifisso e il Cuore di Gesù (Scr. 9,107).
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Non agite di vostra testa, ma camminate con docile obbedienza, con lealtà e semplicità. Bisogna avere confidenza con i Superiori; proporre umilmente ogni cosa che ci par buona, ma essere anche disposti ad una negativa. Questo è eccellente esercizio di sottomissione e di obbedienza: esercizio, ed è quello che è più, di vero buono spirito religioso e di umiltà (Scr. 16,122).
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Confidenza in Dio! Confidenza in Dio! Confidenza in Dio! Nulla di più caro al Signore che la confidenza in Lui! La nostra debolezza non deve sgomentarci ma dobbiamo considerarla come il trofeo della gloria di Gesù Cristo (Scr. 21,26).
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Conciliati di più la carità e la confidenza del personale e dei ragazzi. Per ottenere ciò: 1) abbi cura dei malati; 2) ascolta pazientemente tutti, e pazientemente rispondi, giacché la calma e la pazienza sono le più grandi doti di un savio superiore. Sopporta con pazienza i difetti dei soggetti. Quanto più guadagnerai il loro amore, il loro cuore, la loro confidenza, tanto più presto e più soavemente verrà da sé la loro emendazione (Scr. 24,172).
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Confida nel Signore, la confidenza in Dio sorge nel seno della umiltà: confidiamo nel Signore e diffidiamo di noi. E coraggio! Confidenza e coraggio tanto grandi quanto grande è il crocifisso e il cuore di Dio. Se ci buttiamo in Dio, per quanto miseri siamo, è certo che Egli non ci lascerà in terra, ma ci raccoglierà nel suo seno (Scr. 24,250).
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Questa umiltà è sapienza veramente sublime, che ti formerà allo spirito di Gesù Cristo, e dal seno di questa umiltà sorge la confidenza in Dio, Padre nostro celeste, e da tale figliale confidenza ne viene un vigore infinito, onde le cose più spregevoli della terra diventano le più possenti, e gli umili vengono esaltati sopra degli orgogliosi e ad essi, e solo ad essi, come venne promesso, e così sarà dato il Regno dei Cieli (Scr. 26,167).
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Tu sai con quale schiettezza e dirittura io ho sempre trattato con te domando, nel nome di Dio, uguale confidenza e sincerità. Mi viene riferito da Gerace di certe lettere amorose fra te e signorine. Dimmi la verità, tutta la verità. Non avere timore di me, ma non mi ingannare, non nascondermi nulla. Io ti amo in X.sto tanto quanto la tua madre; ma tu parla a me con l’umiltà e confidenza come al tuo confessore, e di più, perché io sento di essere per te ancora qualche cosa di più. Sono qui per aiutarti, non per avvilirti e abbandonarti (Scr. 26,240).
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«La confidenza verso i propri Superiori è una delle cose che maggiormente giovano al buon andamento di una Congregazione, ed alla pace e felicità dei singoli religiosi». Così scriveva il Ven.le Don Bosco ai suoi. E San Francesco di Sales dice: «Ogni mese ognuno aprirà il suo cuore sommariamente e brevemente al Superiore, e con ogni sincerità e fedele confidenza gli aprirà tutti i segreti, con la medesima sincerità e candore con cui un figliuolo mostrerebbe a sua madre le graffiature, i livori e le punture che le vespe gli avessero fatto. Ed in questo modo, ciascuno darà conto, non tanto dell’acquisto e progresso suo, quanto delle perdite e mancamenti negli esercizi dell’orazione, della virtù e della vita spirituale; manifestando parimenti le tentazioni e pene interiori, non solo per consolarsi; ma anche, e più, per umiliarsi. Felici saranno quelli che praticheranno ingenuamente e devotamente questo articolo, il quale in sé ha una parte della sacra infanzia spirituale tanto raccomandata da nostro Signore, dalla quale proviene ed è conservata la vera tranquillità dello spirito». E il rendiconto si farà ogni mese; e chi poi è Superiore di qualche casa, insieme con il suo rendiconto personale, farà anche il rendiconto morale e materiale della casa che dirige, e del personale nostro addetto (Scr. 29,298).
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All’animo amareggiato del suddito, e forse chiuso e diffidente verso di noi, diamo modo di aprirsi con libertà e confidenza, affinché possa sentirsi più disposto a ricevere docilmente e con piacere ciò che gli verrà imposto (Scr. 32,90).
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La confidenza in Dio è il balsamo di tutti i mali. Le tribolazioni prendiamole tutte dalle mani di Dio: non scoraggiamoci, e molto meno avviliamoci o cadiamo in alcuna languidezza. Dio è con noi, specialmente nelle umiliazioni: patisce egli stesso con noi, caro don Pedrini; e le nostre lacrime la Madonna SS.ma le tiene serbate nel suo cuore. Fede, e nella santa fiducia in Dio, coraggio! (Scr. 33,29).
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Ora dirà alla buona Sig.ra Maria Vittoria che la nostra debolezza non deve abbatterci: è in Dio che dobbiamo confidare. La confidenza nel Signore è la fonte del nostro coraggio. Lo sapevo bene che lei è in alto mare; ma le onde non devono fare paura, basta che alzi un po’ gli occhi, e troverà la stella, che è la Madonna SS.ma, e avanti! (Scr. 39,33).
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Non c’è nulla di più caro al cuore di Gesù crocifisso che la confidenza in lui, che è morto per noi. Questa confidenza nel Signore, che essa deve avere o desiderare di avere (per Gesù vale lo stesso) è il miglior modo di amare, di servire e di onorare nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 41,34).
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Viviamo pieni di filiale confidenza nella bontà del Signore. Non c’è nulla, o distinta mia benefattrice, di più caro al Signore che l’umile fiducia e confidenza in lui. Questa confidenza è il miglior modo di onorare il Signore! Le nostre debolezze, le nostre stesse colpe, non ci devono avvilire mai. I difetti che riscontriamo anche in persone religiose o negli Istituti di carità, di educazione, non ci devono né sgomentare né, tampoco, meravigliare. Dobbiamo umiliarci a Dio per i nostri difetti, e avere un grande manto di carità per coprire i difetti altrui (Scr. 41,237).
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Per vincere queste battaglie è necessario essere generoso con Gesù Cristo, e darsi a lui interamente e, specialmente per chi comincia come ora voi, mettere ogni confidenza nel Superiore, e aprire a lui con umiltà come di un bambino e con santa semplicità la nostra anima. Fate questo, caro don Albino, con il vostro Superiore che avete costà e farete molti e buoni passi nella via di Dio (Scr. 42,81).
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Quando ti vengono dei momenti di sconforto e di tristezza (ed io so che il demonio ti tenterà anche da questa parte), e tu allora getta tutta la tua confidenza e il tuo cuore nelle mani di Maria SS.ma! Confidenza grande in Maria vergine, confidenza grande in Maria vergine! Essa può tutto con la sua autorità di madre, con il suo potere celeste sul cuore di Gesù, suo divin Figlio, e nostro Dio e Redentore (Scr. 44,27).
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D’ora innanzi voglio essere tutto del Signore: voglio vivere pieno di confidenza nel Signore: voglio consumarmi di amore per il Signore. Voglio buttarmi in Dio, per quanto misero sono; è certo che Gesù carità non mi lascerà in terra, quantunque io sia fango e miseria, ma mi raccoglierà nel suo seno. Ora mi pare di conoscere di più quanto è buono il Signore, non voglio lasciarmi perdere di coraggio e di confidenza, voglio vivere e morire a lui pienamente abbandonato (Scr. 45,323).
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Nulla nascondete; nulla tacete mai! Non agite di vostra testa, ma camminate in docile obbedienza con lealtà e semplicità. Bisogna avere confidenza con i Superiori; proporre umilmente ogni cosa che ci par buona, ma essere anche disposti ad una negativa (Scr. 52,98).
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Dobbiamo sempre essere come fanciulletti, ma non avere la leggerezza dei fanciulletti, averne il candore dell’anima, la semplicità, la confidenza, la fede, la generosità, l’umiltà. Se saremo sempre fanciulletti a questo modo entreremo, come dice il Signore nel Vangelo, nel regno dei cieli, che è il regno degli umili che non hanno volontà propria: ma la cui volontà è quella di Dio (Scr. 52,193).
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Io vi esorto paternamente di aprire il vostro cuore con confidenza al vostro Direttore: a non vedere sempre oscuro quella vigilanza che egli ha per voi, dovendo lui dare conto a Dio di voi, ad aiutarlo quanto più potete per il buon andamento dell’Istituto. A me del vostro «onore in Seminario» non me ne importa; ciò che mi preme è che siate religiosi umili e di spirito, e che facciate le cose per coscienza e per piacere a Dio, e non di spirito di stima verso gli uomini (Scr. 52,196).
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Abbiate buona intenzione di mutar vita, buona intenzione e confidenza in Maria e saremo salvi. San Bernardo ci esorta a raccomandarci in tutti i nostri bisogni a questa Guardia potente e amorosa con grande confidenza, poiché essa è tutta maternamente dolce e benigna con ognuno che a lei si raccomandi (Scr. 53,81).
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Onorando il Sacro Cuore, aumentiamo la confidenza in Dio, il quale ha impegnato la sua parola di aiutare quelli che in Lui confidano: «I cieli e la terra passeranno, le mie parole non passeranno». E stiamo sempre di buon animo, ricorrendo di frequente al Cuore di Gesù con umiltà, fervore, confidenza e perseveranza: Egli ci darà forza, lumi e aiuto e sarà il sovrano rimedio alla nostra debolezza e il conforto delle nostre tribolazioni. Nulla piace più al Signore, che noi facciamo il Suo Cuore depositario di tutte le nostre pene, e che mettiamo ogni nostra confidenza in Lui (Scr. 56,87).
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Oh, grande fiducia nel Signore, grande fede e fiducia, buona Figliuola del Sacro Cuore; lo dica sempre a tutti, che non si lascino indebolire mai, per nessuna cosa del mondo, nella fede e fiducia nel Signore. Non c’è nulla di più caro a Gesù che la fiducia, anzi la confidenza in Lui, come bambini con la mamma. Oh, sì, siamo sempre bambini con Gesù, questo piace tanto a Gesù (Scr. 66,102).
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Lo scoraggiamento ci fa sperimentare la nostra miseria, ci fa conoscere con il fatto che abbiamo bisogno di Dio: e sotto questo aspetto lo scoraggiamento ha una sua ragione di bene; ma non più in là che farci sentire che il solo fonte della forza è Dio. Fondiamo dunque tutta la nostra confidenza ed il nostro coraggio nel nostro caro Padre Celeste, nel nostro Dio grande e buono sempre buono e sempre Padre (Scr. 67,157).
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Chi confida in Dio non perirà in eterno. Noi vorremmo avere una fede, un coraggio, una confidenza tanto grande quanto grande è il cuore di Gesù che ne è il fondamento. Si regge in Domino; la nostra debolezza si regge in Domino, vive in Domino (Scr. 69,339).
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Hai qualche dispiacere? Perché non mi scrivi? Sta’ attento, figlio mio, che il demonio è assai scaltro e, una delle prime cose che fa, chiude il cuore alla confidenza nei Superiori. Prega, figlio mio, prega di più e sii umile (Scr. 74,124).
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Vi incarico di dir loro che ho gradito le loro lettere, piene di filiale confidenza, che mi mostrano che essi amano il piacere al Signore e di farsi santi. Io aspetto da voi altri tutto, se sarete umili e avrete sempre coi superiori la sincera e semplice confidenza e obbedienza che hanno i bambini con la loro mamma. E quanto grande deve essere la confidenza e umiltà vostra verso Gesù Signor Nostro e con i superiori, altrettanto grande sia in ciascuno la diffidenza di sé stesso. Diffidate sempre dei vostri giudizi. Egli è facilissimo, confidando nei propri ragionamenti declinare dalla via sicura e santa della umiltà, della semplicità e della obbedienza e della bella sincerità di figli (Scr. 83,222).
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Le contraddizioni e gli abbandoni degli uomini non devono servirci che a spingerci più in alto e a mettere unicamente nel Signore ogni nostra confidenza e speranza. Quando Dio non ci abbandona tutto il resto è niente, e Dio è Padre buono, e non solo non ci abbandona, ma non turba mai la gioia dei suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande (Scr. 89,19).
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Non vi avvilite, buona figliuola del Signore, dei vostri difetti e delle difficoltà che incontrerete; state umile e semplice ai piedi della Chiesa e pregate, e la vostra confidenza sia sempre nuova e grandissima nel Signore. Non vogliate fare troppo e troppo presto: Dio sa le ore ed i momenti, noi lavoriamo con fede ed umiltà nel Signore, attingendo a Lui, che ha detto: discite a me, quia mitis sum! (Scr. 95,31).
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Abbiate molta pazienza, molta; pochissima confidenza con le vecchie, e nessuna coi vecchi! Tenetevi ben unite alla vostra Superiora, non le nascondete nulla; ma abbiate con lei la massima confidenza; e se talvolta vi fosse qualche urto, qualche scontro fra voi, non andare a confidarvi con questa o con quella ricoverata, che a sua volta andrà a raccontare le vostre miserie in tutte le botteghe del paese, dove poi nascono pettegolezzi e chiacchiere (Par. I,93).
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Carità con tutti, confidenza con nessuno! Non entrate in intimità con nessuno! Guardatevi dagli uomini, anche se Sacerdoti, anche se qualche volta vi pare proprio che debba farvi del bene; state da voi, non ascoltate confidenze, non vi fidate, non vi fidate! Chi non si contenta di Gesù Ostia, non è degno della vostra confidenza. Non vi fidate; è il diavolo, che vestito da angelo tenta di farvi cadere (Par. I,219).
Vedi anche: Affabilità, Prudenza, Superiori.
Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza)
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Alla Congregazione dobbiamo dare una organizzazione più decisa, più ferma, più formativa, mio caro Don Zanocchi. Dobbiamo essere bollenti di fede e di carità e avere sete di martirio; e infondere questa sete e questo fuoco di ardentissimo amore di Dio e delle anime in tutti i membri della Congregazione. Apostolato e martirio: martirio e apostolato! Avere un gran cuore e una più grande carità, e vivere la divina follia delle anime (Scr. 1,272).
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Il vostro affetto sincero, tenero e da veri figli alla nostra amata Congregazione che è, dopo la Santa Chiesa di Roma, la vera nostra madre morale! Ecco il modo come solo potrete mostrarmi il vostro affetto e seguirmi per la via che la Divina Provvidenza ha aperto davanti ai nostri passi! Ho bisogno di santi figliuoli! E, a farci santi, ci aiuterà la Madonna, se La pregheremo e saremo umili! (Scr. 2,77).
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Alla Moffa ci sono già troppe comodità per grave storpiamento della nostra Congregazione, adesso tu e altri stimabilissimi Sacerdoti della Congregazione non ci badate, non lo credete, ma un giorno, io non sarò più, ma voi piangerete d’aver messe troppe comodità, e non sarete più a tempo, poveri miei figli! (Scr. 3,417).
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Ah! cari miei, che avete gli occhi, e non vedete: che credete di educare a Gesù Cristo, alla Chiesa, alla Congregazione senza una formazione che tocca l’anima, ma che sta alla superfice, senza vigoria santa e profondamente religiosa, ma sul serio religiosa, quale grave responsabilità vi prendete! Quale grave dolore date a me, vostro padre in Gesù Cristo, e quali disinganni preparate alla Congregazione, e quali deformazioni dal suo primitivo spirito di fondazione! Dio vi perdoni! Ma vi supplico in visceribus Christi e per quell’amore che io so che voi portate alla Congregazione di scuotervi dal vostro torpore, che mi fa ricordare il rilassamento e le fatali tolleranze del Sacerdote Eli (Scr. 3,506).
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Che la Madonna SS.ma vi conceda la grazia di darmi ascolto, o Cari miei, e di persuadervi ognora più che, se amiamo la nostra Congregazione e desideriamo che essa prosperi e compia la sua santa Missione, dobbiamo stringere di più sulla nostra formazione religiosa e sulla solida pietà e disciplina (Scr. 3,511).
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Carissimo in Gesù Cristo, Allo scopo di dare alla nostra Piccola e cara Congregazione una sistemazione sempre più conforme alle Norme piene di sapienza date dalla Santa Sede, ti prego di segnare una crocetta all’unito elenco a fianco dei cognomi e nomi di otto nostri fratelli sacerdoti e di un eremita, o avente i voti religiosi: nove in tutto. Vorrai prima raccomandarti molto umilmente a Nostro Signore e alla Santissima Nostra Madre Maria Vergine ed ai Santi Nostri Protettori; e reciterai d’inginocchio a terra il Veni Creator. Di questa votazione non ne parlerai né prima, né mai con alcuno, sia della Congregazione che estraneo; ma farai da te, scegliendo in coscienza quelli che davanti a Dio, riputerai più adatti al governo della congregazione. Tieni ben conto del loro spirito religioso e attaccamento al Papa, alla Santa Chiesa ed alla Congregazione stessa. Considera la loro pietà e spirito di fede, di abbandono nella Divina Provvidenza: la loro vita di umiltà, di sacrificio, di povertà, di desiderio di molto patire e di consumarsi per l’amore di Gesù Cristo, della Chiesa, delle anime. Avrai presente che suprema regola dei fratelli maggiori è quella di procurare la santità dei loro fratelli minori, e quindi scopo principale del loro magistero è la carità verso i soggetti e la loro santificazione. Devono essi essere tali che non solo preghino e lavorino dì e notte per il bene della Congregazione, ma che nell’esercitare la loro autorità siano più che padri e madri, cosicché la loro autorità non sia un peso, ma un conforto; un’autorità tutta spirituale e dolcissima. Vedi quindi di scegliere quelli di maggior spirito di discrezione e di carità. Tieni molto presente anche la loro dottrina, ma più ancora la loro prudenza. I prescelti siano tali che affidino di nulla fare senza moderazione e prudenza; e siano di prudenza non umana, ma prudenza di spirito, mossi cioè dallo spirito di Gesù Cristo Crocifisso: animati e condotti da quello spirito interiore che sempre riflette e considera bene le cose davanti a Dio. È inutile dirti che non si dà il voto a sé stesso. Mio caro fratello, pensa al grande atto che stai per compiere, e non lasciarti guidare da accettazione di persone, ma eleggi quelli ai quali solo daresti il tuo voto in punto di morte. Il voto è libero e sarà mantenuto segreto. Non devi scrivere nulla sulla scheda dei nomi, neanche il tuo nome. Solo metti una croce a lato del nome di quelli che tu vuoi eleggere. E dietro la scheda che mi rimanderai al più presto, senza alcuna aggiunta di altri scritti, metterai un tuo segno convenzionale, per cui tu solo potrai, in caso di contestazione, assicurare l’autenticità e che quella scheda è tua. Dio ti assista e ti illumini. Prega per me (Scr. 6,125–126).
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La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo. E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù: che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio, che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata, una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna (Scr. 6,150e).
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Ho grande bisogno di aiuto e di alcuni Sacerdoti di più, ma amerei vedere scomparire le Case della Divina Provvidenza e tutta la Congregazione piuttosto che permettere l’ordinazione di un qualche chierico poco preparato e poco degno. Regolatevi in proposito (Scr. 14,30).
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Io sono assolutamente contrario ai collegi, e benedirò Dio il giorno che non avremo più né il Dante né il San Giorgio; ci sono già altri pei collegi, non deviamo il fine della Congregazione: oratori festivi, esternati, orfanati, scuole professionali; ma per esterni colonie agricole, ed evitare, più che si può, di avere interni: sempre opere per esterni: patronati, scuole per esterni, (via, via gli interni!) eccetto i probandati e noviziati: i collegi portano via molto personale, laicizzano il nostro personale e sono un grave pericolo e spesa (Scr. 18,101).
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La nostra Congregazione ha bisogno di essere non solo una forza religiosa: una forza di fede, una forza di carità, una forza di apostolato per le anime, ma anche una forza dottrinale, una forza di sana e purissima e forte dottrina filosofica e teologica. Essa, la Piccola Opera deve portare tra le mani e sul cuore i santi evangeli e San Tommaso, né la sana dottrina nuocerà alla fede, ma la sosterrà, non nuocerà alla carità, ma la alimenterà, renderà più efficace e fruttuoso l’apostolato per le anime. Ora tutti sanno, sapranno male, ma sanno, è di suprema necessità essere forti e ben corazzati a difesa della fede e della Chiesa. Non sarà l’ignoranza che ci farà santi, ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù dell’umiltà, e della carità, ma la scienza di Dio (Scr. 18,177).
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Se ci chiamano dare tutto l’aiuto possibile, se non ci chiamano, pensare quello che è la verità, che cioè siamo servi inutili, e vedere di stare umili e formar bene la Congregazione nella umiltà e spirito di pietà e di lavoro. Attendere più che a creare opere, a formare bene il personale e a non fare debiti, che, tra l’altro, impedirebbero l’approvazione della Congregazione. Non promovete al Suddiaconato se non siete ben sicuro sullo spirito di pietà e sull’attaccamento alla Congregazione (Scr. 19,51).
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Ordiniamo solo quelli che hanno dato un serio affidamento, non quelli che promettono che poi faranno bene, ma che fin qui non hanno in tutto né nell’annata accontentato. Fatelo per l’amore di Dio, della Chiesa e anche della nostra Congregazione. E così i golosi, i leggeri, i mormoratori, i negligenti nei doveri, sia di pietà che di disciplina e di studio, gli avidi dello sport e di letture non permesse, non si dovranno ordinare, né ora né mai, se prima non c’è un lungo periodo di emenda, che seriamente affidi la Congregazione (Scr. 19,298).
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Chi farà vivere e prosperare la Congregazione sarà la carità, questo amore grande e dolcissimo e fortissimo insieme di Dio, della Sua chiesa e delle anime. Dio sarà sopra di essa se in essa sarà lo spirito di Dio, che è la carità. La Congregazione e ciascuno di noi non deve vivere per sé; ma per la carità e per la chiesa di Roma che è il corpo mistico del Signore e la madre delle anime dei Santi. Non dobbiamo vivere ciascuno per noi, ma ciascuno per tutti i fratelli, nella carità del Signore. Ci siamo uniti in Cristo per vivere ciascuno per tutti e non ciascuno per sé (Scr. 20,79).
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La nostra nascente Congregazione ha bisogno di prendere ora la sua strada e di camminare sicura per essa, ed ha bisogno di norme chiare, pronte e generali per avere uniformità di indirizzo, di spirito, di disciplina unità e uniformità ineffabile che darà grandi risultati di bene e ci porterà alla perfezione. Uniformità e unità che edificherà con il suo splendore nella santa carità di Gesù Cristo, che ci fonderà sempre più in un solo corpo, pieno di vita spirituale, di fervore, di fortezza e di bellezza religiosa, e che farà di noi – quantunque venuti all’ombra della Divina Provvidenza, da punti lontani e diversi – farà di noi, dico, un solo corpo morale un solo cuore e un’anima sola: cor unum et anima una (Scr. 20,89).
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Se la Congregazione non cura con ogni impegno e carità i chierici e non innaffia con ogni sudore le pianticelle delle vocazioni, che la mano del Celeste agricoltore avrà seminato nel nostro campo, la Congregazione stessa sarà presto esposta a morire di anemia (Scr. 23,148).
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Le condizioni economiche della Congregazione sono non dico gravi ma disastrose; né io so più dove dare la testa; sono come chi è inchiodato su d’un binario, e si vede, a pochi passi, una locomotiva che gli sta sopra. Se non m’aiutate voi altri, chi mi aiuterà? Non Bra, non Cuneo, non Voghera, non Sette Sale, non Ameno, non San Remo (che già pensa a mantenere Santa Clotilde), non Alessandria (ci sono 300.000 lire di debiti), per cui ho dovuto pagare lire 40.000 prima e 67.700 lire un mese e mezzo fa. Non Fano, che ha un 100.000 lire di debiti e tutti sono orfani; non Borgonovo, dove quei 68 ragazzi abbandonati nulla pagano, vivono come zingari, andando a suonare in giro; li ho trovati tutti laceri, con un 80.000 lire di debiti e una casa che ha urgente bisogno d’essere riparata. Padova ha debiti sine fine; Venezia non mi può aiutare perché ha da pagare gli interessi di oltre 30.000 lire alle Banche. San Severino fu derubato di lire 32.000, prestate, a mia insaputa, ad un lestofante che non ha un soldo. Nulla da Messina, nulla da Reggio, qualche mille lire al mese, non di più, da don Zanocchi, nulla dal Brasile, nulla dall’Uruguay! E allora, come si fa? Come si può andare avanti? Chi mi aiuterà? Qui alle Sette Sale, nessuno paga, sono i nostri chierici: a Tortona nessuno paga, a Bra a Voghera nessuno paga. E mi pare che al Dante e al San Giorgio si vada alla grande, e non si faccia la economia necessaria, e si pensi solo alle necessità locali e poco a quelle della Congregazione; e, forse, non sempre sono tutte necessità. Io non so proprio più cosa fare (Scr. 26,206–207).
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Come avrete compreso, rifuggo dal dare alla Congregazione un orientamento letterario, peggio poi prevalentemente letterario. Nessuno più di me, e da più di 40 anni, ha voluto fare dei professori: voi non eravate ancor nati, e già ne tenevo a Torino circa 20 a fare il liceo e qualcuno l’università; poi ne portai un gruppo a Genova; e fu ciò che fece stupire anche P. Semeria, che pure non era, specie a quei tempi, di idee anguste, anzi... e particolarmente per gli studi di lettere e filosofia nelle scuole dello Stato. Sento che la Congregazione deve essere una forza di santità e di virtù religiose: una forza di apostolato di fede e di carità, e di carità anche intellettuale, dottrinale, ma capite che questo è altro, è ben altro che orientare i nostri chierici, cioè le speranze e l’avvenire della Congregazione, in senso letterario. Quindi andiamo adagio ad incanalare i chierici, e i migliori chierici, e chierici non ancora bene religiosamente formati, e per età ancora vacillanti, né ancora irrobustiti di sana dottrina, per un cammino che presenta troppi pericoli, e per studi che, più ci rifletto, e più temo che ci portino fuori della nostra strada e che ci devino dal fine proprio e precipuo della Congregazione. La Congregazione è di umili e per gli umili, per i piccoli e per il popolo: vuole evangelizzare i poveri, e non pensa ad aprire collegi, né a preparare personale per aprire collegi, né a gareggiare con i Gesuiti, con gli Scolopi, coi Barnabiti, coi Salesiani, ultima edizione non italiana, né coi Maristi, né coi Fratelli delle scuole cristiane, né con altre rispettabili comunità del genere: altra missione e altro vastissimo campo ci ha aperto davanti la Divina Provvidenza (Scr. 26,223).
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Noi siamo chiamati ad essere i Figli della Divina Provvidenza, la mano della Divina provvidenza, gli strumenti intelligenti della Divina Provvidenza per quelli, per tutti quelli che non essendo già provvisti della provvidenza umana, hanno bisogno, e più bisogno, della Provvidenza Divina. Anelo a dare ai nostri chierici una grande preparazione spirituale, una formazione veramente religiosa: una preparazione evangelica e dottrinale, e anche una preparazione scientifica seria, e che affatto non escluda la cultura letteraria e lo studio delle lingue antiche e moderne; ma devo volere e voglio che tutto sia ben ponderato, che non si espongano dei semi–fanciulli ad inaridirsi e ad invanire nella fatuità di certa letteratura, che non fa che esaltare la fantasia, che, se va alla mente, non fa bene al cuore, e forma dei leggeroni e non la personalità che deve avere il servo di Dio e del prossimo, il religioso vero, che prega, che è umile, che ama il sacrificio, la povertà, e tocca le anime e le porta a sentire Cristo e a seguire Cristo. Su cento sacerdoti letterati, o che si danno posa di essere tali, almeno 80 sono sacerdoti incompleti, quando non sono scadenti: l’aria letteraria, in Italia, per molto tempo è stata pei sacerdoti, aria malarica, e il periodo non è del tutto tramontato. Noi abbiamo bisogno di soggetti non malarici in Congregazione. Voi vi siete salvati, ma voi dovete essere i primi a riconoscere certi pericoli. Vi saluto, vi conforto, vi animo a preparare alla Chiesa, alla Congregazione, alla Italia nostra dei figli degni, figli educati alla vita e alla sapienza cristiana: molta umiltà, molta pietà; tutta la sana dottrina, tutto il Vangelo, tutta la carità di Gesù Cristo, tutta la scienza di Gesù Cristo: educate alla verità nella carità e a tutto che vivifica, che fa buoni. che edifica in Cristo, perché, fuori di Lui, non si edifica! (Scr. 26,224).
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Io non voglio delle statue in Congregazione, ma dei vivi e che camminino in avanti, guardando in alto, a Dio! Dal quale tutto dipende e ci viene ogni dono e aiuto. Vivere vuol dire espandersi: chi non guadagna, perde, chi non avanza, indietreggia. «Non progredi – ripeto – regredi est», dice l’Imitazione di Cristo. Gli ostacoli si superano con la fede, con il coraggio coll’entusiasmo, coll’apostolicità (Scr. 26,268).
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Grazie a Dio, la Congregazione detta la Piccola Opera della Divina Provvidenza va prendendo solida consistenza sulla umiltà, carità e spirito di orazione, ed è ciò che dà a sperare bene del suo avvenire, tutto fede ed abbandono alla Provvidenza del Signore e alla nostra celeste Madre e Fondatrice Maria SS.ma. E ciò che dà grande conforto e gioia è che siamo tutti cor unum et anima una! Un cuor solo e un’anima sola! (Scr. 31,260).
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Sì, la nostra Congregazione è per i poveri e, in particolare, per i più poveri e più abbandonati, la Piccola Opera della Divina Provvidenza est ad pauperculos et est pro pauperculis (Scr. 32,130).
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La mia piccola Congregazione è la Congregazione degli stracci: siamo stracci della Chiesa, e siamo per gli stracci (Scr. 48,119).
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In pochi anni la Congregazione, che tu hai visto nascere, non si conosce più, tanto il dito di Dio la va svolgendo. Il Signore ci conceda di umilmente servire i disegni della sua Divina Provvidenza, e di vivere e di morire da fedeli e umili figlioli della santa Chiesa di Roma e dei Vescovi, quos Spiritus Sanctus posuit regere Ecclesiam Dei. Questo nostro orientamento verso gli orfani si è venuto grandemente manifestando – con la benedizione del Santo Padre – nei disastri nazionali di terremoti e di guerre, e non è da oggi (Scr. 48,257).
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La Congregazione della Divina Provvidenza è canonicamente approvata a Tortona da 25 anni quest’anno; il decreto di approvazione fu steso dall’attuale Cardinale Perosi, e porta la data del 21 marzo, festa di San Benedetto. Dacché vostra Eminenza mi ha aperto, dirò così, la porta su questo argomento, permetta che umilmente la preghi di degnarsi approvarla questa piccola Opera della Divina Provvidenza anche per Venezia, dove è piaciuto alla carità di v. Eminenza di chiamarla. Sarà un atto del quale la santa Madonna le sarà tanto tenuta, perché di mio in questa Piccola Opera non c’è che le storpiature tutto il resto è la mano del Signore, e la vera Fondatrice è la SS.ma Vergine, madre di Dio e madre nostra. Ho vergogna a dirlo, ma mi pare proprio così, diversamente chissà dove saremmo andati a finire! La SS.ma Vergine più d’una volta, se non è superbia, oserei dire che visibilmente si è manifestata: essa, e essa sola è la vera e unica madre e Fondatrice di questa Piccola Opera, che è sua e del suo Divin Figliuolo Gesù Cristo crocifisso e della santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi. È tutta roba della Chiesa (Scr. 49,123–124).
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Amate, o miei cari, la Congregazione alla quale vi siete dati, e amatela non come servi, ma come figli amatissimi. Dopo Dio e la Chiesa, niente amate di più che la vostra Congregazione: amatela come la tenera Madre morale delle vostre anime e di tutta la vostra vita spirituale e religiosa. Niente desiderate di più che di vederla prosperare e camminare, animata dalla carità, da cui tutte le virtù hanno vita, camminare dico arditamente per la diritta via della perfezione, e dilatarsi su tutta quanta la faccia della terra, alla maggior gloria di Dio, a consolazione del Papa e dei Vescovi, a santificazione nostra e di molte e molte anime (Scr. 51,109).
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Del Titolo e del Fine della Congregazione. I – Il titolo della Congregazione è: Piccola Opera della Divina Provvidenza; ossia: Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. La Congregazione è posta sotto la protezione speciale di Maria SS.ma, Immacolata e misericordiosissima madre di Dio e nostra, di San Giuseppe e dei beati Apostoli Pietro e Paolo. II – Il fine primario e generale di questa umile Congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, e di queste Costituzioni. Fatti almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, si può essere ammessi ad un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al romano Pontefice: di offrire la vita per le missioni tra gli infedeli e per il ritorno dei protestanti e delle chiese separate alla unità della madre chiesa. III – Il fine particolare e speciale è di propagare la dottrina e l’amore di Gesù Cristo, e della Chiesa specialmente nel popolo: trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla sede apostolica, nella quale, secondo le parole del Crisologo «il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda». E ciò mediante opere di misericordia spirituali e corporali e le seguenti Istituzioni, destinate vuoi alla educazione e formazione cattolica della gioventù più umile o derelitta, vuoi a condurre le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, per le vie della carità: Oratori festivi e patronati. Doposcuola. Esternati. Pie Associazioni. Centri e Circoli di azione cattolica, per fanciulli, aspiranti giovani, studenti e operai. Istituzioni per uomini cattolici e Patronati operai. Scuola di religione. Scuole e Collegi, sempre per fanciulli poveri. Scuole agricole professionali. Opere di prevenzione per i minori abbandonati. Riformatori. Istituti pei figli dei carcerati. Case di redenzione sociale. Segretariati. Patronati per carceri e ospedali. Ricoveri per orfani e deficienti. Case di Divina Provvidenza per minorati d’ogni genere e pei rifiuti della società. Lebbrosari e lazzaretti. Case di riposo per la vecchiaia. Cattedre ambulanti popolari di propaganda religiosa. Stampa. Scuole di propagandisti. Scuole per formazione pubblicisti cattolici. Catechismi. Predicazioni. Pellegrinaggi. Opere di prevenzione e contro la propaganda protestante. Scuole apostoliche. Istituti missionari. Seminari per provvedere vocazioni ai Vescovi e alle loro Diocesi. Convitti ecclesiastici. Ritiri sacerdotali. Case di santificazione del clero etc. E quelle Opere di fede e di carità che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla Santa Sede di indicarci, come più atte a rinnovare in Gesù Cristo la società. Solo verrà tollerata la accettazione di Istituti di istruzione media, là dove la gioventù, a causa di scuole laiche o protestanti, corresse grave pericolo per l’anima, e gli Eccell.mi Vescovi non potessero diversamente provvedere. IV – Questa umile Congregazione dunque, fondata sulla sola infinita bontà e aiuto della Divina Provvidenza è essenzialmente per i poveri e per il popolo, che vuol elevare alla luce e al conforto della fede nel Padre celeste ed avere fiducia nella Chiesa. Essa nei piccoli e nei poveri vede e serve Gesù Cristo. E benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana, abbandonata e di povera condizione, si consacra anche al bene dei più umili nostri fratelli in Cristo, di qualunque età e religione, e lavorerà al miglioramento morale e materiale della classe operaia, insidiata nella fede e ingannata da teorie comuniste (Scr. 52,264–265).
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Tutti dobbiamo volere che la Congregazione arda di vero spirito religioso e splenda per vita di vera santità: Chi non si sente deve ritirarsi! Noi vogliamo camminare con Gesù Cristo e dietro a Gesù, nella vita della perfezione del Vangelo: chi non si sente si ritiri! È venuta l’ora di decidersi: o dentro, e si vive e si sta come si deve stare, se no, meglio fuori! Pregheremo per chi se ne va, ma non si stia ad imbarazzarci il passo e a dare malo esempio ai giovani che la Divina Provvidenza ci ha mandato o ci manderà. Anche pochi, pochissimi, ma veri religiosi (Scr. 52,121).
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La nostra Congregazione non ha il prurito di crescere di membri e di fare mirabili rumori ma vuole mantenersi umile di spirito e ferma e forte ai piedi della Santa Sede, nella vita che Dio le ha dato, e in cui, attraverso mille ostacoli seppe, per divina grazia, mantenersi fin qui (Scr. 54,221).
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Questa nascente Congregazione è per servire umilmente a Dio nel suo Vicario e nei suoi Vescovi e nella sua Chiesa, e non vuole vivere che per la Chiesa, e a lei lietamente si immolerebbe il sì che le tornasse d’ingombro (Scr. 58,36).
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Chi osa scrivere a vostra Eccellenza è il povero Superiore – per quanto me ne senta indegno – d’una umile giovane Congregazione detta la Piccola Opera della Divina Provvidenza, il cui scopo «eo spectat ut, universis misericordiae operibus, populum christianum dulcissimo quodam et arctissimo totius mentis et cordis vinculo sedi apostolicae coniungat, in qua beatus Petrus, ajente Crisologo, “vivit et praesidet, praestat quaerentibus Fidei veritatem”». La Congregazione ha pure per iscopo precipuo di pregare e di lavorare a ricondurre alla Chiesa madre i fratelli separati. Essa tiene case e chiese a Roma (cinque), a Venezia (tre), Milano, Genova (cinque), Messina, Sanremo (due), Tortona (sei), Reggio Calabria (due), Alessandria, etc. e anche ha case pure all’Estero a Rodi (Egeo), in Polonia, in Brasile, nell’Uruguay, in Argentina e nel nord America. Specialmente ci occupiamo di educare nel santo timore di Dio, nella moralità e al lavoro i fanciulli orfani e poveri (Scr. 58,146).
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Lo spirito di questa minima Congregazione, che va con il nome di Opera della Divina Provvidenza, vuol essere spirito tranquillo, moderato, veniente dalla carità, nella verità del nostro nulla. E mentre sappiamo di essere nulla, aspettare, senza alcuna ansietà, se mai la Divina Provvidenza si degni adoperarci come strumenti a qualche sua opera e per questo la Congregazione si chiama l’Opera della Divina Provvidenza acciocché la gloria di Dio risplenda nella nostra infermità (Scr. 59,194).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza è una umile Congregazione religiosa di data recente, italiana di origine, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza. Nata, dunque, per i poveri, a raggiungere il suo scopo, essa pianta le sue tende nei centri operai, di preferenza nei rioni e sobborghi più poveri che sono ai margini delle grandi città industriali e vive, piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori. Confortata dalla benedizione della Chiesa, dal valido appoggio delle Autorità e da quanti sono spiriti aperti ai nuovi tempi e di cuor largo e generoso, al popolo essa va più che con la parola con l’esempio e l’olocausto d’una vita dì e notte immolata con Cristo all’amore e alla salvezza dei fratelli. Questa istituzione è di schietta marca cattolica e italiana, senza reticenze: anche all’Estero svolge opera di fervida italianità. Pur vivendo un’unica fede, pur avendo un’anima e un cuor solo e unità di governo, sviluppa, per altro, attività molteplici secondo le svariate necessità degli umili ai quali va incontro, adattandosi per la carità di Cristo alle diverse esigenze etniche delle nazioni tra cui la mano di Dio là va trapiantando. Essa non è, dunque, unilaterale, ma pur di arare Cristo e la sua civiltà negli strati più umili e più bisognosi della umanità, assume forme e metodi differenti, crea e alimenta diversità di istituzioni, valendosi nel suo apostolato di tutte le esperienze e dei suggerimenti che attinge dalle locali Autorità. Suo anelito è la diffusione tra il popolo dell’Evangelo e dell’amore al dolce Cristo in terra nonché d’uno spirito più vivo e più grande di fraterna carità, tra gli uomini, rivolto ad elevare religiosamente e socialmente le classi dei lavoratori, a salvare i diseredati da ideologie fatali, ad edificare ed unificare i popoli in Cristo. Suo campo è la carità, nulla esclude della verità e della giustizia, ma la verità e la giustizia fa nella carità (Scr. 61,217).
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La Piccola Opera vuole servire e serve con l’amore: essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le Opere della cristiana misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri: sua vita è amare, pregare, educare, patire, sacrificarsi con Cristo; suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. Ha per grido il «Charitas Christi urget nos» di San Paolo e a programma il dantesco: «La nostra carità non serra porte». Essa accoglie e abbraccia tutti che hanno un dolore, ma che non hanno chi dia loro un pane, un tetto, un conforto: si fa tutta a tutti per tutti trarre a Cristo. Ond’è che, sorta da un palpito vivificante di quell’amore che è sempre desto e sempre pronto a tutti i bisogni dei fratelli doloranti, questa piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere come una corrente di acque vive e benefiche che dirama i suoi canali ad irrigare e fecondare di Cristo gli strati più aridi e dimenticati. Essa è una pianta novella, sorta ai piedi della Chiesa e nel giardino d’Italia, non per opera d’uomo, ma di un soffio divino della bontà del Signore. E, di anno in anno, va sviluppandosi, alla luce e al calore di Dio, e a conforto di migliaia e migliaia di corpi e di spiriti, pianta unica, con diversi e sempre più numerosi rami, vivificati tutti dall’unica stessa linfa, tutti rivolti al cielo, fiorenti di amore a Dio e agli uomini. È questa forse la minima tra le Opere di fede e di carità sgorgata dal cuore di Gesù, ma non vuol essere seconda a nessuna nel consumarsi d’amore a servizio della Chiesa, della Patria e del povero popolo. Tutto ci dice che solo Dio è che l’ha suscitata e che la va estendendo, malgrado la nostra miserabilità, attraverso prove quanto mai dolorose e pur per ignem et acquam, forse per dare aiuto di fede a noi uomini di poca fede. In un’epoca di positivismo, di terrene cupidigie e di denaro, essa si propone, con il divino aiuto, di elevare i cuori e le menti a quel bene che non è terreno, e che solo può riempire e far pago di sé il cuore dell’uomo, modestamente cooperando, in umiltà grande e d’inginocchio ai piedi di Roma, con Roma e per Roma, a mantenere fedele o a ricondurre il popolo alla Chiesa e alla Patria, a salvare i piccoli, gli umili, i più insidiati o più sofferenti fratelli in Cristo (Scr. 61,218).
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Cari miei figli, voi sapete quale è lo spirito della Congregazione: stare con il Papa e portare tutto il mondo al Papa! Valerci delle scuole per dare Gesù Cristo e l’amore alla sua Chiesa e al nostro Papa alle anime della gioventù e in modo specialissimo occuparci della orfanità e dei derelitti. Caro Dondero, raccomando questo spirito di umiltà e fedeltà a tutta prova alla santa Chiesa, a te che sei dei figli più antichi della nostra cara Congregazione: e ti benedico di speciale benedizione perché tu hai sempre tenuto vivo in te e negli altri questo amore santo alla Chiesa di Gesù Cristo e al Santo Padre; io sento che me ne vado, ma specialmente quando non ci sarò più tiene vivo questo spirito nei tuoi fratelli fino al tuo ultimo respiro. Con l’aiuto del Signore e per la sua misericordia vi ho messi sulla buona strada, sulla via sicura, e la SS.ma Vergine ci ha condotti fin qui: continuiamo (Scr. 63,73).
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Questa umile Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza non è per i ricchi né per gli agiati: ma per gli orfani, per i derelitti, per i poveri, per quelli che sarebbero più esposti alla perdita della fede e al pervertimento e che a tempo finirebbero generalmente in galera o negli ospedali, vittime del delitto o del vizio. La nostra missione è per questi figli del popolo: mantenere in essi la fede cattolica ed educarli a diventare onesti padri di famiglia e buoni lavoratori all’onesto vivere cristiano e civile e impedire con il divino aiuto che la classe infima, umile, operaia, diserti la Chiesa che specialmente diventi nelle mani dei tristi elemento di anarchia e di empietà o il rifiuto della società (Scr. 64,105).
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Noi siamo la Congregazione degli stracci e gli straccioni, noi siamo della Divina Provvidenza. Ove finiscono i nostri stracci e la nostra miseria, là incomincia la ricchezza infinita della Provvidenza del nostro buon Padre celeste, del nostro Dio! (Scr. 69,320).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza dev’essere ora e sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della Santa Chiesa. Questa umile nostra Congregazione è per la Chiesa, e non la Chiesa per la Congregazione. In ginocchio, dunque, e sempre in ginocchio, nella più interna, umile e filiale servitù alla Chiesa, e anche all’elemento umano, agli uomini della Chiesa, a costo dei sacrifici più duri: i sacrifici più dolorosi devono essere i più desiderati, i più agognati, e diventare i più dolci, nell’amore di Gesù Cristo e della Santa Madre Chiesa (Scr. 69,410).
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Quando non ci sarò più, sarai di quelli che pregherai di più per me, e che terrai forte perché la nostra Congregazione mantenga lo spirito di fede, di umiltà, di carità, di sacrificio, di lavoro per le anime e per il Papa e per i Vescovi e una grande devozione a Gesù Crocifisso e alla Madonna. Tienila questa lettera che ti scrivo piangendo, ed abbila quale pegno del mio grande affetto in Gesù Cristo per te, e quasi come mio testamento spirituale e verso di te e verso la nostra Cara Congregazione (Scr. 77,29).
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Questa umile Congregazione è per i poveri, ed esclusivamente per i poveri. Essa vede e serve in essi a Gesù Cristo Signor Nostro: per la divina grazia, fa un totale olocausto nelle mani e ai piedi della Chiesa, con spirito di fede, di umiltà, di grande e dolcissima carità, preferendo tra i poveri i più lontani da Dio, i più bisognosi di cristiano conforto e di pane. Benché precipuamente intenda consacrarsi alla salvezza della gioventù orfana e derelitta, specie la più abbandonata, vuole, tuttavia, con il divino aiuto, vivere e sacrificarsi per tutti i poveri di ogni età, di ogni nazione e religione, senza eccezioni, sani o malati, e di qualunque malattia o dolore...è di tenere uniti i piccoli e gli umili lavoratori e operai e fortemente attaccati alla Chiesa Madre e al Papa, con il diffondere con con ogni sana forma di attività e propaganda secondo i bisogni, i luoghi e i tempi, la conoscenza e l’amore del Papa e della Santa Chiesa, sì da essere in realtà come i Gesuiti del popolo, e ciò farà mediante degli umili lavoratori e operai (Scr. 79,324).
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La nostra nascente Congregazione ha bisogno di prendere ora la sua strada e di camminare sicura per essa, ed ha bisogno di norme chiare, pronte, e generali, per avere uniformità d’indirizzo, di spirito, di disciplina, di unità e uniformità ineffabile che darà grandi risultati di bene e ci porterà alla perfezione. Uniformità e unità che edificherà con il suo splendore nella santa carità di Gesù Cristo, che ci fonderà sempre più in un solo corpo, pieno di vita spirituale, di fervore, di fortezza e di bellezza religiosa, e che farà di noi, quantunque venuti all’ombra della Divina Provvidenza da punti lontani e diversi, farà di noi, dico, un solo corpo morale, un solo cuore, e una anima sola: cor unum et anima una. Tale dev’essere l’esercito del Signore e così ci renderemo formidabili ai nemici di Lui, e formidabili nel difendere la Chiesa santa di Dio e nel lavoro sul campo di carità. Una Congregazione non può vivere se essa non vive di questo spirito del Signore, se non vive indivisibilmente unita, sentendosi forte e sempre animata dallo spirito onde è stata fondata e benedetta dalla Santa Sede (Scr. 82,61–62).
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Su, confratelli miei, ridestiamoci un poco, amiamola di più la nostra cara Congregazione, diamole un poco più di vita, un po’ più di spirito. Si rinverdisca questa opera così bella e così necessaria. Se pregheremo forse di più, faremo di più: se si è fatto poco, forse è perché siamo usciti a predicare che avevamo pregato poco. Preghiamo e non scoraggiamoci: Dio ci ammaestrerà. Preghiamo e faremo, meglio e di più. Preghiamo e confessiamo la nostra incapacità a produrre nelle anime alcun bene, e con la più grande confidenza innalziamoci fino a Dio, e mettiamo la nostra cara Congregazione nel Cuore trafitto di Gesù Cristo, perché, bagnata nel Suo Sangue, abbia da rinverdire e, pur non disprezzando i mezzi umani, da trovare la sua forza nella santità della vita, nella umiltà dell’orazione, poiché si salvano più anime con le ginocchia, pregando, che con la più sublime eloquenza umana (Scr. 89,156).
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La Congregazione della Divina Provvidenza è una povera cosa che non merita neanche il nome di Congregazione e siamo tutti poveri peccatori: noi non sappiamo fare niente di grande, cercheremo di pregare e di amare e far amare Nostro Signore Gesù Crocifisso (Scr. 94,216).
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L’amore alla nostra Congregazione ci deve spronare non solo a donarle tutte le nostre migliori energie, ma anche a sforzarci continuamente di accrescere il numero dei suoi membri, con un’intesa ricerca e coltura di vocazioni, per metterla in condizione di attuare meglio, e in una più vasta sfera, la gloria di Dio, la difesa della fede del popolo e la educazione della gioventù più povera ed abbandonata. Perciò dobbiamo lavorare alacremente e senza interruzione a fare, a fare seguaci a Gesù Cristo, alla Chiesa, alla Congregazione, onde perpetuare i nostri Istituti e moltiplicare il bene. Il gemito della Congregazione – da mihi liberos alioquin moriar – sarebbe il giorno della sua morte; di questi istituti non resterebbe che un freddo ricordo (Scr. 99,117–118).
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La Congregazione è la vostra famiglia a cui vi siete dati e consacrati: amatela, custoditene lo spirito di umiltà, di fede, di povertà, di ubbidienza e amore alla Chiesa e al Papa, e onoratela con la vostra condotta buona ed edificante e con il vostro spirito da veri Religiosi pii, seri, non mai leggeri (Scr. 99,197).
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Ogni vero Religioso deve amare teneramente la sua Congregazione e portarle il più rispettoso ossequio, ma la Congregazione si ama tanto quanto si amano, si vivono e si praticano con spirituale diligenza le sue Regole (Scr. 100,239).
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Benedirà il Signore e santificherà i nostri passi e i passi della Congregazione nostra, e la porterà con benedizione celeste a stendere le tende di Dio, e i confini stessi della terra diventeranno la nostra abitazione, se saremo umili e fedeli figliuoli della Chiesa di Roma e vivremo della carità senza limite di Gesù Cristo e solo cercando Gesù Cristo e il Suo regno, cioè le Anime e le Anime e le Anime! Chi farà vivere e prosperare la Congregazione sarà la carità, questo amore grande e dolcissimo e fortissimo insieme di Dio, della Sua Chiesa e delle Anime. Dio sarà sopra di essa, se in essa sarà lo spirito di Dio, che è la carità. La Congregazione, e ciascuno di noi, non deve vivere per sé, ma per la carità e per la Chiesa di Roma che è il corpo mistico del Signore e la Madre delle Anime e dei Santi. Non dobbiamo vivere ciascuno per noi, ma ciascuno per tutti i fratelli, nella carità del Signore. Ci siamo uniti in Cristo per vivere ciascuno per tutti e non ciascuno per sé. Noi non viviamo che per la carità e per la Chiesa: solo così si è veri figli della Divina Provvidenza (Scr. 115,277–278).
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Questa umile congregazione, totalmente affidata alla divina Provvidenza è per i poveri ed esclusivamente per i poveri e per il popolo. Per i ricchi avrà dilezione e preghiere. Nei poveri essa vede e vuol sacrarsi a servire Gesù Cristo, nostro Dio e redentore. Sorretta dalla divina Grazia, farà per essi un pieno olocausto di sé in spirito di fede, di umiltà, di grande carità, preferendo i più bisognosi di aiuti spirituali e di pane. Onde benché precipuamente essa intenda alla salvezza della gioventù orfana o derelitta più abbandonata, vuole tuttavia, con l’aiuto del Signore, sacrificarsi per i nostri fratelli i più poveri, senza eccezione alcuna, di età, di nazionalità, di religione, sani o malati di qualunque infelicità o dolore, prediligendo i più bisognosi di aiuto spirituale (Scr. 118,213).
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Dobbiamo far rivivere fra i membri della Congregazione la perfetta vita cristiana evangelica. In questa perfetta vita cristiana non solo vi deve essere tutta la libertà dei figli di Dio, ma ancora tutti i mezzi e i rami per manifestare e svolgere siffatta libertà nei diversi aspetti che essa deve assumere nella società umana. È un’organizzazione che mentre assicura l’attuazione del comune ideale evangelico e la stessa regola fondamentale permette ai vari gruppi, senza sconfinare dallo spirito e dai comuni confini di manifestare e sviluppare liberamente i propri concetti, ispirati tutti dallo stesso scopo e uniti in un’unica suprema fiducia e governati da un solo cuore, con unità di governo (Scr. 120,193–194).
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La Congregazione si ama davvero e si ama tanto, se si amano davvero e se ne praticano, con diligenza e buono spirito, le sue regole. Ogni regola è grande, ma la nostra piccola e nascente Istituzione – anche perché è ancora sul principio e nel periodo di fondazione, della sua formazione – esige un maggior fervore, e una osservanza vera non puramente materiale, ma di cuore: esige slancio spirituale e santo in tutte le regole, anche le più minute. Grande poi e, direi, singolarissima è la nostra responsabilità, o cari miei sacerdoti, poiché tutti quelli che verranno guarderanno a noi che siamo i primi vocati in ordine di tempo; essi si formeranno sul nostro esempio. O miei cari, rammentiamoci spesso del fine per cui siamo venuti in Congregazione. Perché abbiamo abbandonato il mondo? San Bernardo diceva di frequente a sé stesso: «Bernarde, ad quid venisti?». Siamo forse venuti per fare vita comoda? Per fare la nostra volontà e vivere a nostro genio? Forse per far vita libera, per avere attacchi alle creature? Per coltivare sentimentalismi e passioni morbose? O non siamo, invece, venuti per seguire più da vicino Gesù Cristo, lasciando il mondo con le sue lusinghe e vanità? Per vivere la vita dei consigli evangelici, in umiltà grande e obbedienza, in povertà, come povero è nato, vissuto e morto Cristo Signor Nostro? In illibatezza e santità di vita? Onde purezza è santità, e Gesù è l’Agnello di Dio, che si pasce di gigli. Non siamo venuti per seguire la voce della celeste vocazione e assicurarci cosi la nostra eterna salvezza? Non abbiamo forse voluto noi secondare l’invito di Gesù, che disse: «Chi vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, abbracci la sua croce ogni giorno e mi segua?». Sì, o fratelli, ricordiamolo bene e ricordiamocelo sempre: noi ci siamo fatti religiosi per abbandonare il mondo; noi, con il voltare le spalle al mondo, abbiamo inteso e voluto vivere a Dio, diventare non uomini secolareschi, ma uomini di Dio, veri servi e seguaci di Gesù Cristo, imitatori di Cristo. Facendoci Figli umili della Divina Provvidenza, noi abbiamo inteso vivere una vita di fede e di carità e farci amatissimi del Papa e di quella Santa Chiesa Romana, che sola è Madre e Maestra di tutte le Chiese, che sola è guida verace, infallibile delle anime come dei popoli, così nel dogma come nella morale cristiana, unica depositaria delle Sacre Scritture, unica e sola interprete delle Sacre Scritture, unica depositaria della tradizione apostolica e divina (Lett. II, 262–264).
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Guai il giorno che venisse ad affievolirsi in noi quella generosità verso Dio, verso la Chiesa, verso la Congregazione, verso le anime, che è fervore di spirito e spirito di pietà, che è linfa spirituale e carità che deve vivificare tutta la nostra vita! La nostra Congregazione sarebbe vecchia prima del tempo, e noi degli invalidi, senza titoli, ed a mani vuote. Noi siamo servi inutili, ma siamo servi di Gesù Cristo, e la mercede non ci sarà data che in proporzione dello spirito di generosità e di letizia e di lavoro, almeno di desiderio, che avremo fatto nella vigna del Signore, nel luogo che ci verrà assegnato (Lett. II, 359–360).
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Amatela, cari miei figliuoli, la vostra povera Congregazione, amatela tanto! Perseverando in questo amore e attaccamento, cresceremo in virtù e perfezione e ci santificheremo, servendo Dio nel Papa, nella Chiesa, nella fanciullezza più bisognosa e nei poveri. La Chiesa, i fanciulli, i poveri furono e sono i grandi amori del Cuore di Gesù. Amatela la vostra Congregazione nel suo fine santo, nell’Apostolato di carità che vuole svolgere, a salvezza dei piccoli e dei poveri! Amatela, perché è tutto spirito d’amore, di obbedienza, di fedeltà al Papa e ai Vescovi! Amatela nella sua fede e abbandono alla Provvidenza del Signore; amatela nella sua povertà; amatela nella sua carità sviscerata verso le anime e verso i più derelitti; amatela, è vostra Madre! Datele delle grandi consolazioni; onoratela con la vostra vita di buoni e di santi religiosi, da veri e santi suoi figli! Formatevi bene nello spirito di pietà, e pregate, pregate molto, specialmente la Madonna Santissima (Lett. II, 387).
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La Congregazione ha un forte spirito di iniziativa e di attività, un campo vastissimo di apostolato nel quale non deve mai dire “basta”, ma “Anime! Anime!”. Questa è una prova di vitalità e di protezione del cielo: lo dico perché il cuore si apra a più liete speranze. Riceviamo l’elogio dei benevoli e le maligne insinuazioni degli invidiosi, arte satanica di avversari per ostacolare la nostra provvidenziale missione. Certo se ne parla e se ne esagera. Tuttavia, parlandovi con il cuore alla mano, vi confesso che non posso difendermi dal doloroso pensiero e dal timore che questa vantata attività dei Figli della Divina Provvidenza, questo zelo che fino ad ora fu inaccessibile ad ogni scoraggiamento, questo caldo entusiasmo fino a qui sostenuto da continui felici successi, abbia a venir meno ove non siano fecondati, purificati e santificati da una vera e soda pietà (Par. III,33a).
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Cari figlioli sacrificate tutto all’unione, alla pace delle Case. Una Congregazione, per quanto piccola, com’è la Piccola Opera della Divina Provvidenza, se non sta unita, non si combina niente. «Concordia res parvae crescunt, discordia maximae dilabuntur», dicevano i latini. Stiamo uniti, anche in pochi. Io vi addito gli esempi dei nostri Sacerdoti. Non sono tanti neppure come siete voialtri, qui; ma sono per tutti e tutti per uno. Così dovete essere e crescere voi. Come altre volte vi dissi, vi prometto tre cose: croce, pane e paradiso. Croce: patimenti, sacrifici, privazioni. Pane: gli uomini hanno la crisi, ma la Divina Provvidenza non l’ha ancora; Paradiso: il godimento di Dio! Fatevi animo, dunque, fatevi animo! (Par. V,23).
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La nostra Congregazione è povera ed ha molti debiti: un milione? Più! Più! Più! Due? Più! Più! Più! Tre? Più! Più! Vi ho detto questo perché sappiate anche voialtri qualche cosa della Congregazione e anche questo serva per tenervi bassi. Abbiate cura della roba, vi basti una veste, un paio di scarpe, due paia di calze e tenete da conto i libri, anche la carta straccia: non per avarizia, ma per spirito di povertà. Vi raccomando di pregare e di tenere da conto la roba. Quest’anno non si possono accettare tanti nuovi perché vedete che anche nel mondo c’è molta crisi e anche noi non riceviamo più le elemosine di una volta. Se io domani muoio, cerco di farvi ora molti debiti, per farvi onore; e se caso mai, venisse anche da soffrire, soffrite anche voi qualche cosa per la nostra Congregazione (Par. V,102).
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Questo trovarci qui con un numero di persone di rito diverso, ci dice quello che sarà un giorno la Congregazione, in cui vi saranno tutti i riti e tutte le razze. Il bello viene definito: Unitas in varietate. In una sola Congregazione vedrete copti, greci, armeni e si diranno le Messe in tutti i riti approvati dalla Chiesa e vi saranno tutte le razze. Noi questa sera abbiamo sentito cantare il Pater Noster in Armeno. Pensate! Quando, nella piccola Congregazione, vi saranno Confratelli di tutti i paesi, sentiremo cantare il Pater Noster in tutte le lingue del mondo! Questo è il voto che depongo ai piedi della Madonna, nella gioia di quest’ora. Dobbiamo pertanto vivere vita di santità (Par. V,128).
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Ricordiamoci che fino adesso io dubito che il Signore voglia la Congregazione, perché non abbiamo avuto ancora da patire quelle prove con cui il Signore è solito provare le opere sue. Siamo andati avanti troppo trionfalmente. Quindi tutti i giorni direte una Salve Regina perché il Signore si degni di mandarci qualche tribolazione. Più soffriamo e più ringraziamo il Signore che si degna di farci soffrire. Ci dia tanto amore da sostenere volentieri molte tribolazioni e ci dia anche tanta forza per poterle sopportare; dobbiamo dire al Signore che noi vogliamo lottare con lui (Par. VI,196).
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La Congregazione avrà uno sviluppo rapido; stiamo attaccati alla Congregazione e molti entreranno da noi. Chi vuol farsi davvero religioso non entra nelle Congregazioni rilassate, ma nelle Congregazioni osservanti delle regole e dei voti; è il buon esempio che attira a sé altri a seguirci. Ogni Congregazione ha il suo fine particolare, ad esempio: i Cappuccini professano l’alta povertà; i Trappisti il rigoroso e perpetuo silenzio; i Minimi l’osservanza del magro; i Gesuiti, i pretoriani, difendono il deposito della fede e della Chiesa con l’obbedienza; i Salesiani curano la classe mediana, noi ci preoccupiamo dei rifiuti della società. Ricordatevi! Il giorno in cui diverremo ricchi scriveremo: finis! (Par. VI,218).
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Se amate la Congregazione, se volete che questa piccola Congregazione, sorta nel nome della Divina Provvidenza, abbia da essere benedetta da Dio e sia composta di membri di buono spirito, ricordate del dovere che avete in via riservatissima – vi assicuro che sarà mantenuto il segreto – di dare il vostro giudizio. Se mai avete veduto che qualcuno per la sua condotta, per certi fatti che potrebbero essere a vostra conoscenza, se capiste che non potrebbe essere un buon religioso della Divina Provvidenza, dovete farvi coscienza di avvisare i Superiori. La Congregazione è la nostra famiglia, la Congregazione è la nostra Casa, la Congregazione è la nostra Madre. Non dobbiamo permettere che, nella nostra famiglia, nella nostra casa, entri qualche figlio indegno. Basta uno per gettare un’ombra su tutti, l’avvilimento su tutti (Par. VII,132).
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La Congregazione deve essere dinamica, e non occorre essere tanti. Non ho mai sognato una Congregazione numerosa! San Luigi pianse quando seppe che i Gesuiti erano diventati 22.000. Sembra una cosa strana che Sn Luigi piangesse perché la sua Congregazione diveniva numerosa; ma tanto sentiva le ragioni di quel pianto! Non occorre il numero! Non occorre! Non occorre! Durante la grande guerra, quando erano quasi tutti in guerra non abbiamo chiusa alcuna Casa. Nelle Diocesi non si facevano più gli Esercizi Spirituali, ma noi ogni anno ci radunavamo lo stesso per fare i nostri Esercizi. Ci siamo moltiplicati per sette e il Signore ci ha assistiti spiritualmente e ci ha assistiti materialmente. Pensate che quel terreno, su cui adesso sorge l’Istituto San Filippo e per cui ci hanno offerto 5 milioni, l’abbiamo comperato durante la guerra, per 600 o 700 mila lire. Eravamo proprio quattro noci in un sacco; dove si è troppi non si lavora! Dove si è in troppi si perde tempo, si critica, si mormora e si fa qualche cosa che non è secondo lo spirito religioso (Par. VIII,3–4).
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La nostra Congregazione non deve essere una Congregazione di fiacchi, peggio di effeminati, non una Congregazione slombata; ma una Congregazione virile, forte e tanto che, se domani dovesse scoppiare una persecuzione – badate bene, vi vado preparando a questo – se domani scoppiasse una persecuzione, e una cruenta persecuzione, la nostra Congregazione, come la legione tebea, tutta deve cadere e morire martire; e così si moltiplica il seme dei cristiani: «Sanguis martyrum semen est christianorum». La nostra Congregazione deve essere preparata ai più ardui cimenti; alla difesa della fede e alla difesa della Chiesa, del Papa e anche alla difesa dell’Italia; noi non dobbiamo mai disgiungere i sacri amori della fede e della patria. Ma non saremo preparati se non saremo formati, se non avremo in noi Gesù Cristo, se in noi non sarà un petto affocato di amor di Dio (Par. VIII,6–7).
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La Congregazione ha, direi, una caratteristica, di cui vi ho parlato altre volte: quella di abbassarsi, di servire, di rivolgersi al popolo. E questo, non solo per fare le opere della carità a conforto dei più miseri, non solamente per suscitare degli Istituti o delle Case, ove dare un pane o un letto agli abbandonati, ai senza nessuno; ma anche va al popolo in questo: di curare, fortificare la pietà, la religione nei più semplici del popolo, di quelli che non possono capire altre forme di pietà, di quelli che sanno appena leggere. Noi siamo per il popolo anche per questo; per raccogliere, dove ci sono, nei paesi abbandonati e nelle chiesette sperdute, le forme di devozione che il popolo semplice ama e che mantiene vive anche quando non ci sono i sacerdoti, e là, dove c’è solo qualche vecchietta, che accende il lumino o porta i fiori con i nipotini e i bambini (Par. VIII,244).
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Questo è lo spirito della Congregazione. Noi non vogliamo dei tirapiedi che si lasciano trascinare; ma dobbiamo essere pieni di volontà, di dignità, di dinamismo coraggioso. Vivere audacemente e occorrendo temerariamente per le anime, per la Chiesa, non per noi. Se era per fondare una Congregazione che non portasse una virtù viva e una nota e una nota viva e una nota – attenti bene – d’avanguardia su tutti i campi del bene – ve l’ho già detto tante volte – era perfettamente inutile fondarla. Noi dobbiamo essere una forza nelle mani della Chiesa, una forza di fede, di apostolato, una forza dottrinale, capaci di grandi sacrifici. Se non si ha questa forza, se non si è vivi, se non si può dare la vita agli altri, non si fa niente. Se si è conigli, se si è talpe, se si è buddisti, gente morta o moribonda, non si può fare del bene (Par. IX,401).
Vedi anche: Costituzioni (FDP e PSMC), Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Congregazione mariana
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Ho sempre ritenuto la Congregazione mariana come la più cara e consolante Associazione religiosa sorta tra i giovani del Convitto Paterno di Tortona. Negli aggregati ho sempre trovato grandi motivi di consolazione specialmente per il buon esempio da essi dato agli altri alunni del Convitto e ai giovani lavoratori. Sono quindi lietissimo di benedirvi con tutta l’anima mia in questo XV Anniversario dal giorno dacché il mio più caro fratello don Sterpi ha fondato la vostra pia Associazione in questo convitto. Domani, solennità dell’Immacolata, pregherò nella Santa Messa particolarmente per voi e non solo per quelli che oggi siete qui a stringervi attorno al vostro bianco vessillo, su cui sta raggiante di splendori e di ineffabile bontà la madre di Dio, ma intendo estendere la mia preghiera e benedizione a quanti hanno già fatto parte nei passati anni, della vostra Congregazione mariana e che oggi sparsi in città e villaggi vicini e lontani, mi risulta che ancora tengono alto e onorato il nome di congregati di Maria con una vita veramente degna di giovani profondamente e apertamente cristiani. Che la Vergine immacolata diffonda, prosperi, dilati e perpetui in questo e in tutti gli Istituti della Divina Provvidenza la Congregazione mariana (Scr. 59,269).
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Fiorisce tra gli alunni la Congregazione Mariana che, alimentando la pietà e la frequenza dei Sacramenti, pei quali vi è ogni comodità, ha dato buone vocazioni alla Chiesa e giovani e propagandisti fervidi di fede e di coraggio cristiano alle file delle Associazioni giovanili di Azione cattolica (Scr. 64,51).
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La congregazione Mariana dell’Istituto di Tortona ha promosso anche quest’anno solenni festeggiamenti in onore della Immacolata, Patrona e Madre dei Figli della Divina Provvidenza. La nostra Cappella venne parata come nelle grandi solennità dall’ormai celebre paratore e pirotecnico Paolino Lazzari da Santo Oreste al Soratte. E, ciò che è più, tutto gratis et amore (Scr. 79,155).
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Nel fausto Decennale della Congregazione Mariana “Mater Dei” del Collegio San Giorgio di Novi Ligure invoco umilmente dalla Immacolata su tutti e su ciascuno dei carissimi Giovani aggregati un’amplissima, materna benedizione. Ave Maria e avanti! (Scr. 92,268).
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La Madonna chiama la nostra Congregazione a essere una Congregazione Mariana, che vive di amore a Dio, alla Chiesa e ai poveri, ma attraverso l’amore e tutto con l’amore alla Madonna, che la porta avanti e la guida come vuole il Signore. Noi siamo mariani e papalini dalla testa ai piedi; vogliamo vivere e consumarci di amore e di zelo per amare e far amare la Madonna, il Papa, i poveri. Questo è il nostro distintivo (Par. III,141a).
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Ogni Casa deve avere le sue Congregazioni; e a queste Congregazioni si dia vita vera; specialmente poi alla Congregazione Mariana, a quella dei paggetti, al Piccolo Clero, al quale si insegnino bene le sacre cerimonie (Riun. 28 luglio 1922).
Vedi anche: Figlie della Madonna della Guardia, Madonna.
Congresso Eucaristico Internazionale
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E come ho veduto il sole inondare della sua luce l’universo e risplendere sui bianchi ghiacciai delle nostre Ande meravigliose, così sulla cavalleresca vostra Argentina, su questa nazione dal cuore grande, risplenda bello il sole della gloria nelle opere e nelle istituzioni, nei trionfi della carità di Cristo, la nazione dalla grande fede del più grandioso Congresso Eucaristico che abbia mai visto il mondo (Scr. 57,258).
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Quando io ripenso a voi, mi sento l’animo tutt’ora ripieno delle soavi emozioni provate in quella indimenticabile notte dell’11 ottobre 1934, della quale, fin che io viva, porterò scolpita la più grandiosa impressione. Voi avete trasformata quella notte del XXXII Congresso eucaristico internazionale, nella più serena oasi di pace, nel più grande convito di grazia nella dimostrazione più imponente di fede, di unione, di forza morale, di amore a Dio, alla Chiesa e alla vostra Patria, luminosamente cattolica (Scr. 61,225).
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Onnipotente e Misericordioso Gesù, Dio nostro e redentore del mondo: Re dei Re e Signore dei dominanti, Re d’amore, Re di pace, splenda ognora su questa nobile Terra Argentina la luce che esce, divina fiamma di inestinguibile carità, dal tuo cuore sacratissimo o Gesù. E questa fiorente Repubblica che nel recente Congresso eucaristico internazionale ha dato alla tua Chiesa e al mondo la celebrazione più grande della fede, dell’amore, dell’adorazione a te, o amatissimo mio Signore Gesù sacramentato, che la santa Chiesa e il mondo abbiano mai veduto dopo venti secoli di cristianesimo (Scr. 61,227).
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Anch’io non ho più dimenticata V. Eccellenza Rev.ma, e spero, prima di ritornare in Sud America, di rivederLa, e dirLe quanto è stato grande il frutto di quel meraviglioso Congresso Eucaristico, che continua a fiorire in opere di grande carità, perché il Signore è grande e misericordioso tanto! Col Divino aiuto, farò sempre quanto potrò per il suo figliuolo in X.sto, e ne spero bene (Scr. 67,257).
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Parto dall’Argentina dopo una dimora che doveva essere breve e che Dio Nostro Signore con segni tangibili della sua provvidenza ha voluto prolungare per tre anni a partire dal vostro miracoloso Congresso Eucaristico e in quest’ora propizia per l’effusione del cuore voglio approfittare della gentile offerta della Radio Ultra per parlare ancora una volta a tutti voi o amati argentini (Scr. 74,138).
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Per la mia nullità, mi sento tanto indegno e confuso di scrivere su questo Album, dove espressero i loro sentimenti sul Congresso Eucaristico Internazionale di Buenos Aires. Tuttavia per compiacere la Nobilissima e pia Sig.ra Casares, oso ripetere ciò che Sua Eccell. Rev.ma Mons. Cortesi, Nunzio Apostolico, ha detto, che cioè questo Congresso Eucaristico fu un vero Miracolo. Gesù ci ha fatto vedere e sentire un po’ di quello che sarà il Santo Paradiso. Si potrebbe quasi ripetere ciò che disse l’Apostolo San Paolo, dopo il suo rapimento in cielo: Né occhio mai vide né orecchio udì né lingua potrà mai dire la gloria di Gesù Sacramentato e il Suo trionfo pubblico e nei cuori che fu il Congresso Eucaristico Internazionale. La Repubblica Argentina diede al mondo un grande esempio di fede e di amore a Dio e alla Santa Chiesa, ed ha scritto una delle pagine più belle della Sua Storia gloriosa. Viva Gesù Eucaristico! (Scr. 88,97).
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A Voi, umilissimamente e d’in ginocchio, offro e consacro, per le mani della Purissima Madre di Dio, il Piccolo Cottolengo Argentino. Questa povera e ultima Opera della vostra Provvidenza, o mio Dio, è nata ai piedi di Gesù Ostia, nei giorni del memorando Congresso Eucaristico di Buenos Aires. Essa non è che un umile fiore di carità sbocciato al raggio di quella Fede grande, immortale, benefica, che ha commosso tutto il mondo cristiano e civile (Scr. 94,11).
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Questo insuperabile Congresso Eucaristico sento che mi ha dilatato il cuore. Io mi sento in Gesù assai più legato a Voi con vincoli spirituali fortissimi e, direi, indissolubili, io vorrei o cari poveri specialmente, che trovaste in questo povero sacerdote un qualche cosa del cuore del Signore e che ciascuno di voi Cari Benefattori e Benefattrici avesse un posto di predilezione (Scr. 100,217).
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Ho visto il Congresso Eucaristico internazionale di Buenos Aires, uno spettacolo ineffabile! Ho visto cos’è e com’è grande infinita la misericordia di Dio! Decine di migliaia di robusti lavoratori, di giovani ardenti di vita: ho visto ufficiali, medici, avvocati, professori, Deputati, Ministri confessarsi sulle piazze, lungo le vie e i corsi di questa capitale: più di duecentomila uomini prostrarsi compatti ai piedi di Cristo, adorare Cristo, ricevere Cristo davanti al palazzo del Governo, su la gran plaza Mayo, abbracciarsi, fraternizzare, piangere d’amore, spettacolo unico al mondo: che cosa si sentiva? Il Signore! Chi c’era? Era il Signore! (Scr. 100,247).
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Umilmente, ma ogni giorno sull’altare io prego per la nazione Argentina, che amo come mia seconda Patria: prego perché, come ha dato al mondo lo spettacolo d’un Congresso Eucaristico che mai il mondo vide, che mai forse vedrà l’uguale, così oggi, domani e sempre essa sia all’altezza della Sua Fede e sia la nazione del grande cuore: siate ognor più, o Argentini, un gran popolo, una nazione libera, nobile e grande, una grande forza nel cammino della civiltà (Scr. 100,249).
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Buon Natale, o cari Uomini Argentini della Azione Cattolica, buon Natale! Quando penso a voi, sento ancora l’anima mia ripiena delle soavi emozioni provate in quella indimenticabile notte dell’11 di ottobre del 1934, della quale finché vivrò, porterò scolpita nel cuore la più soave impressione. Avete trasformato quella notte del XXXII Congresso Eucaristico Internazionale nella più serena oasi di pace, nel più grande Banchetto di grazia, nella più imponente dimostrazione di fede, di unione, di forza morale, di amore a Dio, alla Chiesa e alla vostra Patria tradizionalmente ed esemplarmente Cattolica (Scr. 106,88).
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Il Piroscafo portava il Legato Papale. L’Emint.mo Card. Pacelli, poi, che il Santo Padre aveva invitato, oltre ad essere Uomo superiore, è un vero e grande servo di Dio, tutti qui lo hanno sentito, e se lo vanno ripetendo. Il Congresso Eucaristico fu un miracolo: oltre due milioni di fedeli partecipanti hanno sentito che qui con noi c’era il Papa, e che il trionfo di Nostro Signore era, insieme, trionfo del Papa e della Chiesa, e di tutto quello che di sociale, di grande, di immortale, di sovrumano, di divino la Chiesa e il Papa sono, rappresentano e proclamano. La grandiosa celebrazione pubblica di fede, di amore, di adorazione a Gesù Eucaristia dell’Argentina ha superato tutti i Congressi Internazionali Eucaristici che furono, e non so se e dove potrà mai essere superata; solo il Paradiso è di più: noi qui già abbiamo visto e pregustato il Paradiso! (Scr. 119,90).
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Ricordate gli effetti trionfali del Congresso Eucaristico Internazionale? Dobbiamo alimentare le processioni, la gioventù cattolica, le associazioni, i congressi mariani ed eucaristici, le adunanze e non essere conigli. Questo è il soffio che ha illuminato, irradiato, aperto gli occhi a tanti ciechi della nostra fede (Par. VI,230).
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Non potete immaginare il bene grande che fece nel Sud America l’attuale Segretario di Stato di Pio XI, il Cardinal Pacelli, con la sua dignità e scienza di vero uomo apostolico. Non ne avete un’idea! Fece più bene quell’uomo, quel Cardinale da solo, che tutto il Congresso Eucaristico! Io non parlo del bene che fece al mondo credente cattolico; parlo del bene fatto a quelli che mancavano della fede, l’averlo sentito parlare subito nella lingua di quelle genti e parlare bene, il francese ai francesi, in un bel francese; l’inglese agli inglesi, in un bell’inglese; il tedesco ai tedeschi, in un bel tedesco. Parlò poi a tutto il Clero raccolto da tutte le parti del mondo in un bel latino, e poi andò in Brasile e parlò ai Senatori e al Parlamento in un bel portoghese... Fu veramente un degno rappresentante del Sommo Pontefice! (Par. VII,92).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Adorazione Quotidiana Universale, Eucaristia.
Contabilità
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Io voglio la contabilità anche: perché non mi si manda? Fatemela spedire! Io ci tengo molto alla parte amministrazione, e il Visitatore e Roma subito vogliono esaminare la posizione morale ed economica (Scr. 1,207).
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Come Voi sapete, io non sono proprio contento di Victoria, poco soddisfatto di Rosario: ancora non so come si è amministrato a Mar del Plata; prego perciò P. Dutto di muoversi di più, di fare sopralluoghi, di farsi dare i registri e la contabilità, e di sistemare bene, in ogni Casa, questa benedetta situazione amministrativa. Il Visitatore Apostolico, che già è stato a Rodi nel Mare Egeo e in Polonia, è un Amministratore di prim’ordine, ed è di una precisione ed esigenza massima: Vi prego e Vi supplico nel Signore di non dormirci su, di darmi ascolto, e di mettervi a posto in tutto e per tutto (Scr. 1,222).
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Ora bisogna che P. Dutto giri tutte le Case e si faccia dare la contabilità e veda bene chiaro come stanno amministrativamente, e come si spende o si è speso il denaro: vedete che il Visitatore è fino e vuol vedere tutto, e vuol darsi conto di tutto ed è un vero amministratore (Scr. 1,233).
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Oggi arriva una lettera da Don Fiori con cui avvisa che avremo facilmente una ispezione in tutti i nostri Istituti da parte del Ministero, perché si sono trovate gravi irregolarità nella contabilità degli Orfani del Patronato R. Elena. E vengo a conoscere che ad es. l’orfano Domenico Del Rosso, il quale è uscito di minorità dai primi di gennaio del 1923 (da più di un anno) fu qui sempre messo in contabilità per L. 300 al mese. Si finisce che Don Orione fa proprio la figura d’un ladro volgare dello Stato (Scr. 15,52).
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Quello che ti raccomando è che tu, a costo di qualunque sacrificio, ci mandi la contabilità ora di tutto, e poi mensilmente. Vedi: mandando mensilmente non si dimentica nulla, e non sembra mai una grande somma; invece, ammucchiandosi i conti di 5 o 6 mesi, come ti capiterà ora, come farai a ricordare tutto? Molte spese sfuggono, e poi sembrerà che tu spenda anche di più e che non faccia economia (Scr. 23,126).
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Tutto ciò che si avanza di quanto si ricava dai prodotti o dalla parrocchia, non si devolva ad altro che a pagare i debiti. Tieni una regolare contabilità, e incaricane qualche chierico: ogni casa deve avere bene in ordine il suo Registro di contabilità: su questo punto io non ebbi soddisfazione nella visita di Mar de Espanha perché non mi furono dati i conti da tutti, come era loro dovere, venendo appositamente anche per questa partita il Superiore dall’Italia. Dei debiti fatti non ho avuto tutte le pezze giustificative. Caro don Mario, io ti prego di non offenderti, ma devo dirti in anticipo – e tu leggerai questa lettera mia a tutti, perché ciò che dico per te lo dico per tutti – che io non potrò giustificare nessuna spesa, fosse pure relativamente minima, se non vi attenete ai criteri che vi ho dati nella lettera scritta a don Dondero contro i debiti. Si stia all’obbedienza: non voglio che soffriate, ma tutto il risparmiabile, si risparmi, e si paghino i debiti (Scr. 29,202).
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Vedi di farmi trovare, per la mia prossima venuta, e per chi verrà, tutta la contabilità a posto; che si sappia: «c’è tanto a pagarsi», «c’è tanto a riscuotersi» (Scr. 36,61).
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Aspetto con spirito di viva attesa la contabilità: bisogna che quelli di Victoria mi capiscano una buona volta su questo punto, e che mi ascoltino da buoni religiosi, anche su questo punto della buona amministrazione e della più oculata economia: ti prego di insistere e di fiancheggiarli. Poco importa se le famiglie ritirano i ragazzi, basta non avere debiti (Scr. 70,104).
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Prego di tenere bene la contabilità, e di essere molto preciso, secondo i sistemi della nostra Congregazione: la contabilità vi prego di tenerla voi personalmente, per avviarla bene secondo i criteri e le regole nostre, almeno finché tutto sarà bene incamminato, e questo non per sfiducia al sig. Vittorio, del quale conosco bene le benemerenze ed ho tutta la stima, ma per regolarità nostra, e finché questi del Consiglio non conoscano come noi il sig. Vittorio (Scr. 74,206b).
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Forse Don Pensa già vi avrà detto che a giorni giungerà un Ragioniere per conoscere esattamente la situazione amministrativa di codesto caro Istituto. Bisogna che tutta la contabilità sia documentata, e si possa vedere chiaro dove e come si è speso il denaro per tutti. Preparate tutte le pezze giustificative o ricevute e vi prego di tenervi a disposizione di chi verrà con tale incarico (Scr. 91,55).
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Gli alunni saranno addestrati a una pratica ortifrutticola razionale e remunerativa. Il disegno e, in parte, anche la contabilità, si insegneranno nelle ore destinate ai lavori di campagna quando il maltempo li impedisca. La contabilità dovrà essere reale dell’azienda della Colonia (Scr. 110,211).
Vedi anche: Amministrazione, Debiti, Denaro, Economia, Rendiconto (amministrativo).
Contemplazione
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La Compagnia del Papa vivrà della doppia vita: contemplativa ed operativa, ritenendo quella siccome il substrato necessario per l’efficace completamento dell’altra. La vita contemplativa si aggirerà attorno alla pratica dei tre consigli evangelici, oltre all’osservanza dei comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa: intorno all’unione con Dio, all’interna perfezione, ai doveri di pietà e di culto, all’attuazione di ogni virtù, e soprattutto alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza, di ogni maniera ed in ispecie all’annegazione della propria volontà (Scr. 52,2).
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Era costume di Gesù interrompere le sue apostoliche fatiche e ritirarsi in solitudine, non tanto per il suo materiale riposo, quanto per attendere alla preghiera e contemplazione (Scr. 55,42).
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Con l’aiuto del Signore e della Madonna SS.ma, con la benedizione della Santa Chiesa, ho iniziato anche una vera e propria Congregazione di Religiose, la quale, se a Dio e alla Chiesa piacerà, sarà suddivisa in parecchie Religiose Famiglie, con particolari criteri di governo interno; secondo l’età, la capacità, la salute: la vita contemplativa o la vita attiva di adorazione, di carità, di apostolato cui le anime aspirano (Scr. 57,38).
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Dobbiamo essere una profondissima vena di spiritualità mistica che pervada tutti gli strati sociali: spiriti contemplativi e attivi, servi di Cristo e dei poveri (Scr. 57,104c).
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Or che faranno essi gli eremiti della Provvidenza se non questo? Né di sola contemplazione pasceranno la vita! No, la loro sarà pure una esistenza operosa, più perfetta e più feconda che la vita della città (Scr. 61,19).
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L’Istituto vostro sia piantato nella santa umiltà, povertà e carità, e che stia a Tortona, e poi faccia parecchie famiglie religiose, che siano come i rami di una stessa pianta. E alcune famiglie saranno per la vita attiva, e altre per la vita contemplativa, e altre di vita mista (Scr. 65,221).
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Al Cottolengo ci sono delle Suore che sono vere sante: ad una, una volta, ho trovato un Crocefisso che sudava sangue e gliene ho dato un altro e, per un miracolo, anche questo buttò sangue. Ma come si son fatte sante queste? Sacrificandosi, sacrificandosi! Non leggendo libri di mistica o facendo le contemplative, ma sacrificandosi, rinnegandosi sempre, e si son fatte sante! Ai voli troppo repentini succedono le più dolorose cadute (Par. I,225).
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Vi sono certe anime che Dio le chiama proprio alla vita contemplativa, ad una vita tutta di orazione, e là le chiama Dio. Mi è caro dirvi, in questo dolce giorno, giovedì, che ricorda a noi l’istituzione del grande mistero d’amore, mi è caro dirvi che anche nella vostra piccola Congregazione vi sarà, in seguito, una piccola famiglia che si dedicherà tutta alla vita contemplativa, alla vita di preghiera, che pregheranno per voi, per quelle che vi saranno, che pregheranno anche per me poveraccio, che devo sempre correre di qua e di là, che non ho tempo a pregare, che non ho manco tempo a farmi venire le tentazioni, grazie al Signore, grazie al Signore! (Par. II,93).
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La vostra è una vita contemplativa e di lavoro insieme; siete davanti al Santissimo Sacramento: pregate, state tutte in Dio, non pensate a niente, perdetevi per così dire, in Dio (Par. II,192).
Vedi anche: Abbandono in Dio, Pietà, Preghiera, Unione con Dio.
Cooperatori
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Chiediamo di poter riunire, in giorni e ore che non disturbino le funzioni stabilite con l’Arciconfraternita, i nostri Cooperatori e Cooperatrici, il che sarà sì e no, una volta ogni due o tre mesi, per far loro qualche conferenza religiosa (Scr. 7,400).
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Buona e santa Pasqua, dunque, anche a tutti i miei più cari e più validi cooperatori, e che Gesù risorto compensi di doni e grazie spirituali e temporali larghissime la vostra grande carità verso questo povero prete e verso i nostri cari poveri (Scr. 41,146).
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A questo santo fine è inutile vi dica che mi rivolgerò fidente a chiedere l’aiuto spirituale e materiale di tutti i miei benemeriti amici e Cooperatori della Provvidenza, poiché non vi nascondo che, per quest’opera voluta dal Papa e di supremo bene per migliaia e migliaia di anime, occorrerà, o cari miei benefattori, denaro e molto denaro; ma il denaro la Provvidenza del Signore lo manderà anche per mano vostra (Scr. 52,20f).
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Noi non possiamo fare a meno di benedire ogni giorno, e con tutto il cuore, la carità dei nostri cooperatori e delle esimie benefattrici, e d’implorare su loro le più copiose benedizioni. Ma nella ricorrenza del Santo Natale, che è la più cara, la più gioconda, la più poetica delle feste cristiane, il nostro pensiero vola a voi e alle vostre famiglie, o Benefattrici dei nostri orfanelli, dei nostri chierici, dei nostri oratori festivi, dei nostri missionari e di tutte le Opere di patronato scolastico e di Provvidenza. In questi santi giorni specialmente a voi possiamo, o anime generose, e con il fervore più intenso vi preghiamo da Gesù bambino pace, felicità ed ogni celeste benedizione! (Scr. 61,77).
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Lavoriamo! Lavoriamo! Invitiamo gli amici, i cooperatori, gli antichi alunni dei nostri Istituti, i nostri stessi fratelli di fede e di vocazione a lavorare, a lavorare. Promoviamo novene, preghiere alla Madonna SS.ma della Divina Provvidenza. Facciamoci iniziatori di funzioni di espiazione e di propiziazione per il buon esito della guerra: facciamo esercizi spirituali, catechismi; impiantiamo biblioteche popolari per preservare la gioventù, per illuminarla e salvarla nella morale e nella fede (Scr. 61,190).
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Noi vogliamo essere coi nostri Cooperatori, con le nostre Zelatrici, con i nostri lettori come una famiglia sola: la grande famiglia della Madonna della Guardia! Vogliamo partecipare alle loro gioie e ai loro dolori, sempre! (Scr. 70,300).
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Raccomandiamo agli Amici e alle Benefattrici che diffondano il Bollettino della Guardia di Tortona e le altre nostre pubblicazioni, di non lasciare diminuire il numero dei Cooperatori, ma di far sì che molti vengano a prendere il posto di coloro che la morte ci ha rapiti. Alimentiamo sempre più la lampada della devozione alla Guardia: conservate vivo lo spirito della carità, e Dio vi rimunererà! Mantenetevi affezionati e aiutateci secondo le vostre forze (Scr. 92,48).
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I Collettori e le Collettrici sono come il braccio destro di Don Orione, i migliori e più alacri suoi Cooperatori. Essi ci devono chiedere quel numero di Bollettini che vogliono distribuire gratuitamente: curano la più larga diffusione di questo giornaletto proponendosi così di dilatare la devozione alla Madonna della Guardia. Si danno attorno per trovarci nuovi cooperatori, ci fanno una buona propaganda: con fede e dedizione assoluta, trasformano la loro vita in una missione, in un apostolato di santo amore alla Vergine Santa. Mettono in bella evidenza le opere che fioriscono qui ai piedi della Madonna e l’ideale grande di carità che si vuole attuare attorno al nostro Santuario. Promuovono feste in onore della Madre di Dio: promuovono pellegrinaggi al santuario principe della Guardia, al Monte Figogna, o a questo di Tortona: raccolgono offerte per il Santuario e opere annesse, per quanto ancora rimane da pagare, per quanto ancora rimane da fare (Scr. 92,187).
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Un appello ai nostri Amici, alle nostre Cooperatrici pie, devote, zelanti. Lo volete proprio onorare Gesù Bambino? Volete fargli piacere, consolarlo? Ci vogliono due cose: pietas et caritas! Son parole latine di facile intelligenza: bisogna essere pietosi e avere carità. Salviamo i fanciulli, tanto cari a Gesù, e piaceremo a Gesù! Salviamo i fanciulli! Aiutatemi a raccogliere i poveri orfanelli, aiutatemi a sfamarli, vestirli, istruirli, educarli (Scr. 94,262).
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Chi desidera farsi cooperatore dell’Opera della Divina Provvidenza mandi un semplice biglietto di visita con scritto ben chiaro Nome, Cognome, Via, numero della casa se abita in qualche città, Provincia e Paese; oppure una cartolina postale, e noi gli manderemo, gli faremo stampare l’indirizzo e gli manderemo il foglietto e non solo lo terremo al corrente dello svilupparsi dell’Opera, ma gli manderemo all’occorrenza Pagelle, stampati, opuscoli che riguardano l’Opera stessa (Scr. 96,28).
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Il Sacerdote Orione, ricevuti i Nomi e le Offerte, manderà agli Zelatori e alle Zelatrici le Immagini della Madonna della Divina Provvidenza, perché siano distribuite agli Offerenti; per le Signore le pagelle d’iscrizione tra le Dame della Divina Provvidenza, e per gli uomini la pagella di Cooperatore. Gli offerenti partecipano di tutto il bene che si fa dai Figli della Divina Provvidenza: si fanno speciali preghiere pei Collettori (Scr. 113,241).
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Voi siete i benedetti, che m’avete consolato nei giorni dell’amara solitudine: Voi i benedetti, che mi avete dato pur le vostre sostanze e il vostro pane! E come dimenticherei le nostre Cooperatrici così benemerite, che si son fatte madri in Cristo di tanti orfani e orfanelle, che sono le samaritane pietose dei nostri malati e di tanti vecchie e vecchierelle, croniche o cadenti? Non è la vostra carità che, malgrado la crisi, provvede a quanti poveri derelitti sono accolti nei nostri istituti? Non siete Voi forse la mano di Dio? La mano della Divina Provvidenza per noi? Oh quanto mi torna grata la fausta ricorrenza del Santo Natale, che mi porge l’occasione più propizia per farvi giungere, anche da tanto lontano, la espressione della mia inestinguibile gratitudine! (Scr. 119,53).
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Al carissimo Don Sterpi, ai miei carissimi Sacerdoti, ai Chierici e Aspiranti, agli ex Alunni ed Alunni della mia cara Congregazione, ai buoni Cooperatori della Divina Provvidenza e a tutti e a ciascuno il mio saluto da questa lontana America, e il saluto cordiale e fraterno dei nostri Sacerdoti, Chierici, Probandi, Alunni e Benefattori americani (Lett. II,263).
Vedi anche: Aggregati, Benefattori, Dame della Divina Provvidenza, Famuli.
Correzione fraterna
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Ancora devo dirvi nel Signore che voi dovete usare carità grande con tutti, ma per timidezza male intesa non lasciate di dare avvisi, di correggere fraternamente e in privato e, quando occorresse, in pubblico: con carità e umiltà, ma con autorità anche. Vi prego di scusarmi (Scr. 2,57).
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Prego anche che si tengano bene aperti gli occhi di tutti sopra di lui, avvertendolo quando sbaglia e correggendolo in Gesù Cristo e riferendone a me e al Superiore della Casa, perché bisognerà poi decidere per i suoi santi voti e la responsabilità è mia ma anche di tutti i Sacerdoti nella cui Casa si trova (Scr. 4,184).
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Egli, il Signore, ti darà luce per conoscere i difetti di codesti nostri fratelli e la prudenza necessaria per giudicarli e correggerli; rare volte però avviene che la correzione fatta sul punto del mancamento giovi. Questo ti dico per la esperienza di oltre 20 anni. Il vero figliolo della pace, che è figliolo della Divina Provvidenza cioè di Dio, desidera sinceramente di essere corretto e castigato, come facevano i Santi che desideravano essere corretti. E tu da questo spirito vedrai chi di codesti Chierici è di buona lega e chi non è dei nostri. Chi di essi riceverà la correzione allegramente e con gratitudine, aspira alla perfezione e vuole essere davvero mortificato e figlio vero della Divina Provvidenza; chi trova sempre un pretesto per difendere il suo operato o una scusa, temiamo di lui (Scr. 21,26).
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Rare volte avviene che la correzione fatta sul punto del mancamento giovi e, in certi casi, la si deve fare con la maggiore segretezza. E quando si corregge bisogna finire sempre con parole buone che tengano aperti i cuori e non li lascino depressi, ma confortati. È mirabile la dolcezza con cui San Bernardo correggeva e parlava ai suoi religiosi. Ogni asprezza strazia a guasta l’opera del Signore e allontana i cuori da noi e lascia, anche dopo, un brutto ricordo; mentre niente può resistere alla dolcezza e alla umiltà del superiore che corregge e dà avvisi. Se c’è da fare una lode, lodali e incoraggiali, possibilmente, tutti insieme, ma le correzioni e i castighi specialmente sempre in particolare, a meno che lo sbaglio sia pubblico e generale. Bisognerà che tu veda di formare un cuor solo ed un’anima sola con i sacerdoti, che sono con te, confortandoli, dando loro lavoro, trattandoli con lieto animo e lieto volto, in Domino, tutto in Domino! (Scr. 23,185).
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Quanto all’indirizzo che tu devi tenere: tu devi correggere se taluno cade in qualche fallo considerevole, avvertendolo con molta carità, senza essere pesante né pedante, senza renderti seccante: vedere con due, con quattro occhi e correggere solo per metà quello che vedi. Bisogna sapere tutto e dissimulare molto. Se chi ha mancato, ricade, bisogna aggiungere all’olio un po’ d’aceto e far sì che egli senta la sua mancanza e che si copra d’un pudico rossore. Se egli poi ricadesse la terza volta, gli darai una pubblica penitenza, ma in modo che veda il dolore che tu provi di dovere fare quello e come ti ci trovi costretto per coscienza (Scr. 32,88).
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Correggi, sovra tutto, con la forza del tuo esempio e con la dolcezza dei tuoi avvertimenti. E quand’anche fossi costretto a punire non punire mai mai mai con acerba severità. Odia con tutto l’animo i vizi, ma ama con la più tenera carità quelli che hanno mancato, poiché con la tua amorevolezza giungerai a correggerli e, occorrendo, a convertirli (Scr. 32,89).
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Tutti abbiamo dei difetti, bisogna saperci sopportare per l’amore di Dio e correggerci fraternamente, ma con grande discrezione e dolcezza. La carità deve essere la nota distintiva dei Figli della Divina Provv.za. E la carità è paziente e benigna: è soave e dolce, è illuminata e prudente, è umile, si fa tutta a tutti, rinnega sé stessa per farsi tutta a tutti, compatisce gli altrui difetti, gode del bene altrui, ha grande stima del prossimo, interpreta le parole e le azioni altrui nel modo più favorevole, ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri, anche ai nemici (Scr. 33,84).
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Bisogna i ragazzi non soffocarli di avvertimenti, non soffocarli di correzioni: non pedanteria: correzioni, avvisi e castighi a tempo; il giovane è sempre di chi capisce che lo ama, che lo illumina, che lo istruisce (Scr. 33,94).
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Ad imitazione di N. Signore, nell’insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savii, senza gridare mai, eccetto in qualche raro caso, ma operate sempre con giudizio, con maturità, con pazienza (e mi ripeto, lo so bene) con pazienza, sopra tutto. Sta scritto nel libro di Dio: In patientia vestra, possidebitis animas vestras, ma io vi dirò che possederete anche le anime dei vostri allievi, se avrete molta calma, serenità, pazienza con essi: se nella scuola li istruirete e correggerete con amore: correggere vale e reggere insieme e ammendare altri e sé. Bisogna considerare come son fatti i ragazzi, sùbiti e momentanei nei loro trasporti. Badate che nel correggere i difetti non strappiate le buone qualità che essi posseggono: ricordiamo sempre la parabola evangelica dove Gesù disse di andare con longanimità e con tatto per non strappare insieme con la zizzania anche il buon grano (Scr. 51,28).
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Mai usiamo quel rigore soverchio che allontana i cuori, mai quell’asprezza che ottiene l’effetto contrario, mai quelle parole volgari o villane che umiliano più chi le dice che non chi le sente dire, ma che in fondo ad ogni correzione, per quanto seria, vi sia sempre una parola che animi al bene e che riconforti il colpevole. La virtù sgarbata non è mai della vera: quella è più virtù che ha più cortesia negli atti; non basta conoscere ed amare la verità, conviene saperla dire ed operare: noi della Provvidenza siamo molto deficienti nei modi. E quanto ci fosse da usare rigore sia sempre con saviezza, con moderazione e piuttosto si avvertano le famiglie e se poi non va, se poi non se ne può a meno, piuttosto si sospendano dalle lezioni, prima per qualche giorno, poi per altri e poi, nei casi gravissimi, piuttosto si dimettano sia dalla scuola che dalla casa: qui parlo sia per chi solo frequenta che per quelli che coabitano con noi. Sed dimittantur cum consolatione, dice S. Ignazio: non vadano via con l’animo pieno di veleno, mai! (Scr. 51,29).
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Accettate con umiltà le correzioni, rispettate e amate i superiori e abbiatene molta stima, non guardando i difetti della creatura, ma la divinità, quasi e la santità del ministero. Non mormorate o sparlate di essi e cercate di aiutarli e consolarli in tutto. Non parlate mai da soli con persone di diverso sesso, senza permesso e mai da soli (Scr. 69,378).
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Non abbia timore, Eccellenza: io sono un povero verme e nessuno lo sente più di me. So di essere servo inutile e di avere molto peccato e molto ruinato con la mia miseria ciò che è forse nei disegni della Divina Provvidenza. Io gradirò tanto e come una grazia del Signore la Sua parola di paterna correzione e anche di disapprovazione, se così lo credesse in Domino. La bontà del Signore è così grande sopra la mia miseria che mi sento disposto a riparare e a rifare tutto e a distaccarmi da tutto. La grazia divina è la vita della mia fede e del mio povero lavoro. Le Sue osservazioni le avrò come una prova della Sua vera carità verso l’anima mia e verso l’Istituto; e ne farò grande conto (Scr. 75,50).
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Nel correggere dovete mostrarvi sempre tranquille e serene, se volete che la vostra correzione sia quell’olio che sana le piaghe; altrimenti, se lascerete entrare la vostra natura, sarà quel veleno che inasprirà i cuori e non vedrete mai il profitto della vostra correzione (Scr. 79,80).
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Non avvilite mai nessuno nelle correzioni e punizioni, quando di queste non si potesse proprio fare a meno; no, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere davanti ad altri, si lodino tutti insieme e si correggano e puniscano da soli possibilmente. Solo eccezionalmente e per togliere qualche male esempio pubblico, si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri (Scr. 82,66).
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Mai raccontare cose intime che conoscete di qualche vostra consorella. Caso mai si può dire questo o quell’altro ai superiori e sempre se c’è una vera ragione di doverlo dire. Ci sono cose che, raccontate, spiacciono più che le correzioni. Una correzione fatta bene è una carità fraterna, ma ci vuole il tono, ci vuole un tono pieno di dolcezza e conviene scegliere, nel fare correzione, i momenti più adatti (Par. II,110).
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Quando si deve ammonire, correggere, rimproverare, si finisca con il lasciare aperto il cuore del rimproverato; e mi spiego: lasciare, far comprendere che lo abbiamo corretto come padre e in modo tale che rimanga di ciò persuaso e resti il suo cuore confidente. Evitare certe lodi, quando si loda, si lodi in generale e in pubblico; quando si corregge, si corregga in privato ma con amorevolezza, eccetto il caso di quando si dovesse levare una cattiva impressione, causata alla comunità dal corretto (Par. VI,221).
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Allontanare lo spirito di censura e quando si ha qualche cosa essere schietti e dirlo fraternamente, con carità e senza mal animo. La correzione fraterna è tanto raccomandata nel Santo Evangelo. «Si peccaveris frater tuus corrige eum... inter te... dic Ecclesiae». Tutti per uno e uno per tutti... «funiculus triplex difficile rumpitur». Niente gelosie, niente censure e poi un gran manto di carità che tutto copra. Volerci bene nel Signore. Non occorre che ci stringiamo le mani. L’amore fraterno non è fatto di strette di mano. Ci vogliamo bene, ci dobbiamo voler bene come gli angeli del cielo. Che la Congregazione sia una forza compatta e che l’intento più vivo e più forte dei nostri animi sia di voler diventare una forza, una grande forza nelle mani della Congregazione per essere poi una forza nelle mani della Chiesa (Riun. 1° agosto 1928).
Vedi anche: Castighi, Compatimento, Ecce quam bonum, Sistema paterno–cristiano.
Corrispondenza
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Desidero che le lettere che vi scrivo restino riservate a voi, quindi sappiate regolarvi e così ciò che vi mando. La corrispondenza avrete perciò cura di tenerla sotto chiave, al sicuro da ogni indiscrezione (Scr. 20,29).
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Vedi però che in casa hai chi entra e legge in tua camera i miei scritti e la corrispondenza. Cosa indegna, chiunque sia. Voglio essere rassicurato che le mie corrispondenze non vanno sotto gli occhi di altri, altrimenti dovrei scrivere solo vagamente, né avrei più fiducia e libertà di dirti quanto sento. In prova di ciò che dico, ti unisco una lettera. Tu non dartene per avveduto; ma tieni chiuso (Scr. 22,83).
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Al sottoscritto Direttore da sei anni d’un Istituto Privato Paterno d’istruzione maschile in Tortona, capita un caso assai singolare per cui si rivolge alla bontà di V. S. alfine d’uscirne meglio a buon esito. Il regolamento adottato in questo collegio, fiorente di circa trecento allievi e tutti interni, dà facoltà al Superiore della Casa di aprire ogni lettera che entri, diretta ai convittori e al personale interno. Avendo stimato opportuno dover allontanare un tizio, questi, per rappresaglia, fa citare il Superiore per reato di violazione di sigillo epistolare, adducendo avergli il Direttore consegnato una lettera aperta. A provare che, anche la lettera sia stata aperta, ciò non fu per dolo, ma per diritto comune a tutti i collegi, convitti, mi sono rivolto a vari direttori d’istituti e tutti vanno rispondendo mandanti o il regolamento con detta regola sottosegnata o una dichiarazione anche in carta libera. Pregherei V. S. M.to Rev.da di rilasciarmi una simile dichiarazione che attesti anche in cotesto Istituto vigere tale regolamento di poter aprire le lettere dirette al personale interno (Scr. 85,18).
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Come Lei vede Le scrivo da Rio e dalla Casa de preservação, dove Lei vorrà d’ora innanzi scrivermi, perché qui sono sicuro che tutte le lettere mi vengono consegnate e altrove no, ad es. una certa lettera del Can. Capra con entro dei ricordini, cui egli accenna nella sua che mi mandò ora dalle Suore, io non la ebbi. E anche altre non ebbi e altre so che vennero indebitamente aperte e poi richiuse. Quindi Lei dica a Don Zanocchi e al Can.co Capra e Don Zanocchi faccia sapere a D. Sterpi e a Roma che voglio mi si spedisca la posta unicamente all’indirizzo di questa Casa (Scr. 115,97).
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È bene che tutti consegnino le lettere aperte. I Direttori di Casa siano padri, anzi più che padri. I Superiori aprano tutte le lettere (Par. IV,302).
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Troverà sempre quei religiosi che di nascosto spediscono il denaro alle loro famiglie, o lettere, siano dei sacerdoti o dei chierici, senza farle prima vedere al Superiore. Ho proibito a un Superiore di una Casa di spedire lettere di un sacerdote perché questi gliele consegnava chiuse; tutte le lettere devono passare aperte per le mani del Superiore della Casa, eccetto se si trattasse dei Superiori maggiori (Par. VI,247).
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Noi usiamo, nella nostra corrispondenza, nelle lettere che scriviamo, le parole: “La pace del Signore sia sempre con voi!”. Queste parole, questo saluto con cui ci avviciniamo, spiritualmente, con il ricordo e con lo scritto, a quelli con cui trattiamo, è un augurio, direi, una preghiera con cui invochiamo gioia e serenità e pace ai destinatari. Ma è anche un invito alla carità fraterna, è un ricordare che dove c’è Dio, c’è pace, c’è carità, c’è fratellanza, perché non ci può essere Dio senza carità e pace e non c’è pace dove non c’è Dio, dove manca la carità. Non c’è pace per gli empi, dice la Scrittura sacra; in colui che non è pio, vale a dire, in chi non è pieno di attaccamento, di amore a Dio, non c’è neanche la pace. Ogni volta che usiamo questa espressione nello scrivere, ricordiamo per noi stessi questo suo significato (Par. VIII,81).
Vedi anche: Confidenza, Sincerità, Superiori.
Costituzioni (FDP e PSMC)
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Ti mando due copie delle brevi Costituzioni, come furono vedute e corrette dal Santo Padre Pio X; ci manca una frase, che, per prudenza, fu tolta da questa edizione. Le fai leggere due volte, almeno, in Cappella. Ne dai una copia al P. Predicatore, perché possa conoscere lo spirito della Piccola Opera, e regolarsi (Scr. 3,379).
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Ti supplico in Gesù Cristo di mantenere codesta cara Casa nello spirito umile del Santo Evangelo, umile e povera e piena di fervore di carità e di purità. Questo è il nostro unico ideale e lo spirito delle Costituzioni (Scr. 3,432).
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Appena il Card. Boggiano avrà ultimate le nostre Costituzioni secondo la forma voluta dal nuovo Codice di Diritto Canonico (le ho affidate a lui, che accettò. Ho scelto un Cardinale, un Religioso e buon canonista e di manica stretta. È già da mesi che ci lavora. In questi giorni fui parecchie ore e più volte da lui per dargli quei suggerimenti che potevano occorrergli) farò le elezioni delle cariche, e sento di dovermi ritirare per non guastare di più l’opera che ritengo da Dio (Scr. 5,426).
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Ti mando i primi tre punti delle Costituzioni: il 1° punto riguarda l’ordine generale della Provvidenza o meglio il fine generale della Redenzione di N. Signore e dell’azione della Chiesa nei secoli cristiani (è un preambolo), per cui l’opera della Divina Provvidenza, ecc. della prima riga, opera significando azione, sia scritta con “o” minuscolo, poiché non indica la nostra Congregazione, ma l’azione della Divina Provvidenza (Scr. 10,3).
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Questo è il ricordo incancellabile che ci ha lasciato la grand’anima di Pio X, gloria immortale del Veneto e di Venezia, quando, nell’ultima udienza che quel Santo Papa ha concesso a me, a un gruppo di Sacerdoti nostri, e ad una schiera di nostri alunni (solo qualche mese prima che se ne andasse a Dio), si mostrò così paternamente Padre verso la Piccola Opera della Divina Provvidenza; quel Papa, del resto, che già aveva veduto, personalmente corrette ed approvate le nostre Costituzioni, e che si era degnato di ricevere nelle sue mani benedette i miei voti perpetui (Scr. 16,122).
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Vi do la fausta notizia che stamattina fui a lungo con Sua Emin.za il Card. Boggiano ed ho avuto le Costituzioni stese in piena regola, che porterò a Tortona, e una lettera accompagnatoria ed esplicativa dello stesso Cardinale. Deo gratias! (Scr. 17,60).
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Vi mando le Costituzioni, redatte secondo il codice di Diritto canonico e le norme date dalla Santa Sede. Nella stessa busta vi sono le Costituzioni antiche e le Regole comuni. Desidero che da oggi si comincino ad osservare in quelle parti che già è possibile; poi si attueranno in noi e nelle diverse Case mano mano: cominciamo da codesta prima Casa, e da una pratica di pietà: I. «Alla sera, prima della cena, si farà, in comune, un quarto d’ora di lettura spirituale e, in comune, nella chiesa o nell’oratorio, si reciterà la terza parte del Santo Rosario». Costituz. parte I (capo XIV o XV n. 98) della pietà. II: «I religiosi ascolteranno con attenzione la lettura, che si fa durante la mensa, affinché, mentre il corpo prende il suo cibo, la mente non rimanga completamente digiuna. Si leggerà in principio un tratto della Sacra Scrittura, poscia un tratto delle Costituzioni, indi un libro di spirituale edificazione scelto e designato dal superiore». Costituzioni parte I, Cap. XV o (XVI) n. 120 del cibo e del digiuno. Dispongo che della Sacra Scrittura si leggano i Vangeli, cinque versicoli, prima in latino e poi in italiano; delle Costituzioni se ne legga un solo numero, volta per volta, premettendo sempre queste parole: «Dalle Costituzioni della Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza»; come libro di spirituale edificazione: la vita del Beato Cottolengo del Gastaldi. Prima della fine del pranzo, si leggerà anche il Martirologio, e in codesta Casa in italiano. Dispenso dal silenzio per una parte del pranzo e della cena, a meno che chi assiste o il direttore credesse di fare diversamente. A colazione sempre dispenso, a meno etc., come sopra. Per ora cominciamo così, dal poco, e l’aiuto del Signore sia con noi! (Scr. 17,66).
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Se il Visitatore chiedesse le Costituzioni, voi presentate le prime, quelle del 1912; e, possibilmente, la edizione dove c’è la frase più forte; poi, dite che ora avete ricevuto anche queste ultime, ricevuta ora e, se le chiede, gliele lasciate. Gli presenterete pure copia delle regole comuni; di queste e delle antiche Costituzioni vi spedisco copie a mano del ch.co D’Attilia. Una copia delle nuove Costituzioni la mando a don Pensa, perché le faccia subito comporre, lasciando in bianco metà pagina per le osservazioni, modifiche e aggiunte, che sarà necessario e conveniente fare, poiché intendo sentire almeno i più anziani dei nostri sacerdoti, dandole loro in bozze. Intanto ogni Casa e ogni religioso comincerà a sentirle leggere e a praticarle in quelle parti che dovranno rimanere invariabili, perché volute dai Canoni. Sono lieto di inviarvele in questo giorno di Santa Teresa di Gesù, che è anniversario della prima apertura di San Bernardino (Scr. 17,68).
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Per motivi facili a comprendersi, è urgente, urgentissimo che le suore abbiano le Regole stampate. Voi prendete lo scopo nostro, primo capitolo come è nelle nostre costituzioni, poi, o prendete le stesse nostre costituzioni (adattandole per le donne) o quelle della Michel, e le aggiungete al I capitolo sul fine della Congregazione cambiando nome: le missionarie della carità. Ormai, eccettuata la diversità dello scopo o fine, tutte le costituzioni sono le stesse e devono essere fatte sulla falsariga che fu data dalla Santa Sede: sono tutte le stesse. È bene che il nuovo Vescovo trovi le costituzioni. Per le sacramentine idem (vedete di farvi dare le regole dalla Maria Gambaro delle sacramentine di Genova fondate da sua zia materna) (Scr. 18,45).
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Quanto alle costituzioni nuove, si modificheranno, e anche allo scopo precipuo, oltre all’amore al Papa e alla Chiesa da diffondersi nel popolo, vorrei aggiungere di difendere la fede contro i protestanti e di lavorare a riunire alla Santa Chiesa gli scismatici. È amore pratico alla Chiesa e ce n’era bisogno. Già nel decreto di Mons. Bandi c’è di lavorare per la riunione a Roma delle chiese separate (Scr. 18,123).
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Vi accludo i primi due capi delle costituzioni delle Missionarie della Carità. Fissato il nome e il fine speciale, il resto, date le consapute norme della Santa Sede, è (poco più, poco meno) identico a tutte le altre congregazioni femminili; quindi penso che, entro non molto tempo, potranno avere anche esse le loro costituzioni. Ora preghiamo! Non si faccia rumore, ma, in caso che qualche Vescovo o autorità richiedesse qual è lo scopo, ecco che sapranno cosa rispondere. Sarebbe bene, penso, che voi faceste tirare 1000 foglietti di questo che mando, perché ogni casa e ogni suora ne abbia copia. Così non si potrà più dire che non si sa preciso quale è lo scopo della loro Congregazione (Scr. 18,146).
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Qui cominciano, nel nome di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, le costituzioni delle Piccole Suore Missionarie della Carità. Nel nome di Dio e di Maria SS.ma. Capo I: Del titolo e del fine della Congregazione. 1. Il titolo della Congregazione è: «Piccole Suore Missionarie della Carità». 2. Il fine primario e generale della Congregazione è la santificazione delle proprie religiose, mediante la osservanza dei voti semplici di povertà, castità, obbedienza e carità, e di queste costituzioni. 3. Suo fine particolare e speciale poi è l’esercizio della carità verso i prossimi, massime con il consacrare la vita a portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario, «dolce Cristo in terra», il Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o più abbandonati, mediante l’insegnamento della dottrina cristiana e la pratica delle opere evangeliche della misericordia. Capo II. Madre e Protettrice celeste. 1. La Congregazione è particolarmente consacrata a Maria SS.ma, Immacolata e Misericordiosissima Madre di Dio; e sta sotto le ali della Divina Provvidenza e sotto il manto di Maria come una bambina. 2. E per la filiale devozione che essa nutre, fin dal suo nascere, verso la Beatissima e sempre Vergine Madre di Dio, ne diffonderà, quanto più possibile, il culto: ogni casa, di proprietà della Congregazione, si onorerà di denominarsi da qualche suo titolo o prerogativa, e ogni suora assume, quale prenome, il nome di Maria (Scr. 18,148).
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Avrei bisogno che mi mandaste subito le Costituzioni nuove delle suore della Michel e di quante altre suore potete avere (come quelle di Don Bosco, del Cottolengo, di Don Boccio, delle Sacramentine di Genova, delle Bigie, suore di San Vincenzo, delle Cappellone). Parte potrete averle a Genova a mezzo delle nostre suore di là. E così le nuove Costituzioni dei salesiani, e ogni altra Regola e Costituzioni Maschili, anche vecchie. È cosa urgente. Mandate per pacco raccomandato con il primo piroscafo, e Medaglie del Cottolengo. Mandate anche la Regola dei benedettini, so che c’è. E le vite di santi e sante fondatrici. Io qui ho nulla: avrei bisogno anche di quella traccia data dalla Santa Sede secondo cui si devono modellare le Costituzioni femminili e maschili. E, intanto, fate pregare: anche qui si prega, e si offre tutto il lavoro a n. Signore perché ci assista. E confido che ci assisterà! Preghiamo! (Scr. 19,107–108).
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Nel nome della SS.ma Trinità Padre Figlio e Spirito Santo, io Sebastiana Assunta Tersigni mi metto alla presenza di Dio e nelle mani di Maria Vergine Immacolata, e di voi sacerdote Orione Luigi mio Superiore e faccio voto di povertà, di castità e d’obbedienza per un anno secondo le Regole e Costituzioni della Piccola Opera della Divina Provvidenza e delle Suore Missionarie della Carità (Scr. 39,122).
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Oggi è l’anti–vigilia del XXII anniversario dall’ingresso di vostra Eccellenza Rev.ma in diocesi. Non vedo circostanza migliore della presente per umiliare a v. Eccellenza la stampa delle piccole Costituzioni della nascente Congregazione. Nell’udienza del 2 novembre le ho detto che avevo dato uniformità di preghiere, e mandai i libretti delle preghiere stampate; ora, feci stampare le Costituzioni che vostra Eccellenza tiene già in parte manoscritte, perché tutti potessero averne copia. Spero completarle, ma la sostanza c’è. Esse sono animate, per divina grazia, da quello spirito di schietto amore alla Chiesa e al Santo Padre attinto dal ven.le Don Bosco e da vostra Eccellenza Rev.ma. Le legga: mi faccia nella sua paterna bontà tutte quelle osservazioni che crederà, così, siccome ne feci tirare pochi esemplari, completandole nella ristampa, che spero fare tra qualche mese, toglierò o aggiungerò quanto sarà consigliato per il bene dell’Istituto e delle anime nostre (Scr. 45,98).
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Le Costituzioni vennero stese da un Eminentissimo che fa parte della stessa Congregazione dei religiosi: fu una grande degnazione e carità che ci ha fatto; deve aver sacrificate tutte o buona parte le vacanze d’un autunno, chiudendosi nell’Eremo dei Camaldolesi sopra Frascati. Non cesserò mai di essergliene riconoscente. Eppure, così come sono, confesso che non mi sentivo di presentarle alla sacra Congregazione dei religiosi, e ciò è anche uno dei motivi della nostra tardanza. M’ero rivolto a lui, religioso, già professore di Diritto canonico, e prima anche parroco, membro della Congregazione dei religiosi e Vescovo di diocesi, in concetto di prelato piuttosto esigente, attaccatissimo alla Santa Sede e piuttosto stretto, perché più sicuro che avrebbe fatto una cosa tutta Chiesa e Papa, come vuol essere lo spirito della Piccola Opera; tutta fede e carità, ben definita e stretta, perché io, veda, Rev.mo Padre, sono piuttosto inclinato ad essere largo, ed avevo bisogno come una diga ben forte. Ora non dubito che se per noi è venuto l’ora di Dio, nostro Signore ci porrà la sua santa mano, valendosi di vostra Eccellenza Rev.ma. Noi preghiamo tutti che si compia la volontà di Dio sopra di noi, e la riconosceremo in quello che la Santa Sede stabilirà (Scr. 50,6–7).
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Ora che le Costituzioni vennero deposte ai piedi del Vicario di Gesù Cristo, intendo con la presente accompagnarne copia a ciascuna Casa, e ad ognuno di voi, o miei cari figlioli, perché le mandiate a memoria, e sempre le possiate consultare, e sopra tutto le predichiate, coll’aiuto che certo vi darà il Signore. «Qui hanc regulam secuti fuerint, pax super illos et misericordia!». Unisco copia della così dette Regole comuni, che si riferiscono alla moralità tra i Congregati, alla moralità tra gli allievi, ai mezzi di praticare la vita comune e di coltivare le vocazioni. Di queste norme si è parlato nelle riunioni tenute dai sacerdoti dopo i santi Esercizi, e sono ad experimentum. Esse dovranno dai Direttori essere lette al più presto a tutti i congregati e probandi riuniti, e potranno essere in qualche punto brevemente spiegate; e poi formare tema ai Direttori delle conferenze da tenersi, come venne pure stabilito agli Esercizi Spirituali (Scr. 52,23b–23c).
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Capo I. Del Titolo e del Fine della Congregazione. 1° Il titolo della Congregazione è: Piccola Opera della Divina Provvidenza; ossia: Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. La Congregazione è posta sotto la protezione speciale di Maria SS.ma, Immacolata e misericordiosissima madre di Dio e nostra; di San Giuseppe e dei beati Apostoli Pietro e Paolo. II. Il fine primario e generale di questa umile Congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, e di queste Costituzioni. Fatti almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, si può essere ammessi ad un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al romano Pontefice: di offrire la vita per le missioni tra gli infedeli e per il ritorno dei protestanti e delle Chiese separate alla unità della madre chiesa. III. Il fine particolare e speciale è di propagare la dottrina e l’amore di Gesù Cristo, e della Chiesa specialmente nel popolo: trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla sede apostolica, nella quale, secondo le parole del Crisologo «il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda» (Epist. ad Eut. 2). E ciò mediante opere di misericordia spirituali e corporali, e le seguenti Istituzioni, destinate vuoi alla educazione e formazione cattolica della gioventù più umile o derelitta, vuoi a condurre le turbe a Gesù Cristo e alla sua Chiesa, per le vie della carità: Oratori festivi e patronati, Doposcuola, Esternati, Pie Associazioni, Centri e Circoli di azione cattolica per fanciulli, aspiranti giovani, studenti e operai, Istituzioni per uomini cattolici e Patronati operai, Scuola di religione, Scuole e Collegi, sempre per fanciulli poveri, Scuole agricole professionali, Opere di prevenzione per i minori abbandonati, Riformatori, Istituti pei figli dei carcerati, Case di redenzione sociale, Segretariati, Patronati per carceri e ospedali, Ricoveri per orfani e deficienti, Case di Divina Provvidenza per minorati d’ogni genere e pei rifiuti della società, Lebbrosari e lazzaretti, Case di riposo per la vecchiaia, Cattedre ambulanti popolari di propaganda religiosa, Stampa, Scuole di propagandisti, Scuole per formazione pubblicisti cattolici, Catechismi, Predicazioni, Pellegrinaggi, Opere di prevenzione e contro la propaganda protestante, Scuole apostoliche, Istituti missionari, Seminari per provvedere vocazioni ai Vescovi e alle loro Diocesi, Convitti ecclesiastici, Ritiri sacerdotali, Case di santificazione del clero, etc. E quelle Opere di fede e di carità che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla Santa Sede di indicarci, come più atte a rinnovare in Gesù Cristo la società. Solo verrà tollerata la accettazione di Istituti di istruzione media, là dove la gioventù, a causa di scuole laiche o protestanti, corresse grave pericolo per l’anima e gli Eccell.mi Vescovi non potessero diversamente provvedere. Questa umile Congregazione dunque, fondata sulla sola infinita bontà e aiuto della Divina Provvidenza, è essenzialmente per i poveri e per il popolo, che vuol elevare alla luce e al conforto della fede nel Padre celeste ed avere fiducia nella Chiesa. Essa nei piccoli e nei poveri vede e serve Gesù Cristo. E benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana, abbandonata e di povera condizione, si consacra anche al bene dei più umili nostri fratelli in Cristo, di qualunque età e religione e lavorerà al miglioramento morale e materiale della classe operaia, insidiata nella fede e ingannata da teorie comuniste (Scr. 52,64–65).
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Ogni Regola è grande e il nostro Istituto appunto perché è sul principio e nell’epoca della sua fondazione esige un maggior fervore e un’osservanza minuta di tutte le regole, più grave è la nostra responsabilità, perché quelli che verranno dopo di noi si formeranno sul nostro esempio (Scr. 100,254).
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Unisco copia delle così dette Regole Comuni, che si riferiscono alla moralità tra i Congregati, alla moralità tra gli allievi, ai mezzi di praticare la vita comune e di coltivare le vocazioni. Di queste norme si è parlato nelle riunioni tenute dai Sacerdoti dopo i Santi Esercizi, e sono ad experimentum. Esse dovranno dai Direttori essere lette al più presto a tutti i Congregati e probandi riuniti, e potranno essere in qualche punto brevemente spiegate; e poi formare tema ai Direttori delle Conferenze da tenersi, come venne pure stabilito agli Esercizi Spirituali (Scr. 113,326).
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La regola è la Magna Carta di libertà data da Dio per osservare il Santo Vangelo in ogni suo comando e consiglio, e ogni legale interpretazione tendente a distruggere la libertà e semplicità della Regola costituisce un tradimento di fiducia e un abbandono della vera vita dei figli della Divina Provvidenza. Saremo sempre fuori di via finché la nostra via e vita non sarà la vita evangelica con un’attività a servizio del prossimo più abbandonato. Prima essere e poi agire: prima essere quali dobbiamo essere, cioè veri religiosi conformi al primitivo spirito di povertà, di semplicità, di umiltà, di ubbidienza e di assoluto attaccamento alla Chiesa al Papa, ai Vescovi, senza adattamenti, mantenendoci nella essenza e nella forma allo spirito evangelico della fondazione (Scr. 120,193).
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Ogni regola è grande, ma la nostra piccola e nascente Istituzione – anche perché è ancora sul principio e nel periodo di fondazione, della sua formazione – esige un maggior fervore, e una osservanza vera non puramente materiale, ma di cuore: esige slancio spirituale e santo in tutte le regole, anche le più minute. Grande poi e, direi, singolarissima è la nostra responsabilità, o cari miei sacerdoti, poiché tutti quelli che verranno guarderanno a noi che siamo i primi vocati in ordine di tempo; essi si formeranno sul nostro esempio (Lett. II,262).
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Dobbiamo volere la più esatta e devota osservanza delle Costituzioni non fermandoci alla lettera, ma viverle alla lettera, esattamente e, soprattutto, nello spirito. Oh come è bella e dolce cosa vivere insieme da veri fratelli, da umili, pii, da veri religiosi; vivere insieme la vita della pietà, della temperanza, del lavoro, osservanti delle regole, devoti, uniti, compatendoci a vicenda, dandoci a vicenda buon esempio di edificazione! Ah, cari miei, se amiamo Dio e la Chiesa, se amiamo la nostra anima e il bene e l’avvenire della nostra Congregazione, curiamo, in noi soprattutto, la osservanza delle regole e atteniamoci in tutto alla regola! Abbiamo posta la mano all’aratro, stiamo fedeli e fermi nei santi propositi e voti, stiamo perseveranti e andiamo innanzi, vivendo il vero spirito e la vita della Congregazione, da ferventi religiosi, da veri figli, puri, umili, poveri, semplici, caritativi della Divina Provvidenza (Lett. II,265).
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Le regole e le costituzioni dei religiosi sono come il succo ed il midollo dell’Evangelo; esse ci insegnano appunto il modo pratico di viverlo; c’insegnano la diritta via per camminare dietro al Signore, e giungere alla più alta perfezione religiosa. E, come nel noviziato si studiano e si spiegano le regole, così desidero, et quidem, anzi, dispongo in Domino che si studi a memoria e si spieghi bene il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo (Lett. II,280).
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Ciascun religioso abbia copia delle Costituzioni. Queste, vivamente desidero nel Signore di poterle ritoccare, e che abbiano a dire più chiaro e ben determinato lo scopo particolare nostro e il nostro amore e attaccamento al Papa, così e come mi pareva che fosse meglio detto nelle prime, che erano assai più brevi e più, mi pare, secondo lo spirito della nostra umile, povera e papale Congregazione (Lett. II,282).
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Io sto studiando le vostre piccole regole, perché voglio che siate vere religiose; che abbiate delle regole proprio secondo lo spirito della Chiesa e le leggi del diritto canonico: che queste regole abbiano da essere veramente il vostro aiuto. E voi dovete essere la regola vivente per quelle che verranno dopo di voi! Già fin d’ora vedete che le probande hanno gli occhi aperti sulle Novizie, e queste guardano la Superiora per regolarsi in tutto come lei (Par. I,52).
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La nostra fedeltà si deduce dalla fedeltà alla regola, la quale – come abbiamo detto – può essere scritta, oppure un insieme di norme e direttive a voce che costituiscono la vita religiosa, una casa religiosa. Est fidelis! Quanto è bello essere fedeli alla voce della vocazione. Osservare la santa regola, che è libro di benedizione. Secondo le nostre regole e costituzioni saremo giudicati al tribunale di Dio! Ecco perché San Giovanni Berchmans sul suo letto di morte si fece dare il suo libro di regole e la sua corona e, stringendoseli al petto, sul suo cuore, moriva felice (Par. I,143).
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Amate le vostre regole, le vostre costituzioni! Ricordatevi che le regole, i voti, sono come il baluardo, le fortezze di una città, riguardo alla vita religiosa (Par. I,219).
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Ai sacerdoti e ai superiori specialmente delle case, consegno le regole per custodirle gelosamente; ve le affido, a voi che avete le mani consacrate, e spetta a voi che i membri si regolino secondo le costituzioni. Vigilate perché si pratichino le regole con scrupolosità. San Francesco d’Assisi voleva che si osservassero le regole alla lettera, sine glossa, cioè senza alcuna falsa interpretazione e stiratura. Grande spirito di osservazione. Noi dobbiamo imparare dai paesi orientali lo spirito di conservazione, nei paesi ove visse e santificò Gesù, ove si conservano i famosi monumenti e documenti vivi della religione. Fuggite dal prurito della riforma delle regole anche se per i tempi sembrasse che si possa far più bene; le regole devono rimanere immacolate. Via lo spirito di riforma! Quante preghiere, quanti anni di riflessioni prima di fare una regola! Di qui, in settembre, ho mandato in Italia i primi due articoli delle regole alle nostre Suore. È il nome della Congregazione e già la Superiora di là ha messo una parola di più. Avrà fatto bene, avrà creduto di interpretare lo spirito; ma se andiamo così! Dalle regole e dalla loro immutabilità dipende la prosperità e il futuro della Congregazione: mantenete vivo inalterabile lo spirito della Congregazione che si manifesta attraverso le regole (Par. I,219–220).
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Se saremo buoni e conserveremo le nostre Costituzioni, il Signore ci benedirà e la Congregazione si dilaterà. Se vivremo uniti, vivremo poveri, onesti, puri, illibati: allora la Congregazione avrà sviluppo, si farà del bene e si sarà di consolazione alla Chiesa e ai Vescovi (Par. VI,292).
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Osservare la regola con il cuore rende dolce la vita e serena la convivenza, vedendo nei Superiori dei padri e nei Confratelli dei fratelli, essendo in noi l’amore soprannaturale della carità. Finché c’è questo vincolo di carità è bello vivere in religione, e, se manca, si è in galera. Stare sempre in pace coi Confratelli; e questo è per la vita, per la morte et ultra. Custodire gelosamente questo deposito sacro delle Regole della Congregazione, e che tutti vivano conforme ad esse, con scrupolosità, alla lettera, senza dissentire; non essere più Papa del Papa accrescendo le regole o diminuendole, neppure le preghiere. Abolire le riforme, anche sotto pretesto di fare bene, e stare alle regole. Affido alle mani consacrate dei Sacerdoti le Regole e le Costituzioni della Congregazione e che tutti ne vivano lo spirito. Da questo dipende l’incremento, la prosperità e l’avvenire della Congregazione (Par. VI,294).
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Nell’osservanza sollecita, esatta, cordiale, non solo materiale, delle nostre regole e costituzioni sta tutta la nostra ricchezza e la nostra vita. Nella carità fraterna sta il Paradiso sulla terra, sta il più grande conforto che si vive nelle Case religiose: l’unione dei cuori, la pace, la concordia. Non per nulla Don Bosco mise nelle sue preghiere una Ave Maria per la pace e la concordia nelle sue Case. Le regole sono il nostro codice, osservando il quale noi saremo quali il Signore ci vuole e conserveremo la nostra vocazione e la stessa Congregazione sarà e fiorirà perché sarà quale Dio l’ha voluta. Quando nella Congregazione si osservano le regole, non con obbedienza materiale, ma come vi ho detto, con la osservanza dolce, sollecita e cordiale, ci sarà anche la carità dolce, vicendevole e fraterna che è il compendio del gran codice che è l’Evangelo. Nulla l’Evangelo ci raccomanda di più; e nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima preghiera che ha fatto al Padre, quando era circondato da tutti i suoi discepoli disse: Ut unum sint! Padre, che i miei discepoli siano una cosa sola, fa’ che non se ne perda nessuno... La carità è il precetto proprio di Cristo e in questo si differenzia essenzialmente la religione vera da tutte le altre religioni false e bugiarde, tanto che l’Apostolo, quando ha voluto dare una definizione concisa di Dio, ha detto che Dio è carità e chi rimane nella carità rimane in Dio e Dio in lui: «Qui manet in caritate in Deo manet». L’osservanza delle regole nella carità cordiale e la carità fraterna nella osservanza sono il più dolce vincolo di perfezione che avvince tutti e fa tutti cor unum et anima una. L’osservanza delle regole e la carità fraterna sono il più dolce vincolo di perfezione (Par. IX,489–490).
Vedi anche: Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Piccola Opera della Divina Provvidenza,
Cristianesimo
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In che cosa sta la superiorità del Cristianesimo? Sta nelle opere della bontà. Cristo venne con la bontà, non con la filosofia, non con la spada, non con l’eloquenza, venne con il cuore, con la misericordia, con il perdono, con l’olocausto, con la carità che è pietà di madre in terra e patria non conosce altra che il cielo. È la carità che sull’arco della Piccola Casa è sintetizzata nelle 4 parole di San Paolo: «Caritas Christi urget nos dilatentur spatia Caritatis». L’anima di tutto al Cottolengo è Dio: Deus caritas est. Cristo è il divino olocausto della carità, la carità è il distintivo come è il precetto di Cristo: amatevi a vicenda, in questo si conoscerà se vi amate! Diligite alterutrum. Non dite di amare Dio che non vedete, se non amate Dio nell’uomo che vedete: nei poveri è Dio (Scr. 61,178).
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L’amore universale si annuncia come un bisogno dell’uomo, ma non è realizzabile se non è animato dal soffio ardente della religione di Cristo solo in cristianesimo realizza questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del suo Vangelo. Oh che i nostri cuori siano riempiti dell’amor di Dio! Il regno di Dio consiste nella giustizia, nella carità, nella pace e nella gioia che vengon dallo Spirito Santo (Scr. 61,238).
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Il Cristianesimo è il solo fondamento sul quale possa riposare sicuro l’ordine generale e la salvezza di un popolo, il principio e la regola dello sviluppo e della salvezza sociale (Scr. 69,340).
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Noi dobbiamo volere un popolo che si ispiri al Cristianesimo, si rigeneri nel Cristianesimo, si nutra e viva del Cristianesimo. Voi vedete che le masse operaie furono, in parte, sedotte da una propaganda nefasta, da teorie anticristiane, materialiste, sovversive che le alienarono dalla vita cristiana e le vanno disamorando dalla famiglia e dalla Patria. La febbre del malcontento agita il proletario: vi è chi vuole fare l’operaio nemico di Dio, strappare Gesù Cristo dalle officine, scacciarlo dalla casa e, se fosse possibile, eliminarlo dalla società: se non si correva ai ripari, anche il Sud America avrebbe veduto tra non molto aprire Scuole e Università dei Senza Dio, come in Russia. Il Clero lavora, ma, suo malgrado, non può sempre arrivare a tutto: ben sovente è insufficiente per numero. Uomini di azione Cattolica, il Santo Padre Pio XI ha fatto di voi un organismo, una istituzione; gli Ecc.mi Vescovi vi hanno tracciato un programma: voi dovete sostenere il Clero; Voi siete chiamati dall’augusta parola del Vicario di Cristo a collaborare all’apostolato stesso della Chiesa per la difesa della fede e del buon costume, per la diffusione dei principii religiosi, per lo svolgimento di una sana e benefica azione sociale cristiana. Voi i chiamati a collaborare con il Clero, per la restaurazione cristiana della famiglia e della società. E molto da Voi e la Chiesa e la Patria aspettano! (Scr. 72,12–13).
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Tutto il Cristianesimo si riduce alla questione: Gesù Cristo è Dio? Se è Dio, divina è l’opera sua, divina è la Chiesa, non ci resta che adorarlo e accettare, con fermissima fede, la sua dottrina. Ora Cristo ha detto: Io sono Dio! (Gv 10,38). Ma doveva provarlo e Gesù Cristo lo provò splendidamente con le opere che solo Dio poteva fare: opere di numero, di carattere, di forza dimostrativa irresistibile. Cristo è circondato di tanta potenza, di tanta sapienza, di tanta santità, di tanta luce divina, che è necessario credere alla Sua parola. “Le opere che io faccio rendono testimonianza alle mie parole: se non credete alle parole mie, credete alle opere”. Tra le opere che provano che Gesù Cristo è Dio, primi vengono i miracoli: “Solo l’ateo può negare la possibilità del miracolo: chi ammette Dio e nega la possibilità dei miracoli, dovrebbe essere mandato al manicomio”, diceva Rousseau. Ora la critica più rigida, più implacabile, deve cedere le armi dinnanzi ai miracoli di Cristo (Scr. 76,134).
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La carità è la virtù propria del Cristianesimo: in questo conosceranno se siete miei discepoli, se vi amerete a vicenda. Il nostro cuore deve essere un altare da cui su cui arda il fuoco della carità e il fuoco che arde deve essere la nostra stessa vita: il fuoco dell’amore di Dio verso il cielo, il fuoco dell’amore del prossimo verso i fratelli (Scr. 79,339).
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Il mondo civile è governato principalmente dal pensiero e dall’amore e nessuna cosa ha tanta efficacia nel pensiero e nell’amore buono, quanta il Cristianesimo, onde ne segue che il Cristianesimo, principalmente, governi oggi il mondo civile. È un governo questo or pacifico or combattuto, spesso negato o contraddetto, che in alcune ore della vita, e qui le ore sono anni, par vinto e annientato dal torrente delle umane passioni; ma è un governo di amore, che Dio pose nell’universo e che perciò non verrà mai meno. L’amore dunque, e non l’odio, potrà comporre le divergenze tra le diverse classi sociali e placare gli ardenti e faziosi partiti, che oggi rendono incerto l’avvenire della patria e del mondo. Solo un grande, sovrumano, un divino Amore. E quest’Amore non può essere che Cristo, Cristo solo scioglierà il grande problema, gettando una grande luce di misericordia sugli uomini; una luce che mostri quanto poco valgano i beni terreni in paragone dell’oro della sapienza evangelica e dell’amore fraterno. E lo risolverà la sua Provvidenza, per mezzo del Cristianesimo, con un apostolato di fede, di pace, di carità (Scr. 79,358).
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Il Cristianesimo è il più grande fatto della storia umana; la civiltà stessa che si sviluppò presso tutti i popoli, e che ormai va conquistando l’universo, è essenzialmente cristiana. Ebbene, ascolta allora Dante: “Se il mondo si rivolse al Cristianesimo, diss’io, senza miracoli, quest’uno è tal che gli altri sono un centesimo” (Par. XXIV). E perché? Perché il Cristianesimo è tal religione che l’ammettere abbia potuto diffondersi così rapidamente e largamente diffondersi, senza miracoli, non è cosa neanche da supporsi: pensare sul serio cos’è il cristianesimo, e il mondo da lui conquistato, e poi suppor quello, sarebbe da pazzo. I fondatori, i riformatori di religioni hanno sempre sentito il bisogno di transigere, anche reagendo. Cristo non così. Egli viene a completare, a perfezionare la legge, non a transigere, non a distruggere. Distruggerà l’odio, il vizio, il formalismo, oh questo sì! Il Cristianesimo è guerra senza quartiere all’egoismo, all’avarizia, alla disonestà pubblica e privata, ad ogni ipocrisia, ad ogni ingiustizia, ad ogni male. Il Cristianesimo è una fede divina: è morale altissima, è aspirazione incessante al bene, alla virtù, a nobilitarsi. È culto di Dio, spoglio di superstizione: è unione a Dio coll’orazione, coi Sacramenti, è amore dolcissimo, filiale al Padre che è nei cieli: è tutta una religione sovrannaturale (Scr. 82,9).
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Il Cristianesimo è quanto vi ha di più puro, di più filosofico, di più grande. «Non havvi altra religione che abbia tanto influito ad avanzare l’incivilimento, ad abolire la schiavitù» (Pellico, Doveri, III): a farci sentire che «tutti fatti a sembianza d’un Solo, figli tutti d’un solo Riscatto, siam fratelli!». Nessun’altra religione è più madre con gli umili che la Chiesa Cattolica e nessuna più sublime, nessuna più splendida di santità e più misericordiosa coi caduti, nessun’altra più umana e nessuna più fulgente del carattere di divina. Tre sono oggi le religioni che si contendono il primato dell’umanità: il Buddismo, l’Islamismo, il Cristianesimo. Si capisce la propagazione dell’Islamismo, si capisce anche la propagazione del Buddismo; ma non si capisce, senza miracoli, e non si capirà mai la propagazione del Cristianesimo e, specialmente, la vitalità e il progresso mirabile della Chiesa Cattolica, che è la Chiesa Madre, la vera Chiesa di Gesù Cristo, che custodisce integro il deposito della rivelazione. Ma il Buddismo non è, propriamente, una religione, perché non è una fede. Il Buddismo rese schiava la volontà, ma lasciò libera l’intelligenza. Non ha una fede, ed ha una morale egoistica e monca, mancante del senso dell’amore e della giustizia. No, non sarà nel Gange che andrà a tuffarsi l’umanità! L’Islamismo poi ha una fede sì, ma non ha morale. Maometto rese schiava l’intelligenza, ma lasciò che le passioni rompessero ogni freno e s’impose con la violenza e con la scimitarra. No, finché‚ l’uomo avrà il sentimento della sua libertà, della sua dignità, la scimitarra non trionferà sulla croce: il Corano non regge al paragone del Vangelo. Il Vangelo non lusingò le passioni e non s’impose per forza d’armi; vuole che liberamente si accetti una dottrina che è severa con la intelligenza, e una morale che è fatta per strappare l’egoismo e il vizio. Non è persuasione di umana sapienza, no, ma dottrina che ai Giudei è scandalo, ai Greci stoltezza. Il Cristianesimo come poteva, senza miracoli, conquistare il colosso, che si chiamava Roma, e piantare la croce sul Panteon, e sul Campidoglio? Nessuna nobiltà di sangue scorreva nelle vene dei dodici cui Cristo disse: andate e battezzate! Nessuna potenza di umano ingegno posero essi alla grande impresa: erano figli del popolo, e nessun raggio di singolare intelligenza brillava sulla loro fronte. Erano stati chiamati dalle rive dei laghi e dal telonio, erano figli di quella Palestina che, ormai, era ridotta a un paese semi–barbaro. Ecco chi sono gli Apostoli a cui Cristo affida la missione di evangelizzazione del mondo: sono degli inermi non solo davanti alla forza di Roma, ma anche davanti ai sapienti di Grecia. E non coll’oro, poveretti, vanno alla conquista dei popoli! «Pier cominciò senz’oro e senz’argento», fa dire Dante a San Benedetto. Che se ai dodici si aggiungerà Paolo, pieno d’intelligenza e di sapere, egli, anche agli Ateniesi, dall’intelletto superbo, non parlerà con il genio di Socrate né con la dialettica di Platone, ma predicherà Cristo, e Cristo Crocifisso, dinanzi a cui tutti dobbiamo cadere, in ginocchio, adorare ed imitare! Tanto che quei dotti dell’Areopago risposero: di questo, povero giudeo, ti sentiremo a parlare domani. Ah, domani? Ebbene, sì, anche domani. Cristo è Dio! Egli è di ieri, è di oggi, e sarà di domani. Christus heri, hodie et in saecula! I semi indistruttibili che Cristo ha seminato nell’umanità ecco che vengono maturando, malgrado la zizzania dell’uomo nemico. Fratelli, alzate lo sguardo, e vedete quale luce si diffonde: è l’aurora del trionfo di Dio! L’avvenire appartiene a Cristo! Cristo è il Verbo divino che rigenera: è la Via di ogni grandezza morale, è la Vita di ogni libertà! Cristo è la sorgente di amore e di pace donde ogni cuore deve sperare conforto: è la luce da cui ogni popolo, ogni democrazia può sperare incremento. L’avvenire è di Cristo! Questa guerra non è, per un lato, che il grande fallimento, il vero rogo dell’imperialismo e di tutti quei falsi valori che non sono Cristo. La lampada di Cristo arde e risplende di luce meravigliosa, consolante, divina, tenuta alta dalla santa Chiesa di Dio: oggi tutto il mondo guarda là, guarda a Roma! Quelli stessi che, sino a ieri, s’illusero di farne a meno, oggi, per dire ai popoli ancora qualche cosa, hanno pur bisogno di attingere olio e luce di là: essi già s’incamminano a Canossa: già ripetono, più o meno, la parola di Roma. La carità di Cristo colmerà di amore i solchi aperti dall’odio: il palpito del cuore di Dio si va trasfondendo nelle nostre anime purificate, noi viviamo di Cristo e faremo vivere tutto il mondo di Lui! L’avvenire è di Cristo! Cristo! ecco “il divino straniero” che si avanza al grido angoscioso dei popoli che anelano a Lui! Cristo! Ecco ch’Ei viene portando sul suo cuore la Chiesa e nella sua mano le lacrime e il sangue dei poveri, la causa degli umili, degli afflitti, delle vedove e degli orfani! Sono i tesori, “i poveri sono il Regno di Dio”: e Cristo è Dio! Nuovi orientamenti e ascensioni, nuove sociali franchigie «annunziano i cieli, e genti nove: nove conquiste, e gloria vinta in più belle prove: nova...pace!». O Gesù, Tu sei la franchigia, Tu la gloria, Tu la pace! Tu sarai l’amore, la vita, l’adorazione dell’umanità (Scr. 82,9b).
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Il Cristianesimo non è e scuola umana; è divina scuola che nutrisce ed educa: non è solo luce dello intelletto ma è pure vita morale del cuore. Santa cosa dunque è ogni opera che tenda a dilatare, diffondere e rendere quasi cibo e vita della società l’insegnamento cristiano e il promuovere l’istituzione di Convitti religiosi che salvino la fede dei nostri figli (Scr. 94,59).
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Fuori del Cristianesimo ogni sviluppo della attività umana conduce ad un errore o ad una colpa. L’educazione senza religione è quale un libro, cui è tolto il principio e la fine. Un’ipotetica educazione senza fede, non fa l’uomo, non lo educa, ma lo corrompe, non edifica, mina; non migliora, perverte; non è un ordine, è un’anarchia. Senza religione, manca l’elemento morale, l’ingegno non s’infiamma a quelle nobili idee, a generosi entusiasmi che in altri tempi elevava il cuore della gioventù italiana: l’ingegno non frutta, o frutta vergogne. Senza gli onesti e forti caratteri una nazione non vive, e il carattere nasce dal culto di idee morali che senza religione sono ignorate o derise. Storia dei tempi, testimone fedele della verità (Scr. 102,98).
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Solo il Cristianesimo dettò il vero concetto della vita. La vita non dev’essere una festa, un piacere, davanti ad un Dio, che muore confitto in croce; non dev’essere disperazione, davanti ad una speranza eterna; non deve essere virtù ribelle, davanti alle eroiche virtù di un esercito immenso di Santi. Il vero concetto della vita è questo: conoscere Dio, amare Dio, servire a Dio e Dio nel prossimo nostro. Conoscere Dio e, per conoscerlo, studiarlo sul libro a tutti aperto della Creazione e nell’insegnamento della Chiesa. Amare Dio, perché ce lo comanda, e perché lo merita. Servire Dio perché anima, mente, cuore, facoltà, ingegno, corpo, salute, ricchezza sono tutti doni di Dio. E Dio non vuole essere servito solo astrattamente, ma nel prossimo, specialmente negli umili, nei poveri, nei derelitti (Scr. 104,244).
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La carità non è realizzabile se non è animata dal soffio ardente della religione, e non d’una religione qualunque, perché solo il cristianesimo, tutte le altre escluse, seppe realizzare questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del Suo Vangelo. Con Gesù Cristo e a partire da Lui, la religione diventa ispiratrice di carità, e con Lui è talmente congiunta che la religione, senza amor del prossimo non è riguardata che come un’indegna ipocrisia (Scr. 109,272).
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È un dovere, è una legge del Cristianesimo, non solo l’amore del prossimo, ma – oltre il voler bene a chi ci fa del male – anche il vincere il male con il bene. Così hanno sentito tutti i veri cristiani, tutti quelli che hanno voluto seguire e praticare l’insegnamento, la dottrina di Gesù Cristo, quelli che vivono in sé lo spirito del Signore (Par. XI,310).
Vedi anche: Anticlericalismo, Chiesa, Socialismo, Società.
Critica
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Delle volte si parla e con troppa leggerezza si parla e si critica e si mormora finanche: si crea così il malumore tra noi e certi enti morali da cui magari noi si dipende. E si chiacchiera e si lascia chiacchierare a proposito ed a sproposito contro certe amministrazioni che non fanno, o che non hanno fatto subito quello che avrebbero dovuto e che riteniamo avrebbero già dovuto aver fatto. E lì, dai contro questo e dai contro quell’altro. Oggi sarà contro una Congregazione di carità, domani sarà contro la direzione di una cucina economica, etc. Non voglio più che si dica: «La Congregazione di carità non fa: la Congregazione di carità non ha fatto, et palam et publice: La Congregazione di carità qui, o la Congregazione di carità là». No, no, cari miei figlioli, queste cose, se anche fossero vere, non si devono dire che con il Superiore e non se ne parli mai più fuori perché io solo so il male che questi modi di dire possono fare e forse hanno già fatto, raffreddando le nostre relazioni anche con persone perbene e bene intenzionate ad aiutarci (Scr. 20,92–93).
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Vi stia a cuore l’unione, il massimo dei beni e allontanatevi da ogni spirito mormoratore e dai seminatori di critiche e di zizzanie: vi stia a cuore l’unione; lo Spirito del Signore è spirito di unione, di pace, di carità. Il nostro vincolo è Cristo! Guai a chi spezza Cristo e infrange l’unione: la forza dei religiosi sta nell’unione. L’unione in Cristo ci avvicina, o miei figlioli, benché lontani e ci fa abitare insieme con lo spirito, siccome fratelli e il luogo dove abitiamo è Cristo (Scr. 26,148).
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Queste cose vi scrivo, o miei figlioli dell’anima e su di esse insisto, non perché io creda che tra voi non ci sia unione perfetta di spirito, docilità ai Superiori e pieno consentimento con essi e tra di voi, ma perché desidero rendervi cauti, onde non restiate presi dagli ami del diavolo, che tenta talora di far apparire lecite e più lodevoli certe cose fatte in disparte e di sotterfugio, certe critiche, che sono semi di zizzania seminati dal demonio e così il nemico ha ingannato molti, li ha accecati nel loro amor proprio e li ha fatti correre stolidamente a perdizione. Gettiamo via il vecchio lievito, inveterato e rancido, per trasformarci nel nuovo lievito che è Gesù Cristo e ricordiamo che buono è soltanto chi vive nella fraterna carità e una sia la preghiera, una la domanda, uno lo spirito, una la speranza, animata da un soffio potente di divina carità in tutte le nostre parole, in tutte le nostre intenzioni, in tutte le nostre opere e tutto guardiamo e il prossimo e i fratelli non con amore umano, il che facevano anche i pagani e potrebbe essere un grave pericolo per lo spirito, ma la nostra scambievole carità sia in Gesù Cristo! (Scr. 26,159).
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Lasciare affatto ogni permalosità, ogni critica, ogni giudizio o asperità, che disdicessero ad un sacerdote chiamato all’alto e delicatissimo ufficio di essere l’organo per cui Dio suole operare la purificazione delle anime. Voi mi perdonerete, caro Padre Serra, se vi parlo così chiaramente: credete che grande è l’affetto in Gesù Cristo e la stima che ho di voi, ma non vorrei che nel parlare o nel predicare ai chierici, o a tavola e in conversazioni con sacerdoti distruggeste con il vostro spirito di critica, quello che con altro lavoro aveste edificato. E così anche con il personale di servizio, vi raccomando molta pazienza, molta pazienza! (Scr. 33,173).
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Non criticare, non ti lamentare dei tuoi Confratelli, ma fa loro in X.sto «cor unum et anima una». Disprezziamo noi stessi e non desideriamo cariche, né onori dagli altri, se vogliamo essere religiosi sul serio, di fatto e di vita e non solo di nome (Scr. 34,100).
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Purtroppo, è raro, mio caro don Penco, che soffrano umilmente d’essere guidati quegli spiriti che si reputano superiori a tutti, che trascorrono i giorni nel giudicare, criticare e denigrare i loro Superiori: spiriti che ritengono di capire e di capire e d’essere aquile non comprese. Essi vogliono seguire il proprio parere, il proprio io e, ove non abbondino le loro idee, con il pieno rinnegamento di sé, si mettono a rischio di finire male, specialmente se religiose, più poi quando disertano la vocazione per prurito di riforma (Scr. 37,177).
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Fate voi di bandire ogni censura, ogni critica a questo e a quello, ogni mormorazione: bandite ogni discorso di cose profane, di cose leggere, di cose mondane, di cose secolaresche: tutte assai dannose nelle Comunità Religiose e in opposizione allo spirito dei Figli della Divina Provvidenza. Che la carità fraterna vi leghi nello spirito verace di Gesù Cristo, che la vostra convivenza sia reciprocamente utile, lieta, serena e di edificazione a vicenda. Amatevi ed edificatevi in Cristo a vicenda: amatevi come fratelli: come membri della stessa Congregazione, della stessa Famiglia Religiosa (Scr. 51,86).
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Evitate ogni critica, anzi ogni parola o atto contrario alla buona armonia e alla carità fraterna, con tutti: coi Superiori abbiate docilità, schiettezza obbedienza, con i compagni, con tutti i compagni, (senza eccezioni) siate tutto cuore, evitando, come già dissi, ogni dissapore o rottura. Vivete in ogni Casa uniti nella carità del Signore, siate cor unum et anima una, una sola volontà con il Superiore, aiutandovi fraternamente, amandovi santamente, non a parole e con la lingua, ma con l’opera e in verità. Tutti abbiamo i nostri difetti, bisogna saperci sopportare e adempiere così il precetto del Signore: «Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi Jesu», come ha scritto San Paolo. E così saremo veri figli della Divina Provvidenza! (Scr. 51,110).
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Per i tiepidi, per i leggeri, per i senza rimorsi: per quelli che vivono di sé stessi e non della Congregazione: vivono di amor proprio, per quelli che criticano con facilità i loro compagni, mormorano dei superiori, parlano senza tanto riserbo, pregano con divagazione, svogliati, si confessano per abitudine, senza emendamento di sorta, si comunicano senza fervore. Lasciano di fare tante opere buone, commettono tanti peccati veniali, vivono nella indifferenza del loro stato, dispiacciono grandemente al Signore (Scr. 55,57).
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Certi caratteri escludono ogni probabilità di vocazione: chi è facile all’ira, pronto all’ingiuria, tardo o negativo nel perdonare, chi è litigioso, cupido non deve farsi sacerdote. Chi non ha cuore nobile, generosità di sensi, magnanimità non deve farsi della Congregazione. Chi è insofferente di disciplina, restio all’obbedienza, facile alla ribellione, insubordinato, non deve farsi della Congregazione. Chi è sempre pronto alla critica, mordace, maldicente, mormoratore, volgare seminatore di zizzania, non deve farsi della Congregazione (Scr. 56,165).
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Ho sentito stamattina da don Artana qualche lagnanza da lei fatta per quelle mie parole dette la domenica di Pasqua a Mezzana. Tutti possiamo sbagliare: io poi ho parlato in pubblico e ciascuno può fare la critica di quanto ho detto. Ma la critica, almeno tra noi sacerdoti, deve essere leale e fraterna e fruttare un bene. Le sarò quindi grato, se vorrà direttamente farmi rilevare i punti e le ragioni per cui ella, caro prevosto, ritiene che io dovessi tenere altro linguaggio (Scr. 59,234).
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Certe cose non si dicono, non si devono dire, anche se sono vere. Così, non criticare mai le abitudini o i costumi del popolo tra il quale sei, mai! Mai! Mai! Pensa che ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi, rispettiamoli! E se anche qualche cosa c’è, tacciamo e lodiamo sempre il popolo tra cui viviamo. O dirne bene o tacere (Scr. 67,111).
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Evitate ogni mormorazione, ogni critica tanto contraria alla carità. Coi vostri Superiori siate come un libro aperto con tutti e singoli i fogli tagliati. Con i compagni non vi siano mai rotture o dissapori: Caritas omnia sustinet, ma vivete nelle case tutti uniti cor unum et anima una, in una sola volontà di servire e fedeltà a Dio e di aiutarsi fraternamente in umiltà gli uni gli altri. Tollerate i difetti altrui: tutti abbiamo i nostri difetti, bisogna saperci sopportare e adempire così il precetto di Gesù Cristo: «Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi Iesu», ha scritto San Paolo. Non amiamo in parole e con la lingua, ma con l’opera e con verità. Siate dunque tutta docilità e obbedienza coi Superiori e sempre tutto cuore con tutti i Confratelli e sempre e molto impegnati a cercare buone e molte vocazioni per la Congregazione. Solo così sarete veri figli della Congregazione (Scr. 81,238).
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La obbedienza fra di noi sia reale e sincera tanto verso i Superiori che nella osservanza delle Regole e nell’adempimento dei doveri inerenti agli uffici in cui si è proposti. Si evitino mormorazioni e critiche. Nessuno esca dalla Casa dove è posto dal Superiore per recarsi in altra Casa senza speciale permesso (Scr. 84,71).
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Eccetto il caso che il Superiore comandasse cose peccaminose, il nostro intelletto deve tenere: non giudicare, non criticare, non censurare, ma obbedire interamente, anche se la cosa comandata non sia di nostro gusto, anche se l’obbedienza richieda non lievi sacrifici, dolorose rinunce, forse umiliazioni. «Fate tutte le vostre cose senza mormorazioni, senza esitare, perché possiate essere figliuoli di Dio, semplici, senza lamentele ed irreprensibili» (San Paolo, Fil. II) (Scr. 118,103).
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Coi secolari si diventa facilmente di idee e di vita secolareschi, ci si perde sempre e in tutti i modi. Stiamo poi sempre guardinghi e lontani da persone, da gruppi, da conversazioni che vanno a finire nella critica, nella mormorazione od ostilità ai superiori, siano ecclesiastici che di Congregazione. Portate amore e rispetto a tutti i superiori, siano essi superiori alti o bassi, tenendo per fermo che, quanto più è, direi, da poco la persona alla quale si obbedisce per amore di Dio benedetto e tanto più meritevole è l’obbedienza e a Dio più grata (Lett. II,283).
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Siate semplici, della semplicità che piace al Signore: semplici nella vita, nelle parole, nella devozione, nell’obbedienza, nei giudizi, soprattutto. Non giudicate, non criticate e obbedite ai Superiori con grande semplicità. Più sarete semplici, più Dio si avvicinerà a voi. Nostro Signore e la Santissima Vergine si manifestano soltanto agli umili, alle anime semplici (Par. I,1).
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Nessuna mormorazione, nessuna critica! Guai a quella comunità in cui si trovano i seminatori o le seminatrici di zizzania. È per il bene vostro singolo e comune ch’io dico questo; perché una comunità, dove regna la pace e la dipendenza, è un paradiso; al contrario, è un inferno, dove regna la discordia e l’insubordinazione (Par. I,7).
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In tempo di ricreazione, come è bello vedere una ricreazione davvero fraterna, senza critiche, senza crocchi, senza capannucce, che indicano sempre mancanza di carità: senza peronospora, senza crittogama; e – ve lo dico in confidenza, ma che nessuna s’offenda – senza che ci sia della rogna, perché gli attaccaticci, le attaccaticce sono la rogna dei conventi (Par. I,143).
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Quando è che una religiosa è tranquilla? Contenta? Quando cerca le cose di suo gusto? Di suo genio? Quando dice: Così non va bene, mi piace più in quest’altro modo... così... e così? No, no! Quando entra questo spirito di critica, di osservazione in una casa religiosa, è finita, non c’è più lo spirito buono, lo spirito di Dio. Io faccio l’obbedienza e devo credere che chi parla e comanda è Dio (Par. I,182).
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Amiamoci, o cari, amiamo i nostri nemici, amiamoci fra di noi, ma di un amore puro e non sentimentale, di sangue e morboso, che esclude tutti gli altri; compatirci l’un l’altro, non mormorare, non criticare e non indisporre il povero. Come sono malcontento delle mormorazioni di Cuenca! Via i mormoratori, i sussurroni! Non pretendere che i Superiori siano senza difetti; avere un manto d’amore per coprire i difetti dei compagni; non tenere il muso. I secolari spesso ci insegnano a non mantenere il rancore; e quando in una Casa si va d’accordo c’è il paradiso. Togliere le angolosità, non avere spirito litigioso e non trovare da dire dappertutto; unità di cuore, niente contrariare, riferire, sussurrare, criticare, se si ode qualcosa contro i compagni; far morire tutto con noi. Non pungere chi fosse o è più indietro negli studi; fuggire le contese; quando non c’è pace si sta male; buttare sempre acqua sul fuoco; non dire parole ingiuriose, via i modi aspri. Stare sempre con la pace, perché dove c’è questa, c’è Paradiso; ove manca, o dove ci sono partiti, ci si sta come all’inferno (Par. VI,285).
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Ci sono tanti modi di lavorare secondo le capacità, secondo la salute... L’importante è questo: non stare oziosi, non bighellonare, non girare come i frati mosca di qua e di là, a chiacchierare, a mormorare, a criticare, ma senza però far niente! Quanti sono abili nel dare pareri! Ce ne sono degli abilissimi! Sicuro! Ma poi se si tratta di mettere sotto la testa, di sgobbare, di facchinare, sono pieni di lamentele, di acciacchi, di mal di testa (Par. VIII,213).
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Tutti abbiamo i nostri peccati, tutti abbiamo i nostri difetti, le nostre piaghe morali, le nostre macchie, i nostri peccati. Che nessuno si dia alle mormorazioni, alle critiche: tutte cose che raffreddano l’amore, anzi lo estinguono. Con un manto di amore e di carità copriamo gli uni i difetti degli altri, con la pietà e con tutto quello che è e deve essere la vita della Congregazione. E poi confortiamoci a vicenda; diamoci la mano e camminiamo insieme guardando in alto. Che bella cosa sentirci tutti una cosa sola e un’anima sola (Par. IX,360).
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I mormoratori, i seminatori di zizzania e quelli che sono assai portati alla critica e che non sanno vedere la trave negli occhi propri mentre non sanno che vedere la brusca di paglia negli occhi del proprio fratello, non si faccia della Congregazione. Mi rincresce dover volgere lo sguardo sull’anno passato. L’anno passato ho avuto qualche dispiacere. Uno dei dispiaceri è stato lo spirito di critica e di mormorazione. Nell’Esodo si legge che Dio disse agli Ebrei: O Ebrei, voi non mormorate contro Mosè, ma contro il Signore. Gli Ebrei furono condotti da Mosè fuori dell’Egitto e in Egitto avevano le cipolle (dovevano ben essere buone quelle cipolle di Egitto); Mosè, il grande legislatore, fece tanto per loro ed essi mormoravano per quelle cipolle: gli Ebrei si lamentavano di Mosè... e il Signore si è lamentato di loro. Il che vuol dire che quelli che mormorano contro i loro fratelli, i loro assistenti, i loro Superiori, non mormorano contro i fratelli, gli assistenti, i Superiori, ma contro Dio, che è nei nostri fratelli, che dobbiamo vedere in quelli che sono stati posti dalla Divina Provvidenza a dirigerci e a guidarci (Par. IX,450).
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Si vede subito, dal modo con cui parla, se uno ha spirito di pietà; se non mormora, se non critica, se non ne ha sempre una; invece se ha spirito di unione, di concordia. In tutte le cose si vede lo spirito buono, se la pietà è soda, verace e non solo incenso, fumo (Par. X,188).
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Il religioso “servo” ama farsela, se la fa, con i secolari e alla secolaresca. I suoi discorsi sono piuttosto discorsi secolareschi che discorsi da buon religioso; le sue abitudini sono piuttosto abitudini da secolare che da buon religioso. È facile alla critica, mette avanti, tra i Confratelli, sempre la critica. Per lui i Confratelli hanno un debole; anche nei migliori sa trovare qualche lato debole ed egli si cura sempre di metterlo in vista. Nei suoi giudizi pende sempre verso la sinistra e mai verso la destra. È sempre con i più freddi, con i burloni di professione (Par. XI,59).
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Proponete fin d’ora, fin da questi primi giorni dell’anno scolastico, di mortificare, di governare la vostra lingua, di moderarla, di evitare ogni censura, ogni parola, ogni mormorazione, ogni critica che potesse inagrire la carità fraterna. Che oggi, domani, sempre, i vostri cuori – come i cuori e le menti dei primi cristiani – siano un cuore solo e un’anima sola (Par. XI,190).
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I mormoratori, i seminatori di zizzania, quelli che sono facili alla critica e che trovano sempre alcunché da dire sul conto degli altri, che non vedono, che non sanno vedere che la brusca di paglia nell’occhio dei fratelli, non si facciano della Piccola Opera della Divina Provvidenza. A meno che con la preghiera, con lo sforzo continuo, non cerchino di modificarlo in meglio, il proprio carattere (Par. XI,293).
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In questa Casa c’è l’abitudine di criticare, di sussurrare, di giudicar male, di portar male con molta facilità, con molta leggerezza, anche dei Superiori, l’abitudine di avere a che dire contro i compagni, di gettare la zizzania, in una parola, di gettare il malumore in Casa, qualche volta anche la calunnia. Ed ho dovuto dire a me stesso: Certo, è vero! Ho dovuto convincermi che è questo uno dei difetti della Casa: la mormorazione, il sussurrare, il giudicare con una leggerezza spaventosa, il dir male, la maldicenza! (Par. XI,313).
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Bisogna che noi evitiamo la critica in noi e che la critica si diffonda né tra i Chierici né tra i religiosi delle nostre Case. Ho capito allora il perché di certe parole molto forti contro i mormoratori. Dunque vuol dire che Don Bosco, qual grande educatore vedeva il male che fanno nelle Congregazioni le critiche, i sussurroni. Evitare le critiche. Bisogna che noi sacerdoti portiamo in Congregazione lo spirito di famiglia, però bisogna stare attenti che non serpeggi tra noi lo spirito di critica perché sarebbe un male fatale. Il Chierico dalle critiche che sente fare dai Sacerdoti ne rimane male impressionato. Avere con i Chierici una unione lieta, paterna; e se mai hai veduto che sulla gamba del tuo fratello vi è una piaga, non essere tu quello che debba alzare l’abito per far vedere a tutti la piaga del fratello. Non per nulla Dio maledisse colui che scoperse la nudità del padre. La scrittura parla chiaro. Dobbiamo avere per tutti un manto di bontà, di carità fraterna da coprire i difetti gli uni degli altri e ritengo che quando l’Apostolo diceva «alter alterius onera portate», intendeva di animarli a sopportarci nelle nostre debolezze e quindi di non demolirci a vicenda. Ne parlerò anche ai novizi. È terribile questa malattia morale. Quando si attacca difficilmente si riesce di liberarcene. È come una crittogama, una peronospora morale. Talora giunge al punto di inventare ciò che non esiste e propala non solo quello che può essere vero e che pur bisogna cercare di spegnere, ma delle volte lo spirito di critica nasce anche da bassa passione di gelosia (Riun. 26 agosto 1937).
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Evitare con ogni impegno le mormorazioni, le critiche. Vi sono individui che vedono le cose non nella luce ma nella nebbia. Impedire questa rogna nei Chierici. Impedire che vadano avanti coi voti e nelle Ordinazioni i Chierici mormoratori, sussurroni, mettimale, i golosi. Stringere: meglio dieci di meno che uno in più (Riun. 14 luglio 1939).
Vedi anche: Calunnie, Correzione fraterna, Gelosia, Mormorazione, Pettegolezzi.
Croce
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Avere un gran cuore e una più grande carità, e vivere la divina follia delle anime. Noi dobbiamo essere gli inebriati della carità e i pazzi della croce di Cristo Crocifisso; ma forti, non fiacchi (Scr. 1,272).
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Caro figliuolo mio, vi esorto proprio nelle viscere di Gesù Cristo Crocifisso di cominciare ad operare in Voi un salutare distacco da tutto ciò che non è Gesù e Gesù Crocifisso. Lavorate e martellate voi stesso e la vostra volontà, riempitevi di una grande carità e umiltà e annegazione religiosa, non di Seminario; dedicatevi tutto al Signore, crocifiggendovi nel Signore Nostro Crocifisso. Gesù si ama in Croce! Nella nostra crocifissione in Gesù e per Gesù troveremo la vita. «Beatus ille servus quem, cum venerit Dominus eius, invenerit sic facientem (idest semper crucifigentem se)» (Scr. 4,5).
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Andiamo avanti insieme, cioè d’un volere e d’un amore, insieme! Questa è la forza della nostra vita religiosa. Per amore di Gesù prendemmo la croce, per amore di Gesù perseveriamo in croce! Sarà nostro aiuto chi è nostro Duce e ci va innanzi. «Deus noster pugnavit pro nobis! Viriliter agite!». Su, virilmente, o miei Cari, Gesù è con noi! (Scr. 4,240).
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Del resto siete sulla terra della Santa Croce, e Gesù ci ha detto di prendere la Croce e di seguirlo. Dove? In Croce, evidentemente. Noi dobbiamo conformarci in vita al Crocifisso; ho letto solo ieri in una lettera di S. Caterina da Siena: «unitevi e trasformatevi e conformatevi a Gesù Cristo e in Gesù Cristo». E l’Imitazione di Cristo dice: «Perché temi di prendere quella croce, per la quale si va al regno?». E più oltre: «Non v’è salute per l’anima, né speranza d’eterna vita, che nella croce. Dunque prendi la croce, e segui Gesù; ché perverrai a vita eterna». Non c’è altare senza croce. Et «per multas tribulationes oportet nos intrare in regnum Dei»! Che la Madonna SS.ma ci assista e conforti e sostenga, sì che desideriamo di patire con Cristo, et multa pati pro Christo! (Scr. 4,257).
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Cari miei figliuoli, siamo contenti di soffrire qualche cosa per l’amore di N. Signore Gesù Cristo, e in penitenza dei nostri peccati, specialmente voi educatevi a patire con Gesù Crocifisso mentre avete il privilegio di trovarvi nei posti dove Nostro Signore nel dolore, nella umiliazione e sulla Croce ha operata la nostra redenzione (Scr. 4,272).
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Se hai una, due o più croci non le buttare da te, ma stringile al tuo petto, dacché la mano della Provvidenza t’ha portato sulla stessa terra dove Gesù ha patito tanto e portato la sua croce prima di noi e per noi. Ovunque andrai, troverai che la terra è coperta di croci, e ne avrai di quelle ben più gravi e dolorose che le presenti tue. Fa’ che il tuo occhio sia come il tuo cuore, pieno di carità verso di tutti e di compatimento. Figlio mio, non vedere sempre fosco e nero da per tutto; che l’amore di Dio e del prossimo renda il tuo occhio semplice e il tuo spirito non chiuso mai alla tolleranza e al compatimento verso tutti, ma specialmente verso quelli che Dio ti ha dato a fratelli e posti vicino. Le croci, vedi, sono prove infallibili dell’amore che Dio ha per noi. Che cosa si poteva giovare l’essere in Terra Santa, se poi non porti la croce? Vedi, per altro, che siamo sovente noi, con certe nostre fissità o con un pensar troppo piccolo che ci fabbrichiamo o ci facciamo diventare più pesanti le croci che Dio ci manda o permette (sempre a maggior bene nostro) che abbiamo (Scr. 4,286).
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Metti il tuo animo addolorato nel Cuore di Gesù Crocifisso, ed Egli ti consolerà. Porta con pazienza la tua croce e non la buttare: non voltarti indietro dopo aver messo mano all’aratro, e un giorno mi benedirai. Dammi ascolto ancora, ché io ti posso dire di essere l’amico e il padre sincero dell’anima tua e del tuo vero bene. Confida nel Signore: prega e patisci per l’amore di Dio: Egli ti pagherà di tutto (Scr. 5,316).
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Morire a noi stessi, e solo vivere in Cristo, e in Gesù Cristo Crocifisso: «Gesù si ama e si serve in Croce; e chi non lo ama né serve in Croce non lo ama né serve affatto». Così diceva il Ven.le P. Ludovico da Casoria. Dunque animo, caro Don Adaglio! (Scr. 5,422).
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Le tribolazioni, le mortificazioni, le croci, che ci manda il Signore o che il Signore permette sono prove infallibili del suo amore. Noi saremo come Gesù ci vuole, e veri seguaci di Gesù Cristo solo se porteremo la croce come Lui e con Lui (Scr. 5,451).
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Tutti siamo nati a santificarci sulla croce. Sappiamoci adattare alle divine disposizioni; la croce è formata da due sbarre sovrapposte trasversalmente: mettiamo sempre la nostra volontà e la stessa nostra vita in modo che combacino con la volontà e la vita del Signore, e le croci scompariranno nell’amore di Dio (Scr. 5,475).
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Pregare, tacere in umiltà, patire con Gesù Crocifisso e adorare! Questo è il miglior modo e l’unico vero modo di amare e di servire Gesù Cristo e la Sua Chiesa specialmente poi in Terra Santa. Leggimi con fede, caro Don Adaglio e con carità grande e spirito da buon Religioso e, se oggi, domani, posdomani, t’è dato di patire, di’ a Gesù che ti sia vicino e ti conforti, e poi benedicilo! E mai lo avrai cosi vicino e così Amico e così tuo! E più N. Signore ti dà un po’ della sua Croce, e più benedicilo e amalo. Sii lieto di credere nulla vedendo, e di amare e amare tanto, ma tanto Gesù, la Santa Chiesa e la tua Congregazione nulla godendo, ma patendo (Scr. 5,485).
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Senza forza d’animo e sacrificio non si serve Gesù Cristo, e Gesù Cristo non bisogna tirarlo giù dalla croce né come vogliamo noi, ma noi dobbiamo anelare a salire in croce insieme con Lui. Solo così si è Religiosi (Scr. 8,69).
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La Croce di Gesù è il nostro tesoro, è il vero centro d’unione, la nostra speranza, la nostra ancora, il nostro vero libro, il nostro vessillo. Fa’ meditare frequente i capitoli della Imitazione di Cristo sulla Croce, e ne trarranno gran frutto spiritualmente (Scr. 8,199).
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Sia questo il primo e massimo nostro impegno: annichilire noi stessi, rinnegare noi stessi, e formarci su Gesù Cristo, e su Cristo Crocifisso per misterium Crucis. E a questa scuola formare e plasmare i nostri Chierici: non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, la umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione tutti uniti di mente e di cuore in Cristo, in una parola, vivere Cristo (Scr. 8,209).
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Gettati tra le braccia di Gesù Crocifisso e della Madonna Addolorata, caro figliuolo mio, e in questi giorni che più vivamente ci ricordano la passione e la croce del Signore, non lasciarti scuotere dal dolore della vita presente e da queste tue prove e tribolazioni ben penose, poiché tu sai che a questo noi, seguaci di Gesù Crocifisso, siamo destinati: alla corona per tramite della croce, onde sta scritto «che dobbiamo entrare nel regno di Dio per molte tribolazioni». L’afflizione è momentanea e permessa da Dio a nostra purificazione ed elevazione a Lui: essa ci prepara un sempre più immenso ed incalcolabile grado di gloria, e ci fa intendere l’animo non alle cose e persone che si vedono, ma a quelle che non si vedono (Scr. 22,7).
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Non perdiamoci d’animo! Il Signore per emendarci, per farci tenere la testa bassa, per renderci più buoni, per renderci più simili a Sé, ci getta sulle spalle un pezzo della sua santa Croce. Che faremo noi? Abbracciarla! Abbracciarla! Abbracciarla la Santa Croce: non basta venerarla, incensarla sull’altare: bisogna amarla, abbracciarla, riceverla: Gesù si ama e si serve in Croce e crocifissi! (Scr. 27,128).
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Sono molto consolato che tu abbia fatto di N. Signore Gesù Cristo Crocifisso il rimedio a tutti i tuoi mali, a tutti i tuoi dubbi e tentazioni e agitazioni interne contro i superiori. Lavora e pensa sempre guardando a Nostro Signore in Croce: ti ripeto qui ciò che già ti ho scritto altra volta: Gesù si ama in Croce, e chi non lo ama in Croce, non lo ama affatto. Nelle piaghe e nel Cuore trafitto di Gesù Crocifisso troverai lume e forza e calma e ogni verace e divino conforto nei dolori e dispiaceri dell’animo (Scr. 29,4).
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Questa, o figliuol mio, è la nostra scienza, e la si impara alla scuola divina di Gesù Cristo Crocifisso. E allora si capisce San Paolo, il tuo santo, che diceva: una cosa sola io so: Gesù Cristo e Gesù Crocifisso! Una cosa sola predico: Gesù Cristo e questo Crocifisso! Il Crocifisso è cattedra, la più alta cattedra: è libro, il più gran libro! E Bonaventura chiederà a San Tommaso dove ha imparato, e San Tommaso gli additerà il Crocifisso! (Scr. 31,224–225).
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Caro figliuolo, facendoti dei nostri, bada bene che dovrai vivere come crocifisso con il tuo Signore Gesù Cristo crocifisso, poiché dice bene il De Imitatione Christi: «vita boni religiosi crux est», il che vuol dire in pratica che Gesù si segue davvero, si ama davvero e si serve davvero in croce. E questa deve essere la vita del buon religioso: crocifiggere ai piedi di Gesù la nostra libertà, la nostra volontà, la nostra vita, tutti i nostri sensi e sentimenti, e ciò con la grazia che Dio dà sempre a chi lo prega (Scr. 32,2).
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Caro don Pedrini, allegro! Il Paradiso è nostro! Noi saremo felici e grandi, se la croce di Gesù sarà la nostra scienza e il nostro tutto: la croce è il vero nostro libro e il vero nostro centro d’unione. Sì, sì, caro don Pedrini, sempre coraggio, fondandoci e confidandoci tutti nel Signore (Scr. 33,34).
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Caro don Benedetto, ma sai che Gesù Crocifisso ti vuole un gran bene e che vorrebbe tu Gli dessi tutto il sudore e il sangue tuo? E che andassi predicando la Sua Croce e il Suo Amore per tutta Italia, e che fossi l’araldo del Crocifisso? Su, fratello mio, va’ a Milano, rivestiti del fuoco della divina carità, e dà gloria al Nome di Dio. Dilata i cuori e portali tra le braccia e sul Cuore trafitto di Gesù Crocifisso, questo umilmente ti chiede il Signore, e lo implora dal tuo cuore. Tu sarai l’umile servo del Crocifisso, e a Lui trarrai a tante le anime, aprirai una grande e nuova Crociata, finché ti consumerai stretto all’Agnello assistito dalla Santa Madonna. E sarà un grande bene per la Santa Chiesa e per la nostra Italia; vedi di far presto, caro don Benedetto, ad alzare su tutto e su tutti Gesù Cristo e Gesù Crocifisso: Gesù vuol regnare sed a ligno, Gesù vuol vincere, ma nella misericordia perché non ci sarà più altra salute e vita che alzare su tutti e su tutto Gesù Cristo Crocifisso (Scr. 34,63).
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Felice chi sa cavare il frutto dolce del santo amore di Dio: il frutto dolce del santo patire con Gesù Cristo crocifisso Signor Nostro e con la SS.ma Vergine addolorata, e sa cavare tale divino dolce amare e patire da questa radice amara! Oh beato chi, con la divina grazia, sa prendere la sua croce e seguire nostro Signore! E vestire la sua testa della corona di spine, e dire al Signore: Signore, mio dolce, aiutatemi! Datemi il pane nostro quotidiano: cioè, con il vostro divin corpo e sangue, datemi i vostri dolori, le vostre tribolazioni, le vostre amaritudini fatele provare anche a me che voglio essere vostro e tutto e sempre vostro, o Signore anche in croce! Anche in croce: anzi in croce, vostro in croce! (Scr. 39,14).
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Ho poco tempo, ma oggi è la esaltazione della santa croce, e voglio mandar loro almeno una qualche parola. Perdonino la brevità. La croce è il vero centro d’unione, è il nostro tesoro, la nostra scienza, il nostro tutto! Coraggio, e sempre avanti con Gesù, e vicini a Gesù, sui passi di Gesù! Noi saremo felici e grandi, se porteremo la nostra croce con lui. Le croci, che il Signore ci manda – o che permette ci vengano – sono prove infallibili del suo amore per noi: avanti, avanti con Gesù! Ecco, ho finito; ma no, voglio dire ancora qualche parola, dacché c’è ancora un po’ di spazio: dunque Gesù si ama e si serve in croce e crocifissi con lui: prendiamo la croce e avanti! Avanti! Aneliamo di morire sulla croce con Gesù (Scr. 41,165).
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Che pensate, o mio buon padre, che ne abbia salvate delle anime più la vista di Gesù in croce o la vista di Gesù che predica alle turbe? io penso la vista di Gesù in croce. Dunque coraggio: cum exaltatus omnia traham ad me. Coraggio, o mio buon padre, animo grande! Non vi perdete di coraggio! Io non vi ho mai voluto bene come io questo momento e siamo tanti che vi vogliamo bene e pregheremo per voi. Anche il nostro caro Signore io sono sicurissimo che ora vi ama più di prima e vi sta più vicino. Ah, la croce è la strada che egli apre davanti ai suoi ed è la più certa e la più breve per giungere a lui. In un momento di grandi dolori sono andato ad Assisi a cercare un po’ di vera letizia e là nella basilica d’Assisi ho veduto lo sposalizio di San Francesco con la povertà! E allora mi è venuto in mente: oh se avessimo un Giotto da darci lo sposalizio di Cristo con la croce! Gesù la sposò fin dal primo momento di sua vita! Voi d’ora innanzi quando parlerete del dolore salirete una nota più alta e gettare nei cuori una parola di conforto più soave! Stiamo in croce, stiamo in croce, stiamo in croce! E non andiamo e pensare di andare giù dalla croce. In croce è la nostra esaltazione! Buttiamoci in Gesù crocifisso, che porterà tutte le nostre infermità e le nostre croci. Non ve la prendete, o mio buon Vescovo e tenetemi sempre in croce con voi, che possa un po’ salvarmi anch’io con l’aiuto della Madonna SS.ma (Scr. 45,32–33).
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Chi ama Dio si piglia in pace le pene e le afflizioni di questa breve vita e guarda, in su e trova il Signore e guarda in giù e trova il Signore e da per tutto trova il Signore, che lo consola, perché egli lo porta dentro di sé e fin nella punta delle sue spine trova il Signore e là trova che il Signore c’è proprio tutto e che è proprio lui, con tutto un sapore dolcissimo, che non vi so dire; ma che sanno bene le anime che lo amano perché Gesù, diceva il buon padre Ludovico da Casoria, Gesù si ama si gusta in croce e chi non lo ama in croce non lo ama affatto e non sa che sia Dio, perché non ha mai gustato il suo Signore. Gesù in croce è ben più che la dolcezza del monte Tabor, ben più, ben più! o dolci spine, o dolori dolci di chi ama Dio, siete ben dolci, se, parlando di voi, ogni più eloquente parola è sempre insufficiente! Chi ama Dio, gode sempre. Nell’amore di Dio consiste la nostra perfezione e quelli che vivono di questo amore celestiale hanno il dono di mutare in rose le spine e in soavissime dolcezze le pene più amare della vita. In essi è un’armonia di terra e di cielo, una luce e un fuoco, in cui ciò che è terreno s’irraggia e s’infiamma di ciò che è celeste e tutto diventa celeste. Molti vi sono che patiscono e si lamentano: perché non amano; non vedono le croci e le spine nella luce dell’amore di Dio e quindi sentono tutti i dolori e li sentono più gravi ancora di quel che siano. Ma quello che a tanti nostri fratelli par amaro diventa, a chi ama il Signore, molto dolce e saporito, onde Sant’Agostino diceva: amaritudo nostra dulcissima! (Scr. 58,214).
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A noi cattolici, cui è una gloria, non scevra di doveri, l’appartenere alla Chiesa, è affidata la croce per difenderla e tutelarla: per servire con essa o sovr’essa la grande causa di Dio e della umanità. Teniamo alta sul nostro cuore la croce e lavoriamo! Lavoriamo e combattiamo, giacché Dio vuole che il pieno trionfo della sua croce sia preparato da noi. O crux, ave! O croce santa, imporporata dal Sangue del mio Dio: consacrazione della sua carità e della sua gloria: segno a cui mirano tante anime: motivo di tanti palpiti, io mi prostro davanti a te e mille volte ti benedico e mille volte ti amo! Tu, altra volta patibolo degli schiavi, sei divenuto trofeo dei vincitori! Ave, crux! Tu vincesti la Roma pagana e per tua virtù dalla sua cadente civiltà uscì una scintilla di vita nuova (Scr. 61,62).
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Ho sempre creduto e supplicato che, sopra tutto tra i dolori e sulla sua Croce adorabile, Nostro Signore volesse crescersi questa piccola opera della Sua Provvidenza. Onde noi abbiamo sì, o miei carissimi figlioli, benedire Dio di tante consolazioni che Egli ci dà; ma non fermarci ad esse, che anzi più dobbiamo ringraziarLo e benedirLo Dio ogni qual volta Egli ci fa partecipi della Croce di N. Signore Gesù Cristo, in quo est salus vita et ressurectio nostra. Per cui vi esorto a supplicare ogni giorno la bontà di Gesù Crocifisso perché si degni di formarci veri religiosi con i suoi dolori e con la sua carità, beati se ci verrà dato di amarlo e servirlo come Lo servirono e amarono i Santi, cioè vivendo e morendo sulla Croce insieme con Lui (Scr. 62,21).
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Nostro Signore ha detto: Chi vuole venire dietro di Me, rinneghi sé stesso, abbracci la sua croce tutti i giorni e mi segua. Ebbene, se davvero, ma proprio sul serio, vogliamo amare e servire a Nostro Signore e alla Sua Santa Chiesa, nostra dolce Madre, non lamentiamoci più, ma rinneghiamo noi stessi e facciamo ogni giorno tesoro della Croce che il Signore ci ha dato e seguiamo Gesù in Croce (Scr. 66,90).
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Saremo come Gesù Cristo, felici e grandi, se porteremo la croce come Lui. Egli ci sta vicino e ci fa da Cireneo, coraggio! La Croce è il tesoro inestimabile e le croci che ci manda il Signore, sono prove infallibili del suo santo amore. La Piccola nostra Congregazione comincia ora il suo Calvario: ciò che abbiamo potuto patire è nulla: ora vedo Gesù che viene con la Sua Croce, viene con il suo dolore e con il suo amore. Corriamogli incontro: a noi la sua Croce e il suo dolore. Preghiamo e teniamo gli sguardi e il cuore in Gesù Cristo e in Cristo Signor Nostro Crocifisso! Viene l’ora, ma Dio sarà con noi! E la Madonna! Essa ci ha avuti per figli sul Calvario. Gettiamoci con la nostra croce tra le braccia della Madonna e stiamo sul Calvario, felici sul Calvario e in perfetta letizia: l’ora di Dio viene, ora di tanto amore, che nulla sarà il nostro dolore e nulla tutta la vita, data in olocausto a Gesù e alla Sua Chiesa! Preghiamo e avanti! (Scr. 68,81c).
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N. Signore Gesù Cristo Crocifisso è la nostra scienza, il nostro tesoro, il nostro amore, la nostra vita, il nostro tutto e la Croce è il nostro libro. Nella croce si trova ogni bene e la pace e nella volontà di Dio dimora tutta la virtù, la vera allegrezza e la felicità. La perfezione cristiana consiste nell’annientamento di noi stessi per l’amore di Gesù Cristo e a sua imitazione: consiste nell’amare Dio e il prossimo (Scr. 79,79).
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O miei figlioli, se davvero noi, per la divina grazia e per l’amore di Dio e del Papa e dei Vescovi e della Chiesa, abbracceremo le tribolazioni, le afflizioni e la S. Croce di Gesù Crocifisso e della Sua Sposa la Chiesa e ci annichiliremo anche sotto la mano della S. Madre Chiesa, quando così a Dio piacesse, baciandola e benedicendola e teneramente premendola sulla nostra testa, supplicando Dio che la sua volontà si compia sempre e intera nell’amore e nel dolore e la sua mano non si parta da noi, solo vivendo di amore per la croce e nella croce del Nostro Signore Gesù Cristo, pensando le pene di Cristo benedetto, le quali dobbiamo sostenere e amare per suo amore, allora solo cominceremo a vivere di Gesù e del Papa e ad essere davvero e a sentire davvero con la Santa Chiesa e con il Papa. Nella croce della tribolazione con Cristo è il nostro pane quotidiano; nella vita della umiliazione nascosta in Cristo e nella mensa del Signore: nell’amore dell’afflizione e nell’annichilimento di noi con Cristo e con il Papa, solo ci possiamo gloriare ed è perfetta letizia. Gesù e il Papa si amano e servono in croce e crocifissi con Loro, o non si amano o non si servono affatto (Scr. 90,348–349).
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Rinnegare sé stesse, togliere la S. Croce e seguire Gesù Crocifisso è tutto e tutto il resto è nulla. Oh quanto sarete voi buona serva di Dio e le vostre figlie buone serve di Dio e buone e davvero religiose, quando avrete conformata la vostra vita alla S. Croce di Gesù! allora sentirete la soavità di Gesù, in croce la sentirete: Gesù si sente in Croce, si ama in Croce. Tutte le anime che cercano Gesù altrove errano: errano gli Istituti che non si vogliono formare sulla Croce: errano errano tutti che cercano Dio altrove e la pace e la vita e la santità altrove. La Croce è la via del Paradiso, è la scala del Paradiso: non vi è salute per l’anima, né vi è speranza di vita eterna, se non nella Santa Croce. La Santa Croce deve essere il gaudio dello spirito perché essa è la perfezione di ogni santificazione. Loro la devono dunque abbracciare e stringere bene e ben forte e legarsela bene alle mani e ai piedi e al cuore da non distaccarsene più e che non ci sia né ferro né fuoco che le possa più staccare (Scr. 103,7–8).
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Con le tribolazioni Gesù vuol provare la nostra fedeltà ed esercitare la nostra virtù, purgando insieme quasi con il fuoco le nostre imperfezioni e così fa il Signore perché vuole che ci rendiamo simili a lui, essendoché è la croce che ci fa simili a lui, poiché Gesù si ama e si serve in croce e più siamo a lui crocifissi più egli ci riconosce e ama per veri suoi e solo in croce ci sentiamo suoi. Oh Croce benedetta! Croce di Gesù, nostro tesoro! Croce di Gesù, tu sola sei la mia scienza, il mio libro, il mio vessillo e il modello del S. Vangelo. O croce, vero segno che Dio mi ama! Tesoro inestimabile poco conosciuto, ma prova infallibile della santa carità di Dio per noi! Coraggio, buona Sig.ra Giuseppina Gambaro, coraggio a stringere la santa Croce e tante, tante, tante sante Croci! Domani viene il Paradiso che paga tutte le croci e il Paradiso sarà Gesù, proprio lui! Dunque la conforto nel Signore e la benedico e avanti in croce, cantando viva la Croce! E che tutte le pene e il cuore e la mente e la vita tutta sia un grido di slancio a Gesù crocifisso: dammi, o Gesù, dammi un po’ della tua croce! (Scr. 117,55).
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Per essere una vera Sposa di Gesù Cristo e figlia devota della Santissima Vergine, è necessario mortificare e reprimere la nostra natura ribelle: ricordate quel che dice nostro Signore nel Vangelo: “Chi vuol essere mio discepolo rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Abbracciate, dunque, coraggiosamente la vostra croce, giacché tutti ne abbiamo una; e se non l’avete, chiedetela alla Santissima Vergine. Chiedetele una buona croce e intanto sopportate con amore le croci inerenti alla vita comune; ma badate bene di non essere una croce voi per le altre! (Par. I,10).
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Oggi è la festa dell’Esaltazione della Santa Croce e la Chiesa festeggia la Croce che, da supplizio infamante, si è trasformata in segno di vittoria. Non ho il tempo di farvi un discorso, ma un pensiero sento di dovervelo dire, tanto più che Croce e Vita Religiosa sono due cose che formano una cosa sola. Gesù ha detto a quelli che vogliono seguirlo, che vogliono essere della sua scuola: Chi vuol venire con me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Dunque vuol dire che vita religiosa e croce sono una cosa sola, perché, in fin dei conti, cosa è la vita religiosa? È seguire Gesù più da vicino, sacrificandosi con lui e per lui. Per le persone del secolo basta seguire i precetti per salvarsi; ma per le persone religiose è necessario seguire i consigli evangelici, perché farsi religiosi vuol dire imitare Gesù in modo più perfetto. Gesù disse: Chi vuol essere mio discepolo rinneghi sé stesso prenda la sua croce e mi segua. E nell’imitazione di Gesù Cristo vi sono queste parole: La vita del buon religioso, che intende seguire nostro Signore, è croce! Croce, notate bene, che poi nostro Signore addolcisce, alleggerisce; ma è croce, è croce! E questo dobbiamo ricordarlo ogni giorno, perché tutta la giornata è una croce... Ora è qualche cosa che non ci va a genio, quantunque di genio nei monasteri non ce ne dovrebbe essere; ora v’è un urto con qualche compagna, un’obbedienza, un’infermità fisica, una malattia, una tentazione, anche a volte può essere una lode, perché, per un’anima umile, il sentirsi lodare è una vera croce... Quindi bisogna che tutti i giorni ci troviamo pronti ad abbracciare la Croce e a seguire il Signore ben vicine. Vi ho già detto tante volte che, nella vita spirituale, come insegnano i santi direttori delle anime, chi non avanza, va indietro; anche solo di un passo, ma tutti i giorni bisogna avanzare e chi si arresta non è atto a seguire nostro Signore... Chi si ferma e si gira indietro, corre rischio di restare una statua di sale come la moglie di Lot. Che bella festa è oggi! L’esaltazione della Santa Croce! Chiedete al Signore una buona Croce e che vi aiuti mentre voi la portate e vi faccia sante! (Par. I,82–83).
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Perché sull’Altare maggiore è bene vi sia sempre un bel crocifisso? Perché? Perché? Perché Gesù ci ha salvato in croce; la croce è bagnata di sangue; la redenzione del mondo fu data da Gesù sulla croce; la croce è la nostra speranza; tutta la nostra confidenza è Gesù. Ha voluto così, per dire a me peccatore e a voi tutti, che anche noi l’abbiamo messo in croce per i nostri peccati. Il Signore, anche da morto, ci aspetta sempre e ci ha voluto dire, con le mani larghe passate dai chiodi, che l’ha fatto per la nostra salvezza (Par. II,118).
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Tutti hanno la croce: o croce fisica o croce morale che è, alle volte, più pesante. Io vorrei che vi saturaste e trasformaste in sangue quel capitolo della Imitazione di Cristo che parla della croce. In cruce salus. In cruce vita, in cruce... La vostra croce è la vita comune. Mea maxima poenitentia vita communis. Ma cercate di vivificare la vita comune con lo spirito di fede. Se viviamo dello spirito di fede, anche certe piccole cose che sono inezie portano a Dio, portano ad affinarci nel servizio di Dio. Crocifiggere le nostre passioni. I tre chiodi sono i tre Voti che ci devono inchiodare sulla croce di Gesù Cristo. Questo dobbiamo fare per gustare le gioie serene e pure della risurrezione (Par. III,211).
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Per voi, cari figlioli, che siete venuti al Noviziato, penso e son sicuro che siete venuti con buona intenzione, siete venuti con la scure per levare le passioni, per modificarvi nella croce e per fare della Croce la bandiera della vostra vita: vita boni religiosi crux est! Gesù si ama e si serve in Croce: la Chiesa si ama e si serve in Croce. Gesù si ama seguendolo per i sentieri del Calvario: dobbiamo morire ai piedi della Croce e morire per Gesù in Croce. Dunque, se così deve essere per voi e per me, in questa festa facciamo esaltare in noi la Croce. Cuori e anime siano santificati in Cristo e sia allontanato da noi ciò che non è amore di Gesù Cristo. Se noi l’imiteremo, se noi lo ameremo, tutto in noi sarà rinnovato nella Croce. Nova sit omnia: nova i discorsi, nova i pensieri, nova le opere, nova la vita. Dobbiamo sforzarci di allontanare da noi tutto ciò che non è di Dio, della Sua Chiesa, della Croce, bisogna sforzarci di non interessarci di tutto ciò che non è di Gesù Cristo (Par. V,100).
Vedi anche: Pazienza, Privazioni, Rinnegamento di sé, Sacrificio, Sette “effe”, Sofferenza.
Cultura
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Prima quell’amore di Dio e del prossimo che è la carità, poi la cultura e la dottrina sia filosofica che teologica, prese come scienze: la scienza destruetur, ma la carità non scade mai. Però so bene che la filosofia cristiana come la teologia per te sono o si trasformano in luce di Dio e amore di Dio e dei fratelli. Tutto lo studio e la cultura rivolgila, o figlio mio, per l’eterna salute tua e altrui, per la tua e altrui santificazione, per la gloria di Dio e il servizio della Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 31,223).
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San Paolo Apostolo, nella seconda lettera ai Corinti, dice che la cultura, la scienza è necessaria nei Ministri di Dio. E parla di quella scienza che, alla luce di Dio, diventa sapienza, dove non è vanità né morte, ma vita per sé e per il prossimo. Perché la scienza umana, o miei figli e la cultura nelle lettere valgono nulla, senza la virtù (Scr. 52,147).
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San Paolo Apostolo dice che la scienza, che è luce di Dio, è necessaria ai Ministri di Dio. Non parla, certo, della scienza umana, che invanisce e gonfia, non di quella cultura letteraria e scientifica che non vale nulla, perché non è accompagnata dalla virtù e non eleva lo spirito a Dio, ma di quel sapere che è diretto ad alto e santo fine, alla santificazione propria e alla altrui salvezza e che è per noi uno dei primi doveri e una vera necessità, se vogliamo compiere la nostra missione (Scr. 52,151).
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Costoro che non vogliono la Chiesa per Madre finiranno con il divenire lo zimbello della Massoneria. Vogliono piantare delle biblioteche per diffondere la cultura (l’hanno sempre con la cultura costoro) ma che razza di biblioteche vorranno essere Dio lo sa! Noi non solo strapperemo la maschera ma opporremo biblioteca: scuola a scuola! (Scr. 69,209).
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Che ha guadagnato tanta parte d’Europa dall’avere abbandonato la fede e la fede e la vita cristiana? Presso certi popoli, che hanno giovato, anche solo all’onesto vivere civile, le scienze, le arti e la cultura, tutte rivolte a materiale grandezza, senza la luce sovrannaturale, senza la virtù? No, non la scienza, non le arti, non la cultura ci rendono onesti, buoni, giusti, amici di Dio e veri fratelli dei nostri fratelli; ma la fede, ma le virtù cristiane, ma la carità, che è amore di Dio e degli uomini e scienza di Gesù Cristo (Scr. 82,13).
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Il vero cattolico e il clero non è non può essere straniero a nessuna verace cultura, a nessun verace progresso a nessuna scoperta, anzi tante ed il più delle volte l’uomo di fede e il clero stesso, specialmente il clero regolare è l’inventore e lo scopritore basterebbe ricordare nella astronomia P. Secchi, P. Denza, P. Alfani. No, non è la Fede che ci vieta di amare la scienza, ma è anche per la nostra fede che voi, cari miei Chierici, dovete amare gli studi, amare la cultura, ma cultura non superficiale, non una cultura vernice ma una cultura soda, come deve essere soda la vostra pietà, una cultura vasta e profonda. Per la fede voi dovete amare lo studio e la scienza, amare la cultura e la scienza di un amore santo, appassionato, generoso: amare la scienza per ragione della nostra fede, amarla per valervene alla causa della verità, della fede e della salvezza degli uomini; amarla per sé stessa, per Dio, Deus scientiarum Dominus, per il bene che la scienza avviata dalla fede, da Dio, illuminata da Dio, può recare al mondo per mezzo nostro (Scr. 85,199).
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Date tutto quello che potete dare nello studio in modo che con la cultura, con il sapere, possiate servire meglio il Signore e le anime, ed essere la “letizia” e non la “tristizia” della Congregazione (Par. VIII,216).
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Già altre volte vi ho detto che la Congregazione deve essere una forza culturale! Non deve essere solo una forza spirituale per noi stessi come sono – tanto per esprimermi – i Trappisti, i Certosini, ma deve essere una forza spirituale e culturale. Noi, è vero, siamo per i poveri, per gli umili, per i più piccoli del popolo, per gli operai e per i più piccoli in senso morale; ma dobbiamo essere tanto dotti come se dovessimo svolgere la nostra opera, le nostre attività, tra le classi più colte! Tenete bene a mente, ricordate queste parole: noi siamo per i più poveri, per i più piccoli d’età e di condizione, per i figli del popolo, per i figli dei lavoratori; ma non per questo dobbiamo dimenticare di essere così preparati e dotti come se fossimo chiamati a dare la nostra opera in mezzo ai più colti e alla più alta società! (Par. XI,5).
Vedi anche: Accademia filosofica, Filosofia, Letteratura, Libri, Scienza, Scuola, Studio.
D’in ginocchio
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Per divina grazia mi pare d’aver sempre lavorato e sofferto d’in ginocchio, ai piedi della Santa Chiesa: l’unico mio sospiro è di vivere e morire d’amore ai piedi di Gesù Crocifisso, del Papa e della Chiesa, stretto alla Madonna SS.ma (Scr. 19,93).
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E perché la forma più eroica della umiltà è l’obbedienza, per questo voglio andare a Dio in ginocchio e tu con me, caro Paolino: con il divino aiuto, noi andremo in Paradiso in ginocchio: in ginocchio ai piedi di Gesù Cristo, in ginocchio ai piedi del Papa, in ginocchio ai piedi dei Vescovi, in ginocchio ai piedi di tutti i preti e di tutti i frati, anche si dovesse incontrarne dei meno degni, in ginocchio ai piedi anche dei più indegni, perché ministri di grazia e operatori del miracolo quotidiano dell’altare e perché hanno autorità nella Chiesa. In ginocchio, caro Paolino, voglio salvare l’anima mia e le anime vostre: voglio che ci facciamo santi stando in ginocchio: nel secolo della fumosità superba e della superbia in delirio di scienza e di prepotenza, noi ci salveremo e santificheremo solo stando in ginocchio, lavorando e sacrificandoci nell’amore di Dio e delle anime, stando o camminando in ginocchio ai piedi del Papa e nella più intera umile, devota e dolcissima sommissione e adesione di mente, di opere alla Santa Chiesa di Roma, unica e sola Madre e Maestra della fede e delle anime. Come a Loreto e più che a Loreto, dove le ginocchia dei pellegrini alla Casa di Maria hanno fatto un solco nel duro marmo, attorno alla Santa Casa, così e più ancora di così, caro Paolino, «con le ginocchia della mente inchina» e con il cuore, con tutta la vita e con tutto che in noi è vita ed è grazia apriremo nuovi solchi d’amore a Gesù e alla Santa Chiesa d’in ginocchio, d’in ginocchio, d’in ginocchio. E che la SS.ma Vergine ci assista e conforti e benedica (Scr. 31,254).
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E perché la forma più eroica della umiltà penso sia la obbedienza cieca alla Santa Chiesa di Gesù Cristo, per questo ho deliberato di andare in Paradiso in ginocchio e «con le ginocchia della mente inchine» ai piedi della Chiesa. Andare a Dio, andare in Paradiso d’in ginocchio! Che ti pare, caro Paolino? Ti potrà sembrar una novità? No! Tutti i veri servi di Dio non adoprarono né l’aeroplano né l’auto né tampoco vettura e cavalli, perché, diceva un vecchio proverbio, «in Paradiso in carrozza non ci si va». E neanche i piedi adoprarono per andare in Paradiso, ma le ginocchia sì, sì, caro mio: in Paradiso ci si va e ci si entra solo d’in ginocchio. In ginocchio e in adorazione profonda davanti a Dio Uno e Trino, cantando gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo! In ginocchio e in adorazione ai piedi di Gesù Cristo, alfa e omega, principio e termine in ogni ordine di cose: «Omnia et in omnibus Christus» «et instaurare omnia in Christo». E adorare e predicare Cristo, «et hunc Crucifixum» e dar bando alle ciance, ma vivere la sua carità e diffonderla apostolicamente. In ginocchio ai piedi della Beata Vergine, Madre di Dio e Madre nostra, tutta pura e immacolata, unica, celeste Fondatrice della Piccola Opera della Divina Provvidenza! Alla Santa Madonna la più grande venerazione, la più tenera filiale e dolce devozione! Ave Maria e avanti! In ginocchio: voglio salvarmi, e, attaccarmi alla Santa Madonna, voglio salvare tante e tante anime, voglio farmi santo in ginocchio. In ginocchio, con spirito di fede assoluta all’Evangelo, alla dottrina e alla disciplina di Roma; in ginocchio davanti alle venerande tradizioni cristiane, in ginocchio alle direttive e ai desideri dei Vescovi e del Sommo Pontefice. In ginocchio davanti alle anime, a conforto e a salute delle anime: a tutti servi, conformando spirito e vita allo spirito e alla vita di Cristo, per trarre tutti a Cristo benedetto, con pietà grande, con la verità animata da carità infinita. In ginocchio, caro mio Paolino, nel dispregio totale di noi stessi amando passare ignorati, ben consci del nostro nulla e che niuna creatura sopra la terra è più vile di noi: in ginocchio! in ginocchio! Gesù Cristo: solo così si ama e si serve davvero la Santa Madre Chiesa. Chi non li amasse e non li servisse così, non li amerebbe né servirebbe affatto. Gesù Cristo, il Papa, i Vescovi, la Chiesa si amano e si servono d’in ginocchio, o non si amano o non si servono affatto. Ma non basta, no, non basta ancora, caro mio Ingegnere: noi dobbiamo stare in ginocchio anche davanti al minimo tra i preti e tra i frati o religiosi: in ginocchio, sì, sempre in ginocchio, riconoscendo in loro, anche si dovesse incontrarne qualcuno meno degno, i consacrati, ministri di Dio, ministri di grazia, che hanno autorità nella Chiesa, strumenti designati ad operare il miracolo quotidiani dell’Eucaristia. In ginocchio, caro Paolino, nell’obbedienza (Scr. 31,256–257).
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State, o fratelli, in umiltà: abbiate fiducia e pazienza: state da figli con la santa Chiesa e non da pretenziosi, ve ne supplico: state in ginocchio ai piedi della santa Sede e della Chiesa, che è la nostra madre: guai a colui che contrista sua madre! Amatela da figli la santa Chiesa, senza limite devoti, sempre, o miei cari, sempre, anche quando certe disposizioni vi sembra che non vadano, anche quando si tarda nei provvedimenti, anche quando non si prendono tutti i desiderati provvedimenti (Scr. 37,255).
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Si degni la Vergine Maria, di cui oggi si celebra la festa della Presentazione al Tempio, rendervi sempre più degne di presentarvi al Signore e di amarlo nei nostri fratelli i più poveri, camminando in ginocchio ai piedi della Chiesa, in umiltà grande e fervore di pietà e di carità, con purezza, candore e santità di vita (Scr. 39,149).
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Per il Padre bisogna lavorare stando in ginocchio, umili, fidenti ai piedi della Chiesa e lavorare con le mani giunte, oh sì! lavorano anche le mani giunte e come! E non c’è altra buona via né altra via voluta dal Padre; se è vero che egli è un buon servo di Dio, non può volere altra via; altro che ricatti e pubblicazioni scandalistiche! Queste non sono mai le vie di Dio, ma sono vie detestabili! (Scr. 44,277).
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Sono un povero figlio della Divina Provvidenza e un più povero peccatore, ma Vostra Eccellenza mi avrà sempre ai Suoi piedi con l’amore, la lealtà, la fedeltà, la venerazione di un figlio. Questo è il secreto per cui Dio benedice sempre i miei poveri passi e il modesto mio lavoro a pro’ degli orfani e della gioventù derelitta: perché mi sono sempre messo ai piedi dei Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a governare la sua Chiesa e per la grazia e misericordia di Dio, nulla ho fatto se non stando sempre spiritualmente in ginocchio da figlio piccolo, obbediente e fedele ai piedi del Vescovi, del Santo Padre e della Santa Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 51,181).
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Noi non siamo per noi, ma per la Chiesa e per i Vescovi; siamo stracci e per gli stracci cioè per i poveri e per ogni miseria... non è per sé, ma per il Vicario di N. Signore Gesù Cristo e per servire d’in ginocchio, in umiltà e carità grande e senza limite devota, la Chiesa e i Vescovi e stare sotto i piedi di tutti come uno straccio, basta amare Gesù e fare la volontà di Gesù che si manifesta nella Chiesa e nei Vescovi (Scr. 51,191).
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Nasca ai piedi delle Croce di N. S. Gesù Cristo crocifisso, poiché Gesù e la Santa Chiesa si amano e si servono solo in Croce. E preghi onde venga benignamente presa in mano dai Rev.mi Vescovi e dalla Santa Madre Chiesa e sia di tale spirito da restare sempre in ginocchio e legata ai piedi benedetti dell’Episcopato e della Santa Sede Apostolica. Solo così in Domino, caro signor Gonzales e niente che non sia così (Scr. 51,215).
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Tutto possiamo e dobbiamo sperare da Dio, che tutto può e tutto vuol darci, ciò che è nostro bene, purché lo amiamo e lo preghiamo, stando in ginocchio ai suoi piedi e ai piedi della santa Chiesa. Chi confida in Dio non perirà in eterno, diceva mia madre, buona anima, senza sapere che ripeteva una frase della S. Scrittura. E noi animiamoci di frequentare nel cammino del santo servizio con il ripetere: «In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum!» (Scr. 52,180).
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Se vivremo del Tabernacolo: se staremo umili e in ginocchio ai piedi della Santa Chiesa e dei poveri di Gesù Cristo, la Provvidenza del Signore farà crescere il piccolo seme e lo dilaterà, a conforto e salvezza di un numero grande di infelici. Ma tutto questo lo farà il Signore (Scr. 62,125).
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Amare e stare con la Santa Madonna: stare in ginocchio piccoli, umili e fedeli e ardenti di fedeltà e di amore ai piedi della Santa Madre Chiesa, del Papa, dei Vescovi, dei Sacerdoti di Gesù Cristo, di tutti i Sacerdoti e amare e servire Gesù, il Papa e la Chiesa stando in croce e crocifissi dal Divino Amore! Ah, la Vostra Santa Teresa di Gesù sì che sapeva amare Gesù e la S. Chiesa e le Anime! (Scr. 66,109).
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Siamo nelle mani del Signore: vogliamo amare e vedere il Signore e che si compia in noi la Sua S. Volontà, sorretti ed affidati alla Sua Grazia. Stando in ginocchio ai piedi di Maria SS.ma nostra grande Madre e Consolatrice, ma anche sempre ai piedi della Santa Chiesa, Madre pure e Madre grande della nostra fede e delle nostre anime. Di che temeremo noi? (Scr. 67,157).
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Di’ a quelle figliole che non temano, ma benedicano al Signore in questa e in tutte le tribolazioni: basta che stiamo umili e in ginocchio ai piedi e nelle mani della Santa Chiesa. Gesù e la Chiesa (Scr. 100,78).
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Camminando e vivendo dello spirito della carità, possiamo operare sempre ai piedi della Santa Chiesa di Gesù Cristo, ai piedi della Sede Apostolica, ai piedi dei Vescovi, successori degli Apostoli e dallo Spirito Santo posti a reggere e governare la Chiesa di Dio: possiamo noi, stando ai piedi della Chiesa in umiltà e in ginocchio e ai piedi dei Vescovi, raggiungere quel fine santo per cui il Signore ci ha tratti dagli inganni del mondo, chiamandoci a seguirlo più da vicino, in umiltà di spirito, nella bontà e soprattutto nella carità (Par. IV,366).
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Il religioso tanto vale quanto prega: «tantum valet quantum orat». E Le opere di Dio si fanno con le mani giunte e in ginocchio; pure correndo ma spiritualmente in ginocchio davanti a lui, ricordandoci che dobbiamo abbandonarci alla sua bontà di padre e alla sua misericordia (Par. IX,442).
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Vedi anche: Abbandono (in Dio), Fede, Preghiera, Unione con Dio.
Dame della Divina Provvidenza
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Sono lietissimo che si dia consistenza e sviluppo grande alla associazione delle dame della Divina Provvidenza, e benedico a te, e a tutti quelli che ti aiuteranno. Appena appena potrò ti stenderò una circolare di presentazione, e delego te, che già hai in mano il bollettino, poi sarò lietissimo dell’aiuto che ti potrà prestare don Pedrini (Scr. 20,176).
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Vi ho spedito un po’ di foglietti di Dame della Divina Provvidenza e raccomando vivissimamente di istituirle costì e anche di fare abbonamenti alla «Madonna» (Scr. 30,36).
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Buone Signore, pie e gentili, voi con poco potete farvi madri di tanti poveri orfanelli, voi potete fare sì che tanti fanciulli frequentino le nostre scuole cristiane, e siano educati al bene, e non abbiano a dimenticare il loro Dio, o buone Signore! Attorno ai nostri Istituti sorgano le dame della Divina Provvidenza, un’associazione grande dove tutte le anime si trovino unite nel campo della carità, e in uno stesso pensiero di abnegazione e di sacrificio: quest’associazione sarà l’Opera della salute dei fanciulli! Il foglietto della Divina Provvidenza, che continuerà a pubblicarsi per sempre, sarà come la voce del pio sodalizio, e segnerà il crescere e il dilatarsi dell’associazione delle dame della Divina Provvidenza. Un santo, tutto pieno di amore verso gli infelici, era solito mettere in testa ad ogni suo scritto queste due parole: Anime e denaro! O buone Signore, non vi spaventate, se anch’io metto qui: Anime e denaro! Per fare del bene alle anime ci vuol del denaro: ci vuole del denaro, molto denaro per mantenere tanti orfanelli, per fondare e mantenere collegi e scuole cristiane: e questo denaro noi lo chiediamo a voi tutte, a voi che amate Gesù e le anime! Ogni goccia forma il ruscello, e i ruscelli ci danno i grandi fiumi; i mezzi di cui una persona buona può disporre tante volte sono presto esauriti, non così quando si è in cento, si è in mille. Ci rivolgiamo a voi, che amate Gesù e i poveri! Si trova sempre del denaro, quando è il cuore che lo chiede, e quando la ricerca è fatta per gli infelici ed è guidata dai lumi della fede. Coraggio, o buone Signore, date generosamente il vostro nome, iscrivetevi tra le dame della Divina Provvidenza, e date ciò che il cuore vi ispira, o in denaro o in oggetti di qualsiasi natura e qualità, tutto è grande quando è grande il cuore che dà, e quando è la carità di Cristo che muove a dare coraggio, o Signore pie e gentili! (Scr. 61,26).
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Se avete bisogno di grazie spirituali, domandate le preghiere di questi poveri giovanetti, e proverete quanto sono sentite da Dio e dalla santa Madonna della Divina Provvidenza. Soventissimo ricevo ringraziamenti da persone distinte e dalle dame della Divina Provvidenza per grazie ottenute dalle SS.me Comunioni e orazioni di questi cari figlioli. Dio ascolta sempre la preghiera dei piccoli! (Scr. 61,40).
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Per le imminenti feste natalizie e di capo d’Anno, l’Opera della Divina Provvidenza, dalle nevi candidissime della nostra Tortona alle ridenti plaghe della lontana Sicilia, invia auguri affettuosissimi a tutti i benefattori ed alle dame della Divina Provvidenza, operosissimi ed insigni sue benefattrici. Degnisi il bambino Gesù esaudire le umili preghiere che i figli della Provvidenza innalzeranno a favore dei loro benefattori e mostri ad ognuno di essi la sua benignità e il suo amore, diffondendo copiosamente sopra le loro famiglie l’abbondanza delle sue sante benedizioni (Scr. 61,73).
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Voi tutti, che avete intelligenza e cuore, voi che amate Gesù e le anime sue, scrivete qualche cosa, mandate i vostri palpiti infuocati o almeno un pensiero vivo di amore a Gesù al foglietto della Divina Provvidenza! Tutte le buone madri e le figliuole cristiane possono appartenere alla Pia Associazione delle Dame della Divina Provvidenza, basta mandino il loro nome a Don Orione, Tortona, per aver parte alle preghiere che si fanno dai figli della Divina Provvidenza, e ricevere gli stampati e il Diploma (Scr. 64,272).
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Martedì, 8 maggio alle ore 16½ (4½ pom.) si farà la devota funzione del cuore d’argento davanti alla nostra Santa Madre della Divina Provvidenza, di cui riportiamo la dolce venerata effigie e tutti i nomi dei nostri benefattori e delle nostre benefattrici e Dame della Divina Provvidenza posti nel cuore d’argento che poserà sul cuore della Madonna Santissima della Divina Provvidenza (Scr. 64,299b).
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Si reciterà in coro da tutte le signore presenti la preghiera composta da Sua Santità Pio X indulgenziata dallo stesso nostro S. Padre. Sono invitate tutte le signore di Tortona in rappresentanza delle Dame della Divina Provvidenza di tante città d’Italia e anche dell’estero (Scr. 64,299e).
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Carissimo nel Signore, Sabato, quando sei stato qui, ti sei offerto di fare un po’ di propaganda, chiedendomi gli opuscoletti gratuiti; Te ne mando una quarantina, tu farai da piccolo Missionario, e vorrai così aiutarmi a fare un po’ di bene. Vedi di impiantare nel tuo paese l’Associazione delle Dame della Divina Provvidenza, poi io domando il permesso al Parroco (Scr. 66,372).
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Ho subito iscritta la Sig, Ida Germano tra le Dame della Divina Provvidenza, e Le spediamo il giornaletto. Ieri ho spedito 100 opuscoletti a Sordevolo, ne spedisco altri 100 a Torino. Coraggio, coraggio! Facciamo una sana e cristiana propaganda per soffocare il male con un’onda grande e viva di buone opere a salute delle anime. Diamoci ansietà delle cose dell’anima. Cerchiamo in prima il regno di Dio e la Sua giustizia e tutto il resto verrà (Scr. 69,427).
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Sono ben onorato di iscrivere la Sig.ria Sua nella nuova Associazione delle Dame della Divina Provvidenza, e Le sarò tenuto se volesse favorirmi indirizzi di buone persone, alle quali manderei il nostro giornaletto; e così veda se potesse animare altre distinte Signore ad iscriversi; farò la Signoria Vostra Presidente delle Dame per le Marche (Scr. 71,67).
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Ai primi vespri del 25 marzo, festa dell’Annunziata, verrà posto sul cuore della Madonna della Divina Provvidenza un prezioso Cuore d’argento ultimato in questi giorni a Genova, e dono di illustre Signora. Entro saranno riposti tutti i nomi delle Dame della Divina Provvidenza e le suppliche per ottenere grazie speciali e consolazioni dalla Madonna. I Sacerdoti di tutte le Case della nostra Congregazione applicheranno in quella festa la S. Messa per i nostri Benefattori, e a Tortona, nella Piccola Casa della Divina Provvidenza, si farà una speciale solennità con Comunione generale pro Benefactoribus e Messa in musica dai nostri giovanetti. Sull’altare poi della nostra cara Madre sarà distesa una tovaglia ricchissima, dono della Ill.ma Signora Anna De Luchi ved. Manara. Questa pia Dama della Divina Provvidenza, accompagnandoci il dono, scrisse una lettera che ci ha fatto piangere di commozione. Essa ha avuto dalla cara Madonna diverse grazie, e Le aveva promesso da dieci anni di offrire in ringraziamento una tovaglia pel suo mite altare, dopo che ebbe fatta una visita, anche per noi indimenticabile, al nostro Istituto di Tortona. Ora il pizzo l’ha voluto fare essa colle sue proprie mani e, benché in età di 77 anni, dopo 10 anni di paziente lavoro, è riuscita a finirlo: quel pizzo è un vero gioiello di arte (Scr. 71,157).
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La Società delle Dame della Divina Provvidenza ha il suo giornaletto L’Opera della Divina Provvidenza largamente benedetto dal Vescovo ed è scritto con assai brio e sentimenti vivi di amore a Gesù al Papa e alle anime madri e figlie cristiane possono farsi inscrivere all’Associazione Dame della Divina Provvidenza, non pagare nulla e riceve il giornaletto gratuitamente, e tanti aiuti a fare del bene. Basta mandare nome cognome e paese a Don Orione, Tortona (Scr. 85,25).
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Tutte le donne e figlie cristiane, a qualunque condizione appartengono, possono farsi inscrivere nell’Associazione delle Dame della Divina Provvidenza, non c’è da pagare nulla per obbligo, ma tutte devono pregare per noi, e poi dare quello che può, quello che il cuore ispira o in denaro o in oggetti di qualsiasi natura e qualità (Scr. 86,257).
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Chi sono le Dame della Divina Provvidenza? Sono una pia Associazione femminile di anime ardenti d’amore per Gesù e ai poveri; esse si sono riunite in Società col nostro Superiore Don Orione allo scopo di meglio aiutarlo nelle opere di Provvidenza. Le Dame della Divina Provvidenza vanno dalla poverella che recita qualche Ave Maria alla settimana, che dà qualche centesimo, sino alla ricca dama che può dare molto, che dà secondo il suo stato, e che, nell’amore di Dio, trova mille industrie per farci conoscere e aiutare da altre Signore. Sono anime umili che vivono di fede nella Provvidenza e si fanno strumenti della Provvidenza: esse operano nella Provvidenza alla semplice, danno sapendo che danno a Dio, sentono dentro il gaudio di Dio, perché la luce della Divina Provvidenza è verità, e amore, e gaudio di fare del bene (Scr. 86,258).
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Nelle città e nei paesi poi ove esiste la benefica Associazione delle Dame della Divina Provvidenza, già vi sono persone determinate le quali raccolgono da esse il soldo della loro carità. Per norma di tutti l’elemosina è di un soldo ad ogni festività di Nostro Signore Gesù Cristo e della SS.ma Vergine, nonché delle due feste del glorioso Patriarca San Giuseppe e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo. Detta elemosina ha per fine di aiutare tanti orfanelli: i nostri Chierici e Missionari: le nostre opere di Provvidenza. Questo nostro giornaletto si manda gratuitamente appunto a tali Benefattori. Tutte le anime pie e generose dovrebbero iscriversi tra le Dame della Divina Provvidenza (Scr. 96,240).
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Le Dame della Divina Provvidenza sono le Serve, le Sorelle, le Madri dei Poveri di Gesù Cristo accolti al Piccolo Cottolengo. Il Piccolo Cottolengo è sotto la protezione della Divina Provvidenza, della SS.ma Vergine e di San Giuseppe. Ed io ora vengo ad invitarLa, anche a nome di quei poverelli di Gesù Cristo di volersi trovare Lunedì a far corona al nostro amato Arcivescovo. È grande onore per i poveri del Cottolengo la visita dell’Arcivescovo, e sarà per quell’opera di carità una vera benedizione, Ond’è che io vorrei che tutti i miei Benefattori e Benefattrici di Genova fossero presenti e a parte della gioia mia dei più poveri e abbandonati tra i nostri fratelli (Scr. 97,288).
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Veneratissimo Sig. Canonico, nel momento che assumo di pensare per tutto quello che è in me ai poveri bambini che la Madre Michel ha messo al Nichelino, ho scritto sul foglietto nostro due parole dal titolo Le Dame della Divina Provvidenza. Siccome molti di questi bambini sono del Nichelino vorrebbe ella farmi la carità di riprodurre sull’Ordine detto articolo? Gesù La benedica. Riceva i miei più vivi ringraziamenti (Scr. 111,282).
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Se V. S. Ill.ma vorrà aderire al nostro umile invito, sarà inscritta alla pia Associazione delle Dame della Divina Provvidenza e parteciperà a tutti i benefici spirituali di essa. Nella speranza che il misericordiosissimo Dio si degnerà di venire, per mezzo della S. V. lll.ma, in soccorso dei Suoi poveri Figli, con la più viva riconoscenza invochiamo sopra di Lei, ottima Signora, e su tutti i Suoi cari le più elette benedizioni del Cielo (Scr. 121,125).
Vedi anche: Apostolato, Benefattori, Caritas Christi urget nos, Divina Provvidenza.
Debiti
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Il Signore ci prova coi debiti, ma anche questa non è la più piccola grazia che Egli ci fa, e ringraziamolo (Scr. 11,161).
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Quanto alla parte finanziaria, assolutamente non ci pensate: la Divina Provvidenza, nostra Padrona, ci aiuterà, siano tanti i debiti o pochi: Dio provvederà (Scr. 16,121).
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In Argentina e in Uruguay non lascerò debiti: o Signore liberatemi dai peccati e dai debiti! (Scr. 19,218).
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Fate debiti, fate debiti con fede grande, con grande amore a Gesù, alla Santa Madonna, alla Santa Chiesa e non temete: fiducia, fiducia nella Divina Provvidenza e Avanti! Avanti! Bisogna disinvolvervi! Bisogna ricostituire il Patronato de Obreros: bisogna avere fede operosa, pregare amare Gesù, la Chiesa, le anime e muoversi, uscire, fare debiti! (Scr. 21,180).
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Tu vedi di non fare debiti, non fare debiti, non farmi dei debiti; una Casa, che non è quella di Tortona né quella di Bra, in quest’anno solo mi preparò lire ventimila di debiti. Ora questo vuol dire rovinare la Congregazione. E allora come farò per i chierici e per allevare nuove vocazioni se, invece di aiutarmi, come ogni Casa dovrebbe fare, invece mi si peparono dei debiti? Io temo che tu, con la tua larghezza e con il tuo promettere a tutti, mi abbia a preparare dei debiti. Vedi di non farlo, e anzi vedi di aiutarmi, di aiutarmi, di aiutarmi per le vocazioni (Scr. 25,177).
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Non solo ti raccomando, ma ti ordino di non fare debiti, e di cambiare sistema nel fare le spese, limitandoti al veramente necessario. Tu sei sempre stato troppo largo nello spendere: devi cambiare, caro don Contardi, devi evitare i debiti! Più leggo le vite dei Santi, e di Santi e Sante, che furono Apostoli di bene, e più vado rilevando che rifuggivano dal fare debiti, e, sopra tutto, per sano spirito di povertà, facevano non spreco, ma una economia bene ordinata! Dio, che scruta le reni e i cuori, sa con quanta pena io mi vedo costretto in questa prima lettera a scriverti così, e ad insistere in Domino su questo punto. Tu hai sempre navigato nell’abbondanza, più o meno, e, fino ad un dato punto, io capisco come non sempre ti possa dare ragione di certi avvertimenti. Ma è dovere di ogni buon figlio non solo ascoltare i precetti del padre, ma anche di prendere a cuore la situazione e gli interessi dell’intera famiglia; devi limitarti nelle spese minute, che, senza accorgerci, portano su nelle liste, per poter aver modo di fare un bene più consistente e duraturo. Bisogna essere disciplinati anche nello spendere. L’economia, caro don Contardi, va praticata con un fine retto e santo. Tu sei portato, caro don Enrico, a distribuire immagini, corone, libri di troppo costo e, talora, direi, preziosi, senza fare attenzione alla spesa. I ragazzi, e anche la gente adulta, assuefatta a questi regali, più non ne fanno caso, e non ne ricavano più alcun profitto spirituale: «ab assuetis non fit passio!». Non è più l’immagine devota che si guarda, ma l’adorno. E ne pretenderan sempre altre ed altre più preziose, e allora... addio la devozione! E il nostro denaro farà ridere il diavolo! Se ci fu un Santo che amò la gioventù fu Don Bosco; ebbene egli, ricordandosi di essere povero e Religioso, regalava, non con troppa frequenza, immagini devote, devote, dico, e, allo stesso tempo, non troppo costose. Il Card. Cagliero era solito dire: i debiti, voilà l’ennemi! E il Beato Claret esclamava: Signore, te ne prego, fammi morire senza peccati e senza denaro, ma anche senza debiti! (Scr. 25,199–200).
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E dacché sono in tema di debiti, vi dirò, e lo dico a tutti: guardatevi sempre, o figli miei, dai debiti! Ed ora parlo in generale: guardatevi dai debiti! I debiti: voilà l’ennemi, diceva un giorno il Cardinal Cagliero. Quelli che dicono che il Ven.le Don Bosco e il Beato Cottolengo fossero contenti nel fare debiti, non dicono tutto, e alcuni parlano di essi a vanvera e fanno di essi un romanzo, a loro gusto. Sono almeno trent’anni che io studio il Cottolengo: ed ho conosciuto e studiato Don Bosco e poi don Rua (che è pure un santo come Don Bosco) del quale don Rua fu anche introdotta la causa in questi stessi giorni. Ebbene, non è vero che il Ven.le Don Bosco e don Rua fossero contenti nel fare debiti, no, non è vero! come non è vero del Beato Cottolengo. Questi fu uomo di tanta fede che il P. Fontana, suo confessore, era solito dire: «Nel solo can.co Cottolengo si trova più fede che in tutta Torino». Aveva una grande fede e un abbandono illimitato nella Divina Provvidenza; ma aveva pure una grande prudenza. Sotto il velo della semplicità e d’una carità somma, si vedeva in lui una prudenza consumata. Ed il can.co Luigi Henry, per tanti anni amico e collega di lui, diceva: «Fa stupire come un uomo, che sino all’epoca di fondare la Piccola Casa non mostrò mai la menoma attitudine in genere d’amministrazione, l’abbia poi amministrata con tanta prudenza, zelo, attività, vigilanza e previdenza». E Don Bosco? Ah Don Bosco rimase afflittissimo per certi debiti contratti nell’ospizio del Sacro Cuore di Gesù in Roma, e sì che era appena fondato! E allora fu veduto usare un insolito rigore, e fu visto fin quasi oppresso! E don Rua? Nelle lettere e circolari di don Rua, che io vado leggendo si può dire ogni giorno da circa dieci anni, vedo che egli prega, che supplica i Direttori, gli Ispettori – specialmente d’America – a non fare debiti, e a volergli togliere dal cuore la spina dei debiti! (Scr. 29,40).
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Sono i debiti un peso che ci opprime: sono un cancro che, a poco a poco, rodono troppe cose e non la borsa solamente! Per questo il Ven.le Claret esclamava: «Signore, te ne prego: fammi morire senza peccati e senza denaro, ma anche senza debiti»! E nella vita della Barat, ultimamente canonizzata, ho letto che essa definiva i debiti come il tarlo dello spirito religioso, che porta sempre cattivissime conseguenze. Ah figli miei in Gesù crocifisso, vogliate credere alla mia dolorosa esperienza: i debiti sono sempre nelle nostre case una fonte amara di mormorazioni, sono sempre un vento che fa seccare la sorgente della dolce pace fraterna! E dirò di più: i debiti infievoliscono e, talora, rapiscono anche le vocazioni più mature e soffocano quelle che stanno spuntando. I debiti sono nemici della pace non solo, ma sono anche i nemici dello spirito di pietà, come sono stati, in alcuni periodi della vita della nostra povera Congregazione, la causa che ha dato ai nostri avversari e ai nemici di Dio il filo per denigrarci e per denigrare la Divina Provvidenza. E si deve alla mano materna della SS.ma Vergine, nostra madre se i debiti non hanno gettate a terra opere che costarono anni ed anni di sacrifici immensi e la vita stessa di parecchi nostri sacerdoti, chierici ed eremiti, alcuni dei quali furono veramente veri servi di Dio. Ecco perché ho scritto a don Mario ed ora ripeto a te, caro Dondero mio: non fate debiti, non fate debiti! (Scr. 29,40).
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I debiti si pagheranno poco per volta: bisogna pregare, avere fede, mantenere noi e tutti della casa bene uniti al Signore, cercare che nulla si sciupi, darci attorno, cercando la carità per i nostri fanciulli. Non si deve stare in casa a piangere sulla situazione o a morire in un bicchiere d’acqua, ma andare da tutti, e non perderci d’animo mai; prendi la corona in mano e umilmente va’ in questua da tutte le signore, signori e famiglie benestanti di Alessandria. Non ti scoraggiare dei rifiuti che riceverai, prendili per bene dell’anima tua e avanti in Domino! Del male non ne fai: fai del bene: farai conoscere l’Istituzione, che non sanno finora neanche che c’è, la più parte, tu diventerai il prete della carità di Alessandria: il più popolare e più beneviso. Fa’ come ti dico, e prima di Natale ti assicuro, nel nome di Dio, che tutti i debiti saranno pagati, e darai ancora un pranzo a tanti poveri fanciulli di Alessandria, servito dalle tue benefattrici (Scr. 29,252).
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I debiti: voilà l’ennemi! I debiti: ecco la stonatura infausta! I debiti: ecco l’atroce peso che ci opprime, la spina crudele che oggi trafigge spietatamente il cuore della nostra Congregazione. I debiti! Sono i debiti che facevano esclamare al Beato Claret, come, non so se a te o ad altri, ho già detto: «O Signore, te ne prego, fammi morire senza peccati e senza denaro, ma anche senza debiti!». I debiti sono il tarlo dello spirito religioso, che toglie la pace, che mette sossopra ed in inquietudine la Comunità (Scr. 34,116–117).
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Io non ti prometto nulla di ciò che il mondo promette: ti prometto il paradiso e una corona sterminata di anime salvate dall’olocausto della tua vita; ti prometto: fame, freddo, fatiche, fastidi, povertà, croci, umiliazioni, fischi, facchinaggi, fiaschi, filze di debiti (Scr. 44,107).
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Al momento non ho denaro, ed ho anzi, per grazia di Dio, molti bei debiti, che mi tengono allegro che è un piacere e molti orfani da mantenere, i quali sono debiti e tesori insieme (Scr. 44,264).
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Se la Divina Provv.za vorrà che si facciano i banchi nel salone, manderà il denaro, ma, diversamente, non si facciano né debiti, né prestiti, per nessun motivo: i prestiti sono debiti belli e buoni, o, meglio, brutti e amari e Don Orione lo sa per sua esperienza (Scr. 51,75).
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Quest’anno ho ancora tanti debiti, debiti che con l’aiuto della Divina Provvidenza pagherò, sono debiti con i fornitori di pane, di pasta ecc., solo in pane sono parecchie migliaia di lire; ma questi debiti non devono far paura, essi sono la bellezza della Divina Provvidenza, e serviranno a glorificare il Signore (Scr. 61,48).
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E basta per ora coi debiti: questo lo dico non solo per Mar del Plata, ma per tutte le Case. Vogliate comprendermi e non avervela a male: si faccia la massima economia e non si facciano più debiti, per nessuna ragione, eccetto il necessario per vivere (Scr. 107,38).
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Le condizioni economiche della Congregazione sono non dico gravi, ma disastrose; né io so più dove dare la testa; sono come chi è inchiodato su d’un binario, e si vede, a pochi passi, una locomotiva che gli sta sopra. Se non m’aiutate voi altri, chi mi aiuterà? Non Bra, non Cuneo, non Voghera, non Sette Sale, non Ameno, non San Remo (che già pensa a mantenere Santa Clotilde), non Alessandria (ci sono 300.000 lire di debiti), per cui ho dovuto pagare L. 40.000 prima e 67.700 lire un mese e mezzo fa. Non Fano, che ha un 100.000 lire di debiti e tutti sono orfani, non Borgonovo, dove quei 68 ragazzi abbandonati nulla pagano, vivono come zingari, andando a suonare in giro; li ho trovati tutti laceri, con un 80.000 lire di debiti e una Casa che ha urgente bisogno d’essere riparata. Padova ha debiti sine fine, Venezia non mi può aiutare perché ha da pagare gli interessi di oltre 300.000 alle Banche. San Severino fu derubato di L. 32.000, prestate, a mia insaputa ad un lestofante che non ha un soldo. Nulla da Messina, nulla da Reggio, qualche mille lire al mese, non di più, da Don Zanocchi: nulla dal Brasile, nulla dall’Uruguay! E allora come si fa, come si può andare avanti? Chi mi aiuterà? Qui alle Sette Sale, nessuno paga, sono i nostri Chierici: a Tortona nessuno paga, a Bra, a Voghera nessuno paga. E mi pare che al Dante e al San Giorgio si vada alla grande e non si faccia economia necessaria e si pensi solo alle necessità locali e poco a quelle della Congregazione; e, forse, non sempre sono tutte necessità. Io non so proprio più come fare: ti scongiuro di fare la massima economia. E datevi attorno, vedete di aiutarmi! Lo dico con profonda amarezza: nessuno, o quasi, si dà attorno a procurare mezzi: tutto si aspetta da me e da Tortona! (Scr. 115,40).
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Fastidi, noie, crucci dei debiti e delle scadenze... Ma tutto questo sempre lietamente. Anche Santa Teresa canterebbe questo cantico, anche San Francesco d’Assisi. Questa è una mistica nuova! Nessun trattato di mistica parla della mistica dei debiti. Eppure anche i debiti hanno la loro mistica, eppure anche i debiti possono condurre alla perfezione. Questa è vita di lotta. Anche coi debiti per i poveri, per la carità, si fa della mistica (Par. IX,299).
Vedi anche: Amministrazione, Contabilità, Denaro, Economia, Rendiconto (amministrativo).
Defunti
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In questi giorni, ho visto tutti i nostri preti e chierici morti, tutti insieme, seduti, come in un circolo, e poi ce n’erano alcuni con essi che sono ancora vivi, e uno di questi passò avanti ad un altro, e andò a sedersi vicino ad uno di quelli che sono già morti. Mi è parso di capire che quelli vivi saranno i primi a passare a vita beata. Caro Don Risi, io sento che i nostri cari Morti della Congregazione implorano per me: me li sento sui miei passi: sono essi che pregano per noi: Dio benedice il nostro lavoro per sua misericordia e per le preghiere dei nostri cari fratelli morti! Ne abbiamo parecchi dei quali si poteva scrivere la vita, e sono santi, e così qualcuno di quelli che presto andranno al Signore (Scr. 6,190).
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Qualunque cosa sentiate, state anche voi tranquillo in Domino: la Madonna SS.ma, i nostri santi e le anime dei nostri cari morti, ci aiuteranno. Io ho sempre avuto la sensazione che avremo un Calvario, ma se lo ha salito Gesù, con il suo aiuto, lo saliremo anche noi (Scr. 19,79).
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Vi raccomando di pregare per i morti, particolarmente per le vostre consorelle e benefattori defunti: questi suffragi sono di conforto per noi, e di sollievo pei defunti (Scr. 27,117).
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La morte delle persone, che hanno amato Dio in vita, e che erano a noi strettamente congiunte, è un avvenimento acerbo in apparenza, non meno vantaggioso dell’eterna salute degli amati defunti, che di noi stessi che sopravviviamo. Noi siamo così molto aiutati a pensare al Cielo, avendo colassù, come speriamo, quelle care persone che aspettano di rivederci in Dio. I nostri, che ci precedono al Cielo, pregano continuamente per noi e ci ottengono da nostro Signore una luce sempre maggiore per conoscere il nulla delle cose visibili, e il tutto delle invisibili, e un desiderio sempre maggiore di dedicarci, secondo lo comporta il nostro stato e la nostra vocazione, a servire Dio, e a giovare ai prossimi per amore di Dio (Scr. 39,10).
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La morte dei nostri cari è proficua all’anima nostra, perché ci fa riflettere che questa terra non è la nostra patria, ma che dobbiamo patire insieme con il Signore per meritare il Paradiso, staccandoci dalle cose terrene per prepararci per l’eternità, dove i nostri cari morti ci aspettano, e pregano per noi (Scr. 43,194).
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Preghiamo per i Morti! Il culto dei morti riposa sulla fede della immortalità dell’anima: sul sollievo dalle pene della espiazione che possiamo dare ai defunti e nella resurrezione dei corpi: le nostre polveri risorgeranno come spiritualizzate. Per noi cattolici la tomba è la culla della immortalità. I nostri Cari non ci hanno abbandonati: noi rivivremo con essi nella patria celeste. Noi possiamo sollevare i nostri morti e liberarli con la preghiera e coi cristiani suffragi. Quanto tu compi una buona azione o fai una elemosina, quando rasciughi le lacrime del povero o conforti la vedova che soffre, i malati, gli orfanelli, i vecchi cadenti, tu puoi liberare dalle pene della espiazione le anime che soffrono nel Purgatorio (Scr. 57,123).
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È il mese sacro alla memoria dei nostri Morti: e in questo tempo noi sentiamo più vivo il dolore della dipartita e con affetto più vivo li andiamo ricordando. Ma ai buoni cristiani non basta lo sterile compianto, la nostra Fede, il nostro cuore, vogliono qualche cosa di più per i nostri morti. Nel mese di Novembre sentiamo il bisogno di pregare più di frequente, più fervorosamente per i Defunti, di offrire a Dio delle opere buone per suffragare le loro Anime ed affrettare ad essi la gloria del Paradiso (Scr. 75,80).
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Voi, padri e madri; voi spose e fanciulli, che piangete dei morti, dei caduti; quale consolazione più grande al vostro dolore, che il pensare che Gesù ha preceduto i vostri cari! Essi, se morti piamente in Cristo, come dobbiamo sperare, non sono morti, ma vivono in seno a Dio: continuano ad amarvi, ad occuparsi di voi, e per voi pregano! (Scr. 82,30b).
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Tutte queste morti di persone tanto care ci dicono di prepararci. Io sono convinto che avrei dovuto andare avanti a questi morti ultimi, ma qualche anima deve aver pregato: quel caro chierico Scoccia so che ha offerto la sua vita per me: non mi aveva detto niente, quando morì gli trovarono la carta. Ora pregano tutti per noi, e saremo presto con Loro. Avanti ancora un po’ di strada (Scr. 96,190).
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Io sono rassegnato, ma piango da solo, e sono alcuni giorni che non so dove stare; ad ogni figlio che mi muore, mi sento morire. Forse il Signore vorrà questo martirio da me, che muoia a poco a poco, e tante volte, quanti sono i nostri cari morti: sia fatta la volontà del Signore! (Scr. 97,89).
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Bisogna pregare per tutti i morti specialmente per quelli che sono abbandonati da tutti, per i quali nessuno pensa, nessuno prega. Per questo la Chiesa fa dire tre Messe, fa ricordare spesso i poveri morti. Nella Sacra Scrittura si legge che sarà usata con noi la stessa misericordia che avremo usata con gli altri. E si legge ancora che sarà usata con noi tanta misericordia quanta sarà stata quella che avremo usata ad altri. Se noi saremo misericordiosi verso le anime sante del purgatorio, quando anche noi saremo morti verranno altri che Dio muoverà a compassione e pregheranno per noi. Sempre dobbiamo pregare per i morti, ma specialmente domani e durante tutto il mese di novembre (Par. IV,390).
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Faccia Dio sopra di te una misericordia grande come tu fosti misericordioso con i morti. Se noi saremo misericordiosi con i morti, quando saremo morti, gli altri, che verranno dopo di noi, faranno come noi avremo pregato per gli altri. Quando l’erba crescerà sulla mia testa e sulla vostra testa, se noi avremo largheggiato con i poveri morti, Dio muoverà delle anime buone che verranno a pregare per noi. O popolo, che sei e vivi nel vigore della tua fede, ricorda sempre le grandi parole di Dio! Quanto sarà stata grande la tua misericordia con i morti altrettanto sarà Dio con te misericordioso! (Par. IV,394).
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E dobbiamo fare suffragi di opere buone anche per i morti della Patria, per i morti dimenticati, sulla cui tomba è sceso il lenzuolo dell’oblio e della dimenticanza, per i morti della guerra, specialmente per i morti delle grandi città popolate, delle valli, dei monti, del mare, dell’aria, delle caverne, delle miniere. Dobbiamo essere pietosi non solo verso quelli coi quali siamo uniti dai vincoli di sangue e di fede, ma per tutti. I morti per loro stessi possono far nulla. Dobbiamo pregare per coloro i quali chiusero gli occhi nella grazia di Dio, ma che tuttavia hanno ancora molto da espiare. Noi possiamo fare questo per loro affine di apprezzare l’ora del Signore; ed essi possono e fanno molto per noi (Par. V,112).
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La Chiesa apre questo mese con la festa di Tutti i Santi e si rallegra cantando: «Gaudeamus omnes in Domino diem festum celebrantes sub honore Sanctorum omnium...», ma non è passato che un giorno e subito corre con il pensiero ai morti. Permette, non solo, ma ci comanda di pregare per queste anime sante. La Chiesa vuole che tutte le Congregazioni facciano preghiere speciali per i defunti loro Confratelli. Pregate per i vivi, pregate per quelli che ci hanno preceduto, pregate per i parenti, i Benefattori, gli amici. In particolar modo pregate per i dimenticati; e sono più i dimenticati che i ricordati. Se noi pregheremo per i morti, compiremo un dovere grande. Se noi saremo stati misericordiosi verso i morti, quando noi pure saremo morti, altri verranno a pregare sulla nostra tomba (Par. V,114).
Vedi anche: Anime del purgatorio, Cento requiem (devozione), Morte.
Democrazia
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Io voglio essere democratico, mi diceva ieri un giovanotto bocciato replicatamente agli esami di Liceo, che di socialismo e democrazia deve intendersi quanto i miei tacchi, voglio esser democratico, perché la democrazia assoluta è la legge suprema dell’Evangelo di Cristo e del genere umano. E così, poveretto povero illuso, veniva sciorinandomi una matassa di errori bevuti grossolanamente ad un Circolo socialista: egli povero illuso che di socialismo e di democrazia non s’intendeva forse più in là dei miei tacchi (Scr. 56,33).
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Queste mutazioni possonsi riassumere in una parola: è l’ora della democrazia, della sovranità dei poteri popolari. Non è qui il luogo di esaminare la ragione filosofica di questa rivoluzione o redenzione che vogliasi chiamare, ci basta di stabilire e di accettare un fatto che non si può più mettere in discussione e di esprimere la convinzione che questo fatto non è l’opera del caso o del demonio, ma si compie per disegno della Divina Provvidenza: il Vangelo è il seme della redenzione dei popoli. Chiunque apra gli occhi deve riconoscere che il tempo dei governi così detti paterni, per un po’ almeno, è finito e che, se in alcune parti del mondo incivilito lottano qua e là per la loro esistenza, saranno di breve durata. L’America non ha più re. Finora la Chiesa trattò con le dinastie, oramai dovrà trattare con i popoli, ma vuol trattare Lei coi popoli e non ammette intermediari, né sempre lo potrebbe, ed a ragione: i popoli conoscono Lei! Chi dà il battesimo ai popoli è la Chiesa: la Chiesa ha benedetti i Longobardi e li ha fatti civili, ha benedetti i selvaggi e ne ha spezzate le catene: la redenzione viene dalla Chiesa. Ora la democrazia si avanza e la Chiesa, non temiamo, le saprà dare il battesimo, Lei sola lo sa dare, Lei sola ha quanto è necessario all’alta e divina missione, non chi a Lei si sottrae o ribella (Scr. 57,155).
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La democrazia si avanza con nuovi bisogni e nuovi pericoli, non impauriamocene, o amici miei, ma però siamo, per carità, gente di fede larga e larga di nuovi aiuti, se vogliamo essere davvero la gente del tempo nostro: la democrazia si avanza, accogliamola amorevolmente, incanaliamola nel suo alveo, cristianizziamola nelle sue fonti, che sono la gioventù! e provvederemo ad un grande bisogno sociale dell’ora presente e faremo opera di redenzione morale e civile! (Scr. 57,271).
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Da Sisto V, il quale si gloriava d’essere figlio di ortolani e d’aver condotta vita pastorizia, il mondo non aveva visto più nessun figlio del popolo salire sul trono. Forse la Provvidenza intendeva sanzionare con un esempio pratico lo spirito di sana democrazia che caratterizza nella Chiesa i tempi moderni e dare un grande conforto all’umile clero (Scr. 61,135).
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Viva e prosperi gloriosa «l’Unità Cattolica» e continui a strappare la maschera ai sopracciò della falsa democrazia i quali in realtà non sono che liberali purosangue, finemente mascherati da fratelli e i più ipocriti e nefasti paladini di tanti errori condannati da Pio IX e da Papa Leone (Scr. 64,136).
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L’avvenire appartiene al Papa: a Lui solo che ha quel verbo morale che rigenera: quella fede, quella legge di libertà, di civiltà e di amore da cui ogni democrazia può sperare incremento (Scr. 69,416).
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Sposate generosamente il programma sociale della Chiesa, che è bello, cristiano, umano e aiutate l’ascensione delle plebi in Cristo e impedirete che la democrazia che si avanza degeneri e si materializzi nel socialismo e peggio. Portate sempre alto, o giovani, nella vostra vita, Cristo e Argentina (Scr. 72,19).
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Voi, o Giovani della Federazione Cattolica Argentina, aiuterete così l’ascensione delle plebi in Cristo e impedirete che la democrazia vada orientandosi e degeneri nel materialismo socialista e ateo: Voi preparerete alla Argentina giorni sempre più luminosi di prosperità e di gloria! (Scr. 72,20).
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Cristo è la sorgente di amore e di pace donde ogni cuore deve sperare conforto: è la luce da cui ogni popolo, ogni democrazia può sperare incremento. L’avvenire è di Cristo! Questa guerra non è, per un lato, che il grande fallimento, il vero rogo dell’imperialismo e di tutti quei falsi valori che non sono Cristo (Scr. 82,9b).
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Prima il potere stava nell’alta società, ora è sceso al basso popolo, alla democrazia, che sta allontanandosi da Dio e cerca di scristianizzare il mondo. La nave della salute è la Chiesa. Dobbiamo prendere i figli del popolo, i più poveri insidiati dalle sette dei massoni, ma specie dei protestanti che sono più dannose dello stesso socialismo e comunismo (Par. VI,217).
Vedi anche: Azione cattolica, Cristianesimo, Democrazia cristiana, Modernismo, Politica, Socialismo.
Democrazia cristiana
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Studia minutamente il clero sì secolare che regolare: specialmente studia il giovane clero là in scuola di teologia: osserva quanto vale per dottrina e per pietà. Entra in qualche modo nella direzione del Corriere Nazionale avvicinane gli scrittori, così avvicina gli scrittori della Democrazia Cristiana e quelli d’ogni altro giornale o periodico dei nostri (Scr. 30,14).
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È bene quindi che diciamo una parola alta e che si sappia dai nostri amici e lettori che noi non intendiamo affatto di lasciarci giocare da quel signore al più obbrobrioso gioco di funambolismo; non è più tempo di seguire chi non ha la fiducia della Chiesa, né la virtù di saper dubitare delle proprie idee anche quando esse sono così diverse dal programma segnato ai cattolici italiani: da chi vuole confondere cause buone con procedimenti pieni d’orgoglio e teorie erronee di un modernismo neo Kantista con proteste di sommissione: opere che danno sì larga prova di disprezzare la dottrina e la guida del Vicario di Gesù Cristo avvolte nel candido ammanto della democrazia cristiana. No, noi autonomi mai! Le nostre coscienze si ribellano a lasciarsi vellicare dal don Murri di oggi e rigettano ogni movimento di ribellione alla Chiesa. Noi restiamo democratici cristiani fin al midollo dell’ossa come lo fummo alla prim’ora nel senso inteso e voluto dal Papa, puri e fedeli come ci ha benedetti lui, davvero con Roma e per Roma sempre (Scr. 53,5).
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L’Avv. Valente fu uno dei cinque che a Roma mandarono al Vaticano una specie di ultimatum pro don Murri: fu neofito delle idee democratiche cristiane sbagliate di Murri: fu collaboratore di Murri. A Torino era al «Popolo», aveva stampato una certa intervista un certo programma, faceva una certa democrazia cristiana equivoca prima, deplorata dopo: quel giornale diede dolori, poi cadde e l’Arcivescovo di Torino ne potrebbe dire qualche cosa. A Roma fondò il «Garofano bianco» e venne a Tortona con il «Garofano bianco». Qui venne assunto come propagandista diocesano dell’idea democratica cristiana: diresse per anni il nostro «Popolo» e stampò sul Popolo articoli che diedero fastidi e dispiaceri, divulgò idee che è bello non ricordare: era il modernismo della democrazia cristiana (Scr. 53,12).
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Non pensiamo o fratelli di poterci opporre radicalmente al socialismo con il fare della democrazia cristiana, che è più o meno socialismo: non illudiamoci nel campo dell’economia i socialisti ci vinceranno sempre! (Scr. 61,242).
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Il nuovo uomo sociale è creatura della Chiesa; che uomo dunque ci volete dare? Ah fratelli, non fallite la causa santa della democrazia cristiana per improntitudine di consigli! L’umanità è viatrice, ma l’astro della sua unificazione, Cristo Signore, la tira per la via infallibile dei suoi raggi (Scr. 69,313).
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Il nostro Santo Padre è un gran dono di Dio: egli è di larghezze di vedute e di intenti tali che senza mai perdere di mira il suo grande fine, si condurrà con tatto e con senno e con moderazione e forza e così sicura tra gli avvolgimenti moderni da penetrare e dominare, con sagacia tutta singolare e tutta sua, tutti gli strati e tutte le energie motrici dei tempi nuovi. Egli vuole le anime, ma insieme con la coscienza dell’uomo morale e credente, la vita e la condotta del cittadino... Egli disciplinerà il moto della democrazia cristiana in modo che nessuna vibrazione della nostra società possa sfuggire all’organizzazione gerarchica e al controllo direttivo di Roma (Scr. 69,314–315).
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Viva prosperosa e gloriosa l’«Unità Cattolica» e continui a strappare la maschera della falsa democrazia cristiana i quali in realtà non sono che veri liberali continui a dimostrare senza reticenze che l’opera della falsa democrazia è la più nefasta e ipocrita apparizione di tanti errori condannati già da Pio IX e da Leone XIII; piagnistei senza reticenze (Scr. 71,134).
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Il Papa parla e la sua è parola recisa e pratica, soave e forte: vi è tutto Lui Pio X. È con un documento gravissimo ai Vescovi d’Italia, è parola terribile di condanna di tutto ciò che è modernismo, autonomismo, vocabolo brutto che di più brutta cosa: democrazia cristiana autonoma, riformismo ecclesiastico, razionalismo mascherato di modernità... ai Vescovi d’Italia parole gravissime di sapore veramente apostolico, ispirate ad un grande, solenne proposito, quello di volere che il clero sia degno della sua divina missione: che nutra le anime e mantenga intatto il patrimonio della fede e della morale (Scr. 77,154).
Vedi anche: Azione cattolica, Cristianesimo, Democrazia, Modernismo, Politica, Socialismo.
Demonio
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Chi comprende di non essere a posto, vinca sé stesso e le illusioni del demonio, e preghi la SS.ma Madre nostra del Paradiso, e cominci sul serio a corrispondere alle divine misericordie e alle insigni grazie che Dio gli ha fatto (Scr. 2,77).
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Non tutti i buoni libri sono buoni durante i Santi Esercizi. State attenti di non dormire durante le prediche: non lasciatevi mettere in bocca il dito dal diavolo, che farà ogni sforzo per far andare a male i vostri Esercizi. Attenti! (Scr. 3,378).
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Ora è il tempo che dovete piano pianino abituare i vostri a stare un po’ lontano da voi e voi un po’ lontano da loro. E tutto questo dico in Domino per provarvi figliuolo mio e attento bene che il diavolo non vi tenti perché vi scrivo così, è molto scaltro il diavolo: voi prendete questo che vi scrivo con la semplicità dei figliuoli di Dio, e come sono, senza scrutarle; ma molto in Domino come sono scritte (Scr. 4,5).
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Il lavoro sarà il grande rimedio contro la concupiscenza, e un’arma potente contro tutte le insidie del diavolo e le tentazioni del mondo e della carne. Non introducete il riposo al dopo pranzo, o il riposo sul letto. Guai a noi, guai a quella nostra Casa dove la siesta vi pianta le sue tende! Sono trappole del demonio! Sono tende di disgrazia e di morte! (Scr. 4,263–264).
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I momenti sono preziosi, come sapete, e Dio li ha contati tutti. Vedete che il demonio, quando non può distogliere uno dalla risoluzione di consacrarsi a Dio, stima fare gran guadagno se ottiene la dilazione di un giorno, di un’ora, perché, dopo quell’ora, spera gli sia non difficile riuscire ad impedire all’anima di darsi tutta a Dio (Scr. 6,6).
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La vera Congregazione comincia ora: mi aspetto che il diavolo si scateni. Ma la Madonna ci assisterà, se saremo umili e La pregheremo: non temete! (Scr. 16,175).
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Di più vi dico che il diavolo non si converte mai, ma finirà sempre di far del male: voglio dire: non illudiamoci più che si mettano a fare bene quegli elementi che non hanno spirito religioso e pietà, se sono posti in cariche di fiducia: no, il diavolo resterà sempre diavolo, e, se fa il morto, poi prepara sorprese e dolori e fa strage (Scr. 19,61).
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In questi giorni ho esorcizzato un’ossessa – incaricato dalla Curia – e il Signore la ha misericordiosamente liberata, dopo molta resistenza. Ah che brutta bestia è il diavolo: avrei voluto fossero stati presenti quelli che non credono, e vedere e a sentire il diavolo: quanto è brutto il diavolo (Scr. 19,242).
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Che nessuna erba del diavolo alligni tra voi, ma, insieme con Gesù Cristo, siate tutti rivolti all’adempimento del vostro dovere, all’acquisto delle cristiane e civili virtù: siate tutti costanti nel bene operare, e tutti d’un cuor solo, aiutandovi e confortandovi l’un l’altro a camminare per la diritta via del Signore (Scr. 26,41).
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Desidero rendervi cauti, onde non restiate presi dagli ami del diavolo, che tenta talora di far apparire lecite e più lodevoli certe cose fatte in disparte e di sotterfugio, certe critiche, che sono semi di zizzania seminati dal demonio e così il nemico ha ingannato molti, li ha accecati nel loro amor proprio, e li ha fatti correre stolidamente a perdizione (Scr. 26,159).
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L’occhio è come la finestra per la quale il demonio entra nel cuore (Scr. 29,91).
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Anche nella solitudine di Sant’Alberto, badate che siete in mezzo ai pericoli, e il demonio con le sue tentazioni arriva fin lì, perché, permettendolo Dio, quel brutto nemico arriva dappertutto (Scr. 30,154).
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Vedi che il nemico d’ogni nostro bene facilmente vorrà turbare, in qualche ora, la tua pace, e forse anche la pace dei tuoi. Mettiti nella Mano di Dio, e non ti lasciar vincere dal male; anzi, vinci tu il male con il bene (Scr. 31,220).
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Evita la tristezza e il cattivo umore e quella irritazione interna e noia che il demonio cerca di gettarti addosso e contro i tuoi Superiori e confratelli: io in spirito ho visto il demonio più di una volta scompigliare e soffiare nel tuo animo uno spirito e soffio di odio, di irritazione funesta e di morte spirituale (Scr. 34,101).
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Tutte queste agitazioni e turbamenti non sono da Dio, ma provengono dal demonio, che ha grande rabbia contro la Madonna, e quindi anche contro di voi. Adesso, vedete, che io faccio alla Madonna SS.ma della Guardia il Santuario, il diavolo, per odio, va scatenando anche una grande guerra e fin turpe contro di me. Ma io lo so che è lui; state attente ora voi a non lasciarvi soffiare nel cuore da quel brutto mostro, che tenta e tenterà con la sua scaltrezza di avvilirvi e di farvi perdere d’animo e di speranza (Scr. 39,134).
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Pregate per me peccatore, tanto miserabile peccatore, ed io prego perché la SS.ma Vergine vi conforti e custodisca e difenda dalle insidie sottili del diavolo, che sovente si veste anche di luce e da angelo per trarre in inganno le anime (Scr. 39,134).
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So, pur troppo, chi è il demonio, e so che usa suscitare imbarazzi e creare macchinazioni o sottili ragionari, pur di trattenere nel pericolo e farci cadere. Sta’ in guardia! (Scr. 42,21).
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A principio il diavolo si veste di luce, e insinua nel nostro animo che si debba usare famigliarità per tirare al bene quel giovane, ma latet anguis: ma, sotto la bella apparenza del bene, ci sta la passione e il demonio! Questi e altri atti, che possono condurre a gravi disordini contro la moralità, e dare pretesto ai nostri nemici di calunniarci e di attribuirci intenzioni che non avevamo, non si devono fare, e non si devono in alcun modo tollerare nelle Case della Divina Provvidenza (Scr. 51,32).
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L’altro ieri Gesù Cristo mi ha dato la grazia di liberare dal demonio una ossessa, nella nostra cappella di Carlos Pellegrini: demos gracias a Dios! (Scr. 51,237).
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Metterci di buon animo e non lasciarci turbare dal demonio, da abbattimenti, da agitazioni. Non lasciatevi abbattere da difficoltà. Il demonio cercherà di mettervi inquietudini, pene sulle confessioni timori di continuare etc. È impossibile metter mano ad un’opera del Signore senza che il demonio non s’immischi per attraversarla. Non disanimatevi, state abbandonate nel Signore e allegre in Domino (Scr. 55,44).
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Lo spirito di tristezza, come di amarezza, viene sempre dal demonio e mai, mai, mai da Dio (Scr. 65,168).
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I demoni stanno in mezzo alla strada del bene a guisa di ladri e assassini, per spogliarci delle virtù e darci la morte spirituale (Scr. 71,194).
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Ogni iracondia, ogni turbazione irosa, ogni malevolenza, ogni acrimonia: ogni spirito di opposizione, di durezza, di tristezza, di censura viene dal demonio (Scr. 72,140).
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Sta’ attento quindi dagli inganni del nemico. Ricordati, caro figlio mio, e ricordalo bene, che spesso il demonio si trasfigura in angelo di luce, e questo fa di frequente anche con te e, sotto il pretesto di meglio, fa lasciare anche il buono (Scr. 75,58).
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E quando il nemico di ogni bene, quando satana tenterà il tuo cuore e vorrà gettare il tuo cuore nel fango, e vorrà perderti, pur indebolendo in te anche la tua fiducia e il tuo amore di figlio, sino ad insinuarti il dubbio di essere da questo tuo povero padre non più amato, ma dimenticato, allora alza gli sguardi al Cielo e apri a Dio il tuo cuore, e pensa che tutto sulla terra, e ciò che sa di terra, passa, ma i Cieli, cioè Dio e l’amore di Dio, l’amore in X.sto di Don Orione verso l’anima tua, no, non passa, perché non è amore di sangue né di terra, ma di Dio e di Cielo (Scr. 81,29).
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Dio è il Signore della pace, è il demonio che mette turbamento, dubbi e accasciamenti interiori per deviare dalla vita di perfezione le anime che Gesù ha chiamato (Scr. 83,13).
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Ubbidienza! Ubbidienza! Ed eviteremo di sbagliare, fracasseremo il nostro amor proprio, sfuggiremo agli inganni del demonio e alle illusioni della nostra sregolata fantasia, la pazza di casa (Scr. 118,104).
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Fate tacere la fantasia, questa pazza di casa, della quale si serve il demonio per impedire molto bene la vera riforma della nostra vita. Durante gli Esercizi Spirituali, sovente il nemico di ogni nostro bene, astutissimo, ci porta con la fantasia a cose grandi e bellissime, a progetti per il futuro, a castelli strepitosi di bene; ma tutto è inganno e illusione: è il perfido, che si veste di luce e d’angelo, per distoglierci dal gettare le fondamenta della vera nostra riforma religiosa, le basi granitiche della vera perfezione e vita interiore (Lett. II,352).
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Più uno è buono e più si avvicina il demonio, specialmente è vicino a quelli che vogliono ad ogni costo mantenersi buoni e in grazia di Dio. Allora noi dobbiamo invocare gli Angeli i quali sono pronti a lottare per noi contro il demonio e specialmente dobbiamo invocare San Michele che è la spada di Dio, la difesa delle anime che Gesù ha conquistato con il suo sangue (Par. III,4).
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State attenti al maligno, nemico di ogni bene. Vedete come lo chiamo io, perché demonio è un nome troppo elegante (Par. IV,463).
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Se ho potuto vincere tante passioni, se ho potuto resistere al diavolo, nemico d’ogni bene, e agli uomini di mala volontà, suoi adepti, lo debbo alla Madonna (Par. VII,10).
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È tanto grande il privilegio dell’Immacolata Concezione, che questo privilegio ha destato nel nemico comune, immensa rabbia, tanto odio. Così quando si vuole sapere se un individuo è in possesso del demonio, un mezzo è far dire all’indemoniato e fargli ripetere: O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi!... Quando ero in America, un giorno venne da me un grande professore di medicina, presidente dell’Ospedale maggiore di Buenos Aires, stimatissimo tra tutti i medici di Buenos Aires. E mi disse: Ho mia figlia indemoniata. Mi faccia la carità di venire ad esorcizzarla. E io gli risposi: Bisogna avere il permesso dell’Arcivescovo. Io non ci vado a chiedere la facoltà, potrebbe dire che è una mia fisima, una mia idea. Era ed è professore valentissimo: fece studi sulla figliuola, la fece esaminare dai suoi colleghi, usò cure su cure: non si sa mai, pensava, saranno i nervi, sarà isterismo. Andò dall’Arcivescovo e raccontò certi fatti strani che erano avvenuti. Gli indemoniati recitano a memoria lunghi passi, sanno varie lingue e le parlano speditamente, e poi hanno voce d’uomini. Non hanno occhi naturali: il diavolo si vede negli occhi e nella forza. Gli indemoniati, gli invasati dal demonio, hanno una forza erculea: bisogna legarli e tenerli quando si fa l’esorcismo e rompono i legami come fili di stoppa. Venne il permesso. Mi preparai, mi feci il segno della croce e andai. Trovai molte persone riunite in cappella. Molti Vescovi vengono, mi si diceva, a dir Messa in questa cappella... Cominciai l’esorcismo, quella persona correva come un serpe a zig zag, come gli uccelli notturni, come i pipistrelli a sera; passava tra un banco e l’altro senza urtarli. Non poteva uscire perché erano chiuse tutte le porte, e la tenevano forte, la legarono, ma tutto era inutile. Non mi fu mai possibile far dire alla ossessa: O Maria, concepita senza peccato. Le si diceva: Di’, su “O Maria, concepita…”, ma lei rispondeva: “Pita oppure non concepita”; “Senza peccato...”, “Cato, catto, gatto…”. Rispondeva tutto al rovescio ma non ripeteva interamente mai la giaculatoria: O Maria concepita senza peccato. Il Signore poi la liberò e morì dopo cinque mesi (Par. VII,100a).
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Vennero alcune monache da me in America a dirmi che avevano una consorella in noviziato che era indemoniata. Insisteva la Superiora e diceva: Venga, la esorcizzi... Io dissi tra me: Possibile! Ma che mi prendano proprio per una specie di stregone! Questa indemoniata tutte le mattine faceva la Comunione e il demonio la costringeva a gettare nel cesso le particole e faceva altre cose terribili che non vi dico perché non si possono dire. Quando le si faceva cadere sulla mano qualche piccola goccia d’acqua santa essa strillava, mandava acute grida come se fosse piombo liquefatto. Anche ad essa feci ripetere la giaculatoria: O Maria concepita senza peccato. Di’ su – dicevo – O Maria concepita senza peccato... Non ci fu verso, non volle ripetere quella giaculatoria. Ripeteva magari altro ma “O Maria concepita senza peccato” non la volle mai ripetere. Quando sarete sacerdoti, perché andando avanti aumenterà sempre più il numero degli indemoniati giacché il mondo va sempre più indemoniandosi, quando sarete sacerdoti, se vi chiameranno a fare gli esorcismi, vi do un segno per conoscere se sono sì o no indemoniati. Perché può essere isterismo, possono darsi fenomeni nervosi strani e vi sono tante malattie che la scienza spiega e qualche volta anche guarisce, non è sempre facile distinguere se un malato di malattie nervose sia o no indemoniato. Bene, un segno è questo: se ripete “O Maria concepita senza peccato...” state pur tranquilli che non è ossesso quel malato, ma se non lo ripete potete star sicuri che il diavolo ha preso possesso di quel corpo. Vi sono altri segni, i segni che anche la teologia insegna: come parlare lingue ignote, conoscere le cose a distanza. Uno dei segni però è questo, tenetelo a mente. L’ossessa, di cui vi parlo si volgeva a me e diceva: Va’ a to pais, gucion ed Puncron..., e poi al Tabernacolo e diceva: In quel cassone non c’è nulla, buttalo via quel cassone; che fa lì? Il demonio lo si vedeva dagli occhi: ho veduto allora due occhi terribili, due occhi spaventosamente terribili. Mi diceva: Sono più forte di te... Ma non sei – ripetevo io – più forte di Gesù Cristo: è qui, è Lui che ti scaccerà. Mi diceva: Non mi guardare! Io allora fissavo lo sguardo negli occhi infuocati e ripetevo la formula degli esorcismi: Sì, ti voglio guardare: «Vade, Satana, inventor ac magister omnis fallaciae, hostis humanae salutis, cessa decipere humanas creaturas et venenum mortiferum propinare. Imperat tibi excelsa Dei Genitrix, Maria... Imperat tibi fides sanctorum Apostolorum Petri et Pauli». Quando nominavo, seguendo il libro, la «omnis legio diabolica», gli chiesi: Quanti siete? Siamo in tre. Ti scongiuro per Dio vivo, per Dio vero, per Dio santo: Cristo Dio ti comanda di uscire, non sei più forte di Gesù Cristo. I demoni raccontano per filo e per segno la vita del sacerdote, bisogna essere pronti a sentirsi dire tutto. Fanno un esame di coscienza accuratissimo. Hanno una memoria tenacissima, non scappa nulla. Ero quasi disperato di riuscirvi e andavo pensando tra di me: Non avrò fatto penitenza come avrei dovuto. I demoni per bocca degli indemoniati, dicono tutti i peccati, raccontano la vita del sacerdote. Il diavolo fa una confessione generale. Bestemmiano terribilmente la Madonna. Forse, se il diavolo bestemmiasse solo Gesù Cristo, avverrebbe quello che non dico per non essere frainteso. Anche per questo il diavolo rimarrà sempre il diavolo. Quando dunque, ero quasi disperato di riuscirvi mi misi ad invocare con i presenti la Madonna. Ed ecco improvvisamente, con una vociaccia, con una voce d’uomo mandò un grido e cadde. Pensavo: Sarebbe bella che poi sui giornalacci infami pubblicassero che io ho ammazzato una donna con le mie stregonerie. Lo dice anche il Vangelo che, quando il demonio esce, lascia come morti, come tramortiti. Poi per fortuna rinvenne e non si ricordava né di quello che aveva detto né di quello che aveva fatto. Le feci ripetere: O Maria concepita senza peccato..., ed essa ripeteva con esattezza: O Maria concepita senza peccato (Par. VII,100b–c).
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Un mese fa venne condotto al Piccolo di via Bartolomeo Bosco, un giovane. Di questo io non dico né sì né no: non dico se fosse indemoniato. Fu portato in una stanza di via Bartolomeo Bosco. In un canto vi era una statuetta della Immacolata. Appena entrato si diresse verso quell’angolo e alzando il piede, perché la statua stava su di un tavolino, diede un calcio alla Madonnina: ruppe la campana di vetro ma la statua rimase intatta. Se quello era indemoniato, io non sarei riuscito a scacciare il demonio: un segno sarebbe che non ha mai voluto dire: O Maria concepita senza peccato. Questi fatti ci dicono parecchie cose: Primo che il demonio deve odiare la Madonna e come deve soffrire per avergli Essa schiacciato la testa proterva. Se la Vergine è così in odio al demonio è segno che può molto contro di lui a nostro favore. Non avrebbe contro la Vergine Immacolata tanto odio, un odio così accanito se Maria non fosse stata strappata al suo dominio dopo il peccato originale (Par. VII,100d).
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Il diavolo quando c’è da fare i peccati, mette un gran coraggio e, quando si devono confessare, mette una gran vergogna (Par. IX,484).
Vedi anche: Inferno, Peccato, Tentazioni.
Denaro
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In questo momento non ti posso aiutare, né saprei a chi rivolgerti, perché le cose mie, in fatto di denaro, sono molto, ma molto diverse da quanto generalmente si crede. Non ho mai chiesto denaro ai benefattori. In casa, avrò, sì e no, un duecento lire, stasera devo mettermi in viaggio. Mi sono rivolto stamattina a don Bariani, che fa qui da economo, ma non ho potuto avere niente; veramente mi ha dato, giorni fa, tremila lire, ma ieri sono stato a Genova, dove abbiamo oltre 1.000 poveri e c’erano debiti da pagare. Con questo non è che mi lamenti della Divina Provvidenza, anzi! Non so come, malgrado i miei peccati, in più di 40 anni non m’abbia mai abbandonato: tutta è misericordia del Signore! (Scr. 47,270).
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Io non sono venuto in America a cercare denaro, ma anime, e specialmente sono nato per gli orfani, pei derelitti, per popolo abbandonato, per i poveri di Gesù Cristo cioè per quelli che sono i più cari a nostro Signore e nella sua Chiesa: voglio, vorrei con il divino aiuto, riportare il popolo alla Chiesa (Scr. 49,256).
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Per venire in Italia, penso che qualche anima buona dovrà pagarmi il viaggio, dacché tra il denaro e me c’è una specie di inimicizia perpetua. La Divina Provvidenza, per altro, manda, giorno per giorno, quanto fa bisogno, a seconda del numero dei ricoverati; e, non solo moltiplica il pane, ma, è tanto maternamente buona, che moltiplica anche il pesce. Onde, non ho soldi, ma non ho debiti. Come vada questa cosa non lo so, so che chi fa tutto è la Divina Provvidenza, e che il gran debito sono io, che dovrei essere ben diverso con nostro Signore (Scr. 49,14).
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Centodieci su cento ho intenzione e desiderio di assumere questa opera di cristiana e civile redenzione dei fanciulli più pericolanti, più abbandonati di Rio: non cerco denaro al Brasile, ma i suoi figli più poveri e più bisognosi di Dio, e Dio è con me, lo sento, benché io sia tanto nulla e tanto miserabile (Scr. 50,101).
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Noi siamo poveri ma non cerchiamo denaro né ricchezze: cerchiamo i figli più poveri e più abbandonati del popolo, e per questo ho accettato subito di andare subito al Marco Paz per dare l’istruzione religiosa a quei quasi 700 poveri fanciulli che in aprile saranno portati dei nuovi, che ne hanno tanto bisogno, e che cresceranno così buoni cristiani e buoni padri di famiglia, buoni Argentini, rispettosi della Religione e amanti della loro gloriosa Patria (Scr. 51,182).
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Se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene e si vedrà che ciò proviene dalla mancanza d’ubbidienza e soggezione della propria volontà, o perché essi fanno come Giuda, fanno borsa, e nascondono del denaro, contrariamente al giuramento e al voto di obbedienza e di povertà (Scr. 55,267).
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Non mi lascerò mai vedere contare denaro, né mai parlerò di denaro, di cibi o bevande (Scr. 57,98).
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Tutti sanno che il denaro o non passa per le mie mani, o non vi si ferma neanche un’ora, ma va subito a destinazione per le opere di carità o a pagamento di debiti già contratti (Scr. 58,158).
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Un santo, tutto pieno di amore verso gli infelici, era solito mettere in testa ad ogni suo scritto queste due parole: Anime e denaro! O buone Signore, non vi spaventate, se anch’io metto qui: Anime e denaro! Per fare del bene alle anime ci vuol del denaro: ci vuole del denaro, molto denaro per mantenere tanti orfanelli, per fondare e mantenere collegi e scuole cristiane: e questo denaro noi lo chiediamo a voi tutte, a voi che amate Gesù e le anime! (Scr. 61,26).
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Non è il denaro per il denaro che cerchiamo, no! Lungi da noi ogni attività che sappia di quattrino. La sottoscrizione dev’essere fatta con il nobile intento di ravvivare la fede e di confortare gli animi all’adempimento di un alto dovere. Ravviviamo la fede, e avremo raddoppiata la resistenza! (Scr. 76,248).
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Nessuno ritenga presso di sé denaro, né dia denaro a persone estranee o della Congregazione stessa, se non per cause riconosciute dal Superiore e nella misura concessa dal Superiore stesso (Scr. 80,72).
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Non sono i soldi o le ricchezze che fanno prosperare le Congregazioni, ma la santa povertà e il mantenimento dello spirito di fondazione, per cui la Divina Provvidenza le ha suscitate nella Chiesa. Così non siamo disposti a rinunciare ad un’oncia sola del nostro spirito di fondazione per tutto l’oro di questo mondo (Scr. 90,245).
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Ho veduto religiosi diventare ladri, nascondere soldi, far borsa, far sacco come Giuda, accecati come lui dall’avarizia e cadere in certe colpe vergognosissime, e invece di essere guida, far perdere la fede; invece di essere luce e calore, diffondevano attorno a sé un’aria gelida, un vento come di brina che tutto dissecca in primavera (Par. III,66).
Vedi anche: Amministrazione, Contabilità, Debiti, Economia, Rendiconto (amministrativo).
Devozioni
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Vi raccomando lo spirito di orazione, la umiltà e carità, l’amore ai poveri, lo spirito di sacrificio, della disciplina e vita religiosa: grande devozione alla Madonna e attaccamento alla S. Chiesa e al Papa (Scr. 1,88).
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Ho bisogno di figli santi! Ecco, o miei Cari, il tempo di mostrare il vostro vero amore di Dio: la vostra devozione vera alla Madonna SS.ma: il vostro affetto sincero, tenero e da veri figli alla nostra amata Congregazione che è, dopo la S. Chiesa di Roma, la vera nostra madre morale! (Scr. 2,77).
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I nostri cari fratelli ricoverati devono avere tanta pietà e devozione alla SS.ma Eucaristia da imitare ed emulare i primitivi cristiani e allora davvero che la divina Provvidenza ci assisterà e non ci mancherà e il Piccolo Cottolengo diventerà la Cittadella Spirituale di Genova e della nostra cara Congregazione. Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! (Scr. 5,341).
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Spandete con pace e con amore nelle anime l’amore e la devozione alla SS.ma Eucaristia, ricordando a tutti la parola di Gesù: «Chi mangia la mia Carne e beve il mio sangue, sta in me ed io in lui». Vi è cosa migliore che rimanere noi nel Signore e il Signore in noi? Su, o Carissimi, la carità di Cristo ci incalza! Caritas Christi urget nos! (Scr. 5,342).
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Riteniamo come perduto quel giorno nel quale nulla avremo fatto per infiammare le anime di devozione al SS.mo Sacramento. La miglior carità che si può fare ad un’anima è di darle Gesù! E la più dolce consolazione che possiamo dare a Gesù è di dargli il possesso di un’anima. Questo è il vero suo regno (Scr. 5,342).
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Ti raccomando la santa povertà e carità e la più grande devozione al SS.mo Sacramento, a Gesù Crocifisso, alla SS.ma Vergine Madre di Dio e al Papa (Scr. 5,426).
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Educa i tuoi Chierici a devozione e ad amore filiale a Maria: il nostro Istituto è particolarmente consacrato a Lei e sta sotto il suo manto come il suo figliolino più piccolo, più debole e più bisognoso (Scr. 8,201).
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Da qualche tempo io non so più scrivere senza metterci in mezzo il nome della SS.ma nostra Madre e sono sempre tanto ma tanto confortato ogni volta che posso pregare o invocare o almeno guardare a qualche immagine della Madonna! Questa devozione la devo al venerabile Don Bosco e così il mio grande amore al Papa e alla SS.ma Eucaristia. La nostra piccola Congregazione deve con me essere sempre tenuta ai Salesiani per questo insigne beneficio (Scr. 12,124).
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Maria, è vero non ha creato la Divinità, ma è vera Madre dell’unica Persona del Verbo divino fatto carne. Noi, ponendo questa devozione, mettendo in rilievo la Mater Dei, fissiamo i punti cardinali della Fede: la divinità di Cristo e la Divina Maternità di Maria. La nostra confessione di Fede, anche nella devozione alla Madonna, dev’essere chiara, decisiva, cattolica, dogmatica. Nella recita dell’Ave Maria, i nostri ripeteranno sempre le dolci parole con cui la Chiesa, fin dai primi secoli, ha salutato la Madonna: Mater Dei! E anche questo servirà e come! a radicare in essi la vera fede e la vera devozione (Scr. 15,109).
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Ci ottenga il grande Apostolo di predicare anche noi, specialmente con l’esempio d’una vita umile e piena dello spirito di carità, Gesù e Gesù Cristo Crocifisso. E diffondiamo la devozione al Crocifisso, purtroppo troppo abbandonata; e la nostra predicazione sia quale San Paolo la volle, quale la vuole la S. Chiesa, non in persuasive parole di umana sapienza, ma dimostrazione di Spirito e di divina potenza, perché la fede nostra, come dice l’Apostolo, non poggia in sapienza d’uomini, ma in potenza di Dio (Scr. 19,267).
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La Chiesa nella domenica della Palme apre la Settimana Santa con il Passio, cioè con la lettura della passione di nostro Signore, perché questa santa lettura deve essere sempre il principale oggetto delle nostre meditazioni e tra le più grandi nostre devozioni. Ricordatevi sempre che la Piccola Opera della Divina Provvidenza è nata nella Settimana santa e ai piedi del Crocifisso e la prima chiesa che mi fu data dal Vescovo per raccogliervi in ragazzi del primo oratorio festivo fu appunto l’Oratorio del Crocifisso presso la Canale (Scr. 30,216).
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Orazione! Orazione! Orazione! Devozione alla Madonna. Devozione alla Madonna. Devozione alla Madonna. Devozione al Papa. Attaccamento al Papa, obbedienza, amore al Papa e al Vescovo (Scr. 33,40).
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Nel 1933 è il Centenario della Crocifissione di N. Signore e della nostra Redenzione; sia fanno tanti centenari e va bene, ma non si può, non si deve dimenticare il Centenario della Divina Redenzione E la devozione a Gesù Crocifisso va quasi languendo! Eppure tutto viene di là, dalla Croce! Ridestiamo tale devozione! Su, caro Monsignore, fatevi apostolo della devozione a Gesù Crocifisso: San Paolo predicava Cristo «et Hunc Crucifixum!». Alziamo la Croce e bandiamo la nuova Crociata pro Christo Crucifixo! Coraggio! e Dio sarà con voi! (Scr. 37,224).
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Ah! che la devozione a Gesù crocifisso ritorni a diventare la devozione delle moltitudini cristiane, ché essa è devozione principe. La nostra redenzione è da Gesù crocifisso e la croce è il vero trono della divina regalità di Cristo: «regnavit a ligno Deus» (Scr. 49,251).
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Devozione alla Purissima: è un pegno certo dell’eterna salute. La Chiesa dice che da Maria è venuto ogni bene e altro ne verrà fonte di grazia, scala aperta del cielo; dice: «Qui me invenerit, inveniet vitam et hauriet salutem a Domino»: chi ha la devozione alla Madonna è come se fosse già salvo: amarla, servirla, imitarla (Scr. 55,22).
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Ah purtroppo, o miei cari figlioli, che troppo sovente noi ci sentiamo sprovvisti di pietà, di amore verso il nostro Padre Celeste: troppo scarsi di devozione verso la nostra Madre Maria SS.ma, troppo languidi verso la S. Chiesa, il Papa, i Vescovi, troppo indifferenti nelle devozioni verso i Santi, troppo freddi verso i Sacramenti, forse anche poco rispettosi verso le Sacre Scritture e senza compassione verso il prossimo (Scr. 55,200).
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Alziamo frequente gli sguardi al Cuore di Gesù, ed Egli guarderà noi: Egli, che sa tutto, vede tutto, può tutto e ci ama con infinito amore! E promoviamo, quanto più potremo, la devozione al Sacro Cuore! Che il Cuore SS.mo di Gesù disponga i nostri cuori a suo modo e vi stabilisca il suo santo regno, a gloria sua e a salvezza nostra (Scr. 56,87).
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La devozione a Maria SS.ma sia alle anime e alla società come un raggio di speranza. Quanti innanzi a Maria Vergine ritrovarono conforto! Non avesse fatto altro la devozione a Maria che asciugare le lagrime di tante madri, di tante spose, non basterebbe per benedirla? Oh venga, venga il bel mese di maggio: venga la dolce devozione a Maria SS.ma e su questo triste spettacolo della nostra vita irrori delle Sue consolazioni (Scr. 56,224).
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Ho passato tre anni all’Oratorio di Valdocco in Torino e vi entrai che il Venerabile viveva ancora. Insieme con l’amore dolcissimo a Gesù Sacramentato e con la più tenera devozione alla SS.ma Vergine, Don Bosco prima e poscia Don Rua e tutti gli altri Salesiani miei Superiori crebbero in me un affetto grande e illimitato alla Chiesa e al Papa (Scr. 57,248).
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Possa la mia parola aiutare le anime a farsi buone, a sentire il caldo di quel fuoco che Cristo disse esser venuto a portare in terra la fede e la devozione in Maria SS.ma siano la più viva impronta del vostro spirito italiano e cristiano; bisogna respirarla la devozione a Maria e allora solo si sente che gran vena di vita spirituale ella è; la nostra devozione a Maria è tanta parte della nostra vita e del poema dell’anima nostra, la nostra devozione alla santa Madonna, direbbe Dante: «entra per l’udire e per lo viso» (Scr. 61,119).
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Vi raccomando la devozione a Gesù sacramentato a Gesù crocifisso e al cuore adorabile di Gesù. Voi sacerdoti, chierici ed eremiti, curate molto nei giovani, come nei ricoverati, la frequenza dei Sacramenti, lo spirito di lavoro, la temperanza e la bella virtù. Siate amantissimi della Madonna e propagatene il culto, l’amore e la devozione più tenera e filiale. Siate devotissimi del Papa, dei Vescovi e della santa Chiesa di Roma: siate figli sempre umili e fedeli ai piedi della Chiesa, del Papa, dei Vescovi (Scr. 62,14).
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Voi sapete bene chi è la Mamma? La Mamma SS.ma è Maria SS.ma Immacolata! Siate fervorose, o buone figliole del Signore, siate fervorose nella devozione e Maria Santissima, che è la Mamma che ci ha dato Gesù stesso, la Mamma del nostro piccolo Istituto e di ciascuna personalmente di voi. Sappiate dunque che con la devozione alla Mamma, tutto vi andrà bene e andremo tutti in Paradiso (Scr. 65,221).
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La devozione a Maria ci salverà: chi è devoto di Maria si salva, chi non è devoto di Maria si danna, così di frequente ripeteva Sant’Alfonso. Sono molte le insidie, le tentazioni, gli assalti, i lacci del demonio che attraversano i nostri progressi nella via della virtù (Scr. 71,193).
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Essendo i Figli della Divina Provvidenza non istituzione ristretta ad una diocesi potranno di loro natura diffondere maggiormente la devozione al S. Cuore e forse lì, in vista del mare, formarsi ai piedi di Gesù a passare il mare istituendo lì anche una Casa di Missione perché, se le offerte sono venute anche dall’America e dall’Oceania, è più che giusto che ora il S. Cuore pensi (Scr. 72,149).
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Santa Teresa si può ben chiamare l’Apostola di San Giuseppe. Dal 1500 la devozione a questo caro Santo andò sempre più propagandosi. San Francesco di Sales ha tutto un trattato su San Giuseppe: ne raccomanda la devozione, loda le sue virtù, sopra tutto la sua verginità, l’umiltà, il lavoro, la costanza, il coraggio. Il Beato Cottolengo e il Beato Don Bosco erano devotissimi di San Giuseppe. L’angelico Pio IX lo proclamò Patrono universale della Chiesa, Leone XIII ne diffuse caldamente la devozione. Il pio e dotto Card. Vives y Tuto ci diede la «Summula Iosephina». Quante religiose istituzioni in questi ultimi tempi presero nome e spirito da San Giuseppe! Quanti altari, quante chiese e Santuari si innalzarono in suo onore! È la voce della Chiesa che grida ai popoli: Ite ad Ioseph! Rivolgetevi a San Giuseppe! (Scr. 77,162).
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Oh! sì quanto bisogno abbiamo che sulle imprese individuali e sociali scenda, auspice di buon esito, la benedizione del Cuore di Gesù che, mentre lo scandalo e l’irreligione provocano così audacemente l’ira divina, ci sia schiuso un oceano di misericordia ove le anime tiepide attingano la grazia del fervore, le fervide la virtù di elevarsi rapidamente alla più alta perfezione, i sacerdoti il dono di commuovere i cuori più induriti, tutti, l’ineffabile consolazione d’avere il nostro nome scritto in quel Cuore, donde “non sarà cancellato giammai”! Ma che ci vuole per avere diritto di sperare tanto? Non altro fuorché una tenera e vera devozione al Sacro Cuore di Gesù! E in che consiste una tale devozione? Nei manuali di pietà la si trova comunemente riassunta in quattro pratiche: la preghiera, la frequenza dei Sacramenti, la visita amorosa alla SS.ma Eucaristia (ove il Cuore di Gesù palpita vivo e vero e merita e si attira ogni ossequio più dolce di qualunque sua immagine), ed il ricorso a Maria, Signora del Cuore divino e dispensatrice delle sue grazia (Scr. 104,167–168).
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Onoriamo dunque Maria con la preghiera, con il diffonderne il culto, con devozione tenerissima e con imitarne le virtù. Perfezioniamo la nostra anima con opere di fede e amore a Dio e ai fratelli. Onoriamo Maria, deponendo l’orgoglio e vivendo in umiltà grande: Maria fu tanto umile! (Scr. 106,98).
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La devozione dei Cento Requiem in suffragio delle Sante Anime del Purgatorio. Per questo pio esercizio; ognuno può servirsi d’una corona comune di cinque poste o decine, percorrendola tutta due volte, per formare le dieci decine, ossia il centinaio di Requiem. S’incomincia con il recitare un Pater Noster e poi una decina di Requiem sui dieci grani piccoli della corona, in fine della quale di dirà al grano grosso questa giaculatoria: Gesù mio misericordia delle anime del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Indi si recita di seguito la seconda e le altre decine di Requiem sui dieci grani piccoli seguenti, ripetendo la suddetta giaculatoria invece del Pater noster ad ogni grano grosso, ossia alla fine di ogni decina. Terminate le decine (ossia il centinaio) di Requiem si dica il De Profundis (Scr. 110,193).
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Voi propagherete sempre più la devozione alla Madonna SS.ma; promuoverete religiosi pellegrinaggi a questo Santuario: qui, fatti sacerdoti, verrete a celebrare, a consacrare il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Qui predicherete Gesù Crocifisso e lo porterete Gesù in terre e popoli lontani. A tutti predicherete la devozione alla Santa Madonna e questo Santuario sarà celebre oltre le Alpi e oltre l’Oceano per le grazie singolarissime che dispenserà la Vergine della Guardia da questo suo trono di misericordia (Scr. 112,313).
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Grande fiducia, dunque, in Maria Santissima, o miei figli, grande fiducia e tenerissima devozione a Maria! Oh! l’utilità, per non dire la necessità della devozione a Maria! Si può concepire un Religioso, voglio dire un buon Religioso, che non abbia amore e devozione alla nostra dolcissima Madre? Saranno forse i Figli della Divina Provvidenza i più languidi e gli ultimi ad amare e a glorificare Maria? (Lett. II,476).
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Buone figliole del Signore, attente bene, guardate! Tutta la vostra attività dev’essere attività di carità: tutte le vostre devozioni devono servire per infiammarvi sempre più nella carità di Gesù Cristo, perché, attente bene, vorrei che ci fosse a sentirmi anche il Sacerdote che vi ha parlato stamane..., sentite: Anche la devozione al Sacro Cuore sarebbe vana, servirebbe a niente, se non ci fosse la carità; sarebbe solo e tutta teoria, ideale o vernice, che più nuocerebbe che giovare. La carità illumini, rischiari, consumi la nostra vita (Par. I,203).
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Oggi è il primo giorno del mese e capita in venerdì, in uno di quei venerdì che la Chiesa consacra alla devozione del Sacro Cuore di Gesù. Per comprendere bene che cosa vuole insegnarci la Chiesa con questa devozione bisogna comprendere ciò che significa il cuore di Gesù. Gesù disse: Imparate da ne che sono mite e umile di cuore. Ma non è tutto qui. Il cuore è l’organo dell’amore e più della dolcezza e dell’umiltà. Benché quest’ultime siano virtù importantissime, egli sopra tutto ci insegna la carità. Quando l’apostolo san Giovanni volle definire che cosa è Dio non seppe definirlo con altre parole che con queste: Deus caritas est. Dio è carità. Dunque, è l’amore che dobbiamo imparare dal cuore di Gesù (Scr. 1,243).
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L’Eucaristia spegne le fiamme delle passioni e, tra le pratiche di pietà, il culto, la devozione al Santissimo Sacramento è la regina perché ci dà l’Autore della grazia; perché mentre le altre pratiche di pietà danno un po’ di luce alla nostra anima, questa porta con sé tutta la Luce (Par. III,14).
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Devozioni nostre: il Santissimo Sacramento, che ha creato i martiri deve essere lo spirito del nostro spirito. Crocifisso, Papa (se volessi e dovessi mettere un ordine metterei prima il Papa e poi Gesù). Che la devozione al Sacro Cuore non diventi sentimentale; le nostre devozioni, specie quella della Madonna, devono essere strettamente dogmatiche: Mater Dei. Ricordiamo che la Madonna è la Madre di Dio. Affermiamo la Divina Maternità. Amate, praticate, non fantasticate o ragionate i dogmi. Anime del Purgatorio. Non mi ricordo di aver invocato le Sante anime del Purgatorio e non sia stato aiutato (Par. III,37).
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È brutto segno che nella Chiesa l’amore e la devozione a Gesù Crocifisso vada affievolendosi. E non dobbiamo mai dimenticare che questa devozione è la devozione principale della nostra piccola Congregazione. Quante anime buone spendono il Venerdì alla meditazione della Passione? La devozione a Gesù Crocifisso si può dire che è la prima devozione della nostra Congregazione. Questa Congregazione – come sapete – è nata in una piccola chiesetta dedicata a Gesù Crocifisso e detta appunto “Il Crocifisso” di Tortona. Ai piedi di quel Crocifisso si raccolsero i primi ragazzi della strada. Sempre nella piccola Congregazione si è inculcata la devozione a Gesù Crocifisso (Par. III,126).
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Devozioni principali della Piccola Opera della Divina Provvidenza: 1 – Gesù crocifisso. Gesù lo si ama in Croce o non lo si ama affatto. Da Gesù Crocifisso venne la nostra salute. Desidero che nelle chiese principali della Congregazione si metta sull’Altare maggiore, di precedenza, un bel Crocifisso. Nella chiesa del Crocifisso, ai piedi d’una sua immagine, che ora conservo nella mia camera, raccolsi i primi giovani e nacque così la Piccola Opera della Divina Provvidenza; quei giovani che prima spendevano il denaro, il tempo, la bella virtù sul Castello... 2 – Gesù sacramentato. Perché è il Sacramento dell’amore per cui Gesù vive tra noi. Dice Gesù: I Padri del deserto hanno mangiato la manna e sono morti. Io vi lascio un pane vivo per cui chi mangerà di questo pane vivrà in eterno... 3 – SS.mo Cuore di Gesù. 4 – SS.mo Nome di Gesù. 5 – Maria santissima, Mater Dei, tutta pura, tutta immacolata. 6 – San Giuseppe. 7 – Il Papa. Desidero che i Figli della Divina Provvidenza non sentano verso il Papa soltanto un’affezione filiale, per cui sono tratti ad amarlo e ad obbedirlo, o una semplice venerazione; ma i Figli della Divina Provvidenza devono avere e sentire la devozione al Papa, essendo il Papa, come ben si espresse Santa Caterina da Siena, il dolce Cristo in terra (Par. III,131).
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È per me doveroso raccomandarvi la devozione al Sacro Cuore di Gesù perché la nostra Congregazione ha tre devozioni principali verso Gesù: la prima a Gesù Crocifisso, poiché dovete sapere che la nostra Congregazione è sorta in un umile Oratorio chiamato del Crocifisso e ai piedi del Crocifisso sorse la nostra Congregazione. La seconda devozione è al Santissimo Sacramento; e la terza è al Sacro Cuore di Gesù che tanto vi esorto ad amare e venerare in modo speciale ogni primo Venerdì del mese (Par. III,226).
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Ci sono tante belle devozioni, come nel cielo vi sono le stelle più o meno risplendenti, più o meno vivaci e belle; e così pure è delle devozioni; ma la devozione a Gesù Crocifisso, ritengo che, dopo quella al SS.mo Sacramento, sia la più bella. La nostra Congregazione è nata ai piedi di Gesù Crocifisso; si è formata in una settimana santa. No, non dobbiamo mai dimenticare che la Piccola Opera della Divina Provvidenza è nata ai piedi del Crocifisso e si è sviluppata davanti al Crocifisso. Ho raccolto i primi orfani sotto la Croce. Dalla Croce è venuta la nostra redenzione. Dice Santa Teresa: Non vi è legno che arda, che splenda più di quello della Croce (Par. IV,258).
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La devozione al Sacro Cuore simboleggia l’amore. Oggi è la festa del Sacro Cuore; noi dobbiamo entrare nello spirito di questa solennità. È il Cuore stesso di Gesù che vuole questo giorno e quando apparve a Maria Alacoque, disse che desiderava avere una festa dedicata ad onorare il Suo Cuore; non solo voleva questa festa, ma determinò anche il giorno e scelse il primo Venerdì dopo l’ottava del Corpus Domini. Egli voleva quel giorno consacrato al Suo Cuore che ha tanto amato gli uomini. E noi, che cosa dobbiamo fare in questo giorno dedicato al Sacro Cuore di Gesù? Dobbiamo pregare in riparazione delle offese che riceve nel Santissimo Sacramento; ma, per essere positivi, prima di risarcire le offese che riceve dagli altri, dobbiamo risarcirLo delle nostre mancanze, dei nostri peccati (Par. V,62–63).
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La nostra Congregazione come si è proposta di amare Maria Santissima, con il suo più grande titolo di Mater Dei, così si propone come devozione principale la Croce. La Chiesa ci inculca sempre la devozione al Crocifisso. Con il segno della Croce, amministra i Sacramenti; dal segno della Croce fa precedere, accompagnare e seguire ogni atto liturgico, non vuole che si celebri la Messa se non sull’Altare dove si trova il Crocifisso (Par. V,117).
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La Santissima Eucaristia è tutto nostro Signore, per la sua grazia e per la sua luce. Ricevendo lui, noi vediamo le nostre miserie. La devozione alla Santissima Eucaristia è la prima devozione per la Piccola Opera; e non può essere altrimenti. I primi cristiani nulla più desideravano, mentre stava per andare al cimento finale e al martirio, che di essere nutriti delle Carni Immacolate di Gesù (Par. V,220).
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Amiamo tanto nostro Signore Gesù Cristo e diffondiamo la devozione al Santissimo Crocifisso. Ci sono tante belle devozioni, tutte belle e sante, ma ricordate, o cari miei figlioli, che la devozione principe è la devozione a Gesù Crocifisso. Ricordiamo che, se siamo stati redenti, Gesù ci ha redenti sulla Croce; la redenzione è stata data da Gesù Cristo Crocifisso; e dal Cuore trafitto di Gesù Cristo in Croce è sgorgata la Santa Chiesa di Dio. Amiamo Gesù Cristo e diffondiamo la devozione al Sacro Crocifisso e meditiamo frequentemente la passione e morte di Gesù in Croce. Diceva Santa Teresa: Il legno della Croce è il legno che accende meglio nei nostri petti il fuoco del santo amor di Dio. Siamo devoti e facciamo visite frequenti a Gesù Sacramentato e vediamo di nutrire delle carni immacolate dell’Agnello di Dio la nostra vita e le nostre anime. Siamo devote anche del Cuore Sacratissimo di Gesù. Cerchiamo di diffondere nelle anime questa devozione. La devozione a Gesù Crocifisso alla Santa Eucaristia, è amore a Gesù, nostro Dio, nostro Redentore, nostro Re dalla Croce. “Regnavit a ligno Deus”, l’amore alla Santa Eucaristia, al Cuore Sacratissimo di Gesù sia il primo e il più grande amore dei nostri cuori. Devozione alla Madonna. Amare la Madonna! La devozione alla Madre Dio, è pegno sicuro della nostra eterna salvezza. Non sorga mai il sole e non tramonti mai, senza che il nostro cuore non innalzi un affetto, una preghiera tenera e filiale alla Santissima Madre di Dio. E in tutte le ore e in tutte le battaglie, per mantenerci in grazia del Signore, invochiamo sempre Maria Santissima. “Mariam cogita, Mariam invoca”, dice San Bernardo. La devozione a Maria Santissima è il secondo sacro amore dei nostri cuori. Come il Nome di Maria è il secondo nome dopo quello di Gesù, così l’amore di Maria deve essere il nostro secondo amore (Par. VI,191).
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Don Bosco era molto devoto di San Giuseppe ed educava i suoi alunni ad una devozione particolare verso il caro santo che ha fatto da Padre a nostro Signore Gesù Cristo. In Maria Ausiliatrice, alla destra dell’Altare della Madonna, volle che ci fosse l’Altare di San Giuseppe. Un gran quadro sta sull’altare e sotto volle dipinto l’Oratorio Salesiano, cioè la Casa Madre della Congregazione e Gesù nelle braccia di San Giuseppe, lascia cadere rose sopra l’Oratorio Salesiano. Così anche noi, o cari chierici miei, dobbiamo avere una devozione, uno spirito grande verso il Santo. Oggi è cominciato il mese in onore di San Giuseppe. Questo mese dobbiamo farlo con trasporto di pietà sentita, di pietà viva. Come era devotissima di San Giuseppe, Santa Teresa! Santa Teresa di Gesù diceva che non era mai ricorsa e invocato questo Santo senza essere stata esaudita (Scr. 8,129).
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Bisogna proprio dire che, con l’amore alla Madonna e con la devozione verso di lei divulgata tra la gente, la Piccola Opera ha avuto come uno slancio nuovo: la devozione alla Madonna è il terreno più fertile anche per le opere della carità e dello zelo per le anime; davvero tutte le grazie, anche per gli istituti, oltre che per le singole anime, passano tutte per le mani di Maria. La devozione alla Madonna è fuoco anche di carità e di apostolato: il mezzo più sicuro per far avanzare le opere di bene è quello di metterle sotto il manto e la protezione della Madonna (Par. IX,379).
Vedi anche: Cento requiem (devozione), Croce, Eucaristia, Madonna, Sacro Cuore, Tre Ave Maria (devozione).
Diabete
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Mi sono trovato con il diabete addosso, ho fatto la cura per liberarmene e grazie a Dio sto bene. Presto, per ogni buon conto, mi faranno altre analisi anche del sangue. Però assicuro, e voglia Ella assicurarne anche quell’incredulo di Don Sterpi, che mi sento proprio bene: posso pregare, lavoro, mangio, dormo, e sono fin ingrassato. Che vuole di più? (Scr. 9,83).
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Quanto alla salute, Le sarò sincerissimo: alcuni dicono che il diabete non vada via più, ma lo si riduce, attenendosi a certa cura, come se non ci fosse. Sono ingrassato e sto bene; qui fanno mangiare molta carne, che, se in Italia se ne prendesse anche solo metà, ci sarebbe da crepare (scusi la parola). Ma qui sia la carne che il latte, il pane, la frutta ecc. non danno l’alimento come da noi, in Italia (Scr. 9,87).
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Sono stato oltre un mese con molta fiacchezza addosso, credevo fosse stanchezza per il lavoro fatto: non mi era possibile scrivere né far un lavoro un po’ di conto. Poi, sentendo tanta sete, ho dubitato fosse qualche cosa, ed esaminata l’urina, trovarono il diabete. Volevano che fossi stato a letto almeno tre giorni a pura acqua. Immaginate! Mi avessero detto di stare a letto a vino puro, allora, magari mi ci avrei indotto, ma a pura acqua! e poi stare a letto! Fosse stata una polmonite, allora, pazienza! ma per un po’ di diabete! Chi non l’ha il diabete? E così mi hanno messo a regime. Sono dunque a regime, sono fascista anche a tavola. Vi par poco? Dicono che anche il Duce sia stato (qualche anno fa, quando si diceva che non stesse bene) posto dai medici (erano certo professoroni) a un certo vitto. E così ora faccio io. Solo che, se si dà ascolto ai medici, non si sa più cosa mangiare e si finisce di star male sul serio e di andare all’altro mondo per un altro verso (Scr. 18,110).
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Non vorrei avervi impressionato riguardo al mio diabete, ecco: sentivo molta sete e non potevo più lavorare, non sapevo perché. Ho dubitato fosse un po’ di diabete, e l’analisi dell’urina diede 42 per mille di glucosa. Mi hanno proibito patate, frutta, uova, riso, poco pane etc. Oggi mi hanno estratto un po’ di sangue e ripetono anche l’analisi dell’acqua. Io ora sto meglio di prima, certo perché mi sono astenuto da certi cibi ed ho riposato di più. Quindi state tranquillo: vi terrò informato (Scr. 18,112).
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Quanto al cuore e al diabete state pure tranquillo, che mi sto curando. Spero di fare una corsa al Brasile presto, ma vi avvertirò. Prevedo molto difficile il mio ritorno per giugno, dovrei strapazzarmi troppo, e voi stesso mi consigliate di avermi qualche riguardo: vuol dire che se non sarà un mese, sarà un altro (Scr. 19,20).
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Qualunque voce sentiate circa la mia salute, vi posso dire che ora tutto è passato: sto a regime, sia per il diabete che per il male di cuore, e qui mi usano tutte le cure possibili. Si capisce che si è vecchi e non erbette (Scr. 19,183).
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Io vi assicuro che ora sto bene: è il cuore che fa i suoi scherzi e il diabete: sto a regime, e sto bene: state tranquillo, qualunque notizia vi pervenga da estranei: credete a me, che sono ancora un galantuomo, benché mi trovi in America (Scr. 19,186).
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Assicura che sto bene, e che non si allarmino per il diabete, è di moda, ora, avere il diabete, ma credo di non avere più nulla tanto sto bene, e bisogna credermi (Scr. 27,227).
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Ho ricevuto l’analisi sia dell’orina che del sangue, per quanto riguarda il diabete; perché don Sterpi si tranquillizzi, la mando. Analisi del sangue: glicemia. Contiene 1,51 grammo per mille di glucosa nel sangue totale. (Metodo de Follin–Wu) Orina – Albumina – serina – vestigi globulina idem Albuminosa – nulla Mucina – vestigi Glucosa – 3,034 gr. per mille Levulosa – niente. Acetona – niente. Dunque stia tranquillo; sto al regime dato, e ogni tanto farò ripetere l’analisi. Questa analisi non fu fatta dal D.r Gonella, anzi egli non sa che mi sono rivolto ad altri, questo per norma di don Sterpi (Scr. 27,228).
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Io sto bene; oggi mi sono fatto togliere alcuni denti, il diabete me li faceva cadere. Sto bene (Scr. 27,229).
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Ricevo la gradita tua del 13 febbraio, sarà un lapsus, volevi, certo, scrivere 12, come nell’altra hai scritto 16, invece di 13. Che io ti abbia attaccata il diabete? Allora bisogna che stiamo attenti tutti e due! (Scr. 29,232).
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Il Signore sia sempre con noi! Solo Dio sa quanto mi costi scriverti questa lettera. Prendila in bene e dalla mano di Dio. Io sono qui con il diabete e sovraccarico di lavoro (Scr. 34,17).
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Io sto bene, ho solo un po’ di diabete, ma è assai diminuito. Immaginati che volevano farmi stare a letto almeno per tre giorni, a pura acqua. È quel Gonnella che avevamo a San Bernardino il primo anno e poi a S. Chiara; ora è medico qui, e un’autorità medica (Scr. 49,69).
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Oggi sono venuti due chierici da me mentre passeggiavo nell’orto; dei quali io non ricordo il nome: se li vedessi li riconoscerei di faccia, ma il nome io non ricordo, anche perché ho il diabete che mi fa perdere la memoria e perché in tre anni siete cresciuti (Par. X,49).
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In quel discorso Padre Semeria disse alcune parole che ricordo molto bene perché io ricordo bene le cose lontane e dimentico le vicine; ragione per cui dimentico, avendo il diabete, le vostre marachelle! E così, quando sarò per morire – non ridete! – pregherò che venga a nostro Signore un poco di diabete così si dimenticherà dei miei peccati (Par. XI,13).
Vedi anche: Digiuno, Malati, Temperanza, Vitto.
Digiuno
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È mio vivo desiderio di potere vestire io quelli del Noviziato: quindi appena ricevuta la presente farete preparare subito le vesti, anche valendovi di parecchi sarti, così che Domenica stessa possa vestirli da religiosi; intanto si preparino digiunando venerdì e sabato e facendo un po’ di S. Ritiro (Scr. 11,72).
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Sono aboliti dalle nostre case le percosse o qualunque castigo che consista nel battere i fanciulli o tenerli digiuni o in lunghe punizioni. Cercate di affezionarveli nel Signore con buoni trattamenti (Scr. 24,26).
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Niente più ti raccomando che di servirti di questo tempo di quaresima per raccoglierti e indirizzarti di più nella preghiera e nel digiuno e mortificarti. L’orazione è la scienza delle scienze e la sola che faccia l’uomo, e più il religioso, contento e beato; è il mezzo per ottenere perdono e salvezza: è la porta del Cielo. I buoni cristiani digiunano, sarebbe una vergogna per noi religiosi non fare altrettanto: mettiamoci la penitenza nel cuore e avremo umiltà di spirito e Dio stesso nel cuore (Scr. 29,140).
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Piuttosto vi dirò che quando codeste straccione andranno nella nuova Casa desidero che ci vadano, dopo tre giorni di digiuno a pane e acqua e io pure digiunerò a pane e acqua per 4 giorni e poi desidero che ci vadano scalze, cantando il Miserere, ed entrando giù a baciare tre volte la terra e che si prendano il posto più angusto e più umile per lasciare ai bambini, alle fanciulle e ai poveri la parte più bella, più arieggiata, più comoda (Scr. 31,32).
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Andate tutti sovente a fare la s. comunione: vale più una comunione ben fatta che mille anni di digiuni e penitenze. Bisogna avvicinarci al Signore quando stiamo bene e da giovani, così quando saremo più vecchi ed ammalati avremo già familiarità con lui, che sarà quello che ci deve consolare e condurci al Paradiso (Scr. 40,231).
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La mia anima si deve purificare e preparare in semplicità a quel bene che la Madonna Mater Dei e guardia celeste vorrà fare, con l’orazione, con il digiuno e con l’umiltà, onde non storpiare l’opera della Madonna a S. Bernardino, per suo amore farla contenta (Scr. 43,6).
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In ciascuna settimana, al venerdì, si faccia digiuno in memoria della passione e morte di n. Signore Gesù Cristo (Scr. 52,12).
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Come Gesù ha combattuto non per sé ma per noi ed ha vinto, impariamo da Lui il modo di vincere. Egli deve essere il principio della nostra fiducia, come è il consumatore della nostra vittoria. Ma, alla battaglia contro le tentazioni, premise il digiuno. Con questo digiuno, o fratelli, Gesù ha aperto una novella era del mondo. Mosè digiuna quaranta giorni sul Sinai, ed apre l’era della Legge: digiuna quaranta giorni Elia in una spelonca, ed apre l’era dei Profeti; digiuna Cristo quaranta giorni nel deserto, ed apre l’era del Vangelo, che tutte le altre perfeziona e compie. E la fame che da ultimo Gesù sentì, se, come uomo, era il bisogno di cibo, come Uomo–Dio era sovra tutto fame di anime: era desiderio accesissimo di compiere la volontà del Padre, cioè la grande opera della redenzione degli uomini (Scr. 69,326).
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Raccomando, sopra tutto, la preghiera del cuore e l’unione continua con Dio. Alla celebrazione delle grandi feste prepariamoci con la preghiera, con il digiuno, con il silenzio. S. Alberto si ritirò in un’erma solitudine e imitò la vita degli antichi anacoreti della Tebaide (Scr. 81,192).
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La nostra vita è amore di Dio e del prossimo e tra il prossimo i più poveri e più bisognosi di fede e di pane. Inculca l’obbedienza, la povertà, il disinteresse, l’umiltà, la castità, la mortificazione dei sensi e della volontà: il silenzio e la saggezza che fanno discernere il bene dal male. In Quaresima e nell’Avvento digiuneranno un giorno alla settimana a pane e acqua. L’ospitalità è un dovere indispensabile per un Figlio della Divina Provvidenza, ma, qualunque siano i nostri ospiti, la tavola sarà sempre messa con semplicità (Scr. 81,193).
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L’elemosina, il digiuno, la preghiera, fatti a dovere, ottengono da Dio la grazia che rimette i peccati e conduce alla vita eterna. Tutto il nostro amore al Cuore di Gesù e alle lacrime che cadono dal cuore dei nostri fratelli più poveri e derelitti. Solo questo grande e divino amore apre la porta al regno che non ha fine (Scr. 86,194).
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Propongo in questi Santi Esercizi Spirituali, fatti con la divina grazia in S. Andrea all’Jonio, di scegliermi un confessore stabile a cui confessarmi almeno una volta alla settimana: di dire l’Ufficio divino, come mi permise il S. Padre Pio X vivae vocis oraculo, tutto al mattino e mattutino e lodi la sera antecedente, di recitare ogni giorno il Santo Rosario in onore della dolcissima e SS.ma Vergine Maria, Madre di Dio e di digiunare il sabato a pane ed acqua in Suo onore (Scr. 102,49).
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La legge dell’astinenza e del digiuno è della più alta importanza, è legge divino–ecclesiastica: è doppiamente santa. Due sono gli ostacoli che si frappongono all’osservanza del digiuno e dell’astinenza: affievolimento, tiepidezza dello spirito cristiano e il rispetto umano. Che è il rispetto umano? Si evita di mangiare di magro perché non si ha il coraggio di farlo in presenza d’altri. Da soli si mangerebbe il magro, si digiunerebbe, in pubblico c’è la debolezza, c’è il rispetto umano (Scr. 111,54).
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Siamo deboli, le passioni ci opprimono, dobbiamo cacciarle con la mortificazione, con il digiuno e con l’orazione. La mortificazione è l’abbiccì della vita religiosa. San Filippo Neri diceva: datemi un mortificato e vi farò un santo. Chi non si mortifica, chi non digiuna – qui s’intende specialmente mortificazione interna, cioè frenare la nostra fantasia, “la pazza di casa”, come è chiamata, mi pare da un poeta francese – sarà di scandalo; chi accontenta le proprie voglie, le proprie passioni, cadrà di precipizio in precipizio e cadrà nel fango (Par. VI,232).
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Dobbiamo dare questo tempo alla penitenza, all’orazione e al digiuno; anche quelli che non sono obbligati al digiuno, vedano di fare qualche atto di mortificazione e di penitenza. Non dobbiamo lesinare con nostro Signore: dobbiamo sentire di quanto giovamento può essere a tutti il sacro digiuno. Nel prefazio delle Messe quaresimali, la Chiesa ci ricorda i benefici spirituali e anche temporali del digiuno: «Vitia comprimis, mentem elevas, virtutem largiris et praemia...». Quanti vantaggi spirituali! Disciplinare lo spirito, elevare lo spirito, la mente, comprimere, sradicare le male abitudini, soffocare le male concupiscenze: vitia comprimis; e la virtù cresce in noi, l’amor santo e la santa obbedienza, le sante virtù, per prepararci a quei premi, a quelle ricompense alte che Dio dà a chi sa mortificarsi per amore Suo. Ciascuno di noi deve unire le proprie preghiere alle preghiere di Gesù nel deserto, il proprio digiuno, le proprie mortificazioni al digiuno di Gesù nel deserto. Dobbiamo prendere la Quaresima con vivo spirito cristiano e religioso se vogliamo che davvero questo tempo sia un tempo grato a Dio e questi siano giorni di salvezza e di santificazione e di profitto dell’anima nostra! (Par. VIII,180).
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Dispenso dal digiuno tutti della Casa. La dispensa del digiuno non vi dice che non vi sia obbligo di digiunare. Se qualcuno sente di poter digiunare, senza deperimento della sua salute, può digiunare e farà bene a digiunare. Rimane invece il digiuno il venerdì, in tutti i venerdì della quaresima, eccetto vi sia qualche circostanza o festa per cui la Chiesa stessa dispensa. Allora non si dovrà digiunare. La commutazione del digiuno, nei giorni in cui non si digiuna e vale anche per quelli che volessero digiunare e questi sono tenuti a recitare, attenti bene, le litanie della Madonna, ciascuno in privato, senza nessuno aggravio di coscienza anche se qualcuno qualche volta si dimenticasse. Bisogna vedere di non dimenticarsi. E questo quale commutazione del digiuno. La lettura in refettorio si farà anche durante la quaresima da principio alla fine, pranzo e sera, eccetto la domenica e le feste, nelle quali si terrà l’usanza solita. Nei giorni di domenica e nei giorni in cui non c’è ordine di digiuno, nessuno è tenuto a dire le litanie. Chi le dice, bene! Concludendo: l’obbligo del digiuno è commutato dalla recita delle litanie della Madonna. Nella lettura – come da comunità – durante il pranzo e la cena si continuerà fino alla fine; eccetto nei giorni in cui venisse qualche personaggio di riguardo a tavola; allora, in ossequio all’ospite, il Superiore dispensa. Rimane il digiuno del venerdì; e poi si digiunerà tutta la settimana santa (Par. X,93).
Vedi anche: Astinenza, Gola, Mortificazione, Temperanza.
Direzione spirituale
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Si consiglino gli alunni a non parlar della loro vocazione, se non con il loro Direttore Spirituale, e con persone pie, dotte e prudenti (Scr. 110,237).
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Pur conservando o dando ai dipendenti la piena libertà di confessarsi, straordinariamente, da altri sacerdoti non designati, usiamo noi, possibilmente, e consigliamo ai nostri, per la direzione spirituale, i confessori appartenenti alla nostra Congregazione o, almeno, quelli proposti dai superiori, perché, anche se non proprio appartenenti alla nostra Congregazione, sono di tale spirito di pietà e di tale prudenza da dare la migliore garanzia e fiducia (Lett. II,254).
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Stare attenti quando si ha la direzione spirituale delle teste fasciate; adagio, adagio con le visioni. Tutta la perfezione religiosa consiste nel rinunziare alla propria volontà. L’ubbidienza è come il sale che dà sapore al cibo; è quella che dà sapore alle nostre opere: e, se si manca qualche volta, chiedere scusa al superiore; così si fa un atto di umiltà (Par. VI,268).
Vedi anche: Disciplina (religiosa), Esercizi spirituali, Perfezione (virtù), Unione con Dio.
Disciplina (religiosa)
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Vi raccomando lo spirito di orazione, la umiltà e carità, l’amore ai poveri, lo spirito di sacrificio, della disciplina e vita religiosa: grande devozione alla Madonna e attaccamento alla Santa Chiesa e al Papa (Scr. 1,88).
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Fate che in tutti viva l’amore e attaccamento alla Congregazione e lo spirito di pietà e della osservanza e disciplina religiosa. Date tutti buon esempio, e siate alacri in ogni opera santa (Scr. 1,161).
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Porto la impressione che si lascino correre tante cose che non si dovrebbe, che siate troppo deboli, che lo spirito di pietà e la disciplina religiosa non sia in fiore in qualche nostra Casa di costì come dovrebbe. Se mi sbaglio, correggetemi: ma se è vero, rimediate! (Scr. 1,224).
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Le Case vanno come vanno, e parecchi fanno un po’ come vogliono, senza regola, senza nerbo di disciplina, senza un Superiore. È inutile, cari miei figliuoli, questa impressione si è andata, pur troppo, allargando e va diventando l’idea anche di persone che ci erano e ci sono amiche (come quelli della Card. Ferrari); bisogna dunque stringere di più e mettere a posto la vita religiosa di parecchi, i quali non fanno vita regolare, disciplinata, veramente non da buoni Religiosi, ma vivono come a loro talenta, e sanno di poterlo fare, perché sanno di trovare molle le redini del governo della Congregazione, e così per gli studi (Scr. 1,280).
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La pietà vera non esclude affatto affatto la educazione e l’urbanità dei modi. Ci deve essere nei nostri una disciplina e un contegno religioso che, finora, non c’è. Perdonami, ma penso che tu stesso, in fondo alla tua anima, sentirai tutta questa verità: a noi mancano molte e molte cose, ma anche ci manca una maggiore formazione di coscienza religiosa, specialmente nei Chierici, e manca quel senso di disciplina e quel contegno religioso, quell’educazione necessaria che si vede, ad esempio, nei Chierici borghesi del Seminario di Treviso, i quali poi sono cresciuti per il Clero secolare (Scr. 2,235).
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Il fervore dei Novizi deve essere tale da doverli moderare e dirigere, invece non c’era in parecchi neanche il concetto della disciplina e del rinnegamento proprio di un religioso. Ci vuole virtù soda e martellata, e principalmente l’obbedienza, il sacrificio nella umiltà e nel lavoro, la orazione e la generosità della carità. Alla Moffa ci sono già troppe comodità per grave storpiamento della nostra Congregazione, adesso tu e altri stimabilissimi Sacerdoti della Congregazione non ci badate, non lo credete, ma un giorno, io non sarò più, ma voi piangerete d’aver messe troppe comodità, e non sarete più a tempo, poveri miei figli! (Scr. 3,417).
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In Noviziato alcuni fanno un po’ come vogliono e quello che loro pare e piace, sapendo che hanno da fare con dei Superiori deboli, e con una disciplina religiosa molto discutibile. Ah! cari miei, che avete gli occhi, e non vedete: che credete di educare a Gesù Cristo, alla Chiesa, alla Congregazione senza una formazione che tocca l’anima, ma che sta alla superfice, senza vigoria santa e profondamente religiosa, ma sul serio religiosa: quale grave responsabilità vi prendete! Quale grave dolore date a me, vostro padre in Gesù Cristo, e quali disinganni preparate alla Congregazione, e quali deformazioni dal suo primitivo spirito di fondazione! Dio vi perdoni! Ma vi supplico in visceribus Christi, e per quell’amore che io so che voi portate alla Congregazione, di scuotervi dal vostro torpore, che mi fa ricordare il rilassamento e le fatali tolleranze del Sacerdote Eli (Scr. 3,506).
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Dove è disciplina, regna l’ordine più perfetto, lo spirito sta raccolto e ognuno sta contento e felice, perché tutto è regolato bene, onde si può ripetere di una Casa Religiosa ben disciplinata il noto verso: «Omnibus una quies operum, labor omnibus unus!». E il primo a godere del buon andamento è il Direttore, poiché egli sente quando il carro cammina bene o quando va male, quando c’è un senso di disordine, e quando, invece tutto procede ordinatamente, e spira e aleggia nella Casa quell’aura di bella letizia che è frutto della disciplina e della pace dei cuori fraterni, della docilità di tutti e della serenità di coscienza (Scr. 8,88).
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Caro mio Don Parodi, in fatto di spirito religioso e di pietà e di disciplina, bisogna andare più a fondo, e fondare su una grande umiltà e annegazione di noi: per la disciplina e osservanza poi bisognerà che stringiamo di più. Proprio te lo raccomando, caro Don Parodi, come lo raccomando ogni giorno, a me, a costo di farmi venire il mal di cuore o di farmelo aggravare. Pure bisognerà fare così, se amiamo davvero la nostra Congregazione (Scr. 8,233).
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Tutti quelli che sono né carne né pesce, né caldi né freddi, i volubili, gli indecisi, i fuggi fatica, gli attaccati al proprio giudizio, quelli poco amanti della disciplina religiosa o nei quali non risplende bene la luce della vita e virtù religiose, siano allontanati (Scr. 19,67).
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Ordiniamo solo quelli che hanno dato un serio affidamento, non quelli che promettono che poi faranno bene, ma che fin qui non hanno in tutto né nell’annata accontentato. Fatelo per l’amore di Dio, della Chiesa e anche della nostra Congregazione. E così i golosi, i leggeri i mormoratori, i negligenti nei doveri, sia di pietà che di disciplina e di studio, gli avidi dello sport e di letture non permesse, non si dovranno ordinare, né ora né mai, se prima non c’è un lungo periodo di emenda, che seriamente affidi la Congregazione (Scr. 19,298).
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Vedi, caro Dondero, tu finora non hai mai voluto essere sottomesso e disciplinato come un buon religioso avrebbe dovuto: hai visto solo te stesso: hai sempre voluto vincere e fare un po’ a modo tuo, e hai ritenuto e ritieni di vederci tu solo; ora, vedi, è proprio questo tuo amor proprio la tua rovina: tu sei una vittima del tuo te stesso. Bisogna invece che subito ti umigli davanti a Dio, e anche coi Superiori, e che preghi, che preghi, che preghi, e poi tu faccia un proposito ben forte e profondo, proprio dal cuore, di incominciare come fossi un bambino la vera vita religiosa, e con slancio di cuore anelare tu devi a vivere intera la disciplina religiosa, da umile e santo religioso, quella santa disciplina religiosa che è apportatrice di maggior concordia tra te e i tuoi Superiori, tra te e i tuoi fratelli, e che dà tanto tanto conforto, tranquillità di spirito, edificazione al prossimo e ogni bene al cuore. «Tene disciplinam, ne dimittas eam, custodi illam, quia ipsa est vita tua», dice lo Spirito Santo nella Scrittura (Scr. 29,29).
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Fin qui sei stato troppo tollerante, per non dire troppo debole e fiacco nel far osservare la disciplina religiosa; invece, d’ora in avanti, dovrai essere più padre che madre cioè più risoluto nell’esigere la pratica della vita eremitica, unendo all’affetto pietoso di padre in Gesù Cristo la severità del Superiore verso quelli che si dimostrassero indisciplinati, inquieti, negligenti e poco curanti di fare una vera vita santa (Scr. 30,211).
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Com’è triste e penoso vedere dei Religiosi negligenti quelli che vanno alla carlona, tiepidi e divagati dietro cose del mondo, trascurati nelle pratiche di pietà, che quasi rifuggono nell’esercitarsi in quello in cui sono chiamati, lontani dallo spirito di quello che riguarda la loro vocazione e la via per cui Dio li ha chiamati. Il Religioso che vive senza disciplina, rilassato nell’osservanza della Regola, vive inquieto e corre rischio di gravi cadute (Scr. 100,254).
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Se non avremo noi più fede, più carità, se non avremo più spirito di disciplina più impegno e coscienza nei doveri religiosi, più attaccamento alla Congregazione, più amore alla osservanza delle Regole, più santità, noi non concluderemo mai, ma presto presto fracasseremo, perché Dio non sarà con noi, non resterà, non potrà benedirci (Scr. 121,179).
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La Congregazione ha bisogno di avere buoni esempi e di disciplina religiosa. Vivete una vita fervorosa, spirito di disciplina, carità coi confratelli, amore al lavoro e al sacrificio, diligenza e osservanza dei santi voti religiosi, in una parola, mettendo in pratica ciò che avete appreso. Col buon esempio, miei cari figli, si aumentano le vocazioni e con il malo esempio si allontanano le vocazioni dalla nostra Congregazione. La nostra Congregazione ha bisogno di avere e di dare buon esempio. Dovete, dovete formarvi, cari miei chierici novizi, alla preghiera, alla docilità, alla carità e alla disciplina (Par. VI,146).
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Disciplina religiosa vuol dire osservare le regole, i voti, ossia vivere da religiosi. Chi entra in questo esercito di certo deve vivere la regola; far vivere il proprio cuore di essa. Se manca il cuore manca la vita, manca tutto. La disciplina non è una cappa di piombo, ma respiro largo e libero, come chi veramente ama tutta la sua vita senza guardare a pericoli. Dal cuore deve partire tutto l’operato. La Congregazione è la madre, è un cuore di madre per i suoi membri. E i suoi membri devono avere un cuore per essa, osservando le regole (Par. VI,293).
Vedi anche: Direzione spirituale, Esercizi spirituali, Perfezione (virtù), Rinnegamento di sé.
Distacco (virtù)
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Caro figliuolo mio, vi esorto proprio nelle viscere di Gesù Cristo Crocifisso di cominciare ad operare in Voi un salutare distacco da tutto ciò che non è Gesù e Gesù Crocifisso. Lavorate e martellate voi stesso e la vostra volontà, riempitevi di una grande carità e umiltà e annegazione religiosa, non di Seminario; dedicatevi tutto al Signore crocifiggendovi nel Signore Nostro Crocifisso (Scr. 4,5).
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Onorato o disonorato, reputato o buttato là come uno straccio inutile, basta servire Dio, distaccato dal tuo te stesso, e solo anelante di servire e di amare Lui, in Croce, perché Gesù, la Chiesa e la Congregazione non si possono amare e servire degnamente se non in Croce e crocefissi (Scr. 5,376).
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Quelli di vocazione non ben provata, non distaccati dal mondo e dalle abitudine secolaresche, non alieni affatto dal modo di pensare, di parlare, di vivere mondano e secolaresco, non distaccati dalle famiglie e da amicizie, da letture e da musiche che sapessero di profano o di non conveniente (e non dico disdicevole), ma anche solo poco conveniente ad un pio e santo Religioso, codesta specie di gente non vera religiosa, non dovrà mai mandarsi né mai tollerarsi alle Sette Sale, né ora né mai più (Scr. 8,207).
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Manda pure ad Anzio Carradori, ma, prima, chiamalo e digli che Don Orione pensa che Dio, mandandogli o permettendogli la sua malattia, abbia voluto richiamarlo ad avere più spirito di distacco dal suo amor proprio, più distacco dal sangue e dai parenti, più umiltà, in una parola, e più dedizione alla vita veramente religiosa. Il Signore nelle malattie, vuol farci toccare con mano che noi nulla siamo e che Egli è tutto. Abbia, dunque, maggiori sentimenti di rinnegamento di sé, di umiltà, di distacco dai parenti (digli pure anche che io vedo, su questo punto, un grosso sasso di intoppo sul suo cammino). E abbia maggior confidenza e abbandono in Dio e nei suoi Superiori, diventando spiritualmente e religiosamente bambino, come era una volta (Scr. 8,227).
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Bisogna dunque ora sapere se vengono per essere religiosi veri o se vorranno essere religiosi, ma solo a modo loro, con certe libertà di recarsi in famiglia e non con piena offerta a Dio e distacco da tutto ciò che ci parla del secolo. Un santo diceva che egli non era mai ritornato dalla famiglia migliorato. Ed è chiara la parola di Gesù nel Vangelo che inculca il distacco dal padre, dalla madre dalle persone e cose più care, per l’amore di Dio. Chi fa bene questo sacrificio, assicura il Paradiso a suo padre, a sua madre, ai fratelli e sorelle, come dicono San Tommaso e Sant’Alfonso (Scr. 24,177–178).
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Avendo noi religiosi lasciato il mondo e i parenti per l’amore di Dio e del suo servizio, dobbiamo convertire gli affetti naturali in affetti soprannaturali e spirituali e amare di più Dio e la Chiesa e le anime e la Congregazione che non la nostra casa materiale e i nostri parenti secondo il sangue e anche distaccarci dobbiamo materialmente da essi per l’amore di Dio. E fare con generosità un sacrificio al Signore della loro privazione e lontananza per essere veri discepoli di Cristo. Io ti conforto, o figliuol mio, a sempre più perseverare nei sentimenti di santo distacco, che manifesti nella tua lettera, verso i tuoi cari: ti esorto a portarli nel cuore e ad amarli secondo Dio di un più alto e al tutto spirituale amore che non è l’amore umano e sta sicuro che il Signore premierà codesto tuo sacrificio e non solo consolerà le loro anime, ma pregando tu per essi, ascolterà la tua voce e darà loro larghe benedizioni in questa e nell’altra vita (Scr. 26,145).
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Pensate che niente può l’umana fragilità, ma affidatevi totalmente a nostro Signore e alla Santa Madonna; e dacché, con la divina grazia, avete abbandonato il mondo con il corpo, così distacchiamo il cuore da ogni affetto che non sia Dio e la Sua Santa Croce, ponendo in Dio ogni speranza e fiducia: distacchiamoci anche da noi medesimi, abbracciamo la Santa Croce e seguiamo Gesù Cristo! (Scr. 34,15).
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Dio sa quello che fa o che permette, sempre a bene nostro. Ora dunque umiliati nelle sue mani, se mai per colpa tua non sei stato promosso. Umiliarti sì, avvilirti no, mai! Datti a Dio di più; forse era necessario questo dispiacere per distaccarti dal tuo amor proprio, per ravvivarti di più nello spirito religioso e nel distacco dalle vanità e dal mondo, per deciderti più risolutamente ad essere non di Cicerone né di Demostene, ma di Gesù Cristo (Scr. 34,107).
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I santi traevano dalle malattie e afflizioni motivi di umiltà e di maggior abbandono nel Signore; e sapevano, molto sapientemente, dal dolore cavare motivi di confidenza umile e tenerissima in Dio e distaccarsi sempre più dalle cose ingannevoli di questo mondo, per essere totalmente e solamente di Dio (Scr. 41,33).
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Nel distacco da tutte le cose corruttibili e illusorie e nell’esercizio umile, ma laborioso e dolcissimo della carità verso i fratelli bisognosi e abbandonati, noi gusteremo quanto soave, quanto grande è la pace del Signore. Quando c’è l’umiltà e la carità, che fanno di noi tutti un cuore solo e un’anima sola, allora è che si spande nei cuori e nelle nostre case la pace dello Spirito Santo e fuori si diffonde il soave odore dei discepoli di Cristo (Scr. 52,94).
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L’amore di Dio sarà forte come la morte. Riuscirà a separarci da tutte le cose della terra e dal loro attacco non solo affettivo e ci porterà davanti al Signore e solo in questo distacco effettivo ed affettivo verremo a gustare quam suavis est Dominus! (Scr. 55,91).
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Purifichiamo il nostro cuore con il distaccarlo da tutto ciò che non è onesto, che non è cristiano, che non è Dio. Più il cuore saprà distaccarsi da ogni vanità, più sarà pieno dello spirito del Signore, avrà la pace e la libertà santa dei figli di Dio e sarà pieno di Dio (Scr. 56,87).
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Fratelli, non stanchiamoci mai dal tenere la mente rivolta alle cose celesti e passiamo in mezzo alle molte cure quasi incuranti, non a guisa di melensi, ma per il privilegio che ha la mente libera e il religioso distaccamento da ogni mondano interesse di non avere affetti disordinati né alle cose, né alle persone, né al posto: inter multas curas, quasi sine cura transire. La carità è la perfezione, l’unica via per cui ritroviamo noi stessi nell’unione con i simili e nell’unione con Dio (Scr. 61,236).
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Fratello, se vorrai seguire Gesù dovrai distaccare totalmente il tuo cuore dai parenti, dalle sorelle, dagli stessi genitori: fratello, se vuoi seguire Gesù devi essere casto, puro, vergine; dovrai lasciare tutto, negare la tua volontà; fratello, se vuoi seguire Gesù dovrai abbracciare la tua croce, dovrai, o fratello, bere al calice delle amarezze, avrai tante contraddizioni, dovrai essere bistrattato e deriso, sarai coronato di spine, il mondo ti odierà perché sarai con Gesù, ti maledirà, ti strozzerà, forse salirai il calvario e sarai martire. Ecco o fratello la tua vita. Sei tu pronto a dar con noi un calcio a tutto? Sei tu pronto ad abbattere tutti gli affetti terreni che ti ingombrano il cuore? Dio sarà con te, non temere: sei tu pronto a lasciar tutti, a seguire la voce di Gesù, a sacrificare a Gesù l’amore dei Genitori? Sei pronto a lasciarli per essere tutto di Gesù e poi vivere con essi in Paradiso? (Scr. 65,341–342).
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Noi nulla siamo e nulla possiamo ed è il Signore che fa tutto e questo vuol dirci nelle malattie e nei dolori, perché il nostro cuore sempre più si distacchi dalle persone più care e si purifichi, si butti interamente nel Suo Cuore e dica il consummatum est (Scr. 66,396).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Denaro, Mortificazione, Perfezione (virtù), Privazioni.
Divertimenti
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Quanto a Victoria è doloroso constatare come quella Casa sia forse, la meno a posto. Assicuratevi sulla spesa fatta circa il biografo sonoro, se fu già pagato o quanto resta e chi ha pagato: non c’è da credere con facilità, quando, in passato mi si è dato dei dispiaceri. So poi che a Victoria c’è stato dei divertimenti poco seri. Informatemi con esattezza e imparzialità (Scr. 1,224).
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La stessa chiesa Parrocchiale verrà ad essere disturbata da tutta quella gente, più o meno vestita, che andrebbe in quel giardino pubblico a divertirsi. Sono veramente addolorato! Si fanno con facilità gite, si parla, a tavola, di vini, etc. e di cose vuote, sciocche, che nulla interessano o peggio e poi neanche si sa che portano loro via la casa! (Scr. 8,139).
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Non ti nascondo la pena che ne provo: i divertimenti secolareschi, o che la Congregazione non vede bene, si devono fuggire e siano vietati e codesti Chierici ben lo sapevano! E, sapendolo, è poi una aggravante, che ciò sia avvenuto subito dopo gli Esercizi Spirituali. Ma ci mantieni il football? Tu sei già autorizzato ad allontanare da Roma quello o quelli che vedessi, non dico appassionati in tale gioco, ma semplicemente non fervidi nell’indirizzo che, al riguardo, la Congregazione esige (Scr. 8,170).
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Nei giorni di carnevale al Cottolengo di Torino si prega molto in riparazione delle offese che si fanno in quel tempo a Dio. Fate così anche voi altre. Tuttavia, ora che il palco c’è, sono contento che ci sia un po’ di divertimento e anzi benedico quel vostro po’ di sollievo, ma purché sia moderato e che non disdica allo spirito del Cottolengo, come spero (Scr. 27,36).
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Al circolo sociale di Cuneo rispondi che sei grato della loro beneficenza a favore della Colonia, sempreché, come non ne dubiti, i loro divertimenti non disdicano ai principi della morale cristiana, come se si trattasse di certi balli notturni o troppo liberi etc. (Scr. 28,214).
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Quanto ai probandi, tenete questo criterio, che fu sempre il criterio usato: se entrano come probandi, devono chiaramente sapere di venire per farsi di Dio, per lasciare la vita che fanno gli altri ragazzi e tanti divertimenti e libertà secolaresche, ma sappiano invece che vengono ad amare Dio e per consacrarsi a Dio. Dobbiamo parlare chiaro, come chiaro parlano i maristi nelle loro esplorazioni, i salesiani nel cercare i giovanetti che mandano poi qui a Bernal, i redentoristi qui vicino, i passionisti, come ho visto a S. Paolo e i francescani, quando ricevono ragazzi nei loro collegetti così detti Apostolici (Scr. 29,46).
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Al vostro Patronato od oratorio festivo, appena si potrà, unirete le scuole esterne; ed ammetterete tutti i giovanetti, dai 7 anni in su, che abbiano buona volontà di istruirsi nella religione, di divertirsi e di compiere insieme i loro doveri cristiani. Solo siano allontanati quelli che fossero di scandalo e contagiosi moralmente, gli insubordinati non saltuariamente, ma sistematicamente, i bestemmiatori sistematici: per tutti gli altri molta tolleranza (Scr. 32,241).
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Il cinema, onesto divertimento, circondato da sapientissime norme, che salvaguardino la purezza dei giovani. Non lasciate le sagge e sante norme apprese da giovani. Non il divertimento purché sia, non per divertire, ma per educare. Evitare i pericoli del Cinema; applicazioni della Cinematografia a films storici, etnografici, missionari, sempreché non contrastino con i criteri della morale cristiana: solo allora sono leciti e anche raccomandabili; ma i film solo drammatica, le comiche no! no! Film educativi e religiosi sì (Scr. 56,189).
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Vi sarà una piacevole ed onesta ricreazione, atta veramente a ricreare, non ad opprimere: non sono pertanto permessi quei giochi, salti, corse e qualsiasi modo di divertirsi in cui vi possa essere compromessa la sanità o la morale. Non a caso abbiamo detto dopo aver assistito alle funzioni di chiesa e ad istruzioni morali e religiose, poiché l’istruzione religiosa e morale è lo scopo primario; il resto è accessorio e come allettamento ai giovani a farli intervenire (Scr. 57,273).
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Passano le feste del mondo e le gioie umane e lasciano il vuoto: passano gli onori, i divertimenti, i piaceri, le vanità del mondo e lasciano il vuoto; ma le feste cristiane e le gioie pure della fede non passano, no! Esse restano come punto luminoso a rischiarare, a confortare il cammino della vita! La nostra festa fu festa di preghiera, di preghiera la più fervorosa, nell’ora trepida della Patria (Scr. 64,152).
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Bisogna ridare all’operaio la sua fede, la moralità, la coscienza cristiana la fiducia in Dio, miglioramenti materiali; ma sedargli le passioni disordinate, la sete dei divertimenti e del lusso: bisogna svolgere tutta una propaganda, una opera di cristianizzazione, una vera rinascita di vita cristiana e non sparirà la grandezza e l’avvenire della Repubblica (Scr. 72,11).
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L’Oratorio tuo salverà i ragazzi del paese da certi peccati cattivi. Bisogna tenerli in moto, dare loro divertimenti: bocce, palloni, gomma, cerchi, poi, dopo un po’ di piantare altalene ecc., dama, tombola e metter su qualche immagine ecc. (Scr. 72,46).
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Procurate ai giovani divertimenti, ma essi siano circondati da ogni seria salvaguardia per la purezza delle loro anime. I divertimenti che si danno devono essere assolutamente onesti. Attenti al Cinema. Richiamo ad un maggior senso di responsabilità circa il cinematografo. Vi sono pellicole cinematografiche nel campo dell’istruzione tecnica e scientifica, della documentazione a mezzo di films storici, etnografici, missionari, che non contrastano con i criteri della morale cristiana e possono non solo essere lecite, ma raccomandabili (Scr. 101,254).
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La Chiesa non ha mai condannato il divertimento in sé; lo ha solo arginato, perché fosse onesto, moderato e non degenerasse nella immoralità. Il sollievo è pur necessario. L’uomo, stanco dai troppi pensieri e specialmente i giovani, che male si adattano ad una occupazione eccessiva, hanno bisogno di ricrearsi un po’, per rimettersi di maggior lena al lavoro. Un’ora di buona compagnia, un banchetto allegro, un bicchierotto di vino e una partita fra amici, fanno dimenticare, fanno star bene. Chi dicesse che la gioia è male, chi predicasse solo lavoro, serietà, preghiera, non comprenderebbe che l’arco troppo teso si rompe; e nemmeno comprenderebbe lo spirito vero della Religione cristiana. Basta ricordare alcuni dei grandi modelli del Vangelo: Don Bosco, ad esempio, era sempre allegro. I Santi della gioventù hanno creata e diffusa un’atmosfera sana d’allegria intorno a sé. San Francesco di Sales, studente, era l’anima della ricreazione fra i condiscepoli; e anche dopo che era Vescovo di Ginevra, non mutò umore; una volta, per divertire i suoi fratelli, fece anche da attore in una rappresentazione sacra; si capisce, quando non era ancora Vescovo. E chi non sa quale e quanta giocondità e festevolezza adornasse l’animo di San Filippo Neri? Basti ricordare le sue parole: “Mangiate, o figlioli, mangiate pure, né vi venga in ciò scrupolo; perché mi compiaccio e godo nel vedervi mangiare”. E le altre: “Figlioli, state allegri! (Scr. 104,239).
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Il divertimento deve essere onesto e moderato. Il divertimento, però, è un veleno, che preso in dosi moderate, può fare e, in realtà, fa bene; peso in quantità solo di poco maggiore, dà inevitabilmente la morte. Esso è come l’arsenico: ricostituente digestivo, stomatico; ma soverchio, uccide. È un vino che esilara, ma preso in troppa quantità, ubriaca, abbruttisce, degrada, rovina. Ed è facile smoderare specialmente a Carnevale. Sempre una segreta passione ci spinge all’eccesso. I divertimenti che titillano i sensi, che sanno l’acre sapore della voluttà. A poco, a poco sovente anche questi vengono a noia e si cade nei divertimenti licenziosi, che finiscono in eccessi innominabili. Guai a chi non sa mettersi un limite! Guai a varcare i confini dell’onesta! Allora la Religione condanna i divertimenti quando essi sono pericolo od occasione di peccato, quando trascendono in orge esecrande (Scr. 104,240).
Vedi anche: Carnevale, Gioco, Sport.
Divina Commedia
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Italiani, mantenete la devozione a Maria e manterrete la fede e vi salverete! E così i nostri grandi: Dante, Petrarca, Tasso. Dante si gloria d’invocarla mane e sera. La esalta più di 30 volte nella Divina Commedia (Scr. 56,196).
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Ciascuno dei beati è contento del suo posto, non vi essendo in Paradiso luogo ad invidie, come lo apprenderete per esempio, da tanti passi della Divina Commedia. Quelli che muoiono con delle soddisfazioni da rendere alla giustizia di Dio devono pagare il loro debito in un luogo di pene transitorie e dicesi Purgatorio (Scr. 66,248).
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La Scuola prenderebbe nome da qualche gloria storica e cristiana di Tortona o da qualche grande scrittore o scienziato cattolico e italiano, come Dante, Volta, Manzoni o Pellico, come meglio crederà Vostra Eccellenza. In quest’ultimo caso, Dante o Manzoni sarebbero forse i preferiti, l’uno per avere sublimemente cantata la fede e il Pater Noster e l’Ave Maria nella Divina Commedia, e l’altro per avere illustrata la sua vecchiaia insegnando il Catechismo a S. Fedele di Milano (Scr. 76,136).
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Mi piace terminare con un’orazione che ricorda le più belle della sacra Liturgia, orazione pia e devota onde si chiude il Cap. LIX della Imitazione di Cristo, “il più sublime libro religioso del medio evo”, come l’ha definito il Carducci, benché sia tal libro che, come la Divina Commedia, “rompe i cancelli di quella età e corre e spazia pei secoli, e gl’invade ricca e forte di giovinezza sempre nuova”. E più che orazione, vuol essere questa chiusa un grido dell’anima mia che invoca, al chiudersi di questo anno, che implora le benedizioni di Dio su di me, su di noi e sul nostro lavoro per la Chiesa e per le anime di Gesù Cristo (Scr. 97,295).
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Or ecco Dante! La gloria di questa conversione è propria di lui; la sublime penitenza che la poesia farà sarà la Divina Commedia e chi sarà mai che con la sua dottrina farà piegare la fronte e purificherà il cuore di questa nuova Maddalena? La religione, o signori è la religione! Dante Alighieri, nella cui testa corrono torrenti di poesia si accosta agli altari del Dio salvatore, si rinsanguina della dottrina dell’Evangelo e della Chiesa. Apre la bocca e canta: Egli canta l’umanità; ma corre dietro alla fede e il cantore dell’umanità diventa il cantore della religione. Canta Dio nell’inferno, e dice come il delitto faccia alleanza col dolore; canta Dio nel Purgatorio e dice come la debolezza si abbracci con la speranza; canta Dio nel Paradiso e dice come la virtù si confonda con la felicità. La filosofia gli dà i suoi insegnamenti per bocca di Virgilio, la teologia per quella di Beatrice. Cielo e terra vi posero la mano e l’epopea dantesca, l’epopea Divina è fatta! (Scr. 102,99).
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Come Dante ha cantato la fede e ci ha dato la Divina Commedia, il poema sacro, così Manzoni ha cantato la fiducia in Dio, ha cantato la Divina Provvidenza e ha inteso comporre nei Promessi sposi il poema della Provvidenza (Scr. 114,197).
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L’Annunciazione, fra le feste della Madonna, è la più antica che ricordi il Cristianesimo. Questa festa segnava anticamente il primo giorno dell’anno. Non parlo dell’anno ecclesiastico liturgico che comincia, come voi ben sapete, con la prima domenica dell’Avvento: ma intendo parlare dell’anno civile che principiava appunto il 25 marzo, e non già al primo gennaio. Lo ricorda pur Dante nella Divina Commedia. La festa dell’Annunziata ha rinnovata la faccia della terra, ed ha portato una rivoluzione morale in tutto il mondo: sì, perché il Cristianesimo ha portato la vera civiltà, la vera libertà, abolendo la schiavitù e la barbarie, affratellando tutti gli uomini nell’amore di Gesù Cristo (Par. I,138).
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Domani è la festa della Visitazione, una festa che ricorda la grande umiltà della Vergine Santissima, la grande umiltà e carità della Madonna. E Dante, l’autore del grande e immortale poema la Divina Commedia, quando vuole trascendere ad un sublime esempio di carità e di umiltà, ricorre alla Visitazione della Vergine Santissima, alle parole da lei dette all’Arcangelo Gabriele: «Ecce ancilla Domini», alla grande umiltà e carità di Maria Santissima, che va a visitare la cugina Elisabetta, e la serve nelle più umili cose (Par. II,156c).
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Per mezzo della Madonna abbiamo avuto il Redentore, e per mezzo di lei ora abbiamo le grazie e gli aiuti del Redentore, di cui è la celeste Dispensatrice. Anche Dante ha messo questo concetto poeticamente al centro della Commedia, che è come il canto e l’epopea più grande poeticamente della civiltà cristiana e della civiltà della nostra Patria: lassù Dante immagina che Maria prega per il poeta, il quale è come la rappresentazione di tutti noi. Attorno a questo concetto si impernia tutta la Divina Commedia (Par. XI,108).
Vedi anche: Alighieri Dante, Letteratura.
Divina Provvidenza
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La Divina Provvidenza, o miei Cari, va aprendo davanti ai nostri passi un grande cammino in queste generose terre del Sud America. Essa, voglio dire la Divina Provvidenza, non ha voluto ricordare la indegnità e freddezza nel santo servizio del Signore, e vuole scegliere noi, servi inutili e buoni a nulla, per compiere opere mirabili di Fede e di Carità, per dimostrare che è Opera di Divina Provvidenza e non è opera di uomini (Scr. 1,166).
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W la Divina Provvidenza! La Divina Provvidenza sarà sempre con noi se sempre saremo umili e fedeli ai piedi del Papa e della Chiesa (Scr. 12,72).
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Parte di questo spirito che dobbiamo coltivare sempre nella piccola e cara nostra Congregazione è anche quel santo e vivissimo desiderio di libertà nelle opere di Dio per cui non vogliamo che il secolo con il suo soffio micidiale e laico venga ad inaridire, ad intossicare ed a distruggere lo spirito della fondazione della casa della Divina Provvidenza. Le case della Divina Provvidenza non devono mai essere costituite in forma giuridica: le opere di carità che la Divina Provvidenza fa misericordiosamente sorgere sui nostri passi non devono essere governative, perché presto isterilizzerebbero e non avrebbero più quel profumo di religiosità e di carità, che deve essere proprio dei nostri Istituti (Scr. 13,99).
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Se noi vediamo da anni che è il Signore che come ha suscitato questa Opera, e la Sua Divina provvidenza la tiene su malgrado i nostri grandi peccati, dobbiamo guardarci bene dal voler cambiare lo spirito onde essa è nata, e cambiarle l’impronta che Nostro Signore pare che ci abbia dato. Ah! per carità, ci sono già i miei tanti e gravi peccati, caro Don Sterpi, cerchiamo di tenere ben fermo lo spirito religioso e di conservarlo e tramandarlo a quelli che la Divina Provvidenza ci manderà nella Sua misericordia (Scr. 13,101).
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Quanto alla parte finanziaria, assolutamente non ci pensate: la Divina Provvidenza, nostra Padrona, ci aiuterà, siano tanti i debiti o pochi: Dio provvederà (Scr. 16,121).
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Non posso dirvi quanto sono contento che la Divina Provvidenza mi abbia condotto ad aprire una casa di carità e di rinnovazione sociale cristiana nel cuore del socialismo e del comunismo argentino. Adesso capisco perché Dio mi ha fatto fare il noviziato a San Bernardino. Ho già accettato ad Avellaneda i primi nostri padroni, i primi poveri. Un ex capitano, uscito dalla galera, per un grave fatto di sangue, che ha la mia età, argentino. Un fanciullo di 10 anni, il cui padre uccise la madre e poi si suicidò. Il piccolo da due anni viveva sperduto per le vie di Buenos Aires, mendicando; fu trovato dalla P. S. una notte lungo la strada mezzo morto dal freddo (qui siamo in pieno inverno). I giornali ne hanno parlato e fui a prenderlo verso le 11 di notte ad una commissaria di P. S. che è ai margini della città. È figlio di spagnoli. Fu tutto pulito e rivestito a nuovo, ora sembra un altro, povero ragazzo! Non finiva di mangiare nei primi giorni. Abbiamo un uomo, un napoletano, con una gamba mezza aperta, tiene il letto. Una donna, protestante, francese, tanto dimagrita che non pesa 35 chili, tiene il letto. Un’altra, che è calabrese, abbandonata dai figli. Oggi entra un giovane mezzo scemo; si comincia con lui la famiglia dei «buoni figli». Deo gratias! La Divina Provvidenza non mi è mai mancata: ieri avevo bisogno di 500 pesos, e me li ha mandati. Tengo una statuetta della Madonna, a cui manca una mano, anche il Santo Bambino è mutilato, è una devotissima statuetta trovata insieme alla roba raccolta coi rifiuti delle case e mandata al cottolengo: mi pare di potervi dire che con questa sua statuetta, che mi tengo sul tavolo, la Madonna giuochi a mandarmi quanto ho bisogno (Scr. 18,114).
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Noi siamo chiamati ad essere i Figli della Divina Provvidenza, la mano della Divina provvidenza, gli strumenti intelligenti della Divina Provvidenza per quelli, per tutti quelli che non essendo già provvisti della provvidenza umana, hanno bisogno, e più bisogno, della Provvidenza Divina (Scr. 26,224).
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Io sono il ciabattino della Divina Provvidenza. Viva la Divina Provvidenza! (Scr. 41,161).
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Siamo contenti di essere non di nome, ma davvero Figli della Divina Provvidenza. Essa è la vera nostra Madre e fondatrice insieme con Maria SS.ma che visse poverissima come Gesù. Ci mancarono mai gli alimenti o lo strettamente necessario per vivere? Mai! E se nel collegio manca qualche cosa, non credete voi che se noi lo domanderemo al Signore, in umiltà e Fede e con le ginocchia, quando Dio lo vedrà opportuno, non credete voi, o miei cari figli, che ce lo darà? (Scr. 51,74).
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Mi sta a cuore che tutti siate e vi conserviate veri figli della Divina Provvidenza, epperò vi raccomando spirito di fede e di abbandono nel cuore di Gesù: vita di pietà profondamente sentita spirito e vita umile e di povertà di sacrificio, di mortificazione, di lavoro anzi di fatiche per l’amore di Dio e del prossimo. Una grande carità tra di voi e una grande carità con i fanciulli che la Divina Provvidenza ci volle affidare, specialmente vi raccomando gli orfani e i più poveri e abbandonati, non tollerate i disonesti. Togliete dalle Case i disonesti, chiunque siano, e qualunque pena o sacrificio vi costi diversamente Dio si allontanerà da noi (Scr. 52,37).
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Noi non ci turbiamo perché sappiamo di essere nelle mani di voi nostro buon padre e lasciamo alla Divina Provvidenza di fare il resto. Oh! quanto è dolce abbandonarsi nelle mani della Divina Provvidenza, senza curiosità sul futuro! Il vivere con l’incertezza del futuro, e con la quiete perfetta nelle mani di Dio e dei Superiori, ho letto che era il desiderio dei Santi. Dunque anche noi quindi dobbiamo e vogliamo avere questa disposizione a Dio carissima, e vivere in piena ed umile conformità al volere Divino! (Scr. 54,152).
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Vi ringrazio della fiducia che dimostrate verso questa povera casa, sì, è proprio la grande e Divina Provvidenza di Nostro Signore che in modo mirabile fa camminare questa Opera che è tutta sua, e dà vitto e vita spirituale e istruzione a tutte queste centinaia di ragazzi (Scr. 54,170).
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Il nostro capitale è la Divina Provvidenza: la nostra speranza e il nostro conforto è la Divina Provvidenza! A chi ha fede, tutto è possibile: a chi ha carità tutto è facile e tutto è dolce. La Divina Misericordia non ci abbandonerà: preghiamo e sacrifichiamoci tutti per Gesù solo! (Scr. 54,201).
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Mancano 20 giorni ad andare fuori da Santa Chiara, ma alla Divina Provvidenza non manca nulla e ci penserà di sicuro: pregare e non tremare. A me pare, che anche voi dobbiate compiere, o mio buon padre questo grande atto di fede, dare la Casa alla Divina Provvidenza e non torglierle ciò che già con cuore di padre a noi suoi poveri figli avete dato. Andiamo un po’ in Domino. Io per me vi supplico di questa carità nel nome del Signore, ma se non me la potete dare così anche fosse d’oro non la posso ricevere, so che la Divina Provvidenza è padrona di tutto e ci penserà a prepararmene un’altra, io me ne sto tranquillo nella Provvidenza, pregare, e non tremare (Scr. 59,192–193).
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Santa e Divina Provvidenza tu sai – Santa e Divina Provvidenza tu vedi – Santa e Divina Provvidenza tu puoi – Santa e Divina Provvidenza provvedi (Scr. 59,193).
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Lo spirito di questa minima Congregazione, che va con il nome di Opera della Divina Provvidenza, vuol essere spirito tranquillo, moderato, veniente dalla carità, nella verità del nostro nulla. E mentre sappiamo di essere nulla, aspettare, senza alcuna ansietà, se mai la Divina Provvidenza si degni adoperarci come strumenti a qualche sua opera, e per questo la Congregazione si chiama l’Opera della Divina Provvidenza acciocché la gloria di Dio risplenda nella nostra infermità (Scr. 59,194).
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Ah! la Divina Provvidenza non abbandona mai coloro che, fiduciosi si rivolgono a lei, come anche essa abbonda maggiormente con coloro i quali non si rifiutano a dare. Credetelo, o cari miei figlioli, il segreto per divenire ricchi è dare largamente in elemosina. Don Bosco non aveva redditi di sorta, eppure non una volta gli è venuto meno il coraggio, non una volta si è perduto di fede: lavorava come se Dio non avesse dovuto pensare a lui, ma lui fidava tutto in Dio. La fede e la fiducia che aveva nella Divina Provvidenza era illimitate, erano tutto (Scr. 61,12).
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Quest’anno ho ancora quindi tanti debiti, debiti che con l’aiuto della Divina Provvidenza pagherò, sono debiti con i fornitori di pane, di pasta ecc., solo in pane sono parecchie migliaia di lire; ma questi debiti non devono far paura: essi sono la bellezza della Divina Provvidenza, e serviranno a glorificare il Signore. Avanti con umiltà grande e grande preghiera e vita di sacrificio: avanti sempre in cerca di anime con grande occhio e vita di fede nella Divina Provvidenza! Vedrete che cosa farà il Signore! Le cose che non sono confonderanno quello che sono (Scr. 61,48).
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Sempre avanti così, sotto lo sguardo della Divina Provvidenza, gettandoci sotto i piedi di tutti, per consolare e aiutare tutti con dolce carità in Domino! O Divina Provvidenza! O Divina Provvidenza! Nulla è più amabile e adorabile di te, che maternamente alimenti l’uccello dell’aria e il fiore del campo: i ricchi e i poverelli! Tu apri le vie di Dio e compi i grandi disegni di Dio nel mondo! In te ogni nostra fiducia, o Santa Provvidenza del Signore, perché tu ci ami assai più che noi amiamo noi stessi! No che, con il divino aiuto, non ti voglio più indagare: no, che non ti voglio più legare le mani: no, che non ti voglio più storpiare; ma solo voglio abbandonarmi interamente nelle tue braccia, sereno e tranquillo. Fa’ che ti prenda come sei, con la semplicità del bambino, con quella fede larga che non vede confini! «Fede, fede, ma di quella...», di quella del beato Cottolengo, il quale trovava luce da per tutto, e vedeva Dio in tutti e per tutto! Divina Provvidenza! Divina Provvidenza! Dà a me, povero servo e ciabattino tuo, e alle anime che pregano e lavorano in silenzio e sacrificio di vita attorno ai poverelli: dà ai cari benefattori nostri quella latitudine di cuore, di carità che non misura il bene con il metro né va con umano calcolo: la carità che è soave e dolce, che si fa tutta a tutti: che ripone sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri silenziosamente: la carità che edifica e unifica in Gesù Cristo, con semplicità e candore (Scr. 62,3).
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L’Opera della Divina Provvidenza è come una di quella care cappelle su cui non c’è nulla su cui non possa scriversi: grazia ricevuta da Maria! L’oratorio festivo quante volte doveva chiudersi. L’Opera della Divina Provvidenza è l’Opera di Maria! Ditelo pure a tutti, o cari figliuoli: è la Madonna che ha fatto tutto, è proprio la Madonna! (Scr. 64,316).
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La grand’arte della Divina Provvidenza nel purificare e perfezionare le anime nostre, è quella di metterle in circostanze opposte a quelle da noi volute. Confidiamo nel Signore! Stiamo da piccoli granelli di sabbia nelle mani del Signore e della Sua Chiesa! E non finiamo di dire alla Madonna che ci dia questa grazia (Scr. 65,121).
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Il Sacrificio con il quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore, e ci abbandoniamo dolcemente alle ammirande disposizioni della Sua Divina Provvidenza, vale molto, vale molto, vale molto agli occhi suoi: è una preparazione al tempo della letizia, la cui ora suona di sovente improvvisa. Ma non è meno agli occhi di Dio l’ora della prova che l’ora della letizia! Oh quanti Istituti, come le anime, si mantennero umili, piccini, ai piedi e su le braccia del Signore, pieni di fervore, di spirito di Dio, di santa povertà, di fedeltà di dolcissima carità fraterna e di zelo nelle ore e periodi di formazione, che poi decaddero nelle ore della grandezza e quando tutte le costituzioni erano fatte, le Regole approvate e nulla pareva che più dovesse mancare a formazione dei santi! (Scr. 65,148).
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La Provvidenza divina suole trarre quasi sempre o sempre (benché sempre a noi non appaia) da grandi mali grandissimi beni religiosi, morali e civili, beni non sempre o non da tutti veduti, ma non per questo men veri ed efficaci (Scr. 66,47–48).
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La Divina Provvidenza! La Divina Provvidenza! Essa ci ama più che amiamo noi stessi! Non stiamola tanto ad indagare: Essa è più pratica di noi, prendiamola com’è, con semplicità e fede larga e non stimola a storpiare. La bella semplicità s’abbandona in Dio, nella Santa Madonna e nella Santa Chiesa di Gesù Cristo, e va avanti in santa libertà, con schietto candore (Scr. 66,86).
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Sono figlio e servitore della Divina Provvidenza: sto nelle mani del Signore: sia fatta di me la Sua Santa Volontà! Riposiamo nelle braccia della Santa Provvidenza! Molti dolori e croci ci vengono perché ci piace stare a modo nostro: stiamo dunque come al Signore piace, e diamoci pace! Anche in Croce si sta bene con il Signore! (Scr. 66,93).
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Vorrei dar principio al Cottolengo Argentino, che accolga, nel nome della Divina Provvidenza, todos los desemparados che non potessero essere accolti negli altri Istituti di beneficenza. Non ho nulla, e vivo in assoluto abbandono in Dio: so che la Divina Provvidenza non è mai mancata a chi ha fede e spera in Lei: confido nella Divina Provvidenza e nella carità e cuore grande degli Argentini (Scr. 67,331).
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La Divina Provvidenza che sostiene ogni creatura non mancherà a noi che intendiamo servire la Divina Provvidenza nei Suoi disegni della salute eterna delle anime. Bisogna seminare il grano e non ammassarlo e noi dobbiamo cercare di essere grano, e seminarci dappertutto secondo il desiderio e la parola del Santo Padre (Scr. 68,5).
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Noi siamo la Congregazione degli stracci e gli straccioni noi siamo della Divina Provvidenza. Ove finiscono i nostri stracci e la nostra miseria, là incomincia la ricchezza infinita della Provvidenza del nostro buon Padre celeste, del nostro Dio! (Scr. 69,320).
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Come è la Divina Provvidenza. La Divina Provvidenza pare nascosta all’uomo perché l’uomo la vede e molte volte non l’ama, la tocca e molte volte non la crede; essa lo veste meglio che i gigli del campo e gli dà da mangiare, ed egli crede di essere nudo e digiuno. Essa governa il mondo con legge armonica ed eterna, si nasconde e non si fa vedere a colui cui manca la fede, quantunque egli sia ricco di mezzi materiali e di vasta mente e di molta cultura. Imperocché i potenti e i ricchi e i veri sapienti sulla terra sono quelli che amano Dio, credono Dio, sperano in Dio e nelle opere delle sue mani lo vedono e lo toccano e lo sentono fin anco in sé stessi che dice: state quieti, sono con voi: Nolite timere, Ego sum! Essi vivono nella Provvidenza, operano nella Provvidenza, muoiono nella Provvidenza. Sono semplici, e la loro vita è stimata pazzia dal mondo, ma essi sono i sapienti del Signore! Per le vie di Dio non è necessario tanto sapere, ma sapere Gesù Cristo Crocifisso, e amarlo nelle anime e nella sua Chiesa che ora sta su Pio, e servirlo con umiltà grande e grande occhio di fede nella Divina Provvidenza. Volete voi vedere le cose che non vedete? Credete ciecamente a quello che propone la Chiesa cattolica nostra madre. Quanto più le crederete e avrete fede veramente, tanto più vi eleverete sopra degli uomini, e vedrete altrimenti le cose, e sentirete dentro di voi il gaudio dei figli di Dio, perché la luce della Provvidenza è verità, e amore, e gaudio, e sarà dentro e sarà sopra di voi. La Divina Provvidenza spiega tutto, essa è il dito di Dio nell’universo e il balsamo della vita. O Divina Provvidenza! O Provvidenza Divina! Ti amo, ti adoro, e mi perdo infinitamente in Te! Il povero prete peccatore (Scr. 71,202–203).
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È la Divina Provvidenza! È tutto la Divina Provvidenza che mantiene quel migliaio di poveri, senza che io vada a cercare nulla. Dio ha scelto me, perché non ha trovato sulla terra nessuna creatura più vile di me, per dimostrare che è Lui che fa (Scr. 90,221).
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Ah! la Divina Provvidenza non abbandona mai coloro che, fiduciosi si rivolgono a Lei, come anche Essa abbonda maggiormente con coloro i quali non si rifiutano di dare. Credetelo, o cari miei figliuoli, il segreto per divenire ricchi è dare largamente in elemosina (Scr. 94,191).
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A Te, o santa Provvidenza del mio Dio che, come Madre, pensi, vegli e disponi ogni cosa soavemente. A Te, o Divina Provvidenza, che eleggi le cose più deboli per confondere le forti, e quelle che non sono per confondere quelle che sono, affinché nessun uomo si dia vanto se non nel Nome Santo di Dio. A Te, che ugualmente vegli e sul fiore del campo e sul trono dei Re, è consacrata questa umile Casa di carità che, benedetta dalla Chiesa è sorta silenziosamente in Genova sotto lo sguardo di Maria SS.ma e di San Giuseppe, e venne dal buon popolo genovese chiamata con il nome di Piccolo Cottolengo, perché accoglie i poveri più abbandonati e perché vuol vivere animata dalla fede e carità verso i miseri che animava quel Santo. Il Piccolo Cottolengo è solo opera, o mio Dio, del tuo amore verso i poverelli. Sia esso un inno soave di fede di abbandono nel Signore e di carità: sia il cantico della gratitudine e della riconoscenza dei poveri, sia una benedizione larga e perenne per tutti i Benefattori, per la città di Genova e per la Liguria. Deo gratias! (Scr. 96,132).
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Qui non abbiamo a provvedere il vitto, il vestito e le altre cose necessarie alla vita. La Provvidenza Divina ci pasce, essa ci veste, essa ci fornisce non solo il necessario, non solo il conveniente, ma gli onesti sollievi ce li fornisce con abbondanza. Qui siamo sicuri di far sempre la volontà di Dio seguendo la voce dell’ubbidienza, la quale è voce di Dio. Di qui nasce la pace della coscienza e la tranquillità dell’animo. In questo genere di vita abbiamo un pegno di predestinazione perché la promessa di Gesù Cristo: Chi abbandona tutto per amore di me, otterrà il centuplo e la vita eterna (Scr. 102,117–118).
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Noi siamo chiamati ad essere i figli della Divina Provvidenza, gli strumenti intelligenti della Divina provvidenza per quelli, per tutti quelli che, non essendo già provvisti della provvidenza umana, hanno bisogno, e più bisogno, della Provvidenza Divina (Scr. 117,94).
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La chiamata di Dio ci porta molti vantaggi materiali, la chiamata di Dio ci porta molti vantaggi spirituali. Voi non risponderete alla chiamata di Dio per i vantaggi materiali, però ricordatevi che il Signore non ci ha mai abbandonati. Voi dovete pensare ai vantaggi spirituali, però potete essere tranquille che la Divina Provvidenza non vi lascerà mai mancare il necessario. Gesù Cristo è rappresentato nella persona dei superiori. Non datevi pensiero di mancare del necessario: siete figlie della Provvidenza e quel Dio che veste i gigli del campo, e quel Dio, che veste di piume gli uccelli, e quel Dio, che non permette che cada un capello dal capo senza che lui lo permetta, non permetterà che a noi manchi il necessario. Il Signore non abbandona mai i suoi figli. Egli è la Provvidenza. Cercate la vostra santificazione e poi il Signore non lascerà di aiutarvi. Non datevi pensiero per quanto è la cura di questo mondo; siate sollecite nelle cose di Dio, cercate il regno di Dio, e avrete tutto ciò che vi abbisogna (Par. II,89).
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Viva la Divina Provvidenza! Non esiste l’Opera di Don Orione! Esiste l’Opera della Divina Provvidenza! Io non sono e Don Sterpi e tutti i sacerdoti non siamo che dei poveri servitori, che dei poveri stracci nelle mani della Divina Provvidenza! Viva la Divina Provvidenza! Che questa fede in Dio e nella Sua provvidenza sia sempre viva nel nostro spirito! (Par. VII,74).
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Non si può confidare nella Divina Provvidenza senza fede, senza grande fede. Il religioso figlio della Divina Provvidenza, non deve avere semplicemente fede, deve essere l’uomo della fede, deve vivere plenus fidei, ripieno di fede. Senza denaro, senza ricordi umani deve appoggiarsi. Il Figlio della Divina Provvidenza è stato obbligato a intraprendere e di fatto costruisce nel nome di Dio grandi imprese e opere in favore dei poveri, fidato unicamente nella Provvidenza, animato e sostenuto dalla sua grande fede, per la fede eroica che opera miracoli e muove le montagne. Le opere umane si appoggiano nel debole bastone dei mezzi e soccorsi umani: capitale, poteri pubblici, protezione da parte dell’autorità, talento e ingegno, invece le opere della Divina Provvidenza valendosi dei mezzi umani e razionali che sono indispensabili, si appoggiano essenzialmente in Dio. Sono soprattutto opere di fede e generazioni di miscredenti, materialiste, atee, davanti a quest’opera dovranno toccare con la propria mano e vedere con i propri occhi malati di prevenzione e di assurdità che est Deus in Israel, cioè che vi è Dio in Israele. E questa fede realizzata nelle opere di cristiana carità servirà come un faro di luce che le costringerà a confessare infine che Dio esiste e allora si convertiranno. Ecco perché diciamo che l’Opera della Divina Provvidenza è opera provvidenziale di fede e di amore appropriata ai nostri tempi (Par. IX,328).
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Non esiste, non deve esistere nessuna “Opera Don Orione”, ma esiste la Piccola Opera della Divina Provvidenza. È la mano del Signore, la mano onnipotente della Divina provvidenza che sin dai primi giorni è venuta conducendoci, è venuta guidandoci e facendo fiorire sui nostri passi le opere grandi del Signore (Par. IX,405).
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Nota redazionale: in tema di Divina Provvidenza, San Luigi Orione si definisce: Asino della Divina Provvidenza (Scr. 47,223); Bifolco della Divina Provvidenza (Scr. 35,8; 43,171; 51,126; 63,93; 63,158; 73,186; 93,2); Ciabattino della Divina Provvidenza (Scr. 41,161; 61,210; 66,388; 71,53); Facchino della Divina Provvidenza (Scr. 66,224; 90,294); Figlio della Divina Provvidenza (Scr. 38,208; 46,225; 48,135; 51,122; 51,181; 58,26; 66,93; 74,44; 75,196; 85,76; 97,50); Fra Cercatore della Divina Provvidenza (Scr. 63,175d; 77,105; 111,232); Fra Cercone della Divina Provvidenza (Scr. 56,136; 93,78); Pellegrino della Divina Provvidenza (Scr. 40,137; 45,39; 48,269; 51,238; 52,226; 52,227; 56,138; 118,54); Pitocco della Divina Provvidenza (Scr. 31,36; 31,37; 37,77; 37,204; 43,17; 59,245; 65,201; 66,224; 67,183; 70,16; 78,70; 101,125); Prete della Divina Provvidenza (Scr. 9,144; 35,62; 44,15; 54,99; 69,318; 95,179; 111,247; 116,147); Sacerdote della Divina Provvidenza (Scr. 37,84); Servitore della Divina Provvidenza (Scr. 52,242; 66,93; 111,242); Servo della Divina Provvidenza (Scr. 12,3; 51,122; 75,196; 95,116; 116,109); Straccio della Divina Provvidenza (Scr. 42,173; 48,80 48,98; 48,202; 51,149; 70,113; 78,168; 81,158; 81,239; 107,36).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Debiti, Denaro, Economia, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Risparmio.
Donna
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Nessuno degli eremiti o chierici deve avere relazioni né incontri con donne o ragazze, né parlare ad alcuna di esse. L’anno scorso ho avuto gravi dolori a S. Alberto per questo e ora vi avverto perché tu specialmente, caro don Draghi, apra di più gli occhi e sii più esigente e più risoluto, se non vuoi prenderti una ben grave responsabilità e caricarti l’anima di peccati fatti da altri, ma per colpa tua. E quando tratterai, cioè dovrai parlare, con la sig.ra maestra o con donne, sbrigale presto, sii breve, molta educazione, ma pochi o niente complimenti. Leggerete insieme tre volte davanti al SS.mo Sacramento questa lettera e poi avvertirete gli eremiti specialmente che non devono parlare con nessuna donna, senza fare il nome della maestra, eccetto quelle che si trovano addette alla casa, ma anche con loro molto brevemente e per sola necessità. E le donne o suore nostre non devono tirare donne in casa né in cortile, né nel corridoio, mai! (Scr. 30,231).
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Con la Maestra, che, generalmente, è sempre di giovane età, sii educato, ma non bazzicare e sta’ a debita distanza: con donne, con fanciulle, con ragazzi rarus esto. Risplenda la tua riservatezza, la tua modestia, la tua ritiratezza la tua virtù sacerdotale e il tuo spirito di santità agli occhi di tutti. Non sei un prete secolare, sei un sacerdote–religioso: pensa questo di frequente; sei il successore di S. Alberto: sii lucerna ardens et lucens (Scr. 34,114).
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Don Bosco aveva già imparato da S. Luigi: aveva imparato dal Ven.le Cafasso, suo confessore, aveva imparato dalla sua stessa mamma Margherita, vera madre cristiana e santa madre degna di tanto figliolo, che cioè: donna e sacerdote hanno da essere distanti l’uno dall’altra come i due poli, se non tanto di persona almeno di cuore e di volontà: che la Casa dove sta il sacerdote non è fatta per le donne, né la Casa delle donne è fatta per il sacerdote; e che in questa materia non basta che un sacerdote sia innocente, ma è necessario, è indispensabile che non dia il menomo sospetto e che tolga ogni apparenza di male. Il mio venerabile padre e maestro Don Bosco non alzava neppure gli occhi, davanti alle donne: era la compitezza in persona, ma era un angelo di costumi e aveva un non so che di celeste che rapiva i cuori. Quando avevamo qualche tentazione, bastava andare vicini a Don Bosco, che scompariva (Scr. 52,32–33).
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Simile ad uno scolaro che lascia il collegio per andare in vacanza, dopo un lungo anno di reclusione, la donna si è trovata, dopo le più recenti invenzioni e specialmente durante questa lunga guerra, si è trovata lanciata in una vita di libertà, di movimento e anche di lavori che non aveva mai conosciuto. La donna sino a ieri era rinchiusa nello stretto cerchio della vita di famiglia e quelle che ne uscivano erano un’eccezione. Oggi la donna entra da per tutto. Le donne del popolo entrano nelle fabbriche, ove non si richiede che destrezza e intelligenza, essendo la forza muscolare rimpiazzata dalla forza motrice della macchina. Oggi poi una quantità di nuovi impieghi sono dati alle donne: le scuole elementari, anche maschili e superiori, sono date alle donne: le scuole tecniche i ginnasi, i licei, le università sono aperte alle professoresse; uffici di posta, di telefono, di telegrafo, esattoria, libri di conti, casse, tram elettrici, fattorine ecc. tutti posti che avvezzano la donna a lavorare fuori di casa, a fare da sé, a entrare in competenza con l’uomo, ad essergli preferita, onde una nuova situazione sociale. La donna è divenuta la maggioranza in tutti i paesi e le donne non maritate saranno domani in Italia, le più numerose. È cristiano, è caritatevole occuparsi del femminismo, o meglio della famiglia cristiana. L’attacco contro questa fortezza sociale che è la famiglia cristiana, custodita e mantenuta dall’indissolubilità del matrimonio ora latente ancora, vedete che domani diventerà furioso. Il femminismo è una parte importantissima della questione sociale e il nostro torto, o cattolici, è quello di non averlo compreso subito. Fu grande errore. Il giorno in cui la donna, liberata da tutto ciò che chiamiamo la sua schiavitù, madre a piacer suo, sposa senza marito, senza alcun dovere verso chicchessia, quel giorno la società crollerà più spaventosamente all’anarchia più che non abbia crollato la Russia il bolscevismo. Troppa poca gente ancora comprende la questione femminista. Confessiamolo francamente, noi cattolici abbiamo trattato il femminismo con una leggerezza deplorevole. Si vanno ancora oggi ripetendo dai più severi i vecchi scherzi di Molière, le spiritosaggini dei Gaudissarts. Ma noi qui vediamo che il ridicolo non ammazza nulla e meno che meno il femminismo. Esso si è insinuato da per tutto, formando leghe e comitati, inspirando riviste e giornali, trattando tutte le questioni che interessano la donna (Scr. 61,115–116).
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Senza far della donna un essere superiore e privilegiato, la Chiesa introdusse nella condizione di Lei raddolcimenti e nobilitazioni incontestabili. La pittura della donna forte, che si legge nel libro della Sapienza, la Chiesa l’ha inserita nell’ufficio delle sante vedove. Cristo predica il Regno di Dio e questo regno è promesso a chiunque, uomo o donna, osserverà i Comandamenti del Signore. Nessuno ignora la gran parte che tengono le donne nel Vangelo: Gesù si trattiene con la Samaritana e le si rivela; perdona alla donna adultera; accetta gli ossequi della Maddalena e la difende contro le mormorazioni dei maligni; ricambia con affetto la ospitalità della famiglia di Betania, aggradisce le cure premurose di Marta e loda la contemplazione di Maddalena. Gesù commenda la fede della Cananea e della Emoroissa; s’impietosisce sulla vedova di Naim, sulle pie donne che l’accompagnano al Calvario, più fedeli dei suoi discepoli, in quel momento doloroso. Chi corre prima al sepolcro per rendergli ulteriori ossequi, son donne; ad esse il primo annunzio della risurrezione. Ma tutte queste finezze impallidiscono innanzi a un fatto capitale: la nascita misteriosa del Redentore e l’esaltazione della B. Vergine Maria Immacolata sopra tutte le creature. Ecco l’ideale superiore, sublime, inedito che il Cristianesimo arreca all’umana famiglia: il culto di una Donna straordinariamente privilegiata. Questo culto di Maria fornì mai sempre alla donna cristiana non solo modo di riabilitarsi e di santificarsi; ma onde gloriarsi legittimamente e riabilitarsi ai suoi propri occhi (Scr. 91,103).
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Ma se la donna è oggi l’angelo della famiglia e la madre venerata dai suoi figli, ciò si deve alla Chiesa Cattolica. La donna, prima o fuori del Cristianesimo, fu quasi sempre o una bestia da strapazzo o un feticcio. E se, domani, comandasse il socialismo e avessimo mai una società non più cristiana, si farebbe subito alla donna una condizione inferiore: essa diventerebbe un capriccio del padrone e non altro che una vera schiava. Il divorzio sarebbe autorizzato e favorito dalle leggi: la famiglia sarebbe disfatta: i figli andrebbero dispersi (Scr. 91,104).
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Ricordiamoci che il Cristianesimo ha segnato il più grande progresso per la donna e fu con tale trionfo della dottrina di Gesù Cristo che il valore morale e sociale della donna salì altissimo. Or bene nell’attuale condizione della donna cristiana vi sono ancora dei residui palesi dell’antica servitù, residui, se volete, di molto limitati, grazie alla luce della fede e della morale cristiana; ma residui, che possono essere più che impicciativi e oggi più ancora che per il passato, stante la trasformazione del lavoro, l’instabilità dei patrimonii, le rivoluzioni industriali, i progressi dell’istruzione e i proventi che nuove professioni, generate dai nuovi avvenimenti e mutamenti della società, offrono alle attitudini femminili. Tutto dunque non è ancora finito nell’opera del rialzamento della donna. I nostri codici negano, senza ragione, alla donna certi diritti che concedono agli uomini. E anche nell’ordine economico vi sono delle porte che si può e si dovrà aprirle alle donne, ché nel nome di Dio, prima e meglio che non le sfondino, quelle porte, i socialisti, i nemici di Dio, nel nome della rivoluzione sociale (Scr. 91,105).
Vedi anche: Famiglia, Matrimonio.
Ecce quam bonum
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Caro don Sterpi, grazia e pace da N. Signore! Non so se giungerà a tempo, tento. Ai nostri fratelli riuniti, nel dì della Madonna, leggete: Piccoli Figli della Divina Provvidenza, partecipi alla nostra gioia. Terminato il pranzo nella festa della Guardia cantate con grandissimo gaudio il Magnificat e l’Ecce quam bonum, e poi bevete un bicchierino di vino buono, glorificando Dio e la Santa Madonna! (Scr. 19,102).
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Raccomando a tutti la carità e la unione dei cuori nel Signore, e che non se ne chiacchieri né si mandino rallegramenti. Prima di sciogliere la vostra piccola riunione reciterete insieme il Te Deum e l’Ecce quam bonum (Scr. 24,59).
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L’altro ieri abbiamo qui fatta la funzione di addio per i tre che vanno a Rio per la nuova Casa. don De Paoli fece i voti perpetui in piena forma canonica, poi si è cantato il Te Deum, l’Ecce quam bonum, tre volte, gli ho dato il calice per la nuova Casa, simbolo di unione nel Corpo e nel Sangue di Cristo e calice di benedizione e di fratellanza e prosperità nel Signore, e poi ho dato loro la benedizione Eucaristica. E fu un grande e commovente momento! (Scr. 28,122).
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«Quando in una comunità (dice il Ven.le Don Bosco nelle sue Costituzioni) regna questo amore fraterno, e tutti i soci si amano vicendevolmente, ed ognuno gode del bene dell’altro, come se fosse un bene proprio, allora la Casa Religiosa diventa un Paradiso». E allora si prova la verità di quelle parole del salmo CXXXII, che recitiamo ogni giovedì a Vespro e che noi figli della Divina Provvidenza cantiamo ben tre volte ad ogni anno, prima di separarci agli spirituali esercizi: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Oh quanto buona e dolce cosa ella è, che i fratelli siano sempre uniti! E il Venerabile nostro Don Bosco, cioè il vero padre dell’anima mia, dice ancora, scrivendo sulla carità fraterna: «Molto si compiace il Signore di veder abitare nella sua casa i fratelli in unum, cioè uniti in una sola volontà di servire a Dio e di aiutarsi con carità gli uni gli altri». Questa è la lode che dà San Luca agli antichi cristiani, cioè che tutti s’amavano così da sembrare che avessero un sol cuore ed un’anima sola: «Multitudo autem credentium erat cor unum et anima una» (Scr. 34,38).
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Sarà per me una delle consolazioni più grandi se, ritornando a Roma, potrò ripetere con Davide: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Io non dubito del tatto che voi porterete, con l’aiuto del Signore, nell’adempimento di questo delicatissimo incarico, come della buona volontà e disposizione di quei nostri fratelli; e voglio ogni mattina pregare particolarmente perché quella Casa diventi il modello delle nostre Case, specialmente per lo spirito della fraterna carità (Scr. 34,39).
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Oh quanto è dolce la vita e dolce il lavoro quando in noi e nei fratelli vi è la soavità della pace e unione fraterna! «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Un cuore solo è un’anima sola era il fatto che nei primi tempi della santa Chiesa edificava e meravigliava fino i gentili, i quali erano costretti ad esclamare: Vedete come si amano! Sarebbero pronti a morire l’uno per l’altro! Così cerchiamo di vivere noi, o miei dolcissimi fratelli in Gesù crocifisso e nella dolce nostra Madre, viviamo nella preghiera, nel lavoro, nella umiltà e carità fraterna, e così sentiremo la soavità e la felicità della vita lontana dal mondo, della vita religiosa, e saremo, come già i primi cristiani, di edificazione agli altri, e così ci conosceranno per i servi di Gesù Cristo! (Scr. 35,243–244).
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«Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum». Questa cara odicella tutta spirante unzione orientale, e che decanta i pregi dell’amore fraterno si compone, come voi ben sapete, di solo quattro versetti, in ciascuno dei quali è segnalato uno dei quattro vantaggi della santa unione delle anime a Dio, della fratellanza e carità religiosa. Essi sono: l’ineffabile dolcezza, il buon odore di edificazione, la spirituale fecondità, la copia di tutti i doni celesti, onde son benedetti da Dio i fratelli concordi e le anime tutte che vivono nella carità del Signore. Io ho detto la S. Messa ed ho così con Cristo unito i due emisferi ed assicurata la continuità. E in prima «Ecce quam bonum et qual jucundum habitare fratres in unum». O quanto buona e quanto gioconda cosa è il vivere dei fratelli concordi! E qui “fratelli” ha senso non solo di uomini, ma va esteso pure nel senso più grande e ai fratelli propriamente, alle sorelle ancora. E quel versetto vuol dire che vi hanno sulla terra delle cose buone che per sé non sarebbero gioconde come la penitenza, digiuni, l’annegazione di sé e simili altre; e vi ha delle cose gioconde, che non sono buone, come tutti i piaceri sensuali e morbosi; ma questa della carità scambievole è forse la virtù, è forse la sola virtù che è tutt’insieme buona e gioconda: «ecce quam bonum et quam jucundum». Questa linea equatoriale non rallenterà tra i figli di Dio il vincolo della perfezione che è la carità, ma anzi li stringerà più santamente: sono in un cuore solo e in un’anima sola poiché dice l’Apostolo che non l’acqua né il fuoco né creatura alcuna potrà mai separarci dalla carità di Cristo Signor nostro (Scr. 55,15).
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«Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratre in unum!». Sant’Agostino dice che la carità e unione fraterna fu la madre delle comunità religiose e noi poveri figli della Divina Provvidenza, ogni anno, finiti i santi Spirituali Esercizi e cantato il Te Deum, avanti di dividerci, ci abbracciamo cantando a coro il piccolo salmo: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Ove appunto sono celebrati i precipui beni e vantaggi della soavissima carità e le soavi gioie della serena vita religiosa. E perché tutti gli uomini, parlando in generale, sono obbligati ad esercitare la carità verso il prossimo, e tanto più ne sono obbligati quelli che si propongono la perfezione, mi parve manifesto che ogni qualvolta il prossimo ci domanda aiuto, e noi possiamo aiutarlo, ci incomba l’obbligazione o almeno il consiglio di farlo (Scr. 55,16).
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«Ecce quam bonum et quam jucundum». Oh quanto sarà utile vivere insieme, quanto dev’essere per voi consolante. Ma quanto tempo vi fermerete insieme? Per poco, per brevi giorni! Un soldato che ha il suo posto assegnato sul campo di battaglia, non può star lontano, non può assentarsi molto. E voi avete il vostro posto assegnato sul campo della carità: otto giorni di tempo per rivedere gli anni passati, otto giorni per preparare il lavoro avvenire, otto giorni per mettervi all’ordine di partire per l’eternità, otto giorni per rendervi Missionarie della Carità, attente eroine di Gesù Cristo, otto giorni per rendervi ferme, costanti, immobili, pronte ai più duri cimenti non solo del di fuori, ma del di dentro. Otto giorni per rendervi vere Suore Spose di Gesù Cristo, otto giorni e niente più, otto giorni che sono già cominciati, otto giorni che passeranno come il vento, svaniranno come un fumo, come un lampo, e passati non torneranno più (Scr. 55,41).
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Oh dolcissima carità che stringi insieme i figli della Divina Provvidenza! «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Pronti a morire l’un altro. Quelli che cooperano alla perfetta consensione dei cuori sono in Cristo; ma quelli che non si guardano dall’essere causa di dissapori e amarezze, e anche solamente di freddezze scambievoli, non operano in Cristo, ma piuttosto si fanno ministri del diavolo, seminatore di zizzania e di discordia (Scr. 55,312).
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Ecce quam bonum… cor unum et anima una. Molto si compiace il Signore di vedere abitare nella Sua casa i fratelli in unum. Via la mormorazione contraria alla carità. Il sussurrone imbratterà l’anima. Chi semina discordia viene in odio a Dio (Scr. 55,317).
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L’universalità della carità che esclude qualsivoglia egoismo, specialmente il nazionale, è la divisa di Cristo, dei suoi discepoli e della Chiesa. La carità ci edifica e unifica in Cristo. San Giovanni: amatevi a vicenda, la carità ha un manto d’amore. «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum». «Non diligamus verbo neque lingua sed opere veritate et diligite alterutrum». «Deus caritas est et qui manet in caritate in Deo manet». «Mandatum novum do vobis ut diligatis invicem sicut dilexi vos» (Scr. 55,328).
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Fratelli, Dio ci chiamò alla sua Piccola Opera. Chiamiamoci piccoli figli Divina Provvidenza. Terminato pranzo Guardia, cantate con grandissimo gaudio Magnificat, Ecce quam poi bevete mezzo bicchiere di vino buono glorificando Dio Santa Madonna (Scr. 70,312).
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Oh quanto, oh quanto mi è dolce il pensare che, ad ogni arrivo dei nostri fratelli, i quali dall’esilio torneranno alla patria celeste; che ad ogni arrivo di ciascuna delle anime a noi più care nel Signore, noi rinnoveremo nel Cuore stesso di Gesù, nostro Dio e nostro Padre dolcissimo, nostro sospiro, nostro Amore e Vita nostra eterna, noi rinnoveremo gli antichi abbracciamenti, e con lacrime di soavissima gioia e di santa felicità canteremo a coro sulle arpe degli angeli il cantico della nostra fratellanza spirituale e della carità: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in Unum!», cioè in Dio! Unificati in Lui, che, avanti di patire e di morire per noi, per noi ha pregato onde fossimo una sola vita con Lui: «ut unum sint!». Oh sì, o Gesù mio, che io anelo a cantarlo soavissimamente il caotico divino della tua carità, ma non voglio aspettare, no, a cantarlo entrando in Paradiso, ma, per la tua infinita misericordia, ti supplico, o mio dolce Signore e Padre e Maestro e Salvatore dell’anima mia, che tu mi voglia pietosamente concedere di incominciare questo dolce cantico qui dalla terra; qui, o Signore, da questa amplitudine di acque e di cielo, da questo Atlantico immenso che tanto mi parla della tua potenza e della tua bontà (Scr. 82,122).
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Godere del bene dell’altro come di bene proprio. Ecce quam bonum, si sente, si vive. Amor proprio, fratres in unum, uniti in una sola volontà di servire a Dio, di aiutarsi, di compatirsi, di sopportarsi. Via la mormorazione, direttamente contraria alla carità; scusare i difetti; il sussurrone imbratterà l’anima sua e sarà odiato da Dio e dagli uomini. Oh che conto dovranno rendere a Dio i mormoratori! «Audisti verbum contra proximum tuum? Commoriatur in te». Via le punture, non pungete, neanche per burla. Burle che dispiacciono sono contrarie alla carità. Non vi piace essere derisi e messi in canzone. Fuggire le contese, i contrasti, i diverbi, che rompono la unione e offendono la carità in modo deplorevole. Affabili, mansueti con ogni genere di persone. «Discite a me». «Caritas omnia sustinet». A chi vi ha offeso, modi buoni, benevolenza, etc. Perdonate i risentimenti (Scr. 86,31).
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Ai carissimi e moltissimi nostri che, sotto le armi, sono ogni giorno esposti a mille pericoli dell’anima e del corpo. E la preghiera di tutti è una sola: che Dio vi ritorni presto, o fratelli! Vi riconduca Egli tutti sani e salvi a noi. Che, nel Nome santo di Dio, possiamo, agli Esercizi di un altr’anno, riabbracciarci tutti e cantare uniti: «Ecce quam bonum et quam jucundum abitare fratres in unum! Fiat! Fiat!» (Scr. 91,193).
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Confratelli carissimi, oggi abbiamo terminati i Santi Spirituali Esercizi in questa Casa di Noviziato che canta l’espansione meravigliosa della Congregazione nella duplice via del numero e della formazione spirituale. Voi sapete che prima di separaci si canta il soavissimo canta della fraternità: Ecce quam bonum... Ebbene, mentre dopo la benedizione Eucaristica effondevano in dolce estasi d’amore il sorriso dell’anima, il nostro pensiero varcava le mura della vasta cappella e, sul filo d’oro del ricordo fraterno, trasvolando gl’immensi spazi di terre e di oceani, veniva a trovarvi nel vostro lavoro e nella vostra comunione di affetti (Scr. 119,67).
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Coraggio, cari figli: che l’amore di Gesù Cristo Crocifisso e la sua carità fraterna stringano insieme tutti i Figli della Divina Provvidenza in un nodo insolubile di dolcissima carità! Quanto è soave la carità, che ci edifica e ci unisce in Gesù Cristo! Come sentiamo che è vero e consolante quel nostro cantico, 1’«ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum!». Molto si compiace il nostro Padre Celeste di veder abitare nella sua Casa i figli Suoi, i fratelli in unum: uniti cioè in una sola volontà di servire a Dio e alla sua Santa Chiesa, nostra Madre, e di aiutarsi, con umile e dolce carità, gli uni gli altri! (Lett. II,396).
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Noi dobbiamo cercare che nella nostra Congregazione regni questa carità, questa concordia; e dovete cercare di farvi del bene una con l’altra. «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum»; ah, quanto è buona cosa e gioconda l’abitare dei fratelli in una unione perfetta. E poi le vedrete anche voi altre; ora fate silenzio, e almeno lo dovete fare, ma poi, quando saranno finiti gli Esercizi, che potete parlare, che vi potrete un po’ trattenere insieme, lo proverete anche voi altre quanto sia buona cosa il trovarsi tutti uniti nella carità di nostro Signore; e già l’avrete provato quando siete arrivate qui per gli Esercizi (Par. II,94).
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Mantenete fra di voi i vincoli stretti di carità. Quando noi terminiamo gli Esercizi cantiamo quel salmo che conoscete anche voi! «Ecce quam bonum...». Quanto è giocondo e santo, quando c’è l’unione dei cuori! Oh le vostre consorelle d’America, come la lontananza farà loro sentire più vivamente questi vincoli di carità! Voi che avete la grazia, con qualche frequenza, di vivere insieme, vogliatevi bene fra di voi. Dicevano i pagani: vedete come si amano i cristiani? Ebbene, buone figliole, nei paesi dove siete, la gente lo dice: Guardate come si amano! La gente lo dice davvero? La gente esce in questa bella espressione? Lo dice? Lo dice? O dice invece qualche cosa d’altro? (Par. II,209).
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Come fa bene all’anima, come ci si sente felici, quando sentiamo di vivere il cantico che erompe dai nostri petti, che esce dal nostro cuore purificato dagli Esercizi Spirituali! «Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum»: un sentimento solo, una volontà sola, un amore solo: amore alla Chiesa e alle anime. È il cantico della concordia, del consenso degli spiriti; non è il cantico dell’odio che divide i fratelli, che divide i popoli, ma è il canto dell’amore più soave, è l’inno che canta la più soave dilezione che unisce i molti fratelli che hanno la stessa fede, che lavorano per lo stesso ideale (Par. III,18).
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«Ecce quam bonum et quam iucundum abitare fratres in unum». O quanto buona e gioconda cosa è, o cari miei Chierici, il sentirci uniti in unum, in Domino. Trovarsi e sentirci una cosa sola, unificati e vivificati da Dio! E noi, quanto gaudio sentivamo in questi giorni per il Santo Giubileo! Se così grande è il conforto spirituale qui in terra, che cosa sarà mai in Paradiso! Che cosa sarà mai la comunione dei Santi. Oh, come dobbiamo, io e voi, affrettarci e seguire i passi del Signore, confortati e sorretti dalla grazia di Dio, anche per ignem et aquam, se piacesse a Dio di chiamarci al dolore (Par. VI,89).
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«Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum». Le gioie di tutti devono essere le gioie di uno; i dolori di uno devono essere i dolori di tutti; i dolori di tutti devono essere i dolori di uno; tutti per uno e uno per tutti. Viviamo e consumiamo in santo olocausto la nostra vocazione. Dio a ciascuno ha tracciato una via; ora, seguendola, arriveremo al pallio contenti e saremo salvi perché Dio dà in modo abbondante le grazie man mano che si corrisponde; però non basta incominciare bene, ma è necessario finire bene e perseverare (Par. VI,209).
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Mentre voi cantavate l’Ecce quam bonum, io udivo la gioia del vostro spirito nel timbro della vostra voce. La vostra voce usciva e le vostre anime apparivano irrorate dalla grazia particolare dei Santi Esercizi. Sentiamo il bisogno, il bisogno, più calorosamente possibile di dare grazie a Dio per questi Esercizi Spirituali. Quando l’anima ha provato le gioie del Signore, le consolazioni della grazia, allora tutto lo spirito e l’anima diventano una sinfonia; tutta l’umanità canta in noi, quando il Signore passa col suo spirito (Par. VII,112).
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Come nelle famiglie vi sono le gioie domestiche più sentite, così noi le sentiamo in questi giorni; sentiamo tutta la dolcezza dell’Ecce quam bonum. Deve essere questo uno sprone alla vita di bene specialmente per quelli che sono venuti da poco alla Casa madre... Nelle altre nostre Case si provano, si gustano giorni belli; ma non come qui, dove pulsa più piena la vita della Congregazione. Per questo foste chiamati qui: «ut vitam habeatis et abundantius habeatis». Nemmeno nelle Case di Roma, dove c’è una considerevole schiera di vostri confratelli, si provano certe gioie che si provano qui, perché queste sono le ore liete e sante, queste sono le grazie, sono le gioie che rimangono imperiture nei ricordi della nostra vita (Par. IX,437).
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Ecce quam bonum... Com’è bella la vita religiosa, la vita di Congregazione quando si sta uniti nell’amore e nella grazia! (Par. XI,40).
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I primi cristiani si amavano tanto, che non sapevano esprimerlo in altro modo che col chiamarsi fratelli. Come è stato bello il cantico che si è innalzato dai nostri cuori, dopo la benedizione eucaristica. «Ecce quam bonum et quam iucundum habitare in unum». Ecco come è cosa buona e gioconda lo stare insieme come un cuor solo ed un’anima sola, un palpito solo, un amore solo (Riun. 1939).
Vedi anche: Bene, Carità, Compatimento, Comunità, Perdono.
Economia
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Povertà vuol dire sacrificio e anche economia: povertà vuol dire non fare spreco di roba, povertà vuol dire anche farsi scrupolo nel tenere d’acconto e nel non sprecare. Un grano, anche un grano solo di frumento perduto sarà sulla vostra coscienza, e ne dovrete rendere conto a Dio! Noi non siamo che amministratori della roba della Chiesa e dei poveri: e a Dio, alla Chiesa e ai poveri dovremo darne conto. Io non dico grettezza, non dico meschinità, non dico avarizia, ma dico e raccomando la santa povertà e l’economia e l’ordine. Bisogna tenere d’acconto, più d’acconto la biancheria, gli utensili, gli attrezzi, tutto: avete capito, cari miei figliuoli? Questo è lo spirito di Gesù Cristo che è sceso da cavallo per prendere su una briciola di pane, e che dopo la moltiplicazione del pane e del pesce disse agli Apostoli: «colligite fragmenta ne pereant»: raccogliete le briciole perché non periscano. Tutto è grazia di Dio: il pane, la biancheria, gli utensili di casa, gli strumenti del lavoro, e la vita e la salute che Dio ci dà, perché con le opere ci guadagniamo il Paradiso. Io ho conosciuto il Ven.le Don Bosco, e Don Bosco diceva che aveva fondata la compagnia di toch perché andava a cercare per gli angoli della Casa tutti i toch di pane, e perché negli abiti vestiva poveramente a toch: puliti sì, ma poveri con pezze aggiunte (Scr. 4,265–266).
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Noi della Divina Provvidenza dobbiamo prendere volentieri la roba dei morti e già usata da altri. Economia! Economia! Economia! Economia nel vitto e nel vestito: non facciamo viaggi che per necessità; anche viaggiando ricordiamo che abbiamo fatto voto di povertà: economia nelle provviste, economia nel mettere la mano d’opera a pagamento, economia in tutto! I Missionari devono fare loro tutto, e non fare i Signori e non fare i fattori (Scr. 4,268).
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Tu sei sempre stato troppo largo nello spendere: devi cambiare, caro don Contardi, devi evitare i debiti! Più leggo le vite dei Santi, e di Santi e Sante, che furono Apostoli di bene, e più vado rilevando che rifuggivano dal fare debiti, e, sopra tutto, per sano spirito di povertà, facevano non spreco, ma una economia bene ordinata! Dio, che scruta le reni e i cuori, sa con quanta pena io mi vedo costretto in questa prima lettera a scriverti così, e ad insistere in Domino su questo punto. Tu hai sempre navigato nell’abbondanza, più o meno e, fino ad un dato punto, io capisco come non sempre ti possa dare ragione di certi avvertimenti. Ma è dovere di ogni buon figlio non solo ascoltare i precetti del padre, ma anche di prendere a cuore la situazione e gli interessi dell’intera famiglia; devi limitarti nelle spese minute, che, senza accorgerci, portano su nelle liste, per poter aver modo di fare un bene più consistente e duraturo. Bisogna essere disciplinati anche nello spendere. L’economia, caro don Contardi, va praticata con un fine retto e santo (Scr. 25,199).
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L’economia, praticata con un fine retto e santo, è certamente uno dei mezzi più diretti a farci compiere il voto di povertà, dall’osservanza del quale dipende, in massima parte, il benessere e l’avvenire della nostra Congregazione, ed il vantaggio delle anime nostre. Un’economia bene intesa, e fatta con spirito non di grettezza, ma per amore alla Santa povertà, e per spirito (non esagerato però) di privazione, di mortificazione e di penitenza, può giovare assai a mantenerci quali devono essere i figli della Divina Provvidenza. Raccomando quindi a te e a tutti una santa economia. Lo stato delle nostre finanze è poi abbastanza deplorevole, anzi, umanamente parlando, disperato. Solo un miracolo della Divina Provvidenza ci potrà salvare! (Scr. 29,190–191).
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Risplenda la santa povertà in tutte le persone e le cose nostre pratichiamola con rigore, facendo la massima economia, stiamo attenti alla rilassatezza. Non creiamoci dei bisogni, non pretendiamo agiatezze, noi non siamo padroni del denaro e dei beni, ma semplicemente amministratori (Scr. 55,231).
Vedi anche: Amministrazione, Contabilità, Debiti, Denaro, Divina Provvidenza, Poveri, Privazioni, Risparmio.
Ecumenismo
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Quanto alle costituzioni nuove, si modificheranno, e anche allo scopo precipuo, oltre all’amore al Papa e alla Chiesa da diffondersi nel popolo, vorrei aggiungere di difendere la fede contro i protestanti e di lavorare a riunire alla Santa Chiesa i scismatici. È amore pratico alla Chiesa, e ce n’era bisogno. Già nel decreto di Mons. Bandi c’è di lavorare per la riunione a Roma delle chiese separate (Scr. 18,123).
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Per gli Armeni rivolgetevi a Mons. Rosso, alla Sacra Congregazione degli Orientali, esponete il caso, sentite cosa vi dirà, riferitemelo. Io vorrei che stando in Congregazione siano però del loro Rito, e si tengano pronti ad andare, quando la Santa Sede crederà, a lavorare in Oriente pei loro Armeni, tanto martoriati. Saranno un vincolo con Roma, tanto più che la maggior parte degli Armeni sono scismatici: ce n’è molti anche qui, Armeni, ma scismatici coi loro sacerdoti scismatici (Scr. 19,127).
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Domandiamo sempre molto: molto per noi, molto per gli altri, molto per la nostra Congregazione, molto per la Santa Chiesa di Dio: preghiamola perché di tutte le genti si formi una sola cristiana famiglia, una sola Chiesa, un solo ovile sotto la guida di un solo pastore: il Papa! (Scr. 27,123).
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«Instaurare omnia in Christo», per grazia di Dio tutto instaurare nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo crocifisso, con l’attuazione del programma papale, specialmente per la parte che riguarda la libertà del Papa e della Chiesa e l’unione delle Chiese separate (Scr. 30,17).
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Ciascuno avrà un cuore vivo di Dio, si sentirà e sarà operaio di Dio: sarà felice di dare la vita alla giustizia, alla verità, alla carità, a Gesù Cristo, che è Via, Verità Vita, Carità, e vi sarà un solo Ovile sotto la guida di un Solo Pastore: Cristo Signore e Redentore nostro, il Quale nel suo Vicario, nel Papa, «il dolce Cristo in terra», regnerà con tanta gloria da vincere ogni pensiero umano e ogni speranza dei buoni, e tutta la terra che di realmente grande non c’è che il nostro Signore Gesù Cristo. E il Papa sarà non solo il «Padre del popolo cristiano», come ha detto Sant’Agostino, ma sarà il Padre del mondo intero fatto cristiano, e su di Lui peserà e si aggirerà tutto il mondo, che solo da Lui, «Vice Dio in terra», come usava chiamarlo San Benedetto Labre, avrà vita, salvezza e gloria! (Scr. 31,59).
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Per volontà espressa del Santo Padre, è proprio di questo Istituto di coadiuvare nella sua piccolezza l’opera della Divina Provvidenza, con faticare e sacrificarsi a togliere la confusione dei tabernacoli e a ritornare alla piena dipendenza e unità del Beato Pietro le Chiese separate, per l’unità con il beato Pietro che è il R. Pontefice e per l’attuazione delle volontà papali cioè di quello che per tutto e per i vari stati va con il nome di programma papale si che giunga a tutti e dappertutto la carità soavissima di nostro Signore Gesù Cristo con e per essa le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra e vivano in nostro Signore Gesù Cristo crocifisso. «Instaurare omnia in Christo». Che breve è: crescere nell’interno l’unità dei figli con il padre e nell’esterno ripristinare l’unità spezzata con il padre dei figli separati, con il sacrificio faticare a togliere la confusione delle idee, delle lingue, dei tabernacoli così da facilitare alla santa Chiesa per il beato Pietro il mandato di portare a tutti e dappertutto la carità soavissima di nostro Signore Gesù Cristo crocifisso affinché per essa le genti e le nazioni stabiliscano un giusto ordinamento sulla terra e vivano in nostro Signore Gesù Cristo crocifisso: «Instaurare omnia in Cristo!» (Scr. 45,28).
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Il fine di questa minima Compagnia del Papa è di compiere la volontà di Dio e di cercare la sua maggiore gloria coll’attendere, con la divina grazia, alla propria salute e perfezione e alla salute e santificazione del prossimo; adoperando ogni studio a crescere in se e nei fedeli l’amore di Dio e del Papa, avendo per suo programma immediato l’attuazione completa del programma papale, nei paesi cattolici; e, nei paesi acattolici, di aiutare, con ogni opera di cristiana carità, le anime a convertirsi alla nostra santa chiesa cattolica, apostolica, romana, consacrandosi in speciale modo ad ottenere l’unione delle Chiese separate, «ut fiat unum ovile et unus Pastor» (Scr. 52,4).
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Stendi, o Chiesa del Dio vivente, le tue grandi braccia, e avvolgi nella tua luce salvatrice le genti. O Chiesa veramente cattolica, Santa Madre Chiesa di Roma, unica vera Chiesa di Cristo, nata non a dividere, ma a dar pace e ad unificare in Cristo gli uomini! Mille volte ti benedico e mille volte ti amo! Bevi il mio amore e la mia vita, o Madre della mia Fede e della mia anima! Oh come vorrei delle lacrime del mio sangue e del mio amore far un balsamo da confortare i tuoi dolori e da versare sulle piaghe dei miei fratelli! (Scr. 57,51).
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In quest’anno, in cui il giubileo è esteso a tutta la cristianità, noi dobbiamo particolarmente pregare per il ritorno alla Chiesa dei fratelli separati. Però dobbiamo anzi tutto guardarci dal lasciarci tirare noi nelle loro reti diaboliche, poiché essi, specialmente i protestanti, mentre noi preghiamo per la loro conversione, moltiplicano tra noi le mene e gli sforzi pur di raggiungere lo scopo di spargere la zizzania nel campo del Signore e strappare la fede cattolica dalle nostre popolazioni. Abbiamo questo grave pericolo, che molti non avvertono. Vi è nei protestanti una vera mania di far proseliti e di spargere calunnie e odio contro la Chiesa nostra madre. Un dovere imperioso s’impone a tutti di stare all’erta e di mettere in guardia gli altri (Scr. 61,220).
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La nostra minima Congregazione si chiama Opera della Divina Provvidenza perché ha appunto per suo scopo particolare di cooperare con la carità e con la dottrina di Gesù Cristo a portare gli uomini e le cose umane a prendere posto nella Chiesa Cattolica e a santificarsi nell’amore di Gesù Cristo e nella subordinazione e unione figliale al suo Vicario il Vescovo di Roma, prendendo ed attuando il programma papale specialmente per la parte che riguarda il primato e l’infallibilità e libertà del Papa e l’unione delle Chiese separate ha per scopo particolare di portare i suoi membri a santificare sé stessi nell’amore di Gesù Crocifisso e nel servizio di opere: e vorrebbe cooperare con tutte le sue forze a portare gli uomini e le umane istituzioni a prendere posto nella Santa Chiesa Cattolica e a santificarsi nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo e nella subordinazione e unione figliale di mente, di cuore di opere al Vicario di Gesù Cristo, il Vescovo di Roma, prendendo a tale fine l’Opera ad attuare il programma papale, specialmente per la parte che riguarda del Papa la Divina e universale Autorità del Papa e l’unione delle Chiese separate (Scr. 64,254).
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Il primo carattere distintivo della vera Chiesa sarà l’unità: una sola ed unica Chiesa: un solo ovile sotto la guida di un solo Pastore. Dio è uno; non può esservi che un solo Credo, una sola legge, un solo culto, una sola religione, una Chiesa sola, la mistica nave di Pietro. Ma l’altra barca ha essa pure marinai e pilota: essa pure ha parte alla pesca, e si riempie pur essa di pesci. Non sarebbe questa una figura che le Chiese, fuori dell’unità cattolica, possono partecipare alle stesse grazie e alle stesse ricompense? No, o fratelli! L’altra barca non muove dal lido che chiamata da Pietro, e per unirsi a quella di Pietro: i suoi marinai sono detti compagni dei marinai di Pietro: «annuerunt sociis», e lavorano con essi, e sotto la direzione di Pietro a trarre la medesima rete. Le due barche fanno lo stesso cammino, ubbidiscono al medesimo capo, attendono alla medesima pesca: in realtà, non formano che una sola compagnia, e moralmente una nave sola. Così vi son due principalissime Chiese: la Chiesa greca unita d’oriente e la Chiesa latina d’occidente; ma esse sono in comunione e unità di fede e di opere con Pietro, lui riconoscono per capo supremo e universale, da lui dipendono, a lui ubbidiscono, al suo cenno riuniscono le forze a tirare la medesima rete, lavorando alla stessa pesca delle anime, annunziando la stessa dottrina, amministrando gli stessi Sacramenti: in realtà non sono che una Chiesa sola, un’arca sola di salvezza. Spettacolo veramente maestoso! Siamo più centinaia di milioni di uomini, sparsi su ogni lido, divisi da immense distanze di terra e di mare: da distanze morali ancora più vaste, per abitudini, per lingua, per costituzioni politiche e cultura diverse, e, in tanta diversità di indole e di linguaggio, tutti professiamo lo stesso Credo, osserviamo la stessa legge, offriamo lo stesso sacrificio (Scr. 82,37b).
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Fuori della Chiesa cattolica non vi sono che membra sparse o ossa aride: solo il cattolicismo è un corpo unico, pieno di santità e di vita perché animato, vivificato e sostenuto dallo Spirito Santo. Fuori della Chiesa di Roma, una, santa cattolica e apostolica, non vi hanno che fuochi fatui, diceva già San Cipriano. Essa sola è una, come il sole di cui una è la luce ma infiniti sono i raggi, che tutto avvolgono l’universo. Né è senza grande significato che il Vangelo abbia espressamente dichiarato che la barca in cui è salito il Signore, a cui si è unita poi l’altra, «era la barca di Simon Pietro». Lo Spirito Santo ha voluto con ciò mettere bene in evidenza, dice Sant’Ambrogio, che la Chiesa, in cui solo Gesù Cristo si ritrova, è la nave, è la chiesa dove Pietro è padrone, capo e maestro. Quindi non solo l’unità è il carattere della vera Chiesa, ma di questa unità Pietro è il vincolo, il fondamento e la chiave di volta, onde la vera e unica chiesa è solo là, dove è Pietro: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia!» (Scr. 82,38a).
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Falsi profeti dell’errore sono gli eretici e i scismatici. Eretico è chi scientemente o pertinacemente rigetta un dogma di fede o di morale, definito dalla Chiesa stessa. Scismatico è invece chi attacca l’unità della Chiesa stessa, e da essa si divide sottraendosi all’autorità del Papa o dei Vescovi, che vivono in comunione con Lui. Il vero scismatico, quasi sempre è anche eretico: ché, se l’eresia conduce allo scisma, lo scisma non è meno fatale per precipitare nell’eresia; onde la Chiesa considera lo scisma un delitto così grave quanto l’eresia, e lo tratta con la pena di scomunica riservata al Papa, poiché la Chiesa di Gesù Cristo è una e indivisibile, e non si può essere e dentro e fuori della Chiesa nello stesso tempo. Per l’ordinario non sarà difficile il conoscere i profeti o maestri dell’eresia e dello scisma. Ogni fede opposta alla fede della Chiesa di Roma, che è la Chiesa Madre e maestra, e l’unica veramente cattolica e apostolica, è eresia: ogni comunione differente essenzialmente dalla Chiesa romana, è scisma (Scr. 82,43b).
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Amiamo Roma! Roma, la sola Chiesa veramente Apostolica, la sola che non conobbe mutazione sostanziale, la sola sempre indipendente dai poteri laici, la sola veramente cattolica, sempre piena di vita, sempre ricca di santi, sempre “una”, perché unico il suo capo, il Papa! Se Cristo ha fondato una Chiesa (ed è certissimo che l’ha fondata), questa deve essere la Romana, perché tutte le altre, qual più, qual meno, mancano dei titoli essenziali, che le mostrino opera di Cristo. O sulla terra non esiste più la Chiesa di Cristo o, se esiste (e secondo la sua promessa e la necessità delle cose deve pur esistere) essa è la Chiesa Romana la Chiesa Capo e Madre di tutte le Chiese: chiniamoci dunque dinanzi a Lei riverenti, e riconosciamola! (Scr. 82,44b).
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Quando sono stato dal Santo Padre mi ha detto di lavorare per l’unione delle Chiese separate. Come ci si può far entrare? Pensateci un po’, o caro Padre e fate tutto. Quest’opera dell’unione delle Chiese separate mi parve sempre opera non solo di carità, ma anche un po’ di riparazione da parte nostra (Scr. 97,5).
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Un solo ovile e un solo Pastore. Qui Gesù Cristo dichiara uno dei principali caratteri della sua Chiesa: la sua unità. Dio è uno: la verità è una, non può aversi che una sola fede, un solo battesimo, una sola Chiesa, ed un solo Capo supremo della Chiesa, il Vicario di Gesù Cristo e Successore di San Pietro. La Chiesa uscì dal Cuore di Dio divinamente bella della sua unità di fede e di comunione. Unità di fede, che è la professione unanime di tutte le verità insegnate da Gesù Cristo: unità di comunione, che è la riunione cattolica in una medesima società, la partecipazione ai medesimi sacramenti, la sommessione al medesimo Pastore. La cattolicità distende la Chiesa su tutta la terra (Scr. 111,76).
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Il fine primario e generale della nostra Congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà castità e obbedienza e di queste costituzioni. Dopo dieci anni di voti perpetui può essere ammessi ad un quarto voto di speciale obbedienza al Papa e di tutta sacrarsi ad indefessa preghiera e lavoro per la predicazione e diffusione del santo evangelo nonché per il ritorno alla madre Chiesa di Roma delle Chiese separate e dei protestanti (Scr. 118,214).
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Vi sono molti protestanti che fanno del bene e che sono in buona fede! In America, il Ministro protestante protegge e aiuta i nostri Missionari. Essi credono di essere nella vera religione e, vivendo bene, salveranno le loro anime. Gli scismatici, che vivono numerosissimi nelle lontane contrade della Russia, sono in perfetta buona fede, e credono noi nell’errore: essi appartengono non al corpo della Chiesa, ma all’anima della Chiesa (Par. I,63).
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Dell’unione dei scismatici alla Chiesa di Roma come scopo della Congregazione si parla nel primo Decreto d’approvazione della Congregazione. In quel Decreto c’è il desiderio dei Figli della Divina Provvidenza di riunire l’Oriente, che si è staccato da Roma, riunirlo al Papa. Per riunire i fratelli separati d’Oriente la Provvidenza ci ha mandati questi figli, perché, fatta dai latini, l’opera di persuasione riesce più difficilmente. Questo trovarci qui con un numero di persone di rito diverso, ci dice quello che sarà un giorno la Congregazione, in cui vi saranno tutti i riti e tutte le razze. Il bello viene definito: Unitas in varietate. In una sola Congregazione vedrete copti, greci, armeni e si diranno le Messe in tutti i riti approvati dalla Chiesa e vi saranno tutte le razze. Noi questa sera abbiamo sentito cantare il Pater Noster in armeno. Pensate! Quando, nella piccola Congregazione, vi saranno Confratelli di tutti i paesi, sentiremo cantare il Pater Noster in tutte le lingue del mondo! Questo è il voto che depongo ai piedi della Madonna, nella gioia di quest’ora (Par. V,128).
Vedi anche: Chiesa, Compagnia del Papa, Instaurare omnia in Christo.
Educazione (civica)
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Vedete un po’, caro mio Don Giulio, di dirozzarvi un poco; anche la gentilezza, fatta pel Signore, è fiore di soave carità cristiana e serve ad educare i nostri Chierici. Che ne faremo di chierici troppo rozzi o poco educati? Saranno santi, ma da stare negli Eremi o nei Conventi, non da compiere la missione nostra che è di continuo contatto con la società per tirarla a Dio (Scr. 2,101).
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Bisognerebbe che trovasse in codesta Casa un po’ di pulizia, di buon tratto e di educazione in genere. Molte volte quelli che vengono restano male impressionati, perché certe cose della Moffa urtano troppo con la igiene, con la pulizia, con quel tratto educato e civile che, mancando, è causa per tanti di allontanarsi dal bene. Anche ti voglio pregare che tu stesso ti tenga più pulito, più pulito, perché sei quello che fai scuola a tutti i Novizi in tutto, ed essi crescono guardando a te. Non ti offendere, e prega per me (Scr. 2,195).
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I nostri Chierici non sono sufficientemente formati né ad agire per coscienza, né a disciplina e contegno religioso, né alle norme della pulizia e igiene, né per quanto riguarda la educazione civile. La gioventù laica è più educata dei nostri Chierici (Scr. 2,234).
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Il Cardinale Newman lasciò scritto che il Clero tanto e tanto bene non riesce a farlo perché manca di educazione; ed aveva ragione. Abbi pazienza, caro Don Cremaschi, se insisto su questo punto: formare i Chierici più che alle formule, alla vera e profonda e umile conoscenza di sé: formare di più la coscienza e la vita religiosa ed educarli di più, di più. Avverrà anche su questo quello che in parte avvenne già per le vocazioni, che ogni volta che aprivo bocca a parlarne, mi si rideva in faccia, ma ora si incomincia, grazie al Cielo, a capire. E così mi auguro avvenga per una più formata coscienza religiosa dei nostri Chierici e per una formazione anche esterna più educata e più civile. La pietà vera non esclude affatto affatto la educazione e l’urbanità dei modi. Ci deve essere nei nostri una disciplina e un contegno religioso che, finora, non c’è. Perdonami, ma penso che tu stesso, in fondo alla tua anima, sentirai tutta questa verità: a noi mancano molte e molte cose, ma anche ci manca una maggiore formazione di coscienza religiosa, specialmente nei Chierici, e manca quel senso di disciplina e quel contegno religioso, quell’educazione necessaria che si vede, ad esempio, nei Chierici borghesi del Seminario di Treviso, i quali poi sono cresciuti pel Clero secolare (Scr. 2,235).
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Ricercatezze no, ma civiltà, urbanità educazione sì sì sì! Se giraste un po’ il mondo, vedreste! Si è già tollerati, tanto più quando si è ineducati. Mi raccomando dunque, ma tanto tanto! Fallo per l’amore di Dio. E poi noi siamo chiamati ad essere educatori; come faremo se non l’abbiamo noi l’educazione? (Scr. 2,243).
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Così desidero e voglio che, unitamente alla pietà e allo studio o lavoro, ci sia più pulizia e più educazione alla Moffa. Io arrivo a supplicartene come di una grande carità che ti chiedo. Sarebbe inutile invitarmi a venire alla Moffa finché non ci sia vero spirito religioso e un’educazione più civile; niente ricercatezze, ma pulizia e civiltà. Datemi questa soddisfazione, e mi avrete dato più anni di vita. Per essere buoni e santi Religiosi non si deve essere sporchi né grossolani, né, peggio, villani! Il Card. Newman, tra gli ostacoli al propagarsi in Inghilterra del Cattolicesimo, ha posto la inurbanità e poca pulizia del Clero cattolico (Scr. 2,266).
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Vedi, caro Don Cremaschi, che nella Casa ci sia più amore di Dio, e presto ci sarà più ordine, più proprietà religiosa di vivere e di sentire, più buon comportamento, più educazione, più buon tratto, più carità fraterna, più vera vita religiosa. Ho veduto alcuni mettersi le mani addosso, e giocare così: ho veduto parecchi dondolare la testa, ciondolare le mani, camminare battendo o strisciando i piedi, stare seduti malamente, scompostamente, e altre cose ho visto che denotano infingardaggine, rilassatezza, mancanza di educazione e di senso. Prego in N. Signore che si ripari. Non voglio affatto affettazione: voglio amore di Dio e buona educazione e pulizia anche degli abiti e della persona, non solo della Casa, e comportamento da religiosi, non da giovani senza senso e senza civiltà. Da tutta la persona, da tutti gli atti dei probandi e Novizi, da tutte le loro parole deve emanare una spiritualità composta, devota, alta; un sentire educato e alto, da lasciare un’impressione buona, elevata, edificante nel Signore. Non parlare in dialetto e non lasciare parlare: si riesce sguaiati o, almeno, volgari. Niente volgarità, mai! Fa’ che, anche nelle azioni più umili, sempre siano religiosamente composti, ordinati, precisi, e che abbiano sempre lo sguardo rivolto verso il cielo (Scr. 2,269).
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Qui ho bisogno non di gambe buone, ma di sacerdoti buoni che abbiano pietà, spirito di apostolato, e la testa a posto, e che sappiano quello che deve sapere un sacerdote almeno mediocremente istruito. E che siano anche un po’ educati, affinché non avvenga quello che capitò ai 4 chierici venuti con l’Augustus, che a bordo stavano così poco civilmente a tavola, che l’ispettore dei salesiani don Cabrini, col quale viaggiavano, ha creduto bene non solo di avvertirli, ma di far loro alcune lezioni di buona creanza. Poi ha proibito loro di dirmelo e di dirlo, ma il fatto è avvenuto. Ditelo a don Cremaschi e a chi ha la cura di educare i chierici: la poca educazione non è santità, ma nuoce e lascia impressioni sgradevoli, che non fanno del bene al principio che rappresentiamo. Niente modi mondani, ma educati sì (Scr. 18,180).
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Don Bosco era santamente adirato quando udiva pronunciare certe parole sconvenienti al salesiano, e pronosticava male di quei chierici e sacerdoti che non erano educati o usavano delle trivialità o parlavano, per dirla con San Paolo, «scurrilitas, quae ad rem non pertinet». E questa educazione è parte della pietà; e quando uno ha molto spirito di pietà è anche molto fine, educato! Sentivo uno che mangiava con rumore come da certi animali che voi sapete, fanno rumore di labbra repellente... Ho sentito certi preti che discutono temi di ridicolo, altri che non sono puliti, sono sporchi, indecenti a tavola, nel presentarsi, nel diportarsi e trattare con le persone. Un sacerdote fu invitato ad una festa offerta dal principe Centurioni di Genova, e aveva la mania di dire barzellette. In quel manuale di buona educazione che abbiamo stampato, c’è tutto; cercate di imparare e di praticare tutto. Raccomando molto e molto che siate educati! Il sacerdote, il chierico non deve essere secondo in niente, a nessuno! Via tutte le effeminatezze! Via certi modi affettati! Ma educati, sì! Don Bosco non si sarebbe mai detto che fosse figlio di contadini, sembrava un principe. E lui faceva così per portare le anime a Dio! Ricordate quello che disse quel grande Cardinale inglese: una delle ragioni dell’arresto delle conversioni degli Anglicani è anche perché il clero cattolico non era all’altezza della sua posizione, in quanto ad educazione! (Par. VII,118).
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Vorrei raccomandarvi più urbanità, più educazione! Non vi offendete: io e voi in genere, siamo tutti figliuoli di famiglie umili e povere. Di umili famiglie, non che le nostre madri e i nostri padri non ci abbiano dato l’educazione; ma insomma, non si ha mai quell’educazione, quella finezza di modi che di solito hanno quelli che vengono da famiglie di condizione un po’ più civile. E fa tanto male il non essere educati sufficientemente, se si è sacerdoti! Quanto si può fare con l’urbanità, col buon tratto, con molta educazione! Non dico di essere di quelli che passano dall’altro lato. Niente esagerazione! Don Bosco era così educato! Don Bosco era così educato! Il sacerdote educato è sempre gradito! È sempre accolto bene, s’impone sempre. Molte volte quando non vi è sufficiente educazione si fa del male anche alla Chiesa e ne perde anche la religione (Par. X,75).
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Cari miei chierici, vorrei richiamare la vostra attenzione su un punto che mi sembra lasci a desiderare ed è questo: l’educazione, l’educazione! Se mi venisse di dire qualche parola aspra non vogliate impressionarvi: è l’affetto che vi parla! Ecco: noi siamo poco educati! Noi, Figli della Divina Provvidenza, non abbiamo quelle forme di educazione civile, urbana che sono necessarie per educare. Noi abbiamo Collegi, Patronati, Orfanotrofi, ma noi non abbiamo sempre sufficiente educazione. È una cosa che la vedo, che la sento e che la tocco sempre più, di giorno in giorno. Non abbiamo una educazione sufficiente, non l’abbiamo! Come faremo ad educare la gioventù, se molte volte non arriviamo neanche a capire certe cose, se siamo negativi in fatto di buona civiltà, siamo così lontani dall’educazione civile e sociale? Ma come faremo ad educare gli altri se non siamo educati noi? Nemo dat quod non habet, lo sapete. Non potremo educare se prima non siamo educati noi. Ho tolto nel programma, nel calendario filosofico di Bra qualche cosa. Ho tolto là dove riportava le ore in cui si fa scuola di civiltà. Non mi pareva che si dovesse pubblicare. Eppure questa scuola per noi è una necessità! In parte verrà da noi più vecchi; non vi avremo dato quell’esempio che pur avrei dovuto. Forse sta nella mia stessa vita, nella mia insufficienza di educazione, forse perché vengo da famiglia povera (Par. XII,25).
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Fa pena vedere un chierico che non è educato nel modo di stare, nel modo di giocare, che ha certe grossolanità nel parlare, nel gridare: certi modacci, certi modacci, certe grossolanità! Basta! Tante volte vengono in casa persone educate, tante volte alcune vorrebbero venire con noi e noi non sappiamo dove porle, dove impiegarle perché pensiamo: Cosa dirà, cosa proverà questa persona a vedere certe grossolanità, certe fesserie, certi modi, certi modi! Io parlavo qualche giorno fa a Don Sterpi a riguardo di qualcuno che viene in casa e gli dicevo: Prima di riceverlo devo dire: Sta’ attento che troverai questo e questo, non formalizzarti, non impressionarti... È doloroso! È doloroso! E siamo educatori! I soli sillogismi di filosofia non giovano! Solo le lettere, solo la teologia a poco vale! Metà della vita moderna sta nelle forme, sta nelle forme, nel saper trattare, nel saper stare, senza trascendere... Io vorrei che ciascheduno di noi riflettesse un momento e vedesse se questa formazione, questa educazione è in lui sufficiente o in che cosa manca, in che cosa è deficiente. Passavo ieri per queste scale e ho visto due chierici che disputavano così male, in un modo, in un modo! Sono rimasto male! Si capisce che quando han visto spuntare la mia testa bianca hanno cambiato modo! E guardate che è necessario che siamo preparati nell’educazione civilmente, religiosamente, socialmente! Bisogna che siate preparati se volete operare nel bene. Molto serve e affina l’educazione, la pietà! Di Don Bosco si diceva che non pareva figlio di agricoltori. Molto serve lo spirito: la pietà affina, educa. La pietà allontana certe parole, certi modi, certi atti, certi tratti! Lo spirito di pietà forma ed educa; e una nota per vedere se c’è lo spirito di pietà, è se uno è educato. Stia lontano da noi ogni ricercatezza, ma siamo educati (Par. XII,26).
Vedi anche: Galateo, Urbanità.
Elemosina
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Io finora ho sempre fatto l’elemosina ai poveri, dando loro da mangiare, oppure qualche soldo, conforme richiedeva il caso, perché avendone chiesto al signor canonico egli mi rispose: potendo di non rimandar mai il povero senza nulla, non avendo altro, dire una buona parola almeno (Scr. 39,103).
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Se viene da lei, la prego non proibisca di fare elemosina in denaro, fa tanta pena rimandare il povero che ha bisogno, a mani vuote, ed io la possibilità di dare cibo non l’ho sempre, essendo la casa tanto povera che misuriamo il pane, mentre invece qualche soldo l’ho sempre, ciò poi è un grande insegnamento per i bambini a cui io abitualmente affido i pochi soldi da dare e imparano così a sovvenire e a rispettare i bisognosi e a vedere in essi il Signore Gesù (Scr. 39,104).
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Elemosina. Nulla valgono i denari, finché si tengono nello scrigno: cominciano ad aver valore quando passano nelle mani di altri per mezzo della beneficenza. L’opera più perfetta e quella che dà più gloria a Dio è quella di soccorrere i poverelli. Essa serviva personalmente i poverelli di Gesù Cristo (Scr. 57,34).
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Quanto tu compi una buona azione o fai una elemosina, quando rasciughi le lacrime del povero o conforti la vedova che soffre, i malati, gli orfanelli, i vecchi cadenti, tu puoi liberare dalle pene della espiazione le anime che soffrono nel Purgatorio. La carità che tu farai ai poveri del Piccolo Cottolengo Genovese avrà effetti di misericordia e di liberazione su quelle Anime (Scr. 57,123).
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Credetelo, o cari miei figlioli, il segreto per divenire ricchi è dare largamente in elemosina. Don Bosco non aveva redditi di sorta, eppure non una volta gli è venuto meno il coraggio, non una volta si è perduto di fede: lavorava come se Dio non avesse dovuto pensare a lui, ma lui fidava tutto in Dio (Scr. 61,12).
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La vostra elemosina, fatta a scopo sì benefico e sì glorioso per Dio, fatta senza ricompensa umana, confondendosi con la preghiera dei nostri figli, è quella che darà gioie soavi alle vostre famiglie e al vostro cuore, è quella che vi aprirà il cielo e che andrà ad impiegarsi in rendite eterne alla banca del buon Dio (Scr. 61,26).
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La vostra mensa sia mensa di poveri religiosi che vivono di elemosine: seguite in tutto l’esempio dell’umiltà e della povertà di Cristo, poiché a ciò sono chiamati i figli della Divina Provvidenza e questo professammo davanti a Dio e agli uomini. Le solennità del Signore, della Vergine e degli altri Santi siano maggiormente onorate con la scarsezza del bisognevole e con la povertà (Scr. 81,190).
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Se avrai molto, dà abbondantemente: se avrai poco, procura di dar volentieri anche quel poco, poiché ti accumulerai una gran ricompensa per il giorno della necessità. L’elemosina infatti libera da ogni peccato e dalla morte e non lascerà che l’anima cada nelle tenebre. L’elemosina sarà argomento di grande fiducia dinanzi al sommo Dio per tutti quelli che la fanno. L’elemosina libera da ogni peccato perché, quando è fatta con retta intenzione merita un aumento di grazia al giusto e dispone alla penitenza e alla conversione il peccatore. In questo senso si dice che libera da ogni peccato e dalla morte eterna. Mangia il tuo pane con gli affamati e coi poveri e copri delle tue vesti i nudi. «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l’elemosina vale di più che ammassare tesori d’oro: giacché l’elemosina libera dalla morte, ed essa è che purga i peccati e fa trovare la misericordia e la vita eterna». L’elemosina, il digiuno, la preghiera, fatti a dovere, ottengono da Dio la grazia che rimette i peccati e conduce alla vita eterna (Scr. 86,194).
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Badate bene, o ricchi, che la elemosina è un precetto, non è un semplice consiglio. Supporre che Dio abbia abbandonato la classe più rumorosa dei suoi figli e la più bisognosa delle sue cure alla volontà e ai capricci della classe dei ricchi, è fare un’ingiuria alla Provvidenza del Signore. Se la elemosina non fosse che un consiglio, San Paolo non avrebbe scritto a Timoteo così: «Ai ricchi di questo mondo raccomanda di non essere d’animo d’altero e di porre la loro speranza non nelle stabili ricchezze, ma in Dio, che ci fornisce copiosamente d’ogni cosa perché ne godiamo. Raccomanda loro di far del bene, d’esser ricchi d’opere di bene, pronti a dare, a far parte dei loro averi, in modo da mettersi per conseguire la vera vita» (1Tim VI,17–19). Se la elemosina non fosse che un consiglio il Divin Salvatore non darebbe in preda alle fiamme eterne preparate per il demonio e per i suoi angeli, coloro che nella persona dei poveri non lo hanno sfamato, dissetato, vestito, accolto, visitato. La elemosina, per chi ne ha è un debito reale, una vera restituzione (Scr. 111,4).
Vedi anche: Carità, Denaro, Generosità, Opere di misericordia, Poveri.
Eremiti
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Voi, o miei fratelli eremiti, della solitudine dovete dilettarvi per meglio accostarvi al Creatore ed elevarvi a Dio, e non mettere mezzo tra lui e voi. Dovete essere come quel santo religioso di cui in una sua lettera parla santa Caterina da Siena. Essa, la grande santa e perfetta religiosa diceva di lui: «della cella si fa un cielo!». L’anima, che ama e vuole amare il Signore, nella solitudine, nel lavoro e nel silenzio fa grande profitto e v’impara i sensi arcani delle sante Scritture. Quanto più vivrete con il cuore e con il corpo lontani dal tumulto del secolo, tanto più il Signore si avvicinerà e parlerà alla vostra anima, e si approssimeranno a voi gli angeli santi di Dio. «Meglio è stare nascosto, e pensare per sé, che, trascurandosi, fare miracoli. Lodevole cosa è per l’uomo religioso l’andar fuori di rado, fuggire d’esser visto, e anche non volere veder gente. E che t’importa vedere ciò che non è lecito avere? Il mondo passa, e così la sua concupiscenza». Così sta scritto nel preziosissimo libro della Imitazione di Cristo, al capo XX, versicoli 29–31. Lasciamo, o figliuoli miei, le vanità della terra ai vani uomini della terra: leviamo su in alto gli occhi a Dio, preghiamolo per i peccati e le negligenze nostre, e non finiamo di ringraziarlo di averci cavati fuori dal mondo, e serriamo dietro di noi la nostra porta, e viviamo nella solitudine dell’eremo e del cuore, dando tutta la vita ad amare e a servire umilmente Gesù, e seguiamolo nella orazione, nel silenzio, nella unione. Serriamo dietro noi la porta, e chiamiamo con noi Gesù nostro diletto. Lungi, lungi da noi il desiderio di voler sapere le novità del secolo! Esse turbano la pace del cuore. Se non avessimo mai sentito rumori di secolo e vane notizie di mondo, meglio ci saremmo conservati nell’unione con Dio. Trattenetevi nell’eremo con letizia di spirito, perché altrove non troverete mai tanta pace! E anche chi dovesse andare a trattare con la gente, stia con essa il meno possibile, perché la custodia di noi non è mai troppa, e il trattare con la gente senza vera necessità, dissipa lo spirito, sciupa il tempo in cose vane e cattive, e aggrava la coscienza, oltreché ci espone ad altri gravi pericoli. Il raccoglimento, o miei cari, non è mai troppo! Che ci aiuti il Signore nei buoni propositi, e nel suo santo e umile servizio! (Scr. 30,155–156).
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Sono lieto di sapervi contenti del vostro stato eremitico. Il Signore vi ha chiamati, o miei cari, ad una vita di umiltà, di preghiera, di lavoro e di penitenza, nel rinnegamento totale del vostro amor proprio e di ogni passione. Ringraziatene sempre il Signore! Lo stato sacerdotale è certamente nobilissimo, ma non si deve però credere che in Cielo avrà maggior gloria chi è stato sacerdote, che chi non lo è stato, perché non l’ha potuto essere, e Dio ha disposto che non lo fosse. Poiché l’aver un premio più o meno grande in Cielo, dipende unicamente dall’aver acquistato un numero proporzionato di meriti; onde è che, senza alcuna distinzione, colui avrà un maggior grado di gloria in Paradiso, che più degli altri avrà fatto la Santa Volontà di Dio e osservato le proprie obbligazioni e più degli altri avrà camminato rettamente in umiltà e castità dinanzi a Dio, ed avrà procurato di fare la divina volontà nella volontà del suo Superiore, che gli fa le veci del Signor nostro Gesù Cristo. Da ciò, o miei figli, vogliate rilevare che chi non è sacerdote potrà acquistare un premio anche maggiore di chi è sacerdote; anzi potrà avere maggior gloria degli angeli stessi. Ognuno di voi, infatti, avrà inteso parlare di Sant’Antonio Abate e di San Paolo Eremita, ebbene, essi non erano sacerdoti, benché avessero sotto di sé centinaia di santi monaci ed eremiti. San Benedetto Abate, Patriarca dei monaci d’occidente, non era sacerdote. San Francesco d’Assisi, benché uno dei più grandi santi che onori la Chiesa e fondatore di un ordine religioso, non era sacerdote: San Girolamo Emiliani, fondatore dei Somaschi, non era sacerdote. La stessa cosa si può dire di tanti altri santi, come di un San Gerardo Maiella e di San Pasquale Bailon, chiamato il dottore dell’Eucaristia, che furono soltanto fratelli conversi o laici, e così il Beato Francesco da Camporosso, detto a Genova «il Padre Santo», beatificato qualche anno fa, egli era un laico Cappuccino; San Luigi Gonzaga, San Stanislao Kostka, San Giovanni Berchmans, non erano sacerdoti, come pure San Gabriele dell’Addolorata. La maggior parte dei primi compagni di San Francesco d’Assisi erano uomini santi, come anche si legge nei «Fioretti di San Francesco», ma non erano sacerdoti, e si può ben dire che la totalità degli eremiti e Anacoreti e monaci della Tebaide d’Egitto, veri e grandi servi di Dio, non avevano Messa. E potrei moltiplicare gli esempi, ma non voglio rendermi fastidioso perché quelli che ho qui riferito sono già molto eloquenti. Quello, pertanto, che ci deve stare molto a cuore, o miei carissimi figli, si è di corrispondere nel miglior modo possibile alla grazia della vocazione religiosa, che è la grazia più grande che Dio ci poteva fare, dopo la grazia del santo Battesimo, grazia che ci è invidiata non solo da molti pii secolari, ma anche da molti sacerdoti, da quei sacerdoti cioè che sono veramente di spirito e di vita di orazione. Io ne conosco parecchi che vorrebbero anch’essi rendersi religiosi, ma non lo possono o per motivi di famiglia, o per altri motivi, che qui sarebbe prolisso riferire (Scr. 30,223).
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Carissimi miei nel Signore, se vi è qualcuno del quale si può dire che è amato dal Signore e amato di speciale predilezione, questi siamo noi religiosi che, a preferenza di tanti altri, e senza alcun nostro merito particolare, siamo stati tolti dalla babilonia di questo brutto mondaccio, e chiamati a vita religiosa, cioè non solo ad osservare i santi comandamenti di Dio e della Chiesa, come devono fare tutti i veri e buoni cristiani, ma anche a praticare i consigli evangelici della perfezione, cioè la obbedienza, la povertà e la castità; voltando così le spalle al mondo, liberandoci da tante cure ed occupazioni terrene, per unirci più intimamente con Dio ed arrivare, in breve tempo, a una grande santità e perfezione. Però, o miei figli in X.sto, con l’averci Dio dato la grazia di uscire dal mondo e di chiamarci al suo speciale servizio, vuole da noi grandi cose, grande generosità d’animo e fervore; grande corrispondenza! Dio ci ha dato ogni suo avere e fino il suo sangue! Il religioso deve dunque spogliarsi di tutte le abitudini secolaresche: deve vegliare sul suo cuore, deve rompere tutti gli affetti terreni, deve dare a Gesù tutto il suo cuore e non una parte sola, tutta la sua vita! Che se il Signore nel grembo stesso di questa sua Piccola Opera della Divina Provvidenza ha destinato che vi siano rami diversi di una stessa pianta, di una stessa Opera, e che alcuni siano sacerdoti e che altri non lo siano, ricordatevi sempre, o miei cari, che ciò non lo ha fatto perché preferisca i primi ai secondi, ma perché i sacerdoti aiutino a salvare le anime in un modo cioè principalmente con il ministero dei sacramenti e della predicazione e con altri mezzi, che sono propri dei doveri sacerdotali; e gli altri invece attendano alla loro santificazione e alla salvezza del prossimo, direi in altro modo: cioè per mezzo specialmente dell’orazione, che renderà fecondo anche di più il ministero di quelli che sono sacerdoti: per mezzo del buon esempio, per mezzo della umiltà, del sacrificio, del lavoro corporale. Il lavoro è una delle leggi costitutive date da Dio alla umanità: esso serve a domare le passioni, a disciplinare lo spirito e a santificare la vita, in obbedienza a Dio e sull’esempio di n. Signore Gesù Cristo che, essendo Dio, si è fatto umile artigiano e ad esempio di tutti i santi, i quali furono tutti grandi lavoratori, i grandi facchini di Dio e delle anime (Scr. 30,224–225).
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La grande e santa Regola di San Benedetto si compendia in due parole: laus et labor, che vuol dire: preghiera e lavoro! E questa sia la vostra vita, o cari eremiti della Divina Provvidenza. Vita fondata sulla fede, sulla umiltà, sulla preghiera, sulla operosità, sulla obbedienza, sulla povertà, sul candore e illibatezza della vostra condotta, sulla mortificazione e temperanza, sulla più delicata modestia. Fatevi guidare in tutto, o miei fratelli eremiti, da una viva fede in Dio, nella Chiesa e nella obbedienza, non mai dal vostro proprio raziocinio, ma seguite in tutto e allegramente la via della Croce, via regia, via santa, via di obbedienza al vostro Superiore: l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo e alla sua Chiesa. E, se viene il demonio o il mondo a tentarvi, datevi a più fervida orazione: l’orazione è quella che mantiene la vocazione. Così facendo voi, o figliuoli miei, sarete condotti infallibilmente al conseguimento della religiosa perfezione a cui dobbiamo aspirare continuamente ed a cui dobbiamo rivolgere tutte le nostre sollecitudini. Io prego il Signore per voi e per ciascheduno di voi a questo fine; e ho voluto scrivervi questa lettera, che è la più lunga lettera che scrivo dopo la malattia, e l’ho scritta a più riprese, ma con il più vivo desiderio di potervi così animare di buoni sentimenti e incoraggiarvi a darvi subito ed interamente al divino servizio. Sant’Alberto ha voluto che la chiesa dell’Eremo fosse dedicata a Santa Maria, madre di Dio, e l’Eremo fosse posto ai piedi e alla totale dipendenza della Sede Apostolica e di San Pietro. Così alla SS.ma Vergine Maria e al vicario in terra di Gesù Cristo cioè al Beato Apostolo Pietro, l’Apostolo della fede e dell’amore grande a Gesù, offro umilmente e consacro me e voi, o figliuoli miei, in queste sante e gioconde feste pasquali, e prego nostro Signore che infonda in noi lo spirito della sua divina carità e della sua soavissima pace, onde, ristorati con il sacramento pasquale, la sua pietà ci renda sempre più uniti e concordi nel bene e faccia di noi un cuor solo e un’anima sola in Gesù Cristo crocifisso, Dio e Redentore nostro (Scr. 30,226).
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La regola degli Eremiti della Divina Provvidenza impone il più severo silenzio: essi scompaiono agli occhi del mondo per consumarsi nel sacrificio, nella preghiera, nel lavoro, nell’umiltà amando Dio e gli uomini. Quando questi ignorati facchini della fede e della carità avranno compiuta la loro giornata là presso la Tomba di Sant’Alberto, illustrata da molti miracoli, o sui campi delle loro Colonie Agricole, educando orfani ad un pane onorato, oppure in Palestina, dove sono già sparsi, sulla terra stessa ove Cristo ha sparso il suo Sangue: allora solo si saprà chi essi erano: solo allora si conoscerà il prodigio e il vivo olocausto di questi servi di Dio (Scr. 104,160–161).
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Cari Eremiti, speranze della nostra umile Congregazione, a me più cari che la pupilla degli occhi miei, state fedeli alla vostra vocazione, siate forti, siate umili, lavorate in illibatezza di vita e con generosità d’animo: Ave Maria, e avanti! Pregate, pregate e frequentate bene i Santi Sacramenti (Scr. 119,146).
Vedi anche: Colonie agricole, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Eremiti Adoratori Perpetui del Santissimo Sacramento, Lavoro.
Eremiti Adoratori Perpetui del Santissimo Sacramento
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A quel giovane venuto dalla Francia, dirai che stia in pace che il Signore lo vuole da noi dove troverà da farsi Santo nel nascondimento e umiltà nel lavoro e nella preghiera. Io poi lo metterò con la famiglia dei ciechi adoratori del SS.mo Sacramento (Scr. 2,160).
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Con l’aiuto del Signore, avanti che quest’anno finisca, inizierò la famiglia degli Adoratori quotidiani e perpetui di Gesù Sacramentato, perché sono convinto che questa sia la volontà del Signore, ma io non so né di essere il mandatario, né se questa famiglia religiosa sia per diventare un Ordine: Sia fatta la volontà del Signore sì in cielo che in terra! (Scr. 36,25b).
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Il sottoscritto, parendogli sia desiderio di Nostro Signore Gesù che alcuni poveri uomini, a lui ricorsi, si uniscano con abito religioso a vita comune, siccome già usano gli eremiti lavoratori dell’Opera della Divina Provvidenza, al fine precipuo di amare e adorare N. Signore Gesù nel SS.mo Sacramento per crescere la carità e la misericordia del Signore sulla terra, e risarcire Sua Divina Maestà delle bestemmie e sacrilegi e dell’abbandono degli uomini; e parendogli pure desiderio di Nostro Signore che si abbia a fare cosa conforme allo spirito e allo Statuto dell’Adorazione Quotidiana Universale, avente Sede Primaria in cotesta Città di Torino, denominando gli adunati: Eremiti Adoratori perpetui dell’Adorazione quotidiana universale, si rivolge alla bontà loro perché vogliano comunicare la cosa al Consiglio Centrale dell’Adorazione, e li prega di richiederne umilmente la necessaria autorizzazione, le norme, i consigli, e quanto nella loro saggezza stimeranno opportuno. Al povero sottoscritto è venuto il pensiero che tante anime, le quali Gesù va lavorando mano mano e unendo a sé nelle visite giornaliere e nelle usuali pratiche di pietà, cresciute nel divino amore, sentendo tedio delle vanità della terra, e orrore per l’odio e l’egoismo che animano l’attuale società, e sentendo un bisogno grande e irresistibile di vivere e di sfinirsi dell’Amore Gesù e di farsi totalmente e per sempre vittime di Lui con vita più regolare e perfetta, troveranno negli Eremiti Adoratori perpetui il recesso, e il rifugio nascosto e desiderato per farsi prigionieri nascosti e perpetui del nascosto, perpetuo e Divino nostro Prigioniero Gesù Sacramentato (Scr. 36,27).
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Gli adoratori che, piacendo al Signore sorgeranno avanti termini l’anno, pur restando figli dell’Opera della Divina Provvidenza, perché nati da Lei, non possono rifiutarne la maternità, saranno i veri Adoratori perpetui di Gesù Sacramentato, uniti non in Confraternita o Arciconfraternita laica, ma in istituto avente forma e regola religiosa. Ma siccome avranno la vita dell’Adorazione quotidiana universale, una volta istituiti, si porranno in piena regola col Consiglio Centrale della Adorazione (Scr. 36,28).
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Piacendo al Signore gli Adoratori Perpetui dell’Adorazione Universale quotidiana saranno vestiti a mezzanotte di Natale, e saranno 7 a ricordare i 7 doni dello Spirito Santo, che è quasi dimenticato e che Papa Leone XIII ricordò al mondo istituendo la novena di Pentecoste (Scr. 36,29).
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Ho telegrafato l’altro ieri al sig. Gullino da Sanremo, se stasera, trovandomi di passaggio a Torino, si fosse potuto conferire con gli Adoratori dell’Adorazione quotidiana Perpetua a Gesù Sacramentato circa quella domanda che inoltrai l’anno passato, nella prima quindicina di ottobre, riguardante l’Istituzione degli Eremiti Adoratori Perpetui di Gesù Sacramentato (Scr. 36,33).
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L’istituzione della Famiglia religiosa degli Adoratori quotidiani perpetui di Gesù Sacramentato sarà sulla terra l’aurora del secolo delle misericordie del Signore! (Scr. 36,37).
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Ora che so che il Papa benedice il lavoro fatto: benedice il fine e lo spirito dell’Opera della benedizione più grande come si espresse più volte: ora che so che vuole gli eremiti e in tante famiglie, e anche gli eremiti adoratori perpetui, come loro sanno che da qualche anno mi pareva fosse volontà del Signore (Scr. 41,12).
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Di eremiti ve ne sono due famiglie; eremiti lavoratori, ed eremiti adoratori perpetui (Scr. 49,196).
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Siccome è ben vero che la pia Associazione dell’Adorazione Quotidiana Universale è anche detta perpetua, ma il Signore a perpetuarla vuole, secondo le meschine mie vedute, che alcuni più di proposito di quello che non hanno fatto sin qui all’Associazione si consacrino in modo di vincolare a Gesù Sacramentato anche la loro vita, e non solo un momento della giornata, però vi dico che, avendo io sentito nel mio cuore questa ispirazione di provvedere alla perpetuità, per quanto è in me, dell’Associazione, inizio in questo anno santo la famiglia degli Adoratori Perpetui di Gesù Sacramentato (Scr. 71,92).
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Inizierò la famiglia degli Adoratori quotidiani perpetui di Gesù Sacramentato: che avranno per fine di adorare e amare Gesù perpetuamente e di farlo adorare e amare ogni giorno universalmente e in perpetuo da tutti gli uomini. Questa lettera vedete che è assai chiara; ma più chiaro ancora è quello che sto per dire a voi e agli altri, che hanno visto nascere dai piedi di Gesù l’Adorazione e che l’hanno seguita nel suo propagarsi dalla modesta cameretta di due povere figlie sino ai piedi del Vicario di Gesù e approvata e benedetta da Cristo e benedetta e approvata da lui tende a diffondersi a tante città e diocesi. Mi lascerete voi solo? Venite, seguitemi: chi non ha vincoli, vincoli la sua vita a Gesù Sacramentato, adorare e amare Gesù perpetuamente, e farlo adorare e amare ogni giorno universalmente e in perpetuo da tutta la terra! La istituzione della famiglia religiosa degli Adoratori quotidiani perpetui di Gesù Sacramentato sarà sulla terra l’aurora del secolo glorioso e della misericordia del Signore, e non se ne vedrà il tramonto con la consumazione dei tempi (Scr. 72,94).
Vedi anche: Adorazione Quotidiana Universale, Eucaristia, Eremiti.
Esame di coscienza
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione le pratiche di pietà; vedere se si procede in esse con leggerezza; se si fa e da tutti e insieme la Meditazione; a che ora, su che autore; se con troppa facilità si dispensa dalla Meditazione o da altre pratiche di pietà. Se si fa la lettura spirituale insieme, su che libro, per quanto tempo al giorno. Se si fa la lettura in refettorio, se la preghiera prima e dopo i pasti e prima di coricarsi e nel levarsi. Se si fa l’Esercizio della buona morte. E gli Esercizi Spirituali da quanto tempo. Se dell’Esercizio della buona morte se ne compiono le pratiche molto imperfettamente. Esame di coscienza ogni giorno (Scr. 5,490).
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Come Casa Religiosa ci devono essere le pratiche religiose bene ordinate: meditazione, orazioni, esame di coscienza, litanie, lettura spirituale, lettura a tavola (Vangelo, vita di un santo e martirologio) (Scr. 7,354).
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I tre principali istrumenti della vita spirituale e religiosa sono: a) la meditazione; b) l’esame di coscienza; c) l’orazione fatta con intelligenza e attenzione (Scr. 28,105).
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Siate sempre più buoni, fuggite il peccato, per carità, fuggite il peccato, datevi di più all’orazione di per voi. Non trascurate l’esame di coscienza. Guardate che non basta non avere vizi grandi, ma bisogna acquistare grandi virtù e le vostre occupazioni ed i vostri lavori e studi offrite tutto al Cuore di Gesù (Scr. 30,2).
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Vi raccomando assai assai la S. Meditazione, la confessione settimanale, l’esame di coscienza fatto bene, la comunione tutti i giorni e una speciale vigilanza ai ragazzi, in questi mesi sopra tutto (Scr. 32,7).
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Gli esercizi e le pratiche di pietà si devono fare bene. Devi specialmente far bene la meditazione, l’esame di coscienza, la confessione settimanale e la santa comunione, questa poi possibilmente tutti i giorni. Devi sempre tenere il cuore caldo dell’amore di Gesù crocifisso e della SS.ma Vergine (Scr. 32,205).
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Ora fa’ bene il mese della Madonna e fa’ bene gli esercizi di pietà: la confessione settimanale, l’esame di coscienza, la comunione, le orazioni. La pietà deve essere ignita e solida (Scr. 33,13).
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Vedete di dire le orazioni e fare la meditazione insieme, possibilmente anche Mattutino e Lodi, le Litanie dei Santi e l’esame di coscienza si da sentire il beneficio spirituale e il conforto della vita religiosa (Scr. 33,157).
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La meditazione è in comune e il rosario ed esame di coscienza; l’ufficio divino si dice insieme, quando si può e di mattino per tempo tutte le ore. Siamo in pochi, ma c’è molta unione, non si ambisce di crescere di numero, ma di carità (Scr. 43,264).
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Prima del refettorio, vi è l’esame di coscienza e le litanie in comune e davanti a N. Signore. Poi la lettura del S. Evangelo e o il Martirologio o la lettura spirituale (Scr. 54,212).
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Non pranzerò se non avrò recitato il S. Rosario e fatto l’esame di coscienza... Prima d’andare a letto farò un altro esame di coscienza (Scr. 57,97).
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Badate che il demonio cercherà ancora di farvi danno, quindi vigilate sopra di voi, pregate di più, siate veramente umili servi di Gesù Cristo e della santa Chiesa, fate bene le vostre pratiche da buoni religiosi, specialmente la meditazione, l’esame di coscienza e la confessione settimanale (Scr. 63,134).
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Verso le 11 e 1/2 vi sia insieme la visita al SS.mo Sacramento con le litanie dei Santi e non meno di un quarto d’ora di esame di coscienza. Vi sia molta precisione nell’orario e puntualità (Scr. 79,331).
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Poi vi raccomando bene l’esame di coscienza, che serve come di termometro per conoscerci se siamo caldi o freddi nel servizio del Signore. E questo esame farlo proprio con impegno (Scr. 87,145).
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Esame di coscienza. Si faccia la sera impiegandovi il tempo e raccoglimento conveniente perché riesca di frutto e pratica di miglioramento spirituale. L’esame di coscienza può essere fatto dopo la lettura spirituale e dopo le orazioni della sera (Scr. 115,214).
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Non fate solo preghiere insieme, ma anche qualche preghiera particolare! Per l’esame di coscienza non accontentatevi di una spazzatura superficiale, andate in fondo e, se fa bisogno, fate una confessione generale della vostra vita (Par. II,215).
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Tutte le sere, ogni sera io e voi facciamo l’esame di coscienza. Sì, l’esame di coscienza. Su che cosa dobbiamo esaminare la coscienza? Su tutte le debolezze commesse durante la giornata. Fodi parietem. Su, dice anche a noi il Signore, fodi parietem. Dobbiamo sentire quello che la coscienza ci dice di quello che abbiamo fatto, pensato, desiderato. Desideri, pensieri, parole, azioni! Fodi parietem! È il Signore che ci ripete questa parola! Troppo poco si parla della coscienza. Eppure la coscienza è qualche cosa che si identifica con la voce stessa di Dio. Se anche tutti i libri della terra scomparissero, basterebbe la voce della coscienza, il libro della coscienza, per leggervi quello che dobbiamo a Dio, per imparare i doveri verso Dio, verso noi stessi e verso il prossimo (Par. VIII,127).
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Facciamo l’esame della coscienza; appelliamoci al tribunale della coscienza e andiamo al vivo. Bisogna farlo bene l’esame di coscienza. Cominciamo con l’esaminare le nostre opere dalla mattina. Che frutto abbiamo cavato dalla meditazione, dalla Messa, dalle preghiere, dalla Comunione? Ho mantenuto il silenzio, ho studiato, ho mormorato, ho seminato zizzanie, sono stato diligente nei miei doveri? Sono stato un religioso serio? Permettetemi che vi dica che ho trovato troppa leggerezza in alcuni di voi. Alcuni di voi non sono formati allo spirito religioso; si va avanti alla secolaresca. Così non si edifica! Eppure noi vogliamo essere una forza nelle mani della Chiesa. Fodi parietem: andare giù al fondo... Insisto, insisto! Fodi parietem! Giù giù, pescare al fondo, al sodo. Quando l’esame di coscienza si fa come deve essere fatto allora sorge dalla nostra anima il dolore e il buon proposito. Quanto fa bene l’esame di coscienza quando è fatto bene! Allora sì, si vede se si cammina avanti o se si va indietro. Sono preziosi i momenti dell’esame di coscienza. L’esame di coscienza era raccomandato anche ai monaci della Tebaide. Noi, tutte le sere, dobbiamo fare il capitolo delle colpe in noi medesimi, fare bene l’esame di coscienza. Non bisogna solo farlo in modo superficiale, non si deve solo raschiare la parete ma fodi parietem. Vedere se nella nostra anima vi è della luce o se vi sono delle tenebre, se vi è del sano o del marcio, se vi è odore cattivo, o incenso soave d’orazione che sale a Dio. Vedere se c’è semplicità o doppiezza (Par. VIII,128).
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Chi avesse un carattere che è ribelle al bene – essendo la missione del sacerdote di far del bene – non si faccia sacerdote. A meno che con la preghiera e con un assiduo esame di coscienza e con un costante sforzo sopra di sé, non si senta di vincere il male con il bene e di piegare in meglio il proprio carattere. Per questo, o cari miei chierici, c’è l’esame di coscienza; l’esame di coscienza c’è per correggersi dei propri difetti e per formarsi il carattere. Quanto saggiamente la Santa Madre Chiesa impone ai religiosi l’esame di coscienza (Par. IX,449).
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Non basta andare a confessarsi: è necessario confessarci bene! Premettere un buon esame di coscienza e affondare, affondare nella mente e nel cuore. Bucare la parete, scavare, aprire il muro, non tenerlo, non stare con il muro chiuso. Che la tua coscienza sia aperta, come un libro sotto gli occhi del tuo confessore. Dopo un esame ben fatto devi eccitarti al dolore, al pentimento; e siano i tuoi propositi tali che escano dal profondo del cuore (Par. X,9).
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Il nostro esame di coscienza molte volte è superficiale: manca la preparazione a questi grandi atti, ai canali della grazia. Non siamo pronti a riconoscere le nostre miserie, non affondiamo molto in noi, abbiamo poco spirito di umiltà, poca conoscenza di noi: siamo troppo pieni di noi, troppo pieni di quanto sa di umana miseria (Scr. 10,206).
Vedi anche: Esercizi spirituali, Preghiera.
Esercizi spirituali
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Dio sta per concedervi una grazia ben segnalata: la grazia di fare gli Esercizi Spirituali. Benediciamone e ringraziamone insieme il Signore! La grazia dei santi Esercizi è sempre una grande misericordia che Dio ci fa. Non essendomi possibile trovarmi insieme con voi e farvi prima degli Esercizi una conferenza per dirvi che il risultato degli Esercizi dipende in massima parte da voi, dal modo come voi stessi li farete, così Vi scrivo, o figli miei, nel vivo desiderio d’inspirarvi, con la divina grazia, la più alta stima degli Esercizi Spirituali, che sono veramente, come direbbe l’Apostolo San Paolo: «Tempus acceptabile...dies salutis». Vi raccomando perciò di non mancare ad alcuna pratica di pietà: raccomando vivissimamente il raccoglimento dappertutto e il silenzio assoluto e sempre. E rivolgetevi specialmente alla Madonna, e pregateLa tanto. Dite bene, devotamente le orazioni, e recitate adagio adagio e con vera devozione il Sant’Officio, sia che si dica quello divino, che della Madonna: come meglio crederà Don Cremaschi. Fate una confessione profonda, e andate alla radice: non aspettate troppo, fate un buon esame, eccitatevi al dolore dei vostri peccati, raccomandatevi alla SS.ma Vergine, e poi confessatevi presto, entro i primi tre giorni, ma bene, bene. Io vorrei che la mia voce potesse arrivare all’orecchio di ciascuno di Voi, miei cari fratelli e figliuoli, per ripetervi l’ammonimento che dava l’Apostolo San Paolo al suo diletto discepolo Timoteo: «Admoneo te ut resuscites gratiam Dei, quae est in te» (2 Tim 1,6). «Ti raccomando che tu risusciti la grazia di Dio che è in te» e poi aggiunge: «che hai ricevuto». Cari miei, oltre innumerevoli favori, il Signore ci accordò la grazia della vocazione alla vita religiosa, nella quale abbiamo tanti mezzi di farci santi (Scr. 3,377).
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Gli Esercizi Spi.li un quarto si fanno con la mente, e tre quarti anzi poi ancora quattro quarti si fanno con il cuore, riscaldato al fuoco dell’amore di Gesù Crocifisso. Così e solo così si fanno bene gli Esercizi Spirituali: si fanno con il cuore. Carissimi miei figliuoli, Vi raccomando ancora di non divagarvi a leggere libri, siano pur buoni, ma che direttamente non vi aprano il cuore ad amare e servire Dio, e a profittare dei Santi Esercizi Spirituali. Non tutti i buoni libri sono buoni durante i Santi Esercizi. State attenti di non dormire durante le prediche: non lasciatevi mettere in bocca il dito dal diavolo, che farà ogni sforzo per far andare a male i vostri Esercizi (Scr. 3,378).
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Nella Casa d’Esercizi degli oblati di San Carlo a Rho, gli Esercizi si fanno veramente bene, perché si mantiene un silenzio assoluto, c’è molto spirito di raccoglimento e fervore di orazione; per me e per tutti furono giorni di paradiso. E così prego Dio che siano per voi, o miei cari, sì che ciascuno rimedi alla sua vita passata e, con il divino aiuto, getti i fondamenti della propria santità. Se volete farli bene, fate frequenti visite a Gesù Sacramento e raccomandatevi molto alla SS.ma Vergine, nostra Madre (Scr. 51,108).
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Che questi Santi Esercizi siano da voi tutti fatti con il più grande impegno, risoluti, con l’aiuto di Dio, di purgarvi dei vostri difetti, di correggervi delle vostre mancanze, di staccare la vostra anima da tutto ciò che ancora ci fosse in voi di abitudini secolaresche e mondane: staccatela la vostra anima fin da sé stessa, con il più radicale e pieno rinnegamento di voi medesimi. A questo fine raccomandatevi molto, ma molto alla SS.ma Vergine, nostra Madre e celeste nostra Fondatrice. Esercitatevi negli uffici umili: amate le cose povere con quello spirito che deve essere proprio dei piccoli e umili figli della Divina Provvidenza. Scusatemi, o carissimi, se sento di dovere tanto insistere, che vogliate umiliarvi incessantemente e in tutto, sino a rendere il vostro cuore dolce e maneggevole nelle mani dei vostri Superiori e Padri, facendovi così atti ad ogni bene. Ho sentito, con vivo dispiacere, che qualcuno si lascia trasportare da sentimentalismo; no, cari, no, il sentimentalismo è grave male che ci attacca alle creature come la pece, ci inaridisce nello spirito religioso e allontana da noi Gesù Cristo: bisogna svuotare il cuore da tutto che non è Dio, che non è amore di Dio né santo e purissimo amore delle anime (Scr. 51,109).
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Vi raccomando, vi raccomando tanto di fare assoluto assoluto assoluto silenzio durante tutto il tempo degli Esercizi, e di stare raccolti e modesti negli sguardi tenendo lontano dai vostri pensieri e dai vostri sguardi tutto ciò che può distrarvi, divagarvi o distogliervi dalle meditazioni e riflessioni sulle prediche e istruzioni. Scrivetevi gli appunti, che poi me li farete vedere, perché venendo, ve li chiamerò. Nulla risparmiate per rendere fruttuosi di santi propositi e di una vita più data a Dio più religiosa e più santa questi Esercizi Spirituali. Scrivete anche i vostri propositi. Cacciate via dalla fantasia tutto ciò che non riguarda i santi Esercizi. Non leggete libri che non siano adatti alla circostanza, e su questo, se avete dei dubbi, domandatene consiglio a don Cremaschi. Fate qualche mortificazione sia in pubblico che in privato per attirare copiose le celesti benedizioni su questi santi giorni di ritiro. Tutti ne abbiamo bisogno dei santi Esercizi e chi credesse di averne meno bisogno, egli è segno che ne ha bisogno più di tutti gli altri. Guai a chi farà male questi santi Esercizi! Guai a chi farà male questi santi Esercizi! Guai a chi farà male questi santi Esercizi! Per alcuno di noi saranno gli ultimi, come furono gli ultimi quelli dell’anno scorso per il chierico Porta Gabriele e per il chierico Viano Basilio! Ma questi sono morti santamente e sono morti in Congregazione, ciò che mi affligge tanto è il pensiero che gli Esercizi dell’anno scorso furono gli ultimi per alcuni che hanno abbandonata la vocazione e sono diventati disertori! Poveri figli infelici! Non troveranno certo la pace nel mondo, e forse perderanno l’anima per tutta l’eternità! Metto questi Santi Esercizi sotto il patrocinio di Maria SS.ma e di tutti i nostri santi protettori, e dei nuovi santi! Coraggio, cari figlioli, siate generosi con il Signore! (Scr. 52,26–27).
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Dagli Esercizi dovremo, dobbiamo voler uscire totalmente santificati. Chi non si sentisse di fare gli Esercizi con serietà, con generosità di spirito, con volontà di darsi tutto a Dio, vincendo le proprie passioni, esca dalla Moffa. Scopo degli Esercizi Spirituali è di conoscere i nostri difetti, i nostri peccati, le nostre malnate inclinazioni e mettere la scure alla radice e tagliare e sradicare addirittura tutte le male erbe che sono nell’orto della nostra vita. Fare bene gli Esercizi ci porterà non solo a conoscere le nostre miserie, a compungerci il cuore di vivo e profondo dolore di avere offeso Dio, ma sopra di questo gli Esercizi fatti bene e come si addice a veri religiosi ci rinforzeranno nella volontà di servire Dio e ci aiuteranno immensamente a gettare i fondamenti della nostra santità. Gli Esercizi, o cari miei figlioli, si devono fare con il cuore: chi non li fa con il cuore non li farà bene. Gli Esercizi si devono fare con fervore: essi ci devono riscaldare come il ferro nel fuoco; essi ci devono ammollire e farci prendere la forma che Dio vuole! 1) Conservate il più assoluto silenzio: più sarete voi il silenzio, e più Dio vi parlerà e più sentirete la voce e le ispirazioni del Signore. 2) State raccolti e modesti, molto modesti negli occhi e raccolti, molto raccolti e composti in tutta la persona. 3) Pensate a riformare e a santificare voi stessi, e non vi lasciate portare dalla fantasia a pensare ad altro o ad altri: pensate a voi, a farvi santi a corrispondere alle voci di Dio, alle Sue grazie. 4) Fate qualche mortificazione nella gola: si mangi solo nei tempi stabiliti, e solo quanto basta, e si faccia qualche fioretto nel mangiare. 5) Mettetevi bene tutti nelle mani della Madonna SS.ma e chiamatela di frequente in aiuto per far bene i santi Esercizi Spirituali. Sceglietevi qualche santo, e raccomandatevi di frequente all’angelo custode. 6) Chi vuole stare qualche giorno senza fare la Santa Comunione ci stia e così i Sacerdoti per la Santa Messa, ma non più di tre giorni. 7) Entro i primi tre giorni fatevi la confessione, e sia fatta con particolare diligenza, quasi fosse l’ultima e doveste subito dare conto al Signore. 8) Dio! Anima! Eternità! Ecco i tre grandi punti. E poi un quarto: la Vocazione! La vocazione alla vita religiosa è il più grande benefizio di Dio dopo il santo battesimo (Scr. 52,165–166).
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Anche per qualcuno di noi questi Esercizi saranno gli ultimi: a) Facciamoli bene! Silenzio! Silenzio! Silenzio! Si faccia silenzio assoluto: silenzio sempre e sempre assoluto. b) Molta e grandissima modestia negli occhi: chi sta divagato non farà bene gli Esercizi. c) Preghiera, preghiera, preghiera, e raccoglimento, ma bene. d) Non pensate più a nulla fuorché a farvi santi, cominciando a convertirvi. e) Chi credesse conveniente stare due o tre giorni senza celebrare o senza fare la Santa Comunione sacramentale per meglio disporre il cuore a sincera compunzione, lo può fare: non più di tre giorni però. f) Nei primi tre giorni ciascuno faccia la sua confessione, e anche generale se ne sente il bisogno, o secondo il consiglio del Confessore. g) Distaccate il cuore da tutto e da tutti: solo state uniti a nostro Signore e alla SS.ma Vergine e ai santi vostri protettori e dell’Istituto. Si raccomandi ciascuno anche alle anime sante del Purgatorio. Torno a raccomandarvi il più grande e assoluto silenzio e la preghiera e il raccoglimento nella fantasia, nel pensiero e negli occhi. Per carità, non si dorma durante le pratiche di pietà ma si riceva con cuore aperto la parola e le grazie del Signore! Dio, Anima, Eternità. Dio da amare e da servire; l’anima da salvare; l’eternità che ci aspetta di pena o di gloria! Dio! Anima! Eternità! E la Madonna SS.ma e la s. Chiesa! Ecco tutto: Dio! Anima! Eternità! E la Madonna SS.ma e il Santo Padre da amare e da servire e da morirgli ai piedi: ecco tutto per i figli della Divina Provvidenza (Scr. 52,168–169).
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Questi santi Esercizi devono segnare un grande mutamento di vita in bene in ciascuno di noi e un grande fervore di vita e di carità nella piccola nostra Congregazione. Dobbiamo entrare negli Esercizi con magnanime risoluzioni, e proseguirli con fortezza e costanza: essi devono essere un vero sacro ritiro e il vero principio di una vita tutta santa per Dio per la Chiesa per le anime! Vi raccomando, o figli miei, il silenzio e il più grande raccoglimento. Vi raccomando la preghiera e lo spirito di preghiera, e di dirigere bene i vostri propositi alla vera riforma della vostra vita e alla vostra santificazione. Fate bene i riflessi e fatevi il sunto delle prediche, e visitate di frequente Gesù sacramentato e la Madonna SS.ma. Raccomandatevi ai vostri santi e ai nostri cari fratelli morti. Oh quanto frutto ricaveremo se, con il divino aiuto e con la nostra cooperazione, faremo proprio bene questo sacro ritiro. Sarà la vita della nostra Congregazione! Allontaniamo ogni pensiero di mondo: allontaniamoci da chiunque osasse disturbare il nostro raccoglimento e assoluto silenzio, e attendiamo unicamente alla salute dell’anima nostra. Per questo si fanno gli Esercizi Spirituali. Che ci sia fuori di noi assoluto silenzio, perché dentro di noi parli solo il Signore. Entro i primi quattro giorni fatevi tutti una santa Confessione. Pregate adagio e bene, con umiltà e fervore: mettetevi bene e tutti insieme con me nelle mani della Madonna (Scr. 52,170).
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Il Signore ci concede, in questi giorni, una grande grazia, la grazia degli Esercizi Spirituali. È questo, per noi, il tempo più opportuno per questo sacro ritiro: «tempus acceptabile... dies salutis». Nulla dobbiamo omettere, o miei cari, di quanto può contribuire al loro buon esito; anzitutto dobbiamo disporre bene i cuori e indi pregare fervorosamente per trarre da tanta grazia il profitto più grande. Convinciamoci che il risultato dipende, in gran parte, da noi, dalla nostra sincera e decisa volontà di emendarci e di cominciare una vita veramente da buoni religiosi molto dipende dal nostro raccoglimento, dal nostro silenzio, nostra orazione umile, confidente, incessante. Mettiamo a base della vita la fede, la umiltà, il rinnegamento di noi stessi, la imitazione di n. Signore Gesù Cristo, la carità cioè il più grande sovrannaturale amore di Dio e della Chiesa, e in Dio e per Dio l’amore, l’olocausto di noi per le anime, per il popolo specialmente per i fratelli più bisognosi di assistenza religiosa, di conforto, di fede e di pane. L’apostolo San Paolo scriveva al suo diletto discepolo Timoteo: «Admoneo te ut resuscites gratiam Dei, quae est in te» (2 Tim 1,6.) Oltre ad innumerevoli favori, il Signore nella sua misericordia ci diede, o cari miei sacerdoti, la grazia del sacerdozio e d’una celeste vocazione, la vocazione alla vita religiosa, nella quale troviamo tanti mezzi di farci santi. Chi sa, o miei fratelli, se per le molteplici cure del ministero sacerdotale e della vita religiosa non sia stato, dopo gli ultimi Esercizi, un po’ negletto il tesoro di grazie che Dio ci ha dato, o non ci fossimo affievoliti dai primi fervori sacerdotali e nella santa vocazione? Che questi santi Esercizi ci facciano sorgere, nel nome di Dio, se avessimo mai da piangere qualche umiliante caduta: risuscitino essi in noi la grazia del Signore; riparino ad ogni negligenza, sì che usciti da ogni torpore o tiepidezza, ci infervoriamo ad alta vita spirituale (Scr. 52,182).
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Lo scopo degli Esercizi è di conoscere noi stessi e rinforzarci nella volontà di servir Dio con cuore generoso. Conoscere le proprie miserie: compunzione del cuore, vincere le nostre passioni, rinforzarci nella buona volontà, ci rinnovano nello spirito, unirci a Dio e gettare i fondamenti della propria santità. San Paolo a Timoteo, risuscitano la grazia: «Admoneo te ut resuscites gratiam Dei quae est in te»; riparare ogni negligenza e risuscitare la grazia del Signore, raccoglimento, silenzio, preghiera, Confessione, Madonna. Bisogna farli con il cuore, gran fervore, riscaldarci come il ferro nel fuoco e ammollirci ricevendo la forma che Dio vuole. Ho gran bisogno degli Esercizi. È già un po’ di tempo che non li faccio. Ne ho bisogno per riparare il passato: santificare il presente, prepararmi alla mia eternità. Circa il Passato ho bisogno d’un buon ritiro per farne penitenza, per purificare la mia coscienza così da non avere inquietudine all’ora della morte. Presente: ne ho bisogno per conoscere gli ostacoli al mio profitto spirituale alla vita di Gesù in me, specialmente per conoscere i disegni di grazia e di amore che Dio ha su di me. Avvenire: ne ho bisogno per prepararmi ai sacrifici, alle sofferenze, alla morte; per mettermi alla disposizione del beneplacito di Dio con tutti i mezzi che Egli si degnerà farmi conoscere per servirlo, per procurare la Sua gloria in me e nel prossimo. Frutto: Ringraziare Dio di questa grazia tanto preziosa, e che ne contiene tante altre, grazia che mi mette in grado di soddisfare interamente per il passato, e che mi conforta a collocarmi meglio nello stato di vita spirituale e religiosa a cui Gesù mi chiama, grazia che mi disporrà a ricevere a suo tempo, la grazia suprema della perseveranza finale. Quanto è buono Dio! Voti: fare questi Esercizi con gioia, come la preparazione alle nozze celesti, alla nostra unione con Gesù Cristo, divino mio Sposo, e per sempre! Apportarvi una buona volontà a tutto soffrire, a tutto fare quello che Dio vorrà da me. Osservare fedelmente il regolamento: preghiera, raccoglimento, silenzio (Scr. 55,52–53).
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Gli Esercizi sono una grazia straordinaria. Importanza: Importanza per tutti, per coloro che si trovassero in peccato, senza dubbio sono importantissimi. Per chi si trovasse in istato deplorevole che da mesi, e forse più, si trovasse infangato in qualche brutto vizio: da mesi non si confessasse bene e avesse accumulati sull’anima sacrilegi e sacrilegi. Sono buoni e importanti gli Esercizi per chi, anche avendo affetto alla pietà e alla sua vocazione, si lascia tuttavia tiranneggiare da qualche vizio, da qualche brutta passione. Per chi è debole, per chi non mette impegno a fuggire le cattive occasioni. Per chi dopo qualche giorno che s’è confessato, è di nuovo da capo a ricadere nelle stesse miserie: per chi serve a due padroni: dà il cuore a Dio, e di tratto in tratto dà il cuore al mondo, alle vanità, anzi alle passioni, al diavolo. Questi sono in grave pericolo di perdere la vocazione e di finire malamente. Bisogna che risolutamente decidano di troncare quella brutta catena di peccati e confessioni, e di confessioni e peccati. Per i tiepidi, per i leggeri, per i senza rimorsi, per quelli che vivono di sé stessi e non della Congregazione: vivono di amor proprio, per quelli che criticano con facilità i loro compagni, mormorano dei superiori, parlano senza tanto riserbo, pregano con divagazione, svogliati, si confessano per abitudine, senza emendamento di sorta, si comunicano senza fervore. Lasciano di fare tante opere buone, commettono tanti peccati veniali, vivono nella indifferenza del loro stato, dispiacciono grandemente al Signore. «Quia neque calidus neque frigidus es, incipiam te». Gli Esercizi per i tiepidi sono come l’acqua ai fiori appassiti. «Non progredi, regredi est», nella virtù. Per i buoni: Il religioso non è altro che un cristiano più perfetto. «Estote perfecti sicut et Pater vester coelestis perfectus est». «Qui justus est, justificetur adhuc, et qui sanctus est sanctificetur adhuc». Gli Esercizi Spirituali sono importantissimi e possono riuscire a tutti utilissimi (Scr. 55,56–57).
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Esercizi di Rho. Silenzio. Raccoglimento: «Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius» (Osea 2,14). Orario mattino: Ore 6: Levata; 6.30: Oratorio. Recita di Prima. Meditazione. Riflessione in camera; 8: Santuario. Santa Messa della Comunità; 8.30: Refettorio. Colazione. Tempo libero; 9.30: Oratorio. Terza. Sesta. Nona. Lettura delle Rubriche. Meditazione. Riflessione in camera; 11.30: Oratorio. Esame di coscienza. Angelus Domini; 11.45: Refettorio. Pranzo. Tempo libero; 14.15: Refettorio pel caffè e, subito dopo, Oratorio. Vespro. Compieta. Esame pratico. Riflessione in camera; 16.15: Santuario. Santo Rosario. Litanie in canto. Tempo libero; 17: Oratorio. Mattutino e Lodi. Respiro; 18: Oratorio. Visita al SS.mo Sacramento. Meditazione. Riflessione in camera; 19.30: Refettorio. Cena. Tempo libero; 20.45: Oratorio. Litanie. Esame di coscienza. S. Benedizione. Riposo (Scr. 74,207).
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Lo scopo dei nostri Esercizi, come voi ben sapete, è di conoscere noi stessi e rinforzarci nella vocazione religiosa di servire Dio, di servire il Suo Vicario in terra il Papa, e di servire la Santa Chiesa, Madre delle nostre anime e della nostra Fede, e servire Dio, il Papa e la Chiesa con cuore generoso, come soldati e come figli devotissimi, e dirò di più come ci fossimo proprio venduti alla causa di Gesù Cristo, alla sua gloria, e alla causa del Papa e della Chiesa. Per conoscere, con il divino aiuto, noi stessi, non cercheremo se gli altri siano stati difettosi o no, ma penseremo ai nostri difetti, e proprio a conoscere noi stessi. Pensare agli altri sarebbe fuori del nostro scopo. Pensiamo dunque a noi, ai nostri mancamenti, i quali, fossero anche piccolissimi, devono sempre essere materia di grande umiliazione e dolore! Dunque, prima cosa: pensiamo a noi: rientriamo in noi! Pensiamo seriamente a conoscere e a riformare e a rinnovare in Gesù Cristo noi stessi: rinnovarsi in Cristo, cioè nello amare e nell’imitare sempre di più e più da vicino Gesù, Signore Nostro Crocifisso! E conserviamo, o carissimi figli della Divina Provvidenza durante tutti questi Esercizi (come poi sempre) la mente e l’animo sereno e umile, abbandonato nelle mani della Provvidenza del Nostro buon Padre il Signore, e nelle palme delle mani materne della Madonna SS.ma, e ciò per non dare luogo a tentazioni o a scoraggiamenti funesti, pure nei nostri peccati. E quanto al cuore esso cerchiamo sia ricolmo di dolore e di amore di Dio: sia pieno di compunzione! E deponiamolo subito cioè sino dall’aprirsi dei Santi Esercizi ai piedi di Gesù e della SS.ma Vergine e vuotiamolo il cuore ai piedi del Signore e del Confessore, supplicando la divina bontà di riempircelo di santo timore e amore di Dio e di amore alla Chiesa e alle anime, dicendo al Signore con Davide: Cor mondum crea in me, Deus! Et spiritum rectum innova in visceribus meis! Se ai Sacerdoti, per i primi tre giorni piace meglio astenersi dal celebrare per loro maggiore computazione, lo facciano. E chi vuole celebrare, lo faccia. Dopo i primi tre giorni tutti celebrino, secondo l’intenzione che riceveranno dal Sigr. Don Sterpi. Così gli altri che per i primi tre giorni volessero astenersi dal fare la Santa Comunione lo facciano. E chi invece desidera farla, la possa fare. Raccomando un grande raccoglimento di sentimenti e di spirito. Impongo, in virtù di Santa Obbedienza, il silenzio il più assoluto, e da questa obbedienza del silenzio riserbo solo a me di dispensarvene. Questa obbedienza, in ogni modo, e per qualunque evenienza, dura quanto durano i Santi Esercizi. Quando vi capitasse qualche vera necessità di dover parlare, si faccia nel più breve modo, e a voce bassa. Allontanate ogni pensiero che non riguardi Dio l’anima e la eternità. Non pensate ad altro che a darvi tutti al Signore e al servizio della Chiesa: noi dobbiamo essere come gente venduta a Dio e alla Santa Chiesa. Questo è lo spirito della Congregazione: siamo tutti venduti in anima e corpo a Dio e al Papa per le mani della Madonna SS.ma nostra Madre. Pregate molto e umilmente che Dio abbia misericordia di noi, e che possiamo essere i facchini della Fede, i facchini di Dio e della Santa Chiesa di Roma i facchini delle anime che Gesù Cristo acquistò con Suo Sangue Divino (Scr. 75,44–45).
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Umiliamoci, ma andiamo negli Esercizi con sentimenti di fede e di fiducia di farci santi, e di lavorare a salvarci l’anima, a salvare le anime, e a glorificare il Signore, e consolare la Madre Chiesa! La Confessione fatela bene, e magari generale o annuale, e fatela al più presto! Mettetevi bene, bene nelle mani della Madonna: Essa è tutto per noi: Essa vi aiuterà! Nei Santi Esercizi si deve gettare il fondamento della propria santità: questo sia il principale pensiero che vi deve predominare nel cominciarli. La vocazione a cui Dio misericordiosissimo ci ha chiamati è grande, e vuole cose grandi! Coraggio dunque, o miei cari figliuoli: la Madonna SS.ma e San Giuseppe e i Beati Apostoli Pietro e Paolo e tutti gli Angeli i Santi vi aiuteranno. Pregate, pregate assai: il Signore non ci abbandonerà! Egli, il Signore e la SS.ma Vergine i Santi nostri ci aiuteranno, se noi pregheremo, se noi pregheremo ci aiuteranno ad ottenere in grande fervore a servire a Dio a cui abbiamo l’ineffabile consolazione di essere consacrati, e a ritemprarci come il ferro nella fornace! È questo, o miei fratelli e figli in Gesù Cristo è questo il tempo prezioso di riscaldarci come il ferro nel fuoco, ricevendo la forma che Dio vuole da noi, per servire e per morire fedelmente per Lui e per la Sua Chiesa (Scr. 75,46).
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Ti consiglierei, di accostarti al Signore e seguirlo fuori del mondo, almeno per nove giorni di esercizi, che faremo insieme: là, nella solitudine della tua mente, egli ti parlerà e ti aiuterà. Prendere una decisione senza aver premessi gli esercizi spirituali, non te lo consiglierei mai; però bada che, anche dicendo questo, non è che un puro consiglio. Penso che dalla deliberazione sullo stato di vita dipenda la tua temporale ed eterna felicità. È negli Esercizi, che faremo nella seconda metà d’agosto, che potrai aver luce, e considerare con ponderazione il tuo fine, la caducità, l’incostanza, lascia che dica, il nulla del mondo. È là che il Signore suol concorrere con grazie particolari: le cose te le presenterà sotto la loro vera luce, e moverà il tuo cuore (Scr. 102,125).
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Desidero che gli Esercizi si facciano in pieno silenzio per tutta la loro durata: è una grazia segnalata che Dio fa a noi a alla Congregazione: cerchiamo di farne grande tesoro. Il risultato degli Esercizi dipende in massima parte dal silenzio e raccoglimento continuato. Il demonio cercherà disturbarvi o divagarvi a metà o in fine: state attenti e vigilate e pregate perché il nemico è scaltro assai. È bene che i Sacerdoti stiano qualche giorno senza celebrare e i Chierici e gli altri che fanno gli Esercizi si astengano nei primi tre giorni dalla s. Comunione facendola solo spirituale: però questo è un consiglio che do, e se qualche Sacerdote desidera celebrare, lo faccia in Domino, e così se alcuno volesse comunicarsi faccia pure. È bene che cominciate a confessavi tutti presto: e che non si stia più di tre giorni senza farvi la comunione e senza celebrare. Se è il caso vi confesserete più di una volta. Veda qualcuno se non sia il caso di fare una santa Confessione generale, da cui vita più santa (Scr. 121,144).
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Lo scopo degli Esercizi è appunto questo: dl conoscere noi stessi e di rinforzarci nella volontà di servire Dio e la Santa Chiesa – secondo la grazia specialissima della nostra vocazione religiosa – e di servire a Dio e alla santa Chiesa con cuore generoso. Bisogna entrare negli Esercizi volentieri, contenti lieti felici di tanta grazia; entrare negli Esercizi con cuore magnanimo, risoluti, o miei figli, di vincere le nostre passioni, di sradicare ogni mala abitudine, di purificarci da tante miserie di cominciare una vita nuova, e di gettare cosi i fondamenti della propria santificazione: «Nova sint omnia et corda et voces et opera». Con grande fervore, dunque, dobbiamo tutti rinnovarci, sacrificando a Dio le cose nostre e noi stessi; non ci mancherà mai, per questo, la grazia di Dio. E Dio si unirà a noi sarà con noi e sarà con la nostra Congregazione. Guai, se gli Esercizi non si fanno con il cuore. Guai a chi farà gli Esercizi con spirito annoiato, con spirito sonnolento, tiepido, dormente! Sarebbe finita per lui; Che Dio non voglia! Pigli miei, preghiamo! Non basta star raccolti, non basta far silenzio – e silenzio assoluto, più e meglio dell’anno passato –, ma bisogna far bene attenzione alla parola di Dio, applicarla a noi, far bene i riflessi, far bene i riflessi, far bene i riflessi, e poi pregare, pregare, pregare la Madonna Santissima. Andate adagio nella recita del divino ufficio: le letture si facciano bene, sia delle lezioni del breviario che la lettura spirituale e del refettorio. Avete una Casa troppo esposta – dico la casa nuova: è troppo esposta, troppo aperta –; temo che, per qualcuno, sia un pericolo, una divagazione per gli Esercizi spirituali. Attenti! Confessiamoci fin dai primi giorni, sì che questi Esercizi, per me e per voi, siano proprio la vera rinnovazione spirituale nostra e della Congregazione (Lett. II,245–246).
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Entrate nei Santi Esercizi con animo magnanimo, solo desiderosi di conoscere noi stessi, le nostre miserie, di piangere i nostri peccati, risoluti di vincere le nostre passioni, con il divino aiuto, che certo non ci mancherà, se noi pregheremo, se noi, con vera compunzione del cuore, grideremo a Gesù Crocifisso tutto il nostro dolore e tutto il nostro amore, pieni di abbandono e di fiducia sul Suo Cuore trafitto, aperto per noi. Coraggio, cari miei figli, ecco giunti i giorni di salute, ecco il tempo accettevole: riscaldiamoci come il ferro nel fuoco; ammolliamoci, ricevendo la forma che Dio vuole da noi; sacrifichiamo a Gesù le cose nostre e noi stessi, e gettiamo le fondamenta della nostra santità. Venendo a più particolari raccomandazioni, esorto e animo alla preghiera. Pregate, pregate molto! Sempre, ma specie in questi giorni. Orazione! Orazione! Orazione! E silenzio! Silenzio assoluto, assoluto, assoluto. Se durante gli Esercizi Spirituali parliamo, non parlerà a noi Dio! E raccoglimento, modestia; attenzione alla parola di Dio, che viene a noi dal labbro dei predicatori. Raccoglimento non solo esteriore, ma interno, e silenzio non solo esterno, ma interno. Fate tacere la fantasia. questa pazza di casa, della quale si serve il demonio per impedire molto bene la vera riforma della nostra vita. Durante gli Esercizi Spirituali, sovente il nemico di ogni nostro bene, astutissimo, ci porta con la fantasia a cose grandi e bellissime, a progetti per il futuro, a castelli strepitosi di bene; ma tutto è inganno e illusione: è il perfido, che si veste di luce e d’angelo, per distoglierci dal gettare le fondamenta della vera nostra riforma religiosa, le basi granitiche della vera perfezione e vita interiore (Lett. II,351–352).
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Ogni anno, allorché i Figli della Divina Provvidenza si riuniscono per i Santi Esercizi, la prima esortazione che si fa è sempre per il silenzio, perché è nel silenzio che Dio si farà sentire al nostro cuore, che ci dirà quello che vuole da noi e quello che dobbiamo essere: Ducam te in solitudine. Pregate nel silenzio e nella solitudine: Intra in cubiculum tuum et clauso hostio ora patrem tuum in abscondito... Vi raccomando: fate silenzio, silenzio! Fuori ogni strepito mondano, fuori ogni pensiero, ogni preoccupazione anche per il bene. Non pensate: a Casa farò così, in quell’affare mi regolerò così... No, no! Fuori tutto questo, e silenzio! Sileat omnis caro, omnis creaturam a facie Domini! Solus loquere Dominum. Questi giorni sono per voi, solamente per voi; riposatevi nel Cuore Adorabile di Gesù. Questi sono i giorni di salute, i giorni di grazia e di misericordia. Nostro Signore stesso ce ne dato l’esempio: Egli si raccolse, per quaranta giorni, nella solitudine del deserto a far silenzio e a pregare. Ancora ve lo raccomando: fate silenzio! Silenzio e raccoglimento. Raccoglimento interno ed esterno. Raccoglimento vuol dire grande custodia dei nostri sensi; perciò grande modestia degli occhi: chi vuol vedere tutto, guardar tutto, chi c’è, chi non c’è, ciò che si fa, che non si fa, quella non farà bene i Santi Esercizi. Modestia nel contegno, in tutto il nostro essere; raccoglimento in tutto. Mettete un freno alla vostra fantasia, all’immaginazione, e ricordatevi di quel che disse nostro Signore: “Condurrò l’anima nella solitudine a là parlerò al suo cuore”. O buone figliole del Signore, fate profitto di questi santi giorni, di questi giorni di salute, e convincetevi che, più farete silenzio, più pregherete semplicemente con spirito di umiltà – umiltà di cuore, – e più profitterete per l’anima vostra. Non vi mettete in angustia per i vostri peccati; pensateci con calma, con umiltà, ma in pace, e non state a pensare a quel che è o che non è; non vi imbrogliate la testa, a furia di pensare; non vi lambiccate il cervello, non vi stancate, ma con vero spirito di umiltà e di grande dolore, confessate i vostri peccati, gettandoli nel Cuore di nostro Signore. E che questi Santi Esercizi segnino il principio di una vita tutta di Dio (Par. I,162–163).
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Gli Esercizi spirituali hanno questo scopo: sono diretti a stendere le mani a chi cammina sull’orlo del precipizio, a scuotere la polvere che raccogliamo nel cammino della vita, a spolverare il fango e la polvere che prendiamo dal mondo; anche senza volerlo, tante volte, ci sporchiamo l’anima e gli Esercizi Spirituali sono diretti non solo a guidarci, ma a rialzare l’anima caduta e ridonare al cuore la pace perduta. Gli Esercizi spirituali sono diretti a spolverare, disinfettare le vostre anime, sono diretti a riscaldare le anime tiepide, a scuotere le fredde, a spezzare le indurite, a infiammare quelle zelanti e fervorose nell’osservanza dei loro doveri. Forse vi sarete stancate: coraggio, buone figliole del Signore, gli Esercizi sono fatti per darvi forza e per animarvi; sono diretti a fare di un’anima peccatrice una santa, a formare di voi, non una buona suora qualunque, non una suora mediocre! (Par. II,6).
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Entrate negli Esercizi a cuore grande. II demonio vede il bene che viene dagli Esercizi, e fa di tutto per mettere in voi ansie, stanchezze, timori e farvi raffreddare nello spirito e dormire. Entrate negli Esercizi pronte, non per forza, disposte a fare qualunque sacrificio, qualunque sforzo per mettervi bene in raccoglimento. Lasciate fantasie, idee, pensieri, anche buoni, della vostra Casa. Non solo tacete con la lingua, nel silenzio, ma anche con la fantasia, che parla dentro di voi, discute, domanda, risponde e porta via il fuoco del fervore. Grande raccoglimento negli occhi, nei pensieri, nella lingua. Silenzio, modestia, spirito di mortificazione. Siete più di cento; non avrete sempre un letto, come può avere bisogno la vostra salute. Ma beati noi, se pensiamo a tutte quelle mortificazioni che Gesù fece per noi, e che i Santi fecero per purificarsi e per santificarsi. Ringraziamo il Signore per le occasioni che ci porge di santificarci, e manteniamo il silenzio interiore In Paradiso si arriva con due strade: l’innocenza e la penitenza. Se non abbiamo mantenuto l’innocenza, ringraziamo Dio che ci dà un po’ di penitenza e specialmente quelle penitenze che non vanno a nostro genio. Vi raccomando la preghiera! Pregate! Questi sono i giorni di salvezza, questo è il tempo–gradito a Dio (Par. II,215b).
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Gli Esercizi bisogna farli con il cuore; con il desiderio di trarne profitto, bisogna entrare nei Santi Spirituali Esercizi. Se gli Esercizi Spirituali non si fanno con il cuore, diventano tediosi. Entrare negli Esercizi con generosità. Diciamo al Signore: Scrivete, incidete nel mio cuore quel che volete... La grazia degli Esercizi Spirituali è una grazia speciale; certamente una delle grazie più grandi è farli tra i fratelli e farli in una città che è stata la culla della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Questo dev’essere argomento per ringraziare Dio e incitarci a farli con grande impegno, con slancio e generosità. Fare il silenzio; attendere a noi. La Casa si presta; nella Cappella si è qualche volta disturbati, ma i rumori di una carretta non ci devono distogliere dal raccoglimento. Anche il Signore faceva così... Invitava gli Apostoli dopo le loro fatiche (San Marco VI) dicendo loro: Venite in desertum locum et requiescite pusillum; ed essi lo seguivano in luogo appartato. Entrare in noi, pensare a noi. Avete cercato di fare del bene agli altri, e voglio credere che ne abbiate fatto. Abbiamo lavorato a rendere permanenti istituzioni che avevano carattere di provvisorietà. Abbiamo corso di qua e di là. Chi sa che, a furia di correre, non sia rimasto un po’ di polvere sulle nostre scarpe! Chi sa che non ci siamo inorgogliti del bene che il Signore ha fatto per mezzo nostro. Vivendo in mezzo a borghesi chi sa che non abbiamo preso costumi secolareschi, che non ci siamo un poco atrofizzati nella vita spirituale, pensando agli altri e non pensando a noi. Dio non voglia ci sia stata qualche caduta, qualche cosa che possa aver dispiaciuto anche menomamente al Signore. Primissimo scopo degli Esercizi Spirituali è la riforma di noi stessi: esaminare la nostra situazione, e quello che siamo davanti a Dio... L’essere qualche cosa davanti agli uomini è bene; ma quello che importa è l’essere qualche cosa davanti a Dio. Quod aeternum non est nihil est. Ciò che non pesa santamente nella bilancia di Dio nihil est. Togliere e sfrondare. Vedere se sia il caso di fare una confessione annuale o anche generale; vedere dove siamo più deboli e in che cosa è che siamo quello che non vorremmo essere davanti a Dio... Ravvivare in noi la grazia. Scriveva l’Apostolo al suo discepolo: “Admoneo te ut resuscites gratiam quae est in te”. Il Signore ci ha dato tante grazie. San Leonardo da Porto Maurizio diceva: “Entrando in me ed esaminando la mia vita, trovo la mia anima come una di quelle cappelle le cui pareti sono coperte di sole e di grazie, grazie naturali, e grazie di ordine spirituale”. Qual è la grazia che è in noi e che in modo speciale dobbiamo risuscitare? E la grazia e il dono celeste della vocazione religiosa, che San Tommaso dice il dono più grande di Dio, il dono più grande che Dio possa fare ad un uomo. Stando in mezzo ai secolari, lo spirito puro va come diluendosi... Potremmo esserci un po’ illanguiditi nello spirito. Dobbiamo quindi, risuscitare in noi la grazia della vocazione religiosa (Par. IV,311–312).
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Nei primi giorni degli Esercizi Spirituali dobbiamo scovare nel nostro spirito, esaminando la nostra vita passata; vedere le nostre deficienze, le cadute. La prima parte è la parte negativa. La seconda parte è la parte positiva. Si abbia a ravvivare in noi la grazia che ci è stata data, la grazia della vocazione religiosa che ci spinge, non solo all’osservanza dei Comandamenti di Dio, ma anche dei consigli evangelici. Vita purissima, vita tale che ci porta in qualche modo ad avvicinarci agli angeli per la bella virtù che dobbiamo coltivare in noi. Quelli nei quali essa risplenderà, dice l’Apostolo, saranno come gli Angeli del Signore. Levare il male, lavare il peccato con le lacrime e poi gettare le fondamenta di una vita nuova. Per fare questo è necessario entrare negli Esercizi Spirituali con spirito ilare, lieti e pronti a qualunque sacrificio, a rompere qualunque catena, lieti e pronti a qualunque sacrificio, a rompere qualunque catena, a staccarci da qualunque affetto, che non fosse per Dio, a rintuzzare il nostro amor proprio, per poter compiere in noi la completa riforma di noi stessi. Bisogna far tacere la fantasia. Il nemico del nostro bene è un imbroglione e molto scaltro; ci appare come angelo di luce; ci mette sottosopra il cervello: Farò questo e farò quest’altro... Ci fa pensare in questi giorni di ritiro, al bene che potremo fare agli altri. La fantasia è la pazza di casa. Ma noi, anche se ci venissero in mente cose che ci sembrassero buone, discacciamole, se non giovano alla riforma di noi. Pensiamo a noi stessi. Tenere a posto gli occhi, che sono come le finestre per cui entra il demonio nel cuore... Meditare le verità eterne; dalle istruzioni trarre frutto. Non leggere se non libri che trattano di virtù. Mantenere il silenzio. Qui il Signore condurrà l’anima nella solitudine e parlerà al suo cuore: Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius. Più noi faremo silenzio attorno a noi, e più ci trascineremo in uno stato interno da sentire le voci, le ispirazioni di Dio. Si vada adagio, molto adagio nelle preghiere. Quanti chierici hanno bisogno di imparare da noi preti a pregare bene, adagio, insieme, all’unisono, senza farsi tirare, senza correre avanti. Che possiate edificarmi a ricevere buon esempio, non solo dal devoto atteggiamento esterno ma anche dal pregare. Quanto fa bene vedere che i religiosi sono tutti compresi a ricavar frutto da questi giorni di grazie speciali... Ciascuno veda di prendere gli appunti delle istruzioni e delle meditazioni. Si fa questo in scuola, per meglio apprendere la scienza; tanto più si deve fare per comprendere la scienza di Dio e il bene dell’anima... Uno dei modi per sentire il gusto della preghiera è quello di sforzarci a pregare molto e pregare bene. Al tempo dei riflessi, quando ognuno ha finito di fare quelle riflessioni che crede bene per l’anima sua, venga a pregare brevemente anche da solo o a fare delle letture spirituali; e bisogna in esse cercare quello che muove il cuore. Cercate quelle pagine che capite possano far del bene alle anime vostre (Par. IV,313).
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Primo scopo degli Esercizi è conoscere sé stessi e poi chiedere a Dio che ci rinvigorisca la volontà in tutto ciò che sa di rinnovazione del nostro spirito. Poco gioverebbe che conoscessimo noi stessi se poi non cercheremo con l’aiuto di Dio di rinnovarci con il rinnegare noi stessi ed edificare in noi Gesù Cristo. Quante pieghe, quante ingratitudini nella nostra vita! Preghiamo il Signore che ci levi le squame dagli occhi e ci dia quella luce che diede al cieco nato, luce che rischiari la nostra anima. Gettiamoci ai suoi piedi con umiltà e con cuore largo, decisi di mutare vita; diciamogli: Domine, fac ut videam. Che io veda il vero stato dell’anima mia, che ci sia la compunzione del cuore e un grande dolore dei nostri peccati. Scopo degli Esercizi è conoscere noi stessi e vedere se le passioni si sono attaccate al nostro abito e se lusinghe del mondo abbiano preso il sopravvento sopra di noi. Preghiamo il Signore che lavi con il sangue suo divino le macchie della nostra anima e rinvigorisca la nostra volontà. San Paolo, scrivendo a Timoteo, gli dice: Vedi di risuscitare la grazia che è un te... Che il Signore rianimi e risusciti in noi la vita spirituale, se mai questa grazia fosse stata seppellita. Una volontà decisa e intransigente di servire Dio fedelmente come vuole lui con cuore grande e generoso. Il Signore ha dato una grande benedizione a Daniele perché era animato da grandi desideri: Vir desideriorum. Volontà decisa di amare e servire Dio con slancio e generosità. Il Vangelo di oggi – Domenica XI dopo Pentecoste – è molto chiaro su questo punto. Che possiamo uscire da questi Esercizi più animati a far del bene ai fratelli, ai più derelitti nostri fratelli, ai contadini, agli operai che hanno bisogno di mantenere la Fede; a questa massa di popolo affinché possa essere una forza nelle mani di Dio. Noi siamo per i più poveri, siamo, con linguaggio laico, per i rottami della società, mentre i poveri, dal grande Diacono e Martire Lorenzo, furono chiamati i tesori preziosi della Chiesa di Dio (Par. IV,430).
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Preghiamo che Dio tenga la sua santa mano su di me e su di voi, miei cari Sacerdoti e miei cari Chierici. Farò pregare e pregherò e vi ricorderò nella Santa Messa e dirò anche il Santo Rosario per voi, per il buon esito degli Esercizi. Il frutto degli Esercizi dipende dal pregare; per avere il frutto della preghiera, della pietà, bisogna farsi violenza a noi stessi e allora si arriva a vivere quella che vien detta la vita interiore. La Madonna Santissima vuol bene a tutti, ma in modo speciale a quelli che vogliono, per quanto sta da loro, fare rivivere nella loro anima il suo divin Figliolo. Non solamente bisogna pregare bene e far bene le pratiche comuni di pietà, ma bisogna pure venire da soli a gettarsi ai piedi del Tabernacolo che è la porta della misericordia del Signore! Silenzio, silenzio della fantasia, di questa pazza di casa. Stiamo attenti dai pericoli della fantasia che impedisce di gettare le fondamenta della santità. Se comprendessimo che le mura sono diroccate, faremmo come gli Ebrei che portavano mattoni per riparare le mura: Ut aedificentur muri Ierusalem... Riedificare in noi il Signore. Un grande silenzio, una grande compostezza interiore ma, più ancora, compostezza interna. Coraggio, facciamoci coraggio (Par. IV,431).
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Una raccomandazione speciale vi faccio prima che entriate nel clima particolare di questi Esercizi Spirituali. Entrateci con nel cuore quel sentimento che viene chiamato il timor di Dio; il grande dono dello Spirito Santo. Esso corrisponde in pratica alle parole di Gesù: Vigilate et orate ut non entretis in tentationem. Gesù ci raccomanda di non andare con le massime del mondo, ci esorta a disprezzare il mondo, le sue teorie, i suoi falsi insegnamenti. Essi costituiscono il più grande pericolo per un’anima, se questa vi si adagia tranquillamente, uniformando ad essi la propria mentalità, la propria condotta. Lontano dal mondo, lontani dai suoi pericoli, perché guai a noi, se cedessimo ai dettami del mondo. Voi entrate negli Esercizi: dovete ripetere la vostra rinuncia al mondo, dovete ripetere la vostra totale consacrazione al Signore e alla Madonna e alla Chiesa e alle anime. Che consolazione servire Dio, questi grandi della nostra anima! Pensiamo ai grandi disegni che Dio ha certamente su di noi, agli scopi, a noi segreti ma sicuri, per i quali ci ha chiamati in religione. Può darsi che, nella vita passata, abbiamo dimenticata questa verità, forse ci siamo scoraggiati. Spera in Domino et fac bonitatem, dice la Sacra Scrittura: fa il bene e abbi fiducia in Dio; va avanti senza scoraggiamenti, non dare locum diabulo... Ripetiamo la nostra risposta a Dio: Si, Signore, io credo in te, nel tuo amore; in Te, Domine, spes mea: ogni mia speranza è in Te, tutto in Te confido... Avanti, avanti! Glorificantes et laudantes Deum! Che grande cosa: glorificare Dio, lodare Dio, non con le parole, non a chiacchiere, ma con le opere, con tutta la nostra vita! Avanti! avanti! Nutriamo in cuore una ardentissima brama di avanzare nel bene, di riuscire a santificare noi stessi a tutti i costi e a salvare le anime dei nostri fratelli. Carità, carità! I grandi mezzi sono la devozione a Gesù Eucaristia e alla Madonna. Pregate in questi giorni; fate tante visite; rinnovate ai piedi dell’altare e davanti alla Madonna Santissima il proposito di vita santa, vita di carità, vita di amore a Dio e agli uomini. Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti! La Madonna vi sta vicino più che mai, in questi giorni; vi aiuta a pregare, a star buoni, a trar frutti dalla meditazione e dal silenzio. Ave Maria e avanti! Non guardare indietro alla nostra vita passata per disanimarci! Umiliarci sì, tanto; avvilirci mai! (Par. V,88).
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Raccomando un grande raccoglimento; silenzio di lingua, silenzio di fantasia. Scacciate tutto ciò che non può riguardare il bene vostro, e ciò che non è necessario per la vostra santificazione. Attendendo alla riforma della nostra vita, noi faremo il bene nostro e il bene altrui. Gli Esercizi si fanno in silenzio e, quando ci fosse una vera necessità di parlare, allora bisogna fare in modo di evitare le parole superflue. Dai SS.mi Spirituali Esercizi si ricava tanto più frutto quanto più si prega. Quindi non ci accontentiamo delle preghiere comuni. In certe Congregazioni c’è la costumanza di astenersi per qualche giorno dalla celebrazione della Santa Messa. Lascio liberi: ciascuno faccia quello che meglio crede. Chi appena può celebri. Ringraziamo il Signore di trovarci qui in numero così consolante. Grande silenzio! Non pensare né a debiti né a crediti... Pensiamo che la nostra vita è una giornata e che domani saremo nell’eternità. Nel pregare andare adagio e così nel dire l’ufficio; e quelli che dirigono le pratiche di pietà si facciano un dovere di coscienza di andare adagio. Se ci fosse qualcuno che non si sentisse bene, si rivolga a Don Adaglio. Si farà tutto il possibile, affinché pensando all’anima, non abbia neppure il corpo a soffrirne. Raccomandiamoci alla Madonna. Nei primi giorni, occupiamoci nel fare un buon esame di coscienza e attacchiamo là dove ce n’è più bisogno; e, se qualcuno credesse bene di fare una confessione generale, la faccia (Par. VI,134).
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Bisogna decidersi a fare qualche taglio in noi. Questi sono giorni preziosissimi. La Congregazione fa dei sacrifici non indifferenti per potervi riunire ogni anno, per permettere a ciascuno di voi di lasciare le proprie occupazioni e sentire la voce della coscienza. Gli Esercizi sono giorni preziosi e bisogna che noi entriamo in noi stessi; e bisogna tagliare ciò che non c’è di buono in noi, bisogna spogliarsi di tutte le abitudini poco buone, e preparare un bel fardello di opere tutte sante; è necessario, è necessario spogliarsi dell’uomo vecchio. Dobbiamo entrare negli Esercizi con il dire: Io vengo qui, forse sarà l’ultima grazia che il Signore mi fa... Bisogna dire al Signore: Dettami, o Signore, cosa devo fare! Ma si deve dirlo con semplicità, con grande confidenza: Quanto marciume vedo in me, quanta miseria! Oh Gesù, datemi la grazia di mai avvilirmi; ma di sempre umiliarmi... La Santa Madonna vi assista. Dovete togliervi da qualche persona che vi possa fare del male. In questi giorni così preziosi, lasciate anche le cose buone. Silenzio con la fantasia! Il vostro pensiero sia Dio, Anima, Eternità. Pensiamo all’anima nostra, pensiamo all’anima nostra! Che cosa mi giova questo per l’eternità? Mi giova tutto? Pensiamo all’anima nostra! Raccomando raccoglimento! Fate qualche mortificazione nella gola; se vi tocca soffrire qualche cosa, fatelo volentieri. Se avete avuto confidenza con amici, durante l’annata, distaccate il cuore e l’affetto. Tener dietro con il pensiero e seguire i predicatori; meditare, entrare in noi stessi e pensare a ciò che siamo oggi, a ciò che possiamo essere domani. State attenti al diavolo, che, in questi giorni, non lascerà di tentarvi, di dissiparvi, di farvi dormire. Fate bene i vostri appunti, in ciò che sentite maggior bisogno di correggervi. Fate bene l’esame di coscienza. Raccomandatevi bene alla Santa Madonna. Se vi viene un po’ di tedio, scuotetevi, pensate che dovete poi dar grande conto a Dio di questi Esercizi. Siate raccolti molto nei primi giorni e, più ancora, negli ultimi (Par. VI,159).
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Gli Esercizi sono grazie che Dio ci concede per provvedere alla salute della nostra anima... della nostra vita di fervore e di vita religiosa. Pochi, vivendo la vita del mondo, per volere o altro, non corrispondono alle grazie, e così si perdono. Ecco, Dio ci dà questi giorni di raccoglimento, di riflessione per ravvivare in noi il dolore delle mancanze, dei peccati, per rinnovare in noi lo spirito di carità e di fede. Questi giorni sono fatti per purificare la nostra vita. Mettiamoci negli Esercizi con cuore grande, generoso e pronti a qualunque sacrificio per uscire purificati dalla vita passata e incominciare una vita nuova. Ilarem datorem diligit Deus! Incominciamo con il Nome di Gesù, unico nome, unica tavola di salvezza. Incominciamo con lo spirito di preghiera. Vigiliamo per non perdere niente, e facciamo tesoro della parola di Dio e applicare a noi quello che fa per noi. Gli Esercizi poi si compongono di meditazioni che riguardano le verità eterne, cioè il superlativo della verità cioè la perfezione. Silenzio interno ed esterno, silenzio e modestia negli occhi, compostezza nella persona, far quello che si deve fare, e orazione ed esercizi di pietà. Gli Esercizi sono i giorni di salute, giorni di conforto spirituale e di pace (Par. VI,204–205).
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Perché gli Esercizi Spirituali portino a tutti quei frutti, che si devono ricavare, bisogna entrare in essi con cuore grande, con cuore generoso, magnanimo, che sia pronto a tagliare, a mozzare tutto ciò che può non essere conforme ai consigli della perfezione; per attendere al santo cammino che la Divina Provvidenza ha tracciato innanzi a noi. Gli Esercizi Spirituali devono essere fatti in silenzio assoluto: tacere noi perché parli Dio. Ce lo dice la Sacra Scrittura: Collocherò l’anima nel silenzio e nella solitudine del deserto e parlerò ad essa. Dio ha parlato a Mosè, ha parlato a Giovanni Battista, nella solitudine, nel ritiro. Nel deserto Gesù Cristo ha incominciato l’apostolato divino. In tutte le vite dei Santi si vede che incominciarono i grandi cambiamenti della loro vita agli Esercizi Spirituali, nella solitudine. Quindi vi raccomando molto silenzio; silenzio non solo di lingua, che sarebbe ben poca cosa, ma silenzio di fantasia; e se anche il nemico venisse, e verrà sicuramente, e dopo pochi giorni di silenzio ecciterà la fantasia e ci farà vedere una quantità di luce, tanto bene da compiere, meraviglie su meraviglie da fare, buttatelo via. Bisogna capovolgersi in tutto il nostro essere spirituale, bisogna trasformarci e, nei primi giorni degli Spirituali Esercizi, bisogna vedere tutto quello che dobbiamo fare; e dobbiamo in questo, essere egoisti e non dire: questo è per quello lì, quello è per quello là (Par. IX,331).
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I santi spirituali Esercizi devono essere una vera e radicale rinascita del nostro spirito. Se mai uno fosse freddo, deve risorgere e infervorarsi, deve vivere e ardere di carità, deve accendere una nuova fiamma di amore secondo lo spirito del Signore. Ma bisogna entrare nei SS.mi Esercizi decisi, per fare qualche taglio netto, deciso, per fare qualche distacco, per fare di noi degli apostoli pieni. C’è anche bisogno del silenzio della lingua e della fantasia, ma bisogna raccogliere anche le finestre, che sono gli occhi e sono quelli che più distraggono. Ora questa Casa è troppo esposta, e il Chierico che incominciasse gli Esercizi e aprisse gli occhi, finirebbe male. Vi raccomando raccoglimento e preghiera: non dovete dire neanche una parola e se qualcuno ha qualche bisogno c’è Don Simioni, c’è l’Assistente, c’è Don Cremaschi, rivolgetevi a loro. E quando c’è il sollievo, state raccolti, siate modesti e si operi con lavoro interiore. E nei primi tre giorni mettetevi bene, riconciliatevi per l’interiore. I Superiori penseranno a provvedervi i Confessori, perché tutti abbiate la comodità massima, perché sia una delle confessioni migliori della vostra vita. E poi, miei cari Chierici, pregare, pregare, pregare, compiere le pratiche di pietà attivamente, seguendo con il pensiero la parola. Andare adagio nelle preghiere e nella recita dell’Ufficio della Madonna; venire frequentemente innanzi a Gesù nel Santo Tabernacolo e pregare nostro Signore Gesù Cristo e Maria SS.ma e rivolgersi con tutta la pienezza del cuore alla Gran Madre di Dio e Madre nostra a cui è consacrata questa Casa, e rivolgersi a San Giuseppe Cottolengo, che nei giorni di ritiro era di vero esempio (Par. IX,332).
Vedi anche: Direzione spirituale, Liturgia delle Ore, Penitenza (sacramento), Perfezione (virtù), Propositi, Santità, Silenzio, Tiepidezza (spirituale), Unione con Dio.
Esercizio della Buona Morte
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Ogni mese, all’ultimo giovedì, si faccia l’esercizio della buona morte. Ognuno si raccolga in sé stesso, disponga tutte le sue cose spirituali e temporali come se quel giorno dovesse abbandonare tutti e avviarsi all’eternità, a dare conto a Dio della sua vocazione e della intera sua vita (Scr. 52,12).
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Esercizio della buona Morte. Don Bosco e i Salesiani gli danno grandissima importanza. Don Bosco se ne serviva per dare una scossa energica a tutti, specie a certi cuori induriti, a certe anime deboli, fiacche, cascanti. L’anti vigilia stampava bene nei nostri cuori le verità racchiuse: Vita breve..., Preparare confessori..., Quando le mie mani, quando..., Il Pater Noster... In alcune nostre Case non gli si dà la dovuta importanza, eppure è di Regola ed è di altissima trascendenza (Scr. 56,108).
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A un Sacerdote che si meravigliava della buona condotta di tanti giovani che vivevano nell’Oratorio, Don Bosco disse: essi sono buoni perché fanno bene ogni mese l’esercizio della Buona Morte. Questa pratica è il sostegno della nostra Casa. Si pensi almeno una mezz’ora al progresso ed al regresso che si è fatto nella virtù e vita religiosa nel mese passato per ciò che riguarda i proponimenti fatti, l’osservare delle Regole; si prendono ferma risoluzione di vita migliore (Scr. 56,181).
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In uno dei giorni, feriale o festivo, della prima settimana di ogni mese, si faccia in ogni Casa l’Esercizio della Buona Morte, tutti insieme. Chi non lo potesse fare con la Comunità, faccia il giorno di ritiro separatamente, ma si faccia da tutti. In quel giorno si legga un capitolo delle nostre regole, per ora quelle date già a tutti in bozze di stampa (Scr. 84,71).
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Esercizio di Buona Morte. È stabilito che si faccia nella prima settimana del mese e nel modo seguente: Nelle case di formazione vi sarà una Meditazione e poi la Confessione alla sera della vigilia. Al mattino vi sarà altra analoga Meditazione – Santa Messa con più solennità dell’ordinario – Santa Comunione – Preghiera speciale della Buona Morte. Durante la giornata si terrà un’istruzione sulla vita religiosa e si rileggano in tempo opportuno le Costituzioni. Nei Collegi ed Istituti di giovinetti l’esercizio della Buona Morte lo si ricorderà nel dare la buona sera, la sera dell’antivigilia al giorno designato. Alla vigilia si dia modo a tutti di confessarsi e si procurino confessori straordinari. Al attino la Santa Messa con più solennità dell’ordinario – Santa Comunione con preparamento e ringraziamento non di uso comune e la preghiera della Buona Morte (Scr. 115,215).
Vedi anche: Inferno, Morte, Paradiso.
Esorcismi
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Ieri ho esorcizzato una indemoniata e oggi sono ancora tutto scombussolato e stanco (Scr. 9,90).
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La persona, che è stata dalla Sig.ria V. e che va sempre al Piccolo Cottolengo a cercarmi perché la esorcizzi, non è stata mandata da me. Né io chiedo di poterla esorcizzare; ragioni mie personali e doveri di delicatezza verso il Clero secolare e regolare di Genova, mi tratterranno sempre dal chiedere tale autorizzazione. Che la esorcizzi io, mi pare una sciocca fissazione di quella donna, o un gioco burlone di quello spirito che la domina; che poi essa sia veramente ossessa o no, proprio non saprei. Quello che so è che va diventando un tormento per me, poiché non posso più venire a Genova, senza vedermela capitare tra i piedi; e questo sarebbe il meno, ma è che getta strida e dice cose sconvenientissime e blasfeme, spaventando quelle povere Suore già stanche da tanto lavoro. Io la consigliai a rivolgersi alla competente Autorità Ecclesiastica, la quale farà quello che, nella sua saggezza, crederà in Domino (Scr. 9,164).
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La mia seconda indisposizione ritengo sia stata per aver esorcizzato una ossessa: sono atti che turbano tutta la vita e mi fecero visitare nientemeno che dal Senatore Marchiafava, fratello della sig.ra Moretti, mamma del noto amico medico (Scr. 17,84).
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In questi giorni ho esorcizzato un’ossessa – incaricato dalla Curia – e il Signore la ha misericordiosamente liberata, dopo molta resistenza. Ah che brutta bestia è il diavolo: avrei voluto fossero stati presenti quelli che non credono e vedere e a sentire il diavolo: quanto è brutto il diavolo (Scr. 19,242).
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Sapete quanto ho desiderato che questi figlioli avessero il conforto di essere iniziati ai Sacri Ordini, prima che io li lasciassi. Ora i due foglietti inviati dal Visitatore, non sono più dove furono risposti: può darsi che poi li trovi, magari in qualche buco, poiché ritengo sia uno di quei piccoli dispetti di quella brutta bestia, dopo l’ultimo esorcismo; bisogna non perdere la pazienza neanche con il diavolo (Scr. 19,250).
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Voi sapete quanto ho desiderato che questi figlioli avessero il conforto di essere iniziati agli Ordini Sacri, prima che io partissi di qui, ma, per un caso molto strano, i due foglietti non sono più dove furono riposti: a voce potrò dirvi di più, non è la prima volta: bisogna non perdere la pazienza neanche con il diavolo. Dopo l’ultimo esorcismo, c’era da aspettarsi questo e altro. Dio sia benedetto! Può darsi che poi si trovi, magari in qualche buco; ma se non mi riuscisse, bisognerà che il duplicato me lo mandiate per avion; però è bene tacere di queste cose, anche con il Visitatore, a meno che si rendesse necessario (Scr. 19,251b).
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L’altro ieri Gesù Cristo mi ha dato la grazia di liberare dal demonio una ossessa, nella nostra cappella di Carlos Pellegrini: demos gracias a Dios! (Scr. 51,237).
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Leggete il Pontificale romano e comprenderete di che tempra dovrà essere la vostra virtù per l’esercizio del Santo ministero. Più spesso che cacciare dagli ossessi lo spirito maligno, dovrete allontanarlo dalle anime peccatrici, più spesso che aprire e chiudere le porte della Chiesa, dovrete rendervi vigili custodi di quel tempio di Dio che è la coscienza del cristiano (Scr. 64,142).
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Quando si vuole sapere se un individuo è in possesso del demonio, un mezzo è far dire all’indemoniato e fargli ripetere: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi!”. Dicono il Gloria Patri, l’Ave Maria; ma neppure vogliono proferire questa giaculatoria: O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi. Vi cito tre casi: due in America e uno a Genova. Quando ero in America, un giorno venne da me un grande professore di medicina, presidente dell’Ospedale maggiore di Buenos Aires, stimatissimo tra tutti i medici di Buenos Aires. E mi disse: “Ho mia figlia indemoniata. Mi faccia la carità di venire ad esorcizzarla”. E io gli risposi: “Bisogna avere il permesso dell’Arcivescovo. Io non ci vado a chiedere la facoltà, potrebbe dire che è una mia fisima, una mia idea”. Era ed è professore valentissimo: fece studi sulla figliola, la fece esaminare dai suoi colleghi, usò cure su cure: non si sa mai, pensava, saranno i nervi, sarà isterismo. Andò dall’Arcivescovo e raccontò certi fatti strani che erano avvenuti. Gli indemoniati recitano a memoria lunghi passi, sanno varie lingue e le parlano speditamente e poi hanno voce d’uomini. Non hanno occhi naturali: Il diavolo si vede negli occhi e nella forza. Gli indemoniati, gli invasati dal demonio, hanno una forza erculea: bisogna legarli e tenerli quando si fa l’esorcismo e rompono i legami come fili di stoppa. Venne il permesso. Mi preparai, mi feci il segno della croce e andai. Trovai molte persone riunite in cappella. Molti Vescovi vengono, mi si diceva, a dir Messa in questa cappella... Cominciai l’esorcismo, quella persona correva come un serpe a zig zag come gli uccelli notturni, come i pipistrelli a sera; passava tra un banco e l’altro senza urtarli. Non poteva uscire perché erano chiuse tutte le porte e la tenevano forte, la legarono, ma tutto era inutile. Non mi fu mai possibile far dire alla ossessa: O Maria concepita senza peccato. Le si diceva: Di’ su “O Maria concepita...” e lei rispondeva: “pita...” oppure “non concepita”; “senza peccato”, “cato, catto gatto...”. Rispondeva tutto al rovescio ma non ripeteva interamente mai la giaculatoria: O Maria concepita senza peccato: Il Signore poi la liberò e morì dopo 5 mesi. Un altro caso è quello di una suora. Era una convertita dal protestantesimo. Si era fatta cattolica. Vennero alcune monache da me in America a dirmi che avevano una consorella in noviziato che era indemoniata. Insisteva la Superiora e diceva: Venga, la esorcizzi... Io dissi tra me: Possibile! Ma che mi prendano proprio per una specie di stregone! Questa indemoniata tutte le mattine faceva la Comunione e il demonio la costringeva a gettare nel cesso le particole e faceva altre cose terribili che non vi dico perché non si possono dire. Quando le si faceva cadere sulla mano qualche piccola goccia d’acqua santa essa strillava, mandava acute grida come se fosse piombo liquefatto... Anche ad essa feci ripetere la giaculatoria: O Maria concepita senza peccato. Di’ su – dicevo – O Maria concepita senza peccato... Non ci fu verso, non volle ripetere quella giaculatoria. Ripeteva magari altro ma O Maria concepita senza peccato non la volle mai ripetere... Quando sarete sacerdoti, perché andando avanti aumenterà sempre più il numero degli indemoniati giacché il mondo va sempre più indemoniandosi, quando sarete sacerdoti, se vi chiameranno a fare gli esorcismi, vi do un segno per conoscere se sono si o no indemoniati. Perché può essere isterismo, possono darsi fenomeni nervosi strani e vi sono tante malattie che la scienza spiega e qualche volta anche guarisce, non è sempre facile distinguere se un malato di malattie nervose sia o no indemoniato. Bene, un segno è questo: se ripete “O Maria concepita senza peccato...” state pur tranquilli che non è ossesso quel malato, ma se non lo ripete potete star sicuri che il diavolo ha preso possesso di quel corpo. Vi sono altri segni, i segni che anche la teologia insegna: come parlare lingue ignote, conoscere le cose a distanza. Uno dei segni però è questo, tenetelo a mente. L’ossessa, di cui vi parlo si volgeva a me e diceva: Va’ a to pais gucion ed Puncron... e poi al Tabernacolo e diceva: In quel cassone non c’è nulla, buttalo via quel cassone; che fa lì? Il demonio lo si vedeva dagli occhi: ho veduto allora due occhi terribili, due occhi spaventosamente terribili. Mi diceva: Sono più forte di te... Ma non sei – ripetevo io – più forte di Gesù Cristo: è qui, è lui che ti scaccerà... Mi diceva: Non mi guardare! Io allora fissavo lo sguardo negli occhi infuocati e ripetevo la formula degli esorcismi: Sì, ti voglio guardare: Vade, Satana, inventor ac magister omnis fallaciae, hostis humanae salutis, cessa decipere humanas creaturas et venenum mortiferum propinare. Imperat tibi excelsa Dei Genitrix, Maria... Imperat tibi fides sanctorum Apostolorum Petri et Pauli... Quando nominavo, seguendo il libro, la omnis legio diabolica, gli chiesi: Quanti siete? Siamo in tre. Ti scongiuro per Dio vivo, per Dio vero, per Dio santo... Cristo Dio ti comanda di uscire, non sei più forte di Gesù Cristo... I demoni raccontano per filo e per segno la vita del sacerdote, bisogna essere pronti a sentirsi dire tutto... Fanno un esame di coscienza accuratissimo. Hanno una memoria tenacissima... non scappa nulla. Ero quasi disperato di riuscirvi e andavo pensando tra di me: Non avrò fatto penitenza come avrei dovuto... I demoni per bocca degli indemoniati, dicono tutti i peccati, raccontano la vita del sacerdote. Il diavolo fa una confessione generale. Bestemmiano terribilmente la Madonna. Forse, se il diavolo bestemmiasse solo Gesù Cristo, avverrebbe quello che non dico per non essere frainteso. Anche per questo il diavolo rimarrà sempre il diavolo... Quando dunque, ero quasi disperato di riuscirvi mi misi ad invocare con i presenti la Madonna... Ed ecco improvvisamente, con una vociaccia, con una voce d’uomo mandò un grido e cadde. Pensavo: sarebbe bella che poi sui giornalacci infami pubblicassero che io ho ammazzato una donna con le mie stregonerie... Lo dice anche il Vangelo che, quando il demonio esce lascia come morti, come tramortiti. Poi per fortuna rinvenne e non si ricordava né di quello che aveva detto né di quello che aveva fatto. Le feci ripetere: O Maria concepita senza peccato..., ed essa ripeteva con esattezza: O Maria concepita senza peccato. Altro caso. Un mese fa venne condotto al Piccolo di via Bartolomeo Bosco, un giovane. Di questo io non dico né si né no: non dico se fosse indemoniato. Fu portato in una stanza di via Bartolomeo Bosco. In un canto vi era una statuetta della Immacolata. Appena entrato si diresse verso quell’angolo e alzando il piede – perché la statua stava su di un tavolino – diede un calcio alla Madonnina: ruppe la campana di vetro ma la statua rimase intatta. Se quello era indemoniato, io non sarei riuscito a scacciare il demonio: un segno sarebbe che non ha mai voluto dire: O Maria concepita senza peccato. Questi fatti ci dicono parecchie cose: Primo che il demonio deve odiare la Madonna e come deve soffrire per avergli Essa schiacciato la testa proterva. Ed ho sempre pensato che tutte quelle guerre scatenate contro Pio IX fossero state scatenate dall’inferno perché fu il Papa che ha definito il dogma dell’Immacolata Concezione (Par. VII,100–100c).
Vedi anche: Demonio.
Esploratori cattolici
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Ti presento il caro giovane Senatori, Presidente dei nostri Esploratori di Roma. È tutto di casa nostra, come uno di noi. Gli darai fraterna ospitalità per i giorni che si tratterrà a S. Remo; pel vitto in Convitto, e pel dormire, se non ci fosse posto in Convitto, mettilo a S. Clotilde. Usagli ogni riguardo, che ben se lo merita. Egli fu già a S. Remo, ed è conosciuto sia dai giovani del Circolo che dal Don Ghiglione (Scr. 8,26).
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Sappiate che Don Orione ama grandemente gli esploratori cattolici, e vorrebbe vederli sorgere in tutti gli Istituti della Divina Provvidenza. Amo la vostra Istituzione perché, benedetta dal Papa, è nata e va dilatando le sue tende a grande conforto della Chiesa e al bene della Patria. Essa invero, vuol formare nei giovani il carattere morale e la vita cristiana e civile. Imprime negli animi vostri un’altra idea del dovere verso Dio e verso il prossimo: vi cresce alla virtù, alla lealtà, all’onore e, soprattutto, a quella fede romana, e a quella volontà forte che sono base di ogni buona riuscita. Dio vi benedica! (Scr. 44,218).
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Si devono coltivare gli esploratori? Sì, sì, ma elevarne lo spirito di franchezza, di sincerità, di lealtà collo spirito soprannaturale imbevendo le loro menti colle grandi verità della fede. Io vorrei vedere in ogni Casa un battaglione di esploratori Al tempo stesso iniziate i più sicuri alle cariche delle Compagnie, a far del bene ai compagni, a dar buoni consigli, a studiare a lavorare essi, a protestare contro i cattivi discorsi, contro la bestemmia, diffondere il buono spirito, a professare a fronte alta e serena la fede (Scr. 56,158).
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Anche a Tortona venne istituita, nel decorso anno, la sezione dei Giovani Esploratori e ne era Presidente il prof. Giulio Bajardi che fu già del Gruppo di Brizio di Roma, e che, a principio cristiano praticante, si era, in questi ultimi anni, allontanando dalla Chiesa e in classe (Scuole Tecniche) passava, presso i giovani, per anticlericale. Egli è fratello alla moglie del Sindaco. Ora è militare a Firenze. Parecchi dei giovani Esploratori sono iscritti al Ricreatorio: in tutto era una cinquantina; ma assidui non più di una ventina, perché a Tortona si è freddi. Questa Istituzione avrà vita durevole in Italia, e anche allo Stato conviene assai sostenerla. Direi di impossessarci di questo gruppo di giovani e di non tardare. Vi sono due vie: o creare una sezione di Boy Scouts Cattolici, e assorbire l’elemento buono, o andare direttamente al Professor Bajardi e scrivergli con leale franchezza: noi, non volendo lasciar cadere un’istituzione che andrebbe dispersa, subentriamo a voi: con gli stessi intendimenti patriottici e col desiderio di dare, possibilmente, a questi giovani un soffio vivo di vita più cristiana. In questo caso non si potrebbe cambiare tutto il loro, così detto, decalogo; ma a me sembra che, come in musica, cambiata la chiave, tutto il tono cambia, così si potrebbe studiare il modo di battezzare quel decalogo loro, e farlo cristiano: del resto, la Chiesa ha sempre fatto così: dai templi ai riti, alle stole e indumenti sacri del Sacerdote (Scr. 79,232).
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Gli Assistenti devono aiutare le Pie Associazioni nelle Case e darne ingrandimento e mantenerne vivo il fervore. Svolgere l’associazione degli esploratori cattolici. Sviluppare le buone letture con ottime biblioteche (Par. III,73).
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Questa è una bella consolazione, una grande grazia; qui ai piedi di un altare davanti alla statua del Cottolengo, sotto lo sguardo di Maria Santissima e, dall’altro lato, di San Giuseppe, oggi un giovane che fu capo dell’Associazione Cattolica, che fu capo reparto degli esploratori e difese la causa di Cristo a fronte alta e a vessillo spiegato, oggi qui ai piedi del Santissimo Sacramento si è spogliato degli abiti secolari ed ha vestito l’abito religioso, la talare, dei Figli della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Grande e simbolico il significato di questa vestizione (Par. V,175).
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Quando voi agirete, quando voi parlerete e opererete, sia il vostro agire, sia il vostro parlare “Est est, non non”, disse Gesù nel Santo Evangelo: è così, è così, non è così, non è così... E siate sempre veritieri, aperti, leali, sinceri, sempre! Quanto mi piaceva l’educazione degli Scout Cattolici che erano educati interiormente alla franchezza, alla lealtà, e quando furono aboliti nulla vi ha guadagnato la società né la Patria, né l’educazione giovanile... Io più di una volta, ho dovuto, anche nelle valli tortonesi, avvicinare dei reparti di questi giovani educati a questi sentimenti di lealtà, di sincerità, di verità. Uno non si diportava bene, faceva una sgarberia, un atto ineducato, una disobbedienza o diceva una bugia? Compariva alla sera nel suo plotone col fazzoletto sciolto. Era il segno con cui confessava pubblicamente la sua mancanza (Par. IX,500).
Vedi anche: Azione cattolica.
Eucaristia
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Vorrei che, quale orma del vostro passaggio a Genova e al nostro Piccolo Cottolengo, lasciaste la pratica nei nostri malati e ricoverati della Santa Comunione Sacramentale quotidiana. Deve essere un tributo giornaliero di fede e di amore dei nostri poveri a Gesù, che è rimasto in mezzo di noi per il suo grande amore verso le anime nostre. Il piccolo Cottolengo di Genova deve essere un vero Cenacolo ove si riceva Gesù Sacramentato, possibilmente da tutti, tutte le mattine. Se Caritas Cristi urget nos, se è vero che l’amore o, meglio, la carità di Cristo ci incalza, come non saremo solleciti di farla ardere questa carità e di fecondarla andando noi a Gesù, e conducendo ogni giorno i nostri cari ricoverati alla fonte viva ed eterna della Carità stessa, che è l’Eucaristia? (Scr. 5,340).
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I nostri cari fratelli ricoverati devono avere tanta pietà e devozione alla SS.ma Eucaristia da imitare ed emulare i primitivi cristiani, e allora davvero che la divina Provvidenza ci assisterà e non ci mancherà, e il Piccolo Cottolengo diventerà la Cittadella Spirituale di Genova e della nostra cara Congregazione. Il Piccolo Cottolengo deve essere tutto e solo basato sulla SS.ma Eucaristia: non vi è altra base, non vi è altra vita, sia per noi che per i nostri cari poveri. Solo all’altare e alla mensa di quel Dio che è umiltà e carità, noi impareremo a farci fanciulli e piccoli con i nostri poveri, e impareremo ad amarli come vuole il Signore. Solamente così formeremo un solo cuore con Gesù e con i nostri fratelli, i poveri di Gesù. Non basta pensare a dare loro il pane materiale, prima del pane materiale dobbiamo pensare a dare loro il pane eterno di vita, che è l’Eucaristia. Che varrebbe avere in Casa il SS.ma Sacramento, se facessimo come tanti Orientali i quali conservano sì l’Eucaristia, ma la lasciano fin seccare come un pane qualunque? e non la frequentano? (Scr. 5,341).
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Per rimanere noi nel Signore è necessario che il Signore venga di frequente e, possibilmente ogni mattina in noi. Vediamo dunque di spandere abbondantemente e sacerdotalmente l’ardore celeste della Eucaristia attorno a noi, e che le nostre Case e il Piccolo Cottolengo di Genova nelle sue diramazioni sia alimentato da Gesù Eucaristia, e avvivato dalla carità che esce da Lui. In questo senso voi, o miei cari, riunirete le Suore, sia quelle di Quarto che le altre che sono a Marassi, ognuna nella Casa dove attende ai poveri, per non toglierle ai poveri, e parlerete loro. E così esse sappiano di che Alimento devono nutrirsi e vivere. Similmente farete con i nostri cari poveri, sia con quelli di Marassi che di Quarto. Spandete con pace e con amore nelle anime l’amore e la devozione alla SS.ma Eucaristia, ricordando a tutti la parola di Gesù: «Chi mangia la mia Carne e beve il mio sangue, sta in me ed io in lui». Vi è cosa migliore che rimanere noi nel Signore e il Signore in noi? (Scr. 5,342).
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Prega per me specialmente nella santa messa: ché la SS.ma Eucaristia, come è fonte dell’unità della Chiesa e così sia fonte e vincolo di unità dei nostri cuori e delle nostre anime! (Scr. 26,41).
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Il mio affetto in Gesù Cristo per voi, e per ciascheduno di voi, trabocca, ed è indicibile la gioia che provo nell’affaticarmi con la divina grazia ad edificarvi e a corroborarvi nello spirito di nostro Signore Gesù Cristo, e perché, alimentati dalla Eucaristia, la quale è fonte e vincolo di unità della Chiesa e dei cuori nostri, perseveriate nella vocazione comune, come nella comune carità, come nella comune vita religiosa di preghiera, di lavoro, di sacrificio, per l’amore di Gesù Cristo benedetto (Scr. 29,200).
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Andate tutti sovente a fare la santa comunione: vale più una comunione ben fatta che mille anni di digiuni e penitenze. Bisogna avvicinarci al Signore quando stiamo bene e da giovani, così quando saremo più vecchi ed ammalati avremo già familiarità con lui, che sarà quello che ci deve consolare e condurci al Paradiso (Scr. 40,231).
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Ebbi già a voce ad accennare a v. Eccellenza rev.ma come vorrei, con il divino aiuto, educare al culto e ad un dolcissimo amore alla santa Eucaristia specialmente quei giovani che, pur non avendo ancora l’abito da chierici, già sognano l’agnello e l’altare. E mi proporrei di raggiungere tale intento attraverso la frequente partecipazione, possibilmente quotidiana, del corpo del Signore; e mediante la intelligenza e partecipazione attiva, per quanto lo consente la disciplina, alla liturgia Eucaristica, soprattutto nella sua più alta espressione, la Messa (Scr. 45,306).
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La confessione non solo sia settimanalmente da noi frequentata, e la Santa Comunione quotidianamente, ma la Confessione e la Santa Comunione siano frequentatissimamente consigliate ai nostri giovani. Ogni giorno sente il corpo il bisogno del suo cibo, e non sentirà l’anima il bisogno del suo Pane, del Pane vivo disceso dal cielo, per essere a noi, come già scriveva Sant’Ignazio Vesc. e Mart. «farmaco d’immortalità»? Il giovane sarà onesto se sarà pio, se frequenterà bene i Santi Sacramenti. Quindi alla domenica fateli venire a Messa, anche gli esterni, ma non puniteli, se non venissero: sempre confortateli a venire, e tenete conto, per un altro anno, di chi non viene: vedremo poi insieme i provvedimenti da prendersi (Scr. 51,36).
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Chi credesse conveniente stare due o tre giorni senza celebrare o senza fare la Santa Comunione sacramentale per meglio disporre il cuore a sincera compunzione, lo può fare: non più di tre giorni però (Scr. 52,168).
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L’Eucaristia è un mondo di prodigi e di amore, è il focolare della pietà cristiana Perciò dirà San Paolo: Chi mangerà il pane e berrà il sangue indegnamente, sarà reo; egli mangia e beve la sua condanna Se non mangerete non habebitis vitam in vobis (Scr. 56,7).
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Nisi manducaveritis Carnem Fili hominis... non habebitis vitam in vobis. I pastori si cibano della carne dei loro agnelli, ma il Pastore divino dà la sua carne ai suoi agnelli nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia mette corpo e del Sangue di N. Signore Gesù Cristo mette tutto il suo spirito tutto il suo cuore, tutti i suoi sensi, tutte le sue facoltà il sogno della mia anima: è che N. Signore più non sia solo nel Suo Tabernacolo (Scr. 56,8).
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L’Eucaristia è dunque un vero sacrificio, è il sacrificio eterno ed universale come la Chiesa Cattolica di cui è la vita, ed è un sacrificio di efficacia infinita ed inesauribile (Scr. 56,10).
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L’Eucaristia è la sorgente più viva dell’amore santamente inteso e il più forte vincolo di carità e di fratellanza, e Gesù Cristo è il centro di tutta l’umanità. Ogni palpito più vero che diamo a Lui si trasforma in un palpito d’amore o in un’opera buona per i nostri fratelli. Le sue anime famigliari fanno rifiorire i prodigi della sua carità, ma chi le muove è Lui, esse piene le viscere e il cuore di carità, vanno spargendo Cristo. Vedete le turbe dei poveri e degli afflitti confortate da una Comunione o da un amore di Gesù Cristo. Vedete le suore sui campi di battaglia, negli ospedali, tra gli orfanelli; non dalle lodi degli uomini esse attingono la sorgente del loro amore, ma da quel Gesù che ricevono nell’Eucaristia. Stanno 20 secoli di prova, né accennano a venir meno: P. Ludovico da Casoria, il Cottolengo, Don Bosco, Don Guanella per non accennare che ad alcuni italiani, attinsero la sorgente della loro carità dall’Eucaristia. E voi che leggete oggi queste parole non avete mai esperimentato di quanto amore, di quanta pace è sorgente l’Eucaristia? Voi che forse già vedeste rovinare ad uno ad uno i castelli sognati nella gioventù, ed adulti vi trovaste lontani da Dio, ma nauseati e disillusi. Gesù rinasce ogni giorno sui nostri altari ad una vita Sacramentale; la Chiesa lo depone nei suoi tabernacoli e nel cuore dei fedeli trasformati in tabernacoli d’amore (Scr. 56,11–12).
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Per darsi a noi, Gesù Cristo doveva nascondersi, poiché chi reggerebbe agli splendori della Sua gloria? E dove sarebbe la fede? E volendo prendere un velo, scelse il pane, simbolo del cibo celeste che si cela sotto le sue sembianze: Il pane: cibo dei poveri, accessibile a tutti! E rimase tra noi in tal guisa che mantenne le apparenze del pane, distruggendone la sostanza, ed eccovi l’Eucaristia, il focolare centrale della pietà cristiana. Nell’ultima Cena Gesù prende il pane, alza gli occhi al cielo, lo benedice, lo spezza, lo dà agli apostoli, dicendo: Prendete, mangiate, questo è il mio Corpo. Questo è il mio corpo, il quale è per voi; fate ciò in memoria di me. Prese il calice e lo diede agli apostoli dicendo: Questo è in vero il mio Sangue del Testamento, versato per molti, in remissione dei peccati. Questo calice è il Testamento nel mio Sangue: fate ciò in memoria di me, ogni volta che ne berrete. Il Corpo di Gesù è dunque un nutrimento: «In remissione dei peccati» dice Matteo, dunque la Eucaristia ha carattere propiziatorio. Luca per il pane eucaristico, che per brevità abbiamo omesso, e Paolo per il calice eucaristico, dicono: «fate ciò in memoria di me» per ricordare l’obbligo di celebrare l’Eucaristia (Scr. 56,13–15).
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I cristiani credettero sempre, non solamente nella presenza reale e corporale di Cristo nel SS.mo Sacramento dell’Eucaristia, ma nel miracoloso mutamento della sostanza del pane e del vino, dopo la consacrazione, nel vero Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo. Per darsi a noi Gesù Cristo doveva nascondersi, poiché chi reggerebbe agli splendori della sua gloria e dove sarebbe la fede? Ed egli sceglie il velo del pane, simbolo del cibo celeste che si cela sotto le sue sembianze: il pane, cibo dei poveri, accessibile a tutti! Del pane mantiene le apparenze, ma ne distrugge la sostanza; il pane consacrato non è più pane, ma è il Corpo, il Sangue, l’Anima, la Divinità di Gesù Cristo. L’Eucaristia uscì dal cuore di Dio per sollevare il nostro fino a Lui dove troveremo noi la solamente alla vita soprannaturale. Nell’umanità? No, ogni uomo è come un fil d’erba; dove la troveremo adunque? Bisogna salire più alto, andare fino a Gesù che è Dio, all’Eucaristia dove Gesù è luce, dove Gesù è virtù divina per loro la vita è un calcolo del Sangue incorruttibile Essa ha sempre insegnato che «l’Eucaristia nutre la nostra carne del Corpo e del Sangue del Signore» (S. Ireneo), secondo la parola di Paolo agli Efesini: «Noi siamo le membra del suo Corpo, della sua Carne, delle sue ossa». Sant’Agostino assicura che dai tempi apostolici coloro che si comunicavano intendevano riconoscere la presenza reale del Corpo e Sangue di Gesù Cristo nell’Eucaristia con il rispondere Amen, che in ebraico significa così e così sia, quando venivano a loro presentate le specie sacramentali (Scr. 56,16–18).
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Noi sentiamo troppo languida la vita di Dio in noi perché viviamo troppo a noi stessi e di noi stessi e poco di Lui. Dio ci ha dato la vita perché vuole che viviamo di Lui e che ciascuno viva per gli altri e per i più infelici dei suoi fratelli, amando e vedendo nei suoi fratelli il Signore. Troppo freddo è l’amore in noi per il nostro prossimo, perché fredda in noi è la vita di Dio, la vita dello spirito, la vita del suo amore. Siamo languidi, siamo freddi perché non vogliamo e non sappiamo vivere dell’Eucaristia. L’Eucaristia è il cibo divino che ci dovrebbe trasfigurare d’amore di Dio e degli uomini... Noi spesso sentiamo troppo freddamente la vita divina, ma chi coltiva lo spirito, i santi, le anime innamorate di Dio, esse hanno diritto di parlare su questo argomento, e sapranno ben dirvi la vita, la felicità che dà questo cibo celeste. In natura i cibi sono assimilati dal vivente: nel caso dell’Eucaristia succede il contrario: non è chi la riceve che l’assimila a sé, ma viene dall’Eucaristia per così dire assimilato: il più forte, Dio, assimila il debole e lo trasforma (Scr. 56,20–22b).
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Quando noi riuscissimo ad affezionare i giovani alla frequente Comunione riusciranno nel mondo più efficace ad assicurare ai nostri allievi e alla società un avvenire un domani sinceramente e fortemente cristiano (Scr. 56,98).
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Comunione spirituale (si fa in comune, subito dopo il pranzo davanti al SS.mo Sacramento): Gesù, dolcissimo Signore e Padre mio, credo che Voi siete realmente presente nel SS.mo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa, e ardentissimamente Vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso riceverVi sacramentalmente Vi supplico di venire almeno spiritualmente nel mio povero cuore... (breve pausa). E come già venuto Vi adoro e Vi abbraccio e mi unisco tutto a Voi, caro mio Signore Gesù non permettete che m’abbia mai a separare da Voi (breve pausa). Eterno Padre, io Vi offro il Sangue preziosissimo di Gesù Cristo in sconto dei miei peccati e pei bisogni di Santa Chiesa (Scr. 57,112).
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Gesù Sacramentato fu il mezzo più universalmente usato dai santi per arrivare alle anime e per santificare le anime. La trasformazione dell’uomo comincia con il Battesimo, ma si compie e perfeziona coll’Eucaristia, ché è Gesù che continua la Sua missione fino alla fine del mondo, e andare in ogni angolo della terra. Ho bisogno di imparare a conoscere il dono di Dio per poterlo amare e adorare e poi riceverlo il meno indegnamente, siccome Egli è veramente il pane quotidiano che Dio ci ha insegnato a domandare (mostrandoci) il divino modo di fare orazione. La divina Eucaristia nell’Adorazione perpetua e nella Santa Comunione è il fondamento della vita cristiana, senza di cui si farà mai nulla, è il segreto di tutti i conforti, di tutte le virtù, di tutta la santità, di tutti i prodigi della Divina Misericordia: la porta del Tabernacolo è la porta delle Divine misericordie. Bisogna vivere di Gesù se vogliamo vivere per Gesù e per il Papa (Scr. 57,223).
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L’Eucaristia è Gesù Cristo. Far la Santa Comunione è ricevere Gesù Cristo nel tuo cuore. Tu la farai di frequente la Comunione, anche tutti i giorni: ti unirai così a Gesù, il quale ti conserverà buono e puro come un angelo (Scr. 58,202).
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Quanto ammirabile e grande è mai questo mistico convito, a cui Gesù Cristo invita le anime; esso è la Santa Eucaristia in cui Gesù, per un amore infinito, si fa cibo delle anime nostre. Convito grande, per il Signore che lo dà, che è Dio! Grande, per il numero dei convitati, che è l’universalità dei fedeli. Grande, per la sua dignità: la santità che dà il diritto a sedervi. Grande, per il cibo divino che vi è preparato: la Carne e il Sangue del Signore. Grande, per gli effetti: ci unisce e incorpora a Gesù Cristo. Grande, per la sua estensione: che, come la Chiesa Cattolica, abbraccia tutto il mondo. Grande, per la sua durata: come la Chiesa avrà fine alla fine dei secoli, e il divino convito dell’Eucaristia, si perpetuerà, rinnovamento del mistero della redenzione del genere umano (Scr. 82,33–33b).
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Erano pur grandi i doni che Dio ci aveva dati: la vita, la fede, la speranza, la carità, le virtù morali e poi tante grazie, sino a questo dì. Ma egli volle fare di più, oh molto di più! e ci ha dato sé stesso interamente nell’Eucaristia! Non solo dunque quanto Egli ha, ma quanto Egli è. E questo dono della Santa Eucaristia non l’ha riservato alle anime vergini o a dei privilegiati, ma l’ha dato per tutti, e, quasi direi, di preferenza ai più deboli nella virtù e ai più doloranti: agli infermi di ogni languore, ai poveri, ai ciechi per ignoranza, agli storpi, a noi tanto imperfetti. Sì, a noi afflitti da tanti mali spirituali, a noi tanto peccatori, a noi viene e si è dato il Dio di ogni santità! Il nostro posto è dunque là, alla mensa del Signore! Là per essere guariti, là per essere illuminati, per essere consolati, nutriti, vivificati dalla stessa sua vita divina. La Chiesa chiama questo Sacramento: Pignus futurae gloriae, pegno della risurrezione e della gloria futura. Cos’è questa gloria futura? e in che consisterà quella risurrezione e felicità eterna che ci promette? Non sarà, o fratelli, non sarà che una comunione continua: un’unione intima, perenne con Dio, da cui deriverà una conoscenza così perfetta che escluda il mistero. È qualche cosa di sublime, di inebriante: è il Paradiso! Ma unioni sì intime non si possono annodare tutto ad un tratto. Anche quaggiù, quando si vuol stringere amicizia o unione, si va per gradi, precedono preliminari più o meno lunghi. Ebbene, o fratelli e amici miei, anche la Provvidenza ci viene educando gradatamente a questa unione: l’Eucaristia è indirizzata ad abituarci ad essa; e la comunione Eucaristica è il celeste pegno e il riannodamento di questa vita con la futura. Eleviamoci dunque in alto, sino a quel sublime mistero e Sacramento di amore, e andiamo umili o fidenti a Gesù: l’Eucaristia è il pane di vita: «chi mangia di questo pane, avrà la vita eterna» (Scr. 82,34b).
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La medicina dell’anima contro le passioni è Gesù nell’Eucaristia e la Comunione frequente. Confessione ogni otto giorni, e Comunione fatta di frequente. Ebbene dobbiamo prendere come base del nostro vivere il bene dell’anima; mantenere ad ogni costo la grazia di Dio nel nostro cuore; tener ad ogni costo lontano il peccato. Dobbiamo rinnovare le forze spirituali; confessarci di frequente e comunicarci spesso. Don Bosco voleva che ci confessassimo di frequente, ogni otto giorni. Io sono stato tre anni da Don Bosco; mi pare di aver lasciato di comunicarmi solo un giorno, certo non più di tre giorni in tre anni (Par. III,98).
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Chi vuole essere figlio della Divina Provvidenza deve essere in modo particolare devoto alla Santissima Eucaristia e non lasciare passare un giorno senza comunicarsi. Quando io ero da Don Bosco eravamo in 600 circa e tutta la Chiesa di Maria Ausiliatrice era piena di giovani fra studenti e operai ed era bello il vedere come tutti, tranne qualche rara eccezione, si accostavano alla Sacra Mensa. Come il corpo ha bisogno del cibo materiale, così l’anima ha bisogno del cibo spirituale. Se io dovessi stare un giorno senza mandarvi in refettorio che cosa direste voi? Oh! Che fame! Non è vero? E quando andaste in refettorio vi saziereste con allegrezza. Ebbene così deve essere il bisogno vostro spirituale di ricevere Gesù Cristo. Accostatevi dunque con frequenza alla Sacra mensa e ne trarrete il maggior vantaggio per le anime vostre (Par. III,222).
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Don Bosco nessuna cosa raccomandava, più d’ogni altra, quanto la Comunione ogni giorno. E scriveva, l’inculcava ai suoi Sacerdoti Direttori di Case e di Collegi in varie parti d’Italia: Se volete che nella vostra Casa regni il buon ordine, se volete che sia conservato il retto andamento del Collegio, se volete mantenere fra i giovani la moralità, non trascurate la frequenza ai Sacramenti, fate che ogni giorno si comunichino e ogni settimana si confessino. E così si faceva in tutte le Case di Don Bosco. E quando io sono venuto in Seminario, qui a Tortona, e vidi che c’era chi faceva la Comunione solo alla domenica, altri anche al giovedì, ma negli altri giorni la sacra mensa era deserta; io ve lo dico qui in pubblico, ne rimasi quasi scandalizzato, perché mi accorsi che in questo Seminario regnava, come il Giansenismo, che insegna di astenersi dal ricevere la Santa Comunione per un certo stolto timore (Par. IV,278).
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Non dovete lasciar mai passare otto giorni senza confessarvi, e possibilmente non tralasciare mai alcun giorno la Santa Comunione, poiché come il corpo ha quotidianamente bisogno di nutrimento per sostenersi, così l’anima nostra, per vivere, ha bisogno di nutrimento spirituale, il quale ci viene dato con la Santa Comunione. Essa ci fa partecipare della vita, dirò così, di Dio, e quando l’Apostolo dice: “Non io vivo, ma Cristo vive in me” intende certo anche alludere alla Santa Comunione. Quando è che una mensa può dirsi comune? Allorché tutti vi possono prendere parte. Il comune, che cosa è? La casa di tutti. La Comunione significa unione con il Signore, e la vera unione si ha solo quando si vive la stessa vita. Per questo mi raccomando molto di imitare la vita di nostro Signore... Ma per accostarsi alla Santa Comunione bisogna essere in stato di grazia. Guardatevi bene dal presentarvi in peccato, giacché commettereste un peccato anche maggiore, commettereste un peccato orribile, un sacrilegio, cioè la profanazione di una cosa sacra. Quand’è che uno, comunicandosi, commette un sacrilegio? Quando si comunica malamente. Allorché Giuda ricevette – come si crede – la Santa Comunione dalle mani stesse del Signore, compì il più grande dei sacrilegi; e il sacrilegio è il peccato più grave che uno possa commettere e si commette quando uno si accosta alla Santa Mensa consapevole di essere in peccato. In tale caso è indispensabile confessarsi, e per la confessione ci vuole umiltà, perché il Signore dà la grazia agli umili e resiste ai superbi; bisogna avere dolore sincero, intero, di tutti i peccati mortali che pensiamo di aver commesso. Di più, il proponimento di non più peccare; del resto, quando c’è vero dolore, c’è anche il proponimento. Dunque, mai andare a fare la Comunione in peccato! Comunicarsi frequentemente e bene. Confessarsi almeno ogni otto giorni. E per ricevere dalla Santa Comunione quel frutto che il Signore vuole concederci, bisogna farla o per bisogno, o per dovere, o per devozione, recitando le comuni preghiere, o in privato o in comune; così otterremo quelle grazie che il Signore largisce sempre a chi opera rettamente (Par. IV,352).
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Quelli ai quali non basta l’Ostia Sacra, parlo adesso ai più alti, non devono stare in Congregazione. Quelli ai quali non basta l’Ostia Sacra e l’amore alle anime nell’Ostia Sacra, non possono e non devono stare in Congregazione (Par. IV,476).
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Nel Viatico e nella Comunione Gesù va a trovare gli ammalati per insegnare loro come si deve soffrire con il Signore, per insegnare loro la rassegnazione in ogni patimento (Par. V,85).
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La Santissima Eucaristia è tutto nostro Signore, per la sua grazia e per la sua luce. Ricevendo lui, noi vediamo le nostre miserie. La devozione alla Santissima Eucaristia è la prima devozione per la Piccola Opera; e non può essere altrimenti. I primi cristiani nulla più desideravano, mentre stava per andare al cimento finale e al martirio, che di essere nutriti delle Carni Immacolate di Gesù. Il Santissimo Sacramento ci parla di amore, è il Sacramento, il segno dell’amore di Dio per noi! Riscaldiamoci il cuore al fuoco della carità di Cristo, di quella carità che dove arriva porta un soffio di vita e di felicità... Questo amore si estrinsechi nella frequente Comunione, nella fervorosa visita al Santo Tabernacolo (Par. V,220).
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Il Chierico che non sente amore verso l’Eucaristia, non sarà buon Sacerdote. Noi dobbiamo avere fame del Corpo Sacratissimo di Cristo e sete del Suo preziosissimo Sangue. E chi non si sente di mantenere una condotta tale da ricevere quotidianamente Gesù in sacramento, non è fatto per questa Casa (Par. V,357).
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Come tutti i giorni prendete il cibo per il nutrimento del corpo, altrettanto dovete fare con l’Eucaristia per il nutrimento dell’anima! Tutti i Sacramenti, in via ordinaria, aumentano in noi la grazia di Dio; ma soprattutto lo fa l’Eucaristia, perché porta in noi l’Autore della stessa grazia. Mai ci dobbiamo accostare alla Mensa Eucaristica per abitudine, perché il compagno vicino va e tutti vanno; non dobbiamo farlo né per gli occhi della gente, né per i Superiori stessi, ma per Dio. Allontanate da voi tutto ciò che sa di abitudine e ringraziatene il Signore del dono grande della vocazione. Non ancora capite tutto, ma già siete tali da capire quanto basta. Non lascerò mai di ricordarvi ciò che un giorno avvenne in me, riguardo al giudizio poco buono che avevo di un’alta personalità religiosa, quando, cioè, leggendo una sua lettera, vi trovai queste parole: “La grazia della vocazione a vita perfetta è grazia molto più grande della vocazione alla vita parrocchiale”. Lessi poi le sue opere e da lui stesso seppi dove aveva attinto quella dottrina, cioè da San Tommaso e da San Bernardo. Quando ricevete Gesù Cristo nell’Eucaristia, ringraziatelo della vocazione e chiedetegli la perseveranza. Offrite la vostra vita in olocausto ai piedi e nelle mani della Chiesa. Crescete le vostre anime a vita eucaristica e venite sovente in chiesa a fare delle visite (Par. VI,186).
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Fino dai tempi di Don Bosco, e anche dopo, il Giansenismo dominava anche in certi Istituti e Seminari e i migliori seminaristi erano quelli che facevano la Comunione una volta alla settimana e qualche volta due. Anche quando io entrai in seminario a Tortona, i seminaristi più pii facevano la Comunione la domenica e il giovedì, raramente la facevano negli altri giorni. Don Bosco, educato alla scuola del Cafasso e del Cottolengo, raccomandava la Comunione quotidiana. Quante volte potrò fare la Comunione? Chiedeva a Don Bosco un suo penitente. Don Bosco rispondeva: Sette volte alla settimana! Quante volte hai bisogno di mangiare al giorno? Almeno una volta al giorno. E come il tuo corpo ha bisogno, almeno una volta al giorno, del cibo materiale, così l’anima, che è spirituale, ha bisogno del suo nutrimento spirituale, nutrimento celeste. Farai la Comunione tutti i giorni! Da Don Bosco sono stato tre anni e, non dico per superbia, perché da Don Bosco tutti facevano così, solo una volta ho tralasciato la Comunione e, purtroppo, era anche di domenica; ero catechista all’Oratorio Salesiano e, siccome, dopo pranzo, doveva esserci un’accademia, in cui si premiavano quelli che si erano distinti mi avevano mandato per Torino a comperare e prendere i doni... E, come me, così la maggior parte dei giovani dell’Oratorio Salesiano, andava alla Comunione tutti i giorni: andare alla Comunione ogni giorno era cosa comune da Don Bosco (Par. XII,78–79).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Messa (santa), Sacerdozio, Sacramenti, Unione con Dio.
Ex allievi
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Dobbiamo pregare, o miei cari, pregare incessantemente Dio e la SS.ma Vergine per noi come per i nostri alunni, perché il giovanetto non viene corretto e fatto virtuoso, cristianamente parlando, che dalla grazia di Dio. Dove noi abbiamo fatto così, o miei cari, noi abbiamo ottenuto con la divina grazia, dei risultati più che soddisfacenti, meravigliosi. Dio non si perde più dal cuore e dalla vita dei nostri alunni, e, se per qualche ora passa una nube a velarlo, Dio presto riappare sull’orizzonte a illuminare la vita dei nostri ex alunni. Noi abbiamo occupato tutto il loro cuore di Dio, tutta la loro giovane anima di Dio: noi lo abbiamo Dio arato ben profondo nella loro vita: e impossibile, direi, che possano più farne a meno, che possano più perderlo: Dio, se anche sepolto, rinascerà! (Scr. 51,33).
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Ed ora a Voi, cari miei ex Alunni: a Voi o giovani, che crescete alla Religione, alla Famiglia, alla Patria, nei nostri Istituti, a Voi, che siete tanta parte della nostra vita e del nostro cuore. Dio sia sempre con Voi e Buona Pasqua, o amati, indimenticabili miei figli! Amate le vostre Famiglie: mantenetevi buoni: vivete morali e da veri cristiani; pregate, santificate la festa: non arrossite mai del Vangelo né della Chiesa: “senza forza d’animo non c’è virtù”, ha detto il Pellico. Abbiate il coraggio del bene e dell’educazione cattolica italiana che vi abbiamo dato. Perdonate sempre, amate tutti: siate umili, laboriosi, retti, franchi e leali in tutto: di fede, di virtù, di onestà ha estremo bisogno il mondo (Scr. 81,126).
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Cari giovani, nostri Ex Alunni, prego umilmente Dio di benedire la vostra Associazione. Siate costanti nel bene e nella pratica della vita cristiana, e professate pubblicamente la vostra fede cattolica e l’amore e attaccamento alla Chiesa, senza reticenze e senza titubanze. Siate sempre benedetti! (Scr. 117,122).
Vedi anche: Apostolato, Azione cattolica, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Famiglia.
Famiglia
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Non vi inquieti il demonio facendovi pensare allo stato in cui lasciate la vostra famiglia: compite il vostro sacrificio con amore di Gesù che vi dico in nome di Dio che dal Paradiso potrete aiutare molto di più la famiglia e fare un gran bene a tutti i vostri cari (Scr. 30,148).
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I nostri stessi di famiglia – cioè i genitori e fratelli – devono, con il divino aiuto, farne il sacrificio, se vogliono essere veri discepoli di Gesù Cristo. Noi dobbiamo imitare San Francesco d’Assisi, distaccarci dai nostri, e dire, e poter dire come Lui: Deus meus et omnia. Chi vuol essere discepolo di Gesù Cristo, si stacchi santamente dalla famiglia, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù Cristo stesso. Le parole di Gesù son troppo chiare: «Nessuno può essere mio discepolo, se non abbandona ed odia santamente i parenti, e se non rinunzia a tutte le cose». Quelli che credessero di trovare una strada di mezzo sono illusi dal demonio. Gesù Cristo non l’ha insegnata. Tu dunque, caro Gigetto, saprai, con la divina grazia, fare il tuo olocausto, poiché le relazioni – e specialmente l’andata in famiglia – è e sarà sempre per un po’ d’anni un legame ed un ostacolo alla tua perfezione religiosa (Scr. 42,235).
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Non bisogna recarsi dai parenti, se non per gravissimi motivi, e vi si deve rimanere il meno possibile. Preferisco mi si desse uno schiaffo che una domanda da parte di un mio religioso di recarsi in famiglia anche per un’ora sola. La famiglia del religioso è la sua Congregazione, e sua casa ogni Casa della Congregazione, non altre, per quanto care. Da sessant’anni, quando cioè le famiglie erano ancora, in generale, tanto serie, oneste e cristiane, Don Bosco già scriveva ai Direttori delle sue Case: «Satagant Superiores ut omnino claudatur omnium malorum officina, qualis est feriarum tempus apud parentes aut amicos transigere» (Scr. 52,52).
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L’ordine pubblico posa, come su base sulla famiglia: il nostro secolo ha guastato la famiglia, ne ha spezzato il legame con il divorzio, ne ha distrutto il cemento, proclamando l’amore libero, ne ha dissipato l’alimento dissacrando e disperdendo il focolare e togliendone il foco sacro della pietà. Ah, signori, se si dissolve la famiglia si dissolve necessariamente la società: quale disordine! quale rovina! Oh, non temete: Leone XIII parla alla società. Svolge le grandi teorie cattoliche sulla autorità sovrana: sulla santità, unità e indissolubilità del matrimonio fonte dell’autorità paterna base della società domestica. Rousseau aveva tentato sconvolgere sin il piano sociale: la luce di Leone XIII lo fece vedere ai popoli nella sua primigenia origine. Lo Stato non è altro, originariamente, che un raggruppamento di famiglie le quali scelgono una o più persone che rappresentanti sieno e depositarie di quel potere sovrano che da Dio emana. Non dunque sono i governi che costituiscono le famiglie, ma le famiglie costituiscono i governi. Base poi della famiglia è il matrimonio e del matrimonio è movente l’amore, scopo la legittima trasmissione della vita? (Scr. 56,29).
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L’Italia ha ancora una grande forza, perché il vincolo di famiglia è forte ancora, per il nostro dovere cristiano e per la grandezza d’Italia lavoriamo con efficacia pratica a conservare alla Italia futura questa grandezza. Consolidiamo le basi della famiglia. Nostra parola d’ordine da questa assemblea sia: manteniamo cristiana la famiglia, e sull’Italia purificata da settarie passioni splenderà più bello il sole della fede e della civiltà. L’avvenire di chi sarà? L’Italia ha ancora una grande forza; e potenza divenire una delle più grandi nazioni, perché il vincolo di famiglia è forte ancora. Per il Vostro più sacro dovere di uomini e di cristiani per la grandezza d’Italia lavoriamo ad educare bene la gioventù: e lavoreremo con efficacia pratica, a preparare all’Italia futura la sua ambita grandezza. Roma fu grande nazione, finché le Corneglie Romane educavano pro aris et focis: finché sotto l’influsso della religione fu la parola d’ordine: educhiamo moralmente, fisicamente, cristianamente pro aris et focis: riguardata la famiglia come un santuario inviolabile, allora avemmo i tempi gloriosi della repubblica. Ma quando la famiglia divenne una tana di corruzione, e furono rotti i legami tra religione e famiglia, allora ogni sentimento di patria, ogni nobile virtù cittadina scomparve (Scr. 57,172).
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Ai padri e alle madri di famiglia. Uno dei principali doveri dei genitori è quello di pensare alla buona educazione dei loro figlioli. Ora, siccome le molteplici esigenze della vita rendono impossibile il pieno compimento di essa nel santuario della famiglia deve sommamente stare a cuore a tutti i genitori di scegliere quelle scuole, quegli Istituti, in cui l’educazione è tenuta per quello che veramente è, vale a dire un’opera divina per eccellenza, fondata sui principi e nel sentimento religioso (Scr. 61,36).
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È cristiano, è caritatevole occuparsi del femminismo, o meglio della famiglia cristiana. L’attacco contro questa fortezza sociale che è la famiglia cristiana, custodita e mantenuta dall’indissolubilità del matrimonio ora latente ancora, vedete che domani diventerà furioso. Il femminismo è una parte importantissima della questione sociale, e il nostro torto, o cattolici, è quello di non averlo compreso subito. Fu grande errore. Il giorno in cui la donna, liberata da tutto ciò che chiamiamo la sua schiavitù, madre a piacer suo, sposa senza marito, senza alcun dovere verso chicchessia, quel giorno la società crollerà più spaventosamente all’anarchia più che non abbia crollato la Russia il bolscevismo. Troppa poca gente ancora comprende la questione femminista (Scr. 61,115).
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Ogni uomo deve rispettare il Signore e venerarne i precetti, così ogni figlio deve ubbidire alla natura ed al Signore che gli comanda di onorare, sovvenire e consolare i genitori. Infatti i genitori ti han data la vita, sono i tuoi primi amici, e verso loro sei tenuto nel maggior modo a gratitudine, a rispetto, ad amore, ad indulgenza, a venerazione. Chi dice: Aspetterò a rispettare il padre e la madre quando sarò fuori di casa, va contro la ragione giacché questo è disconvenienza, è scortesia, è stoltezza, è colpa. Quel figlio che per piacere ad un’altra persona fuori di casa, sia chi si sia, non ha il coraggio di onorare e rispettare i suoi genitori; anzi ha la temerità e l’audacia d’insultare a sua madre, è mente pusillanime, ha peggior cuore di una tigre, è indegno di chiamarsi uomo (Scr. 70,190).
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Quando in una famiglia non c’è l’unione e la concordia, c’è l’inferno, c’è l’inferno, manca tutto, niente va bene! Invece quando in una famiglia c’è l’unione, anche se si mangia la “polenta crotta” (solo polenta), tutto ve bene, tutto va bene! E così nelle Comunità quando c’è quel compatimento, quando c’è l’unione, la carità, tutto va bene, tutto va bene, anche se c’è la miseria, la povertà! Noi dobbiamo cercare che nella nostra Congregazione regni questa carità, questa concordia; e dovete cercare di farvi del bene una con l’altra (Par. II,94).
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Noi dobbiamo trattare i genitori dei confratelli come fossero i nostri stessi genitori. Io considero i genitori dei nostri sacerdoti e chierici come fossero i miei stessi genitori. Questo è lo spirito della Congregazione. E questo per obbedire al Comandamento di Dio: Honora patrem et matrem ut sis longaevus super terram, che è il primo comandamento della seconda tavola della legge scritta dal dito di Dio... Dobbiamo accoglierli nelle nostre Case se lo domandano, e anche spingerli, stimolarli, quando, per qualsiasi motivo, pur avendone bisogno, facciano qualche difficoltà, perché venga così provveduto loro quanto è di necessità nell’ordine materiale, e perché abbiano tutto nell’ordine morale. Non devono, le mamme dei nostri Confratelli, divenire le serve, le schiave di qualche nuora, cognata, e passare nella tribolazione l’ultima loro età. Quando non hanno altri aiuti, bisogna che ci pensiamo noi. È nostro grande dovere aiutare i nostri: abbiamo dei vincoli naturali verso di loro che non vengono mai meno e che non cessano mai: altra cosa sono, rispetto a noi, come religiosi.; ma, secondo natura, essi sono da noi inseparabili: essi ci hanno allevato, cresciuto, ci hanno curato da piccoli, ammalati, bisognosi... Per i genitori dei confratelli la Congregazione nutre una specie di culto: perché essi sono l’ombra di Dio! Così dobbiamo fare (Par. XI,120–121).
Vedi anche: Ex allievi, Società.
Famuli
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Ti presento il giovane Giosafatte Casamassima, il quale viene in qualità di famulo della Divina Provvidenza. Egli farà, per l’amore di Dio benedetto e della Congregazione, ogni servizio dell’Istituto e tu licenzierai un servo. Vedi che negli ultimi giorni chi verrà licenziato non abbia a sottrarre roba dell’Istituto. Il Casamassima sarà ritenuto quale Coadiutore nostro, come si usa dai Salesiani. Aiutalo in Domino. Avrà vitto come quello degli Assistenti e ogni altro riguardo e cura. Non stipendio; anzi quello che la famiglia gli passa mensilmente sia mandato a Don Cremaschi, perché paghi dei debiti di Congregazione (Scr. 8,24).
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Ai due famuli coadiutori date il pane spirituale, cioè fateli partecipare anche alle vostre pratiche religiose della vita di Comunità (Scr. 8,26).
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Con i famigli o servi o personale: anch’essi hanno un’anima da salvare. Dio ne chiederà conto a noi. Dio non fa nulla a caso, ce li mette o manda nelle nostre Case perché vi trovino la via del Paradiso, che nel mondo avrebbero smarrita (Scr. 55,60).
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Io non ne mando, quindi vedano nella Loro cortesia che nessuna Autorità, Sodalizio, famigli o persona di qualche conto sia dimenticata (Scr. 66,19).
Vedi anche: Aggregati, Cooperatori, Fratelli coadiutori.
Fascismo
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Vi mando due articoli del giornale fascista «La fiamma» di Novi, sono articoli usciti sullo stesso numero. Quello che riguarda la rinascita del Collegio lo farete pubblicare sul secondo numero dell’Opera della Divina Provvidenza. Vi manderò la data del numero. Sono articoli da tenersi, entrambi (Scr. 15,129).
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Il fascismo provinciale ha deciso che l’Arciprete lasci Pontecurone il più presto, pronti a tutto. Egli mi pregò di accompagnarlo dal Vescovo. E se ne andrà, perché i fascisti avevano già prima parlato al Vescovo stesso ed essi dicono che sono d’accordo con il Vescovo, il che non si deve credere (Scr. 16,61).
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Devo almeno esigere che ci sia nei religiosi e più negli anziani quel tanto di spirito di disciplina e obbedienza che c’è nei soldati e nei fascisti (Scr. 22,110).
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Ti prego di avvicinare a nome mio autorità e persone interessate o benevole, e sentile tutte, e vedi che base possono offrire ad una casa pro vecchiaia di Novi e plaga, indi mi riferisci, sì che, venendo, io sia già a conoscenza del materiale su cui potere lavorare. È inutile dire che la nuova istituzione dovrebbe avere spirito profondamente cristiano e vita e impronta dichiaratamente fascista (Scr. 26,180).
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Non ho mai chiesto nulla al governo e sono andato incontro al bisogno di due città che, per la plaga in cui sono, non bisognava trascurare. Avrebbe dovuto aprirlo il governo codesto istituto tecnico di Novi e pagare lui; lo abbiamo sollevato e ci tratta peggio dei liberali e demo–massoni. No, non è fascismo. Io non mi sento di chiedere più nulla. So che Mussolini disse: «Non se ne parifichino più di 38», e hanno data la parificazione solo a 31: parificando Novi non si passa il numero voluto dal duce. Sanno che sarà sospesa la parificazione e non sanno fare almeno un gesto ed essere almeno onesti? Qui non c’è che andare da Mussolini e vedere di tentare di avere giustizia da lui (Scr. 26,198).
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Non avere timore che vada su il partito fascista: staremo meglio; fare sempre bene e paura non avere: Dio ti assiste! (Scr. 28,180).
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Concludi esprimendo la speranza che possa, con l’aiuto di Dio, questo tuo atto alto, patriottico e cristiano, essere valutato nella sua più serena espressione, e portare a Pontecurone quella unione degli animi tanto sospirata e necessaria al progresso del paese; e cooperare nel piccolo a quella concordia di buone volontà ripetutamente auspicata per il bene della nostra Patria dal Duce del fascismo, Mussolini, il quale, con più ragione di Cesare, ha sulla nave che lo porta i destini d’Italia; onde è dovere di tutti, per quanto modestamente, con tutto il cuore collaborare (Scr. 37,57).
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Sono dispostissimo ad intestare una sala ad onorare la memoria della benefica defunta, che ha elargito la somma, anzi farò di più: se mi favoriranno una fotografia, farò un ingrandimento per quadro che verrà appeso nella sala e i bambini (metterò maschi e femmine, secondo che mi direte), reciteranno ogni giorno una preghiera di gratitudine per la benefattrice che lasciò la somma. Siccome poi il denaro mi verrebbe per il tramite della Federazione fascista, metterò nella sala il ritratto del duce e il littorio (Scr. 38,166).
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Ancora oggi, sig. R. Provveditore, mentre noi si è qui che si suda sette camicie al giorno per restituire a Novi il suo antico Collegio San Giorgio e, mentre i fascisti che sono all’amministrazione comunale per i nostri sentimenti di aperta italianità ci danno ogni valido sostegno, c’è chi per motivi di partito o di altro, che non voglio indagare, fa a Don Orione una guerra ingiusta e sleale (Scr. 38,244).
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Il completamento dell’Istituto Tecnico e la creazione del Liceo sarebbero, certo, una benemerenza che l’attuale amministrazione fascista potrebbe ascrivere al suo attivo: un merito che dovrebbe indiscutibilmente esserle riconosciuto da ogni ordine di cittadini amanti dell’istruzione e del reale progresso di Tortona e circondario. Mi permetto di aggiungere che se il comune non coglie quest’ora, mi pare che essa difficilmente più verrà (Scr. 40,16).
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Affidiamoci a Dio che ci è Padre, ma anche con santo coraggio: poi da cosa nasce cosa. Più di una volta ho pensato che, se il Duce vi facesse un sopralluogo, anche solo di quindici minuti, quella zona diverrebbe, in breve, la vera città–giardino di Roma. E chissà non venga ad inaugurare la scuola professionale; occorreranno, certo, altre opere di genere sociale, ma il soffio della fede e del fascismo le creerà. Bisogna andare al popolo! Gesù andava al popolo, camminava col popolo, confortava la vita del popolo, evangelizzava, beneficava, confortava il popolo (Scr. 44,184–185).
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Sento che a Tortona c’è un po’ di burrasca nel campo d’Agramante e che il dott. Carbone si rivolse alla tipografia della Provvidenza per la pubblicazione di un settimanale di onestà fascista. Veramente io non sono favorevole a pubblicare giornali di partito e ne scrissi al can.co Perduca. Qui ho veduto parecchia gente anche di parte, ma lascio la politica ov’ella sta, e si sta tanto bene (Scr. 45,212).
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A ricordo del non mai abbastanza compianto gr. uff. Arnaldo Mussolini e in omaggio devoto al Capo del Governo, nel fausto decennale del fascismo che, per la saggezza del Duce, ha saputo comporre il funesto dissidio tra Chiesa e Stato, aprendo all’Italia un’era nuova di unità morale, di potenza e di gloria: un distinto signore genovese, cattolico e italiano senza reticenze, che per modestia vuole mantenere l’incognito con atto altamente munifico ha donato a Don Orione Lit. 17.500. Egli, già alla morte del comm. Arnaldo Mussolini aveva, con lire 2500, aperto una borsa di studio a nome del grande scomparso e volle oggi completarla in occasione della auspicata visita fatta al Piccolo Cottolengo Genovese da sua Eminenza Rev.ma il sig. Cardinale Carlo Dalmazio Minoretti. L’insigne benefattore, che dal sorgere del pio Istituto sempre ha avuto interessamento vivissimo e viscere di pietà verso i ricoverati del Cottolengo, ha dato così modo a Don Orione di aprire una via onorata nella vita a quello degli orfanelli da lui raccolti in detto Istituto che, per condotta e studio, dà maggiori speranze di buona riuscita (Scr. 50,69).
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La S. V. Ill.ma è invitata ad assistere alla distribuzione dei regali della V Befana Fascista, che avrà luogo domani, 17 corr. alle ore 16 nei locali provvisori dell’Asilo Infantile palazzo Marchese (Groppo). Distinti ossequi e ringraziamenti (Scr. 69,119).
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Io prego umilmente per la nostra Patria perché sia sempre più degna delle sue tradizioni e della sua grandezza e compia la Missione che Dio le ha dato. Prego Dio per Mussolini, che per il suo alto ufficio è chiamato a guidarla nella via dell’onore e della gloria. Prego per i nostri soldati che si sacrificano per rendersi degni della nuova Italia (Scr. 99,243).
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Tutto è ordine, tutto è obbedienza alla volontà di Dio. Nei salmi sta scritto: Bonitatem et disciplinam et scientiam doce me. Che vuol dire? O Signore, insegnateci la bontà, la disciplina e la scienza. Adesso ci sono i fascisti, questa grande milizia nazionale così ben disciplinati e il loro Duce ogni giorno va restringendo sempre più la disciplina o almeno lo dice... E noi che facciamo? Obbedienza! Obbedienza! San Tommaso d’Aquino esalta l’obbedienza su tutte le virtù, su tutte le virtù, su tutte le virtù! (Par. II,74).
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Ora si è sciolta la Questione Romana, ma vedrete! Troppe sono le lacrime, non mi pare una saldatura che tenga. Troppi Cardinali e Vescovi morirono in esilio, perché possa finire così. I principi del fascismo sono gli stessi del liberalismo, portano un’altra maschera; non è che il pensiero, la dottrina, si sia cambiata. Dato che vogliono erigere un monumento ad Anita Garibaldi si vede che i principi non sono cambiati. Io vorrei sbagliare, ma voi vedrete brutti giorni (Par. IV,378).
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Chi vuol darsi a Dio si dia generosamente, totalmente: Ilarem datorem diligit Deus! Non ci devono essere reticenze. Il Capo del Governo ha detto che chi vuol essere fascista lo sia totalmente e noi ci daremo a Dio tenendo una parte del nostro uomo vecchio? Domani è l’ultimo giorno dei santi esercizi e chi non li avesse fatti troppo bene si getti ai piedi del tabernacolo e così anche chi non avesse fatto tesoro di questi giorni (Par. V,205).
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Fra dieci anni, se Dio non volterà pagina, attorno alla Chiesa si farà il deserto. Io in punto di morte non vorrei trovarmi al posto di una alta autorità ecclesiastica. Tra fascismo e socialismo vi è parità di dottrina. Tra dieci anni o loro ammazzeranno noi o noi ammazzeremo loro. La carità deve stare a base di tutto e non solo sotto la forma di carità corporale e spirituale, ma anche dottrinale. È dalla barca di Pietro che Cristo evangelizza! Per una parola di vita eterna bisogna lasciare quelle che non sono di vita eterna, il mondo, la terra. Senza Cristo non si fa niente! (Par. V,261).
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Ho potuto battezzare un capo degli ebrei, il Comm. Cohen, che ha dato milioni al fascismo. Fui invitato a battezzarlo senza che io sapessi neppure chi fosse. Me lo vidi davanti un quarto d’ora prima del battesimo. Un signore più alto di me, robusto che, in questi giorni, è stato spogliato di tutto perché ebreo. Ricevette il battesimo molto preparato. Quando gli versavo l’acqua pronunciando le parole sacramentali: io ti battezzo... fui molto impressionato nel vedere che l’acqua gli cadeva sullo stemma del fascio. Qualche giorno dopo gli fu tolta la tessera del fascio ed egli rispose: «Ora tengo una tessera ben più preziosa, la tessera di Cristo, che nessuno mi può togliere» (Par. X,39).
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D’ora in avanti tutti i chierici e non chierici si daranno del voi, come era in uso fin dai primi tempi della Congregazione. Non è il fascismo che è venuto ad insegnare a noi. È il fascismo che ha imparato da noi! (Par. XI,252).
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Cercare che le relazioni siano sempre cordiali. Non essere di quelli che strisciano. Non fare del fascismo fuor di luogo, no. La prima volta che mi sono presentato dall’onorevole Parini, ho detto franco che sono un papista dalle unghie dei piedi fino alla punta dei capelli, ma che nello stesso tempo sentivo di avere il sangue italiano al cento per cento e dissi: son figlio di un padre che fu volontario e che si batté per otto anni nelle guerre dell’Indipendenza e che non sono diventato patriota dopo che Mussolini è al potere, ma che lo ero prima che lui nascesse (Riun. 4 agosto 1934).
Vedi anche: Concordato (Stato–Chiesa), Politica, Questione romana, Socialismo.
Fede
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Dio vuole da te un’anima grande di fede e più abbandonata al Sua Provvidenza: sacrificati per l’amore di Dio e della Chiesa e opera con allegrezza e con coraggio senza darti pensiero dell’avvenire o lasciarti intimorire o disgustare da cosa alcuna che avvenga. Da’ sempre buon esempio di vita sacerdotale, come hai fatto sin qui, con l’aiuto della divina grazia, e questa sarà intanto la più bella e santa tua predicazione. Poi verremo anche noi di qui ad aiutarti, e Dio ci darà altri fratelli. Forse possiamo lamentarci del Signore? Non dobbiamo invece mille volte ringraziarlo degli aiuti che ci ha dato in questo tempo di guerra? Non vedi come ci ha aiutato, e come la Congregazione si dà attorno per dare una base a codesta Casa? È vero, la Provvidenza ci mette talora in circostanze difficili, ma è perché ci esercitiamo nelle virtù della fede in Essa, dell’abbandono in Essa e della fortezza. È necessario essere forti e costanti nel fare il bene, e fare quello che si può, e il resto star tranquilli che lo fa la mano del Signore (Scr. 4,148).
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Abbi viva fede ne Signore, che ci fa sempre contenti in qualunque luogo e circostanza, e nella fiducia del Signore cerca di ingrandire ogni dì più il tuo cuore. Se guardiamo a noi, caro mio, c’è da sotterrarci ma ben giù profondo; ma la nostra debolezza non deve sgomentarci: è in Dio che dobbiamo confidare, e avere un coraggio e una fiducia tanto grande, quanto grande è il Crocifisso e il Cuore di Gesù e il cuore della Madonna. A fidarsi in Dio non si falla (Scr. 4,164).
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Le armi della fede sono tante e potentissime, ma tra le armi dei figli di Dio e della fede, la fiducia nella Madonna è tale che da sola basta a farci trionfare di ogni ostacolo. Coraggio, caro Don Adaglio, coraggio nella fede! La fede ingrandisce i nostri cuori, perché è la sostanza delle cose che abbiamo a sperare (Scr. 5,325).
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Mi pare che don Pensa si lasci troppo abbattere dalle prove che il Signore gli manda o permette. Ma ditegli un po’ che preghi con più fede e abbandono nel Signore! Le tribolazioni dobbiamo sostenerle con pari rassegnazione, forza e costanza: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere in accasciamenti e languidezza: la fiducia in Dio è il balsamo di tutti i mali, e la nostra fede è la nostra vita e la nostra vittoria. Facciamo tutto quello che si può, e poi avanti in Domino! ricordiamo che il Signore patisce egli stesso con noi, ci trarrà fuori da ogni fossa di leoni, da ogni patimento, e ci glorificherà. Non ha don Pensa la corona del Rosario? Non ha il Tabernacolo? Non ha il Breviario ed i Santi Evangeli? Non ha Gesù, e Gesù Crocifisso? Oh bella, adesso, che proprio un don Pensa non pensi che con le tribolazioni Dio ci fa prendere sperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e in Lui interamente ci abbandoniamo? Confortatemelo, ditegli che prego per lui sempre, Gesù ci ama e vuole farci più suoi e della Santa Chiesa, perciò Gesù ci prova (Scr. 19,219).
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Coraggio, caro don Montagna! Ti aiuterò pregando, ti aiuterò mandandoti personale, ma ti voglio vedere meno gobbo, meno pensieroso: fede! fede! fede! ma di quella! Fate debiti, fate debiti con fede grande, con grande amore a Gesù, alla Santa Madonna, alla Santa Chiesa e non temete: fiducia fiducia nella Divina Provvidenza! e Avanti! Avanti! (Scr. 21,180).
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Dirò a te un pensiero buono, traendolo da quanto ho predicato ieri. Ieri dunque ho parlato loro della necessità di una vita di vivissima fede. Penso che se in un’anima è viva la fede, quando anche s’avesse a deplorare qualche difetto, non tarderà ad emendarsi, e farà passi da gigante (più forte è la fede) nella via della perfezione; e diverrà strumento atto a procurare la salvezza di molte anime. Bisogna che noi operiamo in noi, e lavoriamo a bene dei fratelli sempre e unicamente guidati dallo splendore della fede. Per la Fede la ragione si illumina delle verità che Dio ha rivelato, si eleva al disopra delle umane cose, assorge a maggior conoscenza di Dio, e diventa suscettibile e capace di una vita che molto ci avvicina, se pur non assomiglia a quella dei Beati del Cielo. Chi vive vita di fede, è come partecipe della natura divina, secondo la espressione di San Pietro: «divinae consortes naturae». Oh! figlio mio, quanto noi dobbiamo esser grati a Dio che, nel Battesimo, ha infuso in noi i germi di questa vita, più angelica che umana! (Scr. 31,215).
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Sforzati, figlio mio, di rendere la tua fede così pratica che essa influisca su ogni tuo pensiero, su ogni tua parola, su ogni tua azione, sicché si possa dire di te ciò che San Paolo ha detto dell’uomo giusto: «iustus ex fide vivit». Vivi di fede! di fede piena, di fede perfetta, di fede grande! di quella fede che trasporta le montagne, che sta forte, che è forte della forza stessa di Dio! Vita di fede! spirito di fede! Opere di fede! Oh la fede del Beato Cottolengo! Ne aveva più che tutta Torino, diceva il filippino suo confessore. «Fede, fede, ma di quella!», diceva il Cottolengo. Coraggio, figlio mio, ravviviamo in noi la fede! e non finiamo di chiedere al Signore che la accresca in noi: «ad auge nobis fidem!». E risuscitiamola o ravviviamola nei nostri fratelli, o perché ritornino a vita o vivano di una vita più copiosa e più alta, secondo la parola di Gesù: «veni ut vitam habeant, et abundantius habeant!» (Scr. 31,217).
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Abbi fede, e ricorda che niente può capitare, se non è Dio che lo vuole o che lo permette. E il Signore è padre, è sempre padre, e non vuole mai il nostro male, e anzi saprà cavare bene anche dal male, come ha cavato la luce dalle tenebre (Scr. 33,100).
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Pene e fatiche che sempre s’incontrano nel fare le opere buone, nuoce pure alla riuscita di ogni nuova impresa. Fede! Fede! Fede e più vita, più vita e più concordia e unione in Domino, e più slancio di carità: uno slancio di carità che ingrandisca i nostri cuori, che dilati di più la confidenza dei fedeli verso di noi, che allarghi di più i loro cuori verso di noi. Fede! Fede! Fede! Tutto è possibile a chi crede e va avanti con grande spirito di carità in Gesù Cristo! Vogliate dunque dire che non si spaventino delle settantacinquemila lire per le campane. Dio sarà con noi! Dio ci aiuterà! Né vogliamo lesinare nel far la propaganda per le campane stesse. Si sgranchiscano di più, si slancino di più! Fede, umiltà, attività in Domino, preghiera e slancio di carità! Senza fede ed entusiasmo di carità non si fa nulla (Scr. 33,168).
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Ella, signora Contessa, voglia dare ascolto a questo povero sacerdote, che le scrive: confidi grandemente nella bontà del Signore, nella grazia e misericordia di Gesù Cristo nostro signore; poi signora Contessa, elevi ogni tanto il suo spirito a Dio, e dica a lui: Signore voglio oggi e sempre riposare sul tuo paterno cuore, e tra le braccia della santa chiesa madre dei Santi e anche della mia fede e della mia anima. Ingrandisca la fede i nostri cuori, la fede che è sostanza delle cose che abbiamo a sperare che ha ispirato tutto che è grande nella vita e nella civiltà. Fede! fede! O, non è Dante che sublimamente canta la fede nel passo di San Paolo agli Ebrei? «Fede è sustanzia di cose sperate ed argomento delle non parventi e questa pare a me sua quiditate.» Sì, la fede è virtù basilare, è sostanziale fondamento, sul quale si basa la speranza della beatitudine, che è piena di immortalità (Scr. 44,145).
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Per i debiti, non abbiate timori eccessivi, dato che li avete fatti per Dio e per le anime del vostro popolo; abbiate fede, fede viva, fede grande, fede senza fine e proprio di quella... est, est, est, super est! Di quella che fa le radici super; e poi attaccatevi alla Santa Madonna: Ave Maria, e avanti! (Scr. 47,209).
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Prego lo Spirito Santo che, in questi giorni accettevoli e di grazie, ci purifichi e santifichi, e ci sia sempre più largo di fede, di speranza e di carità Sono queste, come voi ben sapete, le virtù fondamentali della vita nostra di cristiani e di religiosi. Una fede viva, incontaminata, forte, operante dia a me e a ciascuno di voi lo Spirito Santo: quella fede che è un complesso di prodigi dell’amore di Dio verso di noi, e che è il primo passo dell’amore nostro a Dio e al prossimo. La fede dei santi, la fede del Cottolengo, del quale il suo confessore padre Fontana diceva: «ha più fede di tutta Torino». Guai a noi, figli della Divina Provvidenza, se non avremo fede e gran fede! La fede è la base di tutto l’edificio della nostra Congregazione, l’anima che deve dar vita e far camminare la Piccola Opera. La Sacra Scrittura dice che l’uomo giusto vive di fede: i figli della Divina Provvidenza cesserebbero ipso facto d’esser tali, se non vivessero di fede. La fede in Dio, che tutto vede e tutto dispone, in Dio che ci è Padre, in Dio che è la Divina Provv.za, da cui prendiamo spirito e nome, ingrandisca, o miei fratelli, i nostri cuori e sia il più grande balsamo e conforto della nostra vita. La fede, una viva fede ci farà sempre contenti, in qualunque momento, in qualunque circostanza Le armi della fede sono tante e potentissime, ma una delle più efficaci è la fiducia in Maria SS.ma, nostra madre: basta essa sola, la Madonna benedetta a sostenerci e a farci trionfare insieme con n. Signore con il suo divin Figlio Gesù Cristo. Fede! Fede! Fede! (Scr. 52,179).
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Due sono le sorgenti della fede: l’una, interiore, è l’azione misericordiosa dello Spirito Santo; l’altra, esteriore, è il magistero autentico della Chiesa. La legge scritta della Chiesa è fissata nella Sacra Scrittura: la orale sta e si svolge nella tradizione che è come una fonte viva di acqua celeste, trascorrente acqua viva di vita eterna, acqua viva e fecondatrice. Sine fide impossibile est placere Deo; noi crediamo in Dio e nelle verità che egli Deo ha rivelate e che la Chiesa... La fede deve avere un tale ascendente sui nostri intelletti e sulla volontà, deve essere viva nel nostro cuore, se no il cuore va morendo al servizio di Dio e al suo amore. Noi non solo non dobbiamo peccare ma tendere ad perfectionem; ma per andare alla perfezione bisogna non solo credere, ma avere la virtù della fede, praticare la fede. Credere con l’intelletto umile e porre in opera con la volontà pronti a morire per la confessione della fede come già i Martiri. Non una fede morta, ma viva. Vita di fede. Seminatori e apostoli di Fede. San Pietro Martire. Credo. La vita d’un figlio della Div. Provvidenza dev’essere veramente vita di fede – Justus ex fide vivit. (San Paolo). Necessità della fede. Un Religioso di fede viva, anche avesse qualche difetto, non tarderà ad emendarsi, fare passi da gigante nel sentiero della perfezione; sarà seminatore di fede, procurerà la salvezza di molte anime. Dobbiamo vivere e lavorare unicamente animati e guidati dallo splendore della fede (Scr. 55,295).
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1) Tutto è possibile a chi crede. 2) La fede è indipendente affatto dal ragionamento, ma riposa tutta sull’autorità di Dio rivelante, il quale ci fa conoscere le verità per mezzo della Chiesa. 3) Ogni fedele deve usare tutte le cautele per conservarla pura e incontaminata. 4) La purità della fede è cosa così preziosa che va anteposta a tutto. 5) La fede è il primo passo della carità: è la base di tutto l’edificio religioso – il giusto vive di fede – la fede senza le opere è morta. 6) La fede viva in Dio ci fa sempre contenti in qualunque luogo e circostanza. 7) Le armi della fede sono tante e potentissime – virtù – naturali o morali – soprannaturali – specialmente la fede, speranza e carità, dette teologali o divine perché hanno Dio per oggetto e per motivo. 8) La fede è quella virtù soprannaturale per cui crediamo sull’autorità di Dio, ciò che Egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa. 9) La fede è un gran balsamo alle piaghe, ai dolori morali della vita. 10) La fede ingrandisce i nostri cuori, perché è sostanza delle cose che abbiamo a sperare. E poiché è massima di nostra fede, fortemente inculcata da San Cipriano, che noi dobbiamo al presente tener dietro ai santi coi nostri vivi desideri, se vogliamo un dì regnare con essi. Io non venderò una virgola della mia fede per nessun piatto di lenticchie (Scr. 55,302).
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Che cosa significa questo bisogno di fede? Significa che l’uomo non è felice senza l’unione dell’anima con Dio, e siccome è solo la fede che ci parla degnamente di Dio e che ce lo rende sensibile al cuore, l’uomo è forzato di sospirare dietro questa sublime virtù. Non bastano i beni della terra per dar pace, beatitudine e felicità all’uomo i tre beni della terra. Sant’Agostino, Capo VI delle Confessioni, versa et reversa, dura sunt omnia Deus solus requies fecisti nos ad te, et inquetum est cor nostrum donec requiescat in te Domine! Vivere senza Dio non è vita, è morte (Scr. 56,75).
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La fede è il primo passo all’amore di Dio, e quando la fede langue si raffredda la carità, refrigescit et Charitas! E allora i popoli si voltano da un’altra parte, e il deserto si farà intorno a noi. La fede è la base di tutto l’edificio cristiano, e il giusto vive di fede: justus autem ex fide vivit La fede ingrandisce i nostri cuori (Scr. 56,83).
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La fede è cosa è preziosa che va anteposta a tutte le altre. Il giusto vive di fede. La viva fede di Dio ci fa sempre contenti in qualunque luogo e circostanza, pur davanti alla morte. La fede ingrandisce i nostri cuori, perché è la sostanza delle cose che abbiamo a sperare (Scr. 57,34).
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Gloria all’Altissimo con la fede che ci auguriamo cresca in tutti vigorosa! Fede nutrita dagli insegnamenti del Vangelo e della Santa Chiesa Cattolica. Fede nutrita dalla parola del Vicario di Gesù Cristo, Maestro infallibile dell’umanità in tutto che riguarda il dogma e la morale, e dalla voce dei Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio. Fede accompagnata dalle buone azioni, e anzitutto da una coscienza scevra dal peccato santificata dai Sacramenti. E, insieme con questa Fede operosa e santa, Vi auguro la pace del Signore. La pace vera che viene dall’amore di Dio e del prossimo, dalle benedizioni del Cielo! (Scr. 62,58).
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I figli della Divina Provvidenza devono vivere di fede. La fede e abbandono in Dio è il primo passo della carità. La fede deve essere, per noi della Divina Provvidenza, la base di tutto l’edificio religioso della nostra vita. Ricordiamoci di quanto sta scritto nel libro del Signore: «il giusto vive di fede». E questa fede santissima, di cui vive il giusto, vi dirà al cuore un’altra verità e consolantissima, che è questa: Nelle battaglie spirituali, qualora si perseveri, s’invochi e si creda nell’aiuto di Dio, la vittoria può essere più pronta o più tarda, ma è certa. E quello che vi dico delle battaglie spirituali, ve lo dico pure delle opere che stiamo facendo nel nome benedetto della Divina Provvidenza (Scr. 63,74).
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La fede è asfissiata dall’indifferentismo, al bene e dal languore di viva fede, che quale miasma pestilenziale è oggidì l’ambiente della società che ne circonda. La deficienza di fede, prodotta dall’educazione trascurata e dalle scuole perverse e fomentata dai deliri delle fantasie giovanili, rendono l’uomo apatico al bene: il suo cuore è pervertito e guasto. Il Sacro Cuore di Gesù nella Eucaristia è il solo mezzo di scemare la corruttela, di dileguare i pregiudizi, di ravvivare la favilla della fede e di far amare Dio, la Chiesa ed il Clero verso il quale si mina e si congiura (Scr. 65,345).
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La conforto ad avere fede, che è la fede che opera i miracoli. Quante volte, nell’Evangelo, Gesù Cristo dice: la tua fede ti ha curato, la tua fede ti ha guarito, la tua fede ti ha salvato. Il giusto vive di fede, e tutto è possibile a chi crede. E la fede è tanto più cara a Dio e più efficace, quanto essa si pratica nei casi più sfidati, più disperati, più destituiti di mezzi e di speranze umane. Che la fede nel divino aiuto e la fiducia in Maria SS.ma ingrandisca sempre più il Suo cuore, Signora Marchesa. Oh la dolcezza, e fin la felicità, di chi vive rassegnato e uniformato alla volontà di Dio. Quello che pare una sciagura è talvolta misericordia (Scr. 73,163).
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Dio con la possanza sua adempia ad ogni nostro desiderio buono e santo di bontà ed opera di fede possente degna e propria di cristiani, di figli della Divina Provvidenza ad ogni veramente cristiana e caritatevole opera vostra. I beni stessi che noi speriamo, essa fa sperare, cioè la vita eterna, noi li aspettiamo dalla Fede, per la grazia dello Spirito Santo dalla fede per la carità operosa. Che la nostra fede risplenda in tutti gli atti della nostra vita. In Gesù Cristo, per la Fede, tutti siamo figli di Dio, perché quanti fummo in Cristo battezzati, abbiamo rivestito Cristo (Scr. 79,343).
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E prego lo Spirito Santo che ci purifichi e santifichi con la abbondanza della sua grazia, e ci sia largo di Fede di Speranza e di Carità, le virtù fondamentali della vita cristiana e religiosa, una Fede viva, incontaminata operante, che è un complesso di prodigi dell’amore di Dio verso di noi, e che è il primo passo dell’amore nostro a Dio e al prossimo. La Fede è la base di tutto l’edificio religioso, e la Sacra Scrittura dice che l’uomo giusto vive di Fede. La viva fede quella che ci fa sempre contenti, in qualunque circostanza, Le armi della Fede sono tante e potentissime, una delle più efficaci è la fiducia nella SS.ma Vergine, nostra Madre: basta Essa sola, la Madonna benedetta, a sostenerci e a farci trionfare insieme con Nostro Signore Gesù Cristo. La fede in Colui che tutto vede e tutto dispone. La fede ingrandisce i cuori ed è un gran balsamo (Scr. 79,3248).
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Più fede, fratelli, più fede! La fede manca in quelli che bisogna salvare, e la fede manca talora, oh con quale strazio dell’anima lo dico! manca o langue la luce della fede anche in me e in altri di noi che vogliamo o crediamo di volere illuminare e salvare le folle. Siamo sinceri. Perché non rinnoviamo sempre la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Manca la vita spirituale che ha insita tutta l’aspirazione al vero e al progresso sociale, manca la fede. Ecco la piaga. Bisogna rinascere a nuova vita, a vita di fede divina, vera e profonda e lavorare secondo lo spirito della Chiesa per un’umanità migliore alla luce alta e consolante della fede. La preghiera che è necessario fare è questa: «Signore, accresceteci la fede!». Noi solo potremo ancora rinnovare l’umanità e restaurare in Cristo e l’Italia e il mondo se avremo più fede, se di fede respireremo e vivremo (Scr. 80,184).
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La fede è la prima virtù del cristiano: per essa noi crediamo le verità rivelate da Dio che appunto la Chiesa ci propone a credere. Ma essa è anche la prima necessità dell’uomo; sventurato chi non crede! disse V. Hugo, (Miserabili, 1. VII). Ardigò, senza fede, si chiede disperato: “Cos’è la vita?” e perché essa non gli appare che un abisso senza salvezza e senza conforto, corre al suicidio. Togliete la fede, e sarà quasi tutta tenebra la vita. Ma, o fratelli, non è vero che ancora noi viviamo bene spesso da poveri ciechi, e di tal cecità ben più grave che quella del mendico di Gerico? Quante tenebre intellettuali! quante tenebre morali! quante tenebre di barbarie! quante tenebre religiose! Dio mio, quanta cecità è in noi e “nel secolo trionfante dei lumi”. E pur tutti sentiamo il bisogno di uscirne, e di dare alla vita un’alta luce di fede, e di viverla questa divina luce. Ché non basta aver fede, bisogna viverla, la fede senza le opere è morta. Coraggio, dunque, o miei fratelli! Preghiamo Dio e siamo sinceramente amanti della verità, e andremo alla fede. Non lasciamoci guidare da pregiudizi, da prevenzioni; rivolgiamoci con semplicità di animo a Gesù Cristo e non potremo negare a Lui e alla sua dottrina la piena adesione della mente e del cuore. Dio stesso sarà la nostra luce. Rendiamo alla fede questo doveroso ed elementare ossequio: invochiamola, viviamola, studiamola, e poi, se vi dà l’animo, respingetela, magari! Ma non recate ad essa l’offesa irragionevole di negarla; peggio, d’insultarla o accusarla senza conoscerla; mentre sentiamo che essa ed essa solamente, o miei fratelli, può dare una risposta a certe domande, può lenire certi dolori, può confortare la vita di celesti speranze, poiché solo nella fede troviamo le alte ragioni della vita e dell’onesto vivere civile. Che l’anima nostra sia piena di fede! È la fede che spezzò le catene della schiavitù e riabilitò la donna; è la fede che con Ildebrando lottò la più pura e la più bella lotta contro l’iniquità: sollevò i Comuni con Alessandro III: nel monastero di Pontida giurò la Lega Lombarda, e maturò la vittoria di Legnano contro il despota del Medio–evo Federico Barbarossa. La fede creò le nostre Università: a Colombo e... agli avi repubblicani benedì le vele: cantò con Dante e Tasso, scolpì con Michelangelo, con Raffaello dipinse. Ed è questa pia e forte fede che ci fa italiani non vili! Desideriamola, cominciamola dunque questa vita nuova di fede operosa con la umile, la fervente, la grande preghiera: O Signore, fa che io veda! E Dio, dalla stessa nostra cecità, saprà trarre la sua luce. Quella riverenza e quell’affetto poi dolcissimi che dal cieco si trasfusero nel popolo, rappresentavano la gratitudine dell’umanità redenta che si sente illuminata da Cristo (Scr. 82,1–2).
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Noi siamo e dobbiamo essere le guardie giurate della fede e della Chiesa, ma, anche per questo direi appunto per questo siamo e vogliamo essere a contatto con le idee che corrono, che si svolgono fra gli uomini, che progrediscono con il progredire della civiltà. Il vero cattolico e il clero non è non può essere straniero a nessuna verace cultura, a nessun verace progresso a nessuna scoperta, anzi tante ed il più delle volte l’uomo di fede e il clero stesso, specialmente il clero regolare è l’inventore e lo scopritore basterebbe ricordare nella astronomia P. Secchi, P. Denza, P. Alfani. No, non è la Fede che ci vieta di amare la scienza, ma è anche per la nostra fede che voi, cari miei Chierici, dovete amare gli studi, amare la cultura, ma cultura non superficiale, non una cultura–vernice ma una cultura soda, come deve essere soda la vostra pietà, una cultura vasta e profonda. Per la fede voi dovete amare lo studio e la scienza, amare la cultura e la scienza di un amore santo, appassionato, generoso: amare la scienza per ragione della nostra fede, amarla per valervene alla causa della verità, della fede e della salvezza degli uomini; amarla per sé stessa, per Dio, Deus scientiarum Dominus, per il bene che la scienza avviata dalla fede, da Dio, illuminata da Dio, può recare al mondo per mezzo nostro (Scr. 85,199).
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Di fede abbiamo bisogno tutti, tutti dico, voi, o fedeli, che così vi chiamate prendendo nome appunto dalla fede e noi, noi Sacerdoti abbiamo bisogno di fede, di vivere di fede e di avere più fede (Scr. 89,81).
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Tu prega, serbati puro e vivi di fede: la fede ingrandisce i cuori e le intelligenze, ed è assai bello e glorioso per voi, o miei figli, poter fare, con la vostra virtù e condotta seria e irreprensibile, con il vostro studio, quasi l’apologia e la difesa della vostra fede e della vita cristiana, come è pure assai bello e glorioso l’affrontare, a suo tempo, anche in scuola, le battaglie per Cristo e per la verità, e testimoniare la vostra fede, il carattere e la fortezza del nostro Vangelo, che noi, figli della Divina Provvidenza, sentiamo, per divina grazia, di vivere e di far vivere e risplendere in noi (Scr. 103,154).
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Fratelli, non siamo spiriti scoraggiati: abbiamo fede, più fede! Che cosa manca un po’ a tutti, a noi tutti, oggi, per adoprarci, nel nome di Dio e in unione con Cristo, a salvare il mondo e ad impedire che il popolo si allontani dalla Chiesa? Che cosa ci manca, perché la carità, la giustizia, la verità, non siano vinte, e non rientrino nel seno di Dio, maledicendo all’unanimità, che avrà rifiutato di dare il suo frutto? Ci manca la fede! “Se aveste della fede soltanto come un grano di senape, ha detto Gesù, voi trasportereste le montagne, e niente vi sarebbe impossibile”. Fede, fratelli, più fede! Chi è di noi, che crede si possano trasportare le montagne, guarire i popoli, far predominare la giustizia nel mondo, far risplendere la verità allo spirito umano, unire nella carità di Cristo tutta la terra? Dove sono questi credenti? Più fede, fratelli, ci vuole più fede! Manca la fede in quelli che bisogna salvare, e la fede manca, talora, ah! con quanto dolore dell’anima lo dico, manca o langue assai la fede in me e pur in altri di noi che vogliamo o crediamo di volere illuminare e salvare le folle. Siamo sinceri. Perché non sempre rinnoviamo la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? ci manca la fede, la fede calda! Viviamo poco di Dio, e molto nel mondo: viviamo una vita spirituale tisica, manca quella vera vita di fede e di Cristo in noi, che ha insita in sé tutta l’aspirazione alla verità, e al progresso sociale: che penetra tutto e tutti, e va sino al più umile lavoratore. Ci manca quella fede che fa della vita un apostolato fervido in favore dei miseri e degli oppressi, com’è tutta la vita e il Vangelo di Gesù Cristo. Manca la fede, quella fede divina, pratica e sociale del Vangelo, che dà al popolo la vita di Dio e anche il pane. Ecco la piaga! (Scr. 104,84–85).
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Se vogliamo oggi lavorare utilmente al ritorno del secolo verso la luce e la civiltà, al rinnovamento della vita pubblica e privata, è necessario che la fede risusciti in noi e ci risvegli da questo sonno “che poco è più morte” è necessaria una grande rinascenza di fede, e che escano dal cuore della Chiesa, nuovi e umili discepoli del Cristo, anime vibranti di fede, i facchini di Dio, i seminatori della fede! E dev’essere una fede applicata alla vita. Ci vuole spirito di fede, ardore di fede, slancio di fede; fede di amore, carità di fede, sacrificio di fede! Di fede dobbiamo riempire tutte le arterie umane, tutte le vie del mondo. Senza fede avremo il gelo, la decadenza, la morte: senza fede è sterile, è nulla, è vuota la scienza e la vita. Bisogna dunque rinascere a vita novella: a vita di fede, sovrannaturale, di fede vera, efficace, profonda, pratica: bisognerà, secondo lo spirito puro della nostra Chiesa Madre e Cattolica, lavorare e sacrificarsi per una umanità migliore, alla luce alta e consolante della fede!, se sta scritto che solo con la fede piaceremo a Dio: ricordiamo che sta anche vero che solo con la fede infocata di carità salveremo gli uomini. Potremo ancora tutto sulle moltitudini, potremo in Cristo rinnovare l’Italia e il mondo, se avremo più fede, se fede respireremo, se di fede veramente cristiana, ardente, operosa, vivremo. Un rifiorimento e viva fragranza di fede si affonda adunque sulle plaghe e pei liberi cieli d’Italia, in questi giorni di riscatto nazionale. Una divina fede risplenda luminosa grande, inestinguibile su tutta “la riunita itala gente”. La preghiera, che è necessario fare, è questa: “O Signore, accresceteci la fede!” (Scr. 104,86).
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La fede è la prima virtù del cristiano, e indirizza la ragione; noi per la fede crediamo alle verità rivelate da Dio che la Chiesa ci propone a credere. Chiediamolo a Dio che ce l’infonda nell’anima la virtù sovrannaturale delle fede; essa – l’Apostolo dice – è un dono di Dio. È il principio e il fondamento della nostra salvezza: “e senza la fede è impossibile piacere a Dio”. “Predicate il Vangelo ad ogni creatura dice Gesù Cristo. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi poi non crederà sarà condannato”. Né con ciò sostituiremo il Vangelo alla Chiesa, che anzi, come potremo noi credere al Vangelo senza la testimonianza della Chiesa? Il genere umano, come l’individuo, ha detto Cousin, non vive che di fede. La fede è la prima necessità dell’uomo; sventurato chi non crede! (Scr. 111,10).
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Fede! Fede! Fede! I Figli della Divina Provvidenza sono i figli della Fede, e Fede molta ci abbisogna, grande coraggio, sì, un santo coraggio in Domino. Preghiera e coraggio nelle prove, coraggio a proseguire avanti nel sacrificio, ché la virtù ed il bene esigono sacrifici (Scr. 115,182).
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Col santo battesimo ebbi la vera rigenerazione, operatasi in me da Cristo, per divina misericordia, ed ho ricevuto il dono inestimabile della Fede. Sono ormai 65 anni, e benediciamone il Signore! Ho pensato, dunque, che fosse mio dovere – era anche un bisogno –, non solo ricordare il grande dono che Dio mi ha fatto, infondendo in me la Fede, ma che il trattenerci, sia pure brevemente e in modo incompleto, su la Fede, e darne grazia insieme al Signore, avrebbe giovato pure al vostro spirito, poiché la Fede non è solo la divina virtù fondamentale e teologale, ma essa è anche, per noi Religiosi – e, per di più, Figli della Divina Provvidenza – la base di tutto l’edificio religioso. Figlio della Divina Provvidenza, poi, vuol dire figlio della Fede, né mai saremo veri Figli della Divina Provvidenza senza una vita tutta di Fede e di fiducia in Dio. La lettura della su accennata lettera mi commuove sempre profondamente. Seguitemi, cari figli miei. Dopo aver concluso il capo X, dicendo che «il giusto attingerà la vita dalla Fede», San Paolo entra, con pensiero profondo, a definire la Fede, e per tutto il capo XI canta la Fede dei maggiori e la vita di fede degli antichi Padri. E subito comincia: «Fede è sostanza di cose sperate, argomento di non vedute». Da Paolo prese Dante, e alla lettera prese, lui, il divino cantore della Fede: «Fede è sostanza di cose sperate, ed argomento delle non parventi». La nostra Fede, fatta potente contro ogni battaglia, diventa il più grande e divino conforto della vita umana; essa è la più alta ispiratrice di ogni valore, di ogni santo eroismo, di ogni arte bella che non muore, di ogni vera grandezza morale, religiosa e civile (Lett. II,455).
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Se non vivremo di Fede e di Carità, di che vivremo noi, o miei figli? E come oseremo dirci ancora Figli della Divina Provvidenza se non vivremo di Fede, di quella Fede, onde vive l’uomo giusto, di quella Fede grande che, occorrendo, trasporta le montagne? «Ubi est Fides vestra?». Deh! che Gesù mai abbia a rivolgerci il rimprovero rivolto ai discepoli, Impauriti dalla tempesta! La nostra Fede riposa in Lui e nella sua infinita bontà e misericordia: Egli è il Dio e il Padre nostro; è il Signore, che sempre ci conforta in ogni nostra tribolazione; è il Padre, grande e buono che ci affanna e suscita, che, se abbatte, consola e «non turba mai la pace dei suoi figli, se non per procurarne loro una più certa e più grande». Avvertite, però. Senza dubbio torna meglio per ciascuno di noi e per la nostra cara Congregazione essere esercitati nelle sofferenze e avversità, che se tutto ci andasse a seconda. Per questo, prima di partire per l’America, quando già infuriava la tempesta, ordinai quella tal Salve Regina, ad aumento di prove e di tribolazioni; oggi poi, che sto per tornare a voi, vi prego di continuarla a dire ancora, invocando l’assistenza della SS.ma Vergine. Come l’oro si prova al fuoco e l’amore coi fatti, così la Fede si prova con le opere di misericordia, si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni. Ma per la Fede le persecuzioni e i vilipendi, anziché essere cagione di separarci da Cristo, saranno, invece, accrescimento di vita cristiana, di vita veramente di abnegazione, di perfezione religiosa, di soda virtù, di verace amore a Dio ed agli uomini, di unione a Gesù ed alla Sua Chiesa. Oh non finiamo, o miei cari, di ringraziare e di benedire il Signore per il dono della Fede, e supplichiamolo che ce la accresca ogni dì più. Specie in questi tempi, osserviamo tutte le cautele – e qui parlo particolarmente ai giovani Sacerdoti ed ai Chierici – per conservare la Fede, e conservarla pura ed incontaminata: la purezza della Fede è cosa preziosa, che va anteposta a tutte le altre (Lett. II,458).
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È la Fede in Dio e nella Sua Chiesa che ci mantiene l’animo tranquillo e sereno, che ci fa sempre contenti in qualunque luogo e circostanza l’obbedienza ci pone. È la Fede che ci toglie di quaggiù e ci solleva, direi, là dove Dio medesimo vede le cose, e sì in alto ci sublima, che le basse, volubili e vane cose e i così detti beni di questa misera terra, si direbbe che si cangino quasi interamente: allora ben si capisce il «vanitas vanitatum et omnia vanitas, praeter amare Deum et illi soli servire». Oh! quanto si comprendono, allora, le espressioni di Nostro Signore ai Discepoli, quando diceva loro: «Non vi mando ai gaudi temporali, ma ai combattimenti, non ad onori, ma ai vilipendi, non ad ozio, ma a fatiche, ai sacrifici, non a riposo, ma a riportare molto frutto nella pazienza». Tutto è possibile a colui che crede, a chi sta fermo e umile nel Signore, in ginocchio ai piedi della Chiesa e di Chi la rappresenta. Oh ben vengano, dunque, e molte e grandi, le esperienze della Fede, e Dio tutti ci assista ad attuare in noi virilmente, santamente, la Fede! Sorretti dalla mano del Signore, confortati dalle benedizioni della Sede Apostolica, dei Vescovi e del nostro amato Visitatore Apostolico, non si turberanno, no, i nostri cuori. Le prove, le sofferenze, prese dalle mani di Dio, non faranno che sopraccrescere la nostra Fede, o miei figli: essa arderà di nuovo ardore, risplenderà di nuova luce, e sarà vita e calore spirituale a noi, sarà vita e luce di Cristo a turbe di poveri fanciulli d’ogni stirpe e colore, ed a moltitudini immani di operai e di popoli straviati da Cristo. Coraggio, o miei Figliuoli, ché l’avvenire è di Cristo e di chi vive di Fede, di Fede operosa nella verità e nella carità, sino a morire, sino all’olocausto, a salvezza dei fratelli (Lett. II,459).
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Coraggio, e avanti nello spirito di Fede e di fedeltà, di pietà soda, ignita: dilatiamo il cuore alla più grande fiducia, al più dolce amore di Dio e del prossimo. Dalla Fede sgorga la vita! Non in parole è il regno di Dio, ma in possanza di fede e di carità in Cristo. Spazziamo via, in questi Santi Esercizi, il vecchio lievito, purifichiamo la nostra vita, vestiamo l’usbergo della Fede, e saremo benedetti, più che i figli di Abramo. Quando in Cristo fummo battezzati allora abbiamo rivestito Cristo: ora in Cristo Gesù tutti siamo figli di Dio, per la Fede. E i beni stessi che noi speriamo, cioè la Vita eterna noi l’aspettiamo dalla Fede, per la grazia dello Spirito Santo. Siamo, dunque, forti nella Fede ed esercitiamola con le opere della carità. «Estote fortes in Fide». «Non turbetur cor vestrum» disse Gesù. «Credite in Deum et in Me credite: non turbetur cor vestrum, neque formidet». Parole di sicurezza e di tenerezza ugualmente divine! «Estote fortes in Fide!». Perseveranti nell’orazione, saldi nella Fede, piccoli e umili ai piedi della Santa Chiesa, Madre della nostra Fede e delle nostre anime, attendiamo tranquilli, sereni, l’ora di Dio. Il Signore, che, ton la Sua mano, ha asciugato tante nostre lacrime convertirà in gaudio ogni nostra tristezza: abbiamo Fede! Però, non domandiamo a Gesù che ci liberi dalle tribolazioni e dalle croci, sarebbe la nostra più grande sciagura: domandiamo Gli di fare solo e sempre la Sua volontà si e come ci sarà manifestata dalla Santa Chiesa, e questo oggi, domani e sempre, e sempre in perfetta letizia, in Domino!
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Nel nome della Divina Provvidenza, ho aperto le braccia e il cuore a sani e ad ammalati, di ogni età, di ogni religione, di ogni nazionalità: a tutti avrei voluto dare, con il pane del corpo, il divino balsamo della Fede, ma specialmente ai nostri fratelli più sofferenti e abbandonati. Tante volte ho sentito Gesù Cristo vicino a me, tante volte l’ho come intravisto, Gesù, nei più reietti e più infelici. Questa Opera è tanto cara al Signore, che parrebbe l’Opera del Suo Cuore; essa vive nel nome, nello spirito e nella Fede della Divina Provvidenza: non ai ricchi, ma ai poveri e ai più poveri e al popolo, mi ha mandato il Signore. A questo ci chiama il Signore, o miei figli: chiama noi della Divina Provvidenza; saremo noi uomini di poca Fede? Fede grande, Fede benefica, Fede immortale, che vivi e cresci ai piedi della Chiesa di Gesù Cristo, che fiorisci in carità alla benedizione del Papa e dei Vescovi, scrivi ancor questo: che le umili tende del Piccolo Cottolengo Argentina non l’uomo le ha piantate, ma la mano di Dio. Che se Dio ha scelto me, è perché non ha trovato sulla terra creatura più vile di me, onde più rifulgesse la Fede nella Sua Divina Provvidenza, e a Dio solo si desse ogni onore e gloria! Amen (Lett. II,463).
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Noi siamo i figli della fede. Che cosa vuol dire Figli della Divina Provvidenza? Vuol dire credente che, rinunciando a tutto quel che farebbe bisogno per vivere, si gettano confidentemente nelle braccia del Signore, confidando nella sua bontà che nutre i gigli del campo. Noi abbiamo ricevuto un dono inestimabile di fede, dobbiamo pregare perché sempre aumenti. Noi dobbiamo avere la fede, non in misura sufficiente, ma sovrabbondante, da dare e da riflettere, su tutti quelli che si avvicinano a noi, il raggio della fede (Par. IV,268).
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Il Figlio della Divina Provvidenza deve avere una grande fede, una grande fiducia in Dio. Egli vive di fede. Come la Sacra Scrittura dice che il giusto vive di fede, così il Figlio della Divina Provvidenza deve vivere di fede. Noi vogliamo essere una lampada ardente di fede e di amore a Dio. Molto amore verso Dio, e grande attività, indefessa. La nostra fede deve essere viva, ardente fede che arde e che splende. Dobbiamo essere una forza di apostolato di fede, di carità, di amore a Dio e al prossimo, specialmente per quello che è più bisognoso della luce di Dio. Dovunque, dappertutto e, su tutto, dobbiamo portare Gesù Cristo (Par. V,357).
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Vi parlo della fede. Ci sono gli uomini dell’arte, della diplomazia, delle scienze, dell’astronomia, dei giochi; noi, sacerdoti e religiosi, dobbiamo essere gli uomini della fede: è il patrimonio nostro. Oh la fede che apprendiamo bambini sulle ginocchia della nostra buona madre, nella nostra chiesetta ove fummo rigenerati: come dobbiamo viverla, palpitarla! La fede è la radice della nostra giustificazione: qui crediderit et baptizatus fuerit salvus erit. Noi Figli della Divina Provvidenza siamo, dobbiamo chiamarci i figli della fede; dobbiamo averla, impastarci di essa e possederla per gli altri. Il Padre Fontana, confessore del Cottolengo, diceva a coloro che parlavano male del Cottolengo per le sue stranezze, come le dicevano loro: “Ha più fede il Cottolengo che tutta Torino”. E sì che Torino allora era la cittadella della fede. Visse il Cafasso, il Cottolengo, Sebastiano Valfrè, San Massimo e altri Apostoli. Fede, fede, fede: ma di quella! Il Cottolengo assieme a San Gaetano da Thiene sono i santi della Divina Provvidenza, poiché si abbandonavano tranquillamente nelle sue mani; e i Figli della Divina Provvidenza non devono essere da meno di questi giganti della fede. Monsignor Alberti, Arcivescovo di La Plata, mi diceva: “Se un religioso, un sacerdote ha fede, abbia anche qualche difetto, qualche manchevolezza e sia caduto in basso, farà presto a liberarsi e a progredire nella via della santità e della virtù”. Mi parlava lo stesso Arcivescovo, di un suo sacerdote che era caduto molto in basso: Sì, ha sbagliato, ma era un sacerdote pieno di fede: quindi si è rialzato. Tutti abbiamo nella vita i nostri mancamenti, cadute! E chi di voi, dice Gesù, è senza peccato, scagli la prima pietra. Omnis homo mendax. Ogni uomo è peccatore: ma quando ha la fede si rialza (Par. VI,223).
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Dobbiamo vivere di fede e renderci strumenti atti a salvare molte anime. Guardate il mondo e con il petto ripieno di amor di Dio, slanciamoci alla conquista della fede! In Africa orientale i nostri soldati vanno alla conquista di denaro; noi andiamo alla conquista di anime. Anime e anime! Tre sono le vite di cui vive l’uomo: la vita dei sensi. È l’uomo che ama il fango e si rivolta nelle sue passioni; la vita del figliuol prodigo era la vita dei sensi. C’è la vita della ragione, che esclude la fede racchiudendosi nella sua intelligenza; quindi molti grandi, antichi e moderni, anche sapientissimi, caddero in errori madornali perché non erano guidati dalla fede. Vi è la vita della fede e la ragione illuminata e guidata dalla luce della fede che mai va fuori strada: allora l’uomo conosce Dio e diventa capace di vivere una vita simile a quella degli angeli. San Pietro dice: “Sumus divinae naturae consortes”, e San Paolo: “Vivo ego, iam non ego, vivit vero in me Christus”. Respiriamo Cristo, portiamo Cristo, siamo cristiani, siamo Cristofori, siamo i cristiani di vita pratica. Posta la fede in noi con il santo battesimo, si sviluppa, perché anche la fede ha le sue leggi: leggete il Vangelo e non vedrete una pagina dove non fiorisca la fede. Anche quando non la si dice, la s’intende; e quando Gesù lasciò visibilmente la terra depositò il suo sacro patrimonio alla Chiesa, colonna infallibile di verità. Sarebbe bello che dopo duemila anni di cristianesimo noi fossimo ancora animali. Gesù illumina la Chiesa affinché porti ovunque i raggi luminosi e immortali tra le tenebre del paganesimo. Anche qui ha portato i suoi missionari, uomini di fede. Dobbiamo ringraziare Dio di averci dato la fede senza nessun nostro merito (Par. VI,224).
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Noi, Figli della Divina Provvidenza, dobbiamo essere gli apostoli della fede, i seminatori della fede: Venator animarum, come San Gaetano: fede! Il comparativo non lasciamolo alle monache, il positivo lasciamolo ai buoni vecchi e alle buone vecchie; noi dobbiamo avere il superlativo ed essere alla testa. Oh, i Santi erano nostri fratelli, nostri fratelli in carne e ossa, eppure come vivevano di fede, fede viva, fede viva, fede ardente, fede attiva, fede che fa trasportare i monti! Più da vicino imitarono Gesù! Altro che superlativo! Incarnarono la fede nelle opere; il loro cuore bruciava di fede. Sentiamo la bellezza della fede. Per questo la fede dei Santi fioriva nelle loro mortificazioni, nelle loro penitenze e facevano del Signore quello che volevano. Il Signore fino ad un certo punto va avanti da sé, poi finisce per fare quello che vogliono coloro che lo amano. Dicono esse: “Signore, fa’ questo: Signore, fa’ quello! Prima dobbiamo diventare bambini nelle mani di Gesù e poi, quando siamo divenuti grandi in lui, Gesù diventa piccolo in noi (Par. VI,225).
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Le Sacre Carte chiamano dies pleni, i giorni dei Santi perché la loro vita era piena di fede. Maria Santissima è detta: gratia plena, piena di grazia, grazia per sé e per gli altri; così noi: fide pleni per noi e per gli altri dobbiamo essere. Oh, la fede come si va illanguidendo, spegnendo, in questo mondo! I popoli sono cadaveri ambulanti. Chi porterà lo spirito di fede? A che siamo venuti qui? Per fare l’apostolato di fede, far risplendere la fede in mezzo agli altri. La fede ci fa cittadini non vili. La redenzione è venuta dalla Croce, dal Trono imporporato di sangue. Re, principi, imperatori, capi di tribù, donne, donzelle, matrone, fanciulle, madri, vecchi, giovani, sacerdoti, religiosi, vedove hanno dato la vita per la fede. La fede ha ispirato i nostri grandi ingegni: Michelangelo, Raffaello, Tasso, Canova, P. Segneri, P. Agostino da Montefeltro, Fra Angelico, il Perugino, il Dolci, il Manzoni, Dante... Le belle canzoni di Sant’Alfonso e di Silvio Pellico sono piene di fede. Quello che avete cantato ieri sera “Tu scendi dalle stelle” è musicato da Sant’Alfonso. Sant’Alfonso come esalta la fede: mentre tu, Renzo, esci mezzo matto, e Sant’Alfonso è santo. Sapete? Adesso il Perosi dice Messa: oh come vorrei aiutarlo ora, io che ho la facoltà di confessare in tutte le diocesi del mondo. “Bella, immortal, benefica fede, di trionfi avvezza, scrivi ancor questo”. Noi scriviamo ancora nel cuore dei figli della Divina Provvidenza: Fede, Fede, Fede! (Par. VI,226–227).
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Figlio della Divina Provvidenza vuol dire figlio della fede e deve vivere la fede in modo speciale per sé e per gli altri. Il Cottolengo aveva più fede da solo che tutta Torino; e i Figli della Divina Provvidenza devono vivere di fede e non essere degeneri dagli esempi dei Santi che Dio ci ha dato. Anche un religioso faccia un capitombolo, se ha fede, fa presto ad alzarsi. Tutti abbiamo qualche cosa di cui pentirci; ma, quando si ha fede, si fa presto a mettersi a posto e ad emendarsi dei difetti e ci si metterà a far bene e si farà molto bene. Basta vivere di fede con il cuore pieno di amore divino. L’uomo vive tre vite: quella dei sensi, che solo si dà ai sensi; quella della ragione, che si guida con la sola ragione; quella della fede, è quella della ragione guidata dalla fede e così conosce Dio e tutto quello che Dio ci ha dato. Chi ha fede è in qualche modo partecipe della natura divina, è un vero cristiano di vita pratica. Gesù pratica e predica la fede e in tutti i miracoli richiede la fede. Cristo diede alla Chiesa il deposito della fede e la missione di predicarla a tutti. Dio fece così perché l’uomo avesse sempre la pace in mezzo alle tenebre; se non ci fosse la fede non si andrebbe che errando. Che sarebbe di noi se non avessimo la fede per vedere il male dove c’è? Si finirebbe per romperci il collo. Questa lanterna che rischiara il mondo è la fede (Par. VI,296).
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Cari figlioli, siamo davvero figli della fede; fuggiamo il peccato, male morale! Per i miei e per i vostri peccati Gesù fu inchiodato in croce. Sono stati barbari quelli che hanno inchiodato Gesù in croce, ma più barbari siamo noi con i nostri peccati. Quante volte abbiamo abbeverato Gesù con il fiele! Quanto ameremmo il Signore se avessimo un po’ di fede e quanto ne ebbero i nostri santi fratelli! Di Sant’Alfonso è la “Ninna nanna” e “Tu scendi dalle stelle”. Chi è santo canta da santo e suona da santo. Noi dobbiamo avere la fede in modo superlativo come il Cottolengo. Dire: “Credo, Domine, adiuva incredulitatem meam”. Guai se si spegne la fede, specialmente per un religioso. Bisogna avere tanta fede, e non poca; e di quella soda... I leoni, la lupa, le passioni si sentono sempre da quelli di dentro e da quelli di fuori. Come il nostro sangue che circolando dà vita, così lo spirito di fede ci conduce a fare tutte le cose. Lo spirito deve essere il sangue della nostra vita religiosa. I giorni pieni dei Santi sono così perché tutto facevano con fede e così si avvicinavano a Gesù. Il giusto vive di fede e perciò fa del Signore tutto quello che vuole! Il Signore per un po’ fa lui, poi lascia fare e operare dai Santi. Prima noi diventiamo bambini nel Cuore di Gesù e poi, noi cresciuti, “Gesù diventerà bambino nelle mani nostre”. Guai se Dio dice anche a noi: “Hai apparenza di vita e sei morto”. I Figli della Divina Provvidenza devono essere pieni di fede tanto da darne anche agli altri. La Santa Madonna è piena di grazia perché ne ha per sé e per noi, così noi siamo pieni di fede. Siamo venuti qui ad accendere la fede dove è spenta e non a fare una passeggiata. Viviamo su sabbia arida per la miscredenza. Ora chi sarà il profeta? Molti sono venuti da lontano per guastare questa gente, ecco perché questo popolo, ancora fanciullo di fede, è un poco andato giù. Perché siamo venuti qui? Forse per far soldi? Noi siamo venuti per spargere la fede e la luce della fede. Preghiamo il Signore perché questa fede di nostra madre, alimentata dai sacri ordini, la fede che ci fa cittadini del paradiso, quella fede che mosse tanti artisti come Raffaello e Giotto, che solleva i nostri soldati in Africa, non ci abbandoni mai. Oh fede ai trionfi avvezza, che scaldi i nostri cuori, scrivi domani ancor questo, che i Figli della Divina Provvidenza pieni di Te, Ti portino dove T’ignorano! (Par. VI,297–298).
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I Figli della Divina Provvidenza devono essere i figli della fede: fede in Dio, nella Divina Provvidenza; fede grande e tenerissima nel materno amore della Madonna per noi; fede nell’insegnamento della Chiesa, trasmesso a noi attraverso il Papa, il Vicario di Gesù Cristo, e i Vescovi uniti con lui; fede nell’aiuto che il Signore e la Madonna non ci lasceranno mai mancare, se noi lavoreremo secondo lo spirito della Congregazione, per i poveri, per i piangenti, i tribolati, gli infermi. La nostra fede deve essere la fede di San Marziano, ai cui piedi, si può dire, è nata la Piccola Opera, quando i primi ragazzi di Tortona venivano in Duomo a cercare il Chierico custode per avere una parola, per giocare, ma anche per imparare cose belle, per diventare migliori e più degni della Chiesa, delle famiglie, della Patria. Domani preghiamo che San Marziano accenda in tutti noi, e nei figli di tutta la Congregazione, una grande fede, un cuore dilatato per adempiere bene la nostra vocazione (Par. VII,81).
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La fede è l’adesione della mente a quelle cose sulle quali noi abbiamo speranze immortali... Credere, sperare, amare! La fede ci venne infusa nel Santo Battesimo, perché la fede è un dono, un dono come la salute; la fede è la sorella della ragione; ragione e fede sono due raggi dello stesso sole che è Dio. Con la ragione vediamo poco e male; con il telescopio della fede vediamo molto, un gran panorama, e lontano, tanto lontano! Come sono infelici quei popoli che non hanno la fede! Dove non c’è fede, dove non arriva la fede, là non vi neppure vera civiltà. Io, un giorno, nel centro del Brasile. Diedi un pezzo di sapone a un indigeno perché si lavasse e il ragazzo se lo mise in bocca e si mise a mangiare il sapone... I nostri missionari, oltre a portare la fede, con la fede portano la civiltà, la fede di Roma e la civiltà cristiana, perché è dalla romanità che parte la fede. Tutti quelli che aiutano le missioni aiutano l’opera della propagazione della fede e della civiltà (Par. VII,86).
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Noi siamo i Figli della Divina Provvidenza che vuol dire i figli della fede. Faremo tanto più bene, condurremo con noi nelle vie di Dio tante più anime, quanto sarà più grande la nostra fede! Saneremo le anime con la fede. Il mondo è ammalato, perché non ha fede; ha sete dell’acqua viva. Chi gli porterà l’acqua viva? Chi aprirà i canali d’acqua viva sul mondo, se non noi, Figli della Divina Provvidenza? Come fa piacere quando s’incontrano uomini di fede, non tra le file dei sacerdoti, ma piuttosto tra gli umili contadini, in mezzo alla campagna, tra i figli dei lavoratori. Quanta fede c’è ancora nel popolo. Potremmo essere Figli della Divina Provvidenza se non vivessimo di una grande fede? Non saremmo noi degli ipocriti? Dobbiamo invece vivere di una fede che tutto vince e trasporta, anche le montagne (Par. VIII,49).
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Finché i Figli della Divina Provvidenza avranno Fede, i Figli della Divina Provvidenza vivranno! Quando i Figli della Divina Provvidenza non avranno più Fede, saranno scheletri ambulanti, saranno fantasmi; non si farà più nulla di bene! Preghiamo, miei cari, che per intercessione dell’Apostolo San Tommaso, che fu vacillante nella Fede, ci voglia il Signore concedere la Fede. La Fede si conosce dalle opere: “Fides sine operibus mortua est”. Le opere originano dalla carità. Nei Figli della Divina Provvidenza deve tanto risplendere questa Fede da essere luce agli altri. Solo la Fede deve guidare il nostro cammino, solo la Fede deve sorreggere le opere nostre (Par. VIII,256–257).
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Dicendo Opera della Divina Provvidenza diciamo pure opera di fede per eccellenza. Non si può confidare nella Divina Provvidenza senza fede, senza grande fede. Il religioso figlio della Divina Provvidenza, non deve avere semplicemente fede, deve essere l’uomo della fede, deve vivere plenus fidei, ripieno di fede. Senza denaro, senza ricordi umani deve appoggiarsi. Il Figlio della Divina Provvidenza è stato obbligato a intraprendere e di fatto costruisce nel nome di Dio grandi imprese e opere in favore dei poveri, fidato unicamente nella Provvidenza, animato e sostenuto dalla sua grande fede, per la fede eroica che opera miracoli e muove le montagne. Le opere umane si appoggiano nel debole bastone dei mezzi e soccorsi umani: capitale, poteri pubblici, protezione da parte dell’autorità, talento e ingegno, invece le opere della Divina Provvidenza valendosi dei mezzi umani e razionali che sono indispensabili, si appoggiano essenzialmente in Dio. Sono soprattutto opere di fede e generazioni di miscredenti, materialiste, atee, davanti a quest’opera dovranno toccare con la propria mano e vedere con i propri occhi malati di prevenzione e di assurdità che est Deus in Israel, cioè che vi è Dio in Israele. E questa fede realizzata nelle opere di cristiana carità servirà come un faro di luce che le costringerà a confessare infine che Dio esiste e allora si convertiranno. Ecco perché diciamo che l’Opera della Divina Provvidenza è opera provvidenziale di fede e di amore appropriata ai nostri tempi (Par. IX,328).
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Noi dobbiamo corrispondere alla vocazione alla fede e anche ad una più alta chiamata, quella di divenire apostoli di Fede tra i nostri fratelli. Quando oggi ci porteremo dinanzi all’Immagine di Gesù Bambino dobbiamo ringraziarlo della luce della Fede, specialmente dobbiamo pregarlo che la faccia discendere su tutti i popoli. Dobbiamo ravvivare in noi la Fede, supplicare il Signore che ci faccia conoscere quello che dobbiamo fare per vivere nella fede con sincerità e perseveranza, quello che ci resta da fare per mantenersi fedeli – cioè pieni di fede –, nella nostra vocazione e nella potenza di Dio anche nell’avvenire del mondo, mentre i popoli errano nelle tenebre così lontano da lui (Par. X,20–21).
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Quanto è bella la nostra fede! Che grande conforto essa dà al nostro animo nell’ora del dolore! Chi ci sorregge, chi sparge il balsamo sulle ferite nei dolori fisici e morali? La fede. Chi ci conforta nei momenti della prova? La fede; solamente la nostra fede. Fede grande, immortale: la quale ci dice che domani si volterà la pagina della nostra vita e raggiungeremo le anime legate a noi da vincoli di sangue, di amicizia... Quanto dobbiamo ringraziare Dio per il gran dono della fede, e pregarlo che voglia aumentare sempre più quella fede consolante, dolcissima, che ci tiene uniti anche a coloro che la morte ha tentato di strappare a noi (Par. XI,279).
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Noi, Figli della Divina Provvidenza, dobbiamo vivere già di fede: sarebbe ironia chiamarsi Figli della Provvidenza e non vivere di fede. Ma non una fede morta, blanda, una fede tarda, una fede tiepida, ma viva, ma fervida, ma operosa! Dobbiamo essere anime operose: nulla dies sine linea, nessun giorno deve passare senza un’opera buona, senza un’opera ispirata ad una fede viva, una fede attiva, una fede che sia irradiazione della luce di Dio, irradiazione della bontà di Dio a vantaggio di quelli che ci stanno attorno (Par. XII,44–45).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Debiti, Divina Provvidenza, Sette “effe”, Unione con Dio.
Felicità
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Vedessi quante miserie e insieme quanta felicità! I re nei loro palazzi non sono più felici dei nostri storpi, ciechi, epilettici, sordomuti e delle nostre povere deficienti e vecchie malate. Domenica fui a Genova in mezzo a tanti bambini e bambine, orfanelle e derelitte, tolte dalla strada e peggio. Se avessi veduto che felicità e quanta gioia in quei piccoli innocenti. Nessun figlio o figlia di re poteva essere più contenta! E la Divina Provvidenza ci pensa! (Scr. 7,327).
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Abbiamo dei chierici, del personale, dei sacerdoti, degli eremiti, se saremo taciturni, pensierosi sempre, diventeremo loro pesanti, non faremo amare la Casa, la Congregazione: noi non siamo trappisti: noi siamo i gaudenti della Carità: noi siamo i santi dell’allegria. Guai se avremo sempre un fare e una faccia da quaresima! No, no, voglio star allegro e ballare in Domino anche in quaresima! Se saremo tristi, come faremo la felicità di chi sta con noi? Noi dobbiamo irradiare la gioia, la letizia di Dio, la felicità di Dio: far sentire che servire e amare Dio è vita, è calore, è ardore, è vivere sempre allegramente e che solo i servi di Dio sentono la pace gioiosa e il bene e la gioia santa della vita. Niente cappa di piombo, né su di noi né su chi sta con noi! Cantate! Suonate! Letiziatevi in Domino!: riempite la Casa di soave festosità (Scr. 21,179).
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Di tutte le cose che sono sotto il cielo riflettiamo bene che non ve n’ha una che ci consoli veramente e ci riempisca il cuore che è fatto per Dio: che non ve n’ha una che ci possa rendere paghi e felici, tranne il Signore, celeste medico delle anime e pace dei cuori. Ma questa pace e felicità di spirito non la avremo se, come diceva Santa Caterina da Siena, non andremo con il giudizio nostro, ma «pigliamo il giudizio nella dolce volontà di Dio» (Lett, c. 4), e la volontà di Dio non la mettiamo nel nostro cervello, come la donna Prassede del Manzoni (Scr. 26,173).
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Quando c’è buono spirito e la carità che è il precetto del Signore, tutto va avanti e tutti i figli sono contenti anche nelle privazioni e vivono felici! La carità è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo: è umile e annega sé stessa: si fa tutto a tutti: compatisce gli altrui difetti, è illuminata e prudente: gode del bene delle persone e desidera accertarsene ella stessa. la carità ha grande stima di tutti i prossimi: interpreta le parole e azioni altrui nel modo più favorevole e ripone la sua felicità nel poter far ogni bene agli altri (Scr. 29,20).
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Cerchiamo di vivere noi, o miei dolcissimi fratelli in Gesù crocifisso e nella dolce nostra Madre, viviamo nella preghiera, nel lavoro, nella umiltà e carità fraterna e così sentiremo la soavità e la felicità della vita lontana dal mondo: della vita religiosa e saremo, come già i primi cristiani, di edificazione agli altri e così ci conosceranno per i servi di Gesù Cristo! (Scr. 35,244).
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Nella conformità alla volontà di Dio dimora tutta la virtù e anche la felicità delle anime che seguono Gesù Cristo e la chiesa. Non v’è bene migliore che quello di spogliarci della propria volontà in tutte le cose per l’amore di Dio. Beati quelli a cui la parola divina: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso, ha penetrato le ossa e le midolla (Scr. 50,181).
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I dolori de la vita sono grandi: su la terra la felicità ci illude e passa; l’amicizia vien meno, si stanca, scompare: la speranza si sfoglia e s’inganna! Anima afflitta, passeranno i tuoi dolori e sopravviverai ancora: passerà la felicità, l’amicizia, la speranza, passeranno tutti i disinganni de la vita e tu vivrai tranquilla e felice sul cuore del tuo Dio: o anima afflitta, tutto passa quaggiù, coraggio, avanti, ancora! (Scr. 57,127).
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La modesta e più sicura via per essere felici è amare Dio, vivere tranquilli nel proprio stato. Non che sia colpa il procurarsi uno stato migliore con mezzi leciti, ma, generalmente la soverchia ambizione di far fortuna e, come si dice di migliorare la propria condizione e progredire, toglie quel certo che di Patriarcale, che vincola il figlio alla condizione del padre e ciò specialmente negli agricoltori, che formano il nerbo principale della nostra patria (Scr. 64,253).
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Il mondo promette la felicità, la pace, ma può egli mai darla? No! Tutti i beni che egli offre sono caduchi e labili e non saziano il cuore dell’uomo, che non può pascersi né trovare requie in ciò che è fugace: il nostro cuore, fatto per Dio, solo in Dio troverà la sua felicità e la sua pace. Lo disse già assai scultoriamente il grande Agostino: “Ci hai fatti, o Signore, per Te; e il cuor nostro sarà sempre insoddisfatto e inquieto, sinché non riposi in Te!” (Scr. 82,30).
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L’uomo sente e vede che amar Dio al di sopra di tutte le cose, amare tutti gli uomini come sé stesso, dare il proprio cuore, la propria anima, il proprio spirito, le proprie forze per rendere gli uomini migliori è più felici, è la via per andare a Lui, è felicità, è vivere della verità e della carità che è Cristo, è vivere noi e dare vita vera ai fratelli (Scr. 86,98).
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La più sicura via per essere felici è amare Dio e vivere tranquilli nel proprio stato (Scr. 96,30).
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Annegare noi stessi, compatire i difetti farci tutto a tutti, godere della prosperità delle persone e riporre la nostra felicità nel fare ogni bene agli altri vincendo il male con il bene: questa è carità fraterna (Scr. 100,203).
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Si agitano gli studenti, si agitano le classi sociali, s’incalzano come le onde incalzate dall’onde in moto perpetuo; senza saperlo cercano Dio. Fecisti nos ad te inquietum est cor nostrum dones requescat in te! Cercano la felicità e la felicità è in Dio (Scr. 102,97).
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Chi fa opere pietose, le faccia con ilarità. (San Paolo, ai Rom. XII, 8–9) È necessario soccorrere i poveri, ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale ha detto: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere”. (Atti degli Apostoli XX,35) Non dimenticarti di esercitare la beneficenza e di far parte dei tuoi beni agli altri; perché di così fatti sacrifici Dio si compiace. (Ebr. VII,16) (Scr. 110,190).
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Siate umili, vivete nell’umiltà, animate dallo spirito di pietà, amate il lavoro, santificato dal Signore, fate sempre, ad ogni istante, quel che vuole lui, come vuol lui. Si è felici facendo sempre la sua santa, adorabile volontà! (Par. I,30).
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Quando in una comunità c’è l’amore vicendevole, quando una gode del bene dell’altra come di bene proprio, allora la casa diventa un paradiso. Anche nella più grande povertà, anche vestendo abiti alla buona, in una povera casetta, ma unite nella carità, quando ci si compatisce e si gode del bene delle altre, si è felici, veramente felici (Par. I,203).
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Che cosa dovremo imparare dal Cuore di Gesù. Discite a me. Ce lo dice San Matteo al Capo XI riportando le parole stesse del Salvatore: Discite a me quia mitis sum et humilis corde; e aggiunge: Et invenietis requiem animabus vestris. Se volete che le vostre anime trovino la pace, il riposo, la requie, se volete che trovino la beatitudine, la pace, la felicità, a cui l’anima naturalmente aspira, – perché tutti desiderano la felicità –, se volete che le vostre anime trovino la pace a cui aspirano, imparate da me che sono mite e umile di cuore... È quello che domani io e voi, dobbiamo implorare dal Cuore di Gesù (Par. VII,72).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Gioia.
Figlie della Madonna della Guardia
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Direi di mettere a S. Sebastiano Curone la nuova famiglia religiosa delle figlie della Madonna della Guardia, tutte loro, così suor Francesca resta là, dove fa bene ed è ben vista e conosce persone e cose; e rimane là come Superiora. Parlatene al canonico; già in chiesa c’è la statua della Guardia (Scr. 18,32).
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Direi di iniziare subitissimo la famiglia delle figlie di N. Sig.ra della Guardia, e a S. Sebastiano Curone dove ora sono con suor Francesca che è sicura e conosce il paese (Scr. 18,34).
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Grazie a Dio sto bene, ma in questi giorni sono stato dissanguato dalle zanzare, giorno e notte. Deo gratias! Va bene per le figlie della Madonna della Guardia Deo gratias et Mariae! Tutto tutto bene e il Magnificat e la Salve Regina, e la triplice recita della preghiera alla Madonna della Guardia, e il quadro di essa in tutte le stanze. La SS.ma Vergine le conforti e benedica! (Scr. 31,153).
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Gesù e i poveri, ecco i sacri amori di santa Caterina da Genova. Hanno bisogno le nostre malate, i nostri cari vecchi, i nostri orfani di contemplarla la loro Santa, di sentirsela vicina, sempre viva, sempre pietosa sempre Madre e Apostola di carità. Hanno bisogno del conforto della Santa e della celeste protezione i sacerdoti, le suore missionarie della carità, le Figlie della Madonna della Guardia e tutte le anime generose dei benefattori che coadiuvano e concorrono pel Piccolo Cottolengo (Scr. 83,75).
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Ai carissimi Figli della Divina Provvidenza: Sacerdoti, Chierici, Eremiti ciechi e veggenti, agli Aspiranti, detti Carissimi e ai probandi. Alle Suore: “Missionarie della Carità”, alle cieche “Adoratrici del SS.mo Sacramento” e alle “Figlie della Madonna della Guardia”. Agli indimenticabili miei Benefattori e Benefattrici, nonché ai cari miei orfani: ai nostri buoni Vecchi e Vecchierelle, a tutti i Ricoverati, sani o infermi; ai Giovani, che vengono educati negli Istituti e Scuole della Piccola Opera, e a quanti vivono nelle case della Congregazione, sotto lo sguardo materno della Divina Provvidenza. A tutti e a ciascuno mando in Domino il mio saluto più cordiale e il saluto fraterno di questi nostri Sacerdoti, Chierici, Eremiti e Suore “Missionarie della Carità”, che lavorano nella vigna del Signore in Brasile, nell’Uruguay e nell’Argentina (Scr. 119,89).
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Grande grazia fa a voi che vestite l’abito religioso, grande grazia fa a voi che fate i santi voti! E voglia Dio concedermi la gioia di dare presto il santo abito a voi che ancora non l’avete; affrettate così con la vostra preghiera e con la vostra buona condotta, da Missionarie della Carità, e da Figlie della Madonna della Guardia, e da vere Sacramentine, il mio voto di potervi dare l’abito religioso. E voi che spogliate l’abito secolare, ricordatevi che non è l’abito che fa il monaco (Par. II,160).
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Le ammonizioni che vi ho date siano per tutte, per le Missionarie, per le Sacramentine, per le Figlie della Guardia. Raccomandiamoci alla Vergine Santa che ci tenga tutti sotto il suo manto. Mettete i vostri buoni propositi nelle sue sante mani e disponetevi a rinnovare i vostri Santi Voti (Par. II,227).
Vedi anche: Dame della Divina Provvidenza.
Filosofia
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So bene che la filosofia cristiana come la teologia per te sono o si trasformano in luce di Dio e amore di Dio e dei fratelli. Tutto lo studio e la cultura rivolgila, o figlio mio, per l’eterna salute tua e altrui, per la tua e altrui santificazione, per la gloria di Dio e il servizio della Chiesa di Gesù Cristo. Lo studio e le cognizioni non rendono superbi, quando si acquistano con retta e pura intenzione della gloria di Dio e della carità del prossimo, deponendo la mente e le attitudini nostre come una forza ai piedi e al servizio della Chiesa. Il primo fine per cui ti ho indirizzato a Roma è stato perché tu potessi con lo studio della sana e purissima dottrina cattolica conoscere sempre meglio Dio e Lo potessi meglio amare: conoscere meglio la «columna veritatis», «columna et firmamentum veritatis» che è la Chiesa, come la chiama San Paolo, e potessi amarla ognora più e diventare una energia razionale a sua difesa e a suo servizio: conoscere meglio dal centro del Cristianesimo i bisogni delle anime e poterle meglio assistere, istruirle un giorno, illuminarle e salvarle, con il divino aiuto che non ti mancherà (Scr. 31,223).
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Questo nostro Liceo si chiamerà: «Institutum Philosophicum Congregationis Filiorum Divinae Providentiae», perché lo studio della cristiana filosofia dovrà tenervi il posto più eminente come è mens della Santa Sede. Si sono scelti gli autori e i testi più indicati, e sono circa cento i chierici che bisogna provvedere subito di libri. Verrebbe una spesa molto forte, di alcune decine di migliaia di lire. Ma come si fa? “Senz’armi non si fa la guerra”, e senza libri di testo non si può far scuola né pretendere che gli alunni profittino nelle varie materie di insegnamento. Per questo, mi rivolgo con fiducia a te di urgenza, perché tu con ogni impegno e sollecitudine, veda se, tra i libri di codesta Casa, vi fossero copie degli autori e delle Opere qui appresso elencate (Scr. 36,235).
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Io non ho potuto studiare, e sento tutta la mia deficienza, ma voglio che i nostri con umile, retta e pura intenzione della gloria di Dio e della carità del prossimo, studino; e perché sento che tutte le scienze, e massime le teologiche, hanno bisogno d’una sana filosofia, per questo da oggi grazie al Signore per l’Istituto filosofico, che intendo curare e amare, e per esso farò qualunque sacrificio, tale e più che fosse un nuovo Santuario alzato a Dio e alla sua chiesa (Scr. 50,51).
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Ogni scienza umana, e anche la filosofia, diventerebbe insulsa, se pur non gonfierebbe, se l’amore di Dio non le dà il giusto sapere spirituale, e non la dirige a retto fine che San Tommaso venga a confortarci su questo cammino, su questa diritta via, e aumenti in noi, o miei figli, questo spirito tradizionale della chiesa, nostra madre (Scr. 52,159).
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Io desidero che abbiate un grande amore amore alla filosofia, che la studiate e impariate a conoscere e a venerare i padri della filosofia cristiana io aspetto da Dio e dal tempo l’effetto delle mie cure ad alcuni di questi fratelli. Desidero che ogni laurea di lettere o scienze, e messa la per dare campo alla filosofia e alla teologia, e tanto è la stima che dobbiamo avere del Sacerdozio (Scr. 56,100).
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Bisogna risanare le menti con il diffondere e infondere nelle teste giuste idee, sani principi, una filosofia cristiana: solo ma dottrina filosofia solida e cristiana rialzerà la causa della religione e gioverà oltre modo alla stessa Italia: tutte le scienze, e massime le teologiche, hanno bisogno di una sana filosofia. Non sarete mai buoni teologi, se non sarete prima buoni filosofi diceva Mons. Daffra. Solo la filosofia cristiana può dare un fondamento scientifico alla sacra teologia. Nostro donno e Maestro è San Tommaso d’Aquino. Io Vi scrivo precipuamente nel desiderio di promuovere di più fra i nostri Chierici l’amore e lo studio della filosofia e della teologia (Scr. 56,102).
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La filosofia cristiana, veneranda per autorità e per ragione, è la sola capace di stare a petto alle furibonde insanie del socialismo che altro non sa darvi che una fede e una religione vaga dell’avvenire, desolatrice (Scr. 77,151).
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Voi che uscite dai Licei dello Stato, sapete che ironia, che stupidità di filosofia avete udito su quei banchi. Una sana filosofia aiuterà molto, ai nostri tempi, la causa della religione, e sarà a voi necessaria per dare un fondamento scientifico alla teologia. Tutte le scienze, ma massime le teologiche, hanno bisogno d’una buona preparazione e d’una base filosofica che sia granito. Deus scientiarum Dominus, come avrai letto nella lettera a Sparpaglione. Non dobbiamo invanire per la scienza, ma dar lode a Dio, del quale è un raggio: Deus scientiarum Dominus, e benedire al Dio Signore delle scienze e Padre dei lumi... Lo studio e le cognizioni non rendono superbi, quando si acquistano con retta e pura intenzione e quando tutti i nostri studi pervengono fino al Vangelo e vengono deposti ai piedi della Chiesa di Dio. Perché gli studi si devono prendere come un mezzo per elevarci a Dio, per conoscere Dio e per poterlo meglio amare e per poter meglio amare e servire la Chiesa, per conoscere i bisogni del prossimo e poterlo meglio assistere. Allora la scienza non è insulsa, quando l’amore di Dio, della Chiesa e delle Anime la anima, e lo studio diventa bello, consolante, profittevole: allora la scienza diventa carità e vita (Scr. 86,51).
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Il bisogno maggiore oggi di chi studia è una solida e cristiana filosofia. Bisogna aggiustare le teste, infondere in esse idee giuste, mentre sono in voga dottrine sballate, e si va perdendo fin il senso comune. La sola filosofia ci aiuterà molto a servire efficacemente la causa della religione (Scr. 99,271).
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Codesto triennio di studio ho voluto di proposito chiamarlo “Institutum Philosophicum”, non solo perché tutte le scienze, e massime le teologiche, hanno bisogno di una sana filosofia, ma perché la nostra Congregazione ha supremamente bisogno di una base ferma, granitica, dottrinale nella filosofia cristiana, che ha, Maestro e Duce, San Tommaso d’Aquino, che nomino Patronato principe dell’Istituto nostro filosofico, come è Principe della Scuola Cattolica (Scr. 99,273).
Vedi anche: Anticlericalismo, Liberalismo, Modernismo, Scienza, Scuola, Studio, Università popolare.
Fortezza (virtù)
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È vero, la Provvidenza ci mette talora in circostanze difficili, ma è perché ci esercitiamo nelle virtù della fede in Essa, dell’abbandono in Essa e della fortezza. È necessario essere forti e costanti nel fare il bene, e fare quello che si può, e il resto star tranquilli che lo fa la mano del Signore. Che siamo mai noi? (Scr. 4,148).
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Sta’ saldo, e in perseveranza: come l’oro nel fuoco, così l’amore e la fede alla Congregazione si prova nei dolori e nei cimenti. Non si turbi il cuor nostro e non tema: Non turbetur cor vestrum, neque formidet: sii longanime e forte nell’amare, confortare, compatire i tuoi fratelli, come una madre con i figliolini suoi (Scr. 4,239).
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Infondi nelle anime dei nostri una forte volontà e un’alta idea del loro dovere religioso: forma il loro carattere morale, ancor debole e vacillante, con la luce di Dio e con costanza e fermezza. Invigila di continuo, come fa un cuore che ama e che ama in Dio, e perciò sempre teme. Ricorda loro di frequente che tutto il fondamento del Vangelo consiste nell’abnege, nella mortificazione interna ed esterna, e che, senza mortificazione e orazione non si arriva alla perfezione (Scr. 8,171).
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Prega, vigila su te stesso, e abbandonati nel Signore, quando ci abbandoniamo in Dio, allora Egli ci dà il suo coraggio e la Sua stessa fortezza (Scr. 22,220).
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Siate forti nella umiltà, nella disciplina dell’obbedienza e nella concordia di Dio! Formate con lui un cuor solo e un’anima sola e aiutatelo a portare la croce che gli metto sulle spalle, aiutatelo con la vostra preghiera, sempre uniti, sempre pronti a soffrire con lui. Per l’amore di questo spirito di unità Dio mi ha dato grazia di soffrire qualche cosa anche al Brasile, e altri patimenti mi aspettano, e aspettano anche voi, o figli fedeli e umili, ma fede e coraggio! queste sono le prove dell’amore di Dio, e un giorno Deo adiuvante, glorificheremo Gesù Cristo insieme, e lo benediremo in eterno per le sue misericordie sopra di noi (Scr. 29,199).
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Le contrarietà dobbiamo sostenerle con cristiana rassegnazione e fortezza d’animo: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere nella tristezza. La confidenza in Dio le sia balsamo per tutti i mali (Scr. 38,195).
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Il Signore ci mostri per il suo consiglio le sue vie, regga i nostri passi: ci guidi e preservi dai pericoli. Discenda in noi quel dono della fortezza che è virtù cardinale: la fortezza che rese invitti i martiri, e trasformò in eroine di Cristo tante deboli donzelle. Venga su di noi e dentro di noi quella pietà soprannaturale che fa docile lo spirito, e ignita di fervore santo l’anima (Scr. 39,52).
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Siate forti, costanti e perseveranti nella vocazione, e non vi sia demonio né creatura che vi faccia volgere il capo indietro a mirare il mondo, perocché solo la perseveranza è coronata. Destati, destati, figliuolo dal sonno e dalla tiepidezza del tuo cuore, e tuffarti nel sangue di Cristo acciocché tu arda della divina carità, e tutto virile discendi sul campo delle battaglie di Dio a fare grandi fatti (Scr. 57,86).
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Preti, ci vogliono, e santi preti! Sacerdoti di uno spirito illuminato, di un petto che sfidi la fortezza apostolica e di un carattere intransigente e papale. Preti, di azione, preti di preghiera, preti di sacrificio! Anime! anime! Preti sitibondi di anime, che tutto diano, anco sé stessi per Cristo per le anime e per il Papa: solo questi, ed è questo solo il farmaco della società incancrenita (Scr. 59,156).
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Siate forte e superiore alle difficoltà e siate felice di fare qualche sacrificio per Gesù Cristo. Confidiamo nel Signore e nella Madonna, e Dio e Maria SS.ma vi aiuteranno. Non dovete poi con la fantasia rendere grandi le difficoltà, ma dovete avere un pensare virile e da religioso! Via ogni pigrizia e viltà d’animo! Dio Vi penetri del Suo spirito! (Scr. 74,127).
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Poi attendano con ogni fortezza d’animo al disprezzo del mondo, e di tutte le cose del secolo, e secolarizzanti, e si mettano con fervore nel servizio di Dio, e procurino sempre questo santo fervore, e fervore di carità di Dio dolcissimo e di Maria dolcissima, perché questo fervore sarà stimolo a farli pronti nel servizio del Signore e nella Santa Obbedienza e farà che le loro opere siano grate a Dio e a chi fra essi fa le veci di Dio (Scr. 89,165).
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È inutile stare qui a sospirare, perché non si può venire: Iddio dispone così, malgrado ogni migliore mia volontà, e accettiamo la volontà di Dio, o le sue permissioni, con fortezza cristiana, e caviamone il migliore vantaggio che per noi e per gli altri è possibile. Quando si fa tutto quel poco che si può e si deve fare, non c’è da inquietarsi (Scr. 103,64).
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Buone figliole del Signore, preghiamo lo Spirito Santo che si degni di scendere sopra di noi con il dono della Fede e del Consiglio, per non sbagliarci nel sentiero della vita; con la pietà e con la fortezza, per essere perseveranti e forti nel servizio di Dio. E come il Santo Spirito è sceso sulla Vergine Santissima e sugli Apostoli con la pienezza dei suoi doni, scenda pure sopra di voi, e vi faccia pie, buone, forti, vere cristiane, per potere un giorno andare tutte a godere della pienezza della gloria in Paradiso (Par. I,26).
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Esto vir! Essere forte nella costanza del bene e vincere, con la bontà e con il bene, il male. Esto vir nella costanza, nella battaglia contro le passioni, nella fortezza per mantenersi fedeli a Dio in tutto. Esto vir per mantenersi fedeli ai doveri di ogni genere e sotto ogni riguardo: doveri religiosi, doveri per quanto si riferisce alla pietà, allo studio, alla disciplina, alla osservanza delle regole. Esto vir! Mantenersi fedeli, di carattere forte, costante... Esto vir... Essere calmi nelle prove. La vita è una milizia, la vita è pugna, la cui palma è il cielo. Esto vir! Sii un uomo! Esto bonus miles Christi! Sii buon soldato di Cristo se vuoi meritare un giorno la corona, che si darà a colui che non ha piegato e non a chi sarà stato un debole, un fiaccone per non dire un disertore e un apostata. Esto vir! Sii uomo forte da meritare di vincere il rispetto umano nel fare il bene. Esto vir! Sii veramente un chierico pio, composto, raccolto, modesto. Edifica i tuoi confratelli e quanti ti vedranno con la tua fermezza, con il tuo carattere; edifica con le tue virtù, con la compostezza, dignità di comportamento quanti ti osserveranno. Esto vir. Non essere di quelli che sbandano e ondeggiano e non valgono niente per sé, per la Chiesa, per la società (Par. IX,400).
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La pietà nostra deve essere una pietà tale da resistere alla tentazione e non da piegarsi ad essa. Vengono le ore della tentazione per tutti, ma specialmente per chi si dà alla vita religiosa, alla perfezione; e bisogna affrontarla, se no non si è religiosi. Non resisterà alla tentazione chi non ha una pietà forte; diversamente si piegherà come una canna che si piega ad ogni soffiar di vento. Chi invece ha pietà forte resisterà ai venti e ai turbini della tentazione, come la quercia della foresta. La pietà dei Figli della Divina Provvidenza deve essere forte per soffrire nella Congregazione e sopportare le diversità di carattere che si incontrano sempre nelle Congregazioni religiose, specialmente se non sono formate da elementi della stessa terra. La nostra Piccola Congregazione riceve gente da ogni Paese, dalla Polonia, dal Brasile, dall’Argentina, da ogni parte, elementi non omogenei; e quindi si hanno diversità di caratteri. La nostra pietà deve essere forte tale da poter sopportare la diversità dei caratteri, non solo senza che si abbia a creare delle crepe, ma in modo che si abbia motivo di amare Dio, di intensificare l’amore ai Confratelli, di cementare l’unione e la fraternità nella carità di nostro Signore Gesù Cristo. Ma ci vuole una pietà forte! La nostra pietà deve essere forte per correggere le nostre debolezze, i nostri difetti, i nostri mancamenti, le nostre inclinazioni e per non cedere ai difetti dei Confratelli non esemplari, per non cedere davanti ai tiepidi, ai poco osservanti, ai languidi, ai mormoratori, ai sussurroni; per non cedere ai sempre malcontenti, per non cedere ai nostri e altrui difetti; ma lottare con gagliardia, resistere, e non piegarsi alle debolezze dei nostri Confratelli poco esemplari! La nostra pietà deve essere forte, forte, per disprezzare i giudizi del mondo e di quelli che non hanno buono spirito. Deve essere forte per pesare bene ciò che è giusto e retto; pietà forte per fare la tara di quello che non è giusto, che non va per noi, che non va per il Signore, per non lasciarsi vincere dai sofismi (Par. X,190–191).
Vedi anche: Croce, Pazienza, Penitenza (virtù), Privazioni, Rinnegamento di sé, Tentazioni.
Fratelli coadiutori
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C’è un folto stuolo di Chierici e stiamo preparando anche i fratelli Coadiutori; e già ne abbiamo parecchi. Solo quelli che superano i 20 anni a Tortona non stanno nella cappella interna, compresi i Chierici di oltre 20 anni. Pregate che perseverino! (Scr. 1,93).
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Vi do la notizia che il I agosto si imbarcheranno sul «Giulio Cesare» quattro nostri Sacerdoti e due fratelli Coadiutori: due Sacerdoti vengono pel Brasile, e gli altri due con i fratelli Coadiutori sono destinati per l’Argentina e l’Uruguay. Sia i Sacerdoti che i fratelli Coadiutori sono tutti Religiosi con voti, di buono spirito, sani e dai 25 ai 35 anni. I due Coadiutori provengono dalla Casa di Voghera, e, tolto che non hanno la Messa, sono tali da stare a pari di qualunque nostro migliore Sacerdote, fedeli, pii e abilissimi e attivi, e di buona presenza; anch’essi vestono come i Sacerdoti; non dovranno studiare latino, ma farsi santi così (Scr. 1,95).
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I due Chierici che ho mandato sono per iniziare in Argentina e Uruguay il ramo dei fratelli Coadiutori, non già per farsi Sacerdoti: stiamo attenti! Vedete di completare la loro formazione religiosa, e che non si attacchino ai ragazzi (Scr. 1,100).
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Vedrò tuttavia di mandarvi altri come i due fratelli Coadiutori o Catechisti, che vi ho mandato ultimamente, e che ora avete a Victoria Essi devono abilitarsi nella lingua spagnola e diventare bravi Catechisti e anche Maestri, ma assolutamente non devono studiare latino né avere il prurito e la velleità di essere poi Sacerdoti: devono farsi santi così, ed essere le braccia della Congregazione (Scr. 1,103).
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La grazia di Gesù Cristo e la sua pace siano sempre con noi! Gli Esercizi Spirituali, per i Confratelli Coadiutori, per i Chierici e Sacerdoti della Piccola Opera della Divina Provvidenza, quest’anno si tengono nella nuova Casa, aperta in Montebello (Voghera), destinata a studentato dei Chierici. Essi sono obbligatori per tutti, anche per quelli che, durante l’anno, già li avessero fatti, in preparazione agli Ordini Sacri, o per altre ragioni (Scr. 3,460).
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Lo scopo dunque della presente è di dirvi che con assai grande consolazione vi ricevo tra i fratelli religiosi dell’Opera della Divina Provvidenza nel nome SS.mo di Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso e di Maria SS.ma Immacolata e San Giuseppe e dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Santi nostri Protettori. E ormai credo giunto il tempo nel quale non dobbiate più differire la Vostra offerta a Dio, non temete: confidate nella Divina Provvidenza e in Maria SS.ma Madre di questa Opera, il Signore che ha cominciato in voi l’opera buona Egli la perfezionerà! Voi passerete dunque con ogni sollecitudine alla Casa di S. Remo dove per queste prime settimane dell’anno aiuterete il nostro fratello Don Goggi amandovi fraternamente nel Signore – come pure a lui scrivo – e adoperandovi con grande carità mutuamente a farvi santi, ai piedi di quella Nostra Santa Madonna. Dopo, quando il Convitto sia avviato, voi e il Ch. Ferretti che trovasi colà, farete 10 giorni di Santi Esercizi insieme, ed insieme farete i Santi Voti o nel dì di S. Stanislao Kostka o la festa dell’8 Dicembre della Immacolata (Scr. 6,6).
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Quanto ai fratelli coadiutori, preferirei che vestissero l’abito borghese, possibilmente nero, come fanno i salesiani. È vero che Sua Emin.za il Card. Boggiano ha posto nelle Costituzioni che vestano la talare, senza colletto bianco, ma, se la S. Sede mi lasciasse libero, preferirei come i Salesiani, però io obbedirò volentieri in Domino (Scr. 19,168).
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Carissimo in Gesù Cristo, ti prego, entro non più di tre giorni dacché avrai ricevuta la presente, di riunire in chiesa o nella cappella della Casa a cui presiedi, i confratelli sacerdoti, eremiti, chierici, novizi e quei coadiutori che, anche senza voti, pure da anni lavorano insieme con noi come moralmente aggregati alla nostra Congregazione. Recitate tre Ave Maria, prima e dopo, con Pater, Ave e Requiem in fine per i nostri confratelli già passati alla eternità, darai loro lettura della presente comunicazione (Scr. 24,59).
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Domani abbiamo qui la partenza di 14 missionari, nessuna suora in questa spedizione, sono quattro sacerdoti, sei studenti di teologia e gli altri sono fratelli coadiutori già con voti. Imbarcano a Napoli l’11 mattino, sull’«Oceania» e li accompagnerò sino a quel porto (Scr. 26,122).
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I fratelli di questa società faranno tre voti semplici di castità, di povertà e di obbedienza, emessi i quali vengono annoverati fra i coadiutori dell’Opera della Divina Provvidenza. Alcuni sacerdoti poi, scelti fra i coadiutori e nominati dal superiore faranno un quarto voto perpetuo di speciale obbedienza al romano pontefice, dopo il quale vengono chiamati col proprio nome di presbiteri dell’Opera della Divina Provvidenza e avuti siccome servitori fino alla morte e figli del Papa (Scr. 45,29).
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È da voi, cari miei chierici, cari aspiranti, eremiti carissimi e fratelli coadiutori, da voi, che siete ancora nel fiore della gioventù, è da voi singolarmente che la Piccola Opera della Divina Provvidenza aspetta di svolgersi in pianta di benedizione per tutta l’America Spagnola: pianta che inviti pure altri ardenti di fede, pieni di spirito magnanimo e affocati dall’amore del Signore a venire con noi, a posarsi all’ombra pacifica e benefica della Divina Provvidenza (Scr. 51,109).
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I Coadiutori fratelli con gli Eremiti trattateli con affetto fraterno: sono fratelli, e così le Suore, non sono servi aiutateli, consolateli (Scr. 55,312).
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Desidero conoscere se ha fatto studi, o se viene per essere fratello Coadiutore; i Fratelli Coadiutori sono trattati come noi, e sono veri Religiosi con voti semplici (Scr. 105,226).
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Altra cosa: chi non lavora non deve mangiare. Dobbiamo combattere gli sfruttatori. Il non studiare è prova che non hanno vocazione anche se sono buoni e fanno la Santa Comunione tutte le mattine. Se non riescono si fanno coadiutori, perché essi sono uguali ai Sacerdoti e domani uno di essi può diventare anche Superiore di Casa, Assistente e Superiore generale della Congregazione. Quelli che sono buoni, ma non riescono negli studi, passeranno nei Coadiutori e se non si sentono non si sta qui (Par. III,230).
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Perciò quelli che in gennaio, febbraio, marzo si vedono che, avendo capacità di poter riuscire, sono negligenti, saranno mandati a casa e scacciati o saranno tenuti come coadiutori. Quelli che si vedono che non hanno intelligenza faranno i coadiutori. Queste parole si dicono schiette perché poi nessuno di voi abbia a dire: ma io non lo sapevo (Par. III,238).
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Quelli che non si sentissero di studiare, devono avere pazienza e passare nel ramo dei Coadiutori. I Coadiutori hanno tutti i privilegi, e da vivi e da morti, come i Chierici e i Sacerdoti, gli Eremiti e le Suore (Par. VII,95).
Vedi anche: Aggregati, Carissimi, Famuli.
Fumo
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La nostra Congregazione si farà grande e farà gran bene, finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e nel bere, particolarmente saran circospetti nel permettersi bibite, vino, liquori e il fumare. Cari miei figli di Terra Santa, se il vizio della gola prendesse mai possesso di codesta vostra Casa, voi sareste bell’e perduti! Guai agli amatori del vino puro, delle buone bottiglie e dei buoni bocconi! (Scr. 4,264).
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Vi accompagno il giovane Giuseppe Calvi, di anni 26 Viene a noi per farsi dei nostri: ha buone disposizioni: ha buona volontà. Non ha avuto formazione, anzi viene a noi da una Comunità di frati rilassati e di mali esempi. Ha bisogno di essere aiutato e formato per Gesù Cristo e per la Chiesa. Ha l’abitudine ancora di fare qualche fumatina: se la leverà poco a poco: dategli qualche soldo che possa fumare perché non diventi santo tutto d’un tratto, con pericolo per l’anima sua (Scr. 15,55).
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Se Alessandro fuma, come gli si può mettere l’abito religioso? Apriamo una breccia nella vita religiosa che non sappiamo dove ci porterà. Altro è accettare Sacerdoti già con quella abitudine, altro crescere dei Chierici con tale abitudine (Scr. 16,83).
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Quanto poi a fumare qualche sigaretta, dacché questo ti è di giovamento, fallo pure e sta’ tranquillo, ché metteremo a posto tutto, anche ci sia di mezzo il voto di non fumar più. Per intanto ci penso io con il Signore, caro Guglielmo. Eh! capisco che bisognerà bene che ti lasci condurre in Domino dalla Divina Provvidenza, come un agnello di Dio (Scr. 44,172).
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Quanto a vincere certe abitudini pure oneste e ai bisogni dell’età, non ci saranno difficoltà per quello; del resto non era solo il Cardinale Ratti che fumava, ma anche qualche gran Santo. La Regola dice che bisogna avere grande spirito di fraterna comprensione, di santa latitudine e di carità con quelli che vengono già un po’ avanti in età (Scr. 44,220).
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Quelli che non si sentono di sacrificare quest’andata nel secolo, danno indizio di non essere chiamati allo stato religioso. Dove si bevono buone bottiglie e dove si fuma, ritenete che là non c’è la santa e bella virtù. Non ci scordiamo un momento della presenza di Dio. Fu questa la paterna e ultima esortazione che ci fece il santo Padre Pio X, di indimenticabile memoria, nell’udienza a me e agli altri nostri, convenuti a Roma per assistere alla posa e benedizione della I pietra della nostra chiesa d’Ognissanti al quartiere Appio (Scr. 52,34).
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Noi siamo poveri per i poveri il padre dei poveri. Stima che hanno di noi, questo deve stimolarci ad essere quali siamo creduti, cioè buoni religiosi alieni da abitudini secolaresche come fumare, frequentare alberghi caffè o botteghe, far uso di bagni senza grave necessità (Scr. 72,212).
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Specialmente ai Sacerdoti raccomando l’osservanza della povertà e non le comodità e chi si fosse dato a fumare si tolga anche questo vizio, che disdice ai poveri figli della Divina Provvidenza (Scr. 84,263).
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Fuggite le abitudini secolaresche: queste non sono peccati, ma disdicono alle persone religiose. Anche nei sacerdoti stanno male. Per esempio, quelli che hanno l’abitudine di fumare, non è mica peccato; fumano anche dei Vescovi; ma non è bello, non è religioso; massimamente poi le donne che fumano, non le guardate in viso, non hanno più niente da perdere. Le abitudini secolaresche stanno male nei religiosi: andare al caffè, l’orologio d’oro, la catena d’oro, azzimarsi i capelli...; sicuro: ci sono dei preti che portano il ciuffo o vanno al caffè (Par. I,231).
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Il vino è la corruzione del cuore, vinum est pulmentum cordis! Il vino, il mangiare, il bere, il fumare portano via il cuore. Il demonio cerca le tenebre perché è il re delle tenebre (Par. VI,260).
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Fuggire e rifuggire le abitudini secolaresche. Abbiamo messo come obbligo che da noi è proibito fumare; è importante tenere il digiuno del venerdì e devono osservarlo tutti quelli che escono dal probandato, dal probandato in su... Se ci fosse qualche aspirante anziano che ha l’abitudine di fumare e che per i primi mesi volesse togliersi l’abitudine a poco a poco deve scrivere al Superiore ed intendersi con lui. Bisogna fare in modo che quelli che hanno questa abitudine vedano di levarsela (Riun. 26 agosto 1930).
Vedi anche: Mortificazione, Penitenza (virtù), Temperanza.
G. P. A. M. (sigla)
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La sigla completa G. P. A. M., ossia «Gesù, Papa, Anime, Maria», compare 392 volte nel corpus degli scritti orionini (si deve tener conto, tuttavia, che alcune lettere sono riportate in duplice o triplice copia). Con assai minore frequenza sono presenti le varianti G. P. A., «Gesù, Papa, Anime» (12 volte), G. A. P. M. «Gesù, Anime, Papa, Maria» (11 volte), G. A. P., «Gesù, Anime, Papa» (6 volte). La prima parziale sigla ad essere utilizzata dal seminarista Luigi Orione nei suoi scritti fu G. P., ossia «Gesù, Papa», posta dopo la firma: «Luigi di G. P.» (lettera del 28 gennaio 1892, Scr. 35,3). Alcuni mesi dopo, nel giugno del 1892, egli aggiunse la lettera A alle due precedenti lettere: G. P. A., ossia «Gesù, Papa, Anime» (Scr. 64,326B). A circa sei anni di distanza, in data 24 giugno 1898 don Luigi Orione, diventato nel frattempo sacerdote (13 aprile 1895), completò il motto con l’aggiunta del riferimento a Maria, formando così la caratteristica sigla G. P. A. M. (cf. Scr. 40,80), pur continuando a usare, saltuariamente, la precedente sigla G. P. A. oppure G. A. P. (cf. Scr. 36,29), disponendo altresì che i suoi religiosi premettessero la sigla G. P. A. ai loro scritti: «In principio dei vostri scritti porrete le tre lettere che significano i tre grandi e supremi amori nostri che sono un solo e santissimo amore: G. P. A. che vuol dire, per la misericordia di Dio fatto Uomo e Crocifisso, noi siamo consacrati ad amare e far amare Gesù, il Papa, le Anime» (lettera del 15 ottobre 1901, Scr. 10,29). La sigla completa G. P. A. M. venne usata frequentemente da don Luigi Orione fino al 1906, per poi essere impiegata soltanto saltuariamente nei trentacinque anni successivi. L’ultima attestazione è del 23 gennaio 1937 (cf. Scr. 19,178).
Vedi anche: Anime, Madonna, Papa.
Galateo
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Tutti furono soddisfatti di trovare la Moffa più ordinata e pulita, ma non tutti furono soddisfatti della pulizia dei Chierici e talora anche delle scale di casa. Chierici in abiti dimessi li capisco, ma non sporchi: chierici con su gli zoccoli, li capisco, ma non con gli zoccoli sporchi, slegati o legati con dello spago bianco. No, questo no. So di uno (credo sia Ronchetti) che buttò via un paio di scarpe buone perché infangate, li buttò poi nell’acqua: stettero là un bel pezzo: poi venne avvertito da un Confratello: non le pulì, e finì per farsene fare o averne un paio di nuove. Una cosa non si vuole più? Si straccia o si nasconde. Cade un mantello? magari ci si passa, ci si monta su, ma non si prende su. Saranno questi i figli della Congregazione? Alcuni poi mangiano in un modo che sembrano animali. Ma se il Galateo si legge, si faccia mettere in pratica, o si mandino via; ripeto: chi non fa come dico, si mandi via: non fa per la Congregazione. Più invecchio e più mi accorgo che, se vogliamo essere utili a fare del bene al prossimo, deve risplendere in noi oltre all’amore di Dio e del prossimo, l’educazione e la nettezza, in noi e attorno a noi. Ho già predicato più volte in codesta Villa Moffa che il celebre Card. Manning (inglese) lasciò nel suo testamento che se l’Inghilterra ritarda a convertirsi è anche perché il Clero Cattolico non sarebbe così educato e civile come dovrebbe oggi essere (Scr. 2,268).
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Note di galateo a tavola. Si mangia per vivere, non si vive per mangiare: la sobrietà è vivamente raccomandata e per la salute e longevità e per la moralità; chi mangia e beve troppo sente le passioni, cadrà in rovina, la macchina dello stomaco, il Duce. Bisogna unire alla mortificazione la urbanità, la gentilezza. A tavola alla sua ora – i ritardatari – il nostro... giunto al posto in piedi etc., fino a che il padrone non sieda. Non fare scricchiolare sedia, panca, niente rumore con le stoviglie. Né troppo discosto né troppo vicino, non puntare i gomiti, non stendere le braccia, vi terrai appena sopra le mani. Tovagliolo, non nettarvi le mani, non i piatti, non le posate, non il sudore, non gli occhi – solo per pulire le labbra – più educato sulle ginocchia. Non rimboccare le maniche; il pane a sinistra, si taglia non si rompe, a meno non vi sia il coltello: non si appoggia al petto non si addenta: non si sbriciola sulla mensa, ma sul piatto. Le posate a destra, il coltello davanti, il bicchiere a destra, il pane a sinistra. I cibi si portano alla bocca con la destra, si toglie il cappello sempre con la destra, si scrive con la destra, si tocca la mano con la destra, si fa il segno della croce con la destra. Niente precipitazione; masticare bene: prima digesto fit in ore. Non dimostrarsi impazienti; il piatto all’orlo della zuppiera o tierina, il cucchiaio con la destra non come una pala, né fra l’indice, né fra l’indice il medio, con la seconda metà appoggiato al pollice; deve essere portato alla bocca per la punta, senza introdurvelo tutto (Scr. 53,32–33).
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Urbanità: dovendo noi insegnarla agli alunni, la dobbiamo prima sapere e praticare noi. C’è un libretto: il galateo. C’è un libretto pubblicato apposta pei nostri chierici e religiosi. Nemo dat quod non habet. Caio ritira i suoi figli per aver visto commettere delle grossolanerie da un superiore. gettar frutta, caramelle etc. Non si mettano le mani addosso; ho visto chierici che giocano liberamente di mano, altri che ridono sgangheratamente, altri che sputano per terra o nel fazzoletto, altri che nel mangiare biascicano come le mucche, altri con le gambe a cavalcioni, altri scomposti, sdraiati. No, compostezza in tutta la persona, finezza di tratto, senza affettazione; ricordiamoci che siamo super candelabrum, tutti ci osservano; sguardo scrutatore, facciamo le spese, decoro, parolacce, frasi ridicole, buffonesche, triviali, non decenti, castigatezza del parlare. San Paolo: scurrilitas quae ad rem non pertinet. Don Bosco si adirava santamente delle frasi scorrette o poco delicate e pronosticava male (Scr. 64,323).
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Si cura in modo speciale negli Alunni lo sviluppo fisico e il gentile portamento della persona, mediante regolari lezioni di galateo e di ginnastica (Scr. 113,232).
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In tutti i Giovedì dell’anno, esclusi quelli delle vacanze autunnali, dalle ore 9 alle 11,30 saranno impartite lezioni di galateo, e si farà una speciale lezione di religione (Scr. 113,234).
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Io a volte vedo dei modi, certi modi! Eppure si è fatta scuola di galateo nel Noviziato! Quando vedo ancora certi chierici poco educati, non sapete quanto mi fa pena! Se sapeste quanto io soffro! E c’è un’altra cosa che mi fa male, ed è il modo con cui trattate gli oggetti della casa... Si vede una cosa di qua, una di là, senza preoccuparsi di raccoglierla o metterla in ordine... Vediamo di pregare, di amare di più il Signore. E l’amore di Dio sarà un grande sprone ad amare di più il prossimo. Più amore alla Casa, alla roba, e voi stessi amerete di più la disciplina! (Scr. 10,76).
Vedi anche: Educazione, Urbanità.
Gelosia
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Via le mormorazioni contro i confratelli, contro i Superiori; via i pettegolezzi di Casa in Casa; via il dominio delle donne, via i sentimenti d’invidia e gelosia e peggio di disprezzo; guai ai seminatori di zizzania, guai a chi rompe il calice dell’umiltà, della unione fraterna, della carità (Scr. 55,312).
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I favori poi che il mondo promette ne possono bastare a tutti che vi aspirano, n‚ soddisfare quelli che li arrivano. Chi non ne ha, li desidera con ardore: chi ne ha, ne bramerebbe ancor più. Ognuno desidera quello che vede posseduto dagli altri. Nel mondo è sempre così. Perciò una serie continua di gelosie, di dispute, di liti e peggio: una corsa sfrenata a chi prima arriva e a soppiantarsi. No, il mondo promette, ma non dà mai la vera pace dello spirito di cui parla Cristo nel Vangelo, la pax christiana (Scr. 82,30).
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Tra le Suore nasce una gelosia? come tra certe donne? No! qual è la gelosia che c’è al Cottolengo? quella di invidiarsi gli ammalati più penosi ai sensi e alla fatica, disputarseli, ambirseli come premio. E questo è lo spirito del Signore, lo spirito della carità (Scr. 92,269).
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Via le mormorazioni; ve l’ho già detto tante volte, ma mi piace ritornarci ancora; via i pettegolezzi, via il raccontare le cose di casa vostra; gli uomini stiano fuori dei piedi, cominciando da quelli della Divina Provvidenza: c’è la superiora e basta. Via ogni sentimento d’invidia, via ogni sentimento di gelosia o peggio, di disprezzo verso qualche vostra consorella; via la zizzania; guai a chi rompe il calice dell’unità, dell’unione, della concordia, della carità (Par. II,111).
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Chi per carattere vedesse tutto nero, fosse sempre pessimista; chi non sentisse il suo cuore aperto al bene, alla carità; chi fosse sempre geloso, invidioso del bene degli altri; chi si sentisse molto portato alla terra, chi avesse carattere litigioso, non si faccia sacerdote (Par. IX,449).
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Che gran male è la gelosia! Quale male fa la gelosia! La gelosia ci fa vedere tante cose torve, oscure; ci fa interpretare sempre male il bene degli altri; amareggia la vita quando non si sa gioire del bene altrui e godere di esso. Stiamo attenti da questo spirito di amarezza, di critica che ci viene dallo spirito di gelosia! (Par. XI,311).
Vedi anche: Critica.
Generosità
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Noi dobbiamo anzi tutto, umiliarci e ringraziare il Signore e poi dobbiamo prontamente metterci nelle sue mani con umiltà e generosità; dobbiamo ravvivare in noi la grazia e lo spirito della nostra vocazione: dobbiamo, con il divino aiuto, fare santi propositi, che vengano dal profondo del cuore: dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi (Scr. 1,167).
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Ci vuole virtù soda e martellata e principalmente l’obbedienza, il sacrificio nella umiltà e nel lavoro, la orazione e la generosità della carità. Alla Moffa ci sono già troppe comodità per grave storpiamento della nostra Congregazione (Scr. 3,417).
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Invochiamo l’aiuto del Signore, che non mancherà e poi ben venga, ben venga il Signore a piantare e dentro e fuori e sopra di noi la sua Croce adorabile, pegno divino del suo amore: ben venga Gesù Cristo a regnare sovrano sui frantumi della nostra umanità, della nostra miseria e ogni dolore provochi un’offerta più generosa, una risoluzione più santa, una benedizione più grande (Scr. 6,150f).
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Miei figli in X.sto, con l’averci Dio dato la grazia di uscire dal mondo e di chiamarci al suo speciale servizio, vuole da noi grandi cose, grande generosità d’animo e fervore; grande corrispondenza! Dio ci ha dato ogni suo avere e fino il suo sangue! Il religioso deve dunque spogliarsi di tutte le abitudini secolaresche: deve vegliare sul suo cuore: deve rompere tutti gli affetti terreni: deve dare a Gesù tutto il suo cuore e non una parte sola: tutta la sua vita! (Scr. 30,224–225).
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La SS.ma Vergine, nelle palme delle cui benedette mani tutti vi metto e ad uno ad uno, vi ottenga spirito di generosità e di rinnegamento di voi stessi e di totale consacrazione di voi a Gesù Signor nostro alla s. chiesa e alla nostra cara Congregazione (Scr. 52,164).
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Dobbiamo sempre essere come fanciulletti, ma non avere la leggerezza dei fanciulletti, averne il candore dell’anima, la semplicità, la confidenza, la fede, la generosità, l’umiltà. Se saremo sempre fanciulletti a questo modo entreremo, come dice il Signore nel Vangelo, nel regno dei cieli, che è il regno degli umili che non hanno volontà propria: ma la cui volontà è quella di Dio. Dio ci manifesta e si compiace di abitare in quelli che sentono la loro nullità, che diventano come nulla per l’amore di Dio (Scr. 52,193).
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La Provvidenza del Signore è tutta rivolta verso quelli che sono generosi qui volunt nimis che vogliono farsi santi. Ma il Paradiso non è dei pigri, non è dei poltroni: è di chi fa violenza a sé stesso, di chi prega, di chi si rinnega di chi vive di umiltà e vive di carità (Scr. 52,195).
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Chi è facile all’ira, pronto all’ingiuria, tardo o negativo nel perdonare, chi è litigioso cupido non deve farsi sacerdote. Chi non ha cuore nobile, generosità di sensi, magnanimità non deve farsi della Congregazione (Scr. 56,165).
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Per essere temperanti, religiosi, amorevoli umili, casti, laboriosi, coscienziosi bisogna poter dire alla fine di ogni giornata: oggi ho vinto la carne con l’astinenza lo scoraggiamento con la fede, l’ira con il perdono, la falsa scienza con l’umiltà, la falsa parola con il silenzio, l’avarizia con il generoso distacco dai beni a cui non avevo sicuro diritto (Scr. 57,35).
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Perché, volendoci noi dare tutti a Dio in questa Congregazione non ci nasconderemo fra gli stracci della Divina Provvidenza? perché non saremo generosi del tutto, rendendoci poverelli con i poveri di Gesù Cristo e per la carità di Cristo Benedetto? Perché, o mio caro fratello, non daremo esempio alto al mondo e non edificheremo così le anime nel vero spirito del Signore? Se Dio ti spinge a venire in queste poverissime baracche della Divina Provvidenza, sappiano gli uomini, tuoi ammiratori, che non viene per le cariche né mosso da nessun orpello umano, ma che vieni unicamente per Dio e per lasciarti adoperare come un straccio della Divina Provvidenza (Scr. 66,224).
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Gli imbarazzi, i riflessi secondari, i turbamenti, bada che sono macchine del nemico per scoraggiarti, per trattenerti sulla strada, per distrarti dal seguire prontamente e con animo pieno di generosità e di abbandono la chiamata alla Divina Provvidenza: malumore, inquitezza ed agitazione non vengono mai dallo spirito di Dio (Scr. 68,67).
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Siamo generosi! Lasciamo alla gioventù che cresce nell’alba rosea e fiorente della vita tale testimonianza della nostra religiosità che, in mezzo alle tempeste incruente delle passioni, senta ognora sotto le arcate del tempio la voce dei padri, senta il profumo della più schietta fede, la pace, la calma e la dolce visione di un Bene che non è terreno! Siamo generosi con Dio! e Dio sarà generoso con noi. Egli ci restituirà largamente ciò che noi faremo per il decoro della sua Chiesa: la nostra offerta, i nostri sacrifici fatti a scopo sì profondamente cristiano e sì altamente intellettuale, porteranno gioie soavi e serene alle nostre anime e sulle nostre famiglie e sulle nostre campagne la benedizione di Dio! (Scr. 70,221).
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Evitare il peccato durante la giornata, fuggire tutto ciò che può essere d’impedimento all’operazione della Divina Provvidenza: evitare ogni benché minimo screzio di carità e sacrificarsi generosamente magnanimamente, fraternamente, facendoci a tutti padri fratelli e sorelle per i poveri (Scr. 83,188).
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La vostra elemosina sarà la misura di quella che Gesù farà a voi: voi, o ricchi generosi e voi tutti che adempite alle opere di misericordia, confortatevi perché riceverete dalla mano del Signore, in proporzioni di quello che il Signore avrà ricevuto da voi nella persona dei poveri o degli afflitti (Scr. 111,4).
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Diamoci tutti a Dio con piena generosità; amiamo il Signore: diamo cuore e vita e tutto diamoci a servire nostro Signore e la Santa Chiesa e il S. Padre (Scr. 121,149).
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Ci vuole generosità, ma una generosità non comune, una generosità grande e coraggiosa, fondata nel nostro Dio e, accompagnata da vera umiltà, una generosità ardente per spirito di fede e per giovanile ardimento in Domino. La nostra piccola Congregazione deve essere corde magno et animo volenti, una famiglia religiosa di caratteri fermi e di elementi generosi; una Congregazione di umili e di forti nella fede e nella volontà di santificarsi con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ai piedi della Santa Chiesa nel rinnegamento pieno di noi e in olocausto d’amore a Dio, sorretti dalla grazia del Signore, che non lascerà di confortarci (Lett. II,358).
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Il nostro carattere deve essere ardente, leale, retto, magnanimo, ma tenero insieme e vivificato dalla carità del Signore, e, nella carità, generosissimo sempre. Generosissimi con Dio, senza limiti e generosissimi con le anime dei fratelli, per la carità di Cristo. Bisogna, miei cari figli, che ci diamo a servire Dio ed il prossimo con amore santo, dolcissimo, con intelligenza e con animo grande, ardente di slanci sublimi, sino alla consumazione di noi, generosissimamente! Senza generosità faremo le cose privi di spirito o a metà; retrocederemo, invece di avanzare nella pratica della virtù; la nostra mortificazione andrà evaporando, la purezza diventerà vacillante, la carità difettosa, la obbedienza molto imperfetta od una parvenza, saremo languidi in tutti gli esercizi di pietà. Guai il giorno che venisse ad affievolirsi in noi quella generosità verso Dio, verso la Chiesa, verso la Congregazione, verso le anime, che è fervore di spirito e spirito di pietà, che è linfa spirituale e carità che deve vivificare tutta la nostra vita! La nostra Congregazione sarebbe vecchia prima del tempo e noi degli invalidi, senza titoli, ed a mani vuote. Noi siamo servi inutili, ma siamo servi di Gesù Cristo e la mercede non ci sarà data che in proporzione dello spirito di generosità (Lett. II,359).
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Dio ama chi si dà al suo servizio con tutta generosità e con animo gioioso. Senza slancio nel bene, senza fervore e generosità, a che si ridurrebbe la vita religiosa? Rianimiamoci, dunque, o carissimi, ed edifichiamoci fraternamente con ogni buon esempio, mentre le nostre file vanno diventando più numerose di quello che noi stessi credevamo; corrispondiamo con fedeltà, con cuore grande, con pietà grande alla celeste vocazione cui fummo chiamati. Rivaleggiamo santamente tra di noi a chi avrà amato di più il Signore, la SS.ma Vergine, la Santa Chiesa e le anime. Gareggiamo nella pratica delle virtù, nell’osservanza dei santi voti e a chi avrà fatto maggior bene, a chi avrà diffuso di più l’amore al Papa ed alla Chiesa, che è proprio in noi il primo, il supremo amore della nostra vita, poiché amare il Papa, amare la Chiesa è amare Gesù Cristo. Di questo spirito vissero tutti i Santi: i loro giorni furono pieni di Dio, pieni di serenità e di perfetta letizia, ché Dio non si serve né brontolando, né a metà, né con faccia da quaresima, ma con generosità piena e in letizia. E più ancora: in ardore di carità. E questo spiega i loro rapidi progressi nella pratica delle più sublimi virtù. Certo, quanto più saremo di buon animo e pronti. a darci ai fratelli e generosi con Dio, più Dio sarà generoso con noi (Lett. II,360–361).
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Il servizio di Dio esige, non soltanto generosità, ma alacrità e fervore di apostolato. In una certa lettera, che il Signore mi ha fatto scrivere dall’America, dicevo: “I figli della Divina Provvidenza che non vogliono essere e che non sono apostoli, sono apostati”. È proprio dei Figli della Divina Provvidenza l’avere l’ardore nel bene e una carità grande da non lasciarsi mai perdere nella via di Dio e ardere per la santificazione delle anime (Par. XI,51).
Vedi anche: Carità, Elemosina.
Genitori
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Durante il noviziato apprenderete anche come, secondo i Canoni, regolarvi in fatto di beni patrimoniali; per ora vi dico che, se i genitori vostri fossero in bisogno, avete il dovere di aiutarli: al presente non dovete rinunciare né vendere, ma pensare ai genitori, sì (Scr. 32,153).
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Tuo padre e tua madre non ci sono più su questa terra: ebbene, mi conceda Dio di prendere io il loro posto nell’amarti in Gesù Cristo e farti del bene. Possa io, con la santità della vita sacerdotale, darti così buon esempio che tu, corrispondendo alla divina chiamata, abbia non solo a camminare sempre per la diritta via del Signore, ma a diventare un grande apostolo della fede e dell’amore alla S. Chiesa e al Papa e farti santo e grande santo! Caro mio figliolo, è una somma grazia che Dio ci fa traendoci fuori dal caos di questo mondo e mettendoci al sicuro da tanti inganni e da tante occasioni di peccato. Sii grato al Signore! Coraggio! Lavoreremo insieme a salvare le anime! (Scr. 33,56).
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Dio è bontà essenziale – l’amore di Dio per noi supera ogni concetto umano, perché è infinito – l’amore di Dio verso di noi vince l’amore di ogni più tenera madre poiché è Dio che ha creato il cuore della madre ed ha gettato nel cuore delle nostre madri tanta grandezza e purezza d’amore (Scr. 55,316).
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È propria della nostra povera Congregazione accettare con noi i nostri vecchi genitori. È pronta la Casa di S. Bernardino: tutta pulita e con annesso giardino. È la prima Casa è il nido dei figli primi della Divina Provvidenza. Se vostra madre accetta, qui troverà vitto, pulizia e ogni conforto religioso. Voi, che sapete l’indirizzo, scrivetegli subito (Scr. 63,88).
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Non vi è in natura vincolo più sacro né più forte legame di quello che stringe una madre al proprio figlio. Il figlio vive della vita della madre... si forma sulle ginocchia della madre... al vincolo fisico il vincolo morale che lega le anime fra loro, fa palpitare i cuori a vicenda e fa comuni ad entrambi le gioie e le pene (Scr. 64,325).
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L’amore dei genitori è sacro quanto l’amore di Dio, il rispetto che loro devi è sì perfetto quanta è la tua venerazione alla legge del Signore. Ogni uomo deve rispettare il Signore e venerarne i precetti, così ogni figlio deve obbedire alla natura ed al Signore che gli comanda di onorare, sovvenire e consolare i genitori. Infatti i genitori ti han data la vita, sono i tuoi primi amici e verso loro sei tenuto nel maggior modo a gratitudine, a rispetto, ad amore, ad indulgenza, a venerazione. Chi dice: Aspetterò a rispettare il padre e la madre quando sarò fuori di casa, va contro la ragione giacché questo è disconvenienza, è scortesia, è stoltezza, è colpa. Quel figlio che per piacere ad un’altra persona fuori di casa, sia chi si sia, non ha il coraggio di onorare e rispettare i suoi genitori; anzi ha la temerità e l’audacia d’insultare a sua madre, è mente pusillanime, ha peggior cuore di una tigre, è indegno di chiamarsi uomo (Scr. 70,190).
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Ricordati che sono i genitori quelli che del Signore fanno le veci. Essi soli possono darti un buon consiglio su questa scelta, perché, credi a me, non vi sarà mai persona che più di tua madre ti ami. Quelli che ti parlano in una maniera diversa dai genitori, sono le persone che non vogliono il tuo bene, ma il loro; esse cercano la loro utilità e non la felicità della tua vita. Detesta i loro discorsi, abborri la loro compagnia: questo è il miglior modo di non lordare l’onor tuo e di tua famiglia. Allontanati, se no il peccato attirerà sul tuo capo la maledizione di Dio. Non disgustare i tuoi genitori! Entri nell’anima tua questo mesto pensiero: Quei canuti capi che mi stanno dinnanzi, chi sa se fra poco dormiranno nella tomba? Ah! finché hai la sorte di vederli, onorali e procaccia loro consolazione nei mali della vecchiaia, che sono tanti! La loro età, li inclina già troppo a mestizia, non contribuire mai ad attristarli! Fa’ che la tu vista la rianimi e li rallegri. Ricordati, fratello, che le benedizioni d’un padre e d’una madre, per un figlio riconoscente sono sempre sancite da Dio (Scr. 70,191).
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Preghiera di una madre. Tra le molte grazie che il Signore mi ha fatto, o gloriosa S. Rita, io riconosco anche quella che mi fa nel rendermi madre e comprendo tutte le gravi responsabilità di questo mio stato. Da chi potrò attingere la forza per poter adempiere tutti i miei doveri di madre, se non da voi che foste perfetto modello di madre cristiana? Voi che foste si premurosa nell’educare la prole nella disciplina e nel timore di Dio, volgete su di me uno sguardo di speciale benevolenza, perché possa essere vera madre di famiglia. Possa con l’esempio e non la parola allevare i miei figli nella bontà dei costumi, nella pietà e nella religione, possa istillare nell’animo loro ogni sorta di virtù, prevenirli contro il male, fortificarli nel bene e indirizzarli continuamente nella via del Cielo. E così via (Scr. 82,194–195).
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Prendiamo in generale i discoli del Patronato o di altra provenienza e non si suole accogliere che orfani di ambo i genitori o di madre. E ciò perché ho dovuto in via ordinaria constatare che i più abbandonati sono appunto gli orfani di madre. Sin che la madre c’è, c’è la vita morale del ragazzo e l’anima e c’è sempre chi pensa al fanciullo. Che se non Le riuscisse di trovargli posto conveniente, allora lo prenderò io, poiché ricevo sempre quando il caso è veramente pietoso e le altre porte sono serrate. Quanto al dare qualche cosa o meno, se egli dovesse venire, la madre dia in coscienza quel poco che può, secondo il principio che chi può vivere, anche in parte del suo, non deve togliere la carità agli altri (Scr. 95,29).
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Ti raccomando la tua Madre, non perché ne abbia bisogno di questa raccomandazione, ma perché non è mai troppo l’amore di un figlio; la Madonna SS.ma della Divina Provvidenza te la conservi, dille che preghi per me! (Scr. 99,32).
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Voi lasciate vostra madre? Ma vi farà da Madre Maria Santissima. Lasciate vostro padre? Alzate gli occhi ed esclamate: Pater Noster! Dio è il padre dei nostri padri. Lasciate le persone care che avete avuto fin qui? Oh! Andate e il Signore susciterà nei vostri passi altre anime che comprenderanno il vostro sacrificio e, se anche troverete, non solo fra gli uomini, delle apatie, delle contrarietà, saprà ben ricompensare la mano di Dio! Ricordate che la ricompensa non è di questo mondo; che se anche non potrete più vedere con l’occhio del vostro capo la vostra madre, quella donna che vi ha stretto per prima al suo seno, ricordate che Dio vi conforterà e che voi, con il vostro sacrificio, assicurate la salvezza di vostra madre, di vostro padre, di tutti quelli che appartengono alla vostra casa (Par. II,184).
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Cosa bella e santa darci e dare tutto al Signore e poi vivere in povertà, desiderando di amare Dio e servirlo nei poveri. Questo insegna il vangelo, là dove Gesù dice: Avevo fame e mi hai dato da mangiare, ero ignudo e mi hai vestito, ero afflitto e mi hai consolato, ero orfano e mi hai assistito, mi hai fatto da padre e da madre. Nella Sacra Bibbia si legge: Mio padre, mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha accolto. Il Signore mi ha fatto da padre e da madre, attraverso la persona consacrata al Signore nella carità. Così devono poter dire i poveri! (Par. II,221).
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Se anche tuo padre e tua madre siano lontani da quel grado di virtù e di saggezza che tu vorresti, fa di tutto per scusarli e per nascondere i loro torti agli occhi della gente e vedi di mettere in rilievo le loro buone doti. Riconoscendo così i loro meriti, nonostante qualche loro manchevolezza, ti abituerai ad essere pio e generoso... Quei capi canuti, che ti stanno dinanzi, fra poco si piegheranno a dormire il loro sonno nella tomba; finché sono in vita onorali e dà loro consolazioni nei mali della loro vecchiaia. La benedizione di un padre e di una madre sono le benedizioni di Dio (Par. III,20).
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Pietas. Parola latina per indicare soprattutto l’amore, la venerazione, l’assistenza che un figlio deve ai suoi genitori. Il più bell’elogio che si facesse ad un giovane era dire che aveva grande pietà verso i genitori. Ma questa parola prese, nel linguaggio della Chiesa, un significato molto più nobile e sublime; significò il complesso di tutti quegli atti onde un cristiano onora Dio considerandolo come Padre (Par. III,33a).
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Una madre che non ama i figli, non è madre, ma è matrigna. Vedete che anche gli animali amano i loro piccoli... vedete i piccioni, che ogni tanto volano qui davanti alle nostre finestre... Quando andavate per nidi e vedevate la madre, che, pigolando, si lamentava, sentivate compassione... Guai a chi incontrasse la leonessa, a cui abbiano portato via i leoncini; dovrebbe darsi alla fuga, ma di corsa... Quante madri sono morte per i figli! Ho letto di una madre che si è buttata nel fuoco per salvare i suoi figlioli. Una madre, una signora, sorella dei Balestri, veniva tempo fa da me a lamentarsi perché il figlio era traviato... In seguito però egli si mise bene... E nel disastro del Duomo vi era anche il figlio della Balestri. Quanto soffrì quella mamma! Si vede che non è più lei dal dolore... Quante mamme sono morte prima del tempo perché i loro figli erano morti in guerra. Ho letto una volta che, mentre una nave si inabissava, c’era una madre, la quale si aggrappò ad una tavola, ma, vedendo che il peso era troppo, perché aveva con sé il figlio, per salvare lui, annegò lei dicendo: Ti ho dato la vita una volta, te la do una seconda volta! Se le madri nostre sanno fare tante cose, tanti sacrifici per noi, che cosa non saprà fare la Madonna Santissima? È per questo che io penso che ne andranno pochi all’inferno, con una madre come la Madonna. Si danneranno solo quelli che vorranno ad ogni costo dannarsi e dannarsi ad occhi aperti, scienti e volenti... Voi siete lontani da casa vostra, da vostra madre; ma ecco che la religione vi dà una Mamma che è la stessa Madre di Gesù (Par. III,102).
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Ciascuno di noi ricorda, senza dubbio, con sentimento, che ancora fa bene al cuore e l’intenerisce, la propria madre, i suoi sacrifici, il suo lavoro, soprattutto il suo amore, l’amore con il quale ci ha allevati, nutriti confortati nei nostri primi pianti... Ciò che è grande nella madre, più di quanto può dare e può fare, è il suo cuore, l’amore, l’affetto, il disinteresse con cui fa tutto e offre anche la sua vita per i figlioli... nel campo dello spirito, vicino a noi, fin da piccoli, abbiamo avuto la Santa Madonna, più vicina a noi delle stesse nostre madri... Le nostre madri, le nostre buone mamme, la invocavano per noi, dicevano per noi le parole, noi poi cercavamo di ripetere, ci tenevano le mani giunte davanti ai suoi quadri, alle sue immagini devote e qualche volta polverose..., insegnandoci a guardare a Lei, a invocarLa, a pregarLa sempre... Possiamo così dire che la Madonna Santissima l’abbiamo avuta vicina appena nati, anzi anche prima di nascere, perché Essa era nel cuore delle nostre mamme, entro le famiglie cristiane, che ci hanno trasfuso, si può dire, il suo calore insieme con il latte (Par. III,125a).
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Domani si celebreranno le Sante Messe, si faranno preghiere per i genitori dei Confratelli. I vincoli del sangue si santificano e purificano nell’unione della carità e della preghiera. La nostra povera Congregazione apre la porta ai vostri vecchi genitori. È l’unica Congregazione che consiglia ai suoi membri di tirare con sé i loro vecchi genitori se si trovano in bisogno. E questo per adempiere il comandamento di Dio che dice: Onora tuo padre e tua madre affinché tu possa vivere a lungo sopra la terra. È una grande consolazione il poter chiudere loro gli occhi piamente e aprir loro le porte del paradiso (Par. IV,436).
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Il dolore delle madri irrora, si può dire, la terra. Voi non ricordate le guerre passate e non potete avere l’idea. Io vidi sulle macerie lo strazio delle madri che avevano perso i loro figli! Che grande cosa! Che lacrime struggenti... Il cuore della madre è veramente una sorgente di lacrime. Chi di voi è stato in San Pietro, a Roma, ha visto il grande capolavoro della Pietà, così come è anche fedelmente riprodotto nella cripta del nostro Santuario. Quella Madre Addolorata è la personificazione del dolore, dolore umano e dolore divino. Sembra l’immagine di tutti i dolori, perché non c’è maggior dolore che perdere i propri cari, veder partire quelli che si amano. Su tanti cimiteri domina la Pietà, in una forma o in un’altra, ma è sempre la dolente raffigurazione del dolore umano: la madre più ama e quindi più soffre, più soffre perché, forse, almeno in apparenza, è quella che più ama (Scr. 5,113a).
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Come è bella la nostra Congregazione che pensa ai padri e alle madri vostre quando saranno vecchi! Questo vi deve confortare molto. La nostra Congregazione è l’unica, l’unica che pensa ai padri e alle madri dei vostri maggiori Confratelli Sacerdoti. Abbiamo nella nostra Casa del Dante anche la mamma del canonico Perduca, Sacerdote nostro, con i voti perpetui. Oh! come è bello che i padri e le madri siano confortati dalla presenza dei loro figli nei momenti estremi, invece di lasciarli a casa loro a far da servi e serve a tante nuore che, appena entrano, cominciano subito a comandare. Confortiamoci che la nostra Congregazione non dimentica i vostri genitori e tanto più non dimentica noi quando saremo morti (Par. V,163).
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La nostra Congregazione è, forse, l’unica che riceve i genitori vecchi dei nostri Sacerdoti, Chierici, Eremiti, Suore e specialmente di quelli che sono vincolati con i santi voti. Essa si basa sul precetto dato da Dio: “Onora il Padre e la Madre”; perciò ne ha cura particolare e li ritiriamo nella Congregazione, che li assiste sia da sani che da ammalati, così da vivi e dopo morti li suffraghiamo, imploriamo la pace alle loro anime. Questo deve riuscirci di somma consolazione e di incoraggiamento a perseverare nella santa vocazione; dobbiamo sempre, sempre pregare per loro (Par. V,325).
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È proprio della nostra Congregazione ricevere i genitori, padri o madri bisognosi dei nostri Confratelli e averne cura particolare. Noi li aiutiamo da vivi e li suffraghiamo da morti. È l’unica Congregazione che accoglie i vecchi Genitori dei Confratelli in ossequio al comando di Dio che ha detto: “Onora il padre e la madre”. Quando i vecchi Genitori avessero bisogno, padre e madre saranno ricevuti in Congregazione e curati con amore; vengono assistiti sani e malati e in ultimo suffragati dopo morte (Par. V,326).
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Quando mia madre tornava dalla Chiesa ci diceva: Ho fatto la Comunione, o meglio, ho ricevuto il Signore; e ho pregato prima per voi e poi per me! Oh, l’amore di una madre che si toglie il pane dalla bocca per darlo ai figli e non si veste per vestire i figli e muore per dare la vita ai figli! Quante madri sono morte per questo! Ci diceva, dunque, mia madre: Ho pregato per voi, ho ricevuto il Signore, per voi e per me (Par. VI,82).
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Noi dobbiamo trasformare in amore spirituale l’amore ai genitori e spiritualizzare i nostri sentimenti. Dobbiamo ricordarci che il sacrificio di aver lasciati i genitori, Dio lo pagherà dando il centuplo per uno in questa vita e la vita eterna salvando i suoi fino alla terza generazione. Non dimentichiamo mai l’anima dei nostri padri, madri, fratelli, sorelle; questo è un amore di gratitudine, fior di virtù, di coltivare nei nostri cuori questo amore. Ora state attenti a quello che sto per dirvi. Vi dirò con San Paolo: “Moneo non ut confundam vos, carissimi miei, in caritate Christi”. La nostra Congregazione si obbliga, qualora il padre e la madre dei nostri confratelli si trovassero in bisogno di vivere, di riceverli in Congregazione o, se non potessero lasciare la casa, a passare un tanto. La Congregazione riconosce per prima il 4° Comandamento: “Onora il padre e la madre” (Par. VI,247).
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Quando andavo da ragazzo a far la legna io cercavo di non fare i sanguinei (specie di vimini rossi) perché mia madre li adoperava per darmeli sulle gambe quando facevo i capricci. E mi ricordo che mi diceva: Si domano le bestie feroci e non si domeranno i cristiani? E come mi ha domato! Adesso che abbiamo i capelli bianchi come benediciamo la severità delle nostre buone mamme! Quanti sacrifici fa una mamma! Andai anni fa a Courmayeur a trovare Padre Semeria ammalato, per tenerlo allegro vi fu chi tirò fuori un volume di poesie in romanesco di Trilussa. Questo autore ne ha di quelle sporchette, ma ne ha di quelle buone. Ricordo una poesiola in dialetto sulla mamma. La descrive circondata dai suoi figlioli che han fame; e, non potendo dar loro pane, essa diceva loro qualche buona parola: Andate là, non piangete! Non “piagnete”! che quando verrà a casa papà e porterà il pane, “magnerete”. Non disse: “magneremo” ma “magnerete”, perché una mamma si toglie il pane di bocca per darlo ai suoi figlioli, si sveste per vestire i suoi figlioli, non dorme per vegliare i suoi figlioli, si getta nell’acqua o nel fuoco per salvare i suoi figlioli... Ebbene, i sacerdoti devono avere il cuore di mamma e voi, quando sarete sacerdoti, dovrete avere il cuore di mamma! Cuor di madre! (Par. VII,84).
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Io desidererei che tutti i padri e tutte le madri dei nostri Sacerdoti, dei nostri Chierici, venissero da noi e desidero che ogni padre e ogni madre di uno dei nostri Confratelli sia ritenuto come padre nostro e madre nostra. L’ho detto anche ai Sacerdoti nelle Riunioni e per me è sempre un giorno pieno di letizia quel giorno che posso aprire la porta per accogliere un padre o una madre dei nostri Confratelli. Questo è il nostro spirito che desidero sia tramandato di generazione in generazione, inalterato. Ed ora vi dico una cosa che non ho detto neppure ai Sacerdoti ma che vi dico perché sappiate qual è il nostro spirito. Ho avuto un grandissimo dispiacere quando ho saputo che una mamma di un nostro Sacerdote morto non veniva trattata come si conveniva ed ho sofferto molto; e quella mamma è stata costretta a cambiare di Casa e ora è in una Casa dove è trattata proprio come se fosse mia madre. Ma – attenti bene a quello che vi dico – quel Sacerdote andrà a finire male, se non farà molta penitenza. Vi ricordate il fatto che io racconto spesso e che era il mio cavallo di battaglia quando andavo per i Paesi a predicare, il fatto del figlio che porta il padre alla vigna? Col bastone con cui si bastona si resta bastonati: per quem quis peccat, per haec et torquetur! Come si trattano i nostri vecchi, così, presto o tardi, saremo trattati... E quello che dico per i padri e le madri, lo dico anche riferendomi ai Superiori: come si trattano i Superiori, o presto o tardi saremo trattati... Solo così rispettandoli e amandoli si adempirà il precetto del Signore: Onorerai tuo padre e tua madre, affinché tu abbia lunga vita sopra la terra (Par. IX,329).
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Quanti bei suffragi! Mio padre e mia madre non avrebbero mai immaginato di avere tanti suffragi dopo la loro morte. Ispiriamoci all’orazione liturgica e diciamo di cuore: “O Signore, che ci hai comandato di onorare il padre e la madre, vedi come noi, per obbedire a Te, onoriamo i nostri cari genitori anche dopo la loro morte”. Approfitto di questa occasione per dirvi quale sia il pensiero dei vostri Superiori circa il modo di trattare i genitori dei nostri Confratelli che fossero nelle Case della Congregazione. Il Superiore della Casa ove vivesse il padre e la madre di qualche Confratello deve rivestire verso di essi il rispetto e l’amore di figlio e quindi considerarli e trattarli come suo padre e sua madre, usando loro tutti i riguardi possibili e, con manto di dolcissima carità, coprire i loro difetti. Per me, il padre e la madre di un nostro Confratello, sono come mio padre e mia madre. Ricordo che molti anni fa dovetti ripetutamente riprendere un Superiore di Casa perché non trattava bene il padre di un nostro Sacerdote e se ne voleva disfare. Perciò dovetti convincermi che quel Sacerdote non poteva andare a finir bene (Par. XI,10).
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Noi dobbiamo trattare i genitori dei confratelli come fossero i nostri stessi genitori (con grande forza). Io considero i genitori dei nostri sacerdoti e chierici come fossero i miei stessi genitori. Questo è lo spirito della Congregazione. E questo per obbedire al Comandamento di Dio: Honora patrem et matrem ut sis longaevus super terram, che è il primo comandamento della seconda tavola della legge scritta dal dito di Dio... Dobbiamo accoglierli nelle nostre Case se lo domandano e anche spingerli, stimolarli, quando, per qualsiasi motivo, pur avendone bisogno, facciano qualche difficoltà, perché venga così provveduto loro quanto è di necessità nell’ordine materiale e perché abbiano tutto nell’ordine morale. Non devono, le mamme dei nostri Confratelli, divenire le serve, le schiave di qualche nuora, cognata e passare nella tribolazione l’ultima loro età (Par. XI,120).
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Per i genitori dei confratelli la Congregazione nutre una specie di culto: perché essi sono l’ombra di Dio! Così dobbiamo fare. Per questo la Congregazione sta ora soffrendo... Per il punto delle prime Costituzioni che riguarda questo trattamento dei genitori dei nostri confratelli, la Congregazione soffre ora e le Regole stentano a venire approvate... Il nostro amore per loro deve essere non di sole parole ma di opere, di fatti: essi ci hanno cresciuti bambini; noi dobbiamo porgere aiuti ad essi divenuti ancora come bambini (Par. XI,121).
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Comunica altresì il riacquisto della Casa di San Bernardino, che fu il primo nido della Congregazione e che diverrà una Casa di buone figliole e magari il ricovero della madre di qualche nostro sacerdote, giacché è proprio della Congregazione accettare i genitori dei confratelli (Riun. 17 agosto 1914).
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A proposito dei genitori non solo desidero che vengano accolti nelle nostre Case i padri e le madri dei nostri religiosi, ma lo desidero quando si trovassero nel bisogno la Congregazione è disposta molto benevolmente ad accoglierli. Cosa volete. Quei poveri vecchi vengono alle volte a trovarsi male... anche se quando diedero il permesso al figliolo di farsi religioso si trovavano bene. Alle volte le cose cambiano, cambiano le situazioni. Dobbiamo avere per i genitori dei nostri confratelli quell’amore e quella cura che avremmo per i nostri genitori. Mi ha fatto male al cuore il sapere che i padri e le madri dei nostri confratelli non erano in certe case trattati come dovevano Tutti i padri e le madri dei nostri confratelli devono essere ritenuti come padri e madri di Don Orione e di ciascuno di noi e se possono lavorare bene, se no non stiamo lì ad angosciarli... Molte volte hanno tanti acciacchi. Don Risi dice: Ma se accogliamo i poveri vecchi nei nostri ospizi perché non accogliere i nostri vecchi? Io comincio a capire tante cose che prima non capivo. La madre di uno sia la madre di tutti, il padre di uno sia il padre di tutti. Abbiate pazienza! Hanno certo oltre gli acciacchi anche i mugugnamenti della vecchiaia. Fare tutto quello che si può (Riun. 27 agosto 1938).
Vedi anche: Famiglia.
Giaculatorie
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Si voglia render abituale tra i Figli della Divina Provvidenza e loro Alunni, Amici, Cooperatori e Benefattori: tra le nostre Suore: nei nostri Istituti di ogni genere e tra gli Eremiti della Divina Provvidenza questa giaculatoria: Sia odato Gesù Cristo, nosro Dio e nostro Re, da dirsi a solo e anche quale fraterno saluto cristiano nell’incontrarsi (Scr. 7,375).
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Vedi: se fossi in punto di morte e non avessi più altro tempo che di dire un’ultima giaculatoria, un «Gesù mio misericordia» per i miei grandi peccati, o baciare per l’ultima volta in crocifisso, sappi che lascerei di baciare il crocifisso per dirti: Fratello mio, non fare il passo che stai per fare ma conferma te e i tuoi fratelli nella Compagnia e vivete abbandonati al Signore e alla santa chiesa del Signore (Scr. 44,200).
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Vorrei supplicare vostra Eccellenza Rev.ma di insegnarmi la via che dovrei tenere per esporre alla S. Sede l’umile domanda che si degnasse indulgenziare questa giaculatoria: Mater Paradisi, ora pro nobis! Sarà possibile avere questo favore? E vostra Eccellenza mi consiglierebbe a fare tale domanda? E, allora, a chi mi dovrei rivolgere e in quale forma? (Scr. 49,90).
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Ho visto a Pagani, vicino al corpo di Sant’Alfonso, una bella statua della Madonna, fatta dallo stesso Santo e tutta vestita d’oro e mi dissero che il Santo l’ha chiamata Mater Paradisi oppure Madonna del Paradiso, non ricordo bene più. Chissà in Paradiso che bel canto faranno gli angeli e i Santi con quella giaculatoria e come la metteranno bene in musica quando sia anche indulgenziata dalla Chiesa, per cantarla insieme con nostro Signore Gesù Cristo, tutti attorno alla Madonna. E speriamo di cantarla poi ancora noi: O cara Mater Paradisi! (Scr. 49,90).
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In lode alla Vergine, eletta dal Cottolengo a patrona speciale e madre di tutti i suoi ricoverati, compose egli stesso una coroncina, insegnando loro a ripetere cinquanta volte la giaculatoria, umile e ardente: Vergine Maria, madre di Gesù fateci Santi! (Scr. 52,207).
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Si facciano le preghiere e pratiche di pietà in comune come segue: Alla levata dei giovani, lo svegliatore o assistente dica ad alta voce: Benedicamus Domino, cui tutti rispondano: Deo gratias! Nell’alzarsi con la massima modestia dica poi: Nel Nome del Padre – Gloria Patri – Quaeritae – Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore... – Cara Madre Vergine Maria fate ch’io salvi... Angelus Domini – Regina Coeli – Instaurare omnia in Christo! Poi ciascuno aggiunga privatamente giaculatorie e preghiere a sua scelta (Scr. 54,230).
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La Vergine è la Patrona e la Madre di tutti i nostri ricoverati. Essi ogni giorno devono invocarLa per i loro Benefattori e Benefattrici e per la prosperità dei Genovesi; e cinquanta volte al giorno la supplicheranno con la giaculatoria umile e ardente: «Vergine Maria, Madre di Dio, fateci Santi!». Ogni giorno poi i nostri poveri del Piccolo Cottolengo e quelli alzati e quelli che sono obbligati a stare a letto, cantano insieme, fondendo le loro voci di camera in camera, le Litanie in onore della Madonna, Madre e Regina dei Genovesi (Scr. 62,128).
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Cominciando poi da questa Pasqua farete dire a tutte e direte con esse ogni giorno e cinquanta volte al giorno ma tutte in una volta questa giaculatoria: «Vergine Maria Madre di Dio fateci santi!» in quell’ora e luogo che meglio credete. E in altro tempo e per 33 volte al giorno: Cuor di Gesù Tu sai, Cuor di Gesù, Tu vedi, Cuor di Gesù Tu puoi, Cuor di Gesù provvedi! In altro tempo poi della giornata canterete tutte le Litanie in onore della Santissima Vergine, Madre di Dio e nostra (Scr. 71,49).
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La devozione dei Cento Requiem in suffragio delle Sante Anime del Purgatorio Per questo pio esercizio; ognuno può servirsi d’una corona comune di cinque poste o decine, percorrendola tutta due volte, per formare le dieci decine, ossia il centinaio di Requiem. S’incomincia con il recitare un Pater Noster e poi una decina di Requiem sui dieci grani piccoli della corona, in fine della quale di dirà al grano grosso questa giaculatoria: Gesù mio misericordia delle anime del Purgatorio e specialmente dell’anima di N. N. e dell’anima più abbandonata. Indi si recita di seguito la seconda e le altre decine di Requiem sui dieci grani piccoli seguenti, ripetendo la suddetta giaculatoria invece del Pater noster ad ogni grano grosso, ossia alla fine di ogni decina (Scr. 110,193).
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Prego si raccomandi di offrire spesso SS.me Messe, Comunioni, buone opere, Indulgenze specialmente nei Mercoledì al Santo Patrono dei Moribondi. Permetto la recita della Giaculatoria al Santo dei moribondi nelle preghiere della mattina e sera e raccomando “Mater Dei” quella di San Giuseppe pei moribondi (Scr. 110,291).
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Come il soldato mostra il suo valore sul campo di battaglia, combattendo virilmente, così il tempo della tentazione è il tempo di mostrarci veri seguaci di Gesù Cristo. Diciamo al Signore: “Signore, subiamo violenza; sento nella mia carne una legge contraria alla vostra: io sono vostra, rispondete per me”. Dite delle giaculatorie: Virgo purissima, Ave Maria! E poi tenete a mente che in simili combattimenti vince chi fugge (Par. I,210–211).
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Guai al tiepido, “mittetur foras et arescet”! E, poi, durante la giornata moltiplichiamo slanci d’affetto, giaculatorie, elevazioni della mente (Par. III,33b).
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Il Santuario sarà contornato da Istituti di carità. Evitare acquisti. Stare attenti! Tutti fare lo sforzo ora per il Santuario della Guardia... Mettete un Ave Maria, con la giaculatoria: “Madonna della Guardia, mandaci denaro per il Santuario!” (Par. IV,305).
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San Giuseppe è anche protettore degli agonizzanti; e fra le giaculatorie che si recitano al letto dei moribondi vi è quella che noi, tutti i giorni, recitiamo: Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell’ultima agonia. E questo perché San Giuseppe fu assistito da Gesù e da Maria (Par. IV,409).
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Questa mattina volevo dire una giaculatoria e mi è scappato fuori tutt’altra cosa, così: O mio caro e buon Gesù, non ne posso proprio più. Ma la Madonna ci è però sempre venuta incontro (Par. IV,465).
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Sia lodato Gesù Cristo! Come sono contento di pronunciare, in questo momento, questa bella giaculatoria, qui, dinanzi ad un nostro novello Sacerdote che il Signore ha voluto dare alla nostra Piccola Congregazione (Par. V,53).
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Ora termino con il dirvi quattro versi che non hanno la fortuna di essere una poesia, perché sono solo quattro versi: Cuor di Gesù Tu sai, Cuor di Gesù Tu vedi, Cuor di Gesù Tu puoi, Cuor di Gesù Tu provvedi! Dobbiamo andare spesso dal Cuore di Gesù a ripeterGli questi versi che sono come una Giaculatoria, per chiedere a lui le grazie di cui abbiamo bisogno. Cuor di Gesù Tu sai, Cuor di Gesù Tu vedi, Cuor di Gesù Tu puoi, Cuor di Gesù Tu provvedi! (Par. V,61).
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Sia lodato Gesù Cristo, Nostro Dio e Nostro Re! Questa giaculatoria ne manderà più di uno alla morte. Ma tutto si faccia per amore! Tutto per amore e niente per forza! (Par. VI,111).
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Quelli che non hanno spirito di obbedienza mettono la casa sotto e sopra e anche di fuori. Vi do la facoltà di borbottare, ma di borbottare delle giaculatorie, così si caccia via lo spirito cattivo Par. VI,269).
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Così quando si vuole sapere se un individuo è in possesso del demonio, un mezzo è far dire all’indemoniato e fargli ripetere: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi!”. Dicono il Gloria Patri, l’Ave Maria; ma neppure vogliono proferire questa giaculatoria: O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi (Par. VII,100).
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E verrà per tutti, per me prima, per voi dopo, l’ora della nostra morte e in quella estrema agonia, in quell’estremo momento, in quella suprema lotta o noi, o quelli i quali, per la bontà del Signore, verranno ad assisterci, diremo giaculatorie e invocheremo per noi Maria e Gesù e invocheremo anche San Giuseppe, che fu dato protettore dei morenti. San Giuseppe, secondo una veneranda tradizione, spirò la sua anima santa assistito da Gesù e da Maria. E Gesù, Maria, Giuseppe in quella giaculatoria tanto nota, tanto espressiva, in quelle tre giaculatorie tanto note, vengono invocate dai morenti... Vi dono il cuore e l’anima mia... assistetemi nell’ultima agonia... Spiri in pace con voi, o Gesù, con voi, o Maria, con voi, o Giuseppe, l’anima mia (Par. VIII,225).
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Mi limito, o miei fratelli in Cristo, a ricordare a me e a voi le ultime tre parole che coloro che stavano assistendo il Santo Padre Pio XI nell’estrema agonia, poterono comprendere. Dopo aver ripetute le giaculatorie: Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia; Gesù, Giuseppe e Maria, assistetemi nell’ultima agonia; Gesù, Giuseppe e Maria... gli astanti e il Sacerdote che raccomandava l’anima del Santo Padre, non osavano andare avanti e dire: ...spiri in pace con voi l’anima mia. E allora, il Santo Padre, accortosi di quell’atteggiamento, di quella sospensione delicata, andò egli stesso avanti a recitare, con grande fede e abbandono in Dio, l’ultima delle tre giaculatorie che si suggeriscono ai moribondi e disse: “sì, sì, spiri in pace con voi l’anima mia”. Grande il Santo Padre Pio XI! Sempre grande! (Par. X,81–82).
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Ogni Ordine, ogni Congregazione Religiosa, ha una sua giaculatoria mariana. Tutti gli Ordini e le Congregazioni Religiose hanno sempre una devozione speciale verso la Madonna e così le pie Associazioni. I Salesiani hanno per giaculatoria mariana: Maria Auxilium Christianorum; i Carmelitani invocano la Madonna sotto il titolo di Maria decor Carmeli e questa è la loro giaculatoria: Maria, decor Carmeli, ora pro nobis. I Domenicani hanno per giaculatoria: Regina Sacratissimi Rosari, perché è tradizione che San Domenico sia stato l’inventore della devozione alla Madonna del Rosario o che almeno, le abbia dato una forma concreta: la devozione al Santo Rosario è la devozione che vuol essere come una sintesi di tutto il Vangelo. Anche le Congregazioni moderne hanno la loro giaculatoria mariana; anche le Congregazioni missionarie. L’Istituto per le Missioni Estere di Milano ha per giaculatoria: Regina Apostolorum; e i Missionari della Consolata hanno per giaculatoria: Consolatrix afflictorum. Anche la nostra piccola Congregazione deve avere la sua giaculatoria mariana tutta particolare, tutta nostra; ed è questa: Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Vi raccomando: invocate Maria Santissima con questa giaculatoria: Mater Dei, Madre di Dio, Santa Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Questa giaculatoria è pure nella preghiera a Maria Santissima che la Chiesa pone sulle labbra di tutta la cristianità. È questa la nostra giaculatoria, che sintetizza un gruppo di dogmi e di verità religiose; essa esprime parecchi dogmi, esprime la fede di parecchi dogmi; Santa Maria, Mater Dei... Quindi e prima e dopo le nostre azioni e prima e dopo gli atti, direi, più importanti della nostra vita religiosa invochiamo sempre la Madonna Madre di Dio. La nostra devozione alla Madonna deve esprimersi anche nella nostra giaculatoria mariana, che deve essere una giaculatoria dogmatica. E spero che, se non a me, almeno a voi sia dato di potere innalzare il Santuario che la Congregazione consacrerà a Maria Madre di Dio (Scr. 11,207).
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Siate vigilanti e premunitevi contro le occasioni: con quella persona, in quel posto, in quella circostanza... Dio mio, guardatemi, proteggetemi: la morte ma non peccati. È invocare l’aiuto del Signore e della Santa Madonna con le giaculatorie (Par. XI,245).
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Qualunque ossequio, anche minimo, purché sia costante: la Madonna si accontenta anche di piccole cose: di una mortificazione, di un atto di umiltà, di un’Ave Maria, di un fioretto, di una giaculatoria come Monstra Te esse Matrem, di qualunque cosa, sia pur piccola purché sia un ossequio, non di un giorno, purché sia perseverante (Par. XI,268).
Vedi anche: Devozioni, Preghiera.
Giansenismo
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La schiavitù ha sempre in sé – nella devozione alla SS.ma Vergine – qualche cosa che ripugna, che sa di timore più che di amore: di padrona più che di madre e ciò – e se ciò fosse – non piacerebbe alla Madonna e non sarebbe neanche secondo lo spirito e il modo di sentire materno della s. chiesa, ma avrebbe qualcosa di durezza proprio dei giansenisti. State attenti che il demonio non vi inganni circa questo modo di devozione alla Madonna, intendendola malamente e non come il beato Grignon di Montfort la intese, né come la vuole la Chiesa nostra dolce madre (Scr. 52,174).
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Guardatevi dalle dottrine troppo larghe. Se le dottrine troppo severe conducono alla tiepidezza e per essa al lassismo, o alla disperazione, che dire poi delle dottrine troppo larghe? Oggi non si è più tanto inclinati al giansenismo, anzi sono in voga dottrine che vanno all’opposto e da cui è d’uopo guardarsi. La teoria della troppa facilità di salvarsi è una di quelle false idee, che alcuni tendono ad inculcare con il pretesto specioso di ricondurre più facilmente tante anime alla religione. Ma le ipotesi ardite, i sentimentalismi studiati, le immaginose o commoventi descrizioni non dicono nulla in questa questione. Si tratta di sapere se è dottrina sana della Chiesa essere così facile la salute in quelle condizioni ammesse da certi autori (Scr. 99,183).
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Ma chi crederebbe che dopo aver corrisposto per lunghi secoli all’invito di vino, dopo aver toccato milioni di volte, con mano, l’adempimento della celeste promessa, il mondo se ne scordasse, o meglio, reso duro di cuore dalla nefasta influenza dell’eresia giansenista, più non credesse di dover scorgere in Gesù Cristo (perennemente vivo quaggiù nella Santissima Eucaristica), se non un Padrone esigente ed un Giudice rigoroso, verso cui convenisse nutrire soltanto sensi di riverenza gelida e di timore servile? (Scr. 104,166).
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Quando io sono venuto in Seminario, qui a Tortona e vidi che c’era chi faceva la Comunione solo alla Domenica, altri anche al Giovedì, ma negli altri giorni la sacra mensa era deserta; io ve lo dico qui in pubblico, ne rimasi quasi scandalizzato, perché mi accorsi che in questo Seminario regnava, come il Giansenismo, che insegna di astenersi dal ricevere la Santa Comunione per un certo stolto timore (Par. IV,278).
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Da Don Bosco ho imparato un grande amore al Papa, grande amore; ciò che non ho imparato in Seminario. Lo dico con rincrescimento. Lo vorrei dire a tutti i Chierici di Tortona; non lo faccio se no chissà cosa si scatenerebbe contro di me. Ma desidero si sappia e si scriva. C’era allora ancora un poco di giansenismo in Seminario. La Comunione una vola alla settimana, la domenica, qualche volta al giovedì. Ora non mi meraviglio più dell’Inghilterra, della Germania e di altre Nazioni. Se qui in Italia c’era allora così poco attaccamento al Papa, che cosa doveva sentirsi all’estero? E pensare che avevamo un santo Rettore: Monsignor Daffra! (Par. IV,427).
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Fino dai tempi di Don Bosco e anche dopo, il Giansenismo dominava anche in certi Istituti e Seminari e i migliori seminaristi erano quelli che facevano la Comunione una volta alla settimana e qualche volta due. Anche quando io entrai in seminario a Tortona, i seminaristi più pii facevano la Comunione la domenica e il giovedì, raramente la facevano negli altri giorni. Don Bosco, educato alla scuola del Cafasso e del Cottolengo, raccomandava la Comunione quotidiana. Quante volte potrò fare la Comunione? Chiedeva a Don Bosco un suo penitente. Don Bosco rispondeva: Sette volte alla settimana! (Par. XII,78).
Vedi anche: Eucaristia.
Gioco
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Questo denaro, e quello che a Dio piacerà ancora di mandarci, servirà per l’acquisto di qualche nuovo gioco, o per comprare ai ragazzi qualche cosa, tante volte si deve ai ragazzi addolcire la gola per andare al cuore (Scr. 40,74).
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Il Ricreatorio ha quindi scopo essenzialmente educativo, unendo, con vera sapienza pedagogica, l’utile al dolce. Ma il Ricreatorio perché sia amato dai giovanetti e frequentato ha bisogno di giochi, di una buona palestra ginnastica, di teatrino, del cines, di una bibliotechina ben scelta e adatta per la gioventù, avida sempre di leggere: ha bisogno di molti allettamenti il Ricreatorio e di cose sempre buone e sempre nuove e di tutto ciò che c’è di novità e non è cattivo, deve entrare ed avere la primier nel Ricreatorio per fiorire (Scr. 76,225).
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Carità con i ragazzi, specialmente con quelli indocili, animateli ai SS.mi Sacramenti; giocare con loro, non fare le guardie regie. Trattarli tutti nello stesso modo. Quando bisticciano mettere una buona parola e poi troncare. Specie nel gioco si conoscono bene i ragazzi. Il sì ditelo volentieri, il no fatelo sospirare, fate capire che vi rincresce dir di no (Par. III,72).
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Certi assistenti non giocano mai coi ragazzi... Alcuni stanno lì... Un ragazzo si lamentava: Ci lasciano troppo morti i nostri assistenti. Mi ricordo di aver ancora io visto Don Bosco a correre, a fare una specie di volata... perché voleva dimostrare – si capisce per fare un po’ ridere – che era ancora un giovanotto... Ho visto Don Francesia a giocare... Cercate di giungere all’intelligenza per la via del cuore. La grandezza dell’uomo sta nel cuore. Nel carcere vi è tutta gente di intelligenza ma priva di cuore. Ho visto giocare uomini illustri sotto molti aspetti... Uomini gravi di età giocavano con noi ragazzi, si facevano piccoli coi piccoli e dopo la morte di Don Bosco discendevano dalle loro camere in tempo di ricreazione e venivano a giocare con noi in cortile (Par. III,149–150).
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Stamani son venuto da Sant’Alberto dove sono i vostri compagni che mi dissero di portarvi i loro saluti. Stanno tutti bene; c’era uno al quale gli era venuto male, ma poi era sceso a giocare a palla avvelenata. Ieri, dopo 12 anni, ho giocato anch’io a palla avvelenata (Par. IV,333).
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Quando passo per il corridoio e vi vedo giocare mi fa tanto piacere vedervi così allegri, saltare, correre; mentre mi fa tanto dispiacere quando vi vedo fermi a fare i filosofi. Don Bosco diceva che, quando un Chierico sta fermo mentre gli altri giocano o è ammalato oppure c’è il demonio che gli gira attorno (Par. V,254).
Vedi anche: Gioia, Sistema paterno–cristiano.
Gioia
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Bisogna educare i Chierici ad una santa letizia: una moderata allegrezza accresce le forze e rende piacevole la vita religiosa e spirituale. Disdice ai Servi di Dio lo stare melanconici e tristi. San Francesco di Sales diceva: “Santo triste, tristo santo” (Scr. 2,254).
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Sacrificati per l’amore di Dio e della Chiesa e opera con allegrezza e con coraggio senza darti pensiero dell’avvenire o lasciarti intimorire o disgustare da cosa alcuna che avvenga (Scr. 4,148).
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Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, la umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione tutti uniti di mente e di cuore in Cristo, in una parola, vivere Cristo. E sempre lieti in Domino, con gioia grande, diffondendo bontà e serenità su tutti i nostri passi e nel cuore di tutte le persone che incontriamo: sempre contenti, sempre alacri, tesoreggiando il tempo, ma senza troppa umana fretta: in ogni giorno, in ogni cosa, in ogni tribolazione, in ogni dolore letizia grande, carità sempre e carità grande sino al sacrificio, in ogni cosa, solo e sempre, Cristo, Gesù Cristo e la Sua Chiesa, in olocausto di amore, in odore dolcissimo di soavità (Scr. 8,209).
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Fin che andremo a punta di diritti e di onore non ci faremo mai santi: dobbiamo essere tranquilli, allegri e in perfetta letizia se possiamo essere umiliati e patire qualche cosa ad imitazione di Gesù Cristo, Signor Nostro, servire Deo per infamiam et per bonam famam (Scr. 5,451).
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Vede, Sig.ra Queirolo, che sono di buon umore? Eh si capisce! sono uscito ieri dai Santi Esercizi, i quali non mi hanno tolta la santa allegria (Scr. 9,77).
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Abbiamo da fare con i giovani e con il popolo, come li tireremo a Dio, se non siamo un po’ allegri? Allegri in Domino, s’intende! Abbiamo dei chierici, del personale, dei sacerdoti, degli eremiti, se saremo taciturni, pensierosi sempre, diventeremo loro pesanti, non faremo amare la Casa, la Congregazione: noi non siamo trappisti: noi siamo i gaudenti della Carità: noi siamo i santi dell’allegria. Guai se avremo sempre un fare e una faccia da quaresima! No, no, voglio star allegro e ballare in Domino anche in quaresima! Se saremo tristi, come faremo la felicità di chi sta con noi? Noi dobbiamo irradiare la gioia, la letizia di Dio, la felicità di Dio: far sentire che servire e amare Dio è vita, è calore, è ardore, è vivere sempre allegramente, e che solo i servi di Dio sentono la pace gioiosa e il bene e la gioia santa della vita. Niente cappa di piombo, né su di noi né su chi sta con noi! Cantate! Suonate! Letiziatevi in Domino!, riempite la Casa di soave festosità. Servite Domino in laetitia! Scrupoli e Malinconia via da Casa mia, diceva San Filippo. Io voglio ballare, cantare, suonare anche da morto (Scr. 21,179).
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Confortate gli scoraggiati, sostenete i deboli, siate longanimi con tutti! Cari i miei figli, cercate sempre di fare del bene tanto gli uni agli altri, quanto a tutti. E state sempre allegri, e servite a Dio in santa e perfetta letizia! (Scr. 26,146).
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Vogliamo stare allegri in Domino. Ella faccia quello che può, e poi allegra in Domino. Verranno tante tante tante suore che San Girolamo non potrebbe contenerne neanche una decima parte. Avete capito, che abbondanza? Dove le metteremo? Su, buone figliole di Dio, cominciate a pensare dove potremo mettere tutte quelle centinaia di vostre consorelle. Così avrete qualche cosa da pensare e da fare, e non starete disoccupate. Oh la Divina Provvidenza! Avremo più missionarie della carità che non tutti gli erbaggi che vanno dalla vostra Casa fino al mare. Abbiate fede, e state di buon umore in Domino. E compatitevi molto e aiutatevi, e camminate avanti in umiltà e carità e allegria (Scr. 27,23).
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Quando vi è pietà vera, una Casa va a meraviglia: vi è spirito di pace, di unione, di allegria: vi è progresso materiale, scientifico, spirituale: vi si gode come una gioia serena di paradiso; ma, se non vi è spirito di pietà, una Casa religiosa diventa un inferno e invece noi di fare mirabilia si diventa e si fa miserabilia (Scr. 28,104).
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Confortatevi, e sopportatevi a vicenda l’uno i difetti dell’altro, da buoni e da santi fratelli: sempre umili, sempre sinceri, sempre aperti l’un l’altro, sempre allegri di spirito, di cuore, e sereni di anima e di volto, e avanti in Domino! in per fetta letizia, lodando e servendo a Dio, alla Chiesa, alle anime agli orfani (Scr. 29,48).
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Benedico Gonella: ditegli che la Madonna gli prepara una grazia molto grande – egli sarà il primo dell’Opera che andrà a vederla – stia allegro che in paradiso si sta meglio che sulla terra e che in letto malato (Scr. 30,61).
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Amare Dio è il primo dovere. E abbandoniamoci a Lui e alla Santa Chiesa, in umiltà e letizia di spirito. Servite Domino in laetitia, ha scritto San Paolo. San Francesco non voleva dei sognatori melanconici, ma figli pieni di alta e spirituale letizia e di luce di Dio (Scr. 31,240).
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Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù. Egli sarà con te, e ti consolerà, e troverai più gioia spirituale e più contento e felicità a vivere della povertà e umiliazione di nostro Signore, che se tu fossi ricco di tutti i beni e piaceri fugaci di questo povero mondo (Scr. 32,2).
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Serviamo il Signore allegramente: la nostra mistica dev’essere la carità allegra, la nostra dottrina tutta lieta in Domino; la nostra vita: in Domino, in Domino, in Domino, lietamente in Domino. Caro padre, oggi ho una gran voglia di ballare: ci sarà il ballo in Paradiso? Se ci sono suoni, ci sarà anche il ballo: il voglio cantare sempre e ballare sempre. Caso mai, il Signore mi farà un reparto speciale per non disturbare troppo i contemplativi. Sono contento perché in Paradiso sarà sempre festa: e, nelle feste, c’è sempre allegria, canti, balli, in Domino e festosità. Io voglio tenere tutti allegri: cantare e ballare sempre: voglio essere il santo dei balli, dei canti e dell’allegria in Domino (Scr. 37,171).
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Hai lavoro? E sei di buon umore? Se hai lavoro e sei di buon umore, fuma una sigaretta alla mia salute, perché io prego e perché la tua officina abbia lavoro e perché tu sia sempre di lieto animo. Vedi, sto vecchio prete senza fastidi, com’è allegro! E tu, caro Franco, sei allegro? Sta’ di buon animo, di buon animo sempre, ché uomo allegro, il Ciel l’aiuta. Io questa allegrezza, che è serenità di spirito, e sgorga dalla pace della coscienza: questa soave letizia che fa lieta e bella la vita, te la auguro, caro Franco, per le feste del Santo Natale e per il nuovo Anno, con tutti quei bene che il tuo cuore può desiderare (Scr. 41,64).
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Che la grazia dello Spirito Santo si diffonda sempre più copiosa nei nostri cuori, e ci faccia sentire quanto il Signore è vicino a noi, e ci avvezzi a sentirlo e ad esserne sempre consapevoli. E allora, quanta allegrezza santa, quanta santa gioia e letizia allora attendere e servire e ad amare Dio! Rallegrarci della santità e dei doni e grazie che Dio ci ha date e delle buone azioni che per sua grazia possiamo fare e siamo portati a fare, dandone sempre a lui ogni onore e gloria, è pure una allegrezza santa a cui esorta lo Spirito Santo, e mi fa tanto piacere, e ne prego Dio, che loro ne siano entrambi e scambievolmente lieti nel Signore. La letizia è un grande aiuto a servire il Signore e a progredire nelle vie di Dio. Sempre voglio pregare Gesù che dia loro la ilarità ed il gaudio santo del bene di San Filippo e di San Francesco di Sales, ma badino che, quando si soffrisse di aridità, di noia, di tedio, questo non è sempre segno che si va indietro, molto spesso dipende dalle non buone condizioni di salute o da permissioni di Dio: molte volte si profitta più nelle aridità che nelle consolazioni, le persone che si sono date a Dio, vogliono offrire a Dio l’aridità come una penitenza, e fare continui atti di amore di Dio (Scr. 41,150).
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Si direbbe che il Signore ci voglia, in un certo senso, sempre bambini, e sempre lieti, sereni. Proprio così, il Signore si ama e si serve in santa letizia, non nella tristezza, ond’è che San Francesco di Sales non credeva alla santità melanconica e triste, e soleva dire Santo triste tristo santo Francesco d’Assisi poi non voleva solo la letizia ma la perfetta letizia. Ho conosciuto don Bosco, era sempre allegro e di buon umore, anche quando gli levarono la Messa. E Santa Teresa diceva: niente ti turbi. Così erano i nostri fratelli santi, e così dobbiamo sforzarci, vincerci ed essere pure noi: sempre contenti e lieti nel Signore! E come non si potrebbe essere pieni di santa letizia se il Signore è vicino a noi e in noi? Scrupoli, malinconia, via da casa mia, diceva San Filippo. Via, dunque, ogni tristezza, sig.ra Contessa, via ogni nube, ogni fantasia, ogni pensiero che non porta pace allo spirito, ma inquietudine e turbamento: quelle idee; quei pensieri non sono da Dio, ma del nemico di ogni pace e di ogni bene. Stiamo tranquilli, sereni e riposiamo dunque fidenti nella mano del Signore. E raccomandiamoci a Maria SS.ma madre di consolazione e di ogni pace. Che predicone, signora Contessa, che predicone! Meno male che siamo in quaresima! (Scr. 44,146).
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Siete contenti nel cuore, siete allegri? Credo di sì. Nella vita religiosa si provano tante consolazioni che se fossero capite dai mondani si darebbe la scalata alle Case religiose e ai Chiostri. Tanta è la pace e la tranquillità che se Dio la facesse conoscere a tutti, dice San Lorenzo Giustiniani Le consolazioni dei mondani sono miste di fiele sono esteriori: non vengono dal cuore, lasciano il vuoto, il rimorso. Sì, siate sempre allegri: servite Domino in laetitia. Uno che non fosse sempre allegro, non sarebbe un buon religioso, né un buon figlio della Div. Provvidenza. San Filippo era sempre allegro San Francesco di Sales comunicava l’allegria a quelli che gli stavano vicino, e diceva: un santo triste è un tristo santo. San Francesco d’Assisi diletto. Si può essere compunti e anche piangere ed essere allegri. Sono dolci le stesse lacrime: se tanto è dolce il flere pro te, quid erit gaudere te? (Scr. 55,74–75).
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Non si può far del bene stando con il muso, con la malinconia, con la tetraggine: non con il collo torto né con la faccia da venerdì santo si attira ad amare il Signore e alle pratiche della religione la gioventù. Se vogliamo fare del bene e trarre specialmente i giovani servizio del Signore, dobbiamo procurar d’imitare la serena e santa ilarità e piacevolezza di San Filippo Neri, di San Francesco di Sales del Cottolengo e di Don Bosco! Servite Domino in laetitia! (Scr. 57,77).
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Tra i frutti dello Spirito Santo, dopo la carità, San Paolo annovera subito l’allegrezza: “frutti dello Spirito Santo sono: la carità, la gioia...” (Gal 5,22), per insegnarci che la vita spirituale deve essere animata da un senso di pia letizia (Scr. 57,79).
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Gesù Bambino, Gesù dolce, Gesù amore! Noi ti vogliamo amare e servire in carità grande e in santa letizia, sempre contenti per la beata speranza, amando e vivendo delle cose umili e poveri, come tu, Gesù, ci ha insegnato. Vogliamo far del bene sempre, far del bene a tutti o Gesù, benedicendo sempre e non maledicendo mai! Aiutaci o Signore! (Scr. 57,301).
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Siate assidui alle pratiche della vita comune, e fate le vostre fatiche insieme portando l’uno i pesi dell’altro e sopportando ciascuno i difetti degli altri per l’amore di Gesù Cristo: sempre allegri in Domino di cuore, di spirito, di parole e serenità pure nel volto come negli atti vostri: lieti di servire Dio, sempre in perfetta letizia in Domino, nella preghiera, nel lavoro, nelle ricreazioni, nei pasti, sempre e tutto con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e servendo a Dio (Scr. 63,69).
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Fa’ che i tuoi probandi e novizi siano sempre allegri santamente nel Signore: bandisci e scaccia dalla casa la malinconia e la pietà malinconica, che è una pietà falsa: i santi erano tutti di lieto animo. Servite Domino in laetitia! “Scrupoli e malinconia, via da casa mia” diceva San Filippo Neri. La allegrezza nasce in noi principalmente dalla purità della nostra coscienza, dalla grazia dello Spirito Santo che si diffonde nei nostri cuori, e dall’abbandono nella fede e fiducia nella Divina Provvidenza. Fa’ sentire a codesti miei cari figli in G. Cr. quanto è dolce e lieta cosa servire il Signore e corrispondere alla nostra vocazione. L’ilarità è un gran de aiuto a servire il Signore, e i buoni canti sia in Chiesa che fuori (Scr. 70,105).
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State allegre in Domino, sempre allegre e mai tristi né imbronciate e tenete allegre tutte, ma specialmente le povere vecchie e le malate. E il Signore sarà con Voi! (Scr. 71,49).
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Un’ora di buona compagnia, un banchetto allegro, un bicchierotto di vino e una partita fra amici, fanno dimenticare, fanno star bene. Chi dicesse che la gioia è male, chi predicasse solo lavoro, serietà, preghiera, non comprenderebbe che l’arco troppo teso si rompe; e nemmeno comprenderebbe lo spirito vero della Religione cristiana. Basta ricordare alcuni dei grandi modelli del Vangelo: Don Bosco, ad esempio, era sempre allegro. I Santi della gioventù hanno creata e diffusa un’atmosfera sana d’allegria intorno a sé. San Francesco di Sales, studente, era l’anima della ricreazione fra i condiscepoli; e anche dopo che era Vescovo di Ginevra, non mutò umore; una volta, per divertire i suoi fratelli, fece anche da attore in una rappresentazione sacra; si capisce, quando non era ancora Vescovo. E chi non sa quale e quanta giocondità e festevolezza adornasse l’animo di San Filippo Neri? Basti ricordare le sue parole: “Mangiate, o figliuoli, mangiate pure, né vi venga in ciò scrupolo; perché mi compiaccio e godo nel vedervi mangiare”. E le altre: “Figlioli, state allegri!”. Ne volete sentire una più bella? Egli viveva insieme a uomini seri e virtuosissimi, eppure il Padre Manni, che stava con lui, scrive: “Filippo governava con grande semplicità: mostrava di amarci tutti e ci chiamava nella sua camera, facendoci giocare, ballare, cantare” (Scr. 104,239).
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Perfetta letizia sarà quando da pecorelle di Dio sosterremo realmente, umilmente, pazientissimamente, caritativamente e con allegrezza e amore le prove, che per vincere noi medesimi, per compiere in noi la sua santa e adorabile volontà Gesù dolce, Signore nostro, si degnerà mandarci o permettere a gloria sua e della Santa Madre Chiesa e per dare vera vita religiosa a noi e alla piccola opera della Sua Provvidenza (Scr. 110,51).
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Su, animo, cari figliuoli! E siate fin lieti di soffrire: Voi soffrite con Gesù Crocifisso e con la Chiesa; non potete fare nulla di più caro al Signore e alla SS.ma Vergine: siate felici di soffrire e di dare la vita nell’amore di Gesù Cristo. L’esempio di Gesù, di Maria SS.ma, dei Santi vi animi (Scr. 111,201).
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Urge avere maggior formazione su Gesù Cristo, essere più poveri con Cristo, più umili e mansueti come fu Gesù Cristo, più caritatevoli più uniti di mente e di cuore in Cristo. E tutto con gioia tutto con semplicità con fervore, e in ogni cosa solo e sentire Cristo e la sua Chiesa (Scr. 121,179).
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Al Piccolo Cottolengo si vive allegramente: si prega, si lavora, nella misura consentita dalle forze: si ama Dio, si amano e si servono i poveri. Negli abbandonati si vede e si serve Cristo, in santa letizia. Chi più felice di noi? E anche i nostri cari poveri vivono contenti: essi non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi i loro servi; cosi si serve il Signore! Quanto è bella la vita al Piccolo Cottolengo! È una sinfonia di preghiere per i benefattori, di lavoro, di letizia, di canti e di carità! (Scr. Lettere, II,245).
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Spirito di grande umiltà, ma santa gioia in Nostro Signore. Siate liete! Nulla vi turbi; né il grande silenzio vi dia tristezza, ma gioia spirituale; né la vista dei vostri peccati vi sconforti o vi avvilisca: dolore sì, avvilimento no (Par. I,164).
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Non si può far del bene stando con il muso, con la malinconia, con la tetraggine! Non con il collo torto, né con la faccia da Venerdì Santo si attira ad amare il Signore ed alle pratiche di religione, la gioventù. Se vogliamo fare del bene e trarre specialmente i giovani al servizio del Signore, dobbiamo procurare di imitare la serena e santa ilarità e la piacevolezza di San Filippo Neri, di San Francesco di Sales, del Cottolengo e di Don Bosco. Servite Domino in laetitia! (Par. VIII,142).
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Noi vogliamo venire, o Signore, a servirVi e a servirVi lietamente! Quanto bene fa il religioso, quanto bene fa la religiosa quando fa le cose lietamente. Oh quanto fa bene allo spirito e anche al corpo dei nostri infermi questo spirito di santa letizia, questo spirito di serenità spirituale, pur nel vostro raccoglimento, nel vostro religioso contegno, che rivela all’esterno la vita interiore di unione con il Signore! I malati allora vedono sul vostro volto un raggio del volto del Signore! E così hanno fatto i Santi, così ha fatto San Francesco d’Assisi quando ha abbracciato il lebbroso, così ha fatto San Carlo Borromeo! Perché i Santi erano sempre lieti, sempre contenti nel Signore, anche quando avevano dei grandi dolori; sapevano soffrire lietamente, perché sapevano soffrire con Gesù, che stimavano il soffrire come perfetta letizia (Par. X,6).
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Quando siete sane siate contente; quando avete male, siate contente e liete; quando vi capiterà un ufficio nuovo, siate contente; contente della vita e contente della morte... Don Bosco diceva: In fine di vita si raccoglie il frutto delle opere buone. Il vostro coraggio riponetelo nell’aiuto del Signore; cercatelo nella fede, in Gesù Crocifisso. Avete il vostro cilicio, non avete bisogno di altro cilicio; il nostro cilicio deve essere la pazienza. Sapete che coi malati ci vuole grande pazienza... San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il Santo degli infelici, era sempre sereno e lieto tra i suoi poveri (Par. X,6).
Vedi anche: Carattere, Oratorio, Sistema paterno–cristiano, Teatro.
Girandolone
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Vi mando il Girandolone togliendogli tutto l’argento, che porterò su io; lo manderemo a fare del bene alle anime per il Piemonte e Lombardia. Ora è qualche mese che riposa (Scr. 12,233).
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Il Girandolone l’ho lasciato a Roma, ove penso che avrà continuato il suo mestiere (Scr. 25,216).
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Quanto al Girandolone supplicherei la Badessa di farlo girare, a compiere la sua missione di rubare anime, se così piace alla Badessa (Scr. 25,219).
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A Genova c’è il mio caro girandolone presso un bambino di 8 anni ammalato da tre anni. Non so ove sia, ma scrivo a Novi, che mi diano l’indirizzo e glielo farò avere. Così se sua sorella vuole che il girandolone venga a trovare il suo bambino, egli verrà e le porterà molte consolazioni. Intanto cominciate una novena a Gesù Bambino e una Salve Regina secondo la mia intenzione, intanto che il divino girandolone sta a venire. A Caravaggio la SS.ma Mamma ha guarita istantaneamente una fanciulla di 9 Anni, da tre anni malata così che non poteva più reggersi in piedi. Era stata 9 Mesi all’ospedale di Tortona e tre mesi al suo paese e operata di coscite da questo Prof. Saone. Ma questa grazia fu ben poca cosa in paragone di tante grazie spirituali largite ai nostri cari pellegrini (Scr. 39,20).
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Ero fuori di Tortona e ieri mi giunse il girandolone, che subito le feci portare costà dal corriere. Spero che sarà giunto. Dica pure alla sua ottima sorella che metta ai piedi di Gesù Bambino non solo il suo caro piccino, ma tutte le sue pene: che Gesù bene le sa e le vede e Gesù le può e Gesù le consolerà, egli che è il Signore di ogni consolazione. Mentre scrivo vedo sulla lettera che la sorella è a Pasturana, ed io prima non ci badai e ho mandato il girandolone a Genova, mentre potevo facilmente da un mio giovane in bicicletta mandarlo a Pasturana. Pazienza! Sarà il Signore che avrà disposto così (Scr. 39,22).
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Il prof. Fornari mi scrisse che la sig.ria vostra rev.ma, il 10 dello scorso maggio, si degnò di riunire in capitolo la sua comunità e che benevolmente stabilirono di rilasciarmi il quadretto di Gesù Bambino, detto il Girandolone, acciò egli prosegua a salvare anime come per il passato. Che per altro resta vero che detto Gesù bambino apparterrà sempre al Monastero della Duchessa di Viterbo e a tale effetto si domandava che io rilasciassi un mio scritto, che dichiari che il suddetto Girandolone appartiene alla Comunità Cistercense di Viterbo e che mi protestassi disposto a ritornarlo ogni qualvolta mi venisse richiesto. Ora, o rev.da madre badessa, mentre chiedo scusa di non averle subito scritto per ringraziare lei e la ven.da comunità delle sue monache di questo insigne atto compito verso di me di cui me ne sento veramente immeritevole e indegnissimo, vengo, benché in ritardo, a compiere il mio dovere. E qui unita invio scritta tutta di mia mano, la dichiarazione richiesta tanto giustamente dalla comunità loro, che se essa non fosse di loro pieno aggradimento, la prego comunicarmelo, poiché io, con il divino aiuto, intendo farla nello stesso senso e nella stessa forma che è dalla sig.ria vostra rev.ma e dalla comunità desiderata. Che anzi io crederei conveniente rilasciare al Monastero un inventario di tutti gli oggetti ed ex voto annessi alla S. Immagine. Il Divino Girandolone si trova a Roma; ma poi comincerà a girare con me e verrà in Sicilia e in Calabria e poscia forse anche in alta Italia, come gli piacerà fare del bene. Ora è presso un ammalato e domani o dopo lo vedrò e farò l’inventario di tutti gli oggetti insieme magari con il sig. cav. Fornari. Crede vostra reverenza che vada bene così? (Scr. 44,62).
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Io sottoscritto, sacerdote Orione Luigi fu Vittorio, appartenente per divina bontà alla piccola Congregazione dei figli della Divina Provvidenza, dichiaro nel miglior modo che il piccolo quadretto di Gesù bambino detto il Girandolone datomi da suor Maria Benedetta il 20 aprile del 1913 in Viterbo – Monastero della Duchessa – perché lo portassi in giro a rubare e salvare anime, non è di mia proprietà: ma Esso appartiene e apparterrà sempre al Monastero della Duchessa; o meglio alla ven.da comunità di monache Cistercensi di Viterbo. E mi protesto disposto a restituirlo ogni volta che mi verrà dalle dette rev.de monache richiesto. Così Dio mi aiuti. Ringrazio quanto so e come meglio posso la comunità Cistercense di Viterbo di questa concessione e atto di fiducia e pregherò indegnamente ma di cuore per loro, che Gesù le ricompensi. Ed esse e la loro suor Maria Benedetta, si degnino pregare per me, affinché la freddezza e negligenza nel Divino servizio non sia dal Divino Girandolone (...) di ostacolo a salvare anime. Nel cuore Adorabilissimo di Gesù e pieno di santa fiducia nella Madonna SS.ma Sono della ven.da comunità Cistercense di Viterbo e di tutti gli uomini il più indegno servo (Scr. 44,64).
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Oggetti annessi alla immagine del S. Bambino detto volgarmente il Girandolone. 1) Teca in apparenza d’argento con ornati color d’oro ed annesso un piccolo cuore d’argento massiccio. L’immagine del S. Bambino ha una corona d’oro con tre piccole gemme, un cuoricino d’oro e un pastorale d’oro: il manto è trapuntato da piccole punte d’oro. 2) n. 13 cuori d’argento. 3) Un cuore a teca in apparenza d’oro. 4) Un cuoricino d’oro con impressa un’ancora gemmata. 5) Un orologio d’argento. 6) Un anello d’oro. 7) Tre piccole croci d’argento. 8) Una croce in mosaico. 9) Una medaglia d’oro con impresso un bambino. 10) n. 12 medaglie d’argento di varia dimensione. 11) Una medaglina della Vergine di Pompei. 12) Un paio d’orecchini d’oro con piccole gemme. 13) Un piccolo ciondolo d’oro. 14) N. 6 catenine d’argento ed una d’oro. 15) Due piccole medaglie di nessun valore. 16) Immagine del S. Bambino in fotografia. Il tutto racchiuso in un armadietto di castagno. Il sottoscritto ha ricevuto in deposito i suddetti oggetti (Scr. 44,65).
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È vero che io ebbi dal Monastero di Viterbo una immagine piccola del Bambino Gesù, detto il Girandolone e ciò fu verso la fine della vita di quella suora, morta in concetto di santità. E quella immagine fu portata a Reggio Calabria e girò per la Calabria e andò a finire in mano di persona devota che si tenne la immagine e rimandò quanto essa aveva, il che è ancora a mie mani, ma è un pugno di ninnoli privo di valore, o di ben poco valore (Scr. 47,121).
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Ho scritto al Prof. Fornari appena seppi dalla vostra la morte di quella buona serva di Dio. Quanto al Girandolone gli ho fatto la proposta che la proprietà restasse al Monastero e che la Badessa, se lo crede, me lo lasciasse portare a fare il suo mestiere di fare il Girandolone salvando anime. Ma in caso negativo, fate la santa Obbedienza e restituitelo, io prenderò con me un San Francesco di Paola che mi pare abbia già parlato e fatto insigni grazie e che io aveva promesso di mandare a quella Figliuola a Viterbo (Scr. 101,94).
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Ho conosciuto una santa monaca e molte di voi l’avranno conosciuta, o ne avranno sentito parlare; erano 37 o 38 anni che era a letto immobile, con il capo legato alla lettiera, perché non poteva reggere. Andai a Viterbo un giorno e siccome abitava lì, andai da lei a celebrare la Santa Messa e le portai pure il Santo Bambino, quello che chiamano “girandolone”, perché lo portano dai malati (Par. I,184).
Vedi anche: Devozioni, Reliquie.
Giubileo
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Prego per voi tutti: vi animo e conforto tutti: pazienza, cari miei, pregare e patire. Vediamo di piantarci bene in Terra Santa in questo anno del Giubileo. Qui vi pensiamo sempre e preghiamo per voi tutti (Scr. 5,311).
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Chiamo a Roma, per l’acquisto del S. Giubileo e per far atto di amore filiale e di devozione al Papa, tutti i miei fratelli sacerdoti della Piccola Opera che sono in Italia. Premetteremo gli Esercizi Spirituali che i non legittimamente impediti di venire faranno, insieme con me, alla Colonia Agricola di Santa Maria a Monte Mario, la prima Casa, in ordine di tempo, avuta dalla Congregazione in Roma e dono di Sua Santità Pio X (Scr. 5,515).
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Lunedì sono stato a S. Oreste per vedere certi lavori che si dovranno fare: ci mettiamo un po’ di fanciulli della maternità e infanzia abbandonata; e, facilmente, quest’estate ci faremo gli Esercizi Spirituali noi sacerdoti, come si fece l’Anno Santo alla colonia; poi veniamo a Roma a fare atto di devozione al Papa e di acquistare il Giubileo (Scr. 22,143).
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Abbiamo fatto i Santi Esercizi a Monte Mario, predicati da un santo religioso di San Vincenzo e poi abbiamo compito le visite del S. Giubileo. Eravamo una cinquantina, però non tutti sacerdoti, vi erano anche alcuni chierici diaconi e suddiaconi e qualche altro che è prossimo all’ordinazione in Sacris (Scr. 23,34).
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Vi accompagno e presento suor Maria Vittoria, superiora delle nostre suore di San Sebastiano Curone. Essa viene a Roma per il giubileo. Desidera vedere il S. Padre insieme con qualche pellegrinaggio, assistere a qualche beatificazione o canonizzazione, e, se fosse mai possibile, fare la S. Comunione dal Papa. Voi che potete tutto, potrete anche questo. E Dio ve ne ricompensi (Scr. 24,136).
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Ho fatto dieci giorni di S. Esercizi i miei sacerdoti: abbiamo fatto le visite alle Basiliche per il S. Giubileo e siamo stati dal S. Padre. Quale consolazione! E lei non verrà a Roma in questo Anno Santo? (Scr. 38,33).
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Voglia sempre ricordarsi della mia anima nelle sue orazioni. Che Dio mi dia di trarre profitto dal prossimo santo giubileo della nostra redenzione! Gesù Cristo e Gesù crocifisso! Oh quanto grande e divino amore! (Scr. 38,64).
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Ben volentieri ti concedo che tu possa fare gli Esercizi Spirituali in luogo appartato e da solo, a Roma o sue vicinanze; e, dopo, farai qui il Santo Giubileo e avrai il conforto di ricevere la benedizione apostolica nella Udienza del S. Padre. Nel resto, sii lieto di poter patire e tutto offri a Gesù crocifisso in questo anno centenario della sua Passione e Morte; prendi tutto dalla mano di Dio e trasforma ogni tua pena, ogni dolore in tanto amore di Dio (Scr. 47,204).
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Beatissimo Padre, Gli umili figli della Piccola Opera della Divina Provvidenza sono qui ai vostri piedi! Convenuti da diverse parti per l’acquisto del S. Giubileo, quale grazia è mai la nostra di potervi anche prostrare dinanzi alla Santità vostra per umiliarvi l’omaggio del nostro amor filiale e di tutta la nostra devozione! A Roma siamo venuti sì per il S. Giubileo, ma anche per mirare e venerare in voi Pietro: venimus Romam videre Petrum! Che gioia grande poter ripetere ai vostri piedi benedetti la professione della nostra fede: deporre la protesta della nostra obbedienza umile, piena, filiale: l’amore più dolce e più ardente nostro e di tutta la Piccola Opera al «dolce Cristo in terra»: la devozione nostra più illimitata: usque ad effusionem sanguinis, alla causa inscindibile del Papa e della santa chiesa! In voi vediamo Pietro, in voi vediamo Gesù Cristo, o beatissimo Padre: Cristo, redentore del genere umano, che per voi visibilmente continua la sua opera e va dilatando il suo Regno di pace e di carità (Scr. 48,40).
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Domani festeggeremo qui il giubileo del S. Padre; gli orfani, le associazioni e molte anime pie faranno la S. Comunione e saremo in molti a pregare per la conservazione di sua Santità. Mons. Arcivescovo ha ordinato preghiere speciali e si canterà in tutte le parrocchie il Te Deum: a Messina sarà il primo Te Deum! Domani prevedo buon lavoro di confessioni, ma non ancora come vorrei: fatte le chiese, ci vorrebbe una buona missione qui e in tutta la diocesi (Scr. 48,48).
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Pregherò per voi tutti e vi porterò sull’altare ogni mattina. Così io spero nel Signore che per il giubileo papale si potrà benedire la bandiera del circolo e dare la divisa agli sportisti e li condurremo poi dal S. Padre e sarà l’omaggio dei figli della Divina Provvidenza (Scr. 48,240).
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Sua Santità ha indetto il Santo Giubileo, aprendo così i tesori della Chiesa a santificazione dei fedeli e a salvezza del mondo. Ah! che la devozione a Gesù crocifisso ritorni a diventare la devozione delle moltitudini cristiane, ché essa è devozione principe. La nostra redenzione è da Gesù crocifisso e la croce è il vero trono della divina regalità di Cristo: «regnavit a ligno Deus.» (Scr. 49,251).
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Mi aiuti la misericordia di Dio e le orazioni di Vostra Eccellenza Rev.ma perché, almeno in questo Anno del Santo Giubileo, mi converta davvero ad amare e a servire con tutta la mia anima e la mia vita Nostro Signore Gesù Cristo crocefisso e la sua Santa Chiesa e tutti i servi del Signore e gli orfani e i derelitti e i poveri (Scr. 51,150).
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In quest’anno, in cui il giubileo è esteso a tutta la cristianità, noi dobbiamo particolarmente pregare per il ritorno alla Chiesa dei fratelli separati. Però dobbiamo anzi tutto guardarci dal lasciarci tirare noi nelle loro reti diaboliche, poiché essi, specialmente i protestanti, mentre noi preghiamo per la loro conversione, moltiplicano tra noi le mene e gli sforzi pur di raggiungere lo scopo di spargere la zizzania nel campo del Signore e strappare la fede cattolica dalle nostre popolazioni (Scr. 61,220).
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A fianco al Santuario, sorgerà in quest’anno del Giubileo della nostra Redenzione, il Tempietto delle Sante Reliquie, sacrario di cristiano eroismo, centro pulsante di vita spirituale e di martirio! E là vi saranno anche adatti confessionali per uomini. Propagate la notizia: raccogliete consensi, o Amici Lettori. Alle spese non indifferenti provvederà Dio e l’Augusta Regina e Madre nostra, la Madonna della Guardia. Queste e altre iniziative, che fioriranno sotto il suo sguardo, non saranno che trionfi di fede e di carità; malgrado le difficoltà, malgrado ostilità, aperte e subdole, le Opere del Santuario prospereranno, perché su di esse veglia pietosa e potente Maria (Scr. 62,85).
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La parola del Papa veniva a me spiritualmente vivificante, come la parola del Signore! In fine Sua Santità disse che mi avrebbe riveduto un po’ dopo. Infatti Egli ammise tosto al bacio della mano molti nostri Sacerdoti, raccoltisi in Roma per gli Esercizi Spirituali e l’acquisto della S. Giubileo; ci tenne un discorso che nella memoria di tutti i presenti resterà memorabile, luce di dolce consolazione, altissima parola di augusto compiacimento. Sono le briciole che cadono dalla mensa di Dio! Avanti di uscire dall’udienza privata, Sua Santità si degnava impartire di gran cuore una speciale Benedizione Apostolica ai Figli della Divina Provvidenza, in particolar modo ai nostri Missionari: alle Suore Missionarie della Carità, agli Eremiti, ai nostri alunni, ai ricoverati, a tutti i nostri benemeriti Cooperatori e zelanti Benefattrici e alle loro Famiglie (Scr. 62,91).
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Sì, io verrò assai volentieri Lei mi prepari santi giovani. Che anzi mi terrò onorato di stringere la mano a quei generosi cattolici e di volgere, a mo’ di conferenza, tre parole di incoraggiamento e sul Giubileo del Santo Padre, alle associazioni cattoliche di costì e congratularmi con i generosi che rispondendo sì fedelmente alla voce del loro Vescovo si costituirono in Comitato Cattolico (Scr. 70,204).
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Il Papa ha indetto un grande giubileo a celebrare il XIX centenario della Redenzione del genere umano. L’Anno Santo avrà inizio con il 2 aprile, domenica di Passione, quando il Sommo Pontefice aprirà solennemente la Porta Santa di S. Pietro al Vaticano. Già alla vigilia di Natale Sua Santità ha rivolto al mondo il suo invito, la sua paterna e augusta parola di pace e di perdono. Roma rivedrà nel 1933, convergere alle sue meravigliose basiliche le teorie innumeri delle moltitudini pellegrinanti: si rinnoveranno quegli spettacoli di fede e di pietà che riaffermano la gratitudine dei redenti per l’Opera della Redenzione. Amici, prepariamoci: Anno Santo, Anno di santificazione. Per l’acquisto del Santo Giubileo, nostri Sacerdoti e Chierici, divisi in più gruppi, come gli antichi Romei e ad imitazione di parecchi Santi. Partiranno dal nostro Santuario dai piedi della Madonna della Guardia, dopo apposita funzione. Il loro pellegrinaggio sarà in spirito di povertà, di mortificazione, di umiltà, di preghiera rinvigoriranno mano mano le loro forze e la loro pietà con la visita ai vari Santuari che troveranno sul loro cammino (Scr. 73,37).
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Il Papa ha indetto un grande Giubileo a celebrare il XIX Centenario della Redenzione del genere umano. L’Anno Santo comincerà il 2 aprile, quando il Sommo Pontefice aprirà la Porta Santa di S. Pietro al Vaticano: Sua Santità ha già rivolto al mondo, dalla vigilia di Natale, il suo invito la sua paterna e augusta parola di pace. Roma rivedrà nel 1933, convergere alle sue Basiliche meravigliose le teorie innumeri delle folle pellegrinanti: si rinnoveranno gli spettacoli di pietà e di fede che riaffermeranno la gratitudine dei redenti per l’Opera della redenzione. Anno Santo, Anno di santificazione! Amici, prepariamoci (Scr. 92,199).
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È l’Anno Giubilare per tutto il mondo cristiano. La nostra dimostrazione religiosa nel S. Giubileo vuol avere un significato di fede più viva in questo periodo di felice rinascita nazionale e dei valori spirituali. Vuol essere una pubblica grandiosa manifestazione non solo delle credenze avite del nostro popolo, ma della libertà religiosa che esso gode nelle sue purissime e pacifiche dimostrazioni cristiane e cittadine (Scr. 104,227).
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Vi dico tutta la mia gioia e la gioia di tutti i Sacerdoti della Parrocchia, nel vedervi qui riuniti, venuti anche dalle case fuori di Roma, per compiere il Santo Giubileo, secondando così i desideri del Padre della nostra fede e delle nostre anime, il Sommo Pontefice. Stamattina, con trasporto di pietà, avete ricevuto il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia e dopo vi disporrete alla visita delle Basiliche per l’acquisto delle indulgenze concesse dalla Chiesa per questa circostanza dell’Anno Santo. Quest’anno, come già voi sapete, è un anno particolarmente santo perché ci ricorda come, 1900 anni fa, Gesù Cristo Signor Nostro moriva sulla croce per me, per voi e per tutti gli uomini, nati sotto qualunque cielo, parlanti qualunque lingua diversa, di qualunque razza o nazione, perché Gesù Cristo, nostro Dio, è il Redentore di tutti. Ed è per questo che il Vicario di Gesù Cristo ha voluto indire l’Anno Santo e chiamare i fedeli all’acquisto del grande perdono e dei tesori spirituali che la Chiesa concede in questo Giubileo straordinario. Per acquistare il Giubileo, cioè la remissione della pena dovuta ai nostri peccati il Papa ha stabilito certi atti di culto, la visita a certe basiliche di Roma, di recitare certe preghiere, con quel sentimento di fede che si esige in chi vuole acquistare i tesori delle molte indulgenze del Santo Giubileo della nostra redenzione. Per questo siete venuti dai vostri Istituti e siete venuti anche per andare alla casa del Papa a ricevere la Santa Benedizione. Ebbene, che la benedizione del Papa abbia ad illuminare i passi della vostra vita, vi conforti in tutte le circostanze della medesima. La Benedizione del Papa è la Benedizione di Dio! (Par. V,127).
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Dobbiamo sempre stare e agire sotto lo sguardo di Dio. Voi sapete che quest’anno è l’Anno Santo straordinario. L’anno del più grande giubileo, l’anno del gran perdono, anno di grazia. Dobbiamo quest’anno farci santi, tenendo una pia e santa condotta! (Par. V,150).
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L’anno del giubileo sta per finire: chiudiamo, prima che il Papa chiuda la Porta Santa, la nostra vita nel Sacro Cuore di Gesù... Vi raccomando la preghiera; i motivi li sapete, li intuite. Mettete il vostro cuore in quello di Dio. Imprimiamo nel nostro affetto Gesù Crocifisso e cerchiamo di crocifiggerci in Croce con nostro Signore (Par. VI,88).
Vedi anche: Indulgenze, Perdono.
Gola
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Vediamo di avanzarci nell’amore di Dio e di accendere di amore a Dio i nostri che ancora non hanno disertato. Se non c’è umiltà e amore di Gesù Cristo e purità di vita e d’intenzione e mortificazione di volontà e di gola e di sensi e formazione profonda di conoscenze religiose convinte non edificheremo per Gesù Cristo, né per la Chiesa, né formeremo figli per la Congregazione (Scr. 2,256).
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Oratio, labor et temperantia! che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire Unione con Dio – faticare per le Anime – mortificare il corpo con le sue passioni e mortificare la gola! Oratio – labor et temperantia: che vuol dire tutta la vita dei Figli della Divina Provvidenza! In queste tre virtù c’è tutta la nostra vita! Non c’è per noi altra vita: Non c’è altra via per farci santi (Scr. 4,261).
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Se non amerai di più la preghiera, se non ti mortificherai di più nella tua gola nella tua testa, in certi tuoi sentimenti pieni di amor proprio e di superbia e delle volte fin di capricci: se non sarai più umile, se non amerai di più la fatica, il sacrificio con il lavoro, vedi che finirai male. Te lo scrivo con il cuore che mi piange, ma dopo avere molto, molto pregato per te, caro Fra Giuseppe (Scr. 4,262).
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E della temperanza che dirò? Che dirò di questa virtù che è saggia moderazione, che è giusto freno agli istinti, alla gola, ai desiderii non buoni? Il Ven.le Don Bosco la raccomandava tanto tanto e fu sempre rigorosissimo e contro l’intemperanza del mangiare e del bere. Senza mortificazione della gola non c’è nessuna virtù e non c’è, sopratutto, castità. Per questo San Filippo Neri diceva: «datemi una persona mortificata nella gola ed io ne farò un Santo»; ma chi non è mortificato nel bere e nel mangiare, chi vuole mangiare bene e vuole ungere la gola non avrà castità, non avrà virtù, non sarà mai un buon figlio della Divina Provvidenza, né buon Religioso. La Santa Scrittura dice: «Il goloso sarà sempre povero. Chi ama il vino e i buoni bocconi non farà mai roba» (Proverbi). La nostra Congregazione si farà grande e farà gran bene, finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e nel bere, particolarmente saran circospetti nel permettersi bibite, vino, liquori e il fumare. Cari miei figli di Terra Santa, se il vizio della gola prendesse mai possesso di codesta vostra Casa, voi sareste bell’e perduti! Guai agli amatori del vino puro, delle buone bottiglie e dei buoni bocconi! (Scr. 4,264).
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La poca voglia di lavorare: il poco spirito di umiltà e di sacrificio: la poca temperanza, anzi l’intemperanza nel bere vino e nel mangiare, cioè il vizio della gola: ecco i grandi nemici che dovete combattere in voi, se volete che Gesù Cristo viva in voi e vi benedica! E ricordatevi che non siete divenuti Signori, perché siete gli amministratori del Rafat, dove oggi ci siete e domani non ci sarete forse più. Ricordatevi che siete sempre i poveri, gli umili, gli straccioni figli della Divina Provvidenza (Scr. 4,265).
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Non tolleriamo il peccato di gola, ma non siamo né passiamo per avari. In certe Case mi fa gran pena sentire lamenti e fin mormorazioni verso i Superiori perché non di dà, non si provvede, quando si può, a ciò che è necessario o anche conveniente, pur nella povertà, che ci sia; oppure si fa aspettare aspettare e non si è mai a tempo e così si irritano gli animi e si alienano dalla Congregazione (Scr. 4,273).
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Quante anime sono state vittime dei sensi immortificati! Chi non sa mortificare la gola, chi non sa custodire gli occhi ed essere modesto, chi non sa tenere a posto le mani, chi non sa turare le orecchie e non ascoltare tutti i discorsi buoni e cattivi, non sarà mai un buon religioso. L’occhio è come la finestra per la quale il demonio entra nel cuore. State attenti, o miei cari, quando uscite o nei passeggi. Temperanza poi, vi raccomando molto la temperanza: senza la mortificazione della gola non saremo buoni religiosi senza la mortificazione della gola non avremo la bella virtù della purezza (Scr. 29,90–91).
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Fate qualche mortificazione nella gola: si mangi solo nei tempi stabiliti e solo quanto basta e si faccia qualche fioretto nel mangiare (Scr. 52,166).
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Mortifichiamoci se vogliamo custodire la bella virtù (Rom. VIII): se noi viviamo secondo la carne, morremo: se mortificheremo la gola e le inclinazioni della carne, avremo la vita (Scr. 55,39).
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Ne uccide più la gola che la spada. La gola mandò in rovina molte Comunità. Se andremo di questo passo qualche Casa perirà. Dio non benedirà. Guardatevi dai preti forestieri; via gli amatori di bottiglie e di buoni bocconi; saggia moderazione e giusto freno agli istinti talché non rompano l’equilibrio spirituale né varchiamo i limiti segnati dalla prudenza e giustizia (Scr. 55,236).
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La mortificazione della gola è l’A. B. C. della vita spirituale; non si frena nella gola, non si frena niente; se uno non è mortificato non è né puro né santo. San Francesco Borgia di chi si diceva che era santo rispondeva: sarà tale, se è mortificato. Chi si lascia dominare dalla parte inferiore e animalesca e dalla gola merita esser chiamato piuttosto bestia che uomo. Il Diavolo tentò Gesù Cristo, nella gola (Scr. 55,248).
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Mio carissimo figliolo nel Signore, io vengo a confortarti con affetto più che di padre, benché non ti potrò scrivere lunghe cose: sii devoto alla SS.ma Vergine, frequenta la S. Confessione e fa la Comunione ogni giorno, mortificati negli occhi, nella gola, nella fantasia, nei sensi: lascia ogni lettura morbosa, pericolosa o semplicemente vana e fuggi l’oziosità (Scr. 95,117).
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Chi vuol contentare la gola, soddisfarsi in tutto, avere, come suol dirsi in dialetto, sempre la gola unta... non si mantiene puro; purezza e soddisfazione della gola sono due opposti, non possono esistere. Fuggite l’ozio che è il padre dei vizi. Il demonio profitta, per tentarvi, del tempo che state oziose (Par. I,217).
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I mezzi per custodire la purezza, sono dunque: la custodia sei sensi, specialmente la custodia della gola; chi desidera mangiare bene non custodisce il senso della gola. Qui fra noi, nei primi anni della Congregazione, era venuta un’anima che fu poi allontanata dalla casa, perché non rispondeva al nostro spirito. Un giorno che la vidi fuori, le chiesi: Come mai siete ridotta cosi? Ed essa disse una grande verità: Non ho saputo mortificare la gola e non ho saputo mantenermi come doveva (Par. II,59).
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Siate sobri, siate temperanti. Figliolini miei, volete voi mantenervi costanti e conservare questa angelica virtù? Siate sobri, siate temperanti, siate mortificati nella gola, siate mortificati nella gola! Don Bosco diceva di non ordinare sacerdoti quelli che sono golosi, quelli a cui piace unger la gola, quelli che amano l’ozio, quelli che non trovano mai nulla da fare, quelli che amano la cella e il cubiculum, che è il letto (Par. II,62).
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La formula della vita religiosa è la temperanza. Estote sobrii. Ne uccide più la gola che la spada. Un goloso non sarà mai un buon religioso. San Filippo dice: datemi un uomo non goloso e io ve ne faccio un santo (Par. III,166).
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Mangiate quanto vi basta. Chi mangia fin qui, non si mantiene casto; non si mantiene chi accontenta la gola in tutto, chi si lascia vincere dalla gola. Il troppo cibo fa male anche al corpo... Don Bosco diceva che, se avesse potuto scrivere una parola sul sole, avrebbe scritto: “temperanza”. La Madonna disse un giorno a Don Bosco: “Vultisne, filioli mei, virtutem huiusmodi in securitatem ponere: sobri estote et fugite otiositatem” Dal goloso e dall’ozioso tutto c’è da aspettarsi! Datemi un giovane che sia temperato nel mangiare e io ve ne darò un Santo, diceva San Filippo Neri. Datemi un religioso che voglia ungersi la gola, vi dico che questo non sarà mai buon religioso. Il goloso è facile a molte cadute (Par. VI,155–156).
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Per essere veri chierici, dovete ora staccarvi da voi stessi, proprio io, dalla superbia, se superbia c’è; dalla gola, se gola si ha, da tutto quello che vi impedisce di farvi santi. “Ad quid venisti?”: son forse venuto per diventare ricco? Per mangiar bene? No! Lo dice la gente dei paesi: “Va’ a farti prete e mangerai i capponi!”. Ma noi non siamo venuti per questo. La Provvidenza ci pensa (Par. X,138).
Vedi anche: Temperanza.
Grazia (di Dio)
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Noi dobbiamo anzi tutto, umiliarci e ringraziare il Signore, e poi dobbiamo prontamente metterci nelle sue mani con umiltà e generosità; dobbiamo ravvivare in noi la grazia e lo spirito della nostra vocazione: dobbiamo, con il divino aiuto, fare santi propositi, che vengano dal profondo del cuore: dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi. E così unirci di più a Dio, e specialmente con l’orazione, con più profondo spirito di pietà e di disciplina religiosa prepararci, in umiltà e cuore grande e magnanimo, ai sacrifici che la Div. Provv.za e la nostra Congregazione richiedessero da noi (Scr. 1,167).
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Cari miei figli, premendomi di dirvi una parola almeno indistintamente, vi dirò che io mi aspetto da voi altri tutto, che la bontà del Signore può volere da noi, purché voi corrispondiate alle sue grazie e alla grazia inestimabile della santa vocazione religiosa. Io aspetto da voi altri tutto, se sarete umili, e avrete sempre coi vostri Superiori quella bella sincera e semplice confidenza e obbedienza che hanno i bambini con la loro mamma (Scr. 2,76).
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E poi si deve, con la divina grazia, gettare il fondamento della nostra santificazione, cominciando con il riparare le negligenze della vita passata e ravvivare, risuscitare in noi la grazia della celeste vocazione religiosa (Scr. 3,378).
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Con la divina grazia e per la divina grazia non solo crediamo a Gesù Cristo, ma anche soffriamo per Lui e con Lui. Tutto potremo in Lui, che ci conforta. Ti consolino, caro D. Adaglio, le parole di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e sotto un grave peso, e io vi darò riposo!”. Io prego per la tua guarigione, ma perché anche la malattia ti valga a merito ti consiglio a metterti nelle mani del Signore e della Madonna e a prendere tutto per la santificazione della tua anima (Scr. 5,400).
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Fa’ tutto bene e adagio: quando si lavora continuo e adagio, e c’è la grazia di Dio, si riesce sempre. Tante volte il Signore non mancherebbe, ma l’uomo vuol correre troppo in fretta, e le cose non riescono: lavorare sempre correndo, e correre sempre andando adagio e guardando il Cielo! (Scr. 10,12).
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Il valore della grazia di Dio è tanto che l’universo in paragone di essa, vale uno zero. Nella grazia del Signore è ogni pace, ogni bene è l’unione dei nostri cuori. Siate sempre con il Signore! (Scr. 26,228).
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Dobbiamo essere altamente persuasi dell’infinito bisogno che abbiamo della grazia di Dio, e non cessare di pregare Dio di darcela. Bisogna pregare bene e molto (Scr. 28,106).
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Il mio affetto in Gesù Cristo per voi, e per ciascheduno di voi, trabocca, ed è indicibile la gioia che provo nell’affaticarmi con la divina grazia ad edificarvi e a corroborarvi nello spirito di nostro Signore Gesù Cristo, e perché, alimentati dalla Eucaristia, la quale è fonte e vincolo di unità della Chiesa e dei cuori nostri, perseveriate nella vocazione comune, come nella comune carità, come nella comune vita religiosa di preghiera, di lavoro, di sacrificio, per l’amore di Gesù Cristo benedetto (Scr. 29,200).
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E questa deve essere la vita del buon religioso: crocifiggere ai piedi di Gesù la nostra libertà, la nostra volontà, la nostra vita, tutti i nostri sensi e sentimenti, e ciò con la grazia che Dio dà sempre a chi lo prega. Bada ancora, caro Marabotto, che non avrai più nulla a sperare nel mondo, se non fatiche e patimenti e persecuzioni per amore del nostro Dio e del Papa e delle anime (Scr. 32,2).
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Si degni vostra Eccell. rev.ma pregare sempre per me, che Dio mi assista, e che io corrisponda alla sua grazia, e tenga fermo nel cuore e nella pratica della mia vita il consiglio che v. Eccell. mi ha dato: io, con la grazia di Dio, prometto di farlo (Scr. 45,81).
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Prego e pregherò sempre per te, o mio caro fratello, e ti conforto con grande affetto, a voler con passo deciso ritornare a Dio e alla Chiesa, in umiltà e dolore dei tuoi traviamenti, e con piena fiducia che la divina grazia ti assisterà a mantenerti fedele, e la mano di Dio spianerà le difficoltà e metterà a posto ogni cosa. Se tu credessi che io possa far qualche cosa per te, per agevolarti, scrivimelo in Domino, ché farò quanto è in me (Scr. 47,61).
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Tutta la nostra forza sta nella grazia di Dio e nell’unione, il cui vincolo è Cristo! Che Gesù, il quale venne a redimere gli uomini e unirli a Lui, faccia sì che siate sempre indivisibilmente uniti a Lui e tra di voi, o cari miei figliuoli, sì che formando noi una sola famiglia religiosa, ci sentiamo sempre più grandi e felici, e le nostre opere siano benedette dalla mano dell’Altissimo e dalla Santa Madonna (Scr. 51,104).
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Chi è altamente persuaso dell’infinito bisogno che ha della grazia divina, non cessa di gridare per ottenerla in ogni atto in ogni istante della propria vita. Lo spirito dell’orazione è veramente quello che alimenta il fuoco interiore e dà la vita all’anima. Ecco perché tra i doveri e gli uffizi del Religioso e del Sacerdote può dirsi francamente che il primo è quello di pregare (Scr. 55,184).
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Il Signore ti chiama a lavorare nella Chiesa in modo singolare. Ti parlo così perché so che puoi intendermi. Interroga le profondità della tua coscienza, e sentirai la voce del Signore. La tua anima si stenderà beata nel sole che le piove dalle fonti della grazia divina. In tutto il complesso di vita che si muove e turbina attorno a te per travolgerti, una sola luce si levi e risplenda e riscaldi il tuo cuore: Gesù! Fa’ di amarlo e servirlo come merita. Egli ti aiuterà ad entrare in una corrente spirituale di purezza e a formarti una coscienza alta nella pratica della tua fede (Scr. 66,76).
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Come il mistero della Pentecoste continua sempre invisibilmente nella Chiesa, così discenda in noi e viva sempre in noi la carità abituale e la grazia santificante. È questo il primo e più necessario dono dello Spirito Santo Consolatore. Noi dobbiamo implorare oggi e sempre. Egli illumini la nostra mente con il dono della intelligenza: ci elevi con il dono della sapienza al conoscimento delle verità divine. La scienza che viene dal Divino Paracleto, ci porti a disprezzare i beni e le bassezze della terra per la cognizione di Dio, e ci dia “quel gusto interno”, come scrive San Bonaventura, che “riempie l’anima di soavità”, per cui disse il salmista: gustate e vedete, quant’è mai dolce il Signore (Ps. XXXIII) (Scr. 78,90).
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Se amiamo il Signore e ci mettiamo pure noi con umiltà nelle Sue mani, e ci diamo a lavorare a bene dei fanciulli con carità e semplicità, il Signore farà miracoli e la Sua grazia ci insegnerà come dovremo lavorare con la Chiesa e con il Papa (Scr. 90,339).
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Si dice nella Sacra Scrittura che i giorni dei Santi sono giorni pieni, pieni di opere buone. Ebbene, che la mia e la vostra vita, con la grazia di Dio, corrisponda alla grazia e alla volontà di Dio, sia tutta piena di giorni pieni, come sono pieni di opere buone i giorni nella vita dei Santi (Par. II,118).
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Bella cosa restaurare, perfezionare, completare, riparare tutto in Cristo, gli uomini e le istituzioni, le cose e le anime. Ma prima di rinnovare gli altri nella vita di Cristo, bisogna prima edificare Gesù in noi sulle rovine di tanti peccati, sulle rovine della nostra miseria. Dobbiamo far morire l’uomo vecchio dei sensi, per creare in noi con la Divina Grazia l’uomo nuovo che ha per sua anima lo spirito del Signore, per suo cibo il Corpo del Signore. Instaurare Omnia in Christo! Rinnovare, ricominciare ogni cosa in Gesù Cristo (Par. V,99).
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Come insegna il Santo Evangelo con la Parabola della senape e del lievito, dobbiamo stimare moltissimo la grazia di Dio. La grazia di Dio è trasformativa e la grazia di Dio è espansiva. Facciamoci docilmente trasformare dalla grazia del Signore che cade nell’anima nostra in piccoli granellini, e diventa albero, dove gli uccelli dell’aria vaganti trovano il loro rifugio. Anche noi dobbiamo essere grossi alberi, querce secolari per dar rifugio a quelle anime che nel mondo non trovano pace. Noi dobbiamo ancora esser pane alle anime (Par. VIII,136).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Eucaristia, Sacramenti, Santità.
Guerra
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Avverti i Chierici che i loro esami saranno dal 10 al 20 dicembre e verranno Don Pensa e Don Sterpi; spero che mi prepareranno in tutto molte consolazioni, mentre sono tanto addolorato per tutti i nostri che sono in guerra (Scr. 2,118).
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Io desidero che Curetti venga su agli Esercizi; sarà un conforto reciproco. Non bisogna che egli si affligga, perché qui non si ha requie né dì né notte e se non si viene, si pena di non poter venire; ma bisogna pure capire che si è tempo di guerra in tutto e compatirci di più, perché siamo ridotti a pochissimi, di quelli che lavorano. Ma credo che da per tutto sia così (Scr. 4,121).
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Io spero che la guerra farà rinsavire molti e metterà a posto molte cose e porterà Dio al suo posto che gli compete anche nella educazione e nella scuola. Che cosa ha mai fatto chi ha bandito Dio dal cuore della gioventù e dalle cattedre della Scuola! Non così volevano la scuola i grandi pedagogisti italiani da Vittorino da Feltre a Tommaseo e a Rosmini, benché non scevri, specialmente questi ultimi, da errori in fatto di purezza di dottrina cattolica. Ma erano cristiani e mettevano tutti Gesù Cristo a base della vita civile (Scr. 8,1).
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Vedete che prevedo la guerra per altri 3 anni circa. Chissà cosa sarà! Chissà come andrà! Mettetevi un poco davanti al SS.mo Sacramento e poi rispondetemi come sentite la cosa (Scr. 12,184).
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Qui preghiamo tutti per i nostri sacerdoti e chierici che fossero chiamati alla guerra, perché la Santa Madonna vegli su di loro e li assista. Mandatemi nomi e indirizzi dei richiamati (Scr. 18,154).
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Qui si ha la impressione che si va incontro ad altra guerra europea. Vi consiglierei a vendere quel po’ di oro di quella donna che sta a S. Bernardino, poco per volta, ma con sollecitudine, a meno che non lo abbiate dato tutto per la guerra abissina, che ha spezzate le catene a tanti schiavi e ha dato alla Italia la gloria dell’Impero e grande smacco alla Inghilterra (Scr. 19,156).
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La improvvisa richiamata alle armi di don Gandini e il probabile e forse prossimo richiamo anche di don Pensa mi consigliano di dare una destinazione diversa, almeno per il momento critico che attraversiamo, al personale della Congregazione che può essere posto alla testa delle Case e non corre pericolo imminente di essere portato in guerra. Siamo pochi i sacerdoti che potremo andare esenti dal servizio militare e perciò dovremo tentare prima di ridurre il personale delle Case e poi si chiuderanno i Collegi ove i giovani saranno inviati alle famiglie – e riterremo aperte le Colonie Agricole per gli orfani e per raccogliervi i nostri probandi e chierici. Ora, data l’importanza assunta dalla Colonia Agricola di Monte Mario e la sua situazione alle porte di Roma, tu, o caro figliolo sei destinato a dirigere – finché Pensa non ritorna dalla guerra – la Colonia di Santa Maria di Monte Mario (Scr. 25,159).
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La Congregazione esce dalla guerra spossata e sfinita per debiti: qui solo con il panettiere abbiamo L. 9 mila e avremo in soli debiti correnti non meno di L 50.000. A Bra, dove sono in 43 persone, avremo almeno 30.000 lire di debiti, poiché da tempo non si può aiutare quella casa: vi sono residui di debiti di due e di tre anni fa. Voi altri anche avete debiti e tutte le case hanno debiti: la colonia agricola di Monte Mario ha circa L. 20.000 di debiti e non ha più buoi nella stalla e neanche il cavallo che fu rubato (Scr. 26,27).
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Direi di convertire nelle cartelle del nuovo prestito di guerra al 5%, una parte di quei titoli prestiti interni dei quali si prende meno: vedete bene come fare. Non so se farete a tempo. Così tutti gli oggetti d’oro siano messi più al sicuro (Scr. 27,239).
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Quantunque l’Italia non sia in guerra, essa soffre terribilmente una crisi economica perché è circondata da nazioni belligeranti. Manca di tanti generi e quelli di cui abbonda non possono passare la frontiera e vendersi. Di più tutte le banche non restituiscono più i capitali depositati, per un decreto del Re Non si trova più denaro a prestito e anche si volesse dare una ipoteca sui beni, nessuno si fida e non si trova. Bisogna comprare a contanti tutto. Tutti viviamo in grandi angosce: parecchie classi sono già richiamate: altre lo saranno presto; anche non scoppi la guerra, l’Italia vuole essere forte per l’ora in cui si decideranno le sorti della guerra stessa, per avere cioè anch’essa parte di territori che si divideranno o Trento e Trieste (Scr. 29,8).
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Preghiamo e mettiamoci nelle mani di Dio e della Madonna SS.ma: Dio conosce le ore e i momenti della pace. È un grande castigo di Dio questa immensa guerra! Umiliamoci sotto la potente mano del Signore e diamoci più a lui con vero spirito di penitenza e di umiltà (Scr. 29,18).
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La guerra mi porta via tutti i sacerdoti come porta via tutti o quasi tutti i chierici che tu hai conosciuti. E quelli dei sacerdoti e chierici che ancora non sono andati, certo da un momento all’altro possono essere chiamati alle armi (Scr. 29,19).
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La mobilitazione generale per la guerra mi toglie la maggior parte del personale di cui potevo disporre. Mi vedo perciò costretto da forza maggiore a non poter più dare al Santuario di Montespineto, almeno per ora, i religiosi di cui sino ad oggi ho con piacere disposto (Scr. 35,32).
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Devo pensare in questi momenti di guerra a tante necessità più sentite per il caro vivere e anche a parecchi orfani della guerra o a fanciulli poveri inviatimi dai paesi già redenti (Scr. 44,259).
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La SS.ma Vergine, del resto, madre tenerissima di tutti noi e del nostro Istituto, guida celeste e capitana dei figli della Divina Provvidenza, ha voluto tosto confortarci, inviandoci buone vocazioni anche di sacerdoti ben formati a spirito di pietà, di zelo e di sana dottrina, onde noi possiamo dire, confusi, che Dio dalla guerra ci ha fatti uscire – sotto ogni riguardo – più forti. Abbiamo dovuto aprire due nuove Case per postulanti in alta Italia: il Noviziato da qualche anno è fatto con tutte le norme canoniche ed è numeroso e molto promettente: gli studi dei chierici sono molto più curati e regolari, e, per divina grazia vedo uno spirito di rinnegamento di sé, di sacrificio, di umiltà, di pietà, di attaccamento al Papa che è veramente consolante (Scr. 48,255).
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Quest’anno saremo più pochi e parecchi temevano che di Esercizi non ce ne sarebbero stati per la circostanza della guerra: più di 20 nostri fratelli sono sotto le armi e le difficoltà di riunirci sono più gravi che nel passato, specialmente per la mancanza di personale. Ma Dio non ha private le anime nostre di tanta grazia e nel suo nome adorabile e nel nome benedetto della sua e nostra SS.ma madre e dei beati apostoli e dei santi e angeli nostri protettori si cominciano gli Esercizi anche quest’anno per la gloria di Dio e della s. Chiesa e per la santificazione nostra e la salute delle anime! (Scr. 52,165).
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La guerra europea fu scatenata da chi era ossessionato da spirito di egoismo e di perversione, specialmente nello svalutare i valori morali. Dovette essere un ignobile, spiritualmente cieco, calcolatore solo di ciò che ha valore materiale. Ora il pericolo non è scomparso, tutt’altro! Badate, amici: la morale e la vita stessa della società corrono ancora gravissimo rischio, perché troppi vivono solo una religione di maniera, altri e molti sono gli spiritualmente ciechi, onde avviene che il progresso meccanico va inghiottendo tutta o troppa parte dell’attività umana. Sola via di salvezza è la religione. La tempesta della guerra e più un’alta luce di Dio, ha condotto il Capo del nostro Governo a considerare e a mettere in efficienza i valori religiosi e morali, poiché ben comprese che la restaurazione nazionale sarà solo possibile se accompagnata dalla ricostruzione delle anime, da sincera e profonda rinascita cristiana (Scr. 52,250).
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Dato il pericolo imminente di guerra, alla Gregoriana si fanno anticipare gli esami ai chierici polacchi, tedeschi, inglesi etc. Direi di far anticipare gli Esercizi Spirituali ai chierici e sacerdoti polacchi, mettendoli nei primi turni. Ho la persuasione che toccando Danzica, scoppi la guerra tra Polonia e Germania. Che io possa sbagliarmi! (Scr. 54,243).
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Percotiamoci il petto e gridiamo a Gesù Crocifisso: Signore, perdonateci! Sono i nostri peccati, che hanno scatenata questa guerra. Rivolgiamoci alla Madonna: Maria SS.ma ci può salvare! Parce, Domine, Parce populo tuo, ne in aeternum irascaris nobis (Scr. 55,147).
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Dopo i tragici avvenimenti della guerra, tutti sentono il bisogno di un’ascensione di anime verso le cose superiori e i padri e le madri cristiane non devono paventare di dirigere lo sguardo dei loro figli verso gli splendori radiosi del Santuario, onde abbiano a rispondere alla grazia d’una celeste vocazione e tutto il nostro zelo dev’essere impiegato nello scoprire e coltivare nei giovani le predisposizioni al Sacerdozio (Scr. 56,127).
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Preghiamo il Signore e presto la guerra finirà! È un mondo che finisce; ma l’alba dell’era novella sarà alba di Dio, che tornerà la vecchia Europa pentita sulle vie della fede e della vita cristiana. E inno di pace sarà la celeste melodia della Provvidenza divina, che diffonderà sulla terra una grande luce di misericordia del Signore (Scr. 61,82).
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Il tempo di guerra è una difficoltà grave per le borse, certamente; ma è, viceversa, un incitamento di più per i cuori. Non è forse adesso che si sente più viva la pietà per le vittime dirette e indirette della guerra? E noi abbiamo conosciuto, in quest’ora difficile, dei cuori ben generosi! Ah il cuore italiano, il cuore cristiano è ben grande! Lo diciamo alto a gloria di Dio e ad incoraggiamento dei buoni: sono sedici mesi di guerra guerreggiata: agli orfani che già avevamo si aggiunsero altri orfani: ma i generosi non mancarono mai: Sant’Antonio pensò sempre ai suoi orfanelli! (Scr. 61,91).
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La guerra europea è un flagello, un gran flagello; ma in seguito sarà anche «un rimedio, una restaurazione in Cristo». G. De Maistre ha chiamato divina la guerra «divina per le sue conseguenze di ordine superiore», ed avvertiva: «al momento opportuno Dio s’avanza!». Certo è che nel fragore delle armi l’uomo sente Dio: parli Giosuè Borsi! I popoli e i monarchi, ammaestrati alla terribile scuola della guerra, spesso rinsaviscono e compiono le più belle riparazioni (Scr. 61,97).
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Fiamma di guerra! fiamma di fede! Dunque? Dunque non per questo deve desiderarsi la guerra. La guerra è un flagello! Ma vi sono flagelli che sono flagelli di Dio! «Può essere castigo, può essere misericordia» diceva a Renzo P. Cristoforo, là nel lazzaretto di Milano. E allora la guerra può essere anche un rimedio; un rimedio morale per la società, può essere... chi lo sa? Una fiamma di fede, una grande, divina misericordia: la chiamata, o il ritorno di un popolo! (Scr. 61,98).
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Leviamo in alto i cuori! E, anche nei mali della guerra, vediamo, alla luce alta della fede, la ordinatrice sapienza del Signore, che getta nei solchi aperti dall’odio il germe dei beni futuri. Nel principio, nel mezzo e nella fine della vita dell’umana vita, c’è Dio, c’è sempre Dio, il Quale, intrecciando l’opera sua con il libero arbitrio dell’uomo, la conduce agli alti ed eterni suoi destini (Scr. 65,322).
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È un anno oggi che si è entrati in guerra e in questi giorni si sentono notizie della offensiva degli Austriaci, specialmente sul Trentino. Il mio pensiero viene naturalmente a voi, o cari miei figli, che siete sparsi qua e là, a compiere il vostro dovere e ad esporre la vostra vita per l’adempimento del vostro dovere (Scr. 67,140).
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Molte famiglie tutto sono, eccettoché cristiane: molti individui di cristiano non hanno più che il Battesimo e perché non possono levarselo. E la guerra, questa immane guerra, in genere, non ha finora migliorato i costumi, non ha migliorato niente: noi preti non illudiamoci! Or tutti costoro che altro fanno, se non mettere ingratamente al bando l’augusta Regina del Cielo e Gesù Suo Divin Figlio? In tal modo abbandonata e trattata l’amabilissima Regina, con in braccio il suo diletto Gesù, si rivolge ai figli suoi, alle figlie sue devote e tutti invita a prendere le sue difese (Scr. 71,198).
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Facciamo penitenza e convertiamoci sinceramente al Signore. Dio vuole un popolo corretto dai dolori della guerra: Dio vuole una vita non di orgoglio ma di umiltà, una vita più cristiana, vita non di odio, ma tutta di carità. E la carità di Gesù Cristo, ricoprendo i nostri peccati, lenirà, anzi farà dolci anche i nostri dolori (Scr. 71,199).
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Perché il flagello della guerra? A questa domanda, che esercita oggi Coloro che non vedono nulla al di là di questa vita scorgono al più, nel grande flagello della guerra, la cagione materiale del fatto; ma con questa comoda soluzione non soddisfano a noi, che con lo sguardo ardito della fede vediamo molto più in alto e cerchiamo e troviamo, anche nella tristezza della guerra, una bella e soave speranza. Il rozzo villano che ha fede dice: è un castigo di Dio. E questa è pure la risposta del cristiano colto e di pensiero basata sulla Sacra Scrittura, perché veramente è risposta piena di sapienza. Noi non siamo soltanto materia, ma abbiamo uno spirito immortale; non abbiamo quindi soltanto mali materiali, ma anche morali, che sono i peccati. Il Signore sovente si serve dei mali materiali, ossia del dolore, per purificare o punire i mali morali (Scr. 73,149).
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Questa guerra! e chi non sente che è una grande voce di Dio, una grande chiamata di Dio per tutti? per gli umili come per i potenti, per noi preti come per i popoli? Ah guai a noi se questa guerra non ci dice nulla, nulla di più alto guai a chi con leggerezza la consideri, o solo come uno svolto qualunque della storia come la fine di un’epoca. Ben altro, ben altro e ben più è nei disegni di Dio, questo sfacelo della civiltà senza Cristo. Cristo fu cacciato e il mondo si sfascia: Cristo ritorni e il mondo si riedificherà! La guerra deve incidere Cristo nell’anima dell’umanità: deve arare Cristo nel cuore dell’umanità e ararvelo profondamente. Senza lasciare di essere oggi per noi, cattolici ed italiani, come per tutti, la più giusta guerra di liberazione, essa, in più vasto orizzonte, debb’essere anche nella coscienza, nella volontà, nei voti di tutti i credenti, di tutti gli onesti, di tutti che pensano una grande conversione a Dio, un profondo rinnovamento di vita, la rinascita cristiana e civile dell’umanità (Scr. 82,13).
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La guerra è una voce di Dio! Egli vuole punire la superbia, l’immortalità, l’ingiustizia, l’abbandona e il disprezzo della sua legge e disperderà come nebbia i suoi nemici, che sono i nemici nostri e dell’Italia, che è terra di benedizione. Dio si formerà una nuova generazione secondo il suo Cuore. E allora i popoli con le lacrime e con i sospiri si rivolgeranno ancora a Te, o Santa Chiesa di Gesù Cristo, che porti la risurrezione e la vita e sul tuo cuore di Madre piangeranno i traviamenti loro e la loro apostasia (Scr. 82,38b).
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La guerra è spesso la tempesta purificatrice, il segno sanguinoso, con cui il Signore richiama a sé i popoli, quando si disviano e si corrompono (Scr. 85,97).
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Guai a noi se questa guerra non ci dice nulla di più alto, guai a chi la considera con leggerezza o come una svolta qualunque della storia. Ben altro, ben altro è nei disegni di Dio; questa guerra ci penetri l’anima profondamente, senza lasciare di essere per noi oserei dire più ancora che una guerra di liberazione, ché tale essa deve essere per il mondo una guerra di rinnovamento cristiano e civile e una vera rinascita cristiana. E guai se non sarà così! (Scr. 89,69).
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Noi siamo un gruppo di persone di nient’altro desiderose che di realmente fare del bene al prossimo e oggi il bene è la beneficenza agli orfani specialmente della guerra. Chi scrive conosce bene le varie opere con i loro bravi statuti che con tanto slancio sono sorte. Il primo e più urgente dovere, suscitato dallo stato di guerra, è, dietro al fronte, la protezione, l’assistenza e il ricovero degli orfani dei soldati caduti o morti a causa della guerra (Scr. 92,25).
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La fine della guerra non è la prepotenza né la vittoria dell’impero centrale, ma la fine della guerra sarà così chiara che si dovrà da tutti dire: digitus Dei est hic, sarà una vittoria divina. O bone Jesu, venit hora: clarifica Vicarium tuum, ut Vicarius tuus clarificet Te! (Scr. 100,77).
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Dovevamo aspettarcelo questo terribile castigo della guerra, questo terribile flagello, che è una chiamata di Dio; non è bastato il terremoto, il colera, le malattie, sia della terra che delle vite. Tutto è stato inutile; ecco la prova! Oh! Invochiamo, invochiamo Maria, per ottenere la pace e che la Madonna prema non tanto sul cuore di Dio, quanto su quello degli uomini. Invochiamo da lei la purezza di intendimenti, la purezza spirituale di carità, che indirizzi tutta la nostra vita, distacchi i nostri cuori da tutto ciò che è caduco (Par. I,122).
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La guerra è una voce potente di Dio, sia per gli umili che per i grandi, sia per noi preti che per il popolo. Guai a chi la considera semplicemente come la fine di un’epoca! La guerra deve incidere nel cuore dell’umanità Cristo: deve essere una grande conversione a Dio e la rinascita civile di tutta l’umanità! (Par. VIII,228).
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La Chiesa sempre, nelle litanie che sono le preghiere più liturgiche, da secoli ha sempre invocato la liberazione dalla guerra: A peste, fame et bello libera nos, Domine. La guerra distrugge l’uomo, distrugge il prodotto del lavoro umano, distrugge le arti e immiserisce gli uomini e porta malattie generali che falciano le vite. In Italia, dopo la prima guerra, abbiamo avuto la spagnola che ha mietuto più vite della guerra. Tanto più una guerra fatta oggi, con i gas che in poco distruggerebbero una città intera (Par. IX,386).
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Se si scatena la guerra, la guerra va ad essere più micidiale e distruggitiva che non tutte le guerre precedenti e travolgerebbe in gran parte anche la nostra Congregazione. Sarebbe come se un grande turbine, una tempesta devastatrice, passasse sopra un campo dove la messe biondeggia. Se si scatenasse la maggior parte di voi andrebbe, non dico nelle caserme, ma sarebbe portata al fuoco. E così, non solo voi, ma anche i novizi e tanti nostri fratelli! Corrono voci molto allarmanti! Pregate perché queste voci siano esagerate. Di questo non dovrete nemmeno parlarne tra voi: non se ne deve parlare, ma si preghi perché, con la preghiera, si faccia dolce violenza al cuore di Dio; perché il Signore nella Sua pietà, allontani il flagello della guerra (Par. X,151).
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Oggi, cari figlioli, abbiamo sentito la terribile notizia! È scoppiata una nuova guerra... Non illudiamoci che essa possa fermarsi tra i due popoli che ora si combattono. L’odio non si ferma; c’è solo il Signore che può fermarlo e limitarlo. Gli uomini che non hanno dato ascolto a nessun appello dei popoli e neanche hanno ascoltato la parola del Vicario di Gesù Cristo, che invocava pace e diceva che con la pace tutto è salvo ma con la guerra tutto è perduto, questi uomini, c’è da temere, non si fermeranno. I pretesti, i violenti, li trovano sempre per arrivare dove vogliono arrivare... Si apre il sipario su una tragedia di cui non possiamo prevedere le dimensioni (Par. XI,108a).
Vedi anche: Fascismo.
Hallelismo
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L’Hallesismo nato in Italia, ed oggetto di immeritata persecuzione giudiziaria, afferma di avere una parola di pace da offrire all’umanità dolorante e sfiduciata. I suoi assertori mostrano una fede ed una tenacia così profonde e così sentite che, penso, non possono essere frutto di ignoranza e di illusione. Io stesso ho voluto guardarvi addentro e vi ho trovato grande elevatezza di ingegno e sconfinato desiderio di bene. Conosco da tempo alcuni esponenti del Movimento, ho parlato a lungo e con molti studiosi e competenti e tutti mi hanno dichiarato di non esservi alcuna obiezione concreta da muovere a quella dottrina, tanto studiata all’Estero. Gli Hallesisti tutto offrono e nulla chiedono. Ma a loro si risponde dalla scienza, dalla banca e dalla stampa con la congiura del silenzio. In privato molti ne parlano con simpatia, pubblicamente invece non è possibile ottenere neppure una critica demolitrice: nulla, il silenzio. Uno degli esponenti del Movimento: l’ing. Manetti–Cusa, che io amo ed apprezzo da tempo, mi ha ripetutamente dichiarato che se potesse parlare con V.E. sarebbe sicuro di chiarire quelle perplessità, che impediscono a V.E. di apprezzare nel suo giusto valore l’Hallesismo. Crede V.E. di concedere questa udienza? E se non lo crede, potrebbe almeno delegare un Funzionario di alta capacità, che faccia, in contraddittorio con gli Hallesisti un esame analitico della proposta Hallesista? Da una parte io vedo l’umanità in pena e i dolori infiniti che né leggi né beneficenza riescono a lenire; dall’altra io vedo lo slancio e la fede con cui gli Hallesisti affermano di poter offrire una soluzione alla crisi sempre incalzante e mi domando: Perché non ascoltare tutte le voci, specialmente quelle che vengono da anime giovani, ardenti e generose? (Scr. 118,32).
Vedi anche: Divina Provvidenza.
I promessi sposi
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La c’è la Provvidenza. È l’espressione piena di fede che esce dal cuore di Renzo riconoscente a Dio anche nei travagli; indulgente verso gli uomini anche nelle persecuzioni, eleva l’umile montanaro brianzolo a tale virtù ed eroismo cristiano da ben giustificare pienamente la qualifica che gli dà il Manzoni di primo uomo della nostra storia, cioè del romanzo e fa di lui il tipo ideale, il simbolo vivente di fiducia nella Divina Provvidenza. Ma non è il solo personaggio del Romanzo a vivere in questa luce di fede. Né l’episodio di Renzo è l’unico degno di nota sotto questo riguardo, anche se occupa, per così dire, idealmente, una posizione centrale. Il Manzoni ha voluto fare molto di più. Ha inteso comporre, coi Promessi sposi, il poema della Divina Provvidenza. Al capolavoro manzoniano non si potrebbe dare definizione migliore. Come Dante ha cantato la fede, Manzoni ha cantato la Divina Provvidenza. Osserviamo la trama del romanzo: esso obbedisce ad una regola ora tacita ora palese, ma sempre presente: la Divina Provvidenza (Scr. 61,230).
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I Promessi sposi non solo affermano la presenza di Dio nella società, la fede nella Divina Provvidenza che deve sorreggerci, confortarci in tutti i giorni, in tutti i passi della vita, ma sono un insegnamento pratico e prezioso della fiducia piena e del cristiano abbandono che dobbiamo avere in Dio (Scr. 61,234).
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Il “poema della Provvidenza”, come possiamo chiamare i Promessi sposi, ha già fatto tanto bene all’umanità e continuerà a farne perché esso stesso è un dono di Dio alle nostre anime assetate di bellezza e di verità. Si è prospettata l’idea di un Manzoni Santo. Canonizzabile? Non saprei. Ma santo, un cristiano, sì. Un uomo, uno scrittore, che parli con tanta insistenza e con tanta convinzione della Provvidenza di Dio non può, a meno di possedere la fede operosa dei giusti. Né si venga a dire che egli fece solo della letteratura. Sviluppò un vero, fecondissimo apostolato. Lo chiameremo dunque il santo della Provvidenza? Diciamo piuttosto il poeta della Provvidenza, senza escludere però l’idea della santità. Il Santo della Provvidenza cerchiamolo poco lontano di luoghi e di tempo. Osservate un particolare che, certo, non esula dai disegni della Provvidenza. L’anno stesso in cui usciva alle stampe la prima edizione dei Promessi sposi (1827) un povero prete a Torino era commosso dal triste caso di una famiglia forestiera abbandonata sul lastrico e risolveva di dar principio ad un’opera di carità di cui il suo nome sarebbe divenuto un simbolo e un’espressione: San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Ecco il santo della Provvidenza. Senza conoscersi, per una divina intuizione di carità, il poeta e il santo sono legati da un medesimo vincolo, consacrati ad un medesimo ideale: la Divina Provvidenza (Scr. 61,235).
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Lucia è l’anima, Lucia è la umanità che nelle strette, nelle calamità trova sempre sui suoi passi la Divina Provvidenza. Lucia si rasserena, s’addormenta; l’Innominato si converte, da persecutore si fa liberatore di Lucia, diviene lui stesso strumento della Divina Provvidenza di Dio. Renzo va in cerca di Lucia e, quando l’avrà ritrovata nel lazzaretto, e salta fuori la questione del Voto, la Divina Provvidenza gli avrà fatto incontrare Fra Cristoforo che mette a posto ogni cosa. Occorre dire che la Divina Provvidenza è elemento decisivo nei Promessi Sposi? (Scr. 83,102).
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Dal sacrificio di Gesù e per la effusione dello Spirito Santo nacque e si propagò la Chiesa: frutto del suo amore e della sua preghiera, la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica: la Chiesa «che nel suo sangue Cristo fece sposa» e che il genio italiano, che diede al mondo il poema dei tempi nuovi, i Promessi Sposi, invoca Madre dei Santi (Scr. 86,88).
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Grandi libri popolari di educazione religiosa. Pellico: Doveri degli Uomini e Mie Prigioni. Racconti, di Cristoforo Schmid. Il carattere degli italiani, di A. Alfani. Consigli ai giovani, di Nicolò Tommaseo. I Promessi Sposi, del Manzoni. Buon senso e buon cuore, di Cesare Cantù, etc. Uno stock di questi libri si trova in deposito presso la Tipografia, a cui ci si può rivolgere per gli acquisti (Scr. 92,258).
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Chi dà al poverello, i figliuoli che accolgo sono tutti poveri, riceve da Dio, ricordatelo! Lo sapete di quel Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi che fuggitivo, dopo quella sorprendente lavata, in quella malaugurata osteria di Milano, varcato che ebbe l’Adda, non volendo presentarsi al cugino come un pitocco e dirgli: Dammi da mangiare, entrò in un’osteria a ristorarsi lo stomaco; e infatti, pagato che ebbe, gli rimase ancora qualche soldo. Nell’uscire s’abbatté con dei poveri che gli stesero la mano. «La c’è la Provvidenza!», disse Renzo; e cacciata subito la mano in tasca, la vuotò di quei pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada (Scr. 110,126).
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I Promessi Sposi non affermano soltanto la presenza di Dio nella società; non sono soltanto una splendida apologia della Divina Provvidenza. Sono anche un trattato pratico, ricco di preziosi insegnamenti morali e religiosi, in ordine alla fiducia nella Provvidenza e alla necessità di cooperare al suo trionfo nel mondo (Scr. 114,193).
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La Provvidenza di Dio trionfa in definitiva nei Promessi Sposi: carità verso i deboli, verso gli infelici, i malati, carità verso i peccatori, i reietti, nelle forme più squisite e delicate. L’anima di don Rodrigo preme a Fra Cristoforo quanto quella di Lucia. Il Romanzo è tutta una fioritura di opere buone che costituiscono l’inno elevato alla Divina Provvidenza da uno dei più grandi geni di nostra gente. Il “poema della Provvidenza”, come possiamo chiamare i Promessi Sposi, ha già fatto tanto bene all’umanità e continuerà a farne perché esso stesso è un dono di Dio alle nostre anime assetate di verità, di fede, di virtù, di bellezza (Scr. 114,194).
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Come Dante ha cantato la fede e ci ha dato la Divina Commedia, il poema sacro, così Manzoni ha cantato la fiducia in Dio, ha cantato la Divina Provvidenza e ha inteso comporre nei Promessi sposi il poema della Provvidenza. Mi sembra, o cari amici milanesi, che al capolavoro manzoniano non si convenga un titolo, una definizione migliore di questa “il Poema della Provvidenza” (Scr. 114,197).
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Distinta Signora, la pace di Gesù sia sempre con Lei! Il Manzoni ha scritto, nei Promessi Sposi, queste grandi, consolanti parole: «Il Signore non turba mai la gioia, la pace dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande». Dunque non si lasci abbattere qualunque cosa avvenga, ché la Mano dell’Altissimo sta aperta sopra di Lei! (Scr. 119,49).
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Il sole non deve tramontare sulla tua iracondia. Se tu sei all’altare e ti sei ricordato che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia...; se tu vuoi che il Signore gradisca il tuo olocausto, va’, lascia l’offerta e riconciliati con il tuo fratello. Se questo è l’insegnamento che ci ha dato Gesù, allora bisogna far di tutto per tradurlo nella nostra vita. Il Manzoni ha scritto pagine mirabili; se il Vangelo si perdesse, basterebbero i Promessi Sposi a darci il midollo della dottrina di Cristo sviluppata nei santi evangeli (Par. III,23).
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Nei Promessi Sposi la Lucia del Manzoni mentre è rapita, quella umile e nobile creatura, quando si accorge del pericolo grave in cui si trova, quando teme di essere oltraggiata estrae dalla tasca il Rosario e invoca la Madonna e dice: «O Vergine Santissima, voi a cui mi sono raccomandata tante volte, voi che avete fatto tanti miracoli per i poveri tribolati, aiutatemi; fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornare salva con mia madre, o Madre del Signore». Preghiera dolce, preghiera filiale, cristianamente sublime che fa pensare, piangere e pregare (Par. III,57).
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I Promessi Sposi non solo affermano la presenza di Dio nella società, secondo la grande espressione dell’Apostolo Paolo: «In lui viviamo, in lui siamo»; ma i Promessi Sposi sono anche un manuale, permettetemi, un trattato pratico di ammaestramenti preziosissimi sulla fiducia che dobbiamo avere nella Provvidenza di Dio e sul dovere che abbiamo, ciascuno secondo le sue forze, di concorrere per il trionfo della fede nel mondo, per il trionfo di Dio in mezzo ai nostri fratelli (Par. VIII,38).
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Manzoni ha fatto un gran bene all’umanità, perché l’anima dell’umanità non ha bisogno di verità, ma ha bisogno di bontà e di fede e anche di alta e pura bellezza, quali si trovano nei Promessi Sposi del vostro Milanese, del nostro Alessandro Manzoni. Un gruppo di giovani, fiorenti di vita, fiorenti di fede con a capo il caro Don Cojazzi, ha prospettato un Manzoni santo. Ai posteri l’ardua sentenza. Non ai posteri, alla Chiesa Madre dei Santi, conservatrice incorruttibile del Sangue di Cristo, alla Chiesa la materna decisione. È certo però che Manzoni, come uomo, come scrittore, come grande pensatore cristiano, ha scritto pagine così convinte, ci ha lasciato un patrimonio così grande di fede che non si sa come non si potrebbe metterlo nella schiera di quei giusti. L’anno stesso in cui usciva la prima edizione dei Promessi Sposi, nel 1827, il Cottolengo cominciava in Torino la sua opera (Par. VIII,39).
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Se le nostre scuole italiane, in altri tempi, con altri uomini, con altro governo, hanno ancora sentito un soffio di fede, un soffio di cristianesimo, quando dall’oltralpe venivano certe correnti che inaridivano le sorgenti della vita spirituale della fede, si deve anche al Manzoni. A questo proposito ricordo quanto fu detto dal Serrati: «Bisogna levare dalle mani della nostra gioventù soprattutto i Promessi Sposi affinché il socialismo si faccia strada» (Par. VIII,41).
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Quanto male può fare un sacerdote ignorante! Quanta è mai brutta la figura di Don Abbondio, la figura del prete ignorante! Non era di cattivi costumi Don Abbondio, ma Don Bosco non voleva che si leggessero i Promessi Sposi solo per la mala figura che, secondo lui, il Manzoni fa fare al clero nella persona di Don Abbondio. Oh, che noi non vogliamo essere dei Don Abbondio! Noi vogliamo essere di Dio! (Scr. 8,159).
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Il primo segno di sentirci servi di Dio, il primo segno della nostra consacrazione a Dio, è il bisogno di pregare. Vedete, anche nei Promessi Sposi ciò che dice il grande scrittore cristiano della preghiera e del bisogno che aveva l’Innominato, Francesco Bernardino Visconti, di pregare: rimandava nella sua memoria le preghiere che aveva imparato da bambino (Par. IX,394).
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Quando mi trovavo a Buenos Aires, nei giorni nei quali lavoravo, alla sera mettendomi a letto – dopo di aver detto quello che un cristiano, un sacerdote, un religioso deve dire prima di mettersi a letto – mi mettevo sopra al cuscino qualche libro e così, nei giorni in cui mi pareva d’aver lavorato, mi davo un premio. Una sera leggevo una pagina dei Promessi Sposi, un’altra sera leggevo una pagina della vita di Santa Teresa di Gesù che mi avevano regalata, una meravigliosa autobiografia, ampia in parecchi volumi, che mi rincresce di non averla portata via (Par. X,8).
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In questi giorni io pensavo, facevo un po’ di filosofia della storia dei passati giorni e, un poco manzoniano, sono andato all’ultimo capitolo dei Promessi Sposi, che è un gran libro, è una gran filosofia cristiana, e là il Manzoni è andato a far cercare da Renzo e dalla sua buona moglie Lucia, la ragione come mai fossero capitate loro quelle vicende, più dolorose che liete. E così il Manzoni cavò il succo del romanzo, in un modo alto e degno, che voi conoscete. Ed io pensavo a cavare il succo da quello che è capitato a me e alla Casa vedendo in tutto la mano, la voce di Dio: Dominus est (Par. XII,116).
Vedi anche: Manzoni Alessandro.
Indulgenze
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Per Camporosso, quando si apra la cappella, farò avere una speciale benedizione del Santo Padre e tesori spirituali di indulgenza a chi pregherà davanti la devota immagine (Scr. 41,16).
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Se appena può mandi qui la Madonna della pietà che la benedirà il Santo Padre, annettendovi delle indulgenze per chi le pregherà davanti. Di più so che al Santo Padre questa cosa farà piacere Ad ogni cappella od oratorio della Congregazione il Santo Padre nella udienza avuta mi ha accordato che si possa celebrare la Messa della mezzanotte a Natale, che si possa dagli interni e dagli esterni fare la s. Comunione (Scr. 41,18).
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Termino stamattina i Santi Spirituali Esercizi in Seminario dettati da due padri della Compagnia di Gesù. L’ultima predica è sul cuore SS.mo di Gesù e sull’obbligo di zelarne la devozione. Poi ho ricevuto la benedizione papale, applicando– nell’indulgenza a suffragio dell’anima di don Gaspare (Scr. 46,75).
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Come ebbi ad esporre a sua Eccellenza rev.ma Mons. Arcivescovo di Messina domanderei pure che ogni anno nell’anniversario del terremoto cristiani fedeli che si sono confessati e comunicati e che visiteranno devotamente quella Chiesa possano lucrare la indulgenza plenaria in suffragio delle anime del Purgatorio toties quoties, quante volte vi entreranno e pregheranno pei bisogni della s. madre Chiesa e secondo l’intenzione dei sommi pontefici e ciò propriamente dai vespri del 27 dicembre al tramonto del 28 (Scr. 48,14).
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Beatissimo Padre, Ricorrendo quest’anno il settimo centenario dall’apparizione della beata Vergine sotto il titolo della Mercede, il sottoscritto, umilmente prostrato ai piedi di vostra Santità, prega sia benignamente concessa, solo per quest’anno, l’indulgenza plenaria toties quoties a tutti i fedeli che, con le dovute disposizioni, visiteranno, il giorno in cui vi si farà Festa centenaria della Madonna della Mercede, la Chiesa di S. Martino in Sanremo, dove si venera come patrona la SS.ma Vergine sotto tale titolo (Scr. 48,17).
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Mentre mi prostro al bacio del S. Anello, pregherei pure vostra Eccellenza Rev.ma, qualora approvi la su esposta supplica di degnarsi aprire, per quanto le è dato, il tesoro delle sante indulgenze a tutti quei fanciulli e fanciulle che, soli o in comitiva, visiteranno pienamente il Santuario della Guardia in Tortona (entro il prossimo maggio) e insieme la Chiesa Cattedrale, come si è sempre fatto per il passato, pregando secondo le intenzioni del Santo Padre e di vostra Eccellenza Rev.ma davanti al corpo benedetto di S. Marziano (Scr. 49,144–145).
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Tutte le Indulgenze, applicabili ai vivi e ai Morti, che si acquistano visitando la Terra Santa le possiamo acquistare facendo piamente la Via Crucis purché pentiti dei nostri peccati e in grazia di Dio. Al Santuario la Via Crucis si farà alle ore 15, in tutti i venerdì di Quaresima e in tutte le Domeniche dell’anno, dopo la benedizione del pomeriggio (Scr. 72,1).
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L’altare delle anime del Purgatorio godrà gli stessi privilegi spirituali dell’altare, unico al mondo, che è in Roma nelle catacombe di Santa Ciriaca, presso la tomba di Pio IX a San Lorenzo fuori le mura. Vi sarà esposto a beneficio dei morti il SS.mo Sacramento quotidianamente e venne accordata l’Indulgenza plenaria toties quoties a pro dei defunti, ogni anno nell’anniversario del disastro. Questi specialissimi favori il Santo Padre volle accordare con suo stesso autografo per indicare che Egli non intendeva solo venire in soccorso dei superstiti, ma pensava pure a dare largo suffragio pei morti dell’immane disastro (Scr. 73,214).
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I semplici fedeli possono lucrare l’indulgenza plenaria applicabile solamente ai defunti, in qualunque giorno facciano la Santa Comunione, purché visitino una Chiesa e preghino secondo l’intenzione del Sommo Pontefice. Similmente potranno lucrare uguale indulgenza plenaria tutti i lunedì dell’anno, ascoltando la Santa Messa in suffragio delle Anime del Purgatorio, purché visitino una Chiesa e preghino come sopra. Tutte le indulgenze concesse o che si concederanno in appresso, le quali si acquistano dai fedeli che hanno fatto l’Atto eroico, possono applicarsi alle Anime del Purgatorio. I fanciulli non ammessi alla Comunione, i vecchi gli indisposti potranno ottenere dal confessore, autorizzato a tal uopo dal Vescovo, la commutazione delle opere per l’acquisto di dette indulgenze. 6. Per coloro che non potranno ascoltare la Messa il lunedì, sarà valevole quella della Domenica per l’acquisto della indulgenza plenaria predetta (Scr. 89,96).
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Tobia Indulgenze – per scontare la pena temporale le indulgenze sono annesse a certe preghiere a certe pratiche ci viene rimessa la pena eterna, ma non la pena temporale – quindi le penitenze nella Confessione le indulgenze sono in tutto o in parte la remissione delle pene temporali (Scr. 94,147).
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Desidererei che Ella mi ottenesse dalla bontà del Santo Padre che egli stesso si degnasse benedirlo e annettervi tutti quei tesori spirituali che si acquistano al Santuario della Consolata a Torino, applicabili le S. Indulgenze alle Sante Anime del Purgatorio, per cui la Chiesa sorge. La ringrazio di questo insigne favore e farò pregare per Lei (Scr. 107,49).
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Un altro motivo che mi spinge a consigliarvi di cantare tutto intero quest’inno è che si acquistano delle indulgenze speciali; io non ricordo precisamente quanti giorni di indulgenza vi sono annessi... Ma queste indulgenze non si acquistano, lasciandone anche solo un versetto, come avviene di coloro che recitano il Rosario senza i Misteri. Dire il Rosario anche così è sempre una bella cosa e si acquisteranno senza dubbio dei meriti, ma dicendo il Rosario con i Misteri vi sono molte indulgenze (Par. I,115).
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Per acquistare il Giubileo, cioè la remissione della pena dovuta ai nostri peccati il Papa ha stabilito certi atti di culto, la visita a certe basiliche di Roma, di recitare certe preghiere, con quel sentimento di fede che si esige in chi vuole acquistare i tesori delle molte indulgenze del Santo Giubileo della nostra redenzione. Per questo siete venuti dai vostri Istituti e siete venuti anche per andare alla casa del Papa a ricevere la Santa Benedizione (Par. V,127).
Vedi anche: Giubileo.
Inferno
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Io sono, o Signore, pronto a patire come a godere, soffrirò volentieri per amor tuo quanto permetterai che venga sopra di me. Guardami da ogni peccato, e io non temerò né di morte né d’inferno (Scr. 36,191).
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Le porte dell’inferno mai prevalsero contro la chiesa né contro il Papa, a cui Cristo ha dato le chiavi del regno dei cieli, e la solenne promessa che tutto quello che avrebbe legato su la terra, sarebbe stato legato nei cieli, e tutto quello che scioglierebbe su la terra, sarebbe sciolto nei cieli (Scr. 52,72).
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Peccatori, fratelli miei, dice Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, se ci troviamo colpevoli con la divina giustizia e già condannati all’inferno per i nostri peccati, non ci disperiamo, ricorriamo alla celeste Madre, mettiamoci sotto il suo manto ed ella ci salverà (Scr. 53,81).
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Tutte le pene sono un niente: l’essenza dell’inferno non sono le pene del senso, ma è la pena del danno: l’aver perduto Dio. È un bene infinito perduto: il dannato lo capisce e ne ha una pena, in certo modo infinita. L’anima nell’uscire da questa vita vede Gesù e si slancia, ma è da Dio cacciata (Scr. 55,122).
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La perfetta letizia non può essere che nella perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a tutti gli uomini, ai più miseri come ai più fisicamente, moralmente deformi, ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi. Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno perché io, per la misericordia tua, lo chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine. Amore delle anime. Anime! Anime! Scriverò la mia vita con le lacrime e con il sangue (Scr. 57,103–104).
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Maria, rendi vana per sempre l’opera dell’inferno e del mondo, raffermando nel cuore ai tuoi figli quella fede per la quale tu fosti degna d’essere Madre del Verbo e Madre nostra! (Scr. 57,124).
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Quelli che muoiono in peccato mortale sono condannati a un luogo di pena che dicesi Inferno, dove sono infelicissimi per la perdita irreparabile della visione beatifica, per l’incessante rimorso della coscienza per la compagnia obbrobriosa dei demoni e di tutti gli scellerati del mondo, per la sicurezza infallibile che per loro non vi sarà più né cessazione di dolore, né mitigazione di castigo perché sono incapaci di più amare il Signore, e inoltre a ciò per la terribile pena di un fuoco inestinguibile che, per ora, investe le loro anime, e dopo la universale risurrezione tormenterà anche il loro corpo. La gravità di questo castigo è un freno salutare e potente per tenerci sulla buona strada e per ritornarvi se l’avessimo smarrita. Basta un peccato mortale solo per mandare all’inferno, perché basta un peccato mortale solo a farci perdere la grazia divina, quella grazia che è la preparazione alla gloria. Va dunque all’inferno solamente chi vuole andarci (Scr. 66,248).
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L’uomo non è così cattivo; sempre che la carità non lo vinca, anche quando muore dicendo di no, all’ultimo, quando pare che non ci veda più e senta più, dice poi di sì e la carità se lo abbraccia e se lo porta a N. Signore. L’inferno deve essere molto piccolo, più di una scarpetta (Scr. 72,202).
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Gettate uno sguardo più in basso ancora, guardate l’inferno. Quale abisso di tormenti quel fuoco eterno! Non è mica detto che sulla porta dell’inferno ci sia scritto: qui non entrano né monache, né sacerdoti, né religiosi... Guardate e vedrete! Interrogate quelle anime nere come tizzoni che bruciano là da tanti anni, e chiedete loro: come mai siete precipitati in questo abisso? Vi risponderanno: abbiamo profanati i voti, abbiamo mancato alla santa obbedienza, abbiamo tradita la nostra Regola! Il Cuor di Gesù lo sa come io e voi, buone figliole del Signore, abbiamo osservata sinora la nostra Regola, seguite le nostre Costituzioni. Egli ci dà tempo, ci chiama a riflettere questa sera! Il Cuor di Gesù ci chiama, ci fa sentire: forse... è l’ultima chiamata, ascoltiamola! (Par. I,146).
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Quando noi meditiamo l’inferno, quella prigione di foco acceso dall’ira di Dio, dove soffrono in eterno i morti impenitenti, che, sapendo d’essere in odio a Dio, hanno voluto morir tali, restiamo atterriti, sopraffatti dall’immensità della terribile sua giustizia. Grande potenza è anche questa giustizia divina! È uno degli attributi divini... Terribile giustizia! Ma Dio è ancora più grande nella sua misericordia (Par. I,168).
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Io penso che ne andranno pochi all’inferno, con una madre come la Madonna. Si danneranno solo quelli che vorranno ad ogni costo dannarsi e dannarsi ad occhi aperti, scienti e volenti (Par. III,102).
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Che cos’è l’inferno? L’inferno è il luogo del patimento eterno... Lo insegniamo nel Catechismo. L’uomo, peccando, oltraggia vilmente Dio e, seguendo le sue malnate concupiscenze, si abbandona ad ogni più grave nefandezza. Dio ha creato l’inferno per punire quelli che muoiono in peccato mortale e nell’impenitenza finale. Soffriranno tutti egualmente in questo luogo di dolore? No: anche nell’inferno vi sarà chi patisce di più e chi meno; la vera pena dell’inferno non sta nei dolori che provano i sensi, ma nella privazione di Dio; e questa è la pena che forma l’essenza dell’inferno. Da questo luogo non si uscirà mai più. Dante sulla porta dell’inferno trovò scritto: “Lasciate ogni speranza, o voi che entrate!”. Sì, voi che entrate qua dentro, lasciate ogni illusione di uscita. Il peccatore, offendendo Dio, perde ogni lume di ragione e in un momento di ebbrezza gli sembra di essere felice; ma non sarà mai soddisfatto dei beni che gli promette il mondo. Il peccatore è condannato nell’inferno perché ha messo il suo cuore nei sensi e nelle creature offendendo Dio; Dio lo punirà! Quante volte offendiamo Dio cogli occhi; quante volte offendiamo Dio con la gola; quante volte offendiamo Dio con il tatto, con le mani; quante volte offendiamo Dio con la lingua, coi discorsi; quante volte offendiamo Dio dilettandoci nei discorsi peccaminosi e come abbiamo offeso Dio con il tatto, con la lingua, cogli occhi, con la gola, così, in una parola, saremo puniti in tutti i sensi (Par. V,3).
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Inferno, o inferno! O mare senza sponda, o mare senza fondo, o spelonca senza uscita! Passeranno tanti anni quanti i capelli della tua testa, passeranno tanti anni quanti sono i sassi della Scrivia, quanti sono i granelli di sabbia di tutti i fiumi, passeranno centinaia e migliaia di anni, passeranno tanti anni quante sono le foglie, quante ne sono state e quante ne nasceranno... e le pene dell’inferno non finiranno mai, e il dannato dirà: Dunque non uscirò mai più da questo carcere? Mai più? Quelle porte di ferro non cigoleranno mai più dietro le mie spalle? Non si apriranno mai? mai? mai? Il dannato vedrà scritto sulle lingue di fuoco: mai! mai! mai! E noi non possiamo soffrire la scintilla di una candela... E vi saranno tanti altri tormenti; vi sarà la privazione di Dio e tutto sempre in eterno. Gettiamoci ai piedi del Signore; esaminiamo l’anima nostra e facciamo che queste sacre Missioni siano proprio il principio di una vita nuova, per mezzo della quale possiamo vivere sempre uniti al Signore, osservando i Santi Comandamenti di Dio e della Chiesa, santificando le feste. Lasciare le opere nelle tenebre! Lasciare le concupiscenze! E questo, non per paura dell’inferno ma per godere la gloria di Dio in Paradiso (Par. V,6).
Vedi anche: Bestemmia, Demonio, Peccato, Tentazioni.
Instaurare omnia in Christo
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Diamoci davvero a Dio, tutti a Dio, che si è dato tutto a noi: formiamo tutti noi stessi su Gesù Cristo Crocifisso per formare e rinnovare tutti gli altri: Instaurare omnia in Christo! Come deve essere riuscito consolante per tutte le anime dei nostri l’aver sentito che anche il Santo Padre, la prima parola che ha rivolto al mondo l’ha voluta compendiare nel motto di San Paolo che è da tanti anni la parola–programma dell’Opera della Divina Provvidenza: Instaurare omnia in Christo! (Scr. 6,5).
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Amare Gesù Cristo e farlo conoscere e amare con le opere nostre. Amare la sua santa Chiesa cattolica, e far conoscere, amare e servire il Papa, Padre nostro santissimo, capo universale della Chiesa e Vicario di Dio tra gli uomini, è l’opera più grande che possiamo fare su questa terra a gloria del Signore, ed è il fine del nostro povero Istituto della Provvidenza – Instaurare omnia in Christo, per grazia di Dio tutto instaurare nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo crocifisso, con l’attuazione del programma papale, specialmente per la parte che riguarda la libertà del Papa e della Chiesa e l’unione delle chiese separate (Scr. 30,17).
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In Paradiso ci si va e ci si entra solo d’in ginocchio. In ginocchio, e in adorazione profonda davanti a Dio Uno e Trino, Cantando gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo! In ginocchio, e in adorazione ai piedi di Gesù Cristo, alfa e omega, principio e termine in ogni ordine di cose: Omnia et in omnibus Christus, et instaurare omnia in Christo (Scr. 31,256).
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Nessuno più di voi, cari antichi alunni, è in grado di comprendere e apprezzare lo spirito buono che anima il nostro modesto lavoro. E tutti sentirete, certo, con me vivissimo il desiderio di cooperare, per quanto è da voi, a quel rinnovamento di vita cristiana, all’Instaurare omnia in Christo da cui l’individuo, la famiglia e la società possono attendersi la ristorazione sociale. Ricordatevi che noi siamo e vogliamo sempre essere i vostri più sinceri e affezionati amici; e vogliamo farvi sentire che vi consideriamo sempre dei nostri (Scr. 41,211d).
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Non desidero che saturarmi di Gesù e di Maria SS.ma e dell’amore del Santo Padre e delle anime. Abbraccio e voglio tutto ciò che può portare meglio e più presto ad instaurare omnia in Christo non aspetto che mi dica: è questa la via (Scr. 43,174).
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L’opera della Divina Provvidenza, nei secoli avanti la nascita di n. Sig. Gesù Cristo, era coordinata a disporre l’umanità a ricevere Gesù Cristo redentore; è dopo la venuta di n. Sig. nel corso dei secoli nei quali la santa Chiesa milita sulla terra, l’opera della Divina Provvidenza mira ad instaurare omnia in Christo: i Illuminare cioè e santificare le anime nella conoscenza e nella carità di Dio, e instaurare successivamente tutte le istituzioni e tutte le cose, anche appartamenti alla società esterna degli uomini, in nostro Signore Gesù Cristo crocifisso, facendole entrare nello spirito e nella vita del Cattolicesimo (Scr. 45,27).
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Questo fine, unire al Papa per instaurare omnia in Christo, che è proprio di nostra vocazione, pone l’Opera della Divina Provvidenza ed ogni suo membro alla pronta ed assoluta obbedienza del Vicario di n. Signore Gesù Cristo, il romano pontefice, padre, pastore e maestro supremo, universale ed infallibile dell’unica vera, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Dio (Scr. 45,30d).
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Da oltre dieci anni, cioè fin dai suoi inizi, l’umile Congregazione l’Opera della Divina Provvidenza, che la bontà di Dio ha fatto nascere ai vostri piedi e in questa città di San Marziano, prese, crediamo per disposizione del Signore, come suo motto e programma l’Instaurare omnia in Christo dell’apostolo (Ef 1,10). Questo motto diventò il nostro timbro, venne stampato in testa alle nostre carte e scritto a caratteri purpurei e fulgidissimi sugli orifiamma e sulle bianche bandiere che adornano e sventolano sulle Case della Divina Provvidenza nei giorni di maggior festa. L’Instaurare omnia in Christo posto a base, dirò così, della Regola che vostra Eccell. rev.ma si degnava approvare, è, per la grazia di Dio, nel cuore di quanti sono figli della Divina Provvidenza: vien ripetuto ogni giorno in questa e nelle altre Case dell’Opera dai membri della Congregazione e dai giovani alunni degli Istituti nostri di educazione cristiana e delle Colonie agricole, prima e dopo il lavoro e negli esercizi stessi di pietà. Poiché l’Instaurare omnia in Christo fu per noi sempre quasi una invocazione, l’idea che tutta assomma la missione dell’Opera e i suoi sacrificii: la parola d’ordine, la luce che vivifica, rialza e tutto segna il fine del nostro vivere e opera in comune, e il sospiro della nostra vita e della nostra morte; con esso specialmente intendo rivolgere a Dio un voto, un’aspirazione, una preghiera, un desiderio ardentissimo che in Gesù Signor nostro tutto l’uomo si rinnovi e si rinnovi tutta la umanità. Il giorno in cui, per divina grazia, mi venne dato emettere i santi voti religiosi nelle mani venerate di vostra Eccellenza, (aprile 1903), io vi supplicava, o mio carissimo padre nel Signore, di rendere più efficace e meritorio per noi e per le anime l’Instaurare omnia in Christo, indulgenziando questo detto di San Paolo fatto nostro, come aspirazione scritta già dall’apostolo, sotto la ispirazione dello Spirito Santo. E vostra Eccellenza si mostrò allora assai ben disposta; ma dovetti poi assentarmi quasi subito, e non se ne fece più nulla. Pochi mesi dopo però l’Instaurare omnia in Christo veniva assunto, con grande indicibile consolazione di noi della Provvidenza, dal nostro santo Padre Pio X, e veniva lanciato al mondo sospeso come la prima parola e il programma di tutto il suo glorioso pontificato. Da quel giorno l’Instaurare omnia in Christo venne illustrato da pagine splendide di dotti e piissimi uomini di fede, i quali ne mostrarono la divina sapienza. I pastori della s. Chiesa poi, e vostra Eccellenza non ultimo, le ripeterono ai loro popoli, e fu un grido festoso di novella vita per tutto il mondo cristiano (Scr. 45,44–45).
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Vanamente parlerei se non sentiste Gesù, se non amaste Gesù, se non operaste per Gesù! L’Instaurare omnia in Christo che fu il grido dell’apostolo San Paolo, ed è il programma della nostra umile Congregazione, dobbiamo cominciare da noi ad applicarlo: prima rinnovare noi in Cristo, per poi poter rinnovare gli altri: non rinnoveremo in Cristo gli altri, se prima in Cristo non avremo rinnovato noi stessi nel suo santo amore e con la sua santa grazia, che, certo, non mancherà. L’amore di Gesù Cristo accenda, consumi, rifaccia, rinnovi tutto in noi, o cari miei figli: rinnovati in lui, tutto potremo, con la sua santa grazia, in lui che ci conforta! (Scr. 52,153).
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E così si ebbe a Tortona l’oratorio festivo, che è il mezzo più potente, diceva Don Bosco – per rigenerare una città od un paese. Quell’oratorio fu la culla dell’Opera della Divina Provvidenza, piccola Congregazione che, fin dai suoi inizi, fece suo Instaurare omnia in Christo dell’apostolo, e si diede a varie opere di bene, e specialmente all’educazione cristiana della gioventù (Scr. 61,58).
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Amare adunque Dio, e amare gli afflitti, i piccoli e poverelli di Cristo confortandoli: amare la Santa Chiesa Cattolica, nostra Madre, e far conoscere amare e servire il Papa, Vicario di Dio e Padre nostro dolcissimo, e così nell’amore di Dio e del Papa omnia instaurare in Christo costituisce il fine precipuo del nostro povero Istituto, e l’opera più grande e più santa che, secondo l’ordine della Divina Provvidenza, possiamo fare su questa terra (Scr. 64,160b).
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Bisogna avere un cuore grande e il cuore a noi lo deve formare Gesù, Gesù, mio figliuolo, ti raccomando di vivere e di respirare di Gesù; solo Gesù ci può formare il cuore buono e grande: omnibus omnia ad instaurare omnia in Christo (Scr. 80,278).
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Non ci turbi la confusione dell’ora presente e la tempesta, che mugghia, non ci spaventi, ma viviamo la grande fiducia che ci ispira la parola di Cristo. Ci conforti la luce delle divine misericordie: Dominus prope est, il Signore, l’ora è vicina per restaurare tutte le cose in Cristo: instaurare omnia in Christo. Abbiamo fede: stiamo saldi e in perseveranza: apriamo l’occhio alla visione cristiana dell’avvenire e consoliamoci della speranza che le sorti umane debbano volgere a bene. Ma è dovere di ciascuno dar la sua mano, il suo impegno, la sua attività, il suo sangue, e, se occorre, la sua vita per il compimento della grande opera di Cristo. Avremo il rinnovamento della terra, ma questo rinnovamento sarà opera del Cuore di Cristo, sarà opera della infinita carità di Cristo (Scr. 81,128).
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Questa novella umanità vivificata dall’amore di Dio e degli uomini, cresca, si moltiplichi e corra gigante le alte, le mirabili vie di Dio, adergendosi su la pietra che è Cristo: petra autem erat Christus per dare vita, e rinnovare tutto in Lui: Instaurare omnia in Christo! Ogni raggio di vita eterna, vita ardente e intensa quale fuoco divino esca fuori e si propaghi in onde luminose, calde che investano quello che toccano sul loro passaggio! (Scr. 86,101).
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Instaurare omnia in Christo: è il motto che voi avete sempre letto e visto splendere su le nostre bandiere. Tutti sentiamo che è necessario mantenere o rendere più cristiano l’uomo, lavorare tutti ad una restaurazione cristiana e sociale della umanità. Ho sempre ritenuto che Dio riservi all’Italia la parte più importante nella restaurazione della umanità. Ogni popolo ha i suoi destini e la sua missione da Dio, tramite l’azione divina della Chiesa. È provvidenziale che l’opera di rigenerazione parta dall’Italia, riconciliata con la Chiesa; dobbiamo tutti volere che parta dalla nostra patria e che il mondo sappia che, anche nei momenti della sua maggior apprensione – come fu ieri – l’Italia tiene il primato fra tutte le Nazioni (Scr. 96,167).
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Dio è carità, Dio è amore! Solo l’amore di un Dio, sola la carità di Gesù Cristo potrà sradicare tutto l’odio che uccide l’umanità e rinnovare la terra: Instaurare omnia in Christo (S. Paolo) (Scr. 111,130).
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Decisa di essere tutta del Papa o sparire, [la Piccola Opera della Divina Provvidenza] pone trai suoi primi amori, dopo quello di Dio e della Vergine, l’incondizionato attaccamento ai Vescovi e al Sommo Pontefice mediante “un’adesione piena e perfetta di mente, di cuore e di opere”, e prende nome e sicura linea di programma dalla espressione scritturale: “Instaurare omnia in Christo!” (Scr. 117,167).
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Che il dolce vincolo della carità fraterna, il precetto del Signore, ci stringa sempre più e c’infiammi a tutto osare nella via di ogni bene: Instaurare omnia in Christo è il nostro programma (Scr. 119,88).
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Prima che Dio suscitasse un Papa che si può dire il Papa della Piccola Opera della Divina Provvidenza, il Papa Pio X, prima che egli scegliesse quale programma per lo svolgimento del Suo Pontificato, le parole “Instaurare Omnia in Christo”, la nostra Congregazione, che era nata canonicamente, cioè approvata dal vescovo, alcuni mesi prima, aveva preso le stesse parole prese poi dal Santo Padre. Bella cosa restaurare, perfezionare, completare, riparare tutto in Cristo, gli uomini e le istituzioni, le cose e le anime. Ma prima di rinnovare gli altri nella vita di Cristo, bisogna prima edificare Gesù in noi sulle rovine di tanti peccati, sulle rovine della nostra miseria. Dobbiamo far morire l’uomo vecchio dei sensi, per creare in noi con la Divina Grazia l’uomo nuovo che ha per sua anima lo spirito del Signore, per suo cibo il Corpo del Signore. Instaurare Omnia in Christo! Rinnovare, ricominciare ogni cosa in Gesù Cristo (Par. V,99).
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Quello che ci serve è la stima del Signore, l’amore del Signore. L’Instaurare omnia in Christo non esclude nessuna opera di misericordia. Le Case dette Piccolo Cottolengo sono quelle che salvano la Congregazione (Par. V,339).
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Il nostro scopo è di prendere i figli del popolo più assediati dalle sette anticlericali, discordi tra loro ma d’accordo contro Roma. “Instaurare omnia in Christo!” catechizzando e ricevendo i rifiuti della Società: far conoscere loro Gesù e chi è il suo Vicario in terra. Questa è la missione nostra, missione di fede e di amore (Par. VI,291).
Vedi anche: Anime, Apostolato, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Italica Gens
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Avendo avuto occasione di trovarmi più volte con il Senatore Schiaparelli, a Torino, egli mi avrebbe offerto il Monte delle Beatitudini, vicinissimo a Cafarnao, che in buona estensione è proprietà della Italica Gens. Mi ha detto che prima era di certi Religiosi i quali hanno tenuto colà una Casa dove fu N. Signore (ora più non ricordo) e parte del terreno. La Italica Gens vi spese sopra prima della Guerra molto denaro in piantagioni che furono più volte distrutte. Mi disse che però c’è un po’ di malaria; ma che in alto pare, ci stanno ora certe Suore le quali custodiscono un Santuario e che fanno bene e danno ospitalità ai pellegrini. Egli voleva che io venissi a visitare la località e insiste. Io ora non posso. Ti prego di andare tu, di vedere tutto e poi di informarti bene e di riferirmi. È cosa che tu devi fare ad insaputa di tutti. La Italica Gens è disposta ad aiutare. Lo Schiaparelli è persona seria e umana e buon cristiano (Scr. 4,296).
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Per il viaggio di mare, non avendo ottenuto posti, la spesa la farà la Italica Gens, ma, come ho detto, viaggeranno sopra coperta. E Deo Gratias! Gli antichi pellegrini per arrivare alla Terra Santa facevano sacrifici ben più gravi. Quelli che mando hanno buona volontà, buono spirito, buona salute (Scr. 5,312).
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Mando i connotati e le generalità del Sac.te Don Salvatore Salvatori, perché li porti o li mandi subito insieme (con le altre che furono già avviate dal Senatore Schiaparelli) alla Sede della Italica Gens di Roma. Avrai ricevuto anche quelli di Don Saponara, che ho mandato direttamente a voi. Alla Italica Gens direte che i passaporti di questi due ultimi vanno aggiunti ai tre già mandati Loro da Torino, dallo stesso Senatore Schiaparelli (Scr. 7,252).
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Va’ subito all’Italica Gens, fatti assicurare i tre posti per l’11 corr. e vedi che anticipino il denaro del viaggio per Brindisi e per il vitto a bordo; se non lo facessero, anticipali tu, in qualche modo. Fa’ che non patiscano la fame; a bordo devono pagarsi loro il vitto, è gratis solo il viaggio (Scr. 8,79).
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Le fotografie e i connotati delle due Suore partenti favoriscano mandarle direttamente alla Italica Gens in Roma, Via Venezia 15, dicendo che favoriscano fare anche i passaporti per queste due Suore di Don Orione che vanno in Brasile. Partiranno con i 5 Sacerdoti dei cui passaporti già la Italica Gens sta interessandosi. Che, per ogni spesa, si soddisferà al ritiro dei passaporti stessi (Scr. 115,114).
Vedi anche: Missioni, Missioni Italiane all’Estero.
L’Opera della Divina Provvidenza (bollettino)
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La tua relazione non potrà essere pubblicata così com’è sull’Opera della Divina Provvidenza, per ragioni che a voce ti dirò. L’ho ritoccata e ti unisco qui alcune osservazioni fatte da don Pensa, che è il responsabile di ciò che si pubblica. Il giornaletto «L’Opera della Divina Provvidenza» deve prendere un tono di serietà, come si addice ad un foglio che è l’Organo di una Congregazione Religiosa; va in mano non solo di gente qualunque, ma di Vescovi e Cardinali, dei nostri Direttori di Case e di persone che pensano; deve riprodurre lo spirito della Congregazione e non atti che disdicano, né o che siano in contrasto con i sistemi di educazione che intendiamo instaurare in Cristo. Non si può dire che D. Bariani lasciò largo compianto, o che partì tra il generale compianto. Il «compianto» è solo di chi è morto. Sono a chiederti scusa di queste osservazioni, ma bisogna che ci formiamo a vicenda. Solo così ci formeremo bene (Scr. 8,25).
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Se per il Pane di Sant’Antonio di Ameno vi mancasse materia, potreste adoperare l’articolo L’ora di Dio, già composto per L’Opera della Divina Provvidenza, o qualche altro articolo già composto per L’Opera della Divina Provvidenza. Vi è anche un articoletto, A voi, giovani!, già composto per il Bollettino di Cuneo, meno lungo dell’Ora di Dio, che dovrebbe andare bene (Scr. 13,4).
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Sono contento dell’Opera della Divina Provvidenza: qualche articolo fu poco corretto, ma pazienza! Vedete che siano ben corretti i due Bollettini (Scr.13,37).
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Vi mando due articoli del giornale fascista «la fiamma» di Novi, sono articoli usciti su lo stesso numero. Quello che riguarda la rinascita del Collegio, lo farete pubblicare sul secondo Numero dell’Opera della Divina Provvidenza. Vi manderò la data del Numero X. Sono articoli da tenersi, entrambi (Scr. 15,129).
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Mando lettere dalla Palestina e dall’Argentina. Desidero siano messe su l’Opera della Divina Provvidenza. Desidero che l’Opera esca ogni 15 giorni, ora che «il Giovani a voi» è mensile. Desidero che «il Giovani a voi» stia nel suo ambito: è per i giovani, non deve occuparsi che di essi, è sorto per essi: stia nel loro campo e l’Opera prenda il suo posto e il suo ritmo. Organizzare l’Opera e datele la sua andatura sì che raggiunga il fine (Scr. 15,177).
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Il sottoscritto, sac. Orione Luigi fu Vittorio, nato a Pontecurone e residente in Tortona, dà regolare denuncia a cotesto Ministero che intende stampare un giornaletto religioso, educativo e letterario, non politico, dal titolo «L’Opera della Divina Provvidenza» uscirà tutte le domeniche incominciando dal 30 luglio e verrà stampato dalla tipografia di Francesco Sala posta in questa città piazza del Duomo, casa ved. Bigiorno n. 2. Di detto periodico il sottoscritto ne assume tutta la responsabilità quale proprietario e direttore responsabile (Scr. 50,56).
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Direte che vi abbiamo fatto sospirare il giornaletto e le notizie dell’Opera della Divina Provvidenza e veramente voi avete ragione o miei cari cooperatori e ottime benefattrici, ma d’ora innanzi saremo puntuali e sarete compensati perché ho da dirvi molte cose che certo vi porteranno grande consolazione. E, per cominciare dalla Casa di Tortona, vi dirò subito che, se veniste qui a Tortona, vedreste che in questo frattempo di silenzio tra noi, qui si è lavorato; si è lavorato in senso spirituale e si è anche lavorato per il buon andamento materiale della Casa (Scr. 61,64).
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L’Opera della Divina Provvidenza foglio settimanale organo di unione e di propaganda pei nostri amici e cooperatori. Benedetto dal Vescovo di Tortona e dal Santo Padre. Numero di saggio dietro invio d’un semplice biglietto di visita (Scr. 79,171).
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La Società delle Dame della Divina Provvidenza ha il suo giornaletto L’Opera della Divina Provvidenza largamente benedetto dal Vescovo ed è scritto con assai brio e sentimenti vivi di amore a Gesù al Papa e alle anime madri e figlie cristiane possono farsi inscrivere all’Associazione Dame della Divina Provvidenza, non (pagare) nulla e riceve il giornaletto gratuitamente e tanti aiuti a fare del bene. Basta mandare nome cognome e paese a don Orione Tortona (Scr. 85,25).
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Il giornaletto L’Opera della Divina Provvidenza si spedisce gratis ai Benefattori e alle Benefattrici della Congregazione. Si spedisce gratis agli Amici, ai Cooperatori dei diversi nostri Istituti e a tutte le anime pie di nostra conoscenza che pregano per Don Orione e pei figli della Divina Provvidenza. Abbiamo bisogno che molti preghino per noi. Il giornaletto ha lo scopo di far conoscere quello che con l’aiuto di Dio si fa di bene e quello che da noi si dovrebbe fare a pro di tanta gioventù studiosa, di molti fanciulli derelitti, di tanti cuori bisognosi di consolazione (Scr. 86,255).
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Noi abbiamo L’Opera della Divina Provvidenza, il cui bollettino si manda senza che inviino il denaro: questo Bollettino della Divina Provvidenza si pubblica da anni, ma ha una tiratura di poche migliaia di copie. Io avrei bisogno, quest’anno, di mandare il Bollettino a 50 mila copie al mese. Lo pubblica uno dei nostri migliori sacerdoti, Don Pensa, che è il Direttore della nostra casa di Venezia e lo pubblica nella Tipografia Emiliana che è la più antica tipografia d’Italia. L’abbiamo acquistata noi e abbiamo dato quasi un milione e dovremo ancora pagare qualche cosa, ma abbiamo quasi finito. In questa Tipografia vi sono delle macchie di ultima invenzione. Ora, tutte voi, dovrete aiutarmi, mandandomi degli indirizzi e io farò, con la vostra Congregazione, quello che fanno i Salesiani con le Figlie di Maria Ausiliatrice. Due pagine del Bollettino saranno riservate per la relazione delle vostre case. Vedete, il Bollettino Salesiano è più voluminoso, ha più pagine, ma là vi è anche la parte delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Là, se aprono una casa, se fanno una festa, se aprono un asilo, viene pubblicato, c’è proprio la parte che parla delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Ora, nel Bollettino nostro, vi saranno due pagine per voi, poi ve ne darò tre; mi accontenterei riempiste due pagine, per ora, e, con la diffusione di detto Bollettino in tutti i paesi, si avrebbero molte vocazioni. Non devono neanche sapere, in paese, che hanno ricevuto il Bollettino da voi. Mandate l’indirizzo del Podestà, delle Autorità del paese, di tutte le persone del paese che capite che, ricevendo il Bollettino – se non è il primo anno, sarà il secondo – manderanno qualche cosa; che, se poi non lo mandano a me direttamente, aiuteranno le vostre case. Che l’aiuto entri dalla porta o dalla finestra, è sempre aiuto. Ognuna di voi avrà delle conoscenze. Chi di voi non conosce almeno dieci famiglie. Se voi foste trecento e mi mandaste dieci indirizzi ognuna, vedete, sarebbero subito alcune migliaia di lire. E intanto si fa sapere che vive la Congregazione, il suo sviluppo e il bene che si fa (Par. II,168).
Vedi anche: Ufficio stampa.
La Giovane Italia
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Con l’approvazione del Vescovo, vorrei uscire in ottobre con un foglio volante, ogni quindici dì, per aiutare nella fede e nella vita cristiana i giovanetti che fanno le tecniche il ginnasio. Mi scriva un articolo breve e vivo una volta al mese, almeno e adatto per essi. Una parola da tener viva la fede e che faccia sentire l’armonia con la ragione e con il cuore: un po’ di religione insomma, ma data bene che la si gusti e diventi anima. E Dio la benedica, pregherò per lei. Vorrei al foglio dar nome «La Giovane Italia». Puzza un po’ di Mazzini, è vero, ma direbbe tutto; che altro si vuole e di idee volere da noi che un’Italia ringiovanita nella sua fede: libera dai pregiudizi e dalle sette e rifatta nelle sue forze morali più giovane, più forte, più gloriosa perché più onesta e cristiana? (Scr. 46,156).
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Col permesso del Vescovo e con l’ampia sua approvazione, vorrei in ottobre uscire con un foglio popolare per la gioventù, allo scopo di tener viva la fede nei giovani che vanno alle officine e in quegli altri che fanno le Tecniche e il Ginnasio e che sono negli anni più critici della vita.
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Lei mi mandi ogni quindici giorni, o, almeno, una volta al mese un articolo breve, vivace, geniale, chiaro, come sa scrivere Lei. E questa è carità, di cui Dio La ricompenserà largamente. Vorrei dare al foglio per titolo: La giovane Italia. Capisco che sa di repubblicanesimo, ma con i giovani ci vuole un titolo suggestivo, che li colpisca e alletti a leggere. Del resto, che altro noi vogliamo, se non ringiovanire l’Italia nella sua fede avita e rinvigorirla nella sua gioventù con la più grande forma morale che è la vita religiosa? L’Italia sarà tanto più forte, più gloriosa e più grande, quanto più la sua gioventù sarà onesta, credente e di vita veramente cristiana. Per titolo, che sa di audace, ne ho mandato a dire una parola al Vescovo, che è fuori. Comunque, basta arrivare a salvar anime (Scr. 65,76).
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Per Tortona andrebbe forse bene chiamarlo: il Ricreatorio, ma questo nome che va bene qui ad impedire che altri apra un Ricreatorio laico, non andrebbe forse per fuori Tortona, dove si preferisce l’antico nome di Oratorio festivo, consacrato dall’uso e da uomini, come San Filippo, San Carlo e da Don Bosco. E non vorrei essere io a quasi laicizzare, dove non c’è necessità, benché si tratti più di forma che di sostanza. Lo chiamerei La palestra dei giovani. È nome che potrebbe tirare di più l’attenzione e servire anche per i più alti e varrebbe ad una più larga diffusione. Mi era pure balenato il pensiero, come ho detto, di chiamarlo “La giovane Italia”, perché in realtà, che altro da noi si vuole che rinnovare in Christo e ringiovanire moralmente e civilmente la gioventù? e preparare un migliore domani alla Chiesa e all’Italia? Il titolo colpirebbe certo i giovani, che vanno presi molto per il sentimento e la fantasia: sarebbe un periodico di battaglia (Scr. 75,202).
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Chiedo di poter pubblicare un periodico quindicinale per la gioventù di indole morale, religiosa e patriottica, dal titolo “La Giovane Italia”. Sarà edito dalla Tipografia San Giuseppe di questa Città (Scr. 104,253).
Vedi anche: Ufficio stampa.
La Scintilla
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Che ne dici degli articoletti de La Scintilla? Te la manderò sempre. Se ne vuoi te ne spedisco anche varie copie. La tua «Unità» mi serve a scrivere La Scintilla! So che ti rendi famoso propagatore delle Casse rurali e qui a Tortona se ne parla anche nelle alte sfere; bravo! (Scr. 35,9).
Vedi anche: Ufficio stampa.
La Sveglia
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Ho qui innanzi il Cattolico Militante, non lillipuziano, come s’è scritto, ma grande davanti a me; ho qui La Sveglia, con i suoi articoli sulla politica nel Movimento Cattolico, dove, per chi vuol capirla ci saranno non solo gli “i” ma anche i puntini (dell’Osservatore); ho qui tutte le sue lettere e gli inviti caldissimi di affetto cristiano: ed io parlo... e parlo tanto con tutti gli amici, poiché ogni volta che mi giunge La Sveglia o il [Cattolico] Militante o le lettere di Domenico [Buffa], non è un amico, ma son tutti gli amici che vengono a popolarmi la casa e qui tra loro e me si fanno conferenze e adunanze plenarie! (Scr. 64,215).
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Suona, o cara Sveglia, suona e più gagliarda e più forte. Mentre ogni dì più pullulano sulle plaghe italiane le divisioni e gli odii: tu, o cara Sveglia, sveglia i popoli a Cristo. Fedele al tuo Papa e al tuo Vescovo, lascia che i malignanti gridano. Ci ordini: Suoni ordine nell’azione e l’azione tua sarà grande nell’ordine; l’ordine ci farà più forti, renderà più vigoroso il fascio delle nostre associazioni cattoliche; l’ordine abolirà le inimicizie e le ire di parte; attutirà le questioni di campanile e giganteggerà in tutti il pensiero, solo e sovrano, della salvezza delle anime, della libertà del Pontefice e del bene del nostro Paese. Suona, o cara e benedetta Sveglia di Voghera, suona sempre e sempre più forte. In mezzo all’infierire della battaglia, mentre i nemici suonano le loro trombe, è bella e santa cosa, sentir a stormo sonare le nostre campane! Sona, o cara e benedetta Sveglia, sona sempre e sempre più forte! L’anima mia, al tuo suono, si riconforta e ricorda le sante battaglie che un giorno i figli combattevano. Suona, o Sveglia e riconduci tutti sotto l’impero della Croce, suona e riempici tutti di slancio, di ardore, di entusiasmo! Suona a salvezza nostra, a salvezza di tutti! La salvezza delle anime! Ecco la tua idea grande, la idea che non può morire, la tua vita, la tua lotta, la tua grandezza, o Sveglia di Voghera. Grande Dio, beneditela! Anime! Anime! Ecco i tuoi accenti, il tuo grido, la tua storia! Benedite, o grande Dio, La Sveglia! Coraggio sempre, cara e amata Sveglia, coraggio. Non disperare: il tuo suono sveglierà anche i morti e sorgeranno. Tu suona più che puoi: il resto lo farà il Signore! Ma suona, suona più che puoi vivamente, che il tuo suono è necessario. Le idee che spargi sono sane, sono giuste, sono necessarie. Avanti, suona sempre! Le idee sane, giuste, necessarie non cadono mai nel deserto, diceva nel 1889 ad Amburgo il grande Windthorst. Anche la più sana e giusta idea può talvolta richiedere un certo tempo per penetrare in tutte le teste – perché i crani sono spesso duri e massicci – ma finalmente trionferà. Suvvia, suona e risuona, o sveglia del mio cuore, che i crani dei nostri avversarii saranno duri e massicci quanto si vuole, ma i loro cuori sono pure come i nostri e si commuoveranno agli accenni religiosi della nostra fede, a sacrifici alla carità di quella Chiesa che nei momenti più innocenti e felici della loro vita avevamo e amavano per madre. Anche se ti dicono sospetta tu suona, suona sempre a salvezza delle anime, che valgono il Sangue di Gesù Cristo. State saldi, o cari fratelli della Sveglia e nei dolori e nell’abbandono state forti, come le rocce delle nostre Alpi e avanzatevi sempre a salvare e suonate sempre per salvare e conducete tutti a piedi del Vescovo: salvate tutti sul Cuore di Gesù Cristo! (Scr. 66,234–235).
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Ricevo la gradita vostra lettera mentre sono sul partire, scuserete dunque le brevi parole. In verità ho scritto sì poco per La Sveglia, che mi fa meraviglia ci sia ancora, dopo tant’anni, chi ricordi quella mia meno che modesta collaborazione. Quello che sta vero è che ho amato, che ho tanto amato quel giornale per il suo spirito schiettamente cattolico, senza reticenza e senza piagnistei. Alcune corrispondenze e polemiche, le quali troppo sapevano di personale e di punta, dirò franco che non mi andavano e che mi facevano male, ma la papalità de La Sveglia era ciò che me la faceva amare tanto, sì che mi pareva doversi e potersi ben chiudere un occhio su qualche manchevolezza. Ed i poderosi articoli che uscivano dalla penna del prevosto don Felice Argenteri di Bassignana, articoli pieni di robustezza e di sana dottrina, sereni e senza ira, che fosse piccola ira di parte, scritta in lingua viva e pura, com’era viva e pura la fede cui erano ispirati, Le posso dire che facevano veramente del bene a noi, giovani allora ed a molti che già erano non più giovani: quelli scritti tennero alto, onorato e temuto il nome e squillo de La Sveglia. Era un giornale, La Sveglia, che aveva i suoi difetti, ma chi non ne ha? Penso che aiutato di più, avrebbe potuto fare un bene grande, ed essere argine grande all’ondata di socialismo che già saliva. Che cosa fosse La Sveglia e perché se ne comprenda lo spirito, mi piace, oggi, ricordare le ultime parole dell’ultimo numero; era il saluto del morituro: «Dio ci permette la persecuzione: sia la ben venuta! Un poco di soffrire fa sempre del bene ai seguaci di Gesù Cristo. Stiamo quindi obbedienti, checché possa avvenire: stiamo fermi a quel Vangelo, a quella Chiesa la quale ci insegna che rivoltosi non dobbiamo essere mai, ma obbedienti all’autorità. Lavoriamo! Dobbiamo lavorare nella legge come abbiamo lavorato sin qui, lavorare alla luce del giorno, lavorare con calma, con serenità, con fede. Se noi cessassimo dal lavoro, ci mostreremmo indegni della causa di Gesù Cristo. Preghiamo! Noi soli possiamo ripetere con il poeta: “Dall’alto scende virtù che n’aiuta”. Preghiamo! Della preghiera ridono i socialisti, ridono i liberali, ridono i nostri calunniatori, ma noi la troviamo cara. Pregheremo per noi, per la Chiesa, per la società, per la patria, per il re, per i suoi ministri, pregheremo anche per i nostri persecutori ut possint in viam redire iustitiae». Di chi fosse questa chiusa così bella, così alta, così cristiana, chiedetelo al prevosto Argenteri. All’esimio pubblicista, il quale solennizzerà ora il suo cinquantesimo di messa, ben vorrei mandare espressioni fervide e augurali che sapessero qualcosa di quegli articoli meravigliosi che Egli mandava a La Sveglia, ma bisognerebbe avere quella sua penna d’oro! Il 24 luglio io sarò già al Brasile, ma sarò presente in spirito alla festa che Bassignana prepara al suo pastore; e voglia il caro prevosto Argenteri ugualmente gradire e le preghiere e i voti, da oltre oceano, in quel fausto giorno, insieme con la sua popolazione di Bassignana e con lo stuolo dei parenti e dei colleghi venerandi, eleverà al cielo anche questo povero figlio della Divina Provvidenza, pure a nome degli antichi scrittori e lettori de La Sveglia. Conservi Dio ancora per lunghi e felici anni il caro prevosto don Argenteri e lo coroni poi di quella gloria che dalla costituzione del mondo sta preparata ai figli umili della Chiesa di Gesù Cristo, ai sostenitori della fede, ai servi fedeli dei Vescovi e del Papa! Eccovi in fretta, ma ben di cuore, caro don Pier Luigi, non uno scritto su l’azione del prevosto Argenteri come giornalista de La Sveglia, ma una parola che vuole essere un’umile, reverente saluto ad un veterano della stampa cattolica, ed insieme un augurio: l’augurio che La Sveglia abbia ancora a suonare un’ora grande di Dio sul nostro amato paese. Fiat! Fiat! (Scr. 78,80–81).
Vedi anche: Ufficio stampa.
La Val Staffora
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Il giornale “Il Popolo” di Tortona, del 20 aprile, dà lo statuto, norme ed eccitamenti per la urgente formazione in ogni borgata dell’Unione delle Risaiole. Anche La Val Staffora (Tortona, Tipografia don Orione), Bollettino interparrocchiale che abbraccia già 14 paesi, propugna efficacemente l’organizzazione delle risaiole; e il prossimo numero di maggio porterà l’orario di lavoro stabilito in risaia e le tariffe, con specifica ed epoca dei lavori nel Vercellese e nel Novarese, sia per gli uomini e che per le donne, secondo le zone (Scr. 81,72).
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La Val Staffora è già largamente diffusa in dodici Paesi. Gradiremo brevissimi articoli e brevissime corrispondenze. Si gradirà un’offerta per la maggior diffusione del Bollettino Parrocchiale (Scr. 93,1).
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Salutiamo con vivo compiacimento la comparsa del Bollettino interparrocchiale “La Val Staffora”, che, già dal primo numero, abbraccia ben quattordici Parrocchie. È questo forse il primo esperimento un po’ in largo che si fa in Diocesi in fatto di un Bollettino collettivo di indole morale religiosa. E il primo numero si presenta benissimo, ed è molto promettente. È edito dalla Tipografia San Giuseppe di Tortona ci risulta che ha già una tiratura di 1200 copie. Auguri fraterni di ancor più larga diffusione (Scr. 93,273b).
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Si pregano tutti gli Amici e sostenitori della Val Staffora a inviare sempre sempre articoletti o notizie. E Dio li benedica! Così si prega gli interessati di mandare gli indirizzi delle persone o famiglie cui la Val Staffora dovrà essere spedita (Scr. 93,276).
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Onor.le Sigr. Prefetto di Alessandria Il Sottoscritto chiede di poter pubblicare con i tipi della tipografia San Giuseppe, sita in Via Emilia 27, Tortona un Bollettino Mensile di indole morale religiosa, dal titolo “La Val Staffora”, del quale dichiara di essere che sarà Direttore Responsabile. A questo fine dichiara che tutti i documenti richiesti dalla legge furono si trovano presentati al competente Ufficio in Tortona (Scr. 119,71).
Vedi anche: Ufficio stampa.
Lapsi (sacerdoti)
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Verrà su un Sacerdote; lo metti da solo in una cameretta; ma che non sia la biblioteca, e che non prenda libri dalla biblioteca. È un Sacerdote che ha sbagliato, e che ora è ritornato all’ovile: aiutalo e vigilalo con carità (Scr. 2,157).
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Fa’ i miei ossequi a quel Vicario Gen.le e a Sua Eminenza, se ci fosse. Farai comprendere che Don Moncalieri è Sacerdote educato fin da piccolo da Don Orione, perché non credano che sia uno dei Sacerdoti già traviati, poiché si è sparsa fra i Vescovi la voce che io prendo a raddrizzare le gambe di quelli (Scr. 7,305).
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Lunedì mattino andrò dal Cardinal Vicario; so che mi aspetta per parlarmi di fare un’opera per i preti caduti (Scr. 17,194).
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Per i preti lapsi, rispondete che desiderate aspettare Don Orione; già ve ne mando io uno di qui, partirà entro marzo, raccomandatomi da un Arcivescovo: avvertirò (Scr. 18,68).
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Ho scritto oggi a don Pagella e a don Piccinini una lettera circa i chierici a Novi ed ho loro detto di farvela leggere. Esprimo le mie idee sui chierici alle magistrali. Per i sacerdoti lapsi, andiamo adagio: ve ne scriverò a parte, caso per caso (Scr. 18,95).
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Dichiaro che il sac. N.N. si è diportato sempre bene in questo periodo di anni. Il suo posto però è ora stato destinato ad altro sacerdote entro il prossimo gennaio, ed egli non può più essere tenuto. Sono parecchi gli Eccell.mi Vescovi che, da tempo, insistono perché vengano ricevuti altri sacerdoti lapsi, ma pentiti, e certe domande sono appoggiate anche da Roma. Spero che alla Eccell.za vostra non sarà difficile trovare al N. N. una nicchia adatta e non dubito che agli andrà a darle delle consolazioni (Scr. 18,206).
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Quanto alla Chiesa e Convento degli Scalzetti, avanti di inoltrare una possibile domanda (la Chiesa e il miserevole convento penso dipenderanno ora dal Vicariato o dalla Congregazione dei Religiosi) bisognerebbe poter dire a quale scopo si domanda e che sia tale che valga e meriti di essere preso in considerazione. Dire che ce la diano al posto di Sant’Anna, mi pare sia dire troppo poco e poi diranno: avete già San Giacomo. Dire: per metterci dei Chierici. La Casa mi pare assai infelice e non adatta per Chierici. Per sacerdoti lapsi e inabilitati? A Roma non li vorranno! Pensateci un po’, pregateci un po’ e poi, se Dio vi suggerisce qualche buon progetto, scrivetemi, e farò (Scr. 19,8).
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Vedi, caro don Angelo, parecchi sacerdoti che stanno con noi, sono già dei lapsi che io prendo per vedere di rialzare qualche nostro fratello caduto; ma, o per l’ubriachezza o peggio, non c’è da fidarsene a lasciarli fuori e soli; me le fanno quando sono nelle nostre Case, vigilati e, direi, rinchiusi, immaginati cosa va a succedere quando si trovassero liberi! (Scr. 25,35).
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In foglio a parte mi dirà chiaro e fraternamente. a) se Caio fu od è sospeso a divinis et qua de causa; b) se celebra e se ha anche (e da chi) le facoltà ad audiendas. c) quale la diocesi di origine; se fu parte di qual ordine o Congregazione; dove oggi è incardinato e da quale Curia Vescovile, in realtà, dipenda. Se ebbe a fare con la Giustizia e se fu condannato o se ebbe cause presso le Congregazioni Romane e come ne uscì. Perché sarebbe così perseguitato dai Superiori della diocesi, dove era parroco e quanto altro ella, caro amico, crederà conveniente farmi conoscere. Non tema che mi scandalizzi: pensi che fui (non so come andò) Vicario generale di un’Archidiocesi di Sicilia che non era, certo, la migliore di quell’Isola. Ella comprende che tutto il fattibile lo farò; però non le devo nascondere che alcuni, i quali non corrisposero, mi crearono, anche di recente, dei dispiaceri non pochi e richiami anche dall’alto, benché poi sono essi, quelli che stanno in alto che, all’occorrenza me li affidano. Ma sia tutto per amor di Dio! (Scr. 38,146).
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Ricevo la gradita sua del 10 corr. con la acclusa del sac.te Malvicini. Mi pare che il Sant’Uffizio, non riabiliti a celebrare i sacerdoti, che hanno contratto l’atto civile del Matrimonio, se non dopo anni e anni di vita penitente. Data la raccomandazione di V. Signoria e la prova già fatta dal sac.te Malvicini, sarei disposto a riceverlo, come semplice aggregato, destinandolo a un eremo della Divina Provvidenza, purché egli venga già con la facoltà di celebrare e accetti di fare vita di solitudine, di orazione e di lavoro. Informerei di anno in anno la Sacra Congregazione della condotta di lui. Avrei bisogno di avere una tal quale latitudine circa le località dove destinarlo. Ne ho avuti altri; parecchi si misero veramente bene (Scr. 42,179).
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Per raccogliere i preti caduti durante la guerra, e che mano mano ritornano pentiti, la Divina Provvidenza mi fece acquistare una casa adatta a Varallo Sesia e anche là circa L. 200.000 e ho fatto un passo che ora sento che fu troppo lungo (Scr. 42,187).
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Giunto ieri a Genova verso le 10, trovai all’istituto nostro del Piccolo Cottolengo Genovese, un sacerdote, il quale mi disse chiamarsi P. Innocenzo Tonazzi, bresciano, Passionista, ma in abito da prete secolare. Di lui, mi aveva parlato più mesi fa un vostro padre anziano perché lo avessi accettato. Non lo potei, per ragioni diverse. Il detto P. Innocenzo mi disse di aver lasciato la casa religiosa già dal giorno lunedì, senza nulla dire alla Paternità vostra. Allora, perché ella non vivesse in ansietà per lui, le ho telegrafato. E perché non si perdesse per Genova, visto che non si persuase a ritornare, gli ho detto di venire a Tortona, dove io sarei giunto stanotte. Ciò feci per toglierlo da pericoli. È qui, non ha celebrato in questi giorni e, presso di noi, non potrà celebrare mai sino a che il suo Superiore generale non assicuri che lo possa. Io, però, non potrò tenerlo neanche sospeso a divinis: al momento non ho posti adatti. Né posso lasciarlo dove sono ragazzi, perché di lui so qualche sua cosa passata. Prego v. paternità di voler riferire al Superiore generale quanto sopra. Questo povero P. Innocenzo ha perduto la testa e c’è molto da pregare per lui. Mi fa gran pena: tornare all’Ordine non vuol tornare, ed io non posso tenerlo. Dove andrà, non so: che Dio lo salvi! (Scr. 43,237).
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Raccomandatomi da Mons. Blandini, Vescovo di Noto, e dal canonico Galliani, ho accettato qui il sac. Lipari. Ed in altri Istituti diversi dell’Opera della Divina Provvidenza ho collocati i cinque figli, la compagna di peccato, ora pentita e di vita veramente penitente ed esemplare, e anche la sorella del povero prete traviato. Detto sacerdote lo tenni però sempre qui con me, in questa che è la Casa madre dell’Opera della Divina Provvidenza, la quale Opera non è istituzione Salesiana, ma una povera opera incipiente e non ancora Congregazione formalmente approvata: dipendiamo quindi dal Vescovo diocesano (Scr. 44,267).
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Se il caso è urgente, voglia dire a sua Eminenza Rev.ma che lo mandi senz’altro qui, che poi gli darò quella destinazione che parrà più adatta. Se poi non ci fosse urgenza, gradirei conoscere qualche cosa di lui, per regolarmi dove metterlo: i lapsi con ragazzi non si mettono ove sono ragazzi, quelli invece che hanno mancato diversamente, si cerca di porli lontani da certe occasioni (Scr. 44,268).
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Dirò a vostra Eccellenza rev.ma che scrissi alla sig.ra Caterina Cantù a quel modo, anche perché, quando quest’anno fui due volte a Villalvernia a propagandare, avevo visto il povero don Persi molto preso dal vino, e mi aveva fatto gran pena; e già allora lo avevo invitato a ritirarsi in qualcuna delle Case della Provvidenza e pareva che egli annuisse, ma non era molto compos sui. Presso di noi la Provvidenza non gli avrebbe certo lasciato mancare un bicchiere di vino, ma non ne avrebbe trovato tanto da andarne ubriaco, e, soprattutto, sarebbe stato tolto agli occhi di un pubblico che, oggi, non è più disposto a tollerare nel prete certe cose (Scr. 45,152–153).
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Il sac. Giovanni Tacca non è possibile possa continuare nelle povere Case della Divina Provvidenza. Lo provai qui, e poscia a Cuneo, ove poteva stare bene e fare del bene, vivendo da buon prete, ma ho dovuto, onde non desse scandalo, richiamarlo nuovamente qui. Ho potuto parlare a lui oggi, poiché ero a Roma, e giunsi ieri solamente. Egli sa che scrivo a vostra Eccellenza rev.ma, ma ci lasciamo da buoni fratelli, benché abbia dovuto parlargli chiaro chiaro e come fossi stato in punto di morte avvertendolo anche di un grave castigo che Dio sarà costretto a dargli; egli ha pianto per ciò che nostro Signore gli ha fatto sentire nell’anima ma non si è arreso a cambiare vita. Gli dissi che sempre che voglia lasciare il vizio del vino, lavorare come deve fare un buon cristiano e pregare, sarò sempre disposto a riammetterlo cosicché egli ha una porta aperta sempre, purché voglia essere quale deve. Prevengo vostra Eccellenza che egli vuole ritornare in diocesi, e dice di non poterne stare lontano, il che sarebbe a giorni. Chiedo perdono a Dio e a vostra Eccellenza rev.ma di non aver fatto per questo caro sacerdote quanto che dovevo, e cercherò di pregare per lui (Scr. 45,168).
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Come forse già ella saprà, il don Quaranta non è più in Calabria. Da qualche tempo egli non si diportava bene e non voleva più dare ascolto. Usciva e celebrò fin tre Messe in giorni feriali. E, perché non voleva lasciare Reggio, dove già era stato sospeso a divinis da quell’Arcivescovo, si dovette farlo accompagnare a Cuneo dalla Questura. Si fece tutto quello che si poté per lui, ma è privo di senso morale, specialmente quando si trova in certe condizioni. Là mi fece molto male (Scr. 47,126).
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Mi inginocchio ai piedi benedetti di vostra Santità e umilmente espongo che la mano del Signore va, da qualche tempo, conducendo alle povere Case della Divina Provvidenza dei sacerdoti traviati, desiderosi di far ritorno alla Chiesa e a Dio. Qualcuno di essi confesso che mi diede di grandi dolori, ma altri perseverarono nella buona via e diedero dei risultati veramente consolanti. Qui bisogna che dica che chi fa tutto è la Madonna SS.ma. Parecchi di essi anzi mi portarono anche i loro figlioli, perché fossero educati cristianamente e non avessero a perdere la fede, venendo poi a conoscere la loro origine. E anche con questi Gesù è divinamente largo di grazie, onde, benché alcuni abbiano già più di vent’anni e sappiano bene di chi sono figli, pure, forse, anche perché hanno sotto gli occhi la vita di sacrificio che, con la divina grazia, conducono i sacerdoti miei confratelli, si mantengono buoni, laboriosi, e qualcuno chiese fino di potersi consacrare alla vita religiosa (Scr. 48,28).
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Questo tratto di vostra paterna carità non sarà solo di conforto a lui, ma anche ad altri poveri sacerdoti lapsi, i quali, da anni, vivono sotto le ali della Divina Provvidenza in oratione et in spe. Bacio con profonda venerazione il sacro piede e su di me, povero peccatore e ultimo vostro figlio, imploro confortatrice la benedizione apostolica (Scr. 48,44).
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Umilmente espongo di aver accolto, dal 1° marzo 1930, nelle Case della Piccola Opera della Divina Provvidenza, il sac.te Michelacci Ruben, della diocesi di Pistoia. Egli venne ed è, anche attualmente, in abito civile, sospeso a divinis dal novembre del 1913, raccomandatomi da Sua Eccell. Rev.ma Mons. Bonardi, ausiliare di sua Eccell. Mons. Arcivescovo di Firenze. Il Michelacci ha riportato una condanna penale ed è stato in carcere dodici anni, come risulterà a codesto sacro dicastero. Durante gli anni passati nei nostri Istituti, egli si è diportato bene, sotto ogni riguardo. Per quanto mi può essere permesso e sempre pienamente affidato alla sapienza che governa codesta sacra Congregazione, in umiltà implorerei, se la grazia è possibile, che il detto sac.te Michelacci venisse riabilitato alla celebrazione della santa Messa ad annum; egli venne già riammesso ai sacramenti. Mi farò dovere di riferire periodicamente di lui e lo trasferirò dove il suo passato non sia conosciuto; così pure gli farei premettere almeno un mese di santi Spirituali Esercizi presso quella Casa religiosa che la Sacra Congregazione ritenesse di designare. Facilmente lo destinerei in un eremo, a Sant’Alberto di Butrio o sul Monte Soratte, per quel tempo che si crederà conveniente (Scr. 48,115).
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Mi sono messo nelle mani di un Cardinale stretto (dicono), perché io sono già largo; e sono andato da uno che (senza far torto ad altri) è e passa per rigidamente ortodossissimo, perché la mia ignoranza, e poca o nulla dottrina, non finisse di rovinare la piccola Opera, tanto più che mi tocca bazzicare con poveri sacerdoti caduti e taluni noti modernisti e non vorrei mi si fosse infiltrata qualche idea poco esatta o meno che devota alla santa Chiesa (Scr. 49,125).
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Non recuso laborem: tengo già oltre 50 nostri fratelli lapsi o per un verso o per un altro; ancora ieri ho scritto ad un Vescovo perché mi mandasse pure un suo parroco, che fece un viaggio di nozze e che non può più stare in diocesi. Ne ho un po’ dappertutto, di riabilitati e di non ancora riabilitati, in abito talare e in abito borghese; ho aperto per essi alcune case apposite, così anche la Villa Eremo sopra Varallo, che lei, caro Monsignore, conosce, ma non è sempre bene tenerli uniti. Alcuni che hanno ucciso o usciti dalla galera per altri delitti clamorosi o perché ricercati da donne con le quali convissero, li faccio chiamare con il cognome della madre e anche ne ho mandato in nostre case d’America. Avrei potuto fare di più e con il divino aiuto, farci ben più e ben altro per codesti nostri fratelli, ma non sono aiutato: lo dico con profondo dolore! Tolto il Santo Padre e, per alcuni, il Sant’Uffizio, in genere gli altri, dopo che se ne sono liberati e me li hanno buttati sulle braccia, non se ne ricordano più (Scr. 49,177).
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Quel povero prete che venne meno ai santi voti ed ora vuol tornare a Dio, sono disposto ad accoglierlo quassù, venga pure quando crede: lo collocheremo in qualche Casa o di Torino o in quella di Vercelli. Il Signore vuol molto bene a questi nostri fratelli che ritornano! (Scr. 54,71).
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Mi vergogno a dover chiedere, ma io non posso più reggere, né posso togliere il pane agli orfani, ora che le fonti della beneficenza si vanno inaridendo. Ho accettato un numero considerevole di poveri sacerdoti lapsi: molti hanno promesso di aiutarmi e poi non se ne sono più ricordati, onde ne ho parecchie dozzine, ridotti allo stato laicale, vecchi o che lavorare non sanno, tutti su le mie braccia. E bisogna anche trattarli bene, perché al prete piace, in genere, mangiare bene anche bere bene... onde tante cadute. Se non conoscessi v. Eccellenza non oserei scrivere con tanta libertà, ma Ella non vorrà prender scandalo, e mi scusi (Scr. 58,98).
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Rincasato ieri sera, leggo la venerata sua del 9 corr. Se il don Lionello fosse riabilitato, avrei, mi pare, la nicchia adatta, ma così, sospeso a divinis, non saprei..., e mi sarebbe poi più difficile collocarlo, dopo. Vostra Eccell.za Rev.ma potrebbe, se lo crede, far conoscere alla sacra Congregazione che sarei disposto a prenderlo, ma riabilitato (Scr. 58,101).
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Sono disposto ad accogliere il sacerdote che vostra Eccellenza mi propone, solo bisognerebbe che egli corrispondesse un mensile o almeno che v. Eccellenza potesse passarci intenzioni per le sue Messe, poiché noi, non avendo che qualche parrocchia, difettiamo di S. Messe. Oggi, mi rincresce, ma non m’è possibile fare di più poiché, dato il numero di sacerdoti lapsi accolti, alcune Case sono troppo gravate di debiti, anche perché quasi nessuno corrisponde un mensile e parecchi non sono ancora riabilitati (Scr. 58,165).
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Eccellenza Rev.ma, riferendomi a venerata lettera di V. Eccell. Rev.ma del 22 corr. m., non avrei difficoltà di accogliere il sacerdote don Alfredo Adorni, ma dato il numero dei poveri sacerdoti lapsi, che già tengo, onde non metterne molti insieme e per meglio aiutarli, non avrei altra nicchia adatta che Villa Eremo, fuori di Varallo Sesia. Dovrà stare all’orario e alle pratiche di pietà nostre; dovrebbe venire già in abito da sacerdote e riabilitato a celebrare. La retta è di L. 20 al giorno, ma, invece di L. 600 mensili, la ridurrei a L. 500, meno non potrei; devono avere tutti lo stesso trattamento, deve provvedere lui per il vestito, pulizia, rammendatura di abiti. Visite ordinarie e biancheria sono a carico nostro. Medico e medicine, spese ospitaliere o eventuali operazioni chirurgiche a carico suo. Se Vostra Eccell. Rev.ma potesse passare per l’individuo le intenzioni di Messe, la elemosina verrebbe in tutto o in parte a far fronte al mensile (Scr. 64,88).
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Perdoni la libertà che mi prendo. C’è qui Don Montefinali che è sospeso a divinis da una settimana. Pare che si sia alla vigilia di un grave scandalo e si dice che abbia tentato il ratto di una fanciulla. Io gli ho parlato, ma l’ho trovato molto agitato ed esaltato. Mi disse che a giorni vestirà da borghese: mi pare che vada verso l’abisso. Scrivo a Lei che è il Suo Parroco, perché veda nella Sua carità di fare agire Sua madre sul cuore di questo povero prete. Mi dicono che sua Madre ignori tutto: che sua Madre potrebbe ancora trattenerlo dal precipizio per la forza morale che ha su di lui. Egli disse a me che sua Madre gli dà ragione. Io credo che sua Madre da lui saprà quel che saprà, ma se conoscesse che domani il figlio se ne va, forse con una ragazza, chissà cosa farebbe per trattenerlo. Sono disposto a prendere in qualche mia Casa questo prete, dopo che abbia fatti i Santi Esercizi presso qualche Casa di buoni Religiosi: sono disposto ad aiutarlo presso la Curia, quando più potrò (Scr. 66,427).
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Non so perché anche da Genova si sia mossa tanta contrarietà; non vorrei credere sia perché, in altra faccenda, non ho potuto dire che andava bene una cosa che andava male. Del resto ho sempre avuta la massima riverenza e rispetto. Ho raccolto poveri Sacerdoti genovesi lapsi, ne ho tenuto uno, più anni, pazzo, senza chiedere un centesimo, ben felice d’averlo potuto fare. La Piccola Opera della Divina Provvidenza tiene in Genova ben cinque Case per i poveri di Genova e Archidiocesi, sono forse verso il migliaio, tutti i più derelitti, vera roba da Cottolengo, rifiutati da tutti. Speravo maggior serenità (Scr. 67,199).
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Tutta la mia povera vita e la Piccola Congregazione è consacrata con voto a seguire in umiltà, fedeltà, obbedienza e amore i Vescovi e la Santa Sede. E cerchiamo anche di togliere le spine più pungenti al cuore dei Vescovi, cioè i Sacerdoti caduti, che hanno dato o danno mal esempio e che nessuno vuole. Eccellenza, Lei che è addentro in queste cose, che ha visto e vede, purtroppo, tante miserie nel Clero, per l’alto ufficio che copre, lasci che umilmente La preghi di mettere una Sua valida parola perché si aiuti un’Opera come questa, che nessun altro fa e che pure è tanto necessaria e di conforto ai Vescovi (Scr. 67,200).
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Ho il dispiacere di dover far conoscere a V. Eccell. Rev.ma che il consaputo Sacerdote, per il quale ho scritto tempo fa a Vostra Eccellenza e ne ebbi biglietto di raccomandazione, venne qui, dalla Sagra di San Michele, tre giorni fa, giungendo nel tardo pomeriggio, condotto da un facchino. Egli era in condizioni pietosissime, da non sapere più né quello che diceva né quello che faceva. Entrò in un bar e poi fece pagare da altri e dallo stesso facchino, il quale, visto alla Stazione in stato da essere lo zimbello della gente e di vergogna per il Clero, sentito che faceva il mio nome, tentò di sottrarlo agli occhi del pubblico. Anche parecchie ore dopo era sempre intontito. Il dì dopo stette coricato quasi tutta la giornata e quasi anche tutto il giorno di ieri. Diede tale spettacolo che anche Monsignor Vescovo ne fu informato e ne parlò al Vicario della Congregazione e poi anche a me. Onde mi vidi costretto a rimandarlo. Gli fu pagato il viaggio sino ad Avigliano, come egli desiderò, ed è ripartito stamattina. Qui nei tre giorni non ha celebrato; il primo giorno indipendentemente del resto non era in condizioni di reggersi (Scr. 67,236).
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Vi prego di assicurare Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Vescovo che sono sempre ben disposto ad accogliere il consaputo Sacerdote. E con tanto piacere lo prenderei pure gratuitamente, ma proprio non m’era possibile perché mi sono venuto a trovare eccessivamente gravato da debiti per il numero rilevante di fratelli lapsi che ho accolto. Essi poi poco fanno e non si possono adoperare, mentre hanno esigenze non poche, specie per il vitto. Del resto vanno pur mantenuti e provvisti convenientemente. Ecco perché oso chiedere e mi vergogno di dover chiedere; mi rimetto per altro agli Eccell.mi Vescovi. E, quando i detti Sacerdoti siano riabilitati a celebrare, basterà che i Vescovi passino la intenzione della Messa. Vi prego dunque, Monsignore, di significare a sua Eccell. Rev.ma Monsignor Moscato che voglia determinare lui, finché non sta a ridargli la Messa. Se il Sacerdote non dipende dal Sant’Uffizio, ma dal Concilio, non sarà difficile ottenergli la grazia, e anche relativamente presto, quando la condotta sia buona (Scr. 67,259).
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Confesso ciò che ho pensato: che cioè il Signore m’abbia mandato il denaro attraverso quel nostro fratello lapso, per confortarmi nell’umile opera di stendere le braccia e il cuore ai nostri fratelli di sacerdozio lapsi. E penso che la bontà del Signore si sia servita d’un Padre Antonio da Trobaso, il quale aveva dato scandalo e dolori alla Chiesa, per cavare un qualche raggio di gloria a Dio e qualche conforto alla Sua Chiesa col darle, Deo adiuvante, una nuova schiera di umili e di poveri religiosi (Scr. 67,290d).
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Quanto all’altro Sacerdote Don Silva, se nella sua condotta morale c’è anche solo qualche dubbio, non posso approvare che sia tenuto in nessuna delle nostre Case; che se è di buona condotta, rimanga pure, ma non in Case dove sono Chierici in formazione. Mentre in Italia teniamo Case per Sacerdoti caduti o provenienti da Diocesi dove ebbero incidenti spiacevoli o accuse vere o false, invece in America di tali Case non ne abbiamo; per ora non possiamo averne e di tali Sacerdoti non voglio che ne prendiate (Scr. 68,159).
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Quanto al Padre Tonatto, data la sua condotta e poi il rifiuto ad obbedire, egli venne espulso dalla Congregazione; non può rimanere più in alcuna nostra Casa. Se egli vuole tornare in Italia, gli pagherete il viaggio in terza classe, se non lo può pagare; come gli ho scritto nell’ultima mia di due giorni fa, qui abbiamo apposite Case di redenzione per riabilitare i Sacerdoti caduti e avremo carità anche con lui. Guardatevi, dunque, bene dal mandarlo al Chaco o in nostre Case (Scr. 68,161).
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La Piccola Opera tiene una bellissima Casa, detta Villa Eremo, presso Varallo Sesia, Provincia di Vercelli, per Sacerdoti lapsi: per aiutarli a redimersi in Domino. Essa è in posizione soleggiata e amenissima, con giardino, laghetto e bosco. Gli Ospiti sono aiutati a rimettersi: si usa loro molta carità ma vigilata; i risultati, finora, furono molto soddisfacenti. Ognuno ha la sua camera ed è tenuto ad una regola discreta. Hanno vitto sano, abbondante, ben confezionato da Suore. Gli effetti di biancheria pure per pulizia e rammendo sono affidati a Suore. La retta è di L. 15 al giorno, tutto compreso, eccetto eventuali spese vive per viaggi, posta, medicine e cure mediche. Letto e biancheria da letto, coperte, etc. diamo noi, non il vestiario né la biancheria personale. La pensione è a mese anticipato; per uso lettiera, materasso, biancheria, coperte, etc, si pagano L. 200 all’entrata una volta tanto. La corrispondenza, in partenza e arrivo, viene letta dal Superiore, se chi affida il Sacerdote è del parere che venga letta. Dei Sacerdoti si dà relazione almeno una volta ogni due mesi. Chi manda un Ospite deve obbligarsi a ritirarlo, qualora la Direzione dichiarasse di non poterlo più tenere. Per lettera raccomandata e personale è necessario riferirmi quanto di grave vi è sulla condotta del Sacerdote proposto: se le debolezze furono con uomini o persone di altro sesso, se è od è stato già sospeso a divinis, se è in mano di qualche Congregazione o Tribunale Ecclesiastico Romano, e quale, e da che Diocesi o Istituto dipende. Il tutto verrà tenuto riservatissimo (Scr. 71,27–28).
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Voi dovrete stare ritirato e attendere a ricostituirvi nella vita sacerdotale seria, ordinata, fervorosa, esemplare. Sì che possa scrivere bene di voi al vostro Vescovo, dire bene di voi a tutti e mi sia dato di destinarvi poi ad altro posto, dove potrete trafficare meglio i talenti che Dio vi ha dato. Caro Don Scalmana, voi non dovete tenere denaro, né dovete cercare denaro ad alcuno, né far debiti. Voi non dovrete bere vino né liquori, il che sarebbe la vostra rovina. Badate che – e ve lo dico chiaro prima – se non sapeste stare a Fano non saprei più dove mettervi, perché non vi voglio mettere tra i preti già sospesi a divinis. Io ho molta stima e fiducia di voi e molto aspetto da voi e tengo grande desiderio di aiutarvi (Scr. 72,154).
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Conosco V. Eccellenza da molti anni attraverso Suoi antichi condiscepoli di studi a Roma e conosco le sue pubblicazioni e lavori, assai prima che Ella fosse chiamata a Roma e ne ho avuto sempre concetto altissimo. Dei lapsi che sono con me non ne parlo e non ne scrivo, se danno dolori. Non intendo con questo scusarmi in tutto ciò che posso aver mancato. Quanto all’individuo, egli lasciò il posto che la Divina Provvidenza gli aveva dato, deciso di venire in Italia. Sciupò molto denaro (Scr. 76,168).
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Ella, caro Monsignore, vorrà comprendere che non posso togliere il pane ai miei Chierici, agli orfani e altri ricoverati. Con la crisi, il pane è già tanto scarso e tutte le fonti della beneficenza si vanno inaridendo. I preti caduti danno già tanto da fare anche senza dover pensare a vestirli e mantenerli. E non ci si può dare un vitto qualunque, né si riabilitano usando grettezze, Ella mi comprende. Ora io non potrò fare di più, caro Monsignore, le mie braccia sono troppo gravate, non reggono più! Non mi rifiuto, ma bisognerebbe intenderci bene su tutto (Scr. 84,10).
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Chiedo scusa della libertà di scrivere a Vostra Eccellenza Rev.ma su questo mezzo foglio. Più volte si è presentato a me il Sac. Lodovico Szczygiel, di nazione polacco, ma incardinato alla Diocesi di Bagnorea. Egli mi dice di essere sospeso a divinis e di vivere da circa quattro mesi qui in Roma in una pensione presso le Signore Sartoris a via Borgo Pio 105, senza avere mai potuto dare loro un centesimo per la sua pensione, perché ridotto a stato di grande miseria. Le Signore Sartoris vennero infatti da me almeno tre volte per avere dei sussidi a favore di detto Sacerdote e ieri mi dissero che con la fine del mese sono costrette a metterlo su d’una strada. Che fare? Io non avrei difficoltà a prendere questo fratello Sacerdote con me, non per tenerlo qui, ma per ricoverarlo in qualche altro mio Istituto ove egli, con la vita di pietà e di lavoro, possa riabilitarsi e ad un tempo trovare quanto strettamente gli è necessario alla vita. Però siccome nei miei Istituti, anche ove non sono orfani, desterebbe meraviglia vedere un prete che non dice Messa, chiedo se è possibile che questo Sacerdote possa celebrare e così avere il più grande aiuto per vivere da vero Sacerdote. Se si va lontano per salvare i selvaggi, vediamo, con l’aiuto del Signore, se si possano salvare in Roma i poveri Sacerdoti caduti, ma pentiti (Scr. 88,41).
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Stavo in questi giorni trattando di prendere un Eremo, dove non vi sarebbero ragazzi, qualche Eremo che ho, già ne accoglie altri, poiché ne ho più di trenta di lapsi, e non posso metterne troppi insieme (Scr. 92,97).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza, anche per secondare un augusto desiderio degli ultimi Sommi Pontefici, confortata dalla approvazione di alcune Sacre Romane Congregazioni e da Rev.mi Vescovi, lavora nelle umili sue possibilità anche per la riabilitazione dei Sacerdoti lapsi. Talora ne ha accolti anche i figli e sistemate convenientemente le stesse compagne del peccato e questo è parso che piacesse a N. Signore e alla Santa Sede. Quelli che restano ancora sospesi a divinis sono in abito civile: essi vivono in Colonie Agricole o sono addetti a nostre Tipografie oppure ad uffici non disdicevoli alla dignità sacerdotale; i riabilitati, invece, sono collocati alla Villa Eremo a Varallo Sesia o in qualche altra Casa, sotto speciale vigilanza; celebrano per la Congregazione, missa pro mensa, quando già non pagano una pensione (Scr. 92,99).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza, anche per secondare un augusto desiderio degli ultimi Sommi Pontefici, confortata dalla approvazione di alcune Sacre Congregazioni e da Eccell.mi Vescovi, si adopra, nell’umile ambito delle sue possibilità, per la riabilitazione dei Sacerdoti lapsi. Conosciuto il Don Luigi Mattei ho dunque cercato di avvicinarlo e di indurlo a ritornare sulla diritta via. E dopo alcuni suoi eclissi e parecchi alti e bassi, m’è parso, per la grazia del Signore, che venisse del parere. E quando ho visto che mostrava buone disposizioni, ne parlai, ripetutamente, a Sua Eccellenza Rev.ma il sig. Nunzio Apostolico, che trovai sempre molto favorevole a tale opera di fraterna carità verso i sacerdoti caduti. Ma non era prudente che il Don Mattei, riabilitato, permanesse in Argentina, né a me sarebbe stato possibile tenerlo in alcuna di quelle nostre Case, anche per evitare che si trovasse con qualche altro. Accettò di tornare in Italia, benché, all’ultimo momento, per una sciocchezza, mostrò difficoltà e parve che non volesse più partire (Scr. 93,127).
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Vedo che al presente non ho la nicchia adatta pel Sacerdote veneto da V. Sig.ria Rev.ma raccomandato. Date le sue debolezze, egli non può stare dove sono giovani. Ora, se non apro nuovi Eremi e la Divina Provvidenza non mi manda personale che vigili e aiuti cotesti lapsi, non posso prenderne altri, poiché non si raggiungerebbe il fine (Scr. 97,186).
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Sono ben disposto ad accogliere il Sac.te Domenico Sferra, e ad usargli ogni cura a riguardo. Ma non posso più ricevere detti Sacerdoti gratuitamente, ma a £. 10 al giorno, tutto compreso, cioè vitto e alloggio; pulizia di biancheria, medicinali, visite mediche, rinnovamento vestiario e scarpe, sono a carico del Sacerdote, non così la biancheria e coperte da letto, che si danno da noi. Eccellenza Rev.ma, creda che ho vergogna a richiedere questo, ma parecchi sacerdoti mi furono posti qui con promesse di qualche aiuto, mentre poi nessuno più ci pensò, onde una Casa, dove tengo Sacerdoti lapsi, in via di riabilitazione, mi dicevano stamattina che ha circa £. 30.000 di debito e il farmacista non vuole più dare medicine, il panettiere non vuole più dare pane. Di più, io non ho applicazioni di Sante Messe, onde bisognerebbe la passasse V. Eccellenza, valendosi della elemosina per far fronte al mensile (Scr. 96,246).
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Quanto al Don Alfredo, subito scrivete al Suo Vescovo che ora egli ha fatto la sua prova con buon risultato: che la nostra Congregazione lo mantiene già da alcuni anni e che, con il gennaio, egli deve lasciare il posto che dovrà essere occupato da altro sacerdote, avendo da tempo in sospeso parecchie domande di Eccell.mi Vescovi e anche raccomandazioni da Roma, perché siano ricevuti poveri sacerdoti lapsi, ma pentiti (Scr. 99,223–224).
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Don Cassamagnago è accettato in Domino, e verrà confortato a fare bene. Per ora me lo mandi qui, poi vedrò di trovargli la nicchia adatta. Ne ho un buon numero di fratelli lapsi: chi veste da sacerdote e chi no, chi celebra e chi no. Ho il Visitatore Apostolico che è il più gran galantuomo che la Divina Provvidenza mi poteva mandare, l’Abate Caronti. Ma prima ancora che mi fosse dato mi hanno proibito di aggravarmi di maggiori debiti per i Sacerdoti caduti. Se il Don Cassamagnago celebra, bisognerebbe che V. Eccell. usasse la carità di passargli le intenzioni: io non ne ho. La retta, tutto compreso, sarebbe di £. 10 al giorno, eccettuate le spese straordinarie per medici e medicine e per nuovi abiti (Scr. 104,32).
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Riferendomi a venerata lettera di Vostra Eccellenza Rev.ma in data 22 corr. mese non avrei difficoltà di accogliere il Sacerdote, ma, dato il numero che già tengo di altri Sacerdoti lapsi, non avrei altra nicchia adatta che Villa Eremo a Varallo Sesia. Egli dovrebbe: a) venire in abito da sacerdote, b) già riabilitato alla celebrazione della S. Messa. Il posto è molto adatto, ma si contribuisce lire 20 al giorno, per il vitto e camera e biancheria di letto, per il resto ciascuno provvede a sé. Si farebbe l’agevolezza di ridurre di lire 100 al mese la pensione mettendola a lire 500 mensili e tutto compreso. Noi non abbiamo intenzioni di Messe; quindi se Vostra Eccellenza Rev.ma potesse dargli direttamente o passare a noi intenzioni di Sante Messe con la elemosina, il problema sarebbe, in tutto o in parte, risolto (Scr. 105,58).
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Noi non abbiamo che qualche Parrocchia, perché è proprio del nostro Istituto di evitare, possibilmente, di prendere Parrocchie, per cui difettiamo di Sante Messe anche per i nostri. Mi rincresce, Eccellenza, ma oggi non mi sarebbe possibile fare di più, dato il numero di Sacerdoti lapsi già accolti, dei quali quasi nessuno corrisponde un mensile, parecchi poi non sono neanche riabilitati, onde mi trovo con alcune Case, dove essi sono, con troppi debiti, mentre ci sono richieste, e per casi molto pietosi e urgenti, tutte le settimane (Scr. 106,1).
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Noi Sacerdoti della Provvidenza abbiamo un prete apostata. Ve lo dico per mia umiliazione. A Messina egli ha dato scandalo. Io prego il Signore di avere pietà e misericordia di lui. Ora è ammalato e mi ha scritto che è pentito, mi sta aspettando, mi sta sospirando; ma io non ho mica fretta d’andarci, sapete, non c’è troppo da fidarsi. Prego però il Signore per lui che gli usi misericordia. Non ha saputo mortificare la gola, non ha saputo fuggire le occasioni! Vedete, o buone religiose, in quasi tutte le nostre case abbiamo dei sacerdoti apostati. Me li manda il Papa... Ne abbiamo a Roma, ne abbiamo a San Remo, ne abbiamo a Venezia; fino a ieri ne avevamo uno qui a Tortona; delle volte poi si emendano; a qualcuno ho già fatto dar la Messa. Ma sapete quali sono quelli che si emendano? Quelli che pregano, quelli che mortificano la gola, quelli che fuggono le occasioni (Par. II,68).
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Un solo Sacerdote basta per far gettare il discredito su tutti e sulla Chiesa e per allontanare la gente dalla religione. Ancora ieri ne ho accettato uno di questi preti lapsi. Era da venti anni in galera. Me li manda il Santo Padre e le Congregazioni Romane sotto consiglio di lui. Il Santo Padre esorta a continuare quest’opera di bene, di riabilitazione, per tanti. Li tengo qua e là, molto tempo senza la veste. Ho detto al Santo Padre che parecchi Sacerdoti della Congregazione non vedono volentieri che io accetti questi preti, perché poi si fa la nomea che la nostra Congregazione è formata tutta di tali preti. Mi ha detto di tenerli separati, ma di continuare. Io che sono spesso a contatto con questi lapsi sento che i chierici devono essere formati bene e si deve dare gli Ordini solo a quelli che danno fiducia di essere poi sacerdoti irreprensibili (Par. V,119).
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Un’ottima opera, nello svolgere la quale io ero in forse, ed ho continuato solo per volere del Papa, era certamente quella di raccogliere i preti lapsi. Quando guardate a quelli, entrate in voi stessi e dite: «Domani potrei anch’io essere così». Cari miei figlioli, guardate che è una grande opera! Sareste ben contenti anche voi, se un vostro fratello vi porgesse la mano per aiutarvi. Potranno, se non essere riabilitati, essere almeno avvicinati all’alto da cui sono caduti. Attenti, però, che non abbiano a raffreddarvi o deviarvi. Guardatevi, naturalmente, dal ricordare loro la loro caduta; piuttosto dite loro una buona parola e cercate di aiutarli con il vostro buon esempio (Par. VI,155).
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Avevamo case per ciechi, per storpi; perché non aprire le braccia anche a Sacerdoti che, per la guerra, per tristi occasioni e scandali, sono venuti meno? Vado esaminando il curriculum vitae di questi poveretti e scorrendo le lettere di tanti Vescovi che me li raccomandano: la più parte sono caduti perché non hanno lasciato la occasione. Dobbiamo entrare in noi, esaminare bene la nostra giornata, i posti che siamo soliti frequentare, le nostre debolezze. Il nemico sta lì. Bisogna non toccarlo: tagliare, tagliare corto, tagliar forte (Par. XI,246).
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Bisogna stare molto attenti a questi preti raccomandati. Ci sono cose che non si possono dire in pubblico. Certi raccomandazioni sono state fatte dal Santo Padre. Chi salta però in aria, in caso di scandalo, sono sempre gli stracci. Ciò non toglie che noi dobbiamo usare ogni carità per questi preti lapsi e che il Superiore possa esaminare i casi speciali che si presentano. A Roma ne abbiamo, in America ne abbiamo, a Sant’Alberto c’è Brizio e se non ci fosse Brizio ci sarebbe Buonaiuti. C’è ancora nelle nostre Case uno che sta facendo un gran rapporto contro la Congregazione. Bisogna far del bene, ma nello stesso tempo essere molto vigilanti (Riun. 1929).
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La Congregazione accetta preti lapsi e presso certe curie si crede che siano tutti lapsi e che lo scopo della Congregazione sia di radunarli e di riformare questi templi di Dio caduti. Lo scopo della Congregazione non è solo questo, ma è certo che è una grande opera di misericordia riportare all’altezza dello spirito sacerdotale quei nostri fratelli e servirsi di loro per la conversione di altri. Il Ven. Ludovico Casoria diceva: «Voglio convertire l’Africa con gli africani». Vorrei servirmi dei migliori di loro per la grande opera di redenzione dei preti lapsi. Ma, intendiamoci, altro è quell’opera, altro è la Congregazione! Ritengo che ve ne saranno in Congregazione più di 35. A Voghera ce n’è, a Venezia ce n’è. Alcuni si mettono bene. Domani potrebbe capitare a me e a voi e allora vorremmo che ci fosse qualcuno che ci porgesse mano per rialzarci. C’è per tutti una tavola di salvezza. Quando io e voi saremo in punto di morte non ci rincrescerà di aver usato misericordia a questi nostri fratelli. È opera molto difficile, ma non impossibile! E se ci fossimo noi al loro posto? Vi dirò: assisteteli! Alle volte per un atto di superbia uno si è ribellato al Vescovo. Don Brizio Casciola non poteva entrare in Chiesa. Ho fatto di tutto perché non cadesse nelle mani del Sant’Uffizio. Sono andato a rischio di passare per modernista per la carità che intendevo usare. Se il Papa non mi avesse conosciuto bene, chissà cosa poteva succedere! L’ho tolto dalla compagnia dei modernisti. Bisogna in questa faccenda entrar con la loro per far loro del bene, ma uscir colla nostra. Non vi darò nelle Case dei corruttori, ma alle volte ve ne sono di vita illibata. Se anche passassimo per il fuoco per salvare il carattere sacerdotale, non faremo nulla di straordinario. Gesù Cristo si è sacrificato per togliere le nostre miserie (Riun. 26 agosto 1930).
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Bisogna disfarci di certi elementi. Dare sempre una fiducia molto molto molto relativa ai preti lapsi Mi scrisse certe lettere l’Arcivescovo di Udine da spezzare il cuore, affinché accettassi uno di questi. L’ho mandato a Sant’Alberto e gli ho proibito di uscire dalla casa e ho detto a Fra Benedetto che gli tenesse gli occhi addosso. Ricevo una lettera dall’Arcivescovo di Udine che, per i maltrattamenti ricevuti da Don Draghi, si richiede che lo lasci libero. Ho scritto a quel Vescovo: Si prepari di vedere il suo prete tornare al vomito come prima. Un altro accettato a Montebello. Ricevo una lettera dal parroco che mi dice: per carità lo tolga, è ritornato lunedì notte all’una e frequenta... Un altro è venuto che riceve 2.000 lire all’anno per un bonifico e l’Arcivescovo gli dà altre 2.000 lire. Ha scritto: Mi sono presentato a Don Orione il quale mi ha trattato malamente. Cosa voleva? Voleva che lo mettessi a far scuola in qualche nostro Istituto ed io gli ho risposto: Ho tanti che hanno titoli che non so più cosa farne. Sono delle vere canaglie! Perdonate l’espressione, non saprei come esprimermi diversamente: delle vere canaglie (Riun. 15 agosto 1933).
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Preti lapsi: alcuni ci furono raccomandati dal Santo Padre. Di quante debolezze Dio ci userà misericordia se la useremo agli altri. C’è il desiderio e la volontà esplicita del Papa. Vi dico che forse è l’opera più cara al Cuore di Gesù. Leviamo le spine dai cuori dei Vescovi, rendiamo un grande servizio alla Chiesa. Quante volte dico al Signore: Signore perdona alle mie miserie per la grande misericordia, per la grande carità che voglio usare a questi miei fratelli. Se il Signore mi leva la mano dalla testa potrei far peggio (Riun. 3 luglio 1934).
Vedi anche: Apostolato, Compatimento, Sacerdozio.
Latino (lingua)
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Anche i Novizi devono avere scuola, almeno una ora al giorno, tutti i giorni, feste comprese, di latino: molto latino, moltissimo latino: è la lingua della Chiesa. Siccome in Noviziato non si può fare scuola più di un’ora al giorno di Materie Scolastiche (ed è il solo latino) non occorrono tre insegnanti anche ci siano i probandi, ai quali bisogna fare scuola di tutte le altre materie (Scr. 1,228).
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Amerei conoscere prima come è rimasto con suo figlio; se ti è possibile scrivimi una lettera in latino, tanto che possa capire qualche cosa prima di parlargli, e la dai a lui da portarmi (Scr. 2,176).
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Quello che ora sto per dire non è un comando che do, è un semplice desiderio: vorrei che 2 giorni alla settimana parlaste in latino, sbaglieranno? fa niente, si correggeranno a vicenda: errando discitur! (Scr. 3,398).
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Fate che si studi bene il latino: anche facendo i Classici Cristiani, si può e si deve insegnare la lingua, non limitarsi alla traduzione (Scr. 3,495).
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Stamattina mi è capitato un fatto che mi porta a scriverti la presente: stavo sull’altare maggiore della Chiesa di S. Michele, al principio della S. Messa che celebravo ai Chierici, quando ripetutamente, ho udito in modo sensibile una voce che mi diceva di scrivere al Noviziato che si parli in latino due o tre giorni alla settimana: A mie brevi osservazioni interiori, mi fu risposto: almeno due giorni. Lascio a te di determinare se tre o due giorni, e quali giorni, solo ti dico di non resistere, perché ho già resistito io, per quel tanto che mi pareva di poter resistere; desidero che si cominci subito. Non è il caso che i Chierici siano posti al corrente di quanto ti ho raccontato eccetto Don Simioni. Si capisce che quelli, i quali non avessero studiato, almeno un anno il latino, non sono tenuti. Alla Comunità sarà bene, subito e anche poi, parlare, qualche volta della utilità di tale esercizio, e per le Scuole di filosofia e teologia e, dopo per altre circostanze che si offriranno nell’avvenire della Congregazione e della vita di ciascuno. Del resto deve bastarci il fatto che il latino è la lingua della Chiesa, e si deve cercare di sostenerla quanto più si può. Più si saprà la lingua latina, e più si ricercheranno le Opere dei Padri, scritte in latino, e quelle tradotte dal greco o da altre lingue orientali in latino; e si sarà più portati allo studio dei documenti che la Santa Sede e il Papa mandano alla Chiesa, e che sono tutti in lingue latina. Ora poi, e fu gran ventura!, anche nei Corsi Tecnici il Governo ha posto lo studio del latino. Negli Stati dell’America Latina (sud America), invece, non si studia il latino, disgraziatamente, eccetto nei Seminari, con grande scapito della loro cultura letteraria e scientifica. La nostra Congregazione deve sostenere e propagare la lingua latina: anche questo sarà un atto di adesione, di amore, di attaccamento alla S. Madre Chiesa (Scr. 3,508).
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La lingua latina è la lingua della chiesa: noi dobbiamo cercare di sostenerla quanto più si può. Insieme con certe lingue orientali la lingua latina fu ordinata dalla Provvidenza e scelta ad esprimere gli oracoli della divina rivelazione e della sede apostolica. Cari chierici, voi già la usate in classe, nello studio della filosofia e della teologia; ma non basta. Anzi più sarete padroni della lingua latina, e più vi sarà reso facile lo stesso studio delle dottrine filosofiche e teologiche. Oggi è necessario prendere gli uomini per la via dell’intelletto. Mentre, quindi, vi raccomando quanto so e posso lo studio del latino, consiglio e prego che due giorni alla settimana, martedì e venerdì, durante le ricreazioni e in refettorio, i chierici di teologia, filosofia di V e IV ginnasiale parlino in latino. Non è un ordine, che dò, ma è un consiglio e una preghiera che non dubito vorrete accogliere, e me ne ringrazierete un giorno. In Italia ora la si studia non più solo nei ginnasi e licei pubblici, ma anche nei corsi tecnici, tanto è ritenuta necessaria dal Governo ai fini della unità, cultura e della potenza della Nazione. coltivate nelle classi ginnasiali e liceali, e voi la usate pur nello studio della filosofia e teologia, ma, per noi, non basta. Intanto, più sarete padroni della lingua latina, e più vi sarà reso facile lo studio delle dottrine filosofiche e teologiche Ma la madre chiesa ci parla in latino: uno dei vincoli, più dolci e più stretti, che tiene unite le diocesi e molti popoli del mondo occidentale a Roma è la lingua latina, noi siamo latini con l’ispirazione come nel sangue, nel carattere, nell’anima, così nella concezione nell’arte siamo latini nella cultura. E anche l’America Latina benché, sgraziatamente, abbia lasciato lo studio della lingua latina, è rimasta per la nostra religione che la vincola a Roma. Dobbiamo Ricordiamo sempre che Il periodo aureo della letteratura latina in cui fiorirono quasi tutti i migliori al tempo stesso di Gesù Cristo, da Cicerone a Cesare a Sallustio, a Virgilio ad Orazio, «Attraverso tutto il Medio evo, fino a Dante, fino a Petrarca la latinità splendeva come un faro sull’occidente d’Europa», dice l’Ussarni: «latino voleva dire civile». Lo stesso sforzo della nazione germanica di voler fondare un impero universale si appoggia alla tradizione romana, a Virgilio, il poeta di Augusto, a Lucano, il poeta di Cesare; ricordiamo che Roma ha spartito ai popoli la lingua sua i romani fecero la loro lingua regina per tutto l’occidente e per una parte non piccola del settentrione e dell’Africa (Scr. 52,74–75).
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Usare coi giovani carità amorevolezza e benevolezza Studio delle Sacre Cerimonie e del canto liturgico Canto che ci distacca dal mondo Studio del latino mezzo per favorire le vocazioni Non avremo vocazioni se non si coltiva il latino Ma tanti non riusciranno (Scr. 56,155).
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Vangelo e l’Imitazione di Cristo si studino in latino. Prima del pranzo e della cena, stando tutti in piedi, si leggano alcuni versicoli del santo Evangelo, non più di dieci, in latino sempre. Nelle più grandi solennità, si legga il passo evangelico, che si riferisce al mistero che si celebra nella solennità. Dopo la lettura del Vangelo, si legga sempre un articoletto delle Costituzioni, come già si fa. La lettura del Vangelo sia in questo ordine: San Matteo, S. Marco, S. Luca, S. Giovanni; e, quest’anno, si incominci da S. Matteo. Finiti i quattro Evangeli, si ricomincino, non si leggano né Epistole, né Atti degli Apostoli, né Apocalisse di San Giovanni, ma solo e sempre i Vangeli. In ogni Casa vi siano, almeno, due copie in latino della Sacra Bibbia, la Somma Filosofica e Teologica di San Tommaso, la Imitazione di Cristo, in latino, e Dante (Lett. II,281).
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Voi filosofi, nelle ore stabilite dal programma del Calendario potrete fare filosofia e parlare in latino, eccetto nelle domeniche e feste di precetto. Quest’anno a Roma, abbiamo avuto non troppo buoni risultati, perché non si parlava in latino; e così, se lo farete, vi abituerete; certo in principio, si diranno degli strafalcioni, ma poi ci si abitua (Par. V,202).
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Si faccia studiare molto bene la lingua madre, il latino; più si sa il latino e più si acquista la possibilità di gustare le opere dei Santi Padri della Chiesa e la Liturgia. Bisogna studiare e studiare molto, non si saprà mai abbastanza. Un uomo vale tanto, quante lingue sa; un sacerdote, un religioso che sa molte lingue può fare molto bene, specie nella confessione (Par. VI,250).
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Desidero che si studi il latino e cinque anni di ginnasio. Più si sa il latino più si gusta la Sacra Liturgia. Studiare le lingue e la storia sacra. L’uomo tanto vale quante lingue sa. Un religioso che parla molte lingue potrà fare molto bene. Studiare perché tutti studiano. Il sacerdote deve farsi un corredo di scienza per non farsi compatire (Par. VI,273).
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Il latino è la lingua della Chiesa, è la nostra lingua, è la lingua con cui eserciterete il sacro ministero sacerdotale. Io, in Argentina, ho sempre parlato in italiano... (si battono le mani). Battete pure le mani perché dovete parlare tutti in latino, bella lingua, lingua della nostra Madre, che è la Chiesa. Quando vi ho detto di parlare in latino non era solo un consiglio, ma un ordine; perché il latino è la lingua con la quale verrete consacrati Sacerdoti. Alla Moffa mi hanno letto un indirizzo in latino e mi hanno rivolto il saluto in latino e io ho detto loro: “Presto verrà il Visitatore Apostolico, ricevetelo così...; e quando andrà dal Papa, gli dirà: Quando Vostra Santità avrà bisogno di un Segretario per le lettere latine, potrà rivolgersi ai Figli della Divina provvidenza. Ritorniamo a noi; oggi è venerdì e questo di parlare in latino non è un consiglio, è un ordine. Chi sa parlare parli; chi non sa parlare impari a parlare (Par. VIII,196).
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Essendo sette i giorni della settimana e due impegnati da voi a parlare latino sarebbe bene che in un giorno parlaste francese (un senso di approvazione si fa sentire) Ho capito che voi avreste preferito di parlare per due giorni francese e per uno il latino... ma sarebbe un menomare l’importanza della lingua della Chiesa. Volevo mettere più giorni di latino, ma lascio due giorni per adesso. (Si alzano voci reclamando di parlare inglese e Don Orione): Quando ho proposto di parlare un giorno inglese vi siete rifiutati; ... è il vento che cambia... stultus ut luna mutatur. Quindi credo che sarà bene che parliate un giorno il francese, cominciando dal mese di aprile. Guardate che, quello che faccio qui, lo faccio anche nel Noviziato di Bra e anche a Montebello; devono parlare latino e francese... Mi hanno ricevuto alla Moffa con un latinorum! (Par. VIII,217).
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Da oggi in poi, il Pater, l’Ave ed il credo si reciteranno in latino: il latino serve a suscitare vocazioni. Una delle ferite che si fa alla Chiesa è l’attentato di far scomparire il latino dalle scuole per far diminuire le vocazioni, ma noi al contrario lo propagheremo con tutte le nostre forze e perciò queste orazioni si dicono sempre in latino (Riun. 4 settembre 1912).
Vedi anche: Scuola, Studio.
Laus perennis
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Veda però che, come già le ho detto, sento di non dovere concedere una cappella interna, per ora, perché desidero che prima ci sia la laus perennis nella Chiesa pubblica e che mi risulti la necessità di una cappella interna, che finora non vedo (Scr. 39,68).
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È rimasto un certo quantitativo di carta intestata che ho ritenuto di poter ancora usare, tanto per non sciupare roba. E in questo frattempo ho fatto pregare ed ho iniziato, fra quei nostri poveri, la «laus perennis», come al Cottolengo di Torino e come già si usa negli altri nostri Piccoli Cottolengo d’Italia e anche d’America. Fatta questa premessa, che sentivo tanto doverosa per quella devozione indicibile che mi tiene oggi e sempre in ginocchio e pronto a vedere e a benedire nella volontà di vostra Em.za rev.ma la volontà del Signore, le chiedo venia se mi permetto di esporre, serenamente, per un puro senso di verità, la situazione, così come mi pare in Domino, che si presenti (Scr. 59,208).
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Il 31 marzo u. s. veniva effettuato l’intero versamento e, nell’istante medesimo in cui si stipulava l’atto notarile, i cari poveri del Piccolo Cottolengo Milanese, in segno di riconoscenza a Dio, davano inizio alla Laus perennis, inno di preghiera che si innalza, nel giro dell’intera giornata dalle varie famiglie di ricoverati. Così si fa al Cottolengo di Torino, così in tutti i nostri Piccoli Cottolengo che la Divina Provvidenza è andata suscitando un po’ dappertutto, in Italia come all’Estero (Scr. 62,46).
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I nostri cari poveri hanno la laus perennis: essi perennemente pregheranno per Vostra Eminenza di degnarsi inaugurare il Piccolo Cottolengo Argentino che è sorto dalla Sua benedizione e come fiore di carità dal Congresso Eucaristico. Inostri cari poveri hanno la laus perennis essi perennemente pregheranno per Vostra Eminenza Rev.ma, perla S Chiesa e la proprietà della Repubblica Argentina (Scr. 67,296.II).
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Che cosa si fa al Piccolo Cottolengo? Si fanno comunioni. Si prega e si prega! Laus perinnis. Orate sine intermissione. La comunione quotidiana per molti, frequente per tutti sono i due grandi tesori del Piccolo Cottolengo Genovese (Scr. 83,188).
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Maggio il mese dei fiori, il mese di Maria, è trascorso, ma in questo giugno, Sacro al Cuore di Gesù, la “laus perennis” che come mistica corona è offerta ogni giorno dalle numerose “famiglie” del Piccolo Cottolengo Genovese, si eleva con nuovo slancio, con più ardore al Cielo e ripete insieme all’invocazione tanto cara al Beato Giuseppe Benedetto Cottolengo: “Santa Maria, Madre di Dio Facci Santi! (Scr. 93,281–282).
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Visitate il Piccolo Cottolengo O Milanesi, che avete il cuore più nobile che abbia mai conosciuto, veniteli a visitare questi cari poveri, sono nostri fratelli! Al Piccolo Cottolengo assisterete alla laus perennis per la concordia e prosperità delle vostre Famiglie: al Piccolo Cottolengo non passa giorno che non si preghi per le fortune della Patria. Una sezione poi è particolarmente consacrata a suffragare le anime dei defunti (Scr. 94,8).
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Utilizziamo spiritualmente tutte le sofferenze e le infermità umane, i rifiuti stessi della società e formiamone una schiera di anime oranti e di adoratori. Perché lasciar perdersi tante occasioni di preghiera, di lode, di espiazione e di merito? Con la laus perennis, con la preghiera continua utilizziamo e santifichiamo le sofferenze di quanti sono ricoverati al Piccolo Cottolengo (Scr. 97,252).
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Manderò la Sig.ra Perazzo con sua figlia (quella di Villa Diamante) e desidero che possano fare fotografie dei poveri, specialmente quando vanno in processione. III. Bisogna ora educarli ad andare in Chiesa in processione, cantando et in fila, così si abituano alla “laus perennis” come al Cottolengo di Torino: così pregheranno e non perderanno il tempo a fare niente, a mormorare e forse a parlare di cose mondane (Scr. 99,250).
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Il lillipuziano nostro foglietto giunga ai Benefattori e alle Zelatrici come il cantico della nostra riconoscenza come la voce dei nostri cuori e della laus perennis, delle preghiere cioè e delle benedizioni dei nostri poveri ai loro Benefattori e Benefattrici non solo ma a tutte (Scr. 100,201).
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Cari Benefattori e buone Benefattrici, dal cuore nobile e generoso, veniteli a visitare i poveri del Piccolo Cottolengo, dove è laus perennis per la pace e prosperità delle vostre Famiglie e della Patria, dove tutto è semplicità di vita e sorriso buono, sereno, riconoscente; dove tutti i sacrifici e tutte le parole si confondono e si combinano in una sola: Caritas! (Lett. II,228–229).
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I poveri, che sono i nostri padroni, quest’oggi sono alcuni qui a rappresentare le loro Case; altri mancano per impedimenti di salute e altre cause. Però, una cosa che vi farà piacere vi dico, ed è questa: che da ogni Casa oggi, domani e sempre si innalzano voci di preghiere e i poveri non si dimenticano mai dei loro Benefattori, nella Santa Messa, funzioni, visite, rosari, né giorno né notte, giacché abbiamo nelle Case di carità le così dette preghiere di “laus perennis”, che sono tutte invocazioni per i nostri Benefattori, vivi e defunti (Par. VI,94).
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La preghiera deve avere l’anima e l’anima della preghiera è la fede.; la fede che tutto ottiene e che trascina le montagne; la preghiera, che non si limita ad un’ora, ma deve essere la laus perennis, la preghiera che non mette limiti, che lascia a Dio la sua libertà, che non vuol vincolare le mani a Dio (Par. VII,58).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Adorazione Quotidiana Perpetua, Preghiera.
Lavoro
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Preghiera, lavoro e temperanza sono tre perle preziosissime che devono risplendere sulla fronte e nella vita di ogni Figlio della Divina Provvidenza. Preghiera, lavoro e temperanza: ecco ciò che farà fiorire davvero la nostra cara Congregazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire Unione con Dio – faticare per le Anime – mortificare il corpo con le sue passioni e mortificare la gola! Oratio – labor et temperantia: che vuol dire tutta la vita dei Figli della Divina Provvidenza! In queste tre virtù c’è tutta la nostra vita! Non c’è per noi altra vita: Non c’è altra via per farci santi. Non c’è altro modo né miglior modo per amare e servire Dio, per imitare Gesù Cristo: per servire davvero la Santa Chiesa e il Papa Non c’è altra né miglior via per imitare la Madonna, per esserle devoti sul serio – per amarla davvero! Non c’è altra via per servire e salvare le Anime! Non c’è altra via per essere veri e santi Religiosi (Scr. 4,261).
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Dio ha comandato all’uomo di lavorare: Gesù Cristo e tutti i Santi hanno lavorato, e San Paolo dice che chi non lavora non deve mangiare, a meno che sia malato, o in età da non potere lavorare Noi, o cari miei figli, dobbiamo essere grandi lavoratori: i lavoratori dell’umiltà, della fede, della carità! Grandi lavoratori delle anime: grandi lavoratori della Chiesa di Gesù Cristo per la gloria di Gesù Cristo, nostro Dio e Salvatore! Ma che dico lavoratori? È poco, troppo poco! Dobbiamo essere i facchini di Dio! Chi non vuole essere e non è facchino della Provvidenza di Dio, è un disertore della nostra bandiera Cari miei figliuoli, fuggite l’ozio e lavorate! Lavorate con umiltà; con zelo, con ardore di carità Don Bosco morì raccomandando il lavoro. E Giobbe diceva: «l’uccello è nato per volare l’uomo per lavorare». Non amate il dormire e non sacrificate la meditazione al letto della vostra pigrizia: guardatevi dal cubiculum otiositatis. Quando in una Casa s’incomincia ad introdurre l’ozio, o la poca voglia di lavorare, o non si è così operosi e alacri come si dovrebbe, quella Casa è bell’e rovinata Se, al contrario, lavoreremo molto e lavoreremo e travaglieremo per mettere a frutto i talenti, e sotto lo sguardo di Dio, e per compiere la volontà del Signore e l’esempio del Signore, il lavoro sarà degno di noi e di Dio: il lavoro sarà il grande rimedio contro la concupiscenza, e un’arma potente contro tutte le insidie del diavolo e le tentazioni del mondo e della carne (Scr. 4,263).
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Bisogna darsi attorno di più, e mi parrebbe quasi di sentirmi venire vergogna, se dovessi ancora mandare un altro alla colonia con tanta gente che siete. Bisogna svegliarsi di più, darsi attorno e lavorare, lavorare, lavorare con più alacrità nella carità: i santi, dice il Manzoni, non davano pace a sé e non lasciavano in pace gli altri che erano attorno a sé: la carità è attiva e vigile, è industriosa ed è anche dolce. Coraggio, adunque! (Scr. 20,26).
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Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti in Domino! «La Vergine celeste» come usava chiamarla il Ven.le Don Bosco, vi dica, o cari figli, tutto il mio affetto in Gesù Cristo per voi, e la Madonna vi sostenga nel vostro lavoro. Lavoro! lavoro! lavoro! Noi siamo i figli della fede e del lavoro, e dobbiamo anelare ad essere gli apostoli del lavoro per la fede Noi dobbiamo correre sempre per lavorare e lavorare di più. A Reggio Calabria ci chiamano «i preti che corrono» Aver cura della salute, ma lavorare sempre con zelo e con ardore per la causa della chiesa e delle anime. Guardare al cielo, pregare, e poi...e poi avanti con coraggio, a lavorare! (Scr. 20,97c).
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Ah, nel parlarvi dell’amore che dobbiamo portare nell’educare per la Santa Chiesa e per la società i figli che il Signore ci manda mi sento una consolazione sì grande che, benché stanco per aver perduta la notte, non lascerei più di parlarvi. Lavorate, o figliuoli, lavorate guardando il Signore nei bambini che avrete davanti: lavorate e lavorate! La divina misericordia vi concederà il centuplo di quanto voi farete per amore del Signore! E anche il vostro povero prete nelle comuni e nelle private preghiere si ricorderà sempre e in modo particolare di voi – o cari figlioli lontani, ma pur sempre vivi allo spirito di questa Casa che vi ha mandati (Scr. 25,6).
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Oh come si sta bene qui, dove si lavora e si prega, e si è tutti un cuor solo, da buoni fratelli! Il nostro programma, per fare veramente del bene, è il motto di San Benedetto: laus et labor: preghiera e lavoro. E ciascuno di noi deve essere apostolo di carità nella carità e nel lavoro! Mi dà molta soddisfazione sentire che lavori, che lavori a fare del bene: fa del bene a tutti, fa del bene sempre! (Scr. 29,143).
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Con la carità di Gesù Cristo, avrai tutto, potrai tutto. E siccome la carità, la prova voglio dire della carità sono le opere, tu amalo il Signore lavorando per lui. Lavora sopportando, lavora correggendo, lavora insegnando: lavora, lavora sempre: anche le azioni più piccole quanto diventano grandi quando si fa tutto per Dio! Coraggio, mio Goggi, per animarti per confortarti, io non ti saprei dir altro che di amare e di amare il Signore! Tu non sai le grazie che tiene serbate per te, i disegni della sua benefica Provvidenza su di te, i trionfi che vuole mettere nelle tue mani! Goggi, coraggio! procura d’infiammarti e di infiammare anche tutti quelli che ti avvicinano della carità grande di Gesù Cristo (Scr. 30,7).
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Voi, o miei figli e fratelli in Gesù Cristo, dovete vivere ritirati dal mondo, occupati solo e tutti in Dio, nella preghiera e nel lavoro manuale e nella penitenza, facendo del lavoro un mezzo di santificazione e di penitenza secondo il vero spirito di Gesù Cristo e della Santa Chiesa di Gesù Cristo, madre nostra (Scr. 30,153).
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Il lavoro è una delle leggi costitutive date da Dio alla umanità: esso serve a domare le passioni, a disciplinare lo spirito e a santificare la vita, in obbedienza a Dio e sull’esempio di n. Signore Gesù Cristo che, essendo Dio, si è fatto umile artigiano e ad esempio di tutti i santi, i quali furono tutti grandi lavoratori, i grandi facchini di Dio e delle anime. La grande e santa Regola di San Benedetto si compendia in due parole: laus et labor, che vuol dire: preghiera e lavoro! E questa sia la vostra vita, o cari eremiti della Divina Provvidenza. Vita fondata sulla fede, sulla umiltà, sulla preghiera, sulla operosità, sulla obbedienza, sulla povertà, sul candore e illibatezza della vostra condotta, sulla mortificazione e temperanza, sulla più delicata modestia (Scr. 30,235).
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Date buone nozioni sul buon uso del tempo, sulla fuga dell’ozio, sul lavoro, come legge e dovere impostoci da Dio: preghiera e lavoro! diceva Don Bosco; Gesù ha lavorato, tutti dobbiamo, o in un modo o nell’altro, lavorare: nella natura non c’è ozio. Molto gioverà se vedranno voi a non perder tempo: se vedranno che possedete bene e perfettamente le materie d’insegnamento: se vi vedranno studiare e prepararvi sul serio. Allora i giovani avranno subito di voi altri, cioè dei loro insegnanti, grande stima, e, per conseguenza, grande stimolo a studiare e a fare bene (Scr. 51,37).
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Trasformate in voi ed in essi il lavoro in virtù, come dev’essere e realmente è: quando il lavoro è santificato, il lavoro diventa preghiera: oportet et semper orare, cioè anche lavorando, e il lavoro allora santifica veramente la vita. E poi pregate ancora Dio che avvalori le vostre povere fatiche, le vostre sollecitudini. E poi ancora, ah! questo non bisognava, no, dimenticarlo: e poi una tenerissima e filiale devozione alla Madonna SS.ma e alla Santa Chiesa di Roma. E qui finisco: sono stanco (Scr. 51,38).
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Intanto pregare e lavorare bisogna, e pregare e lavorare in Domino: senza differire e senza interruzione: con alacrità e insieme con pace di spirito, e da tutti che vogliono aiutarci: che vogliono salvare anime: e da ciascuno, secondo la grazia di Dio e le sue forze.
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Anime e anime! ecco il nostro sospiro e il nostro grido: Anime e anime! E lavorare con umiltà, con semplicità e fede, e poi avanti in Domino, senza turbarci mai: avanti con fiducia che poi Dio fa tutto: Egli, che solo conosce le ore e i momenti delle sue opere, e ha tutti e tutto nelle sue mani! Avanti con fede vivissima, con confidenza intera e filiale nel Signore e nella sua chiesa, poiché è ben povero quell’uomo o quella umana istituzione che si crede di fare! È il Signore che fa, e nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam! (Scr. 52,20f).
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Lavoriamo la nostra perfezione, e lavoriamo, fatichiamo, da facchini di Dio, sino alla consumazione di noi, come apostoli e da apostoli, Deo adiuvante. Aneliamo, bramiamo di patire per la nostra santificazione e la salvezza delle anime, a gloria di Dio, tutto e solo a gloria di Dio, e a conforto del Santo Padre e dei Vescovi (Scr. 52,56).
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È dalla fede che il lavoro nostro ha luce e vita, e noi del lavoro non faremmo che un cadavere, quando intorno gli spegnessimo la fede. Manteniamo nel lavoro il Dio del lavoro, ed eleveremo il lavoro ad alto bene morale, e la fatica ad opera vorace di redenzione e di vita (Scr. 55,237).
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Lavoro e temperanza! ecco, diceva D. Bosco, l’eredità che io lascio ai miei figli, e che allo stesso tempo deve condurli alla gloria. E nel 1877, scriveva a D. Fagnano, direttore del Collegio di San Nicolas: «Ricorda sempre ai Salesiani il programma da noi adottato: labor et temperantia! Due armi con cui vinceremo tutti e tutto». E a Mons. Costamagna disse più volte: «Vorrei che queste due parole campeggiassero nello scudo salesiano». E altra volta: «La Congregazione durerà finché i soci ameranno il lavoro e la temperanza. Se una di queste due colonne venisse a mancare, il nostro edificio crollerebbe inesorabilmente». E altrove: «nell’accettazione dei novizi escludete i pigri ed i golosi». Egli anche con il lavoro insegnò ad amare la Patria perché nessuno rende più grande servizio al proprio paese dell’uomo che lavora e si sacrifica a pro della gioventù povera ed educa le nuove generazioni ad onesto vivere cristiano e civile e a guadagnarsi onorevolmente la vita. Quanti giovani ha salvato! Quante scuole ha aperte, quante officine ha fondato! Questo è amare di vero amore la patria! Egli molto ha lavorato e molto ha amato il suo paese. Egli predicò sempre con la parola e con l’ossequio che l’onestà non è una faccenda prettamente negativa. Prima sorgente della salute e della forza: il lavoro (Scr. 55,240).
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Nella natura non vi è ozio. Figliuol mio, lavora: nel lavoro sta la base della moralità: il lavoro, dopo la fede, è la prima benedizione della vita – il lavoro è sinonimo di vita – il lavoro è salute. Quando mia madre non ha più lavorato è morta. Il lavoro è il padre di tutte le virtù, come l’ozio di tutti i vizi – l’uomo che lavora vive in alte regioni la soddisfazione morale – I grandi lavoratori campano molto. Bighellonare perdono tempo. Lavoro! Spirito di lavoro – Da D. Bosco – fu chiamato l’Apostolo del lavoro – la sua operosità è diventata proverbiale – opuscoli c. protestanti – di pietà – letture amene storia civile ecclesiastica – sistema metrico – musica – per inculcare le virtù – monografie – visita alle Carceri di Torino – prediche – alla Generala – missioni – corrispondenza epistolare – Lingue francese e spagnola – assistere infermi – udienze a centinaia di persone – curare i Chierici, i collegi, la Chiesa. La rivoluzione distrugge le Congregazioni disperde le Suore [strappo] sulle ruine egli riedifica – Che sarebbe l’Italia oggi senza i Salesiani, senza le Salesiane e il mondo civile? E D. Bosco al Confessionale? Il Curato d’Ars maggior numero di adulti. D. Bosco maggior numero di giovani – per 30 – 40 anni senza mai un giorno di vacanza – 6 – 10 – fin 16 ore di Confessionale senza prendere fiato – il suo Segretario sfinito – i due Medici Bruno e Albertotti – vestito logoro non tien più un punto. Voi di qui scrivevate che avevate tanto lavoro – oh Dio lo sa come e quante volte avrei voluto venirvi in aiuto! Ma anche noi. Il Vescovo mi condusse – ed erano almeno 20 anni! E le passeggiate del Brasile – ieri fu il primo sollievo dopo non so quanti anni – Abbiatevi cura della salute – lavorate solo quanto le forze comportano, ma fuggite l’ozio, lavorate! lavorate!... Se in una Comunità s’incomincia ad introdurre l’ozio, è bell’e finita! Se al contrario lavoreremo molto, il lavoro grande remedium concupiscentiae et arma potens contra omnes insidias diaboli (Scr. 55,242–243).
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Io, con il divino aiuto, nulla di più sospiro che di essere un facchino di Dio e del prossimo: Voi altre, o povere figliole, per essere vere Missionarie della carità dovete essere vere facchine di n. Signore, della chiesa e delle anime. Non vi vergognate di fare lavori da facchini: basta amare Gesù e le anime. Io non voglio né tollero le suore comode né quelle che amano una pietà, ma comoda. La nostra è altra vita in Gesù Cristo, che ci arde in cuore e ci affoca. Mi fece molto male vedervi in 7 con sole 6 bambine, e che non arrivaste a capire che almeno non dovevate mai tollerare che venissero altre donne a trasportarvi da una stanza all’altra le panchette dell’asilo. Io venivo da Cassano al Jonio, dove è Direttore don Curetti, un sacerdote di 3l anno, pienamente cieco. Vi sono 27 probanti, e si fanno tutto: studiano, pregano, si fanno cucina, mezz’ora al giorno si cuciscono abiti e biancheria: i fazzoletti, le calze e altra roba piccola se la lavano loro, le scarpe le suolano e aggiustano da loro: lavorano la terra, hanno 120 galline 25 tacchini, 7 capre, un asino per fare le provviste a Cassano, distante circa un’ora; hanno un suino, i colombi, a tutto pensano loro. Vanno a prendere l’acqua con i barili distante più che la vostra acqua: fanno cucina e pulizia in Casa, dove non c’è servi né donne: fanno il pane e lo fanno cuocere, portano il grano al mulino, ed è una Casa in fiore per spirito e per vita religiosa. C’è l’amore di Dio che fa i miracoli: 13 di quegli orfani sono gratuiti, e ora ci mando uno di Prunella e due di Pentidattilo, gratuiti anch’essi. Dio benedice quella Casa, dove si prega, si studia e si lavora: vi è la vita del Signore e grande letizia! Io non voglio il buddismo: non voglio colli torti: voglio la santa povertà: la santa virtù nel sacrificio: la santa letizia nella umiltà; la santa letizia nella obbedienza: la santa attività nella carità; come mai potrei tacere davanti a 7 suore con 6 bambine, e che nulla altro fanno? Dio mio! come si può conciliare questa vita che è morte, con la vita di Missionarie della carità che è tutta attività lavoro sacrificio per l’amore di Gesù Cristo crocifisso e delle anime? (Scr. 59,249–250).
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Bisogna incominciare vita nuova anche qui, anzi bisogna incominciare di qui: lavorare cercando Dio solo! Lavorare sotto lo sguardo di Dio, di Dio solo! ho si che c’è in queste parole tutta una regola nuova di vita, c’è tutto ciò che basta per l’Opera della Divina Provvidenza: Lo sguardo di Dio! Lo sguardo di Dio è come una rugiada che fortifica, è come un raggio luminoso che feconda e dilata: lavoriamo dunque senza chiasso e senza tregua, lavoriamo allo sguardo di Dio, di Dio solo! (Scr. 61,27).
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Lavoriamo! Lavoriamo! Dal giorno che Dio ha detto all’uomo: «nel sudore della tua fronte ti guadagnerai il pane», il lavoro diventò grande legge costitutiva del genere umano. Gli uomini di ogni paese e di ogni tempo non poterono sottrarsi a questo dovere, tutti sentirono questo comando, questa legge. Nei grandi negozi, per le vie e le piazze delle città, dei villaggi: nei campi, sui monti e pur nelle valli sperdute dimenticate, su la fronte di tutti gli uomini si legge: nel sudore ti guadagnerai il pane. Le macchine, le officine, le linee ferrate, i transatlantici, le auto, che corrono per ogni verso la terra: gli aeroplani, il telegrafo senza fili, la radio tutte le attività umane, immensurabili gridano: lavoro! lavoro! I monumenti di ogni età, le pergamene, i libri, le biblioteche, le tele, i marmi dei musei, le cattedre, i banchi delle scuole, i giornali, tutto grida: lavoro! lavoro! La grande legge si compie oggi come nel primo giorno dalla umanità: tutti siam chiamati al lavoro. L’operosità è richiesta per il progresso materiale e per il progresso morale, per i beni di quaggiù e per i beni eterni. Gesù Cristo, che prima cominciò a fare e poi ad insegnare, ce ne diede esempio fulgidissimo. Dio e Redentore nostro, lavorò in un’officina per tanti anni, santificò il lavoro. Poi, nella sua vita evangelica, passava le notti in orazione ed i giorni interi predicando, curando gli infermi, convertendo i peccatori, facendo del bene a tutti: non riposò neppur in croce! Gli Apostoli furono grandi lavoratori: uomini di fede grande, di carità grande, di zelo, di laboriosità, di sacrificio sino a dare la vita: di notte lavoravano, di giorno predicavano. Si divisero il mondo, si lanciarono sul campo delle fatiche apostoliche, percorsero operosi e instancabili provincie e nazioni per evangelizzare la terra, per diffondere il regno di Cristo (Scr. 62,91).
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A misura del lavoro vengono i frutti: Dio non manca mai a chi fa quanto può, nel Nome suo, per amor suo. Dio dice: avrai il sole della mia luce, la pioggia della mia grazia, il miracolo della messe copiosa, ma dopo che avrai lavorato. Interrogate i Missionari: i popoli si convertono, ma i Missionari versano fiumi di sudori e pur di sangue. Quando ricordiamo le splendide glorie degli Ordini religiosi, di quelle immense famiglie di Santi, di quei celebri monasteri e badie che furono templi sacri alla virtù e al sapere, baluardi di fede, santuari venerandi delle lettere e delle scienze, monumenti di coltura, di civiltà, di virtù, non dobbiamo dimenticare l’operosità dei loro Fondatori, i sudori i sacrifici indicibili degli infaticati loro figli, che ne perpetuarono gli esempi, attraverso i secoli, per diffondere la luce di Dio e mille e mille benefiche istituzioni per tutto il mondo. Tommaso d’Aquino muore a quaranta nove anni, e lega alla scienza XVII volumi in foglio che faranno stupire i più alti intelletti. Francesco Saverio, predicando e battezzando, gira tanta parte del mondo quanta né Alessandro né Cesare, uniti insieme, ne corsero. Un frate Papa diceva: Morire in piedi! Era Sisto V. Il grande Benedetto da Norcia, Patriarca dei monaci d’Occidente, volle morire in piedi. Amici e lettori, guardiamo in alto, e poi lavoreremo di più, lavoreremo sempre meglio e sempre più, pro aris et focis: per la Chiesa e per la Patria (Scr. 62,92).
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Se mai fossimo stati sonnolenti, risvegliamoci, e Cristo c’inonderà di luce! Rivestiamoci della completa armatura di Dio, onde possiamo coraggiosamente resistere al male e operare il bene: fortifichiamoci nel Signore e nella sua forza onnipotente. E avanti nella santa fatica! Grazie a Dio, sentiamo d’essere ai piedi della Chiesa, e su la diritta via: procediamo nel cammino: lavoro! lavoro! Azione, o Amici, azione cattolica, si e, come la vuole il Papa, come la vogliono i Vescovi: amore a Dio, alla Chiesa, zelo, preghiera, alacrità nel fare il bene, a santificazione nostra e a salvezza dei fratelli. Sono nuovi tempi? Via i timori, e non esitiamo: moviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana, intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei Vescovi, con fede ferma, ma con criteri e spirito largo. Niente spirito triste, niente spirito chiuso: sempre a cuore aperto, in spirito di umiltà, di bontà, di letizia. Preghiamo, studiamo e camminiamo. Non fossilizziamoci. I popoli camminano: guardando a Dio e alla Chiesa, camminiamo anche noi, non facciamoci rimorchiare. Tutte le buone iniziative siano in veste moderna, basta riuscire a seminare, basta poter arare Gesù Cristo nella società, e fecondarla di Cristo. Nelle mani e ai piedi della Chiesa, noi vogliamo, noi dobbiamo essere un lievito, una pacifica forza di cristiano rinnovamento: fidati in Dio, noi vogliamo tutto restaurare in Cristo. Lavoro! Lavoro! Ecco l’insegnamento della storia, l’esempio dei Santi, il comando del Vicario di Cristo, la legge che ci fu data da Dio. Saldi nella fede e di un solo spirito nell’incorrotta dottrina della Chiesa, fiorisca in noi la verità nella dolce e operosissima carità, incessantemente! Mettiamo ogni nostra attività a servizio della Religione e della Patria: guardiamo solo e sempre all’onore di Dio, al bene della Chiesa, alla salute del prossimo. Nella Canonizzazione del Beato Cottolengo e del Beato Don Bosco, ricordiamo che, come tutti i Santi, anche questi grandissimi due lavorarono così che non ebbero né dì né notte, furono infaticabili facchini di Dio, della Chiesa e delle anime, e per Dio, per la Chiesa, per le anime si sfinirono sino alla consumazione, all’olocausto di sé. E fu proprio Don Bosco che, ancor prima di morire, nelle ultime ore della vita ripeté più volte: figliuoli, lavoriamo! lavoriamo! Le divine Scritture ci dicono che i giorni dei Santi sono dies pleni, giorni pieni di attività nel far opere buone. Amici, anche noi, così, anche noi così! Non eravamo forse noi che, ai tempi di Don Bosco, a Torino, in quelle allegre, indimenticabili passeggiate oltre Po, su le belle colline di San Vito e di Santa Margherita, non eravamo forse noi che cantavamo: di Don Bosco la santa bandiera ci ripete: Lavoro e preghiera? In umiltà e fervore, portiamo da per tutto l’impronta vivida e luminosa della nostra fede e della dottrina di Cristo: laboremus! laboremus! Avanti con Dio e con la Santa Madonna! e ogni giorno come il primo giorno: coraggio, sempre avanti nelle benefiche imprese! Con vigoria sempre nuova, con fede sempre più viva, più ardente, più grande, operiamo indefessamente, o fratelli, a dilatare il regno e la carità di Gesù Cristo e a salvar anime (Scr. 62,92b).
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Offrirete tutte voi stesse per la vita e per la morte alla Santa Chiesa di Roma. E lavorerete in tutto quello che potrete santificando il lavoro e santificandovi nel lavoro, perché il lavoro è sorgente di virtù, e l’operosità è fattore importantissimo di fervore e di santità nelle case religiose. Eviterete la comodità che producano il rilassamento dello spirito religioso e farete penitenza e cercherete di umiliare e rinnegare voi stesse e di diventare gli stracci della casa e di tutte le altre vostre consorelle (Scr. 65,222).
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Lavoriamo! Dobbiamo lavorare nella legge come abbiamo lavorato sin qui, lavorare alla luce del giorno, lavorare con calma, con serenità, con fede. Se noi cessassimo dal lavoro, ci mostreremmo indegni della causa di Gesù Cristo. Preghiamo! Noi soli possiamo ripetere: con il poeta: “Dall’alto scende virtù che n’aiuta”. Preghiamo! Della preghiera ridono i socialisti, ridono i liberali, ridono i nostri calunniatori: ma noi la troviamo cara. Pregheremo per noi, per la Chiesa, per la Società per la Patria, per il Re, per i suoi Ministri, pregheremo anche per i nostri persecutori ut possint in viam redire justitiae. Lavoriamo, preghiamo, soffriamo: “facere et pati fortis catholicum est”! (Scr. 78,80).
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Lavoro vuol dire: appetito, alacrità, vivacità, e cuor contento, sonni tranquilli, mente serena, pace dell’animo. E Don Cerrutti che fu di esile corpo e di salute delicatissima, visse fino a tarda età, vedendosi passare innanzi molti più robusti di lui, perché seguì i precetti del Maestro, onde poteva ripetere a più ragione le parole di un francese mala fama famosus: noi siamo canne che han visto cadere molte querce. Don Bosco volle che sulle pareti della sala di studio, delle scuole, delle officine dei suoi giovani fossero scritte queste parole: l’Ozio è il padre dei vizi. Un momento di tempo vale un tesoro. O figlio, conserva il tempo! Chi lavora come Dio ci ha insegnato, si riempie l’anima di felicità. Chi lavora è un uomo che va in alto, chi ozia è un uomo che discende e va al vizio: la virtù, il benessere, la pace, la gioia son tutte cose che vivono molto in alto: nella vita cristiana e nel lavoro: senza fede e senza lavoro non c’è moralità. Egli aveva presto compreso che il lavoro accresce in ogni senso il valore di un individuo e, nello stesso tempo, innalza la sua dignità. Egli fu un uomo laborioso, e quindi fu, anche sotto questo riguardo, un vero valore alla nostra nazione (Scr. 79,301).
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La Madonna SS.ma vi protegga nel vostro lavoro. Lavoro, lavoro, lavoro! Noi siamo i figli della fede e del lavoro. E dobbiamo amare ed essere gli apostoli del lavoro e della fede. Noi dobbiamo correre sempre per lavorare e lavorare sempre di più. A Reggio Calabria ci chiamano “i preti che corrono”. Avere cura della salute, ma lavorare sempre, con zelo, con ardore per la causa di Dio, della Chiesa, delle anime. Guardare al cielo, pregare, e poi... avanti con coraggio e lavorare! Ave Maria e avanti, diceva a Bartolo Longo quel santo e serafico frate che fu Padre Lodovico da Casoria. Sempre avanti figliuoli miei in Domino, ma sempre avanti! Avanti con la Madonna. Ave Maria e avanti. Avanti in Domino (Scr. 82,73).
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Intanto pregare e lavorare bisogna, e pregare e lavorare in Domino: senza differire e senza interruzione: con alacrità e insieme con pace di spirito, e da tutti che vogliono aiutarci: che vogliono salvare anime: e da ciascuno, secondo la grazia di Dio e le sue forze. Anime e Anime! ecco il nostro sospiro e il nostro grido: Anime e Anime! E lavorare con umiltà, con semplicità e fede, e poi avanti in Domino, senza turbarci mai (Scr. 82,90).
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Date buone nozioni sull’uso del tempo, sulla fuga dell’ozio, sul lavoro come legge e come dovere impostoci da Dio. Preghiera e lavoro! diceva Don Bosco. Gesù ha lavorato, tutti dobbiamo, o in un modo o nell’altro lavorare: nella natura non c’è ozio (Scr. 82,158).
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L’anno scorso io, nella visita a codesto Convitto, riportai la impressione che fosse la vostra vita una vita un po’ comoduccia, e non di quel lavoro intenso e fattivo per Gesù e per le anime che è lo spirito della nostra Congregazione. Lavoro e preghiera ci vogliono, preghiera e sacrificio ci vogliono, sacrificio e azione ci vogliono, altrimenti morirete, e il Convitto morirà. Questa lettera è da leggersi intera a tutti tre riuniti anche nella parte che si riferisce al Curia. Chi ama Gesù e le anime deve vedere il bene da farsi: i bisogni dei giovanetti, e non deve farselo sempre dire, ciò che ha da fare. Non mi crescete signorini per carità: non sareste più i miei figliuoli! Tutti lavorate: sacrificatevi più che potete per il buon andamento del Convitto: non ci devono parere gravi i sacrifici che facciamo per il Signore. Devono i Chierici essere felici di essere stati subito posti a lavorare: è un atto di fiducia del Superiore, e un maggior merito che si preparano per il Sacerdozio (Scr. 91,15).
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Preghiamo e lavoriamo: sì, lavoriamo anche e lavoriamo tanto, ma stiamo però attenti di tenere bene i piedi fermi nel Signore e la nostra testa e il nostro cuore tra le braccia misericordiosissime della Madonna. E preghiamo soprattutto perché la preghiera è il vincolo della carità e il segreto delle nostre vittorie (Scr. 94,317).
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Il lavoro è tra le leggi costitutive date da Dio alla umanità, il dì che disse all’uomo: “nel sudore della tua fronte ti guadagnerai il pane”. E Voi, o Gesù, che prima cominciaste a fare e poi ad insegnare, avete voluto essere Operaio, il divino Operaio. E nel silenzio della preghiera, nel lavoro avete affrettato il giorno, o Signore, nel quale avreste annunziata al mondo la buona Novella, l’Evangelo della salute (Scr. 95,183).
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Coraggio. Voi altre, del resto, abbiate fede, ché il Signore verrà. Quanto al dire che siete stanche per il grande lavoro vedete (se vi è possibile) di non dirlo più, perché la parola stanca (per lavoro) nel vocabolario dei santi non c’è. E poi confortiamoci, ché presto presto si va in Paradiso, e la potremo ristorare un po’ le povere nostre ossa (Scr. 101,170).
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Lavoriamo instancabili intanto che c’è vita, appoggiamo tutte le buone istituzioni: per quanto ci è dato, troviamoci da per tutto non siamo degli assenti, mai! Chi può misurare l’attività sviluppata nel mondo del male, dai figli delle tenebre? È tempo di lavoro, è tempo di darci ad ogni santa attività per impedire il male e rendere più ampie e feconde le zone del male; ci sono tanti dolori da lenire e noi ce ne staremo neghittosi in una imperdonabile inazione? resteremo freddi e indifferenti davanti ai fratelli che soffrono? Un giorno il santo solitario e gran servo di Dio, l’anacoreta Afraate, rimproverato dall’Imperatore Valente perché, abbandonata la solitudine, fosse corso alla città, rispondeva: È tempo di sostenere chi vacilla, è tempo di lotta e di pericolo, o imperatore: il fuoco dell’eresia minaccia la Chiesa, e vuoi che io non corra a porgere l’opera mia per spegnerlo? Cari miei, anche oggi nel vasto campo della carità è necessaria l’azione di tutti: dobbiamo lavorare, dobbiamo zelare la gloria di Dio, la salvezza delle anime e il bene dell’Italia (Scr. 104,266).
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Sono nato tra il lavoro, e passo la vita lavorando, e mi è assai caro appartenere a un Circolo di giovani lavoratori, e di lavoratori cristiani, e di ex Allievi nostri. Non potevate farmi cosa più gradita. Cari giovani, siate sempre laboriosi, siate sempre uniti, siate sempre cristiani. La religione vi darà consolazione, conforto e guida: il lavoro vi darà un onesto vivere e indipendenza bene intesa, e l’unione formerà la vostra forza (Scr. 110,135).
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Qui, grazie al Signore, si lavora, si prega e si lavora come veri facchini della Divina Provvidenza, e Dio ci assiste e, direi, ci benedice, visibilmente. Non per vana compiacenza, ma per loro edificazione e consolazione, e perché mi aiutino a darne gloria e ringraziamento all’Altissimo, datore di ogni bene, ho il conforto di poter scrivere che grande è il numero dei poveri, grande è il numero degli orfani ai quali si dà pane e tetto e fede, e molte anime si conducono a Dio e alla Chiesa. Un solo oratorio festivo ha un 2000 fanciulli, e alla sera delle feste quei sacerdoti e chierici che li attendono sono senza voce e stracchi morti: Deo gratias! (Scr. 116,182).
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Ricordatevi che, oltre la pietà, si richiede grande attività; fate vostro il motto di San Benedetto “Ora et labora”. Così pure l’aveva fatto suo Don Bosco: si dice infatti, in un inno cantato dai Salesiani, di Don Bosco la Santa Bandiera ci ripete: “lavoro e preghiera”. In quella Casa c’è bisogno sì, di persone che preghino, ma che lavorino pure molto; c’è molto da lavorare. Ci sono molti stracci da lavare, da cucire; c’è da tener puliti i vecchi e pulita la casa, molto più di quello che lo sia ora... Pensate che l’ultima volta che fui là ho dovuto far spazzare la Chiesa! Figuratevi in che stato sarà stato il resto! Anche qui, nella Vostra Casa, dovete tener sempre più in ordine..., specialmente per il passato era necessaria più nettezza e pulizia. Specialmente dove ci sono vecchi e bambini, la pulizia è doppiamente necessaria. Vedete che vi parlo molto francamente, perché un giorno Dio non m’abbia a rimproverare di non aver parlato chiaro. Non voglio farvene un rimprovero, ma voi che partite, non avete fama di essere troppo svelte; dovete dunque, per amore del Signore, darvi attorno, lavorare e convertire tutta la vostra energia in carità verso dei poveri vecchi. Grande amore, grande pazienza, grande coraggio! (Par. I,94).
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Si può pensare una Missionaria della carità che non sia laboriosa? Oggi vi parlo del lavoro. C’è in voi spirito di lavoro? Sì, ce n’è, tutti lo dicono; ma io, non sono contento: ci sono di quelle che sono le facchine del lavoro, ma altre non se la prendono tanto a cuore. Per andare in Paradiso bisogna faticare, bisogna lavorare, bisogna sudare. Le avanguardie degli eserciti sono le guardie votate alla morte. Voialtre siete le avanguardie della Congregazione e quindi anche voialtre dovete votarvi al sacrificio, al lavoro. Mi è caro che vi curiate molto la salute, ma che siate salutiste, no, non eccediamo nei troppi riguardi. Io avevo un amico carissimo, un frate mio amico, ora morto, e che è già andato in Paradiso. Quando era ammalato sono andato a trovarlo; gli chiesi come stava, e lui mi disse che non stava tanto bene: figuratevi, era tisico, lo avevano visitato tanti dottori; non c’era più speranza. E mi disse: Vorrei andare a San Maurizio. San Maurizio è un posto di cura molto costoso. Auce mio amico, era frate, e aveva fatto voto di povertà; forse era la malattia che gli faceva dir così... ma, pensate, voleva andare in Svizzera e non pensava che il convento non avrebbe potuto sopportare tanta spesa. Io non parlo di voi; ma alle volte, sapete, ci sono di quelle che si fan tirare per fare qualche cosa..., e se mai questo potesse valer per qualcuna di voialtre, fatene buon conto... Il venerabile Don Bosco diceva: due perle devono risplendere sulla vostra fronte: Lavoro e temperanza. Don Bosco si potrebbe chiamare il Santo del lavoro... Nella Chiesa ci sono i santi per i vari casi: per i casi impossibili, c’è Santa Rita e Sant’Espedito, che è il Santo dei casi disperati; e cosi in altri casi si invocano altri santi. Vi dico che il venerabile Don Bosco arriva a confessare anche sedici ore di fila senza prendere fiato; ve l’ho già detto ieri che, a furia di camminare, le gambe gli si sfacevano tanto che portava calze di donna... Gesù Cristo ha lavorato 30 anni. Dio ha fatto del lavoro la legge costitutiva del genere umano, tutti dobbiamo guadagnare il pane; guai quel giorno che dovessimo dire a noi stessi: questo pane non me lo sono guadagnato! Tutti dobbiamo guadagnare il pane, se si sta bene. Ci sarà quella che fa la maestra alle novizie e lavorerà tanto nello spirito religioso. Chi attenderà alla cucina, chi avrà cura dei bambini e farà per essi da madre. Uno dei mezzi che terrà in piedi la vostra Congregazione sarà il lavoro (Par. II,78–79).
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Raccomando molto il lavoro; quando siete ammalate no, ma quelle sane non se lo facciano dire; lavorate, e non crediate di far tanto; pensate che ci son delle madri nel mondo che lavorano, lavorano e noi faremo le schifiltose, quando dovremo lavorare? Guardate che nel mondo dicono che noi preti siamo sfruttatori e le suore lavorano poco. Bisogna lavorare, non per farsi vedere, e poter dire: ha fatto questo e quest’altro... perché quelle che fanno così, finiscono che perdono il merito davanti a Dio... Bisogna lavorare tanto per il Signore... Non dite mai: la superiora mi ha comandato tanto no, lavorate, lavorate... lavorate! Io ho conosciuto un amico di Don Bosco, il Servo di Dio Andrea Beltrami sepolto ad Omegna, morto tisico: quanto ha lavorato! Ha scritto tanti libretti, scritti molto bene, con brio, con bello stile e scritti sul letto del dolore. Il venerabile Don Bosco quando venne a morire, lasciò a noi i suoi ricordi: Siate devoti della Madonna, siate laboriosi. Amate il Papa. Bisogna saper regolare la giornata in modo che ci sia il tempo per le pratiche di pietà e per il lavoro. Mi è caro ricordare un santo nostro prete, Don Zanocchi. Ebbene, Don Zanocchi a vederlo pareva l’uomo più placido di questo mondo, ma era una ruota che camminava sempre. Quanto bene ha fatto, quanto vuoto la lasciato qui... In America è un lavoratore instancabile! Così dev’essere il nostro lavoro (Par. II,82).
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Fuori, per grazia di Dio, hanno idea che voi lavoriate: il più grande critico sono io, ho paura che pensino troppo bene di voi. Anche noi della Provvidenza abbiamo il nome di lavoratori. A Venezia stampano un giornalino umoristico chiamato: “Toni Buonagrazia” e un giorno c’era su scritto: Che cosa vedete per Venezia? Da qualche tempo vediamo preti con la barba, senza barba che corrono sempre! Quando si lavora, si arriva a tutto. Quando si lavora, il Signore benedice; ma quando non si lavora il Signore non benedice. Il mondo pensa che nei conventi di frati non si lavori, e pensa bene qualche volta. Quanto hanno fatto i nostri frati, i monaci nei tempi antichi, quando lavoravano la terra, dissodavano i terreni; ma ora non si lavora... Bisogna lavorar sempre, bisogna lavorar molto, bisogna lavorare bene! Don Bosco diceva che la sua Congregazione si regge su due colonne: lavoro e temperanza. Quando cadesse una di esse, addio; e cade la Congregazione. Nell’accettare i novizi, Don Bosco scartava i pigri, scartava gli oziosi, scartava i golosi. E questo lo raccomando alla vostra superiora. Via le pigre, via le oziose, via le golose. Don Bosco ha lavorato tanto e passerà ai posteri come l’apostolo del lavoro. “Quando sono stato dal Papa, Sua Santità mi chiese: ma quanti siete voi altri? Risposi: siamo pochissimi, quelli che sono in condizioni di lavorare, o per testa o per braccio o per lavoro apostolico, non arrivano ad essere trenta. Ce ne sono di più, ma tanti sono di quelli presi dalla strada per aiutarli, per fare una carità fiorita, altri sono fuori combattimento! Già e così: Quelli che lavorano arrivano a 25: quest’anno hanno presa la Messa in sei:" uno è tisico, uno vivrà poco, due andranno in America. Cosa ci resta? Il vescovo di Rovigo voleva aprire una casa, ci dava due milioni; ma noi non abbiamo sacerdoti... I frati mosca per fortuna sono pochi da noi... Fate in modo, buone suore, che da voi non ce ne sia nessuna. Io non posso non ricordare a me, mentre parlo a voi, alcuni miei confratelli morti logori dal lavoro. A Tortona la popolazione lo capisce, e portan rispetto si nostri sacerdoti, perché lavorano e ci vogliono bene; e vi vorranno bene anche a voi altre perché vedono che lavorate, che vi curate dei loro bambini... Anche quelli che non vanno in chiesa ci prendono in stima. Lavoriamo con zelo, lavoriamo con fervore, lavoriamo con ardore, lavoriamo sempre, lavoriamo incessantemente, compiendo la volontà di Dio e spargendo ovunque la luce divina! (Par. II,83).
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Usatevi tanta carità, tanto compatimento, e lavorate, lavorate, lavorate! Che importa se si muore qualche anno prima, ma in Paradiso avremo una bella poltrona per riposarci le ossa. Finché stiamo qui, non ci facciamo rincrescere di lavorare, non ci risparmiamo. San Francesco aveva un frate, che non era certo “frate lavoro”, e lo chiamava Frate Mosca. Così ci sono certe suore che lavorano, sì, ma vanno piano piano; vanno piano. Hanno paura di fare troppo. Sono trotta piano; e San Francesco le chiamerebbe suore mosca. No! No!, buone figlie di Dio, lavoriamo per le anime e lavoriamo per la Congregazione! (Par. II,225).
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Bisogna che tutti amiamo il lavoro; dobbiamo tutti guadagnarci il pane. Che piacere quando si va a colazione e poter dire: ho studiato; e quando si va a pranzo, poter dire: l’ho guadagnato; e quando si va a cena: ho lavorato e me la sono meritata! Io farò una guerra spietata ai Chierici giovani vagabondi, eccetto gli ammalati. Quindi, se mai ci fosse qualche Assistente, qualche Chierico o Probando che crede di star qui a far nulla, prenda il cappello e se ne vada a casa, perché qui non è il posto di mangiare il pane della Divina Provvidenza, perché la nostra Casa è Casa di fede e di lavoro (Par. IV,372).
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Per chi entra, si ricordi che il lavoro è il perno su cui si svolge la vita religiosa; vorrei dire che dobbiamo spezzarci per il lavoro sia materiale che spirituale, e non negare mai niente a Dio, non dire a Dio: fin qui sì e poi no, ma darsi totalmente a lui. Col Maestro dei Novizi abbiate grande apertura. Egli non può confessarvi; ma, se uno insiste, deve confessare; bisogna avere con lui, oserei dire, maggior confidenza che con il confessore. C’è qui tra di voi un bel gruppo di lavoratori di San Bernardino e altri che non hanno lavorato. A noi che abbiamo fatto i voti sotto Pio X egli ci disse che nessuno può fare i voti perpetui senza avere una professione anche manuale, perché la nostra vita è laboriosa. Ecco perché si fabbrica, ecco perché si vuole il lavoro. Il lavoro Dio lo diede all’uomo, in penitenza del peccato. In questo ci è di esempio Gesù che, per 30 anni, lavorò manualmente e gli altri tre anni lavorò manualmente e spiritualmente, specialmente per la salvezza delle anime (Par. V,201–202).
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Pregate, confidate, ma soprattutto, lavorate, lavorate! Il lavoro fiacca le fibre del corpo, doma le passioni ed è fonte di moralità. Forse nei vostri paesi avrete sentito di qualche grave caduta di qualche sacerdote, di scandali dati. Perché tanta rovina? Perché non si sono preparati, perché non furono provati, come io voglio provare voi! Appena usciti dal seminario sono stati buttati in mezzo al mondo, in alto mare, e perché non erano preparati, facilmente, poco dopo si sente dire: Questo prete fa parlare il mondo, quell’altro lascia a desiderare. Da un ambiente caldo e chiuso come è il Seminario, sono buttati, di colpo, in mezzo a tanti pericoli, che forse nemmeno immaginavano. Ora voi non volete né dovete essere dei mistici, dei contemplativi come i Camaldolesi, i Certosini, i Trappisti, o come i Cistercensi, no, siete dei lavoratori. Col lavoro vi preparate meglio al Sacerdozio. Giungerete al Sacerdozio più puri, più puri e illibati, perché l’ozio è il padre dei vizi! Non saprete gran che di teologia, ma poco importa. A che vale davanti a Dio la teologia, se manca la virtù del cuore? Dunque, cari chierici, andate a Genova con un cuore bene preparato al lavoro, alla fatica (Par. V,369–370).
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Fra le leggi costitutive, fondamentali che Dio ha dato all’umanità, è la legge di operosità, di laboriosità; legge sentita anche dai pagani. Labor omnia vincit. L’impegno, dicevano, vince ogni cosa. Labor ipse voluptas, ripetevano. Il lavoro mentre è stato di punizione, diventa anche una fonte di gioia; dopo la caduta fu dato da Dio come castigo, ma al tempo stesso, lo dava come mezzo di santificazione della vita. Sisto V diceva: Morire d’in piedi! Quando vedo che lavorate sento che compite la volontà di Dio. I preti, e specialmente noi Religiosi, siamo considerati come gente sfruttatrice, gente oziosa; e in parte è vero, perché molti frati e preti lavorano poco. Se tutti i Ministri di Gesù Cristo avessero lavorato e non avessero perduto il tempo a beccarsi, come i capponi di Renzo, non vi sarebbe ancora un miliardo di gente che non conosce Gesù Cristo. Non bisogna sfuggire la fatica, perché essa è un dovere. La fatica moralizza la vita e dà alla vita una felicità che l’ozio e il dolce far nulla non possono dare. Il lavoro stesso è felicità. Come è consolante il poter ripetere: Mangio questo pane che mi sono guadagnato con il mio lavoro. L’ozio è il padre di ogni vizio. Multam malitiam docuit otiositas. Quanti sono caduti nel peccato per l’ozio? Oh se si piegasse l’osso della schiena come voleva Don Bosco, il demonio ci troverebbe occupati e non avrebbe modo di coglierci e di tirarci dalla sua (Par. IX,300–301).
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Dobbiamo tornare al lavoro! Dobbiamo tornare al lavoro! Quant’efficacia si avrebbe, che bell’Apostolato fra i popoli si compirebbe se tutti vedessero che il prete predica e lavora, predica e lavora! Che aiuta i poveri e provvede a sé stesso, che non si accontenta dei benefici parrocchiali, dei diritti di stola, per poi vivere sui poveri! Eppure bisognerà ritornare al lavoro, bisognerà che il Clero ritorni sulla Paglia come nostro Signore Gesù Cristo! Se no i popoli non saranno più per noi! Avranno più ragione i comunisti che vengono da Mosca, che noi che veniamo da Roma! Vogliate tenere a memoria di queste cose! Mi sono accorto l’altra sera in Cappella che c’era qualcuno dietro quella tendina, vogliate tenere nota di queste cose! Il ciclone che minaccia di gettarsi nell’Europa non travolgerà la Chiesa, lavorando e sacrificandoci in umiltà, solo così noi saremo veri Figli della Chiesa: fatica, mortificazione, sacrificio, come i primi della Chiesa, al modo degli Apostoli! (Par. XII,54).
Vedi anche: Colonie agricole, Eremiti, Missioni, Operai, Socialismo.
Lealtà
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Tornando particolarmente al nuovo Ispettore, non dubito, o miei cari, che riguarderete don Pensa come già Don Sterpi e Ve ne ringrazio! Abbiate con Lui cuore aperto e comunicazione frequente, sia per quanto riguarda le vostre persone, i vostri bisogni, che per rispetto a tutti gli affari. Nulla nascondete; nulla tacete mai. Non agite di vostra testa, ma camminate con docile obbedienza, con lealtà e semplicità. Bisogna avere confidenza con i Superiori; proporre umilmente ogni cosa che ci par buona, ma essere anche disposti ad una negativa (Scr. 16,122).
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Nelle difficoltà non bisogna avvilirsi, ma confidare nella Divina Provvidenza. Va’ sempre con una grande dirittura morale e lealtà e sincerità con tutti. Semplice come la colomba, ma prudente con tutti come il serpente Sopporta con pazienza le pene e le sollecitudini annesse al tuo posto. Abbi vigilanza e pazienza con i tuoi confratelli; amali come tuoi fratelli e fa del bene alla loro anima (Scr. 23,24).
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Abbi sempre un umore uguale, parlando con apertura di cuore e lealtà. Non erompere all’improvviso in acerbi rimproveri, ma anche quando devi parlare forte, fa’ che la finale, la chiusa delle tue parole, sia dolce, che lasci un conforto alle anime, che sia un incoraggiamento al bene (Scr. 24,173).
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Qui ho bisogno di sincerità, di lealtà, di aperture di cuori: di gente che non venga qui per ingannarmi, per arrivare a carpire i Sacri Ordini e poi andarsene, diventando apostati della Congregazione, venendo meno ai voti religiosi e al giuramento di permanenza. Va bene che qualcuno che ha lasciato la Congregazione se ne mostri grato a parole, (come ad es. don Lighenza) ma, se tutti avessero fatto così, la Congregazione non esisterebbe e avremmo non dei figli, ma degli spergiuri (Scr. 32,53).
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Tanto le suore come i chierici che proponi per venire in Italia devono essere assolutamente sani e avere passata costì una rigorosa visita medica e avere un certificato di piena robustezza e salute. 2/ Devono essere di pietà; sinceri e leali e non finti né doppi: devono essere di provata vocazione (Scr. 32,96).
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Quanto all’impegno che ho preso con la signoria vostra io ho sempre fatto onore alla parola che ho dato, perché ho ritenuto sempre che si debba servire Dio, la Chiesa e il prossimo con la più grande semplicità e lealtà (Scr. 38,39).
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Sono un temperamento forte e scrivo in stile forte, ma ella, che oramai mi conosce, non deve rattristarsene, ma deve sentire che è la lealtà, la sincerità, che mi porta a scrivere come scrivo. Qualche anno fa mi opposi recisamente a che ella lasciasse la sua casa e si ritirasse nelle Domenicane. Anche allora ella non se ne persuase, ma io so di avere agito da onesto e da buon sacerdote (Scr. 41,251).
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Quello che io doveva dirgli io glie l’ho detto e glie lo ho scritto ma sempre con ogni amore e tutta lealtà come a un figlio dello spirito e gli ho pur fatto conoscere il dispiacere che io profondamente ho provato per lui e il mio dolore di non averlo potuto ordinare prima, per cause indipendenti affatto da me (Scr. 42,44).
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Sono un povero figlio della Divina Provvidenza e un più povero peccatore, ma Vostra Eccellenza mi avrà sempre ai Suoi piedi con l’amore, la lealtà, la fedeltà, la venerazione di un figlio. Questo è il secreto per cui Dio benedice sempre i miei poveri passi e il modesto mio lavoro a pro’ degli orfani e della gioventù derelitta: perché mi sono sempre messo ai piedi dei Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a governare la sua Chiesa e per la grazia e misericordia di Dio, nulla ho fatto se non stando sempre spiritualmente in ginocchio da figlio piccolo, obbediente e fedele ai piedi del Vescovi, del Santo Padre e della Santa Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 51,181).
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Il popolo ci crederà, quando ci vedrà leali, retti e di coscienza. Allora anche chi non ha fede diventa fedele e cristiano. Questo che vi scrivo deve farvi piacere e deve recare conforto a tutti; qui basiremo di miseria e di fame, saremo poveri, ma onesti e onorati e stimati perché manterremo i patti (Scr. 63,74).
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Confidino in Dio e non negli uomini. Vadano schiette e candide in tutto: non abbiano timore di coltivare fino allo scrupolo la piena sincerità e lealtà: questa è parte di quella perfezione a cui Dio ci ha chiamati: che la sincerità, l’umiltà e la schiettezza sia uno dei punti fondamentali del vostro Istituto (Scr. 65,299).
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Per grazia di Dio, siamo molto leali, come oramai devi già aver capito; quando vediamo che un soggetto non fa per la Congregazione, gli diciamo: tu non sei fatto, va con la benedizione di Dio e amen. Non siamo usi andare con doppiezza, ma non esser sorpresi nella nostra buona fede e non possiamo tollerare sfruttatori indegni (Scr. 69,89).
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Non battete mai né‚ i bambini né‚ i più grandicelli; educateli alla Pietà sentita ma che non sia una Religione pesante, che ciò potrebbe loro fare male anziché bene. Educateli alla Virtù, alla bontà, alla sincerità, alla lealtà, a buon tratto e alla civiltà, ad amare i loro parenti, le persone che fanno loro del bene (Scr. 78,121).
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Sii franco e leale in tutto e specialmente nella religione: sii umile, onesto, amante dello studio, lavoratore: questo vogliono i tuoi cari, questo vuole Dio da te (Scr. 83,78).
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Il mentire e il diffidare è cosa sì comune che non si sa più a chi credere. Non vi è più buona fede, né lealtà, né sincerità, non dirò tra quelli che negoziano, sulle fiere, nei mercati, nei negozi, ma pure nelle conversazioni, tra persone che si vantano bene nate ed oneste. Bugie da per tutto, fin nei confessionali: tal che non si sa più a chi credere né di chi fidarsi: mentiscono i poveri e mentiscono i ricchi: mentiscono le serve e dicono bugie anche le padrone (Scr. 86,32).
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Esto Vir nell’amare Dio, Maria SS.ma, il Papa, la Chiesa la Congregazione. Esto Vir nel carattere franco, sincero, leale, cristiano, senza ondeggiamenti senza sbandare. Esto Vir nella costanza dei buoni propositi, nella pietà, nella preghiera, nello studio, nel vincerti, nel combattere la buona battaglia per mantenerti fedele, per vincere il nemico, sradicare le passioni praticare le virtù, disciplinarti con la fatica (Scr. 96,158).
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Vi desidero Religiosi non di nome o di apparenza, ma Religiosi veri, non falsi, di quelli che hanno sempre da nascondere qualche cosa, che non sono sinceri, che hanno fatto i sacri Voti, ma non li osservano e si gravano l’anima di peccato, perché si può ingannare i Superiori, ma non Dio, che tutto vede e che non benedice chi vive con doppiezza. Siate sempre onesti, diritti, leali! La Congregazione è la vostra famiglia a cui vi siete dati e consacrati: amatela, custoditene lo spirito di umiltà, di fede, di povertà, di obbedienza e amore alla Chiesa e al Papa e onoratela con la vostra condotta buona ed edificante e con il vostro spirito da veri Religiosi pii, seri, non mai leggeri (Scr. 99,197).
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Abbiate il coraggio del bene e dell’educazione cattolica e italiana ricevuta. Diffondete lo spirito della bontà: perdonate sempre: amate tutti; siate umili. laboriosi, franchi, leali in tutto: di fede, di virtù, di onestà ha estremo bisogno il mondo (Scr. 117,104).
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Il nostro carattere deve essere ardente, leale, retto, magnanimo, ma tenero insieme e vivificato dalla carità del Signore, e, nella carità, generosissimo sempre. Generosissimi con Dio, senza limiti e generosissimi con le anime dei fratelli, per la carità di Cristo (Lett. II,359).
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Uno dei fini della pedagogia cristiana è quello di formare il carattere. Per formare un carattere leale, retto, deciso, ci vuole ci vuole spirito di sacrificio. Nostro Signore Gesù Cristo ha detto: qui vult venire post me, abneget semetipsum. Sacrificio, dunque occorre. Il rinnegamento di noi stessi è il più grande sacrificio (Par. III,108).
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Questa è e deve essere, una delle note, delle prerogative, una delle caratteristiche del religioso figlio della Divina Provvidenza: la franchezza, la lealtà, l’apertura di spirito, la sincerità, la verità, fuggendo qualunque finzione, qualunque astuzia, qualunque cosa che sappia di falsità e di doppiezza, di tortuosità, nelle parole e nei modi di fare. Et erunt prava in directa... Quando voi agirete, quando voi parlerete e opererete, sia il vostro agire, sia il vostro parlare “Est est, non non”, disse Gesù nel Santo Evangelo: è così, è così, non è così, non è così... E siate sempre veritieri, aperti, leali, sinceri, sempre! Quanto mi piaceva l’educazione degli Scout Cattolici che erano educati interiormente alla franchezza, alla lealtà e quando furono aboliti nulla vi ha guadagnato la società né la Patria, né l’educazione giovanile (Par. IX,500).
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Dobbiamo crescere con un carattere leale, aperto, nemico di ogni impostura, nemico di ogni doppiezza. Siate sempre franchi, a costo di prendervi un castigo; non avvilite voi stessi con la menzogna. Si troveranno sempre male coloro che non hanno un carattere schietto e il cui modo di agire e di operare non è diritto ed evangelico! (Par. IX,501).
Vedi anche: Bugia, Sincerità.
Letteratura
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Non dobbiamo quindi fermarci coll’istruzione né alla letteratura, né alle arti, né alla filosofia, né allo studio delle scienze fisiche o metafisiche o in altra scienza sacra o profana, per quanto siano belle e profittevoli e fin divine, per quanto ci vadano a genio, ma dobbiamo dalle scienze salire al Dio e Signore delle Scienze: dobbiamo pervenire al Vangelo (Scr. 8,194).
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Deh! non tollerare delle formazioni religiose a vernice: non tollerare Chierici che sonnecchino tranquilli: non quelli un po’ alti e un po’ bassi: non quelli né caldi né freddi: non i golosi, non gli avidi di letture, di letteratura, di musica, di fotografie: non i leggeri, non i vanitosi, non gli avvocati (Scr. 8,208).
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Non voglio letterati, ma religiosi: religiosi apostoli, di una carità anche intellettuale, colti, pii, ma formati a soda pietà, e a dottrina filosofica, teologica, canonica, scritturale e patriottica: non gente vuota. È il rivoluzionario Proudhon che scrisse: «chi sono coloro che hanno introdotto la corruzione dei costumi? i letterati! Chi lo sprezzo del lavoro e del sacrificio? i letterati! Chi il disgusto dal dovere? i letterati. Chi l’oltraggio alla famiglia? i letterati, sempre i letterati». Ed egli poté ben conoscerli. Ora, dico, se questo egli scrisse dei letterati, che dovremo pensare dei semi–letterati, o di quelli infarinati da un po’ di letteratura e limitati ad un’infarinatura di letteratura? Chiedete un po’ a don Piccinini e Pagella se hanno ricevuto una lettera da me? (Scr. 18,102).
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Uno dei cardini del genere di vita della nostra Congregazione è lo studio. Lo studio viene subito dopo la pietà, ma noi gli studi anche della letteratura e delle scienze profane, vogliamo e dobbiamo santificarli e con essi giovare spiritualmente a noi e ai nostri fratelli; per la gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, Madre nostra (Scr. 26,152).
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Anelo a dare ai nostri chierici una grande preparazione spirituale, una formazione veramente religiosa: una preparazione evangelica e dottrinale, e anche una preparazione scientifica seria, e che affatto non escluda la cultura letteraria e lo studio delle lingue antiche e moderne; ma devo volere e voglio che tutto sia ben ponderato, che non si espongano dei semi–fanciulli ad inaridirsi e ad invanire nella fatuità di certa letteratura, che non fa che esaltare la fantasia, che, se va alla mente, non fa bene al cuore, e forma dei leggeroni e non la personalità che deve avere il servo di Dio e del prossimo, il religioso vero, che prega, che è umile, che ama il sacrificio, la povertà, e tocca le anime e le porta a sentire Cristo e a seguire Cristo. Su cento sacerdoti letterati, o che si danno posa di essere tali, almeno 80 sono sacerdoti incompleti, quando non sono scadenti: l’aria letteraria, in Italia, per molto tempo è stata pei sacerdoti, aria malarica, e il periodo non è del tutto tramontato. Noi abbiamo bisogno di soggetti non malarici in Congregazione (Scr. 26,224).
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Ne ho parlato a Roma anche con qualche Cardinale di molto buono spirito, di dottrina, di esperienza e si lamentò che qualche ordine o Congregazione abbiano deviato molti loro giovani avviandoli a prendere lauree o diplomi, e non fortificandoli prima con sana e cristiana filosofia e con lo studio della teologia. E quelli che diventano sacerdoti restano quasi sempre metà sacerdoti perché o dediti solo alla letteratura e alle scienze, e poco imbevuti di discipline sacre (Scr. 26,224).
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La pietà senza la scienza, può far il religioso inetto; la scienza, senza la pietà, fanno il religioso gonfio, orgoglioso, superbo. Chi studia la letteratura senza la pietà, farà più danno che profitto, vuoto, leggero. La pietà può supplire in gran parte la scienza, ma la scienza, compresa l’ecclesiastica, non potrà mai supplire la pietà (Scr. 55,195).
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Svolgendo la storia, ben inteso la vera storia non quella che sembra ingiurare a danno della verità e del Cattolicesimo, noi siamo stretti a conchiudere che se abbiamo una letteratura, la dobbiamo ai monaci, al monachismo le più ardite fatiche, ed in compenso le più ingiuriose vessazioni. Se quaggiù v’è e vi fu carità... si deve al cattolico clero! Se fu mitigata la ferocia de’ barbari tempi si deve alle anime grandi della Romana Chiesa (Scr. 57,285).
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Avrei da dirvi tante altre cose, ma mi limito a queste. Adesso, poi, c’è un altro pericolo nella vostra Congregazione: la letteratura. Dico pericolo, perché a qualcuna può far perdere la testa. Nella Sacra Scrittura il Profeta dice: quoniam non cognovi litteraturam introivi in potentiam Domini, che vuol dire: Perché non ho conosciuto la letteratura, sono entrato nel tempio del Signore... Per significare che la letteratura non è necessaria per entrare nel regno dei cieli. Con questo non voglio dire che non dobbiate applicarvi allo studio, se i Superiori dispongono così. Fate servire i vostri talenti per la gloria di Dio e per il bene delle anime; ma state attente perché c’è un pericolo. S. Francesco d’Assisi metteva in guardia Sant’Antonio, che era a Vercelli a spiegare la Sacra Scrittura, e gli diceva: Sta’ attento che lo studio non ti distolga lo spirito dall’unione con Dio. E notate che Sant’Antonio spiegava la Sacra Scrittura! (Par. II,227).
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In questo Collegio non vi è spirito di devozione, perciò le cose vanno di male in peggio. Di chi la colpa? Chierici e fin Sacerdoti di devozione ne hanno poca, benché siano abili assai, forse eloquenti, letterati, eruditi – supponiamo – di matematica, di politica, di sport. Per qualcuno è meglio il salotto che la chiesa. Delle cose di Dio non sa parlare o, se ne parla, lo fa certa apatia e freddezza. Non è mai puntuale né alla meditazione, né alla visita: ecco perché il Collegio va male. Ecco perché non ci sono vocazioni, e si perdono quelle che ci sono (Par. III,33b).
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Nella Sacra Scrittura c’è questa frase: Quia non cognovit litteraturam intravit in potentiam Domini! Bisogna poi intendere tra letteratura religiosa e profana; ciò vuol dire che non è necessario essere dotti, ma è necessario essere umili per entrare in cielo. Frate Leone non aveva predicato con la parola, ma con l’umiltà e con l’esempio. Voi ora andrete in processione, e predicherete anche con la parola perché dovete cantare con sentimento ed espressione, e predicherete con il contegno pio e raccolto e siate modesti (Par. V,66).
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Ricordatevi che l’avvenire della Congregazione dipende dalla pietà, santità, buon esempio della nostra vita, dei suoi membri; non dipende dai letterati nostri, né dai laureati, essi non rappresentano l’unità della Congregazione (Par. V,97).
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Purtroppo molte volte si dà più importanza alle scienze profane, come la letteratura, la biologia, l’archeologia che alla teologia, scienza di Dio. Gesù disse: “Vos estis sal terrae et lux mundi”. Il sale dà il sapore alle sostanze. Voi dovete dare la pietà, la carità al mondo! Sal terrae è la pietà! E dopo, dovete essere la lux mundi! La scienza che illumina l’uomo, la scienza di Dio (Par. VI,248).
Vedi anche: Cultura, Scienza, Scuola, Studio.
Lettura a tavola
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Bisognerà che, venendo da noi, trovi davvero buono spirito nella Casa e non leggerezza. Il lasciare totalmente la lettura a tavola e i discorsi un po’ leggeri che vi si fanno, forse nuocciono al buono spirito, come nuoce assai il dormire che quasi tutti fanno durante la Meditazione (Scr. 2,85).
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione: Le pratiche di pietà; vedere se si procede in esse con leggerezza; se si fa e da tutti e insieme la Meditazione; a che ora, su che autore; se con troppa facilità si dispensa dalla Meditazione o da altre pratiche di pietà. Se si fa la lettura spirituale insieme, su che libro, per quanto tempo al giorno. Se si fa la lettura in refettorio, se la preghiera prima e dopo i pasti e prima di coricarsi e nel levarsi (Scr. 5,490).
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Voi dovete aiutarmi per questo e trattare con più carità, diversamente starete male voi e male tutti quelli che vi circondano – Mettete anche un po’ di lettura a tavola e più di pulizia e ordine nel morale della Casetta (Scr. 6,12).
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I Sacerdoti che vi potrebbero aiutare sono Cribellati per la lettura in Chiesa (che fa bene), Dondero per la puntualità di orario: anche D. Cremaschi e D. Adaglio. La lettura in refettorio si faccia un po’ tutti, di modo che da tutti si sia finito a tempo il pranzo (Scr. 11,197).
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I religiosi ascolteranno con attenzione la lettura, che si fa durante la mensa, affinché, mentre il corpo prende il suo cibo, la mente non rimanga completamente digiuna. Si leggerà in principio un tratto della Sacra Scrittura, poscia un tratto delle Costituzioni, indi un libro di spirituale edificazione scelto e designato dal superiore (Scr. 17,66).
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Vi raccomando di confortarli molto nel Signore e di farli pregare: perché la preghiera, un po’ di lettura durante il pranzo e cena e la pietà potrà molto, anzi tutto. Vigilate poi sul resto e riferitemi tutto (Scr. 24,11).
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Mi ha fatto profondo dispiacere l’affare del maestro Negro e gli ho scritto a Sanremo che torni, così potrà aiutare per la scuola o per il dopo–scuola. Mi pare che se si facesse la lettura durante i pasti come avevo pregato non sarebbe successo. Oh! ma il Signore mi ha detto che vuole più spirito nelle case: quindi confido che mi aiuterete tutti ed è bene che Chiappa gli scriva subito, a lui che è vecchio anche per buon esempio e tutto ciò faccia con molta umiltà e carità in Nostro Signore e in ossequio alla Beatissima Nostra Madre la Madonna (Scr. 24,15).
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Amerei che il breviario ed ogni altra pratica di pietà, cominciando dalla meditazione, la faceste insieme tutti e tre e sempre e anche un po’ di lettura a tavola. E così deste forma di vita religiosa alla canonica (Scr. 24,72).
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Anche in refettorio facciamo la lettura, in portoghese, s’intende e così in portoghese la meditazione e tutte le orazioni e il rosario. In refettorio leggiamo la vita di Sant’Alfonso (Scr. 33,4).
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Ho messo la lettura a tavola e m’è spiaciuto che, quando qualche volta ho mancato, si fosse con facilità lasciata. Già questo esercizio è proprio d’una vita di comunità regolata, ma poi lo feci anche perché era difficile che passasse giorno che o a pranzo o a cena non si trascorresse nel parlare, anche magari sino a rompere la santa e fraterna carità che fa soave la vita religiosa e la rende piena di comunanza di affetti nel Signore. Spero che la lettura ora si continuerà (Scr. 34,37).
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In refettorio, eccettuato domenica a pranzo, si continui nella lettura. Saremo forse non meno dell’anno scorso: facilmente saremo di più. Cerchiamo di essere di più anche nello spirito di santificazione (Scr. 52,164).
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Prima del refettorio, vi è l’esame di coscienza e le litanie in comune e davanti a N. Signore. Poi la lettura del S. Evangelo e o il Martirologio o la lettura spirituale. Il refettorio è in silenzio e la lettura è in comune, come pure il lavare piatti, posate, scopare e tutto, pensando a Gesù e per il carissimo Signore Nostro (Scr. 54,212).
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L’Armonium, che conserviamo nella Casa di Tortona, è l’Armonium stesso su cui suonava don Lorenzo, ed è un dono dei Perosi. Il loro Padre era di casa da noi: veniva ad insegnar musica ai nostri ragazzi, veniva anche a farci la lettura in refettorio a S. Bernardino, mentre noi si mangiava la polenta con qualche patate, quando c’era (Scr. 57,226).
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Non dispensate mai dalla meditazione mai dal rosario mai, dalla lettura spirituale, lettura in refettorio preghiera canonica prima e dopo il cibo lettura mentre si va a letto (Scr. 83,126).
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La lettura a mensa dei giovani non sia di cose sciocche o ridotta quasi a nulla come la lettura di Pinocchio ecc.: ma sia uniforme: e si leggano quest’anno la Vita di don Bosco del Lemoine (ora uscirà il 2° volume) la Storia di Cristoforo Colombo idem (Scr. 83,140).
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Intanto ciò che mi preme assai, mio caro don Risi, è che durante il pranzo e la cena si faccia continua la lettura, poiché so che a Sant’Anna si mormora (Scr. 101,69).
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Andate adagio nella recita del divino ufficio: le letture si facciano bene, sia delle lezioni del breviario che la lettura spirituale e del refettorio (Lett. II,246).
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D’ora in avanti si farà lettura anche nella camera da letto, come si faceva tempo fa, al fine di addormentarsi con un buon pensiero. Le letture che si fanno in refettorio, nei collegi, non devono essere ascetiche né di avventure, ma fate leggere ad esempio, Fabiola, Cristoforo Colombo (Par. VI,156).
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Le Tre Ave Maria ai piedi del letto è una usanza presa da don Bosco. Queste usanze in Congregazione non si sono introdotte senza aver prima pregato molto o aver sentito un impulso interiore che veniva certo, da parte di Dio. E così la lettura a tavola. Don Bosco voleva che tenessimo lo spirito occupato, sia pure con liete letture, mentre il corpo prendeva il cibo. Ricordo che si lesse all’oratorio salesiano “La campana di don Ciccio” e “La scoperta dell’America” scritta da don Lemoine. E si leggevano quei racconti in una forma atta ad attirare la nostra attenzione. Trovai in una Casa nostra, che a tavola si facevano leggere le domande del Catechismo. Ogni cosa al suo posto! (Par. VII,144).
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La lettura in refettorio si farà anche durante la quaresima da principio alla fine, pranzo e sera, eccetto la domenica e le feste, nelle quali si terrà l’usanza solita (Par. X,93).
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In qualche casa c’è leggerezza nella pietà, ci si dispensa facilmente dalla meditazione, ci si dispensa dalla lettura spirituale e dalla lettura in refettorio. Bisogna fare anche la lettura nelle camerate! In refettorio lettura lieta: la scoperta dell’America. In camerata la vita di qualche Santo o la storia sacra di don Bosco (Riun. 26 agosto 1930).
Vedi anche: Galateo, Lettura spirituale.
Lettura spirituale
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Spero che li avrà cominciati e vi raccomando di segnargli le Meditazioni e quei santi libri di lettura spirituale e di virtù che lo possono aiutare. Poi egli faccia la sua confessione generale, che sia il principio della sua verace e stabile conversione a Dio (Scr. 2,63).
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione: Le pratiche di pietà; vedere se si procede in esse con leggerezza; se si fa e da tutti e insieme la Meditazione; a che ora, su che autore; se con troppa facilità si dispensa dalla Meditazione o da altre pratiche di pietà. Se si fa la lettura spirituale insieme, su che libro, per quanto tempo al giorno. Se si fa la lettura in refettorio, se la preghiera prima e dopo i pasti e prima di coricarsi e nel levarsi (Scr. 5,490).
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Alla sera, prima della cena, si farà, in comune, un quarto d’ora di lettura spirituale, e, in comune, nella Chiesa o nell’oratorio, si reciterà la terza parte del S. Rosario (Scr. 17,66).
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Sono molto soddisfatto che alla colonia si faccia la S. Meditazione in comune, la lettura e la recita del S. Rosario; ma, prima, non si faceva? (Scr. 20,27).
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Cercate di fare insieme lettura spirituale e meditazione. E quando ti sentirai di dire un po’ di divino Ufficio, ditelo (se puoi) insieme (Scr. 21,4).
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La lettura a tavola deve essere di libri non voluminosi e non direttamente di pietà; ma non sciocchi non aridi di Dio, tutt’altro! Tu preparane adesso una collezione per tutto l’anno. Devono possibilmente essere della Tipografia Salesiana: non libri di ragionamento, ma di dilettevole e cristiana istruzione e che tengano lieto e sollevato lo spirito. Così la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo La vocazione tradita del Viglietti vita di collegio, la Vita di don Bosco del D’Epiney (Anche alcuni racconti mensili del Cuore di De Amicis si possono fare leggere in refettorio), morale e Storia del Martinengo (non tutto, ma c’è del buono). Pio VII a Savona del Martinengo (Variando) (Scr. 26,6).
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Aiuta i chierici con la vita di comunità: meditazione lettura spirituale, buoni e fraterni e frequenti consigli e sopra tutto con il buon esempio (Scr. 29,58).
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La Chiesa nella domenica della Palme apre la Settimana Santa con il Passio, cioè con la lettura della passione di nostro Signore, perché questa santa lettura deve essere sempre il principale oggetto delle nostre meditazioni e tra le più grandi nostre devozioni (Scr. 30,216).
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Dopo la Messa il chierico più avanti negli ordini sacri legge la meditazione, e, dopo questa prima lettura, un altro chierico rileggerà una seconda volta il tratto già letto. Questa seconda lettura si farà per turno, una settimana cadun chierico secondo ordine d’alfabeto. Dopo la santa meditazione il sacerdote, che ha celebrato e assistito anche lui alla lettura, segna la sentenza da scriversi sul notes, che ciascuno dovrà avere e presentare al superiore ad ogni richiesta. Detta massima dovrà servire come di punto cardine per la meditazione durante il giorno (Scr. 69,377).
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Fa’ la tua meditazione e la lettura spirituale e bene, l’esame particolare ed educa i nostri cari confratelli con la santa umiltà e alla santa meditazione e lettura spirituale e allo esame generale la sera e particolare, di coscienza e mezzodì (Scr. 75,58).
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Non dispensate mai dalla meditazione mai dal rosario mai, dalla lettura spirituale, lettura in refettorio preghiera canonica prima e dopo il cibo lettura mentre si va a letto (Scr. 83,126).
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Io ti raccomando, o caro figliolo di curare, di coltivare e di crescere in te lo spirito religioso dei figli della Divina Provvidenza e di osservare le Regole e la S. Meditazione e lettura spirituale e abbi una grande carità, carità veramente sacerdotale carità vera di Gesù Cristo Crocifisso! (Scr. 103,144).
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Fate la Meditazione insieme; la lettura spirituale insieme: le pratiche di pietà insieme e bene (Scr. 103,233).
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La lettura Spirituale. Si fissi un’ora, conveniente per tutti per la recita del S. Rosario e per la lettura spirituale. Sia possibilmente subito dopo la ricreazione di merenda o circa quel tempo. Come libri di lettura sono raccomandati: La Manna dell’Anima del P. Segneri – La pratica di Amor Gesù Cristo – Gli scritti del Capecelatro – La vita del B. Cottolengo scritta dal Gastaldi – La vita di don Bosco e i suoi scritti – Il Rodriguez. S. Comunione. Possibilmente sia da tutti frequentata quotidianamente con il dovuto preparamento e ringraziamento. Esame di coscienza. Si faccia la sera impiegandovi il tempo e raccoglimento conveniente perché riesca di frutto e pratica di miglioramento spirituale. L’esame di coscienza può essere fatto dopo la lettura spirituale e dopo le orazioni della sera (Scr. 115,214).
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Andate adagio nella recita del divino ufficio: le letture si facciano bene, sia delle lezioni del breviario che la lettura spirituale e del refettorio (Lett. II,246).
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Lettura spirituale. Ciascuno per conto suo e quando può faccia la lettura spirituale. Il libro è il De Imitatione X.sti o il Vangelo di San Giovanni, però non deve durare meno di un quarto d’ora. Di più poi quando si ha tempo si legga la vita di qualche santo (Riun. 4 settembre 1912).
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In qualche casa c’è leggerezza nella pietà, ci si dispensa facilmente dalla meditazione, ci si dispensa dalla lettura spirituale e dalla lettura in refettorio. Bisogna fare anche la lettura nelle camerate! In refettorio lettura lieta: la scoperta dell’America. In camerata la vita di qualche Santo o la storia sacra di don Bosco (Riun. 26 agosto 1930).
Vedi anche: Meditazione.
Levata
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Quanto alla levata alle 4, voi sapete che è di regola; ma capirete che andando a letto alle 9, come pure è di regola, si hanno subito 7 ore di riposo, che bastano, ora poi avrete anche almeno un’ora di riposo dopo pranzo (Scr. 4,5).
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A Mornico vedete di mettere un po’ di orario, ma la levata sia alle 4: a questo punto desidero nel Signore che in nessuna stagione o casa si deroghi, anche quando io dessi il permesso, a meno si sia malati, lo dico nel Signore e sia per amore suo (Scr. 10,85).
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Quanto agli orari fate voi in Domino, basta che sia ferma la levata alle 4 e il riposo alle 9 (Scr. 10,112).
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Levata alle 4 da Pasqua ai Santi, e alle 5 dai Santi a Pasqua – Rosario e orazioni della sera insieme. Ci siamo fatti religiosi per santificarci e per fare vita religiosa: è tempo anche per Messina (Scr. 24,34).
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Per grazia di Dio qui ora si vive in pace e in grande letizia di spirito, e tutto è regolato a vera vita di buoni religiosi. Levata, orazioni, meditazione in comune; visita in comune; mattutino e lodi, sempre insieme, e anche le ore quando si è in 2 sacerdoti in Casa; al mattino alle 9 tutti devono aver detto già anche Compieta. Poi si lavora (Scr. 28,120).
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Benché la nostra sembri vita quasi gaudente – e tale veramente sia nel senso cristiano e nell’amore dolcissimo di Gesù e della Madonna SS., pure devo dirti che è vita comune, vita di orazione (la levata è sempre alle 4 di estate e di inverno per fare la s. meditazione in comune), vita di mortificazione, segreta, se vuoi, ma di grande mortificazione di volontà specialmente (Scr. 42,165).
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Chi vuol farsi della Piccola Opera, deve fare il suo noviziato e poi, se sarà approvato, e il novizio sentirà che quella è la sua vocazione, sarà ammesso ai voti religiosi. Essi sono ad annum, per tre anni, e poi perpetui, e sono i soliti tre voti. Trattandosi per la levata, che è alle 5 da tutti i Santi a Pasqua, e alle 4 da Pasqua ai Santi (Scr. 43,264).
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Alla levata dei giovani, lo svegliatore o assistente dica ad alta voce: Benedicamus Domino, cui tutti rispondano: Deo gratias! Nell’alzarsi con la massima modestia dica poi Nel Nome del Padre... – Gloria Patri – Quaeritae – Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore... – Cara Madre Vergine Maria fate ch’io salvi... – Ave Maria – Angelus Domini o Regina Coeli – Instaurare omnia in Christo! (Scr. 54,230).
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Dalle deliberazioni prese nelle riunioni tenute dopo gli Esercizi Sp. settembre 1912. Levata – da Pasqua ai Santi alle 4. – dai Santi a Pasqua alle 5. La levata è per tutti alla stessa ora, anche per chi andasse a riposare più tardi. Riposo – alle ore 21 e più tardi delle 22 – I Direttori, e solo raramente e per gravi ragioni di ufficio, hanno disposizioni particolari (Scr. 56,185).
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Vi mando una lettera di San Vincenza de’ Paoli il santo della carità, Fondatore dei Missionari, detti Lazzaristi, e delle Figlie della Carità, e penso di farvi cosa gratissima e utile assai. Da essa dobbiamo imparare ad essere fedeli ad uno dei punti principali della Regola qual è l’ora della levata, e l’importanza di dare la prima ora della giornata alla Meditazione e alle pratiche di pietà. La Regola della levata per noi è alle ore quattro da Pasqua a tutti i Santi e alle cinque da tutti i Santi a Pasqua; l’alzarsi più tardi nei giorni di festa o di vacanze scolastiche è un abuso, e si deve toglierlo (Scr. 79,319).
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Tortona, 16 agosto 1939. Per i sacerdoti: Levata alle ore 4 (quattro). Orazioni e meditazione nella Cappella: ore 4 e 30. Alle 5 e 15: termine della Meditazione. Recita del Divino Ufficio e Sante Messe. Pomeriggio: Ore 15, Lettura Spirituale e Recita dell’Ufficio in Cappella. Orazioni della sera con la Comunità, indi Riposo (Scr. 84,68).
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La levata sia per tutti all’ora già fissata, cioè alle ore 4 da Pasqua a Tutti i Santi, e alle 5 dai Santi a Pasqua. Nessuno si fermi a letto senza una vera necessità e ne farà avvertito il Superiore prima o dopo (Scr. 115,214).
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La levata da noi è alle quattro ore da Pasqua a Tutti i Santi, e alle cinque dai Santi a Pasqua. Questa regola non ammette eccezioni di luoghi, vale quindi tanto per quelli che sono in Italia che per quei nostri che sono all’estero o in Missione; che anzi in certi paesi esteri di clima più caldo l’ora della levata anche dai Santi a Pasqua sarà alle quattro. Né ammette eccezione di tempi o di giorni speciali. Si sappia, quindi, che l’alzarsi più tardi nei dì festivi o di vacanze scolastiche, per i religiosi e i novizi, non è permesso; ciò costituisce un vero abuso, che ogni superiore di Casa vorrà sollecitamente togliere, ove mai si avesse. Dobbiamo vincerei, dobbiamo dominarci, e guardarci dall’incostanza; ma procurare, sin dalla prima ora. della giornata, di elevare la mente e il cuore a Dio, e, nella sua luce di misericordia, avanzare al dovuto e desiderato fine della nostra santificazione. E badiamo molto anche alle cose che ci sembrassero piccole, vivendo da buoni religiosi, da religiosi dico, non da secolari, né da preti secolari (Lett. I,453).
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Domani la levata sarà alle quattro e mezzo, giacché la Pasqua, quest’anno giunge in ritardo: così, dopo si sentirà meno difficoltà nell’alzarsi alle quattro. Fa persino vergogna levarsi da letto quando c’è il sole che batte sugli occhi! (Par. VIII,227).
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Noi abbiamo stabilito, fin dai primi tempi, l’ora della levata alle quattro da Pasqua ai Santi, e alle cinque dai Santi a Pasqua. È certamente un sacrificio alzarsi alle quattro d’estate, e alle cinque d’inverno; ma se non facciamo questo sacrificio, quale altro sacrificio c’è da fare in Congregazione? Che penitenza c’è? Non ci diamo la disciplina, non ci alziamo di note, non c’è quasi digiuno, se non il digiuno del Venerdì; l’unica cosa che costa un po’ di sacrificio è l’alzarsi alle quattro per la meditazione. Cercherò di fare anticipare la cena per non togliere il riposo necessario a ritemprarci le forze con il riposo. Anch’io qualche mattina, lo dico con vergogna, non mi sono alzato, perché fra tante occupazioni non ho potuto coricarmi se non ad ora tardissima, ma ho cercato e cercherò di alzarmi ugualmente alle ore quattro (Par. XI,155).
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Per tutto il personale della congregazione, compresi i novizi ed i probandi vi sono due levate, divise in due epoche dell’anno Da Pasqua ai Santi la levata è alle ore 4 (quattro) e dai Santi a Pasqua alle ore 5 (cinque). A riposare si andrà sempre alle ore 9 (nove) e non più tardi delle 10 (dieci) e nessuno dopo le dieci deve trovarsi alzato. Il riposo è unico per tutto l’anno e non doppio come la levata. Si lascia alla prudenza del Direttore stare alzato anche dopo le dieci, ma per ragioni d’ufficio. Così pure alla prudenza del Direttore si rimette il permettere che qualcheduno dei suoi stia alzato anche dopo le dieci (dieci). Questi però si alzerà al mattino con gli altri e solo potrà riposare al dopo pranzo (Riun. 4 settembre 1912).
Vedi anche: Costituzioni (FDP e PSMC), Mortificazione, Orario.
Liberalismo
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Ma tu stesso potrai prevenire i tuoi giovani sul naturalismo che vi incontreranno, o su principi poco sicuri o affatto errati sparsi in questo o in quell’autore imbevuto di liberalismo, perché parecchi sono stati avvelenati pur essi dalla scuola laica o semi–credente, come ad esempio il De Marchi, il De Amicis (Scr. 26,169).
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Ah! guai se i figli della luce non fossero stati illuminati da Leone XIII sulle strane teorie accumulate nel secolo nostro sul conto della libertà e del liberalismo. Sua magistrale Encicl. di Leone XIII sulla libertà: della libertà ci diede il vero concetto, i confini, le leggi tutto in esso si trova discusso, illustrato, condannato: basterebbe questa encicl. a rendere immortale Leone XIII (Scr. 56,27).
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In tutte le età s’è detto che la rivoluzione è un feroce saturno che divora i propri figli: ebbene il socialismo, il liberalismo e le sette di conciliatori come già divora e divorerà i propri genitori esso che, orrendo Maloch, distruggere vorrebbe perfino gli elementi della società e civiltà (Scr. 56,31).
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Avanti, avanti sempre nel Santo nome di Dio; schiacciamo il capo al vampiro d’Italia, al liberalismo! Cristo deve vincere nel Papa e vincerà; egli dovrà vincere, regnare nel senso più stretto della parola. Sì, io sono cattolico intransigente: lo sono e lo voglio essere nel senso più stretto della parola; nei principi e nelle pratiche conseguenze. Nella loro bandiera riconosco la mia. Essa è l’orifiamma sì io cattolica e papale, raggiante di candida luce e imporporata dal sangue dei martiri: essa è la Croce di Cristo che segnerà l’ora del verace risorgimento d’Italia (Scr. 57,160).
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Il socialismo fu tanto potente in Italia quanto come dopo che Giolitti è al potere, mai la insipienza del liberalismo apparve più evidente di oggi, mai la propaganda delle sette antisociali e anticristiane fu più spietata e più turpemente corruttrice del nostro buon popolo. È tempo dunque di svegliarci e di agire concordi. Contro il socialismo, che bugiardamente promette ai popoli un pane che loro non darà, havvi il grande rimedio del Pane che forma l’inesauribile tesoro della nostra Chiesa. Chiunque ha fame si satolli in prima di quel Pane mistico che assopisce le passioni, attua i desideri, doma le concupiscenze il pane, da tenere in forza il corpo, non basta all’uomo: egli ha qualche cosa da soddisfare di più e di migliore a cui da del ventricolo: le moltitudini vogliono pane e fede. È per questo che il socialismo ruinerà, perché considera l’uomo come una bestia e nulla più; se dice di pensare alla della vita non vi parla che di soddisfare non può provvedere le voglie a soddisfare le voglie, non può, non sa provvedere a soddisfare ciò che vi è in noi di più elevato e di più nobile, lo spirito. Ecco perché il popolo si devono schierare nettamente sotto la Croce di Gesù Cristo: ché l’uomo non vive di solo pane perché il pane egli ha qualche cosa da soddisfare di più e di meglio del ventricolo. Il socialismo l’uomo solo come una bestia, e a cui saziare delle voglie, e per questo ruinerà: perché le moltitudini vogliono pane e fede perché il liberalismo che aveva intronato di belle promesse gli orecchi alle genti, non seppe darci altro che tasse miseria, vergogne bancarie fame e piombo il socialismo poi non ha voluto vedere nell’uomo che una bestia e nulla più a cui saziare delle voglie soffoca gli odi e genera la pazienza, la mansuetudine, la fortezza, l’amore, soprattutto l’amore. Poveri ne avrete sempre fra voi, disse il Salvatore: è allucinazione da pazzi il pretendere di bandire la povertà della terra. Né è la povertà che genera il socialismo; questa setta, nemica di Dio e degli uomini, nasce dal sensualismo ed ha nel sensualismo l’ultimo scopo. L’ingiustizia delle classi gaudenti, corrotte dal liberalismo anticristiano, inacerbisce la lotta, in quanto che la povertà, abbandonata dalla borghesia laica, diventa ogni di più pericolosa cliente del socialismo (Scr. 64,270–271).
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Signori la Chiesa ha nemici interni, non bisogna dissimularlo «sono i preti liberali – necessità dell’erezione nel santuario di una scuola di storia ecclesiastico – civile dei tempi moderni. L’astuzia del liberalismo è più fina del serpe: e noi figli della luce... Signori, i liberali bisogna far testa: occhi e non sono ciechi ostinati che non vogliono aprire gli occhi alla luce: obiettano o sognano utopie sul potere temporale dei Papi: perché odiano internamente l’ordine, sono i Giuda ostili al Pontefice, ribelli alla Chiesa scaltrezza volpina. Vuoi essere papale? santo? Avrai odio, inimicizia, persecuzione! siamo energici sostenitori del dominio temporale del Papa: esso è la prima garanzia di pace! (Scr. 64,313).
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Il liberalismo è figlio della massoneria, è la più ipocrita delle sue evoluzioni: il liberale non è in analisi che un massone mascherato da cattolico (Scr. 64,320).
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Ove trionfa il liberalismo, la miseria trionfa, è un vampiro che succia il sangue de’ poveri, turba la coscienza de’ popoli; il liberale è l’uomo che distrugge ciò che Dio ha edificato. Si fonda il diritto sulla forza e sull’utilità; si giustifica i mezzi dal fine. Ov’è la carità di Cristo? filantropia. Lo stato ripudia la Chiesa, ripudia la fede e l’autorità. Che vuole infine? Escludere la religione dalla società, relegarla emancipare la ragione dalla rivelazione divina l’uomo da Dio toglierci ogni privilegio, ogni tutela, avvilirla, ogni rispetto condannato, fulminati dalla Chiesa, sconvolge l’ordine...e trascinano i popoli a perdizione (Scr. 71,6).
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Il liberalismo si propaga e si afferma con il delitto e coll’eccidio; il cattolicesimo con il martirio; quello pretende beneficare l’umanità con il ridurla alla disperazione e all’uso della dinamite; questo la benefica con il fatto dell’unica possibile uguaglianza sulla terra, con la sicurezza delle immortali speranze, con il sangue volontariamente sparso dei suoi fedeli. Il liberalismo educa così i suoi seguaci che dicono di compiere un dovere uccidendo i fratelli con il tradimento; il cattolicesimo fa un dovere a chi lo professa di lasciarsi anche uccidere (Scr. 80,5).
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La parola del Papa è venuta, o giovani, le grandi necessità sociali richiedono l’opera vostra: non siate stranieri al movimento di restaurazione cristiana, che dovrà salvare la società: abbiate l’ideale di tutti gli ideali, che rifulgono sull’anima umana, lavorate nel nome santo di Dio a salute del popolo di Dio! E di fronte alle ultime squadriglie del liberalismo, e di fronte alle turbe socialiste, che si apprestassero a sbarrarvi la strada, agitate, o giovani, la fiaccola della fede e gridate: Avanti, avanti, che Dio è con noi, mostrate che veramente voi siete i cavalieri del sacrificio, dell’onore e del bene (Scr. 87,4).
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Il liberalismo nelle sue leggi, per sostanza mette da parte Dio e quindi la legge naturale e tutte le leggi divine positive della religione. La legge civile, figlia dello stato ateo, va dritta per la via che le piace percorrere; non piega né a destra né a sinistra, non s’arresta avanti ad ostacoli o diritti che la intoppano. Offende il Dogma cattolico, le credenze religiose, offende e lacera la coscienza cattolica con atti da barbaro nordico a chi grida risponde: e si osservi le mie leggi o vi avrò ribelli. E la legge linguaggio dello stato; la si deve osservare... sennò... i processi, le multe, le prigioni e gli esigli... e il patibolo sarà presto cancellato sarà presto l’ultima libertà di coscienza che lascia ai cattolici. Il liberalismo legislatore. Così avvenne in Svizzera e Germania nel 1874. La differenza tra cesarismo pagano ed il liberalismo moderno quello era ben netto e reciso e non parlava ancora di libertà di coscienza; questo è ipocrita in sommo grado ed ha sempre in bocca la libertà di coscienza: ma l’impedisce di prat. [...] i nostri non si parla che di leggi; e di legge [...] e di leggi divine e di Dio. Ah! purtroppo in grazie a questi asini che in Italia s’innalzano da ogni cattedra e da ogni città da una ciurma o feccia di popolino. Alla libertà del pensiero, della coscienza, di religione, di contro noi assistiamo al servaggio delle coscienze e vediamo la persecuzione religiosa riadottata sistematicamente (Scr. 96,20).
Vedi anche: Anticlericalismo, Massoneria, Materialismo, Socialismo, Società.
Libreria Emiliana Editrice
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A Venezia ho acquistata per 300 mila lire la Tipografia e Libreria Emiliana: ho fatto un grande debito. Non ci fu tempo ad interpellarvi; ma fu un buon acquisto e il Patriarca mi ha aiutato, ho potuto dare 100 mila lire subito (Scr. 2,195).
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Per quanto riguarda i due Istituti, non c’è nulla da aggiungere, eccettoché confermarvi che sono contento del lavoro che avete fatto e anch’io vorrei poter trovare L. 50.000 per acquistare l’Emiliana. E chissà che San Girolamo non ci aiuti? Oggi lo prendo come mio particolare Protettore e mi vergogno assai di non averlo fatto prima d’ora: abbiamo presi moralmente prima gli orfani e i suoi orfani che Lui «orphanorum Pater» (Scr. 13,187).
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Quanto alla Tipografia preferivo che si acquistasse l’Emiliana, per ragioni che facilmente comprenderete; prendere gli orfani e prendere la tipografia che porta il nome di San Girolamo Emiliani, orphanorum Pater, mi pareva tanto bello in Domino e una vera benedizione. Prenderne invece una nuova, facendo tutto un debito, senza che abbia già uno scopo come aveva la Emiliana, un personale come la Emiliana, una clientela e un nome come la Emiliana, direi di no, a meno che la Div. Provvidenza intervenga ad aiutarci e a spianarci la strada. Però preghiamo la Madonna (Scr. 13,189–190).
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Quanto al vendere la Libreria Emiliana, vedete se vi conviene: se c’è sempre del passivo, bisognerebbe disfarsene, specie se, dopo tanti anni, non avesse dato gran che d’utili. Mi spiacerebbe che poi sotto quel nome di Emiliana, vendessero libri e figure non Emiliane, perché penso che richiederanno anche di comprare il nome di Emiliana (Scr. 19,244).
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Ieri visitai con don Sterpi la Villa, è veramente una provvidenza di Dio e adattissima. Facilmente concluderemo anche per la tipografia Emiliana e annessa libreria: occorrerebbero L. 130 mila, che non abbiamo, ma chissà che non si possa fare una combinazione. Ora comincia il lavoro. Dio ci aiuterà e la Madonna ci aiuterà (Scr. 20,54).
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Abbiamo acquistata a Venezia una nuova tipografia, la Cooperativa tipografica Veneta, con 7 macchine tra cui una linotype e molti quintali di caratteri. È più grande della Emiliana e potremo impiantare con essa due buone tipografie e portare una bella macchina qui Tutto per L 140.000; di cui 40 mila subito e L 100.000 entro il 1926 (Scr. 23,27).
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Abbiamo acquistata una grande tipografia cattolica per 290 mila lire che stava per cadere in mano di socialisti, mentre porta il nome di un grande santo veneziano, orphanorum pater, S. Girolamo Emiliani. Abbiamo dunque acquistata la Tipografia Emiliana, che sta ancora nella casa del Santo, ed era una tipografia benemerita, più antica delle tipografie salesiane, che distribuiva libri gratuiti per la buona causa. Ma intanto, cresciamo degli operai cristiani e non socialisti (Scr. 33,160).
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Ricevo la vostra proprio oggi che s’è fatto lo strumento di acquisto di questo grande orfanotrofio, dove vi sono tante sante memorie di San Girolamo Emiliani e dove i Padri Somaschi furono fino a una trentina d’anni fa e forse meno, tanto che il loro Superiore gen.le era un orfano di questo orfanotrofio. Qui abbiamo anche già trasportata la Tipografia Emiliana, una delle più antiche e rinomate (Scr. 33,166).
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Poi vado su a Venezia ove acquistai la Tipografia Emiliana per circa trecento mila lire; ho fatto un grande puff. cioè un grande debito, ma per dare un pane onorato a tanti operai cristiani e a molti poveri orfani; confido che la Divina Provvidenza mi aiuterà sempre (Scr. 37,163).
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Ho letto la breve vita di S. Fogliano, ed ho anche potuto consultare, qui a Venezia, il dizionario del Moroni (che è pubblicato da questa tipografia Emiliana, ora divenuta di nostra proprietà, o, meglio, della Divina Provvidenza) e corrisponde perfettamente a quanto è stampato, unito alla figura del Santo (Scr. 41,31).
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Beatissimo Padre, Prostrato ai piedi di v. Santità umilmente espongo che la Divina Provvidenza mi portò ultimamente ad acquistare la rinomata tipografia e libreria Emiliana di Venezia che ancora ricorda il padre degli orfani San Girolamo Emiliani, patrizio Veneziano. A tale acquisto molto fui confortato e agevolato da sua Eminenza il sig. Card. Patriarca il quale mi disse che egli aveva sempre considerata la Emiliana non come una ditta libraria commerciale qualunque, ma come una vera istituzione di propaganda religiosa che tanto e tanto bene aveva fatto onorato Venezia e sarebbe stato ora per lui un vero dolore se fosse caduta, come c’era pericolo, in mano di speculatori e trasformata a tutt’altro scopo. La spesa in verità è stata forte, data la mia povertà perché si è sulle 300 mila lire; ma la Divina Provvidenza avendomi condotto a prendere gli orfanotrofi di Venezia istituiti ab initio da San Girolamo Emiliani, così mi assisterà e mi pareva bello e santo e che la Madonna SS.ma mi conducesse a prendere anche proprio la tipografia Emiliana e che essa così ritornasse a dare lavoro pane onorato a tanti poveri orfanelli, i quali cresceranno così ad onesto vivere cristiano e civile. Ora vengo ad implorare da vostra Santità che voglia degnarsi di fregiare del titolo di Pontificia detta tipografia e libreria Emiliana di Venezia, la quale ha veramente un passato di benemerenza, ma sopra tutto imploro che si degni la Santità vostra di benedire a me, ai miei orfani e al nuovo Istituto tipografico che vado assumere perché possiamo cercando sempre il Regno di Dio e benedica alla tipografia Emiliana onde abbia a mantenere quella impronta e spirito cristiano che sempre la distinse e a diventare una grande officina di lavoro cristiano e un faro di fede per le anime e per il popolo (Scr. 48,25).
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In Venezia – Deo adiuvante – abbiamo quattro fiorenti Istituti: il Manin con scuole professionali, l’orfanotrofio maschile (fondato da San Girolamo Emiliani), l’orfanotrofio al Lido e la tipografia Emiliana, acquistata ultimamente per 300 mila lire, con 9 macchine, che sta nella stessa casa ove San Girolamo Emiliani raccolse i primi orfani (Scr. 48,257).
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I Figli della Divina Provvidenza si recano a grande onore di inviare a vostra Eccellenza Reverendissima un saggio dei libri di religione per le scuole elementari. Essi furono compilati con ogni accuratezza e amore da un distinto sacerdote e sono editi dalle tipografie di Venezia, dell’Istituto Manin e dalla premiata Editrice Emiliana, libreria religiosa molto nota e benemerita, passata ora ai Figli della Divina provvidenza. I nostri libri di testo per l’insegnamento di religione nelle scuole, approvati dalla Rev.ma Curia Patriarcale di Venezia, furono ritenuti degni della maggiore approvazione e lode. La relazione infatti della apposita Commissione Ministeriale per l’esame e la scelta dei libri di testo per l’insegnamento religioso uscita in questi giorni dice: «Soprattutto la Commissione Ministeriale ha ritenuto degno del maggior consenso il testo redatto dall’Istituto dei Figli della Divina Provvidenza, diretto dai Padri di don Orione, ossia Fede e Vita». Letture di religione per le scuole d’Italia, secondo i programmi governativi, vol 6, Venezia, Tipografia Manin. (erroneamente i giornali hanno pubblicato Mancini; la Tipografia Mancini, non esiste, è la nostra scuola Tipografica Manin). E la relazione continua: «È parsa la migliore delle pubblicazioni presentate e risponde sostanzialmente alla previsione dei programmi. La veste tipografica è ottima; le numerose illustrazioni, tolte da opere di buoni autori, sono stampate finemente su carta patinata. Il dettato è chiaro, sobrio ed efficace. L’autore sente profondamente ciò che scrive» (Scr. 53,28).
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In testa a Maria Vittoria intendo mettere la Tipografia Emiliana che ho acquistata già con compromesso per lire 120.000 centoventimila; io ho fatto un grosso abito con una Banca, ma la tipografia sarà subito pagata in lire 100.000, restandone da pagarsi lire 20.000 (Scr. 65,203).
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La Premiata Tipografia Emiliana, fornita d’altro materiale e di nuova Linotype, è già passata all’ex Orfanotrofio: essa fa parte dell’Istituto Professionale Emiliani (vi si accede da Rio Terra Antonio Foscarini avanti alle Scuole di dei Cavanis) scendendo al pontile dell’Accademia) Saremo grati di ogni buon giovane che ci verrà affidato, come pure di ogni lavoro che la Signoria Vostra vorrà commissionare alle nostre Scuole ed Officine: il lavoro è istruzione e pane pei nostri artigianelli ai quali vogliamo usare tutte le facilitazioni possibili, tutte le cure paterne. Grandi sono i sacrifici che per l’acquisto e l’impianto di questo Istituto abbiamo fatto e ci dà l’animo di farne altri, sostenendoci la fede in Dio e l’appoggio dei buoni veneziani di tutti che sentono di dovere fare qualche cosa per concorrere a ricostruire la nazione, cominciando dal provvedere e istruire i figli del popolo, specie gli orfani e derelitti, indirizzandoli al lavoro e ad un avvenire onorato (Scr. 95,133).
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Ci rechiamo ad onore di portare a conoscenza della Sig.ria Vostra che la Scuola Tipografica dell’Istituto Manin, (a Lista di Spagna in Venezia), unitamente alla Premiata Libreria Editrice Emiliana (Accademia Zattere pure Venezia) hanno di questi giorni pubblicato i nuovi Libri di Testo per l’insegnamento della Religione nelle Scuole Primarie del Regno, in Manualetti di poco costo, distinti secondo le singole Classi Elementari (Scr. 109,218).
Vedi anche: Libri, Tipografia San Giuseppe.
Libri
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Ho letto e riletto la lettera del chierico Pagella: buoni sentimenti, ma che peccato ch’egli scriva l’italiano come un barbaro! Ma prenda la storia d’Italia di don Bosco, le Mie Prigioni del Pellico, il Cuore del De Amicis, il Manzoni e legga li: legga e rilegga! e rilegga ancora e si formerà un altro stile, semplice semplice leggibile e potrà fare del bene. Nei libri accennati, in alcuni ci sono frasi pericolose, ma egli se ne guardi e così il «Cuore» è naturalismo, stia sull’attenti (Scr. 2,208).
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Alla Moffa (in alcune camere e alla portata di mano, ci sono libri non buoni: libri pericolosi di pregio bibliograficamente, ma molto pericolosi. Lui deve essere tenuto lontano da quei libri: abbia solo libri di studio e per la scuola (Scr. 3,329).
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Carissimi miei figlioli, Vi raccomando ancora di non divagarvi a leggere libri, siano pur buoni, ma che direttamente non vi aprano il cuore ad amare e servire Dio e a profittare dei Santi Esercizi Spi.li. Non tutti i buoni libri sono buoni durante i Santi Esercizi (Scr. 3,378).
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Da quelli che vengono avrei bisogno che mi mandaste un po’ di libri buoni: ad es. i volumi sui Sacramenti e Liturgia del Card. Schuster, credo siano 8 volumi. Gli atti del Congresso sull’Unità della Chiesa (un bel volume, slegato) tenutosi a Milano un sei o sette anni fa. I Volumi sugli Atti dei Congressi Cattolici, dell’Opera dei Congressi, sono parecchi, c’è scritto su quasi tutti, in stampatello, il nome di don Carlo Perosi. Questi libri sono tutti in Casa, a Tortona. L’Opera del Bonomelli Dio Gesù Cr. Chiesa è in un volume o in tre volumetti. Già me l’avevate mandato, ma lo prestai e non mi è più possibile riaverlo. E poi, se trovate libri che voi capite che mi possono servire, mandatemeli: io sono partito senza libri. Anche Il giovane Studente del Bonomelli è buono. Vedete che alla Biblioteca della Casa di Voghera vi sono opere buone, io, quando andavo là entro, ci morivo sopra (Scr. 19,52).
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Venendo i chierici don Sterpi mi mandi un baule di libri buoni, quelli che lui capisce: qui sono senza libri. Mi mandi una Bibbia intera tradotta, il Butler, le lettere di D. Bosco, di D. Rua, di don Albera, di don Rinaldi. I libri di P. Semeria già chiesti, tutti (Scr. 22,207).
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Per i libri non mi rivolgo a don Sterpi perché lo so già troppo aggravato di lavoro e di pensieri: me lo farai tu questo piacere: mandamene tanti e buoni e se un baule grosso non basta, mandamene due. Cosa fanno in biblioteca i libri? Bisogna adoprarli e che non ammuffiscano (Scr. 23,226).
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La lettura a tavola deve essere di libri non voluminosi e non direttamente di pietà; ma non sciocchi non aridi di Dio, tutt’altro! Tu preparane adesso una collezione per tutto l’anno. Devono possibilmente essere della Tipografia Salesiana: non libri di ragionamento, ma di dilettevole e cristiana istruzione e che tengano lieto e sollevato lo spirito. Così la scoperta dell’America di Cristoforo Colombo La vocazione tradita del Viglietti vita di collegio, la Vita di don Bosco del D’Epiney (Anche alcuni racconti mensili del Cuore di De Amicis si possono fare leggere in refettorio), morale e Storia del Martinengo (non tutto, ma c’è del buono). Pio VII a Savona del Martinengo (Variando) In camerata, invece, devono essere brevi vite di giovanetti pii o santi, i Fioretti stessi di San Francesco: libri più imbevuti di pietà e che conducono lo spirito al Signore e alla virtù (Scr. 26,6).
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So che codesti nostri di V sono piuttosto debolucci in italiano e per questo mi parrebbe che la lettura del Carducci sarà pane troppo duro pei loro denti e di effetto troppo forte su dei nervi ancora troppo deboli. Letture, facili, letture facili e presto assimilabili, ci vogliono: sono bambini in italiano! (E, forse, lo devono essere un po’ in tutto). Spero avrete alla Moffa libri adatti, ma te ne suggerisco alcuni, così come mi vengono in mente. «Fior da fiore» antologia del Pascoli «Cuore» del De Amicis «Il bel Paese» Stoppani; ma le pagine (non sono poi molte) ove parla della geologia un po’ troppo scientificamente, (fu lui, lo Stoppani a fare della geologia una scienza), si saltino a piè pari. «Le Mie Prigioni» e «I doveri degli uomini» del Pellico. «Un autunno in Oriente» «Un autunno in Occidente» del Bonomelli «Buon senso e buon cuore» del Cantù «La Vita di don Bosco» del Crispolti «L’età preziosa» di Emilio de Marchi. La parte di IV e di V, dell’antologia del mio compagno Zublena. L’antologia del Martina. Sono letture adatte a codesti figlioli, cioè di facile intelligenza e assimilazione. Non già che io non approvi tutti i sentimenti, le idee, i principi, che in alcuni di questi libri sono esposti o sottilmente diffusi, no, mai! Ma tu stesso potrai prevenire i tuoi giovani sul naturalismo che vi incontreranno, o su principi poco sicuri o affatto errati sparsi in questo o in quell’autore imbevuto di liberalismo, perché parecchi sono stati avvelenati pur essi dalla scuola laica o semi–credente, come ad esempio il De Marchi, il De Amicis (Scr. 26,169).
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L’ultima volta che sono stato lì devo avere dimenticato due libri che non sono miei e che dovrei restituire d’urgenza: I Un libretto assai piccolo, legato: è la Regola di San Francesco e le Costituzioni dei Cappuccini. 2° Lo Specchio di perfezione, che parla di San Francesco d’Assisi e racconta i fatti del Santo e dei primi francescani. Fammi il piacere, cercameli subito e mandameli da qualcuno dei sacerdoti che ritornano, ma, appena li hai trovati, fammi un telegramma (Scr. 29,279).
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Ho mandato nove cassette di libri a Sant’Alberto, (e ce ne sono di veramente buoni) e sto mettendone a parte altri ancora, per fare lassù una bibliotechina, sì che chi va trovi, anche nei libri, dei buoni amici. Non sono molti giorni che ci feci una corsa con il Conte Ravano, per vedere a che punto sono i lavori degli scaffali e non sarei più venuto via. Quanta pace! (Scr. 45,246).
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Ho bisogno di libri: non posso fare spese. Anzi non le devo fare, se qua e là nelle nostre case posso trovare copie degli Autori che sono adottati nei corsi di studi aperti qui. Ti mando alcuni elenchi di libri. Interesso il tuo zelo e l’amore tuo alla Congregazione perché con ogni cortese sollecitudine tu veda diligentemente se ti è dato trovare costà copie dei libri in elenco. Incaricane anche qualche confratello, ma di quelli positivi, di quelli cioè bene animati, di quelli che non somigliano a quel Frate mosca di cui parlava già San Francesco d’Assisi fin dai suoi tempi: sia di quelli che non stanno nelle Case a speculare sulla Divina Provvidenza, ad imbarazzare chi fa: negativi sempre, positivi, in Domino, mai! No, via i frati mosca! Me li mandi subito i libri che trovi; comunque, mi scrivi (Scr. 52,45).
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Si usi molta diligenza per tener lontano dagli allievi ogni sorta di giornali e di libri cattivi o pericolosi. 7° Non si consigli mai la lettura di romanzi di qualsiasi genere, né si dia comodità di procurarsene alcuno. Il caso di bisogno si abbia riguardo di procurarne le edizioni purgate. 8° Si vegli attentamente pei libri di premio e a ciò a fine di essere più sicuri che non contengano massime contrarie alla moralità ed alla religione (Scr. 108,189).
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Mando Fedele, perché desidero vivamente che per il 2 novembre sia aperto il Negozio dei libri, tutt’al più per il 4 novembre a sera vengo a benedirlo. San Carlo! Anche cominciare con quattro cavalletti e sopra quattro asce e poi su un cumolo di libri scolastici, presi in deposito. E poi libri di religione. E immaginette sacre (Scr. 115,93).
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In certi monasteri ci sono delle Religiose che hanno delle collezioni di libri – collezione vuol dire raccolta; – hanno libri di mistica alta: noi altri, straccioni, di mistica non ne capiamo proprio niente. Quelle hanno i libri di San Giovanni della Croce, di Santa Teresa di Gesù e molti altri libri; ma alla Santa Regola non ci tengono (Par. I,142).
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Desidero che nelle varie Case vi sia una bibliotechina per le ragazze: libri sani e onesti, non vite di santi, ma libri di svago, che piacciono alla gioventù. Nella Casa di San Sebastiano c’è e ne sono proprio contento; funziona bene e serve ad attirare la gioventù (Par. I,242).
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Letture: Togliere i libri che hanno qualche cosa che una madre cristiana non lascerebbe leggere. Letture collettive: In refettorio libri lieti. Campana di don Ciccio. Non vite di Santi. Qualche articolo di giornale specie le relazioni delle opere di carità, promosse dalla Santa Sede. In un refettorio si leggerà la storia delle piante di Linneo. In camerata una lettura che lasci un buon pensiero. Vita di Domenico Savio, di giovani e non di frati. Letture personali: procurare libri buoni, dobbiamo procurare una corrente d’affetto tra noi e i ragazzi, non si legga troppo (Par. III,38).
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Chiudiamo questo giorno, in cui celebriamo la festa di San Raffaele Arcangelo, ricordando il libro di Tobia. Leggetelo, questo libro, almeno due volte; vi farà del bene. Leggete pure e imparate a memoria i Santi Vangeli, le Lettere degli Apostoli e anche alcuni Libri del vecchio Testamento, specialmente l’Ecclesiaste. Con la lettura di questi Libri il vostro cuore si formerà a sentimenti di bontà, di umiltà, di verità, sentimenti tutti che debbono informare tutta la vita di un Figlio della Divina Provvidenza (Par. V,260).
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Per i libri non mi rivolgo a don Sterpi perché lo so già troppo aggravato di lavoro e di pensieri: me lo farai tu questo piacere: mandamene tanti e buoni e se un baule grosso non basta, mandamene due. Cosa fanno in biblioteca i libri? Bisogna adoprarli e che non ammuffiscano (Par. VI,222).
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Quando la lettura dei libri è buona. Primo: Non si devono leggere libri che possono disonorare, libri cattivi: cioè non si debbono leggere libri che non si leggerebbero sotto i miei occhi! Secondo: Non si devono leggere libri di cui non si è avuto la licenza del Superiore, fossero anche buoni, libri cioè che non hanno il timbro della Casa. Terzo: Non si devono leggere libri che fanno perdere il tempo! (Par. VIII,16).
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Non è molto tempo che io ordinavo l’ispezione dei vostri libri... e per quello c’è stata abbastanza mormorazione per la Casa... Poi un chierico venne da me e mi chiese quali libri potesse leggere: E allora – disse – quali libri si possono leggere? I libri da leggersi sono quelli che si possono leggere davanti a don Orione, a voce alta e guardandolo in faccia! (Par. VIII,117).
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Adesso vorrei fare una incetta di quadri e di libri vecchi. A Venezia una volta ho comprato una Biblioteca intera per 7 mila lire, perché ho visto che lì dentro c’era un Petrarca di pregio. Non gli ho chiesto solo il Petrarca, avete capito?, perché se no mangiava la foglia e poteva sospettare che esso avesse qualche valore; così ho comperato tutto per avere il Petrarca. Faremo poi al Santuario una vera Pinacoteca e una Biblioteca di libri rari (Par. VIII,121).
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Come il corpo mangia così il giovane è tratto a bere e ciò che si legge rimane e fa un gran male, quando ciò che si legge rimane, è un avvelenamento dello spirito... Come il veleno porta la morte nella vita fisica, così il veleno delle cattive letture dà la morte allo spirito, alla vita dell’anima. Fa più male un libro cattivo che un compagno cattivo: molto, molto più. Guardatevi dalle cattive letture. Lo raccomandavano anche gli antichi che non erano cristiani. Anche Platone, il grande filosofo, che morì nel 347 prima di Cristo e quindi non era cristiano, scrisse pagine bellissime contro i libri cattivi, contro le letture profane, contro i libri cattivi. E Platone dice che non solo si dovevano bruciare i libri cattivi, ma anche gli autori dei libri cattivi (Par. VIII,145).
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Don Bosco volle negli ultimi anni che anche i collegiali dessero la nota dei libri che avevano presso di sé e toglieva, dalle mani dei suoi giovani e dei suoi chierici, tutti quei libri che, in qualche modo, potessero essere un ostacolo alla virtù e alla morale, che contenessero principi storti e delle idee guaste... E questo si fa anche in Seminario di Tortona: si consegna la nota dei libri. I libri poi vengono timbrati e il timbro porta le parole: Deus scientiarum Dominus. Certamente voi desiderate che il vostro Superiore, a questa età, segua le orme di tanto maestro, di don Bosco. Ad evitare dispiaceri a me, a don Sterpi, ai vostri Superiori e ad evitare a voi dispiaceri non meno gravi e a togliere, da principio, ogni mala tentazione, tutti consegnerete a me personalmente, entro la sera di domenica, la nota dei vostri libri che saranno poi timbrati. E perché sappiate tutti qual è il mio pensiero e il mio intendimento, vi dico che, se si troverà qualcuno che avrà poi dei libri senza il timbro, quel tale sarà espulso dalla congregazione. Tanti vostri compagni furono espulsi, perché leggevano e tenevano libri non buoni! Don Bosco non raccomandava così insistentemente altra cosa ai suoi Salesiani quanto il vigilare sulle cattive letture. I giovani oggi, vengono su in un clima guasto; ora nelle famiglie, non c’è più la severità dei cristiani di una volta. I giovani, fin da ragazzi, ora sono allettati dallo spirito di libertà e dai cinematografi e vengono, per la leggerezza propria della loro età, già non portata al bene, vengono ad avere una grande smania di leggere romanzi. E quello che dico della leggerezza dei giovani lo dico anche di qualche chierico; ho rilevato in qualcuno questa leggerezza e, più che leggerezza, smania morbosa di gettarsi su qualunque libro e di pascersi anche di morbosità. Tutti i libri che non edificano a virtù, ad onestà, a religione, non si devono leggere. Purtroppo ho avuto la pena di sapere che, in nostri Istituti, sono penetrati e sono stati tollerati libri e scritti di autori tutt’altro che maestri di virtù, di religione e di morale, ed ho disposto perché qualche insegnante venisse licenziato, affinché non li entusiasmi troppo per autori poco sicuri sulla morale. Quando sarete negli Istituti e vi domanderanno: E quali libri si possono leggere? Tenete questa regola: si possono leggere quei libri soltanto che risultano di avere l’approvazione della Chiesa e quei libri che a voce alta, a fronte alta, leggereste davanti a vostra madre, se è una buona donna e davanti a don Orione. Quello che, davanti a me non vi sentireste di leggerlo, è segno che non dovete leggerlo! (Par. IX,457).
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Ogni Casa abbia il bollo proprio sui libri e carte. Quella Casa che ha i libri di altre Case, li rimandi subito alla fine dell’anno Le case che hanno libri che non occorrono, li mandino a Tortona (Riun. 16 agosto 1913).
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Attenti ai libri nuovi. Quando si può scusare non si faccia compra di nuovi autori. Voi altri professori andate adagio a bere a tutte le sorgenti. Tengo a Tortona un professor di scienza distintissimo che durante la guerra faceva i gas lacrimogeni e per avvelenamento di gas si è ridotto a diventar stupido. Come avviene dei veleni materiali, così avviene dei veleni intellettuali e spirituali. Fui incaricato di avvicinare Ernesto Buonaiuti. Si è buttato su tutti quei libracci che gli hanno avvelenato il sangue. Se Buonaiuti verrà di nuovo all’ovile per mezzo di questo ponte sarà un vero miracolo. Voi non avete assistito alla crisi di un folle gruppo di studiosi. Semeria è uno di quelli. Minocchi... Buonaiuti... Perché Murri si è perduto? Perché altri? Perché si sono gettati su tutti i libri senza avere studiato bene in precedenza la dottrina cattolica. Perché il Papa ha proibito che i Chierici fossero iscritti alle Università laiche prima di avere studiato bene la teologia?... Perché finalmente si è capito che si doveva impedire che si andasse a bere a fonti avvelenate... Perché l’Università Cattolica?... Per impedire che tanti giovani vadano a turbarsi l’intelligenza. Abbiamo certi uomini di alta cultura che sono fuori strada perché hanno assorbito il veleno di tante scuole filosofiche prima di aver bevuto alla fonte pura della filosofia cattolica. Scusate ma io sono uno che di natura sono portato a scrostare e non ad intonacare. Quei libri dove il Boccaccio e l’Ariosto celebrano il trionfo delle passioni disoneste non si possono lasciare nelle mani dei Chierici... Forse e non sempre, si possono permettere ai preti che insegnano. Ordino ad ogni Direttore di Casa di fare una visita accurata ai libri, alla biblioteca (Riun. 31 agosto 1938).
Vedi anche: Lettura a tavola, Lettura spirituale.
Liturgia delle Ore
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Si vada più adagio nella recita delle ore, e quelle che non si possono dire in tempo di Messa si dicano dopo Messa; ma non strapazzate l’ufficiatura, né la mattina né al dopo pranzo: piuttosto non si dica (Scr. 2,55).
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Mantenete un silenzio assoluto, e fate tacere la fantasia, che è la pazza di casa. Dite l’Ufficio divino adagio e con viva devozione Siate avidi della parola di Dio, e sia vostra vita (Scr. 3,526).
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Vi prego di insistere che l’Ufficiatura si dica bene tanto dai piccoli che dai grandi, con molta calma e devozione molta (Scr. 12,139).
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Sono ben contento che andiate con il Visitatore in Polonia: portatevi il breviario così lo potrete recitare con lui e vi sarà di grande conforto allo spirito, poiché i benedettini recitano l’Ufficio molto bene (Scr. 19,202).
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Ho bisogno di preghiere, di preghiere, di preghiere! Io ora prego di qui e dico tutto l’Ufficio prima delle 8 del mattino per riparare e fortificarmi nello spirito (Scr. 21,101).
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Amerei che il breviario ed ogni altra pratica di pietà, cominciando dalla meditazione, la faceste insieme tutti e tre, e sempre, e anche un po’ di lettura a tavola. E così deste forma di vita religiosa alla canonica (Scr. 24,72).
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La recita del divino Ufficio, diviso espressamente nelle diverse ore del giorno, è come un principio di quella adorazione e di quella lode perenne che dovremo eternamente continuare nel Cielo. La principale vocazione di noi sacerdoti è di adorare e glorificare Dio: tu incominci appunto ad essere addetto a questa lode e glorificazione continua che il Signore vuole da noi suoi servi sulla terra e in Paradiso. Noi preti offriamo a Dio l’Ostia santa, pura, immacolata: tu cominci coll’Ufficio ad offrire al Signore l’Ostia delle tue labbra: tibi sacrificabo hostiam laudis! (Scr. 25,2).
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Mandami subito in plico raccomandato la parte d’inverno del breviario, perché la possa portare con me all’Argentina, poiché quella che ho va solo fino al 26 novembre, ed io, se appena posso, voglio dirmi l’ufficio (Scr. 26,125).
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Raccomanda che nel dire l’ufficio che tutti vadano adagio, a voce non troppo alta e recitino devotamente e con pietà (Scr. 30,228).
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L’Ufficio divino lo recito in due volte con don Orlandi: Mattutino e Lodi nel pomeriggio: le Ore, Vespro e Compieta tutto al mattino, subito dopo la meditazione, valendomi di certa concessione, così resto tranquillo, e lo diciamo in cappella, coram Sanctissimo (Scr. 34,116).
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Bisogna che don Contardi affretti il suo ritorno, per ripartire immediatamente, con il crocifisso, con il suo breviario e con i Santi Evangeli, da vero e proprio missionario (Scr. 51,245).
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Hai una guida spirituale? Hai un buon confessore? Dici le tue preghiere, fai la meditazione? Dici bene il Breviario? E il Rosario lo dici? Se non ti sentissi bene a posto, non perderti d’animo, figlio mio, ma rimettiti a pregare e mettiti nelle mani della Madonna benedetta (Scr. 54,21).
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Ci siamo ritirati in quella povera Chiesa abbandonata e abbiamo recitato il breviario insieme. In quella Chiesa io l’avevo recitato altre volte, né mai avevo sentito, neanche nella Basilica di San Pietro in Roma, tanta fede, tanta emozione come in quella spelonca (Scr. 66,397).
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Il Santo Padre mi ha dato il permesso di dirmi tutto il breviario alla mattina perché dopo mi stanco presto e non lo potrei più dire (Scr. 67,44).
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Non sono molte settimane che ho mandato via un Sacerdote perché faceva il frate mosca. Mi disse che quando aveva detto la Messa e l’Ufficio credeva d’aver fatto tutto il suo dovere. Ed io gli ho risposto che qui da noi non bastava dire la Messa ed il Santo Ufficio, bisognava fare altro, lavorare, guadagnarsi il pane con il lavoro. E quel Sacerdote, a cui il lavoro dispiaceva, ha preferito andarsene (Par. III,9).
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L’ufficio si dica assieme se si può. Dove sono due in mio nome ivi sarò io... Breviario uguale, preghiera ufficiale. Il ven. Cafasso trovava nel Breviario le espressioni più sentite. Il ven. Cottolengo aveva segnato un’ora a questo scopo e accendeva due candele (Par. III,36).
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I Sacerdoti nella recita del divino Ufficio, o meglio, la Chiesa nella sua Liturgia, fa recitare ai suoi Sacerdoti una preghiera che apre il cuore alle più belle e più dolci speranze (Par. V,34c).
Vedi anche: Costituzioni (FDP e PSMC), Esercizi spirituali, Preghiera.
Lotteria
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La sera della mia partenza da Roma vennero a trovarmi due Signori, certo sig. Proja, che fu già Redattore dell’Osservatore Romano. E un altro, certo? (non ricordo il nome), figlio d’un Comandante della Guardia Palatina. Essi mi proposero un affare: Il lancio di una lotteria internazionale a favore dell’Opera della Div. Provv.za; mi avrebbero dato subito tre milioni, più un dividendo su ogni biglietto emesso. Non dissero quanto. Di tutti i biglietti sarebbe rimasta la matrice a nostre mani. Mi parve un’americanata, se non una truffa o gioco all’americana. Troppa grazia Sant’Antonio! Mi assicurarono che io non avrei dovuto assumere nessuna responsabilità. Li ho sentiti e poi ho detto loro: la mia Congregazione non mi pare che possa lanciare il suo nome in un affare simile, se non c’è il placet della S. Sede. Al Comm.r Avv.to Proja, (così si firmò, ed ora, invece, mi risulta che Avvocato non è) ho detto: Lei che conosce tanto il Card. Segretario di Stato, (così diceva) vada Lei a parlargli, se la S. Sede crede sia cosa da potersi fare. Poi li ho indirizzati dal Comm.r Possenti mio amico, perché egli li sentisse bene (Scr. 5,356–357).
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In merito alla domanda di promuovere la Lotteria a favore delle Feste di Maria Ausiliatrice con la dicitura «pro Opere di don Orione» sono ben lieto che si faccia così, allo scopo di non pagare il 20% sul ricavo. Io rinuncio fin d’ora a tutto, cioè non intendo di prendere per l’Opera neanche un centesimo; anzi farò il dono, a nome dell’Opera della Div. Provv.za per la Lotteria; e interesserò certe Signore di Roma, che conosco ad acquistare biglietti; però chiedo che quello che già, del resto, il benemerito Comitato mi scrivi che ha stabilito, di dare cioè il terzo per le campane, sia realmente mantenuto (Scr. 7,290).
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Non mi dilungo affatto a parlarvi della famosa Lotteria perché io stesso non ci credo ancora, quantunque in questi giorni si sia lavorato tanto (Scr. 16,34).
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Avvisa il panettiere per il pane; noi con il carretto da Tortona ne portiamo su 80 chili. Portiamo su un quintale di riso, una damigiana di olio; oggetti per la lotteria: una cassa di scatole di carne. Portiamo su i numeri della lotteria: portiamo su oggetti religiosi, ma per le cartoline di S. Alberto non si è fatto a tempo (Scr. 30,191).
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Dare più vita ad una buona biblioteca per le buone letture, promuovere trattenimenti, passeggiate, lotterie o fiere di beneficenza, a scopo pio: dare anche lezioni di musica etc.; ma non prendervi – per ora – delle ragazze estranee in casa; quando ci sarà altro locale, allora vedremo (Scr. 39,78).
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Dire a Mons. Vescovo di nominare una Commissione amministrativa per il Tempio votivo, come ella mi suggerisce, nol posso, per una e mille ragioni. Già ho detto perché non si parla più della lotteria, ché tutti ci si fa la più brutta figura, tanto che alcuno si crede fin truffato. E per questo ci fu chi se n’ebbe a male. Eppure è una lagnanza generale e ne verrà danno alla religione e alla buona causa del Tempio votivo, se sta benedetta lotteria pro Tempio non si estrarrà con qualche sollecitudine (Scr. 40,165).
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La signoria vostra già saprà che per le feste della Guardia in Tortona, a sopperire alle spese e per pagare i debiti del nuovo Santuario si è soliti promuovere, con l’aiuto di cuori generosi, un grande Banco di beneficenza, una specie di lotteria per la Madonna della Guardia. La festa della Guardia è diventata, ormai, la festa più sentita della popolazione tortonese e moltissima gente vi accorre, anche da paesi vicini e lontani. Oso, pertanto, rivolgermi alla signoria vostra, pregandola di un qualche suo dono, per amore della Madonna, che serva a far onore al nostro banco e anche di réclame alla spettabile sua fitta o negozio, poiché il concorso al bel Santuario sarà eccezionale e le feste veramente grandiose (Scr. 52,235).
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Un gruppo di finanzieri americani con a capo il Col. Smith ha offerto una lotteria all’Opera da me diretta, da emettersi nell’America del Sud. Le condizioni che mi sono state offerte mi parvero tali che non dovessi senz’altro respingere la proposta. Dopo averci riflettuto in Domino e pregato, ho investito della questione per la parte legale anche l’On.le Conte Santucci, che l’ha esaminata attentamente, approvandola. Nello studio dello stesso Onor.le Santucci venne redatta la lettera di risposta al gruppo Smith, lettera che ho l’onore di accludere. Sento il dovere di informarne Vostra Eminenza, non per chiedere un’autorizzazione che possa comunque implicare responsabilità della S. Sede, ma unicamente per compiere un atto di necessaria e profonda sottomissione con la lusinga che la cosa non riesca sgradita a Vostra Eminenza Rev.ma (Scr. 67,225).
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La Piccola Opera Della Divina Provvidenza La ringrazia a mio mezzo, della proposta di una Lotteria Internazionale a favore della stessa “Piccola Opera Divina Provvidenza” da me diretta; Lotteria da emettersi nell’America del Sud. Nella S. V. intendo di ringraziare il Gruppo di finanzieri americani da Lei rappresentato. Serve la presente per aderire alle richieste che il gruppo finanziario da Lei rappresentato mi ha rivolto, perché sia autorizzato ad organizzare una lotteria a favore della Piccola Opera della Divina Provvidenza di don Orione, purché esso adempia alle seguenti condizioni: 1) Che, come le dissi fin dal primo momento, volendo io essere, vivo e morto, figlio umile e devoto della Santa Chiesa Cattolica Apostolica e Romana, nulla si faccia che non sia secondo la dottrina e morale Cattolica e anche sia accettata con piena adesione e docilità qualunque osservazione circa il modo di esecuzione potesse venire dalle Autorità Ecclesiastiche. 2) Che il Gruppo e il Comitato organizzatore non siano esponenti ed emissari di confessioni religiose od associazioni contrarie alla Religione Cattolica. 3) Che il Gruppo e il Comitato organizzatore si impegnino a non usare in nessun modo della pubblicità e réclame che siano in contraddizione con lo spirito che anima la Piccola Opera della Divina Provvidenza, o che non sia consona al sentimento religioso e cattolico che la ispira e la informa. Che non sia mai ed in alcun modo richiamato o fatto uso per nessun motivo del nome e dell’Autorità della Santa Sede, come dei Suoi legittimi rappresentanti di ogni grado, essendo la S. Sede completamente estranea alla presente adesione, né‚ potendone in alcun modo assumerne responsabilità, qualsiasi. 4) Che la Lotteria sia organizzata a cura e responsabilità esclusiva del gruppo finanziario di cui Ella è l’esponente e che risulti perfettamente chiaro in ogni biglietto, atto, manifesto, ed in qualsiasi altro documento che la Piccola Opera della Divina Provvidenza, non ha ingerenza alcuna nella organizzazione economica della Lotteria e che quindi essa non assume né può assumere alcuna responsabilità degli impegni di qualsiasi genere che il Gruppo va ad assumere. Il Gruppo inoltre deve assumere a suo carico esclusivo ogni onere, spesa, tasse, obbligo e formalità richieste dalle legislazioni dei vari Stati in cui la Lotteria sarà bandita e deve nel più ampio modo rilevare e garantire la Piccola Opera e il Suo Direttore da ogni e qualsiasi responsabilità in cui il Gruppo dovesse incorrere per la inosservanza di detti obblighi. 5) Quanto all’offerta che il Gruppo ha proposto essa viene accettata alle precise condizioni sopra formulate e dovrà essere depositata in vaglia della Banca d’Italia nell’esatto ammontare concordato, senza alcun peso ed esente da ogni tassa, a nome ed a favore del Sac. Luigi Orione fu Vittorio di Pontecurone (Prov. Alessandria) presso un Istituto bancario da designarsi dove potrà essere dallo stesso Sacerdote Luigi Orione liberamente utilizzata. Tale offerta non potrà essere più per alcuna ragione ripetuta o richiesta indietro né in tutto né in parte. 6) Si intende che se l’offerta suaccennata non verrà effettuata entro il trenta giugno prossimo venturo termine al massimo prorogabile per riconosciuti motivi di forza maggiore sia fino al trentuno luglio millenovecentoventisei, diversamente il presente consenso non ha più alcun valore e si intenderà revocato. 7) Qualunque difficoltà potesse sorgere nel corso della Lotteria, il Comitato organizzatore di essa per nessun motivo potrà rivolgersi al Sac. Luigi Orione od a chi per esso e nulla potrà mai ripetere da lui. 8) La Lotteria dovrà compiersi ed esaurirsi in un periodo massimo di diciotto mesi a partire dal giorno in cui dovrà essere versata l’offerta. 9) Prima che la Lotteria sia organizzata e bandita dovrò avere i nomi e le referenze dei componenti il Gruppo responsabile e conferma delle condizioni che ho posto; a cui subordino in modo assoluto la mia adesione. Unisco foglio con notizie sulle finalità e principali Case tenute dalla Piccola Opera della Divina Provvidenza (Scr. 78,110–112).
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Per la festa della Guardia, Domenica 29 agosto, fu preparata in San Bernardino una lotteria ricca di preziosi doni, allo scopo di erigere il Nuovo Santuario Votivo alla Madonna della Guardia Siamo certi che i Tortonesi vorranno generosamente concorrere (Scr. 91,154).
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Per la Lotteria pro Madonna Guardia. Ad esempio. Le Donne Cattoliche del Circolo di Santa Maria Canale hanno donato circa quattrocento oggetti per la nostra Lotteria. Vivissimi ringraziamenti. N. Signora della Guardia Le ricompensi largamente con molte e molte grazie. La Sig.na Serra Santina ha donato spazzole, scatole di lucido, etc. Gesù la conforti e benedica! Sono incaricate per la raccolta degli oggetti un gruppo di ottime Signore e Signorine Raccomandiamo vivamente a tutte le anime devote della Madonna della Guardia e ai cuori generosi dei Tortonesi di voler fare buona accoglienza al Comitato pro Guardia e alle Zelatrici della Lotteria e di rimandarcele cariche di molti e bei doni (Scr. 91,164).
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La Spett.le Ditta Orsi di Tortona ha fatto dono a don Orione di una nuova bellissima pressa–foraggi: si lancerà una lotteria a beneficio dei poveri (Scr. 94,90).
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Bisogna lanciare un appello sul giornale di una lotteria o banco di beneficenza pro lavori dell’Istituto: fatevi coraggio! Poi mandare una Circolaretta e raccogliere molto bei doni. Vedete che qualche cosa si farà (Scr. 103,248).
Vedi anche: Divina Provvidenza, Benefattori.
Lourdes
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La prima Casa dei Missionari fu inaugurata l’11 di febbraio, festa della Apparizione della Immacolata a Lourdes e si chiamerà anche quella: la Casa della Immacolata come il nostro Noviziato (Scr. 2,77).
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Viano è sempre gravissimo e in pericolo di morte benché non imminente. Conosce ad intervalli, il rimanente vaneggia e canta vaneggiando. Ho fatto voto alla Madonna di condurlo a Lourdes; se la Madonna me lo guarirà; medicamente parlando, di speranze non c’è che un filo invisibile (Scr. 2,162).
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Alvigini va un po’ meglio, ma già umanamente è perduto. Ho fatto voto di dare L. 1000 alla Consolata e mandarlo a Lourdes a ringraziare la Madonna (Scr. 10,13).
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Oggi è il 50mo anniversario dell’apparizione dell’Immacolata a Lourdes, sono venuto su e appositamente andato là a pregare un po’ in quelle camerette affinché la Madonna SS.ma mantenga puri e santi i figli che vi abitano (Scr. 10,187).
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Il Conte ha passato una notte buona: noto un miglioramento per quanto leggero. Favorite darne notizia alla sua nipote. Egli sopporta la malattia con molta rassegnazione cristiana. Il Santo Padre gli mandò una bella benedizione con voti di guarigione. Anche stamattina gli ho detto la Messa in camera; fa la Comunione ogni mattina con molta devozione. Stamattina gli ho dato un altro po’ di acqua della Madonna di Lourdes (Scr. 15,125).
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Io passerò presto a Genova e gradirò l’acqua della grotta di Lourdes, come ho gradito le preghiere e la cartolina che mi è stata inviata (Scr. 27,83).
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Dirai al nostro caro malato che io l’ho sempre presente e che sarei già venuto se gravissimi impegni non mi legassero qui e non mi obbligassero a correre qua e là. Dio solo sa la pena che sento di non poter venire. Assicuralo che tutti preghiamo per lui e che gli porterò un po’ d’acqua di Lourdes, dove fu in questo pellegrinaggio uno studente della R. Università di Roma, il quale è passato alla nostra Congregazione. Io, non potendo andare a Lourdes, ho mandato là la mia veste che portai in Brasile e in Argentina e il Cardinale Laurenti la vestì a chierico quello studente nostro, là alla grotta dell’Immacolata (Scr. 28,172).
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Desideravo tanto di andare a Lourdes, dove non sono stato mai, con il Pellegrinaggio Genovese, (e già ne avevo il biglietto) e ci andavo anche per trovare un qualche momento da poter parlare con Sua Eminenza Rev.ma il vostro Cardinale Arcivescovo; ma poi dovetti, in questi giorni, andare a Roma per indurre il maestro Perosi a tornare a Tortona, dopo più di 30 anni e così non potei (Scr. 34,61).
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Ho lasciato quella statua della Madonna da benedire, prima di andare a Lourdes, se crede, La vada a benedire; io accompagnerò vostra Eccellenza a Lourdes in spirito, pregando (Scr. 45,80).
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Se piacerà alla Divina Provvidenza, vorrei far sorgere un’istituzione pro juventute derelicta e propriamente aprirei scuole di lavoro perché i figli più bisognosi e abbandonati del popolo crescano, all’ombra della Madonna di Lourdes, ad onesto vivere cristiano e civili nella fede dei santi Ambrogio e Carlo, con in mano un’arte remunerativa, un pane onorato per la vita (Scr. 48,32).
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Sono lieto delle notizie che mi dai sul pellegrinaggio a Lourdes; sì, con l’aiuto di Dio conto proprio di venirci, come già ti ho promesso, quando ci trovammo a Tortona e mi ci verrò disponendo quanto meglio potrò, poiché ho bisogno dalla Madonna SS.ma delle grazie speciali per me e per l’Istituto (Scr. 66,57).
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Prego la SS.ma Vergine di largamente benedire al Pellegrinaggio di Lourdes e di dare al cuore di Vostra Eminenza come di tutti i pellegrini ogni più celeste grazia e consolazione. Oh quanto desidererei venire anch’io a Lourdes! Mi unirò in spirito e intanto mando un mio caro figliolo spirituale, il Sig. Tosi, già Studente in Legge alla R. Università di Roma. Egli desidererebbe tanto di vestire l’abito da Chierico ai piedi della SS.ma Vergine di Lourdes, ed io gli do una povera veste e, conoscendo a prova la grande bontà di Vostra Eminenza Rev.ma La vorrei pregare di degnarsi imporgli l’abito. Il Tosi per pietà e per spirito religioso e per ogni riguardo meriterebbe questo conforto e il dolce ricordo gli sarebbe certo di stimolo a sempre più amare umilmente e devotamente Dio e la Santa Chiesa. Ricevuto l’abito egli farebbe il viaggio di ritorno ancora in abito secolare per speciali ragioni. Perdoni Vostra Eminenza se ho osato chiederLe tale grazia e si degni raccomandare me e l’umile Congregazione alla Immacolata di Lourdes (Scr. 81,78).
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Io sono qui presso il Conte Servanzi, malato grave, al quale già ho somministrato anche gli estremi Sacramenti. Gli ho dato stanotte a bere l’acqua di Lourdes e c’è un miglioramento, tanto che il medico due volte stamattina disse: “lo stato del malato ha del miracoloso”. È il benefattore che ci ha dato lo stabile dove qui abbiamo aperto l’Istituto Artigianelli e gli avevo promesso di assisterlo nell’ultima malattia. Prega anche tu per Lui, che ci ha fatto del bene (Scr. 95,26).
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Stamattina mi sono raccomandato alla Madonna di Lourdes e poi mi sono indotto a scriverLe. Le avrei parlato, come Le ho detto l’altra sera, ma oggi devo andare a Gerola e non potrò (Scr. 101,39).
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Ho fatto due voti, se la Madonna di Lourdes e San Corrado, che abbiamo qui, ce lo fanno guarire, tanto almeno da poterlo condurre fino a casa (Scr. 102,37).
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Rispondergli che don Orione doveva oggi essere a Lourdes, ma non andò, perché non in buone condizioni di salute. Dovrà recarsi a Roma per una cura; per un po’ di tempo non potrà avere il piacere di incontrarsi con la Sig.ria Vostra (Scr. 103,213).
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Sono ora 75 anni dacché Maria Immacolata è apparsa a Lourdes, a quella semplice e pia Bernadetta che da poche settimane la Chiesa ha innalzato all’onore degli altari. Giorni lieti e benedetti quelli e questi giorni che ci parlano della materna bontà della Santa Madonna, del privilegio singolarissimo e dei doni onde fu arricchita e ci trasportano e infervorano all’amore di Lei. Bello e degno onorare Maria Immacolata e santa più che creatura, sia nella canonizzazione della Bernadetta sia nel 75.mo anniversario delle apparizioni di Lourdes! La Benedetta fra le donne volle apparire tutta bianco vestita e all’umile fanciulla disse: Io sono l’Immacolata Concezione! E con le ripetute apparizioni e i continuati prodigi si degnò confermare il consolante dogma della Immacolata, proclamato quattro anni innanzi dall’angelico e grande Papa Pio IX. Maria è Immacolata perché redenta da Cristo per preservazione e in modo assai più completo e perfetto che ogni altra umana creatura (Scr. 106,97).
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Son sessant’anni oggi che la Santissima Vergine Immacolata apparve a Lourdes, raccomandando la preghiera e la penitenza. Ah! Se il mondo avesse ascoltata allora la parola materna di Maria Immacolata, non avremo certamente la guerra atroce che va devastando popoli e nazioni. Son sessant’anni oggi che la povera, umile Bernardetta, uscita con le sorelle e compagne a cercar legna oltre il Gave, fu come scossa da un vento soprannaturale e alzando gli occhi verso un punto della Grotta, dove era entrata, vide in un’incavatura della roccia la Celeste Signora bianco vestita. Le cingeva la persona un nastro azzurro, un manto candido qual neve le scendeva ai fianchi, portava al braccio il Santo Rosario. Era l’Immacolata! (Par. I,120).
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L’11 febbraio del 1858 Maria Santissima volle, con la sua apparizione, confermare il dogma del Vaticano e lei stessa si dichiarava: l’Immacolata concezione”! Il Vescovo di Tarbes, che è anche Vescovo di Lourdes, in questi giorni scrisse una lettera ai Vescovi di Francia, ricordando appunto, come proprio oggi si compiano sessant’anni dal giorno in cui la Santissima Vergine si degnò di comparire per la prima volta nella grotta di Massabielle. E siccome le condizioni dolorose, in cui versa l’Europa intera, vietano di promuovere pellegrinaggi, come era solito farsi negli scorsi anni, da tutta la Francia, dalla Spagna, dall’Italia, dall’Inghilterra e fin dalla lontana America, il Vescovo raccomanda, ad Essi e ai Fedeli, tutti, che da oggi sino al 25 marzo, giorno in cui la Madonna apparve l’ultima volta, vadano spiritualmente pellegrinando alla grotta benedetta. Non saremo certamente noi che staremo fuori, fermi, trattandoci di andare ai piedi di Maria Santissima e portare a lei tutti i nostri affetti. Oh! Andiamo a Maria! A Maria tutta pura, tutta bella, tutta Immacolata! Essa ci darà Gesù e con lui avremo la pace, la conversione delle anime nostre e di tutto il mondo. Se noi facciamo penitenza, se noi preghiamo, impegniamo Maria a liberarci da tanti mali che affliggono l’umanità e che provengono dalla completa apostasia di tutta la vecchia Europa, da Dio. La pace, che tutti di cuore tanto desideriamo, verrà nello stesso momento in cui il mondo riconoscerà di non poter far nulla senza Dio (Par. I,121).
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Quante anime, morte alla grazia, hanno riacquistata la vita dell’anima, la fede che avevano perduta con la loro vita peccaminosa. Noi, portandoci in spirito alla grotta benedetta di Lourdes, ci metteremo qui, dinanzi a Maria Santissima, per chiedere e attingere grazie e favori. La Vergine Santissima di Lourdes apparve portando tra le mani il Santo Rosario e facendo passare i grani fra le sue dita: pregava, come avesse voluto insegnarci a pregare. La preghiera è la catena d’oro che ci unisce a Dio. Con la preghiera otterremo forza per vincere i nostri nemici, per resistere alle tentazioni e perseverare nella nostra santa vocazione restando sempre fedeli al Signore (Par. I,159).
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La Vergine Santissima di Lourdes, oltre la preghiera, ha raccomandato la penitenza: Penitenza! Penitenza! Penitenza! Ecco quanto il mondo non vuol capire! Il mondo vuol godere! Ecco, il motivo per cui molte anime si allontanano dalla vita cristiana, dalla vita religiosa: il timore di dover soffrire, di dover far penitenza. Ecco quanto il mondo non vuol capire! Il mondo vuol godere! Se voi non farete penitenza perirete, disse Gesù e la Vergine Santissima, nostra buona Madre, ci avvisa: fate penitenza! (Par. I,160).
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La Vergine Santissima apparve a Lourdes nella grotta benedetta, tutta vestita di bianco, per significare la sua immacolata purezza: infatti, essa fu sempre tutta pura, sempre immacolata agli occhi di Dio: prima di divenire Madre di Gesù e dopo che prodigiosamente Gesù nacque da Lei. Siamo puri anche noi, amiamo la bella virtù, la santa purezza. Dio è ai puri che si manifesta. Raccomandiamoci a Gesù e a Maria Santissima che ci aiutino ad acquistare queste belle virtù: preghiera, penitenza e purezza di vita (Par. I,161).
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Ed ora vi consegnerò la corona. L’Immacolata, quando apparve a Lourdes alla Beata Bernadette, apparve tenendo fra le sue dita e facendo passare, recitando la santa corona del rosario; e una pia usanza vuole che tutti i religiosi abbiano il santo rosario al fianco e che tutti i giorni recitino la stessa orazione che ci ha insegnato Gesù Cristo, che è il Pater Noster e l’Ave Maria, che è il saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Madonna e ricordiamo i santi misteri, i misteri principali della nostra santa Chiesa (Par. II,127).
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Domattina alle sette vi sarà la Messa del Vescovo e la Comunione generale. Alle dieci, ora dell’Apparizione, suoneranno a festa tutte le campane di Tortona e ci sarà la supplica. Portate i malati che ci sarà la benedizione come si fa a Lourdes (Par. IV,322).
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Dovete sapere che il Canonico don Gugliada tutti gli anni si è preso l’incarico di condurre a Lourdes un pellegrinaggio e alcuni ammalati: egli provvede a tutto. Ora, la nostra offerta, che sarà a lui graditissima, consisterà in una somma offerta per il viaggio di un ammalato povero a Lourdes. Questa somma, per dimostrargli il nostro pensiero riconoscente, gliela offriremo in oro (Par. V,147).
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La devozione alla Immacolata si è diffusa da quando Pio IX la proclamò solennemente; quattro anni dopo appariva la Vergine a Lourdes e diceva: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Sono innumerevoli i pellegrinaggi che si vanno ripetendo ogni anno, là dove apparve la Vergine e dove disse: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Veniva con i suoi prodigi, con i suoi miracoli, a confermare le parole infallibili del grande Papa Pio IX. Facciamo in questi giorni, uno speciale pellegrinaggio spirituale alla grotta di Lourdes. Certo, se noi daremo alla nostra vita un indirizzo tale che possa piacere al Cuore Immacolato di Maria, scenderà sopra di noi la ricchezza delle sue misericordie e delle sue grazie (Par. VII,119).
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Prepariamoci a celebrare questa grande festività dell’Apparizione di Maria Santissima a Lourdes, a celebrare la bontà materna di Maria santissima che volle aprire là una sorgente di grazie; ed essendo Essa piena di grazia, volle rendere perenne quell’apparizione con una sorgente viva di grazie (Par. X,71).
Vedi anche: Madonna.
Madonna
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Ecco, o mia dolce e celeste Madre, che io vi metto nelle vostre mani, insieme con l’anima mia e le anime dei miei sacerdoti, metto nelle vostre mani di Madre tutti i dilettissimi figliuoli miei chierici e probandi, e vi prego che niuno ve ne sia tolto dalle mani, e che vogliate ottenerci dal vostro Divin Figliuolo Gesù il perdono di tutte le nostre iniquità: Voi lo potete, o Beatissima Vergine, perché siete la Madre e la Padrona del vostro santissimo figliuolo ed unico nostro Signore Gesù Cristo. Dà, o Beatissima Vergine, dà a me e a tutti i miei un cuore nuovo, che continuo cresca in grazia, e in dolcissimo amore di Dio e della Chiesa, onde seguiamo umilmente e fedelmente il Papa e i Vescovi e Cristo stesso, Signor Nostro e Figlio tuo, Agnello svenato per noi e per le anime, e uniti fraternamente da questo divino amore, diamo gloria a Dio nella vita e nella morte, e per tutta la eterna vita. Io Vi offro, o SS.ma Vergine, e Vi raccomando i dilettissimi figliuoli miei, i chierici, perocché essi sono l’anima mia, e Vi supplico che lo spirito del Signore sia sopra di essi, e su ciascuno di essi! (Scr. 26,150).
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La celeste e santa Madonna è, per questo, la nostra speranza più grande, dopo Dio, è la nostra consolazione più intima, poiché sappiamo bene che Ell’è la nostra più possente avvocata presso Dio, e che la sua materna intercessione è efficacissima, onde possiamo aspettarci ogni luce, ogni grazia, ogni conforto per la vita presente e per la vita eterna. Solo a pensare alla Madonna, alla dolcissima Madre di Dio e nostra, l’animo si tranquillizza, la mente si rasserena: a parlare della Madonna si diffonde la letizia come un’onda di soavissima pace spirituale, e a invocarla si reintegra il coraggio e mi ritorna la vita, la più alta vita! Nei momenti di maggiore stanchezza e battaglia, invocando la Madonna si mettono in fuga i nemici dell’anima nostra, ed è di fede che chi prega e confida nella Madonna non può perire. Caro sig. Pippo, e non fu questo caro nome della Madonna un balsamo a tutte le nostre ferite? Io vorrei non sapere da tutti gli afflitti quante volte invocarono e sentirono il conforto di questo nome! Ah! mio caro sig. Gambaro, dica sempre ai suoi figli che non v’ha nessun peccatore, per quanto misero e perduto, che, ricordandosi di pregare la Madonna e mettendosi sotto il manto celeste della grande Madre di Dio possa perire. Beati noi, se ci stringeremo ogni di più al patrocinio di Maria SS.ma! Beati quei genitori che offrono i loro figli nelle mani della Madre del Signore e nostra! Ella, mio ottimo sig. Gambaro, e la sua distinta signora, abbiano viva fede nella santa Madonna: la Madonna vi farà aspettare si farà pregare, vi farà bussare e picchiare al suo cuore, ma poi è la mamma, è la mamma, che Gesù ci ha dato, e non vi negherà nulla per i vostri cari figlioli! (Scr. 41,49).
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Coraggio in Domino, e umile preghiera e fiducia grande nella santa Madonna, caro sig. Pippo! I miei poveri poi pregano per lei, per la sua signora e per i figli che Dio vi ha dato. Non temete: riusciranno bene: ho pregato per voi: fate quanto vi scrivo dai piedi della SS.ma Vergine, e i vostri figlioli riusciranno molto bene. Avrete delle pene e grandi, ma l’ultima a vincere sarà la Madonna. Che consolazione sento di potervi scrivere queste parole! Dio ne sia benedetto! E nostro Signore mi dà questa luce quando già siamo ai primi vespri della festa della sua santissima Madre, per onorare la beatissima morte della santa Vergine e la sua gloriosa Assunzione al regno celeste, quando ricevé dal suo figliolo una corona immortale, e un trono sovra quello di tutti i santi. L’assunzione di Maria è il compimento di tutti i misteri della sua ammirabile vita: da essa comincia la sua vera gloria. Lodiamo dunque e benediciamo Dio, caro mio benefattore e dei miei poverelli: ringraziamo Dio, e uniamo i nostri omaggi e i nostri trasporti d’amore filiale a quegli degli angeli! Alziamo gli occhi al Paradiso, e mettiamo nella Madonna ogni nostra confidenza: è la nostra Madre! Rinnoviamo ogni dì questi nostri sentimenti. Ricorriamo a lei nelle nostre pene, nelle nostre tentazioni e in tutti i nostri bisogni spirituali e corporali. Possiamo noi fare cosa migliore che di avvalorare le nostre orazioni e suppliche che con la intercessione di sì potente avvocata? che con la mediazione di tanta nostra Madre? Preghiamola con San Bernardo, il grande santo della Madonna, che pure Dante ha voluto porre là nell’eccelso del Paradiso, a cantare la grandezza, la potenza, la gloria di Maria. «O Tesoro di grazia, Madre della vita, Madre della salvezza! Fa’ che per tuo mezzo possa avere accesso al tuo dilettissimo Figlio! Possa colui, che si è dato a noi per te, riceverci pure per te! Possa la tua purità e innocenza coprire, dinanzi a lui, le immondezze della nostra vita! Possa, o SS.ma Vergine, la tua umiltà, così cara a Dio, ottenerci il perdono della nostra vanità! Possa, o dolcissima Madre di Dio, la tua immensa carità coprire la moltitudine dei miei peccati! O Tu, che sei nostra Regina, nostra mediatrice, nostra avvocata, nostra Mamma: riconciliaci, raccomandaci, presentaci a tuo Divin figliolo! Te ne scongiuriamo per la grazia onde sei onorata: per la misericordia che hai manifestato al mondo! Fa, o santissima Madonna e madre che Colui, il quale si degnò vestire la nostra fralezza, ci renda per te partecipi della sua felicità e della sua gloria» (Scr. 41,51).
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Salve, beata! Soave a noi «solenne è il nome tuo, o Maria»: «Vergine madre, figlia del tuo Figlio: umile e alta più che creatura»: Tu non hai redenta la umanità, ma tu l’hai resa sì nobile agli occhi di Dio, che per te l’umanità fu degna di essere redenta, poiché in te sono tutte le virtù: «in te si aduna», cantò Dante, «quantunque in creatura è di bontade». Ond’è che «tutte le genti ti diran beata»; e anche questa lontana terra, «che il genovese divinò», cresce i tuoi devoti: dà il tributo dei suoi fiori ai tuoi miti altari, alza a te santuari e basiliche! Dio, che ti ha dato la pienezza della grazia su questa terra, ti ha dato in Cielo la pienezza della potenza, a favore di quanti implorano il tuo santo patrocinio. Oh quanti cuori ha confortato, quante anime ha salvato la Madonna! Tutto abbiamo da Maria! Tutto è grazia ricevuta da Maria! Leggete sulla mia fronte, leggete nel mio cuore, leggete nell’anima mia – non vedrete cosa che non porti scritto: «grazia di Maria». Deh! o vergine santissima, a cui nessuno ha mai ricorso invano, dà a noi forza, dà amore, di volere ciò che Dio vuole da noi: rivolgi ognora sulle nostre miserie i tuoi occhi misericordiosi, e spargi copiose le tue grazie sulla moltitudine che ti circonda e ti ama! A noi la tua protezione costante e perenne! Ai poveri come ai ricchi, ai sani e ai malati, ai vecchi e ai giovani, ai buoni e ai non buoni, ottieni la luce e il conforto grande della fede, come Dio fa splendere il sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Quanti effetti gentili, quanti sentimenti di bontà, quanta viva sorgente di santità, ha suscitato il tuo esempio, o Maria! Da San Giovanni l’Evangelista sino al Cottolengo, a Don Bosco, tutti i Santi furono tuoi devotissimi o Maria! (Scr. 53,83).
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Io non vi raccomando altro che la Madonna: respirate la Madonna, pensate la Madonna: cercate la Madonna: parlate della Madonna, volete la Madonna dappertutto, infondete nel cuore dei Chierici la Madonna: nella mente dei Chierici la Madonna. Che non abbia ai loro occhi da esservi cosa cara e bella se non c’è la Madonna: e siate voi di dentro e di fuori tutto vestito dell’affetto alla Madonna e imbottito bene della Madonna e vestite i Chierici di dentro e di fuori di Madonna: ripeto: Madonna SS.ma Madonna (Scr. 57,128).
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Venite ai piedi della Madonna, anime oppresse dal dolore e minacciate da sventure. Venite a lei che è la mitezza, la mansuetudine, la grazia, la madre delle divine misericordie! A lei, che ha schiacciato il capo del serpente, è riservata la gloria di debellarlo di nuovo nelle nuove eresie. La voce, che ci invita a levare i cuori in alto, a pregare, ad amare la Madonna, è sempre come un’onda di balsamo refrigerante sull’ardore delle nostre passioni. È la voce della civiltà, che si nutre di amore e vive di gentili costumi, è la voce della carità, la quale annuncia alle genti non essere spenta la fiamma accesa da Gesù fra gli uomini, anzi è la voce viva e vera anche dell’umanità, poiché non è possibile che l’uomo trascini la vita tra gli studi dell’odio, tra la violenza delle passioni, fra i truci propositi della distruzione e della morte. Su, dunque, preghiamo la Madonna! Stringiamoci attorno ai santi altari della nostra santissima e carissima madre del Paradiso e preghiamo! Il mondo deridendoci, farà il suo mestiere, noi, pregando, compiremo il dover nostro, ci fortificheremo nell’animo, ci formeremo ad una vita ad un’azione cattolica vera e duratura, e affretteremo il giorno della restaurazione cristiana e della pace (Scr. 61,202).
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Oh! è specialmente alla Madonna che Dio ha affidata l’opera della pace universale del mondo, né altrimenti la potrebbe compiere meglio di lei. Preghiamola adunque con tutto lo slancio dell’anima: preghiamola pieni di confidenza filiale e senza venir meno mai: preghiamola che ci faccia migliori e più ferventi nell’orazione e nelle varie opere buone a favore degli umili. Mettiamo anzi il nostro lavoro a bene del popolo nelle sue mani di madre consolatrice dei piccoli e dei poveri perché questo movimento non sia, per carità, una sonora ciancia o una semplice apparenza di bene, ma vera vita di opere vive di amore cristiano, a base di orazione e di mortificazione e di sacrifici, e di tali atti interni ed esterni, e privati e pubblici che possano meritare veramente le benedizioni del Signore. Si preghiamo la Madonna! e supplichiamola perché, o siamo vecchi o siamo giovani, non ismodiamo per la troppa fiducia nelle nostre opere: guardiamo a Dio e al santo Padre Pio X Pastore della chiesa che ci guida, e facciamo che la pietà e la vita interiore e spirituale entrino sempre meglio nella base del nostro lavoro. Allora sì che il Signore sarà con noi, e la vittoria rimarrà non alla prepotenza della forza o dell’empietà, ma alla fede operosa come ha promesso il Signore. Allora sentiremo meno l’amarezza degli umani disinganni, e sarà abbreviato il tempo delle prove della chiesa e del popolo, qualunque esse siano. Preghiamo e lavoriamo: sì; lavoriamo anche e lavoriamo tanto, ma stiamo però attenti di tenere bene i piedi fermi nel Signore e la nostra testa e il nostro cuore tra le braccia misericordiosissime della Madonna. E preghiamo soprattutto perché la preghiera è il vincolo della carità è il segreto delle nostre vittorie. Preghiamo e preghiamo la Madonna! e, domani, troveremo volta dal soffio di Dio un’altra pagina del volume della nostra storia, e vi leggeremo, come fatti di cronaca, quelli che presente sono tra i problemi più ardui del tempo e della patria nostra: la libertà della chiesa e la redenzione degli umili (Scr. 61,203).
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Ho sognato la Madonna: ho visto la Madonna scendere a confortarci nella santa fatica, e lavorare con noi ad alzar Case pei piccoli e pei poveri: l’ho vista asciugare maternamente le nostre lacrime e il sudore dei nostri! E le pietre del Santuario e le Opere di fede e di carità, al suo passaggio, prendevano vita, fiorivano cantavano insieme con noi, conclamavano: Maria! Maria! Maria! E verso di Lei si alzavano a volo, quasi Angeli, e insieme con gli Angeli, come anime quasi adoranti. Quanto era pura, quanto bella la Santa Madonna! Tanto sovranamente bella che pareva Dio! vestita di luce, circonfusa di splendori, coronata di gloria: era grande era gloriosa della gloria e grandezza di Dio! Ma chi potrà dire di te, o Vergine Santa? E non era che un sogno! Che sarà dunque il Paradiso? Lo sguardo di Maria infondeva tale dolcezza che il solo ricordo mi tocca ancora con tanta forza di soavità che parmi uscire di me. E la luce di grazia, onde furono ripieni gli occhi e lo spirito del più indegno e più vile uomo che Dio abbia in questo mondo, rimase ancora sì viva che per qualche giorno, il sole pareva fioco e come nebbia. Non era che un sogno, un sogno di brevi momenti, e ancor mi sento come rinascere: è caduta la memoria delle amarezze passate, l’anima esulta, l’intelletto si rischiara, il cuore s’illumina, s’inonda di carità soavissima, provo una gioia estrema e non cerco, non bramo più altro! Te voglio, o Santa Madonna: Te chiamo Te vedo, Te seguo, Te amo! Foco! dammi foco, foco d’amore santo di Dio e dei fratelli: foco di divina carità che accenda le fiaccole spente, che resusciti tutte le anime! Portami, o Vergine Benedetta, tra le folle che riempiono le vie e le piazze: portami ad accogliere gli orfanelli ed i poveri, membra di Gesù Cristo: gli abbandonati, i dispersi, i sofferenti, i veri tesori della santa Chiesa di Dio. Se sorretto dal Tuo braccio potente, tutti io porterò a Te, o Beata Madre del Signore! Madre tenerissima di me peccatore e di tutti i miseri, di tutti gli afflitti! Salve, o Vergine celeste, o Maria! Tu la Benedetta fra le Donne! Salve, o tutta bianca, Immacolata Madre di Dio, Augusta Regina! Salve, o grande Signora della Divina Provvidenza, Madre di Misericordia! Salve, o Santa Madonna della Guardia, Castellana d’Italia, dolce e benigna! Quanto sei grande, quanto pietosa! Tu sei onnipotente sul Cuore di Gesù tuo Dio e tuo Figlio, e le tue mani sono piene di grazie! Maria! Maria! Maria! Perché, perché non Ti posso io adorare? Ah! mille volte Ti invoco e Ti benedico mille e mille volte Ti amo! Morire, morire dolcissimamente d’amore ai tuoi piedi immacolati, o Madre Santissima! (Scr. 62,87a–87b).
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Amiamo Maria! Siamo prossimi al Maggio, al mese consacrato a Maria Santissima. Quando, coll’aiuto di Dio, uscirà di nuovo il foglietto saremo già quasi alla fine di così bel mese: non possiamo quindi permettere che esca questo numero senza che vi parli di Maria. Oh! la Piccola Opera della Divina Provvidenza, o cari Benefattori, dopo Dio, si può dire che è tutta opera di Maria: è sorta per opera di Maria, crebbe per opera di Maria, si mantiene per opera di Maria. Noi dobbiamo tutto a Maria: ragione quindi per esserLe devoti, per dimostrarLe la nostra riconoscenza. –La devozione a Maria non è semplicemente un ornamento della nostra santissima Religione, né un fiore qualunque, un soccorso come tanti altri, di cui possiamo servirci o no, come ci piace; ma è una parte integrale. Dio non volle venire a noi che per mezzo di Maria e noi non possiamo andare da Dio che per mezzo di Maria. San Bernardo diceva che per giungere al porto della nostra salute eterna, due sono le strade sicure: l’imitazione di Gesù Crocifisso e la protezione di Maria. Chi dunque camminerà sotto la scorta della Croce e sotto la guida della Stella arriverà con sicurezza al cielo. Chi vuol possedere il regno de’ Cieli, salvar l’anima sua, goder Dio per tutta l’eternità, deve assolutamente amare Maria, imitare le Sue virtù. E qual è quel cristiano che non amerà Maria, che non riporrà tutta la sua confidenza nel Cuore dolcissimo di Lei? La devozione a Maria ci salverà: Chi è devoto di Maria si salva, chi non è devoto di Maria si danna: così di frequente ripeteva Sant’Alfonso (Scr. 71,193).
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Chi ci difenderà dalle insidie nemiche? Consoliamoci, e confidiamo: Maria è colei, che per l’invocazione del Suo santo nome, rigettando da noi tutti i demoni assalitori e tutti i loro addetti, ci rende sicuri dai loro terribili attacchi. Maria è la nostra difesa, perché Ella ci è Madre dolcissima, è la nostra avvocata, la speranza nostra, Maria è Colei in cui dobbiamo riporre ogni nostra fiducia. –Oh la Madonna SS.ma sia sempre nella nostra mente nel nostro cuore, nei nostri studi, nel lavoro, in tutte le nostre azioni! Maria, sempre Maria. È la Chiesa Cattolica che ce lo dice, ce lo raccomanda, ce lo insegna ed inculca nella sua veneranda liturgia di tutti i popoli che vivono nella fede; Maria, sempre Maria. Maria nelle tribolazioni, Maria nelle gioie, Maria nella sanità, Maria nelle malattie; Maria nella povertà, Maria nell’abbondanza; Maria nelle umiliazioni, Maria negli onori; Maria nella grazia, Maria nel peccato; Maria nella gioventù, Maria nella vecchiaia; Maria nella vita, Maria nella morte, Maria dell’eternità, Maria, sempre Maria! (Scr. 71,194).
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Amore alla Madonna. Quanto è bella la Madonna! Bellissima è l’Immacolata Maria. Quanto è dolce questo nome per le anime devote! Che cosa faranno i Figli della Divina Provvidenza, che cosa faranno tutti gli amanti dell’Immacolata per ricordare sempre il suo Giubileo? Via su, uniamoci tutti nell’amore della soavissima Madonna nostra, e tutti coloro, i quali non si vogliono unire a noi, noi li uniremo a noi, noi li uniamo a noi, pregando la Vergine Santissima per loro. O per amore o per forza debbono essere con noi nel dolcissimo amore alla Madonna. Si può vivere lieta la vita e non amare la Madonna? No, che non si può vivere senza la Madonna! Quindi siano uniti tutti alla Madonna e sentano Gesù e vivano di una cristiana e sapientissima vita! A noi spetta di chiamare essi a noi con l’amore dolcissimo che ci viene da Gesù e dalla Madonna. Senza che essi vengano alla Madonna, senza che essi vengano a noi, andiamo noi a loro, e portiamo a loro la Madonna, Madre misericordiosissima di tutti, e preghiamo focosamente la Madonna purissima Immacolata che dia a noi non solo maggior fervore nel bene operare e devozione più efficace verso la Madre di Dio, ma che converta i peccatori e quei che non credono e non amassero la Madonna! Oh! se anche questi avessero un pochino della grazia che la Madonna gratuitamente ha concessa a noi! Oh con quanto più grande affetto si pregherebbe l’Immacolata! Preghiamo, preghiamo, fratelli carissimi, per quelli che vivono nelle tenebre e nelle ombre della morte. Consacriamoci alla Madonna nostra non con parole, ma con opere e con una vita piena d’affetto e di amore filiale. O vergine bella e pietosa, come mai puoi tu non accogliermi e non sentire la preghiera che ti faccio per i miei fratelli che vanno lontani da Te? Se sei Madre mia, come mai si può concepire che Tu non corra ad abbracciarmi e stringermi al tuo seno, e non correrai dietro a stringere pure gli altri, pei quali vedi che prego e piango ai tuoi piedi? O cara Madonna mia, o Madonna Immacolata, bellezza di Spirito Santo, chi non Ti amerà? Io Ti amo... tutti Ti amano! Veniamo tutti a Te... resta sempre con noi! Quanto sei bella, o Madonna! Madonna mia, fammi umile, piccolo, ardentissimo figlio di amore tuo! Beato chi ama la Madonna! Don Orione (Scr. 71,200).
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Amo e canto! Amo la Santa Madonna e canto! Canto la Madonna: lasciatemi amare e cantare! Sono un povero pellegrino, vengo al Santuario con il rosario in mano per diventare lo sgabello dei piedi immacolati di Maria, in eterno, vengo a cercare luce e amore di Dio e di anime! Vengo a Lei per non perdermi, dopo essere passato tra profondità, precipizi, montagne, uragani, abissi, oscurità di spirito, ombre nere... Vengo a Lei e sento sovra di me un’alta pace che si libra: vedo il suo manto distendersi su tutte le tempeste e una serenità inoffuscabile che sorpassa le ragioni della luce umana e trapassa tutti i nostri splendori. L’anima, inondata dalla bontà del Signore e dalla sua grazia, arroventata dal fuoco della carità, librata in alto e traboccante d’amore, esperimenta una gioia che è gaudio spirituale e si fa canto e spasimo, sete anelante d’infinito, brama di tutto il vero, di tutto il bene, di tutto il bello, attrazione, ardore sempre crescendo di Dio, amando nell’Uno tutti: nel Centro i raggi, nel Sole dei soli ogni luce. E in questa luce inebriante amo e questo amore mi fa uomo nuovo e amando canto! Amo ineffabilmente e canto lo stesso Amore infinito e la Santa Madonna, la grande Madre del divino Amore!... Lo splendore e l’ardore divino non m’incenerisce, ma mi tempra, mi purifica e sublima e mi dilata il cuore, così che vorrei stringere nelle mie piccole braccia umane tutte le creature per portarle a Dio. E vorrei farmi cibo spirituale per i miei fratelli che hanno fame e sete di verità e di Dio, vestire di Dio gli ignudi, dare la luce di Dio ai ciechi e ai bramosi di maggior luce, aprire i cuori alle innumerevoli miserie umane e farmi servo dei servi, distribuendo la mia vita ai più indigenti e derelitti, diventare lo stolto di Cristo e vivere e morire della stoltezza della carità per i miei fratelli! (Scr. 100, 187–188).
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Maria! Maria Santissima! Non sei tu «il secondo nome»? E vi è nome più soave e più invocato, dopo il nome del Signore? Vi è umana creatura, vi è donna, vi è madre più grande, più santa, più pietosa? «Maria, dice l’Evangelo, de qua natus est Jesus». Da Maria nacque Gesù – Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, onde Maria è la Mater Dei! Le nostre madri passano, muoiono: Maria, Madre delle madri nostre, è la gran Madre che non muore. Sono passati 20 secoli, ed è più viva oggi do quando cantò il Magnificat e profetizzò che tutte le generazioni La avrebbero chiamata beata. Maria resta, vive e resta, perché Dio vuole che tutte le generazioni la sentano e la abbiano per Madre. Maria è la gran Madre che splende di gloria e di amore sull’orizzonte del Cristianesimo, è guida e conforto a ciascuno di noi: è potente e misericordiosissima Madre per tutti che la chiamano e la invocano. È la misericordiosa e la santissima Madre che sempre ascolta i gemiti di chi soffre, che subito corre ad esaudire le nostre suppliche (Lett. II,471).
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Chi più grande di Maria? Non gli Apostoli, non i Martiri, non le Vergini, non i Confessori, non i Patriarchi, né i Profeti, non gli Angeli né gli Arcangeli: nessuna creatura, né in terra né in cielo, può uguagliarsi a Lei, Madre di Dio! E la Chiesa la onorò e vuole che da noi la si onori, si ami e si veneri – per quanto è in noi –, quanto la sua dignità di Madre di Dio richiede. E ci insegna che l’onore e la gloria, che tributiamo a Maria, si rifonde in Dio medesimo. È Dio che la fece tanto grande: fecit mihi magna qui potens est, e la fece grande perché la vide umilissima, «quia respexit humilitatem ancillae suae», e la fece si grande, piena di grazia, benedetta sovra tutte le donne, tutta pura e immacolata, perché la scelse per Madre, e, perché tale, la vuole sommamente onorata sovra ogni creatura. E l’onore dato a Lei sale al Figlio suo, all’Uomo–Dio, a Gesù Cristo Signor Nostro. Questa è la dottrina della Chiesa su Maria: questa è la Fede immortale che Dante esaltò nell’altissimo canto del Paradiso: «Vergine Madre, Piglia del tuo Piglio, Umile ed alta più che creatura, Termine fisso d’eterno consiglio». Questa è la nostra fede in Maria, il nostro culto e il nostro dolcissimo amore alla Santa Madonna, alla Mater Dei. E noi andiamo a Gesù per Maria (Lett. II,472–473).
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A Te, o mio Signore Gesù, Dio–Uomo, Salvatore del Mondo, Crocifisso Redentore nostro, tutta la nostra adorazione e la povera nostra vita: a Te, o Maria, Immacolata Vergine, Madre di Dio e nostra, che di Gesù hai accolto, in adorazione e amore ineffabile, il primo vagito e poi l’ultimo respiro, là ai piedi della Croce, dove ci fosti data da Cristo stesso solennemente per Madre: a Te, o Maria, diamo tutta la nostra più grande venerazione, e l’amore più dolce di figliuoli amantissimi. Oh, come potremo mai adorare Gesù, e non aver uno sguardo, un palpito di amore per la sua Madre? A Te, dunque o Gesù l’adorazione e i palpiti del cuore, fatto altare e olocausto: a Te, o Maria, il più alto culto di venerazione e di amore, un culto tutto speciale, quale conviene alla Madre di Dio. Adoriamo Gesù, perché Dio: Maria noi non la adoriamo, no, perché non è Dio; però, la onoriamo e la veneriamo di specialissimo onore e venerazione, perché Madre di Dio. Noi sappiamo ben distinguere tra Dio e la creatura, per quanto eccelsa, tra Gesù Cristo e la Sua Santissima Madre. Ma, come sappiamo che una buona madre non si ama mai abbastanza, così sentiamo che non ameremo mai abbastanza la nostra celeste Madre Maria Santissima. Grande conforto è per noi l’averci Nostro Signore lasciati per figli a Te, o Maria, che a Lui sei Madre divina, a noi sei Madre onnipotente e misericordiosa (Lett. II,474–475).
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Noi invochiamo Dio, perché usi del suo potere: noi preghiamo Maria, perché usi della sua possente intercessione, e sia nostra avvocata presso Dio, nostra Mediatrice, nostra arca di salvezza. Invochiamo Dio perché comandi; invochiamo Maria perché supplichi per noi. Se San Paolo promise ai suoi discepoli di pregare per loro, dopo la sua morte, non pregherà Maria per noi? Figliuoli miei, stringiamoci a Maria Santissima e saremo salvi! Invochiamo incessantemente il suo materno patrocinio e abbiamo viva fede: da Maria possiamo e dobbiamo sperare ogni cosa. Essa sola basterà a farci trionfare di ogni tentazione, di ogni nemico, a farci superare tutte le difficoltà, a vincere ogni più acre battaglia per il bene delle nostre anime e per la santa causa e il trionfo della Chiesa di Gesù Cristo. Beati quelli che si abbandonano nelle mani di Maria! Beati quelli che offrono al Signore le loro preghiere, i loro sacrifici, i sudori, le lacrime, le croci sulle mani di Maria. Non saranno le nostre preghiere più gradite a Dio e più efficaci? Non saranno le nostre buone opere, le nostre tribolazioni più avvalorate dai meriti altissimi di Maria? Grande fiducia, dunque, in Maria Santissima, o miei figli, grande fiducia e tenerissima devozione a Maria! (Lett. II,476).
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Oh! l’utilità, per non dire la necessità della devozione a Maria! Si può concepire un Religioso, voglio dire un buon Religioso, che non abbia amore e devozione alla nostra dolcissima Madre? Saranno forse i Figli della Divina Provvidenza i più languidi e gli ultimi ad amare e a glorificare Maria? E non è Essa la Madre e la Celeste Fondatrice nostra? La Piccola Opera è sua, è opera della Sua materna bontà: essa è particolarmente consacrata a Lei. Il nostro Istituto è un suo figliolino; come già altra volta vi ho detto, esso sta sotto le ali della Divina Provvidenza come un pulcino, e vive e cammina sotto il manto di Maria. Se qualche osa c’è di buono, tutto è di Maria: tutto che ha, purtroppo, di difettoso, di storpiato e di male, è roba, è robaccia mia, e forse, anche, di qualcuno di voi, o miei cari figliuoli in Gesù Cristo. Umiltà, mortificazione, purezza, carità, orazione e confidenza in Maria: a Lei Gesù niente può negare; da Lei tutto, con Lei tutto noi possiamo. Ave Maria, e avanti! (Lett. II,477).
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I Figli della Divina Provvidenza non saranno mai né languidi né ultimi nella devozione alla Santa Madonna: primi vogliamo essere, o in prima fila, a nessuno secondi nell’amarti, o Vergine benedetta e santissima Madre del Signore, unica e sola celeste Fondatrice della nostra cara Congregazione, Madre di Dio, Madre e Regina nostra! O tutta Santa e Immacolata Madre! Ave, o Maria, piena di grazia, intercedi per noi! Ti ricorda, Vergine Madre di Dio, mentre stai al cospetto del Signore, di parlargli e d’implorare per questa umile Congregazione tua, che è la Piccola Opera della Divina Provvidenza, nata ai piedi del Crocifisso, nella grande settimana del Consummatum est. Tu lo sai, o Vergine Santa, che questa povera Opera è opera tua: Tu l’hai voluta, e hai voluto servirti di noi miserabili, chiamandoci misericordiosamente all’altissimo privilegio di servir Cristo nei poveri; ci hai voluto servi, fratelli e padri dei poveri, viventi di fede grande e totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza. E ci hai dato fame e sete di anime di ardentissima carità: Anime! Anime! (Lett. II,478).
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Dacci, Maria, un animo grande, un cuore grande e magnanimo che arrivi a tutti i dolori e a tutte le lacrime. Fa’ che siamo veramente quali ci vuoi: i padri dei poveri! Che tutta la nostra vita sia sacra a dare Cristo al popolo e il popolo alla Chiesa di Cristo. Arda essa e splenda di Cristo e in Cristo si consumi, in una luminosa evangelizzazione dei poveri. La nostra vita e la nostra morte siano un cantico dolcissimo di carità e un olocausto al Signore. E poi... e poi il santo paradiso! Vicini a te, Maria: sempre con Gesù, sempre con te, seduti ai tuoi piedi, o Madre nostra, in paradiso, in paradiso! Fede e coraggio, o miei figliuoli: Ave Maria, e avanti! (Lett. II,480).
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Nulla è indice più sincero del nostro amore alla Madonna quanto il desiderio di amare sempre di più Gesù... La Madonna ci apre la strada, cioè ci apre il cuore al vero, sincero amore di Gesù. Essa anzi è la via più breve e più sicura per andare a Gesù Cristo. Chi trova la Madonna certamente trova anche Gesù... Se badiamo bene a quello che ci indica il vangelo, è sempre la Madonna Santissima che ci mostra Gesù; ce lo mostra in fasce a Betlemme, lo mostra sofferente nella Circoncisione, lavoratore a Nazaret, evangelizzatore a Cana attraverso il primo miracolo, lo mostra morto per noi sulla Croce... Nella storia della Chiesa, troviamo la Madonna là dove c’è Gesù... Possiamo veramente credere che la Divina Provvidenza ha voluto che la nostra salvezza dipendesse da Maria, perché potessimo trovare in Maria Santissima il mezzo più sicuro ed efficace a renderci somiglianti a Gesù... Tutta la storia della nostra Fede, come quella delle nostre anime, passa attraverso Maria. Il Cristianesimo, si potrebbe dire, si fa sulle ginocchia di Maria, che poi lo offre a Gesù, il quale dispose e volle appunto quest’ordine. La salvezza delle anime pare quasi sia più gradita a Gesù, se ottenuta attraverso la Piena di grazia, la Immacolata; perché così volle Egli stesso. Certo Gesù vuole regnare per mezzo di Maria: la missione di Maria è quella di fondare nelle anime il regno di Gesù Cristo... Amando Maria si è sicuri di amare Gesù. Ad Iesum per Mariam (Par. III,162).
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È possibile che Dio si offenda quando, ammirando Maria, il capolavoro della sua onnipotenza, ci affidiamo a Lei, assicurandoci che saremo provveduti di grazie, come se ci affidassimo a lui? O non è piuttosto molto più conforme a verità che, più che offendersi, Gesù prova un immenso giubilo vedendo onorata la Santissima Sua Madre, che stabilì come nostra Madre, proprio perché sentissimo più aperto e, direi, spalancato il cuore verso di Lei? Come per vincere il cuore indurito di certi figlioli è necessaria la voce della madre, così, per rompere certe durezze, per penetrare certi angoli reconditi delle coscienze, c’è solo la voce e luce che viene dalla pietà misericordiosa della Madonna... A ben riflettere pare che la missione, affidata dal Signore alla purissima e tenerissima Madre Sua e nostra, sia stata quella di offrire il rifugio del suo Cuore materno a quei figli che più si sono allontanati e più faticano a trovare il sentiero dell’umiltà e del pentimento per ritornare alla Casa del Padre Celeste... Maria Santissima è veramente il rifugio dei peccatori, rifugio e salvezza anche dei più disperati e ingrati figli (Par. III,162).
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La missione della Madonna è quella di condurre a Gesù le anime, anche le più indegne, anche le più fiacche, le più tiepide. Negli esercizi della buona morte e in quelli annuali avvengono sempre i cambiamenti più belli nelle anime; l’opera della misericordia divina si svolge allora su più ampia scala, in forma più decisiva e costante... Voi sapete come i vostri Superiori insistono sempre perché negli Esercizi si invochi Maria, si guardi a Maria, si implori la pietà di Maria. Non vi è cosa più gradita al Cuore di Gesù Cristo e della Immacolata nostra Madre che la purezza della coscienza e del cuore, nel senso più largo, cioè che le anime siano libere dai peccati, dalle loro mancanze e freddezze e siano generose nel Servizio di Dio... La devozione alla Madonna è il mezzo più facile per riuscire pian piano a liberarci dai nostri difetti. Essa accende in noi il fervore, ci fa capire la bruttezza del peccato e la grande miseria che è la tiepidezza: ci fa comprendere come siamo incapaci del bene e della virtù senza l’aiuto divino... Guardando alla Madonna, si comprende come siamo o come invece dovremmo essere, vediamo subito la nostra miseria, la nostra pochezza, la superbia di cui siamo rivestiti da cima a fondo... D’altra parte, guardando alla Madonna, ci sentiamo animati a confidare, ad avere fiducia nel bene, sentiamo l’odio per le nostre mancanze e ci sentiamo animati a cercare la perfezione con fiducia e perseveranza. Con l’amore alla Madonna nel cuore e con l’impegno della nostra buona volontà, ravvivata da quello stesso amore, nasce nell’animo il desiderio di rimediare alla vita passata, di riempire il vuoto del tempo perduto e il rimpianto di tante grazie perdute; si sente nel cuore la brama di renderci sempre più degni dell’amore che nutre per noi questa cara, celeste madre... Dio non ha gelosia per Maria, la quale – quasi a prevenire errati timori o pericoli di malintesi nelle lodi che le sarebbero state rivolte nei secoli – ben confessò nel Magnificat: “fecit mihi magna qui potens est! ” Tutto ella ricevette da Dio e tutto quanto si dice di lei vuole ridondi e ridonda, in realtà, su Dio, che la fece così grande e santa! (Par. III,162b).
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Il demonio, si sa, fa il suo mestiere, di illudere le anime, di spaventarle, di scoraggiarle con le tentazioni, con il far vedere le rinunce e le lotte più difficili di quello che sono... Ma c’è anche il Signore, c’è anche la Madonna. A lei soprattutto il Signore ha dato l’incarico di aiutare i suoi chiamati, e fa anche lei il suo mestiere che è il contrario di quello del demonio: lui perde e disanima e la Vergine Santissima salva, aiutando e incoraggiando, e sostiene e anima al bene, alla perseveranza. E siccome la Madonna opera in virtù di Dio, ha cioè con sé la potenza di Dio, di cui è canale di grazia e di benedizioni, per questo la Madonna sarà sempre lei a vincere contro le astuzie del demonio e delle tentazioni e delle prove... Coraggio, dunque; con la Madonna al fianco si sarà vittoriosi in qualunque lotta. Bisogna, certo, invocare con costanza la Madonna perché venga in nostro soccorso, perché ci prenda sul suo cuore materno e dica al nostro cuore le parole della fiducia in Dio e in Lei... Nelle tenebre bisogna chiederLe luce, nella debolezza bisogna chiederLe forza, nello scoraggiamento bisogna chiederle fede, fede e coraggio santo, come lo ebbe lei che stette con Gesù vicino alla Croce e non lo abbandonò mai; gli stette sempre fedele nell’amore e nel dolore (Par. III,177a).
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Per la Madonna non si fa mai abbastanza, mai si fa troppo. Anzi, si fa molto, molto meno di quello che si dovrebbe fare. Come si potrebbe ricambiare il bene che Essa ci ha fatto; come ringraziarla e ricompensarla a dovere? Mai, mai, solo in Paradiso, anzi neppure in Paradiso, forse, si riuscirà a dare a lei quanto ci ha donato di amore e di bene. L’amore alla Madre di Dio non può trovare limiti e sufficienza, perché senza limiti e mai sufficiente è l’amore che la Vergine Santissima porta a noi e il bene che ci fa continuamente. Per glorificare, onorare e amare la Madonna dovremmo almeno fare come fa lei per noi: imitare lo zelo che lei ha per noi. Tutte le occasioni devono essere buone e di tutto dobbiamo approfittare per guadagnare dei figli al suo cuore materno. Come si fa a dire basta nel bene quando si vede che il male, l’errore, il demonio fanno di tutto per impedire l’amore alla Madonna... Quante offese, quante bestemmie, specialmente nelle nostre regioni! Il demonio sente il piede della Madonna sul suo capo che lo schiaccia e per questo fa di tutto per ispirare i cattivi a vendicarlo. Dobbiamo noi star fermi e lasciare che le potenze dell’inferno – con gli errori, i vizi e la irreligione e il male – sradichino la devozione della Madonna e l’amor di Dio dai cuori? Almeno aspettiamo che cessi il male e poi riposeremo; ma voi capite che il male cammina sempre. E noi con le parole, con le opere, con la preghiera, se non altro con l’esempio, dobbiamo adoperarci in ogni modo per richiamare le anime ai piedi di Gesù, agli altari della Madonna (Par. IV,460c).
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Per la Madonna ne dobbiamo fare ancora tante di cose, se il Signore ci darà grazia, come speriamo... Non lasceremo sfuggire nessuna occasione; non ci fermeremo mai. Vi ho già detto che io darei volentieri la mia vita, venderei volentieri la mia pelle sul mercato per riuscire a fare del bene, a portare anime a Dio e alla Madonna Santissima. Mai troppo, mai troppo si fa. Il Signore che cosa non ha fatto per onorare sua Madre? Quanto faremo noi per onorarla? Per ringraziarla della protezione concessa alle nostre anime, della vocazione che ci ha ottenuto, di questo bene che ci concede di fare? Quando si stima molto un oggetto, una persona, non si è mai soddisfatti e contenti di quello che si è fatto per loro. Che cosa hanno fatto i Santi per la Madonna? Mai basta, mai basta! Il “basta” nel vocabolario dei santi, dei devoti della Madonna è una parola che non c’è, non ci deve essere. Si secchi la nostra lingua, si secchi la nostra mano, prima che noi cessiamo di lodare la Madonna, di lavorare per la sua gloria, di industriarci per i suoi santuari, per attirare a lei anime, per conquistare a lei i cuori. Ci vuol altro che quello che si è fatto! Il Santuario fatto è solo il principio; i muri sono solo l’abbiccì di quello che confidiamo di poter fare ancora... E non c’è solo Tortona, non c’è solo l’Italia. Ovunque ci sarà un Figlio della Divina Provvidenza, là deve irradiarsi, in mille maniere, secondo i luoghi e le possibilità, la devozione alla Madre di Dio; ovunque c’è la Madonna, ovunque si tratta della gloria e dell’onore e dell’amore alla Madonna, là ci deve essere un Figlio della Piccola Opera. Questo è uno degli scopi fondamentali della nostra Congregazione. De Maria – ricordatelo sempre – de Maria, in zelo, in opere, in santuari, in scritti, in qualunque iniziativa, de Maria nunquam satis! Mai basta! Mai basta, per onorare la Madonna, la Madre nostra (Par. IV,460d).
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La Madonna mette in bocca ai suoi devoti le parole che fanno bene ai cuori, che li invitano e spronano alla conversione... Le opere del bene crescono sulle orme dei santi, perché essi avanzano non da soli, ma sempre accompagnati dalla preghiera e dalla invocazione costante alla Madonna, e allora la Madonna fa per mezzo loro i prodigi, fa suscitare le iniziative della carità e del bene... Anche la nostra Congregazione da quando si è data a coltivare sempre di più nei suoi figli e a diffondere sempre di più la devozione alla Madonna tra la gente, ha fatto dei passi importanti... Si è sempre tanto amato la Vergine Santissima in Congregazione, fin dagli inizi: quanto la amavano i primi ragazzi raccolti... Ma quando si sono innalzati i Santuari, si sono fatti i pellegrinaggi, e si sono invitati i fedeli a pregare e onorare molto la Madre di Dio, allora la Congregazione ha fatto grandi passi che nessuno avrebbe pensato... Sembra quasi che la Madonna ricompensi quello che si fa per Lei, per onorarla, aprendoci nuovi campi di lavoro, aiutandoci molto nelle opere della carità e del bene verso i poveri... Certo è che si è sempre camminato con la Madonna Santissima. E così hanno fatto tutti i servi di Dio, devoti della Madonna (Par. VII,128).
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Voi sapete che gli antichi dicevano: A Jove principium... Era un loro modo di confessare la dipendenza delle decisioni degli uomini da un essere sopra di loro. Noi fortunatamente abbiamo una fede ben più alta: noi partiamo da Dio, dal Creatore di ogni cosa, dalla Divina Provvidenza, dalla Madonna Santissima. Quello sì che è un principio vero da cui cominciare: quando si è invocato Dio, quando si è pregata la Madonna Santissima, allora si va con più fiducia con più grande sicurezza. Voi sapete che è consuetudine, nella Congregazione, in ogni cosa invocare la divina assistenza, implorare l’aiuto e la protezione della Madonna. All’inizio di ogni atto da cui dipende il bene delle anime va sempre invocata la Madonna, va sempre interposta la sua preghiera per noi e per le nostre attività; è come dire al Signore e alla Madonna che noi non siamo capaci di fare niente senza di loro. Per questo si dice sempre qualche Ave Maria prima di iniziare le nostre azioni e soprattutto quando si tratta di cominciare qualche opera, conchiudere qualche interesse per la Congregazione, acquistare qualche edificio che può servire al bene. In realtà è come dire alla Madonna che tocca a lei fare, che noi siamo solo suoi strumenti, che non siamo capaci di fare niente. E la Madonna Santissima ci ha sempre aiutati, sempre, sempre, quando era in questione l’interesse buono e santo delle nostre opere, che è come dire delle anime, per le quali la Congregazione lavora (Par. X,134).
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Una delle tipiche espressioni mariane usata da San Luigi Orione, mutuata da San Ludovico da Casoria, è il motto «Ave Maria e avanti» che egli riporta numerose volte nei suoi Scritti e nella sua Parola come esclamazione di devozione, incoraggiamento e richiesta di aiuto. Di seguito sono riportate tutte le ricorrenze presenti negli Scritti e nella Parola.
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Nostro Signore, diceva Sant’Alfonso, sta sempre vicino a quelli che l’amano e s’affaticano per suo amore». Dunque «Ave Maria e avanti!», come diceva P. Ludovico da Casoria (Scr. 4,186).
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Umiltà, fede, carità e anche coraggio in Domino! Ave Maria e avanti! (Scr. 8,49).
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Ave Maria e avanti con fiducia! (Scr. 9,143).
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Siamo tutti per i più poveri e abbandonati. Ave Maria e avanti! (Scr. 18,186).
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E coraggio! E sempre avanti! Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti in Domino! (Scr. 20,97c).
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Guardare al cielo, pregare e poi... e poi avanti con coraggio, a lavorare! «Ave Maria e avanti!», diceva a Bartolo Longo quel santo e serafico frate che fu Padre Ludovico da Casoria. Sempre avanti, figlioli miei: in Domino, ma sempre avanti! Avanti con la Madonna, Ave Maria e avanti! (Scr. 20,97c).
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Quanto ti sono grato di quanto fai per i nostri! Dio te ne ricompensi in terra e in cielo. Ave Maria e avanti! (Scr. 26,229).
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Sì, che ti raccomanderò, alla Madonna specialmente, perché ella è che ti deve sostenere e farti da madre. Ave Maria e avanti! (Scr. 29,256).
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E ora salutiamoci da buoni fratelli nel Signore e avanti! Ave Maria e avanti! (Scr. 31,62).
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Alla Santa Madonna la più grande venerazione, la più tenera filiale e dolce devozione! Ave Maria e avanti! (Scr. 31,256).
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Caro Giulietti, va meglio: arrivederci presto. Ave Maria, e avanti (Scr. 32,146).
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Tanti conforti e speciale benedizione alla tua mamma. Ave Maria e avanti! (Scr. 32,180).
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Saluto, conforto e benedico voi e tutti. Ave Maria e avanti! (Scr. 32,237).
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Avanti in Domino! Avanti in Domino! Ave Maria e avanti! (Scr. 33,30).
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Avremo presto una casa nelle vicinanze del Calvario. Ave Maria e avanti! (Scr. 33,164).
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Sentimi spiritualmente vicino a te: oggi, poi, è la festa della Maternità di Maria: Ave Maria e avanti! (Scr. 34,12).
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Ave Maria e avanti! Ora va’ alla Moffa e fa’ otto giorni di Santi Esercizi (Scr. 34,107).
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Ave Maria e avanti! Durante il vostro viaggio pregheremo tutti in modo particolare (Scr. 34,214).
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Attacchiamoci alla Madonna: Ave Maria e avanti! (Scr. 39,29).
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La SS.ma Vergine ti conforti e guarisca pienamente! Ave Maria e avanti! (Scr. 42,13).
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Ricordatevi tutti di me, ma confortiamoci in Domino: Ave Maria e avanti! (Scr. 44,207).
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Vi supplico entrambi di volervi ricordare di me nella Santa Messa. E finirò: Ave Maria e avanti (Scr. 44,213).
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Confidenza senza limite in Dio e nella santa Chiesa e nel Vicario in terra di nostro Signore Gesù Cristo e uso non interrotto della santa orazione. E poi Ave Maria e avanti! (Scr. 44,282).
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Quanto a voi, vi dico poche parole: avete la Madonna SS.ma: Ave Maria e avanti! e vincete con la carità e con l’aiuto della SS.ma Vergine! (Scr. 46,223).
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E poi confidi nella Madonna, causa della nostra letizia: Ave Maria e avanti! (Scr. 47,21).
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Attaccatevi alla Santa Madonna: Ave Maria e avanti! (Scr. 47,209).
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Oggi è la Maternità di Maria: Ave Maria e avanti! (Scr. 47,268).
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Io mi metto ai piedi dei Vescovi e mi attacco alla Madonna e poi Ave Maria e avanti! (Scr. 48,27).
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E la Madonna? Ave Maria e avanti! Ma povero me, che scrivo così, e non so mai cominciare (Scr. 49,108).
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Eccellenza, Ave Maria e avanti! Il Signore e la Madonna la aiuteranno e saranno sempre con lei (Scr. 49,159).
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Così, cari miei fratelli e figli: così, solo e sempre così! Ave Maria e avanti! (Scr. 52,56).
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Pregate per me e per questa Piccola Opera. Ave Maria e avanti! (Scr. 54,34).
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Mettetevi nelle mani della Santa Madonna dandovi a seguire Gesù con cuore magnanimo, vincerete tutte le battaglie: Ave Maria e Avanti! (Scr. 54,163).
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Una Madre, Maria SS.ma, Ave Maria e avanti! (Scr. 55,64).
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Avanti! Glorificantes et laudantes Deum. Eucaristia. Madonna. Ave Maria e avanti! (Scr. 55,81).
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L’Apostolo corre rischio di costruire sulla sabbia, se la sua attività non si appoggia su una specialissima devozione a Maria. Ave Maria e avanti! (Scr. 56,141).
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Quod Deus imperio Tu prece, Virgo, potes. Ave Maria e avanti! (Scr. 56,205).
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Abbracciamoci fraternamente in osculo sancto. Buona Pasqua. Ave Maria e avanti (Scr. 59,305).
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Ai dolori non ci fermiamo: sit Nomen Domini benedictum: Ave Maria e avanti! (Scr. 61,90).
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Preghiamo, e poi: Ave Maria e avanti! Cari Chierici e Probandi, speranze della nostra umile Congregazione, a me più cari che la pupilla degli occhi miei, addio! Pregate, state fedeli, state forti state umili, lavorate umili, e poi: Ave Maria e avanti! Cari miei chierici, Addio! Buone suore, benedico largamente anche voi: pregate e fate pregare per i missionari della Divina Provvidenza: noi pregheremo per voi altre e andiamo a prepararvi dove faticare e dove morire per la carità di Gesù Cristo, non solo qui ma anche oltre i mari! Anche a voi: Ave Maria e avanti! (Scr. 62,15).
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Da bordo del Principe di Udine, ti abbraccio o conforto in Gesù Cristo con affetto come di padre e ti chiedo la Santa Benedizione. Ave Maria e avanti! (Scr. 65,39).
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Ave Maria e avanti! Spes nostra in Deo est! (Scr. 65,79).
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Preghiamo, Ave Maria e avanti! Avanti in Domino (Scr. 65,90).
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Il Signore è con noi specialmente nelle ore della prova e della tristezza e particolarmente benedice chi vive rassegnato e uniformato alla Sua santa volontà. Ave Maria e avanti! (Scr. 65,150).
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Un’Ave Maria e avanti! Si troverà poi contento in Paradiso (Scr. 69,67).
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Qui elucidant me, vitam aeternam habebant. Ave Maria e avanti! (Scr. 69,225).
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Confidi nel Signore, e metta i Suoi figli e Se nelle mani della Santa Madonna. Ave Maria e Avanti! (Scr. 71,59).
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Coraggio dunque nella Madonna! Ave Maria e avanti con umile fiducia nel Signore (Scr. 71,62).
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Ave Maria e Avanti. Miriamola anche noi questa donna regale che ha il suo manto il suo trono e la sua corona, questa donna che in cielo e in terra in perpetim coronata triumphat (Scr. 73,22).
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Coraggio in Domino: Ave Maria e avanti! (Scr. 74,149).
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Abbracciamoci fraternamente in osculo sancto. Buona Pasqua! Ave Maria e avanti! (Scr. 76,144).
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Confidate nel Signore. Ave Maria e avanti! (Scr. 76,146).
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Una benedizione specialissima: Ave Maria e avanti! (Scr. 79,229).
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Prego e farò pregare. Confidate nel Signore. Ave Maria e avanti! (Scr. 81,49).
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Ave Maria e Avanti, Ave Maria e avanti! (Scr. 81,114).
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Avanti! Glorificantes et laudantes Deum Eucaristia. Ave Maria e avanti! (Scr. 81,149).
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Guardare al cielo, pregare, e poi... avanti con coraggio e lavorare! “Ave Maria e avanti” diceva a Bartolo Longo quel santo e serafico frate che fu Padre Lodovico da Casoria. Sempre avanti figliuoli miei in Domino, ma sempre avanti! Avanti con la Madonna. “Ave Maria e avanti”. Avanti in Domino (Scr. 82,73).
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Norme. Ave Maria e avanti! (Scr. 83,60).
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Ave Maria e avanti! Non c’è tempo da perdere! (Scr. 83,64).
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Ave Maria e avanti! Caritas Christi urget nos! (Scr. 83,192).
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Non vogliamo oggi rammentare i dolori: Ave Maria e avanti! (Scr. 92,83).
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Su tutti e su ciascuno dei carissimi Giovani aggregati un’amplissima, materna benedizione. Ave Maria e avanti! (Scr. 92,268).
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Ai dolori non ci fermiamo sit nomen Domini benedictum: Ave Maria e avanti! (Scr. 94,126).
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Se non basta un treno, ne avremo due! Ave Maria, e avanti! (Scr. 105,18).
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Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti! Alle Figlie delle Madonna del Divino Amore. Don Orione Una benedizione grande e preghino per me (Scr. 105,264).
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Quanto ti sono grato di quanto fai per i nostri! Dio te ne ricompensi in terra e in cielo. Ave Maria e avanti! (Scr. 106,141).
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Mettetevi nelle braccia della Santa Madonna: Ave Maria e avanti! (Scr. 106,222).
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Saluti e conforti da tutti. Ave Maria e avanti! (Scr. 111,202).
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Pace e bene, e Ave Maria e avanti! (Scr. 113,345).
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Ave Maria e avanti! Non c’è tempo da perdere! (Scr. 113,349).
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Il Pellegrinaggio assume un grande significato di filiale devozione e di riconoscenza! Ave Maria e avanti (Scr. 113,349).
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Ave, Maria. O Giovani: Ave Maria, sempre! Ave Maria e avanti! Ave Maria! sino al beato Paradiso! (Scr. 113,369).
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E ora salutiamoci da buoni fratelli nel Signore, e avanti! Ave Maria e avanti! (Scr. 115,129).
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La conforto e la benedico nel Signore e nella santa Madonna. Ave Maria e avanti con fiducia (Scr. 116,142).
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Coraggio, mio caro Sciaccaluga: Ave Maria e avanti! (Scr. 117,65).
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Saluti e conforti da tutti! Ave Maria e avanti! (Scr. 117,144).
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Amiamo tanto il Signore, facciamoci santi: Ave Maria e avanti!... Mie care Benefattrici e Benefattori, sempre avanti nella carità: un’eterna mercede Vi prepara il Signore! Anche a Voi lasciate che dica: Ave Maria e avanti! (Scr. 119,115).
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Tutta la Sua fiducia sia nel Signore e poi coraggio! Ave Maria e Avanti! (Scr. 119,293).
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Tuo aff.mo Don Orione della Div. Provv.za. Ave Maria e avanti! (Scr. 121,187).
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Abbraccio voi e tutti in osculo sancto, nel vivo desiderio che la mano di Dio mi porti presto a voi. Saluti e conforti da tutti! Ave Maria e avanti! (Scr. 121,188).
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Dio vi pagherà: Ave Maria e avanti! Pregate per me, sempre! (Lett. II,240).
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Ho un po’ di male ai reni, ma riposerò sul barco e la Santa Madonna sarà con me: Ave Maria e avanti! (Lett. II,246).
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Umiltà, mortificazione, purezza, carità, orazione e confidenza in Maria: a Lei Gesù niente può negare; da Lei tutto, con Lei tutto noi possiamo. Ave Maria e avanti! «La sua benignità, dice l’altissimo cantore della Fede, non pur soccorre – a chi domanda, ma, molte fiate, liberalmente il dimandar precorre». Figli della Divina Provvidenza, Ave Maria e. avanti, avanti! (Lett. II,477).
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Fede e coraggio, o miei figliuoli: Ave Maria e avanti! La nostra celeste Fondatrice e Madre ci aspetta e vuole in Paradiso (Lett. II,481).
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Buone figliole del Signore, se anche per voi è venuto un momento di tristezza, di sconforto, se il vostro cuore è triste, angosciato, alzate gli occhi a Maria: Respice Stellam, voca Mariam: Ave Maria e avanti! (Par. I,155).
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Coraggio, non vi avvilite, non vi scoraggiate! Ave Maria e avanti! (Par. I,166).
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Ave Maria e avanti! Ave Maria e avanti! La Madonna vi sta vicino più che mai, in questi giorni; vi aiuta a pregare, a star buoni, a trar frutti dalla meditazione e dal silenzio. Ave Maria e avanti! Non guardare indietro alla nostra vita passata per disanimarci! Umiliarci sì, tanto; avvilirci mai! La Madonna non vuole! Ave Maria e avanti! Essa vuole che andiamo avanti nel bene, che non guardiamo alla nostra debolezza, se non per confidare di più in lei e nel suo divin Figlio. Ave Maria e avanti!, qualunque sia stata la nostra vita, qualunque sia lo stato della nostra coscienza! Con Gesù e con Maria avanti nel bene nostro, nel bene per la Congregazione, per le anime, per la Chiesa. Ave Maria e avanti! Sempre avanti! La Madonna ci precede e porta il peso per noi. Guardare la Stella e camminare verso Dio. Ave Maria e avanti! (Par. V,88).
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Negli Scritti di San Luigi Orione compaiono molti titoli mariani verso i quali egli ebbe sincera devozione e interessamento. Eccone l’elenco completo: La Madonna Achiropita, La Madonna Addolorata, La Madonna Annunziata, La Madonna Aparecida, La Madonna Assunta, La Madonna Ausiliatrice, La Madonna Bambina, La Madonna Castellana d’Italia, La Madonna Causae nostrae laetitiae, la Madonna “Che muove gli occhi”, La Madonna Consolata, La Madonna Consolatrice degli afflitti, La Madonna dal Manto azzurro, La Madonna degli Angeli, La Madonna degli Eremiti, La Madonna dei Dolori, La Madonna dei Fiori, La Madonna dei Lumi, La Madonna dei Miracoli, La Madonna dei Polacchi, La Madonna dei Viandanti, La Madonna del Botticelli, La Madonna del Buon consiglio, La Madonna del Buon viaggio, La Madonna del Carmine, La Madonna del Coppo, La Madonna del Divino amore, La Madonna del Duomo di Milano, La Madonna del “Fermati, passeger”, La Madonna del Fucino, La Madonna del Laghetto, La Madonna del Lago, La Madonna del Lavoro, La Madonna del Manganello, La Madonna del Mirteto, La Madonna del Monte, La Madonna del Monte Giarolo, La Madonna del Monte Penice, La Madonna del Noviziato, La Madonna del Paradiso, La Madonna del Pascoli, La Madonna del Penice, La Madonna del Perpetuo Soccorso, La Madonna del Pianto, La Madonna del Pilar, La Madonna del Piratello, La Madonna del Pozzo, La Madonna del Purgatorio, La Madonna del Rifugio, La Madonna del Riposo, La Madonna del Rocciamelone, La Madonna del Rosario, La Madonna del Ruscello, La Madonna del San Giorgio, La Madonna del Seminario, La Madonna del Sogno, La Madonna del Suffragio, La Madonna del Tufo, La Madonna dell’Albero, La Madonna dell’Angelo, La Madonna dell’Angelo, La Madonna dell’Orto, La Madonna dell’Ulivo, La Madonna della Carità, La Madonna della Catena, La Madonna della Cavallosa, La Madonna della Chiave, La Madonna della Cintura, La Madonna della Consolazione, La Madonna della Costa, La Madonna della Creta, La Madonna della Divina Provvidenza, La Madonna della Fiducia, La Madonna della Fogliata, La Madonna della Fonte, La Madonna della Giustizia, La Madonna della Grotta, La Madonna della Guardia, La Madonna della Lettera, La Madonna della Medaglia, La Madonna della Mercede, La Madonna della Misericordia, La Madonna della Neve, La Madonna della Pace, La Madonna della Pazienza, La Madonna della Pietà, La Madonna della Presentazione, La Madonna della Purificazione, La Madonna della Salette, La Madonna della Salute, La Madonna della Salve, La Madonna della Sanità, La Madonna della Scala, La Madonna della Semina, La Madonna della Visitazione, La Madonna delle Belve, La Madonna delle Candele, La Madonna delle Cendrole, La Madonna delle Fornaci, La Madonna delle Grazie, La Madonna delle Lacrime, La Madonna delle Rocce, La Madonna delle Uve, La Madonna delle Vigne, La Madonna delle Vittorie, La Madonna dell’Olmo, La Madonna dell’Orto, La Madonna dello Scalone, La Madonna di Bracciano, La Madonna di Caravaggio, La Madonna di Carignano, La Madonna di Costantino, La Madonna di Czestochowa, La Madonna di Fatima, La Madonna di Fontanasanta, La Madonna di Fonti, La Madonna di Fumo, La Madonna di Garbagna, La Madonna di Guadalupe, La Madonna di Itatí, La Madonna di Loreto, La Madonna di Lourdes, La Madonna di Luján, La Madonna di Montalto, La Madonna di Monte Berice, La Madonna di Monte Castello, La Madonna di Monte Giarolo, La Madonna di Monte Grappa, La Madonna di Monte Nero, La Madonna di Montebello, La Madonna di Montebruno, La Madonna di Montegrazie, La Madonna di Montespineto, La Madonna di Nazaret, La Madonna di Oropa, La Madonna di Palazzo Busseti, La Madonna di Pietracquaria, La Madonna di Pietracquaviva, La Madonna di Pompei, La Madonna di Rinarolo, La Madonna di Rocciamelone, La Madonna di Romania, La Madonna di Rossano, La Madonna di San Filippo, La Madonna di San Luca, La Madonna di Sant’Agostino, La Madonna di Sordevolo, La Madonna di Taggia, La Madonna di Treviso, La Madonna di Vico, La Madonna di Villa Moffa, La Madonna Ianua coeli, La Madonna Immacolata, La Madonna Lacrimosa, La Madonna Madre della Chiesa, La Madonna Madre di Dio, La Madonna Mora, La Madonna Nera, La Madonna Nicopeia, La Madonna Portinaia, La Madonna Regina degli Apostoli, La Madonna Regina della Pace, La Madonna Regina della Palestina, La Madonna Rifugio dei peccatori, La Madonna Salus infirmorum, La Madonna Salus populi romani, La Madonna Sedes sapientiae, La Madonna Solacium purgatorii, La Madonna Stella del Mare, La Madonna Virgo potens.
Vedi anche: Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Malati
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Gli incomodi di salute e le malattie sono un regalo del Signore. Dio nelle malattie vuole farci toccare con mano che noi nulla siamo e nulla possiamo, e che Egli è che fa tutto (Scr. 4,258).
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Porta la tua croce in Domino con Gesù. Il Signore e la Madonna SS.ma ti assistano e confortino nella tua malattia, sì che tu abbia piena rassegnazione alla volontà di Dio; e da prendere tutto dalle Sue mani, sì da trovare nelle tue sofferenze corporali un bene infinitamente maggiore della sanità (Scr. 5,399).
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Da tutte queste malattie impariamo, o miei Cari, a patire volentieri e a ricevere dalle mani del Signore con grande tranquillità, con umiltà, con fede e fin con riconoscenza i mali che Dio ci manda o permette che abbiamo; e, pensando ai patimenti sofferti da N. Signore Gesù Cristo, offriamo a Lui le nostre sofferenze fisiche e morali (Scr. 5,445).
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Manda pure ad Anzio Carradori, ma, prima, chiamalo e digli che Don Orione pensa che Dio, mandandogli o permettendogli la sua malattia, abbia voluto richiamarlo ad avere più spirito di distacco dal suo amor proprio, più distacco dal sangue e dai parenti, più umiltà, in una parola, e più dedizione alla vita veramente religiosa. Il Signore nelle malattie, vuol farci toccare con mano che noi nulla siamo, e che Egli è tutto. Abbia, dunque, maggiori sentimenti di rinnegamento di sé, di umiltà, di distacco dai parenti (digli pure anche che io vedo, su questo punto, un grosso sasso di intoppo sul suo cammino). E abbia maggior confidenza e abbandono in Dio e nei suoi Superiori, diventando spiritualmente e religiosamente bambino, come era una volta (Scr. 8,227).
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Il nostro buon Dio desidera che nella sofferenza della malattia la Signoria Vostra trovi un Bene infinitamente superiore. Ella tenga la sua anima purificata dalla grazia di Dio, e poi stia tranquilla nelle mani di Gesù. Egli darà pace e conforto al suo spirito, perché la pace è proprio il dono di Cristo e il fonte di ogni bene. E Lei conserverà la pace sé starà tranquilla e rassegnata alla volontà di Dio in ogni cosa (Scr. 9,155).
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Non dobbiamo quindi rattristarci se nelle malattie non possiamo lavorare per il Signore; basta che ci rassegniamo alla sua volontà: con la rassegnazione, con la pazienza e con l’offrire a Dio dei nostri dolori acquisteremo, forse, meriti più grandi che non con la fatica, perché i meriti guadagnati così sono, sovente, più preziosi e anche più sicuri, perché ci mantengono nell’umiltà e nella fede (Scr. 20,194).
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Nelle malattie Dio vuol farci toccar con mano che noi nulla siamo; e che dobbiamo staccarci dagli affetti umani, e trarne alti beni per l’anima nostra con maggiori sentimenti d’umiltà, di pietà, di confidenza e di abbandono in Lui! (Scr. 26,170).
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Le malattie non sono mali, ma beni, per chi è illuminato dalla fede. La Divina Provvidenza permette che siamo afflitti dalle malattie, perché facciamo penitenza dei nostri peccati e ci meritiamo il Paradiso, sopportando con pazienza e rassegnazione i dolori e purificando la nostra anima. Pensate ai patimenti di Gesù Cristo e pregate, stando in guardia, che dagli incomodi del corpo il demonio non abbia ad infiacchirvi nel buono spirito (Scr. 32,173).
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Guardate che il Signore vi ha mandata sta malattia per guarirvi l’anima da qualche altro male, e ricordate bene che le malattie sono visite che Dio ci fa, e sono regali che Dio ci fa, per farci diventare più pii e più suoi e più santi. La fede ci insegna che là appunto sta nascosto il maggior bene, dove il corpo nostro peccatore esperimenta il maggior male. Dio vuole poi da te, o caro mio figliuolo, che in questa sofferenza e malattia del tuo corpo trovi un bene infinitamente maggiore della sanità: vuole Dio che tu trovi la tua via, la via sicura per la tua anima. Vuole Dio farti toccare con mano che noi (anche nella gioventù) nulla siamo e nulla possiamo, e che dobbiamo solo cercare e desiderare e amare Dio, che è tutto (Scr. 33,55).
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Il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene tante volte infinitamente maggiore della sanità, troviamo sempre Dio più presso. Serviamoci delle malattie e delle tribolazioni per crescere nell’amore di Dio (Scr. 34,24).
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I nostri fratelli malati sono tutto il nostro amore in Gesù Cristo, e le nostre ali per salire a Lui, al Signore. Tu dunque andrai a Bra, e avrai una cameretta da te, e scriverò che ti usino ogni riguardo, ogni cura, e tu, mio caro Jatì, accetta con piacere il vitto che ti daranno; e quando potrai andare alle prediche, vai, e quando non ti sentissi, riposa tranquillo (Scr. 34,81).
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Senza che fuori nessuno sappia nulla, appena puoi tu va pure a dormire all’Ospedale, specialmente quando vi fossero malati che meritano di essere assistiti la notte per pericolo di morte. Cerca però di amministrare i Sacramenti presto e di giorno, trattando bene i malati, introducendoti con carità grande di amico, e poi con parola e spirito di Sacerdote (Scr. 34,127).
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Del resto ella bene sa, o mio buon amico, che il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene infinitamente maggiore della sanità. Col mezzo delle malattie e delle tribolazioni il nostro Padre Celeste vuol staccarci sempre più dalle cose ingannevoli e fugaci di questo mondo: si porta a maggiori sentimenti di umiltà, a maggior confidenza e abbandono in Lui, e ci fa del tutto Suoi. Benediciamo dunque il Signore nella sanità e benediciamolo anche nelle malattie: benedetto Dio nella vita e benedetto Dio nella morte! il Signore sia sempre benedetto! Penso all’amico e al fratello malato tante volte al giorno, e prego per la sua salute qui ai piedi di tanti martiri e sulle memorie e monumenti più venerabili del cristianesimo, e confido che, specialmente per la intercessione della SS.ma Vergine Dio le farà la grazia. Però, per quei vincoli fraterni e spirituali che da tanti anni ci uniscono, e come sono sicuro che lei direbbe a me, così io dico a lei: la malattia è abbastanza grave: Lei ha fatto molto bene a confessarsi, ma è anche bene che disponga tutto, se non avesse ancora fatto, e poi si abbandoni tranquillo nelle mani della Madonna. Questa che le scrivo non la deve affatto affatto intimorire, ma è solo per esserle sinceramente fratello in Domino fino all’ultimo; come domani lei vorrà fare con me, se mi trovassi in istato grave. Io le manderò tutti i giorni per alcune ore il mio angelo custode a confortarla, ma, sovra tutto, o caro amico nel Signore, le sia di sollievo il pensiero ai patimenti sofferti da Gesù: l’amore di Gesù Cristo e l’amore a Gesù Cristo siano le due vene di ogni nostra consolazione (Scr. 35,176–177).
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Le malattie non sono mali, ma beni, per chi è illuminato dalla fede. La Divina Provvidenza permette che siamo afflitti dalle malattie, perché facciamo penitenza dei nostri peccati e ci meritiamo il Paradiso, sopportando con pazienza e rassegnazione i dolori e purificando la nostra anima. Pensate ai patimenti di Gesù Cristo e pregate, stando in guardia, che dagli incomodi del corpo il demonio non abbia ad infiacchirvi nel buono spirito (Scr. 41,33).
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Non io miserabile, ma la Divina Provvidenza ha aperto nella festa di San Giuseppe una sua quarta Casa in Genova, per poveri vecchi abbandonati da tutti o malati senza cure o rifiutati dagli altri Istituti di beneficenza. Erano già sette, ma qual giorno ne ho accettati altri, uno cieco, un altro sordo–muto e altri, e spero domani di trovarne almeno già 14, tanti come le Opere di Misericordia. Alcuni ce li siamo andati a prendere con le barelle della Croce Verde, perché già malati da letto. Deo gratias! (Scr. 41,89).
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Da codesta malattia Dio vuol cavare un gran bene per l’anima tua: vuole farti più suo, e infondere in te maggior confidenza e abbandono in lui. Va’ avanti in Domino! E ti sia di grande sollievo e conforto il pensare ai patimenti sofferti da N. Signore Gesù Cristo e ai dolori della SS.ma Vergine, Madre nostra. Non lasciarti poi mai prendere da scoraggiamento o tristezza, ma vivi pieno di fiducia: preghiera e santo coraggio, ché Dio aspetta ancora molto da te (Scr. 42,14).
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Mentre in Cina si massacrano i missionari, sei povere suore partiranno dal vostro Piccolo Cottolengo per lontane missioni. Affidate alla Divina Provvidenza, esse vanno a trapiantare in America un altro Cottolengo. Nel nome di Dio, accoglieranno malati e poveri di ogni genere, di ogni età, di ogni sesso, di ogni nazionalità e religione, e gli orfanelli: quei derelitti che, non ricevuti da nessuno, sono come il rifiuto della società (Scr. 53,97).
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Amare Gesù e le Anime è l’Opera più grande che si può fare sulla terra mi pare che mi giri attorno un soavissimo canto di amore e che diventeremo i cantori di Dio, cantori della carità di Dio: i piccoli e i poveri di Gesù, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno e il canto di Dio che mi gira d’intorno all’anima e alla mente, e la gloria e l’amore che mi ferisce il cuore e la vita e mi fa vivere e morire di un foco grandissimo che è vita e mi canta dentro e mi fa esclamare: o cuore di Gesù, amore delle Anime piccole e umili di Gesù. Amare o morire di amore! (Scr. 57,101).
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Noi possiamo sollevare i nostri morti e liberarli colla preghiera e coi cristiani suffragi. Quanto tu compi una buona azione o fai una elemosina, quando rasciughi le lacrime del povero o conforti la vedova che soffre, i malati, gli orfanelli, i vecchi cadenti, tu puoi liberare dalle pene della espiazione le anime che soffrono nel Purgatorio (Scr. 57,123).
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Coloro poi che avessero in famiglia o tra le persone amiche dei malati diffondano tra i loro cari infermi la devozione al Brevetto di S. Antonio, e gli ammalati o troveranno nelle sofferenze corporali un bene infinitamente maggiore della sanità, o recupereranno la sospirata salute. Aegri surgunt sani! Non vi ha infermo che con umile fede abbia fatto ricorso a Sant’Antonio e non sia stato confortato o non sia stato liberato dalle dai suoi mali (Scr. 61,112).
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Accetto tutti i più abbandonati e a qualunque religione appartengano purché malati o inabili al lavoro e che non possano trovare ricovero da nessuna parte. Molti di essi per malattia o per vecchiaia hanno bisogno di essere cambiati (di) biancheria di frequente, anche tutti i giorni, perché tanti non sanno quello che fanno (Scr. 66,82).
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Noi siamo già felici di quel po’ di bene che, con l’aiuto di Dio, s’è potuto fare all’Ospedale in tempi alquanto difficili, e d’esser stati chiamati, senza alcun nostro merito, all’alto privilegio di servire Cristo nei poveri malati (Scr. 66,133).
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Fate pure le infermiere, sono più che contento: fate anche le spazzine della strada, basta fare opere di carità, e amare voi il Signore e farlo amare dagli altri. Vi benedico, e servirete N. S. nei malati. Oh come sarò mai contento, se saprò che avete fatto tanto bene, con spirito di umiltà, di abnegazione, di sacrificio, facendovi come le serve delle malate e come figlie delle malate più vecchie di voi (Scr. 67,180).
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Distint.mo Signore Presidente dell’Ospedale Civile di Tortona Il Sac. Bariani mi ha comunicato che la S. V. attende che Vi presenti altro mio Sacerdote per la curia spirituale dei malati dell’Ospedale. Vi ringrazio, Sig. Presidente, dell’atto benevolo, ma vorrete comprendere che la presentazione e nomina a Rettore dell’Ospedale dipende dalla Autorità competente, che è Monsignor nostro Vescovo: Egli solo può disporre. E giacché si presenta l’occasione, mi par conveniente far conoscere che non vorrei si pensasse che da noi si rimanga male, quando altri venga a sostituirci all’Ospedale. Più decine d’anni fa il Vescovo d’allora prego che ne assumessimo la cura spirituale; cominciò Don Sterpi, poi, oltre trent’anni fa, Don Zanocchi e poi altri. Per motivi che sarebbe prolisso dire in quelle contingenze un Sacerdote del Clero secolare difficilmente avrebbe potuto stare all’Ospedale, mentre, sono a questi ultimi giorni, non si passava neppure il vitto. Ora, grazie a Dio, cambiati uomini e governo, anche pel Rettore dell’Ospedale di Tortona le condizioni sono migliorate. Oggi poi Sua Ecc.za Monsignor Vescovo ha pure disponibilità di Sacerdoti, onde non vedo più la ragione che noi si resti, quasi a togliere un posto al Clero della Diocesi. Non devono, quindi, aver riguardi fuori luogo verso i Figli della Divina Provvidenza: noi siamo già felici di quel po’ di bene che, con l’aiuto del Signore, s’è potuto fare, e d’esser stati chiamati, senza alcun nostro merito, al privilegio di servire Cristo nei poveri malati (Scr. 68,151).
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Ebbene, quale occasione migliore per rassegnarci e uniformarci dolcemente e con gioia dell’anima alla S. Volontà di Dio, che quando siamo malati? È allora che si fa a Dio umile offerta e abbandono di noi stessi; e furono le malattie il principio di tanti Santi. E quanti, malaticci e veramente malati, fecero grandi cose per la loro anima e per il bene del prossimo! (Scr. 77,1).
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La Signoria Vostra deve agire su di essi non solo con cuore di madre, ma con infinita pazienza e carità: sono malati spiritualmente, malati gravi, per non dire di più: vanno presi con la più grande delicatezza e curati con infinite cure e riguardi, ma in modo che essi neanche quasi se ne accorgano, e vanno tirati su a piccole dosi e sorretti con finezze di carità perché non abbiano da morire (Scr. 77,97).
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I malati al Santuario Nella festa della Madonna, sabato 29 agosto, portate i vostri malati al Santuario. Alle ore 11 ci sarà la benedizione solenne ai malati, con le invocazioni (Scr. 91,244).
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La benedizione ai malati. Intanto arrivano al Santuario centinaia di ammalati amorosamente assistiti dai parenti e dai fedeli, per ricevere la Benedizione dei malati come a Lourdes. S’ode potente ed infocata la voce di Don Orione: “Abbiate fede, fede ardente, domandiamo a Gesù la grazia pei nostri malati o della guarigione o del conforto nel dolore”. E, come a Lourdes, un’onda di commozione pervade la folla, quando il Sacerdote stringendo il raggio di Gesù Sacramentato, discende dall’altare e passa benedicendo ad uno ad uno i poveri infermi (Scr. 95,193).
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Coraggio! e per farti santo che ti gioverà tutto il resto se non sarai santo? Visita degli spedali – visita dei carcerati e prigionieri – visita agli ammalati poveri – limosina sempre ai poveri o in denaro o in altro almeno con tre parole e un abbraccio, fatti mostrare dove stanno e digli dove sono i poveri ammalati da volere consolare e confortare. Quando non avrai più niente va dai preti canonici e parroci o Vescovo o dai semi maristi. Fatti dare quanto hanno di buono pei carcerati falli confessare: va presentati a chiunque per attenere di andar da loro: da tutto anche la camicia purché tu tenga la vita. Coraggio: la carità! Tutto senza che una mano sappia quel che fa l’altra. Va’ nei paolotti fa ogni modo per appartenervi, abbraccia e bacia e servi gli ammalati (Scr. 96,15).
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Le preferenze siano per le poverette e per i poveri più bisognosi e derelitti: e le maggiori preferenze poi per gli ammalati più abbandonati, che sono pieni di dolori, di piaghe, di vecchiaia, per gli epilettici, per gli scrofolosi, per i sordomuti, per i scemi: essi sono i nostri tesori e i nostri padroni; teneteveli cari: li riceverete alla porta, scoprendovi il capo, e li accoglierete con i segni più affettuosi della carità di Gesù Cristo, e d’in ginocchio bacerete loro le mani e i piedi (Scr. 97,251).
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Miei cari Orfani, o povere Vecchie, e tutti Voi, miei cari malati, che siete il tesoro e l’amore della Chiesa e della nostra Congregazione, che siete tanta parte del mio cuore e della mia vita, pregate per me e per la Piccola Opera della Divina Provvidenza, che vi ha accolti e che è la vostra casa. Offrite i vostri dolori a Gesù e alla Madonna: amiamo tanto il Signore, facciamoci santi: Ave Maria, e avanti! (Scr. 119,95).
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Oggi, dunque, arrivano da Venezia i poveri malati che sono mandati di qua e di là; noi ne prenderemo un venticinque o trenta, ben felici di sacrificarci per i nostri fratelli, non solo perché sono cristiani, ma perché sono ammalati. Capirete che, se accettavo i vecchi, non potevo rifiutare gli ammalati. Ora, dunque, buone figliole del Signore, io non so se mi manderanno infermieri o infermiere per assisterli; sicché ho pensato che, se ne sarà bisogno, potreste venire voi ad esercitare questo pietoso ufficio di carità. Ma intendiamo bene, non vi offendete buone figliole del Signore, non bisogna venir là a fare il collo storto! (Par. I,116).
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Ai poveri date con grande generosità: non guardate, date, date. Grande carità coi malati. Se non aveste altro, e fosse necessario, impegnate anche il calice: qualunque cosa per i malati! Ma se vi ammalate voi, non siate di quelle che hanno tanti bisogni, che non sono mai contente di nulla, né del letto, né dei cibi, dell’infermiera, sono malcontente anche del medico (Par. I,196).
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C’è chi serve i poveri e i malati con buon modo e questi vorrebbero sempre avere quella suora vicina e le vogliono bene come ad una figlia. Tanti invece servono i malati in un modo che sembrano principesse e fanno capire troppo quello che fanno, in modo che non c’è più quel vincolo di riconoscenza e carità che vi deve essere fra noi e i vostri poveri. Ci vuol tanto poco a farsi voler bene dai nostri poveri. Ci vuol tanto poco a far sorridere quelle povere labbra, che da tanto tempo forse non sorridono. Non adoperate mai parole altezzose; pensiamo che i poveri sono i tesori di Gesù Cristo, di Gesù Cristo! E che noi, servendo i poveri e i malati, serviamo Gesù Cristo (Par. II,164).
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Statevene da voi: casa e Chiesa, Chiesa e casa. Quando si tratta di malate, andate; quando si tratta di uomini chiedete alla superiora. Sacrificatevi presso i malati, date buon esempio, abbiate un contegno modesto nel camminare, nel parlare. Che la benedizione di Dio vi segua, vi accompagni in tutti i passi che fate (Par. II,214).
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Dobbiamo imparare ad avere un grande spirito di carità verso i poveri ammalati; una delle opere di misericordia è visitare gli ammalati. Il grande Sant’Ignazio ordinò che i suoi Religiosi insegnassero il catechismo e curassero gli ammalati per un certo tempo e quello doveva essere prova di vocazione (Par. IV,309).
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Il Signore vi conforti in questa vostra malattia e mettetevi nelle sue mani come fa un buon Sacerdote. Offrite al Signore tutte le vostre sofferenze in espiazione dei vostri mancamenti. Raccomandatevi a San Giuseppe che è il Protettore degli ammalati gravi (Par. V,25).
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Se il Signore mi darà grazia di avere un poco di tempo a disposizione, voglio scrivere la vita di questi santi sacerdoti, che ci hanno preceduti, a conforto di quanti verranno tra le nostre file. Alcuni di questi sacerdoti ci hanno dato esempi luminosi di vita santa, esempi di virtù eroiche. Dobbiamo, o cari figliuoli, sforzarci di seguire le loro orme, gli esempi della loro vita: vita di sacrificio, di lavoro, vita di sacerdoti sereni di fronte alla malattia che non perdona, sereni e gioiosi di compiere la volontà di Dio. Sono fratelli, quelli che ci hanno preceduto, fratelli che fanno sentire il loro aiuto in modo palese e che, in qualche modo, hanno fortificata la nostra speranza, che essi godano già la gloria dei Santi e che stanno attendendoci alle porte della eternità (Par. V,34b).
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In tutte le lotte, curvati dalle malattie o dagli affanni della vita, fratelli miei, il Vangelo insegna a me e a voi quello che noi oggi, domani e sempre dovremo fare: elevare il nostro spirito a Dio; invocare l’aiuto del Signore; e il Signore, che è buono, che è la misericordia stessa, che è il Padre celeste, volgerà sopra di noi il suo sguardo paterno e con una parola, in un attimo, calmerà le onde tempestose e calmerà i venti burrascosi della mia e della vostra esistenza (Par. VI,196).
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Quando uno sta a letto il Direttore non deve gridare, ma vedere subito che cosa ha. Molta cura degli ammalati. Quando si accorge che uno non sta bene, il direttore è obbligato in coscienza, a vedere come sta, a provvedere e avere grande premura, essere padre con gli ammalati! Vi sono alcuni che per delicatezza o per timore o per vergogna non avvertono il Superiore. Il superiore è obbligato ad assicurarsi: non deve essere tardo nel credere ai bisogni degli inferiori. La salute è un dono di Dio e si deve curare (Par. VI,256).
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Aver gran cura degli ammalati. San Francesco d’Assisi vendette il calice per aiutare la madre di un frate. Avere nella Congregazione culto a Dio, alla Madonna! Prima agli ammalati e poi ai sani! Grande cura per gli ammalati. Abbiamo a San Remo e a Varallo le Case per gli ammalati nostri. Trattare bene gli ammalati e non i salutisti, non gli ammalati del pignattino. Quando uno non si sente bene lo deve dire e i Superiori quando si accorgono che uno non sta bene, passano avanti al domandare, e non lo devono trascurare. “Principiis obsta”; non essere salutisti né trascurati (Par. VI,282).
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Quanto sarei contento che alcuni nostri chierici, tutte le domeniche andassero a visitare ammalati. Io vi procurerei delle caramelle, vi provvederei delle arance da portare agli ammalati. Mi direte: ma dobbiamo visitare tutti gli ammalati? No! Solo i reparti uomini; per il reparto donne ci andranno delle donne! Sarebbe tanto bello che la Congregazione nostra si distinguesse nella visita e nell’assistenza degli ammalati negli ospedali. Ditemi un po’: se non ci andiamo noi che vogliamo amare e servire Gesù Cristo nei poveri, negli ammalati, ma chi ci andrà? chi ci andrà? (Par. VIII,124).
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Le visite che avrete fatto ai malati, portati dallo spirito buono a compiere questi atti di carità, di fraternità e di vero cristianesimo, vi saranno un giorno premiate. Dunque, preparatevi! Domenica andranno tre, non più di tre. Vi preparerò qualche cosa e poi vi farete il segno di Croce e poi andrete nel nome del Signore a visitare i nostri fratelli che sono nell’Ospedale ammalati, ad esercitare l’opera di misericordia inculcataci da Gesù. E così ogni Domenica vi darete il cambio, e tutti nel corso dell’anno passerete il vostro turno (Par. VIII,126).
Vedi anche: Sofferenza.
Mansuetudine
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Ti prego di confortare nel Signore codesti tuoi due fratelli e di avere con essi spirito di carità di pazienza, di longanimità in tutto ciò che non è offesa di Dio. Invece di comandare supplica: fa’ come fa una Madre coi figli grandi. E se essi anche non fanno, e tu mettiti a pregare, e poi vedrai che le cose cambieranno. Fa’ da padre, fa’ da Madre, fa’ da Gesù che fu mansuetissimo, e prega e prega e prega, e vedrai che da N. Signore e, tu avrai dei conforti e delle consolazioni (Scr. 5,326–327).
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Io ho questo grande desiderio che cioè in cotesta Casa di Sant’Anna ci sia più spirito di carità, e che non vi impicciate di parlare di cose profane o che non riguardano il bene spirituale nostro e che siate mansueti tra voi come agnelli – Fatemi questa carità che vi chiedo in questa ora dolorosa della mia vita, poiché ho lasciato Sant’Anna con il cuore disgustato (Scr. 6,11).
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Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, la umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione tutti uniti di mente e di cuore in Cristo, in una parola, vivere Cristo. E sempre lieti in Domino, con gioia grande, diffondendo bontà e serenità su tutti i nostri passi e nel cuore di tutte le persone che incontriamo: sempre contenti, sempre alacri, tesoreggiando il tempo, ma senza troppa umana fretta: in ogni giorno, in ogni cosa, in ogni tribolazione, in ogni dolore letizia grande, carità sempre e carità grande sino al sacrificio, in ogni cosa, solo e sempre, Cristo, Gesù Cristo e la Sua Chiesa, in olocausto di amore, in odore dolcissimo di soavità (Scr. 8,209).
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Io prego Dio ogni giorno e Lo supplico perché intensifichi in me ed in voi la vita dello spirito religioso e ci dia un più forte amore ed un più alto intendimento delle cose spirituali, onde viviamo in modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta «con tutta umiltà, con mansuetudine, con longanimità, sopportandoci gli uni gli altri con amore, studiandoci di conservare l’unità dello spirito con il vincolo della pace», come scriveva San Paolo agli Efesini (IV). E così vivete in Cristo, o miei figli, vivete in uno spirito di santo amore di Dio e di soavissima dilezione fraterna, mentre io non cesserò di ricordarvi all’altare del Signore, onde possiate conoscerlo più a fondo e illumini gli occhi del vostro cuore, affinché non dimentichiate mai, ma sempre più sappiate a quale corona vi ha chiamati, e quale sia la gloria che vi aspetta tra i santi (Scr. 26,158).
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Figliuol mio, ascolta e finisco: la scienza della umiltà, «radix et fundamentum virtutum omnium», la scienza della mansuetudine, della obbedienza e della povertà di cuore: la scienza della illibatezza e santità della vita è una scienza recondita, che non la insegna il mondo, e rarissimamente la si apprende dalle scuole pure nostre: è scienza che non ha aspetto pretenzioso né faccia baldanzosa, ma è la scienza santa, la scienza della salute! Questa, o figliuol mio, è la nostra scienza, e la si impara alla scuola divina di Gesù Cristo Crocifisso (Scr. 31,224).
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Beati quelli che coopereranno alla perfetta consensione della volontà e dei cuori: essi sono in Cristo! Così io confido che tali vorranno sempre più essere i nostri fratelli sacerdoti della Casa di Roma, dove ora voi, vi apprestate a ritornare con il mandato di umilmente e di fraternamente lavorare, e con la dolcezza e la mansuetudine dei modi e delle parole, e con l’esempio e, occorrendo, con ogni più dolce forza di carità e di sacrificio, perché quei nostri cari Religiosi, sia con il popolo della parrocchia che coi poveri e coi fanciulli, abbiano più carità e più buone maniere (Scr. 34,37).
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Gesù Cristo è venuto a portare il fuoco della divina carità, e altro non vuole se non che s’accenda il suo Spirito in noi. Lo spirito di Gesù Cristo consiste in umiltà, mansuetudine, annegazione, mortificazione, unione (preghiera–orazione sacramenti) e adorazione. Il contrario è lo spirito del demonio. Gesù Cristo Signor nostro sia la vera vita delle anime nostre (Scr. 39,40).
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Tu devi prenderti per protettore speciale San Francesco di Sales che è il santo della dolcezza e della mansuetudine, e ricordare che Gesù ha voluto essere indicato sotto la figura di agnello mite e dolce. E quando ha detto che noi dobbiamo imitarlo e imparare da Lui, non disse di imparare da Lui e fare il mondo o cose straordinarie, ma discite a me quia mitis sum et humilis corde. E così imparerai la affabilità: caccerai da te la collera e avrai dolcezza e carità. La dolcezza coi fratelli e con tutti è anche segno di umiltà, e la collera di superbia (Scr. 46,96).
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Coraggio, o buona figliuola del Signore, questo povero sacerdote prega per voi, e non lascerà mai di umilmente ricordarvi specialmente nel sacrificio divino dell’altare. Gesù sia sempre nel vostro cuore, egli che ha detto: Venite a me voi tutti che siete stanchi e sotto grave peso, ed io vi darò sollievo e pace. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me perch’io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero. Ora io vi esorto, o buona figlia di Dio, per la mansuetudine e la mitezza di Cristo, di non spaventarvi nelle ore di prova (Scr. 47,154).
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Oh quanto mi parrebbe necessario che i Vescovi e il clero sentissero la voce della carne e del sangue e l’umana politica, per sentire la voce del Vicario di Gesù Cristo! Sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni, e partiti, e controversie politiche, si leva il Vangelo e con il Vangelo si leva il Vicario di Gesù Cristo, che predica a tutti ugualmente e in modo generale la giustizia, la carità, l’umiltà, la mansuetudine, e la dolcezza, e tutte le altre virtù evangeliche, riprovando i vizi contrari (Scr. 49,92).
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Or su, dunque, o miei figli, lasciate che faccia mie le espressioni che l’apostolo scriveva agli Efesini e che la chiesa cita nella Santa Messa di oggi: «Obsecro Vos in Domino ut digne ambuletism vocatione qua vocati estis». Vi scongiuro per il Signore che camminiate cioè che tutti viviate degnamente, secondo la vocazione a cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri per la carità, solleciti di conservare l’unità dello spirito, mediante il vincolo della pace. Dunque umiltà, opposta alla superbia, fonte di discordia. Mansuetudine, opposta all’ira. Pazienza, opposta all’impazienza, che non sa tollerare le ingiurie ricevute. Carità, opposta allo zelo smoderato, volubile incostante contrario allo spirito della Piccola Opera. Sia il nostro zelo illuminato, discreto: non lasciamoci ingannare da uno zelo che non fosse secundum scientiam ma frutto di presunzione e di vanità quattro virtù dell’umiltà, della mansuetudine, della pazienza e della carità conserveranno l’unità di spirito, ossia degli animi, che importa unità di pensieri e di sentimenti. E questa umiltà si avrà per mezzo del vincolo della pace. La pace è il dono di Cristo e il fonte di ogni bene: è il frutto della carità, carissimi miei figli e fratelli, sì, è il frutto della carità e si ha quando si vive distaccati da noi e dalle cose terrene e con l’anima in cielo. Quando vinciamo l’amor proprio, quando non vogliamo altro che quello che vuole Dio e la sua chiesa, godremo sempre la pace di Cristo, che contiene ogni bene (Scr. 52,124–125).
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L’Istituto è una scuola di perfezione, non un’unione di uomini perfetti. Esso è stato fondato per formare uomini umili, mansueti e veri imitatori di Gesù Cristo: l’Istituto è tutto fondato sulla semplicità, sul pieno rinnegamento di noi stessi, e il suo spirito vuole essere spirito di fede e di abbandono e piena fiducia nella Provvidenza (Scr. 54,178).
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Viviamo umili, ubbidienti, santi e irreprensibili al cospetto di Dio e degli uomini in uno spirito d’amore. Io non lascio di render grazie per voi e di ricordarvi tutti nelle mie preghiere. Non perdetevi d’animo a motivo delle prove dolorose e afflizioni che la Piccola Opera patisce; codeste afflizioni, prese dalle mani di Dio, saranno un giorno la nostra gloria. Dio potentemente vi santifichi. Viviamo in modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta, con tutta umiltà, con carità, con mansuetudine verso tutti, fedeli alla Chiesa in uno spirito d’amore. Seguiamo l’esempio di Cristo che per noi ha dato sé stesso in oblazione e in sacrificio, qual profumo d’odore soave. Sottomettiamoci gli uni agli altri nella riverente sottomissione a Cristo (Scr. 55,64).
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Perché nel Vangelo sta scritto: Imparate da me che sono mite ed umile di cuore: perché nel sermone del monte Gesù disse: siate mansueti, taluno potrebbe credere che i Santi non debbano essere se non agnelli o colombe. No, amici miei, non è così. A tempo e luogo l’umiltà, e la fede dei Santi, l’amore di Dio e del prossimo che arde loro nel petto dà ad essi la forza di tramutarsi in leoni od in aquile. Davanti ai prepotenti, ai soperchiatori degli orfani, delle vedove, dei vecchi, dei deboli e dei poveri, i Santi ci appaiono sempre con la testa alta e la spada in mano, vindici del diritto e della giustizia: essi da umili fraticelli diventano altrettanti Nathan, non temono di affrontare tutti i Don Rodrigo, pur di battere in breccia la prepotenza (Scr. 57,250).
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Voi quindi dovete accaparrarvi ogni virtù. In modo speciale vi raccomando la mansuetudine e l’affabilità: quella mitiga l’impeto dell’ira, con la quale niuna cosa può farsi diretta e considerata: questa vi spoglia delle abitudini rozze, aspre, inurbane e vi riveste di maniere cortesi, dolci e, vorrei dire, signorili, senza affettazione. La mansuetudine non deve degenerare in debolezza, l’affabilità in cortigianeria. Medio tutissimus ibis la virtù rifugge dall’eccesso e dal difetto. Vi guarderete pertanto dal pronunziare parole villane o pungenti o derisorie o non bene ponderate: da modi frettolosi e duri: non userete p. e. nel collocare un fanciullo in questo o in quel luogo, anche nell’urgenza, modi che possono avere apparenza di violenza: non cedete alla tentazione di menare, su certi casi d’ostinazione di un fanciullo, le mani, differite il rimprovero e più il castigo in caso di mancanze, se voi siete adirati o è adirato il colpevole (Scr. 62,9).
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Preghiamo dolcemente la SS.ma Vergine di renderci tutti come piace al Suo Divin Figliuolo nella mansuetudine e nella dolcezza. Ogni iracondia, ogni turbazione irosa, ogni malevolenza, ogni acrimonia: ogni spirito di opposizione, di durezza, di tristezza, di censura viene dal demonio. Ma invece lo spirito di dolcezza, di pace, di cedevolezza fin dove si può, di mansuetudine, di carità viene dal Signore, dal Cuore mite, umile e dolce di Nostro Signore (Scr. 72,140).
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Abbi carità verso Dio, amandolo senza limiti; verso te stessa, calpestando la tua natura e abbracciando quello che ti suggeriscono i tuoi superiori; verso le tue sorelle, con molto compatire, soavemente correggere ed aiutare le deboli, con il mostrarsi sempre ilare e mansueta con tutte; verso i tuoi prossimi, mostrandoti pronta a qualche sacrificio in loro vantaggio, ritenendoti sempre indegna di lavorare per il loro bene (Scr. 79,81).
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Se Gesù, che sempre si era sottratto agli onori, fece questo solenne ingresso in Gerusalemme, ciò fu per ravvivare la fede dei suoi, e chiamare con ultimo invito i suoi nemici. Del resto, anche in questo trionfo del Signore, tutto parla di carità, di umiltà e di mansuetudine: le virtù che sono l’anima della nostra religione, e che distinguono sempre i veri trionfi dello spirito da quelli bugiardi del senso, dell’orgoglio e dell’egoismo. Il trionfo di Gesù era destinato dalla Provvidenza ad essere il tipo di tutti i trionfi della Chiesa, abbelliti dall’umiltà, dalla pietà, dal perdono, dalla misericordia di Dio verso le anime e vero le nazioni, e coronati dalla gioia, dalla semplicità e dall’amore di coloro che credono in Cristo, che lo vogliono amare e servire, umili e fedeli, nel suo Vicario, nei suoi Vescovi, nella sua Chiesa, nelle anime dei loro fratelli (Scr. 82,14–15).
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Guardiamoci dalla collera, e se vogliamo il bene dell’anima nostra e dell’altrui operiamo con pacatezza e con mansuetudine, secondo gli insegnamenti del divino Maestro. Dovremo, è vero, combattere sempre contro l’inclinazione dell’ira, perché questa passione ci accompagnerà fino alla tomba: ma il pensiero di Gesù Cristo, della sua pazienza, della sua infinita carità; il soccorso della sua grazia, ottenuta con la preghiera, faranno sì che, vincendo noi stessi, conserveremo coi nostri fratelli quella pace che è pegno della pace eterna, promessa ai mansueti e agli umili di cuore (Scr. 82,40a).
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Via le punture, non pungete, neanche per burla. Burle che dispiacciono sono contrarie alla carità. Non vi piace essere derisi e messi in canzone. Fuggire le contese, i contrasti, i diverbi, che rompono la unione e offendono la carità in modo deplorevole. Affabili, mansueti con ogni genere di persone. Discite a me – Charitas omnia sustinet. A chi vi ha offeso, modi buoni, benevolenza, etc. Perdonate i risentimenti (Scr. 86,31).
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Si lavori da tutti, perché è dovere generale e legge costitutiva del genere umano: si lavori per fuggire l’ozio e per il buon esempio. Null’altro dobbiamo avere che l’umiltà, la carità e altissima povertà. Si sia fratelli l’un altro. Che i nostri discorsi siano casti e santi. Correggere caritativamente. Per amor di Dio rinneghiamo la nostra volontà. Cerchiamo di avere lo spirito del Signore e la sua santa operazione: pregare con puro cuore e avere umiltà e pazienza nelle persecuzioni e malattie, e amare quelli che perseguitano, riprendono e arguiscono calunnia. I Superiori siano servi di tutti gli altri. Beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo. Guardiamoci da ogni superbia e vanagloria. In qualunque luogo non saremo ricevuti, passiamo in altra terra a far ivi penitenza con la benedizione di Dio meglio religiosamente osserviamo, io minimo tra voi e vostro servo (Scr. 94,6).
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Gesù sia sempre con voi, vicino a voi, e nel vostro cuore. Egli che ha detto: venite a me, voi tutti che siete stanchi e sotto grave peso, ed io vi darò la pace. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo (dice il Signore) è dolce e il mio carico è leggero. Ora per la mansuetudine e la mitezza di Cristo vi esorto, o buona figlia di Dio, di volervi sempre più unire al Signore nella preghiera e nella santa comunione: di guardarvi da ogni male e di sforzarvi a seguire ognor più da vicino Gesù, mettendo nelle sue mani e nelle grazie della sua divina carità tutta la vostra anima e la vostra vita (Scr. 116,174).
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La carità è affabile, mansueta. Gesù Cristo non dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore? Non siate di quelle che sono graziose coi superiori, e invece con le consorelle, con quelle che sono sotto di loro, vere furie, che bisogna farsi il segno della Croce per avvicinarle. Senza carità, non c’è virtù! Siate dolci anche nel vostro zelo; abbiate uno zelo che non abbruci, lo zelo di nostro Signore. Cercate di togliere ogni rancore, ogni ripugnanza con le consorelle, per differenza di carattere od altro; vincetevi, vincetevi! (Par. I,207).
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Se amate la carità, cercate di essere mansuete con ogni genere di persone. Siate mansuete, siate mansuete; usate dolcezza! nostro Signore ha detto: discite a me quia mitis sum et humilis corde! Parlate con dolcezza, specialmente con quelle persone che per il passato vi avessero offeso, o che vi guardano di mal occhio. Tolleratevi, sopportatevi una con l’altra; frenate l’ira che è una cattiva consigliera; guardatevi dall’adoperare modi alteri e aspri. Spesse volte offendono più questi modi che non le stesse parole ingiuriose (Par. II,100).
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Tutto si ottiene con l’ulivo, con l’olio, con la dolcezza, con la mitezza, con la mansuetudine, raffigurata nell’olio; con la dolcezza raffigurata nel fico, con la squisitezza e delicatezza raffigurata nel vino delicato e prelibato. Sempre poco o nulla si ottiene con le spine o con l’essere e agire da rovo. Le buone maniere, il tatto, la parola che va al cuore, più che l’impero, che il “voglio”, che il comando, ottengono l’adesione dei cuori. Tutto per amore, niente per forza! (Par. XII,100).
Vedi anche: Carattere, Carità, Compatimento, Misericordia, Pazienza, Umiltà.
Manzoni Alessandro
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Ho letto e riletto la lettera del chierico Pagella: buoni sentimenti, ma che peccato ch’egli scriva l’italiano come un barbaro! Ma prenda la storia d’Italia di Don Bosco, le Mie Prigioni del Pellico, il Cuore del De Amicis, il Manzoni, e legga lì: legga e rilegga! E rilegga ancora e si formerà un altro stile, semplice semplice leggibile e potrà fare del bene (Scr. 2,208).
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Il Giulietto Piccardo mi mandò la cartolina di saluto da Castelliri. Di lui si può dire quello che Manzoni ha detto dell’Italia: «Pentita sempre e non cangiata mai» (Scr. 14,153).
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Bisogna svegliarsi di più, darsi attorno e lavorare, lavorare, lavorare con più alacrità nella carità: i santi, dice il Manzoni, non davano pace a sé e non lasciavano in pace gli altri che erano attorno a sé; la carità è attiva e vigile, è industriosa ed è anche dolce. Coraggio, adunque! (Scr. 20,26).
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Domani è la Natività della Madonna e domenica 10 corr., è il SS.mo Nome di Maria che il Manzoni cantò così sublimemente. Leggi alla tua anima e a quella dei tuoi alunni Il Nome di Maria, e infervoratevi di devozione verso di Lei, che ci è Madre, e che è la Donna sublime, che la infinita umiltà fece degna di un’altezza infinita (Scr. 26,170).
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Ricordiamo a noi ogni giorno le espressioni che l’Apostolo San Paolo, quell’Apostolo che ci vien rappresentato sempre «con la testa alta e la spada in mano», come direbbe il Manzoni, rivolgeva in più d’una sua lettera ai Cristiani dei primi tempi: Alter alterius onera portate, portiamoci scambievolmente i pesi, i difetti, perché nessuno è senza difetto, nessuno senza carico di infermità morali (Scr. 31,173).
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Caro Melomo, «Dio, dice il Manzoni, non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande». Deo gratias! dunque che sei stato ritenuto: Dio sa quello che fa o che permette, sempre a bene nostro (Scr. 34,107).
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Il Santo Padre mi parlò, ma io, scioccamente, non seppi dirgli niente, solo alcune parole, quasi un po’ come il sarto del Manzoni. Temo anzi che Sua Santità ne sia rimasta male; ma lo vedrò, spero, ancora tra qualche mese (Scr. 37,58).
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Sento che fate tanto bene a Milano e benedetto voi! Mi fate ricordare quell’anima candida e profondamente cristiana del Manzoni; è un suo pensiero grande e pieno di fede che mi ha confortato in tante prove dolorosi momenti e che avrà confortato anche voi, mio buon padre e dolce amico, cioè, il Signore non turba mai la gioia (Scr. 38,170).
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Oggi Dio ha mandato il suo Santo Spirito sulla terra per rinovellare la faccia del mondo, per creare la sua Chiesa, «conservatrice eterna del suo sangue e Madre dei Santi», come la chiama il Manzoni proprio in quell’inno così sublime che egli sciolse alla Pentecoste (Scr. 39,49).
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Le lingue di fuoco erano anche una figura sensibile del dono delle lingue, in grazia del quale gli Apostoli poterono farsi intendere dalle genti di tutte le nazioni. «L’Arabo, il Parto e il Siro in suo sermon l’udì», dice il Manzoni. Ma chi udirono? «La voce dello Spiro!». Era dunque lo Spirito Santo che parlava, per la lingua degli Apostoli (Scr. 39,51).
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Per gli auguri di Natale e di capo d’Anno ti ho mandato una circolaretta a stampa, come ad altri, ma mi pare un po’ poco, ond’è che do mano a carta e penna e calamaio (un po’ come l’oste della luna piena di Manzoni) e ti scrivo. Però né ti seccherò come l’oste della luna piena seccava Renzo, né ragionerò come quell’altro oste (il Manzoni è specialista in fatto di osti) per il quale tutti erano galantuomini quelli che pagavano e che, se avevano da tirare una coltellata, andavano a darsela fuori e lontano dell’osteria (Scr. 41,64).
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Permette, Eccellenza, che vi chiami caro, carissimo, espressione dolce che mi parte dal cuore. Da quanto tempo che non ci vediamo! Che penitenza! Che penitenza! Proprio da quaresima: ma sia benedetto il Signore «che siamo ancora qui a contarcela», diceva quel tale del Manzoni (Scr. 41,197).
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Circa il numero dei propagandisti vorrei quasi usare una frase manzoniana «pochi e buoni come i versi del Torti», ma la diocesi è vasta e tra laici e preti certo non ce ne vorrà meno di una buona dozzina, e almeno un’altra mezza dozzina di riserva, ma che sia una riserva valida e, non meno dei primi, abile e volonterosa (Scr. 45,135).
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Educate i giovani alle necessità come alle gioie del dolore: la vita è seminata di lacrime! Anche in ogni gioia vi è sempre una vena di dolore. Quando tocca loro un dolore, fatene ricercare subito la ragione e, come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa bene spesso, per diretto o per indiretto, è nostra. Ma i dolori più fondi hanno le gioie più alte e l’umana società è consegnata in modo che sempre dal male esce un bene più grande, come dice bene il Manzoni nell’«Addio ai monti» (Scr. 51,27).
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Non si tollerino discorsi, gesti od atti scandalosi, se non volete che la maledizione di Dio cada su di voi e sul nostro Istituto. Guardate l’Istituto da quelli che fossero precocemente maliziosi o già guasti dal mondo o viziosi. Il Manzoni dice d’esser stato rovinato in Collegio (tenuto da Religiosi), da un compagno precocemente malizioso (Scr. 51,30).
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L’invincibile Eugenio di Savoia portava sulla corazza l’immagine di Maria e, balzando il primo sulla breccia di Hersan, elevava il grido di «Viva Maria!». Dante, Petrarca, Tasso, Raffaello, Michelangelo, Manzoni e il nostro Perosi ispirarono il loro genio a Maria! (Scr. 53,84).
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Noi possiamo piantare e innaffiare, ma Dio solo può dare incremento; dunque pregare con fervore e costanza; l’arma principale di cui abbiamo bisogno è l’orazione. La beata Paola e lo spirito di orazione... Il Manzoni pregava sempre (Scr. 55,205).
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I Santi e i birboni poi, non occorre dirlo, sarebbero Federico e l’Innominato. Ma la verità è ben forte e, detta da un Don Abbondio, prende un sapore tutto particolare: «debbano aver l’argento vivo addosso e non si contentino di dimenarsi, di affannarsi loro, ma vogliono tirare in ballo, se potessero, tutto il genere umano». Qui il Manzoni si proponeva di dimostrare che chi vuol raggiungere un fine, deve lavorare per conseguirlo: chi poltrisce resta con le mani vuote e non concluderà mai nulla (Scr. 55,238).
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Nel regno della gloria e della felicità e del Bene che non è terreno, io auguro a questi Sposi che il loro Amore che qui viene benedetto ed è fatto Santo, come direbbe il nostro Manzoni, sopravviva alla fugacità della vita il vostro amore ed entri a far parte di quell’Amore dell’infinito Bene, e sopravviva in Cielo, ove sopravvivono eterni tutti gli Amori che nacquero da Dio e per questo che sono benedetti e chiamati Santi (Scr. 56,42).
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Veda un po’, caro Signore e Fratello mio nel Signore, quante cose Le viene a chiedere questo Fra Cercone della Divina Provvidenza. Quel tal Fra Galdino del Manzoni s’accontentava di cercare noci, io, invece (poiché già sono forse i tempi che progrediscono!) se Vostra Signoria non starà in guardia, finirò di cercare di portar via anche Lei... E chissà mai? Se non oggi, un giorno forse. Dio volesse! Per ora, mi accontento però di chiederLe umilmente di inviarmi vocazioni, vocazioni, vocazioni (Scr. 56,136).
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Da Dante a Petrarca sino al Manzoni e a Carducci quali inni sublimi e tenerissimi alla Vergine cantò l’italica poesia! La poesia italiana è il cantico della Madonna (Scr. 56,217).
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Apriamo a molte genti un mondo nuovo e divino, pieghiamoci con caritatevole dolcezza alla comprensione dei piccoli, dei poveri, degli umili. La nostra Italia ha avuto i più grandi poeti di Dio e un’arte cattolica sovrana da Dante a Michelangelo e da Michelangelo al Manzoni. Sono laici nella poesia italiana i più grandi glorificatori della Chiesa, dall’Autore del Cantico di Frate Sole all’Autore degli Inni Sacri. Vogliamo essere bollenti di fede e di carità (Scr. 57,104b).
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Don Giramondo è prete, capite? e i preti vanno con la fede, con la fede in Domino et in Domino! Che calcoli d’Egitto: via la carta e la penna e il calamaio, non siamo mica nell’osteria della luna piena con Renzo del Manzoni! Quando è la Provvidenza che fa, quando si vede, perbacco, che è la Madonna stessa che fa e che noi non siamo altro che guastamestieri, che volete dire? Digitus Dei est hic! (Scr. 57,253).
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Nella Conferenza annuale, tenuta lo scorso gennaio all’Università Cattolica, non ho parlato del Piccolo Cottolengo Milanese, ma sono andato a cercare la Divina Provvidenza nel Manzoni e se infine ho fatto una raccomandazione questa è stata proprio per raccomandare alla carità dei milanesi altri Istituti di beneficenza e nominatamente l’ospizio della Sacra Famiglia di Cesano Boscone (Scr. 59,208).
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Ti avranno forse trattato forse un po’ bruscamente, anche perché non conoscevano il tuo carattere, ma io che ti conosco so di non offenderti se ti dico che qualche po’ di colpa la devi avere anche tu, e mi par proprio il caso di ripetere quel detto del Manzoni, che «il torto e la ragione non si tagliano mai con un taglio così netto» (Scr. 59,262).
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Veramente io mi sentivo imbarazzato a venirvi a parlare e non sapevo come cominciare; ero un po’ come il padre Cristoforo del Manzoni... e ieri trovandomi con due egregi amici e con tanto lavoro manifestavo le mie difficoltà ma... perché siamo qui? Per animarci al bene, per infervorarci nell’amore di Dio e degli uomini (Scr. 61,175).
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La c’è la Provvidenza. È l’espressione piena di fede che esce dal cuore di Renzo riconoscente a Dio anche nei travagli, indulgente verso gli uomini anche nelle persecuzioni eleva l’umile montanaro brianzolo a tale virtù ed eroismo cristiano da ben giustificare pienamente la qualifica che gli dà il Manzoni di primo uomo della nostra storia, cioè del romanzo e fa di lui il tipo ideale, il simbolo vivente di fiducia nella Divina Provvidenza. Ma non è il solo personaggio del Romanzo a vivere in questa luce di fede. Né l’episodio di Renzo è l’unico degno di nota sotto questo riguardo, anche se occupa, per così dire, idealmente, una posizione centrale. Il Manzoni ha voluto fare molto di più. Ha inteso comporre, coi Promessi sposi, il poema della Divina Provvidenza. Al capolavoro manzoniano non si potrebbe dare definizione migliore. Come Dante ha cantata la fede, Manzoni ha cantato la Divina Provvidenza (Scr. 61,230).
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È passata una luce, la Provvidenza di Dio, e dove c’erano rovi e spine è tutta una fioritura di corolle fragranti. Con ciò non vuol dire che il Manzoni veda tutto roseo; non sarebbe coerente con i suoi principi cristiani che lo portano a considerare la vita terrena come un esilio. I guai sono sempre lì, appostati sul cammino della nostra esistenza. Ma l’importante è che il Manzoni – da buon cristiano – vede anche nei mali di questa terra la mano della Provvidenza di Dio che sa tutto guidare a lieto fine. Ne abbiamo la prova risolutiva nei tremendi flagelli che costituiscono, per così dire, il fondo storico dei Promessi Sposi: la carestia, la guerra, la peste: specialmente la peste preparata dagli altri due eventi. La peste è l’avvenimento principe del poema manzoniano della Provvidenza, la scena più grandiosa. Però non è che il Manzoni veda tutto roseo nella vita. Conseguente alla sua fede, ai suoi cristiani principi, egli considera questa vita terrena come un esilio la cui patria è il cielo (Scr. 61,233–234).
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Il «poema della Provvidenza», come possiamo chiamare i Promessi sposi, ha già fatto tanto bene all’umanità e continuerà a farne perché esso stesso è un dono di Dio alle nostre anime assetate di bellezza e di verità. Si prospettata l’idea di un Manzoni Santo. Canonizzabile? Non saprei. Ma santo, un cristiano, sì. Un uomo, uno scrittore, che parli con tanta insistenza e con tanta convinzione della Provvidenza di Dio non può a meno di possedere la fede operosa dei giusti. Né si venga a dire che egli fece solo della letteratura. Sviluppò un vero, fecondissimo apostolato. Lo chiameremo dunque il santo della Provvidenza? Diciamo piuttosto il poeta della Provvidenza, senza escludere però l’idea della santità (Scr. 61,235).
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Tutto ciò ci deve insegnare e portare ad amare di più Dio ed ha servire con più fedeltà e amore la causa della Chiesa e delle anime. Del resto il Signore non turba mai la gioia dei suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande, dice il Manzoni (Scr. 65,33).
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Gli Inni Sacri del Manzoni sono il compendio e la glorificazione insieme della Vita di Gesù. Il Natale, scritto nel 1813, canta la Nascita di Gesù, e ha strofe di inarrivabile bellezza (Scr. 66,247).
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Apertosi S. Bernardino, l’Oratorio venne affidato ad altre mani, e presto cadde, ma quanto bene fece quel primo Oratorio! Col divino aiuto poi fu riaperto, al medesimo posto, nel primo anno di episcopato di S. Ecc.za Mons. Grassi, ma cause diverse lo fecero trasportare in luogo forse poco adatto, e così finì anche questo secondo Oratorio. Mi stava tanto a cuore, che venivo, quasi ogni domenica, da Avezzano (Abruzzo), dove mi trovavo Delegato del Patronato Regina Elena per gli orfani del terremoto. Di quell’Oratorio festivo può ripetersi, col Manzoni: «cadde, risorse e giacque». Però, quanta consolazione ho sentito qui, allorché seppi che Sua Ecc.za Rev.ma in nostro nuovo Vescovo lo ha riaperto per la parrocchia del Duomo, e in quello stesso giardino! (Scr. 70,3c).
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Non siamo nati alla tristezza e alla morte, ma alla letizia, alla vita e alla risurrezione con Cristo! Alleluia! Alleluia! Alleluia! Ecco, la predica già è finita. Vedete che sono anch’io galantuomo, ma un po’ diverso da quei certi galantuomini che s’incontrano nel Manzoni (Scr. 72,14).
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Le vie di Dio sono molte, dirò con il Manzoni (Adelchi), come sono infinite le vie dei cieli corse dagli astri (Scr. 73,33).
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Quando si ama Dio, si può sempre praticamente congiungere la semplice e cieca obbedienza con lo spirito d’intelligenza. «La carità porta sempre buon frutto», diceva quel brav’uomo di Manzoni. Onde alle istituzioni di fede e di arte sempre dobbiamo cercare che vada unita qualche opera di bene e di carità (Scr. 73,235).
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Ve la ricordate la Lucia del Manzoni, là nel castello dell’Innominato, Lucia che è perduta, che si vede perduta (che prega la Madonna col Rosario in mano): Lucia è l’umanità, è la figura dell’anima umana e di tutta la umanità (Scr. 74,109).
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La Scuola prenderebbe nome da qualche gloria storica e cristiana di Tortona o da qualche grande scrittore o scienziato cattolico e italiano, come Dante, Volta, Manzoni o Pellico, come meglio crederà Vostra Eccellenza. In quest’ultimo caso, Dante o Manzoni sarebbero forse i preferiti, l’uno per avere sublimemente cantata la fede e il Pater Noster e l’Ave Maria nella Divina Commedia, e l’altro per avere illustrata la sua vecchiaia insegnando il Catechismo a S. Fedele di Milano (Scr. 76,136).
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Io non dovevo allontanare il Don Contardi, come mi si era chiesto, in modo che egli neanche più venisse a ritirare le sue poche robe. Questo mi sarebbe stato facile e comodo. Sarebbe stato un provvedimento odioso e ingiusto, da ricordare quella brutta pagina del Manzoni, dove un povero P. Provinciale e un Conte Zio buttano Padre Cristoforo dalla Lombardia a Rimini, a piedi, con un pezzo di pane nella sporta (Scr. 79,68).
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Sono ben lieto di dichiarare pubblicamente che la Chiesa inferiore, scurolo o cripta, che si voglia dire, del Santuario Votivo di Nostra Signora della Guardia che si sta erigendo in San Bernardino di Tortona, non ha «nella intenzione dell’autore», (direbbe il Manzoni), lo scopo di sostituirsi alla cripta monumentale pei Caduti in Guerra, che dovrà costituire quasi la ragion d’essere del Tempio Diocesano Votivo sul Castello (Scr. 79,224).
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Alessandro Manzoni, avuta un’educazione cristiana in famiglia, recatosi a Parigi, conversando coi falsi scienziati, aveva come perduta la fede e abbandonata la virtù. Ma l’anima sua intelligente e retta non trova pace. Un giorno agitatissimo, entra in una chiesa, e inginocchiatosi prega così: «O Dio, se tu esisti, fammiti conoscere». Da quel giorno cominciò Dio ad illuminarlo e Alessandro Manzoni divenne il difensore ed il poeta del cattolicesimo (Scr. 80,24).
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È la fiamma di Dio che crea i santi e fa della Chiesa nostra, come dice il Manzoni nella Pentecoste, la Madre dei Santi: essa conforta i cuori ed edifica Gesù Cristo nelle anime, e fa e crea i veri cristiani: essa è che ci unifica in Cristo e ci fa araldi di Dio e apostoli di pace, di fede, di consolazioni celesti e dà alle nostre parole lo splendore del Cielo e trasforma l’uomo in Dio e dà all’uomo un’elevazione sublime di angelo e la più alta missione di pace e le più sante parole di vita eterna (Scr. 81,27).
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Il Santo Padre si degnò guardarmi come una bestia rara e disse che aveva piacere di vedermi, etc. Ma io, o perché non mi sentissi a mio posto o per ben altri sentimenti, non ho parlato; scusi, Eccellenza, che neanche ho saputo dire il “si figuri!” del buon sarto manzoniano e sì che siamo nel cinquantenario! Mi rincresce per il Manzoni, poveretto, che ce ne andrà della sua gloria...: ma sia “ai posteri l’ardua sentenza”! (Scr. 81,147).
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Si è voluto la vita senza Dio e la civiltà senza Dio ci ha costretti a gettare la vita a mucchi, a fasci sotto un uragano di ferro e di fuoco! Ma «il Signore non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande!», ha detto il Manzoni. Tante lacrime, tanti sacrifici non andranno perduti, se saranno resi fecondi dalla rinascita cristiana del nostro paese (Scr. 82,7).
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Un calvinista, anzi un Pastore di Ginevra, con una nostalgia che forse un giorno gli varrà la luce piena, esclama: «Chi non ha rivolto uno sguardo d’invidia alla confessione?». Un’altra anima, non meno delicata e non meno travagliata, con maggior libertà, ci fa sapere di più: «Vorrei essere cattolico per potermi confessare!». Leggete la Morale Cattolica del Manzoni e vedrete che dice dell’eccellenza e del conforto divino che dà la confessione (Scr. 82,17f).
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Le orazioni del mattino e della sera sostituiscono i due sacrifici, prescritti nell’antica legge, e i nostri padri le considerano mai sempre come un dovere del cristiano. Così la sentiva anche il nostro Manzoni, nella parlata ch’ei pose sulle labbra di Renzo Tramaglino. La sera della famosa rivoluzione di Milano, “essendo andato a dormire come un cane” (cioè senza dire le sue devozioni), gli toccò poi quella bella svegliata che tutti sanno. Ma il giorno dopo, benché sopraffatto dalla stanchezza, e sperduto in un bosco, “prima però di sdraiarsi su quel po’ di paglia, su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel beneficio e di tutta l’assistenza che aveva avuta da essa in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite orazioni, e chiese perdono a Dio di non averle dette la sera avanti” (Promessi Sposi, XVII). Inutile dire agli intelligenti che qui Renzo rappresenta il popolo, che crede e prega. Ma dove il Manzoni fa sentire tutto il conforto cristiano, tutta l’efficacia e la bellezza della preghiera, è quando descrive Lucia là, nel castello dell’Innominato. Lucia è caduta tra gli artigli di chi era uso solo portare le armi della violenza e del tradimento. Essa invoca la liberazione nel nome di Dio e per l’amor di Dio. “Lucia si rivolse a Colui che tiene in mano il cuore degli uomini, e può, quando vuole, intenerire i più duri”. La sua preghiera è il grido della fede, è il grido dell’umanità oppressa: è un’eloquenza inarrivabile che esce dal cuore della povera fanciulla e scuote l’Innominato: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia” (Scr. 82,26).
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Quanto è sublime è profondamente cristiano il nostro Manzoni quando dal labbro ispirato del Cardinal Federigo esce in un inno allo Spirito Santo che si diffonde soave su tutto un popolo e gli fa pregustare la conversione dell’Innominato. È un qualche cosa di ciò che noi chiamiamo la comunione dei santi (Scr. 82,28).
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Fanno professione di obbedire alla Chiesa, ma collocano la Chiesa dove a lor piace, un po’ come la donna Prassede del Manzoni, che “diceva spesso agli altri e a sé stessa di voler secondare i voleri del Cielo; ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di collocare la volontà di Dio nel suo cervello”. Fanno pompa d’una severità di condotta imponente, ma sono lupi mascherati che agognano a divorare le pecore (Scr. 82,44).
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In questa vita non c’è il riposo per chi ama Dio e i Santi, i grandi amatori di Dio, sono sempre in attività di servizio per Dio, per la Chiesa, per le anime, per la Patria; per tutto che è bene! Anche il nostro Manzoni ci tenne ad affermare questa verità e, perché risaltasse di più, la pose sulla bocca di Don Abbondio. In quella originale e gustosissima parlata, che il pover’uomo fa con sé stesso, quando il Cardinal Federigo lo manda con l’Innominato a prendere la Lucia: là, su per quella valle famosa, tra quei famosi uomini su quella benedetta mula, in cammino verso quel castellaccio più famoso ancora, Don Abbondio, l’uomo dalla quiete e dalla paura, vi comincia proprio così: “È un gran dire che tanto i santi come i birboni abbiano ad aver sempre l’argento vivo addosso, e non si contentino d’esser sempre in moto loro, ma voglian tirare in ballo, se potessero, tutto il genere umano” (Scr. 82,46b).
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Questo Ufficio Stampa non è che un modesto sgabuzzino: è, per ora, un povero tavolo, due panche, carta penna e calamaio: in alto, alla parete, un crocifisso, un quadro della Madonna, un Don Bosco; alcuni libri: la Bibbia, Dante, Manzoni; è un passo corto se volete, com’è il passo breve del bambino; il nostro Istituto del resto è ancora tanto bambino! (Scr. 82,83).
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La veste di Gesù Cristo, come ognun sa, è la Santa Chiesa universale, la Chiesa cattolica, che il nostro Manzoni sublimemente chiama: “Madre dei Santi”, è unica conservatrice “del Sangue incorruttibile”, di Cristo, cioè della Carità (Scr. 82,117).
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Quando tocca loro un dolore, fatene ricercare subito la cagione e, come il Renzo del Manzoni, troveranno che la colpa bene spesso, per diretto o per indiretto, è nostra. Ma i dolori più fondi fanno le gioie più alte e l’umana società è congegnata in modo che sempre dal male esce un bene più grande, come ben dice il Manzoni nell’Addio monti (Scr. 82,140).
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“Le vie di Dio sono molte” ha detto il Manzoni nell’Adelchi. Molte le vie del bene, della carità, della pietà al termine delle quali, premio e ricompensa, è Dio! Infinite sono le vie del cielo e per tutte possono correre i soli. Attività diverse: uno lo spirito: manifestazioni diverse, ma tutte di Dio! Anime e Anime! Caritas! (Scr. 83,187).
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Le vie di Dio non sono labirinti, i labirinti li creano gli uomini: «le cose chiare tocca a noi a imbrogliarle», diceva a Renzo del Manzoni il dottor Azzeccagarbugli; limpide invece e rette le vie del Signore, che pensa e va ben altrimenti che noi. Non enim viae vestrae viae meae, dicit Dominus (Isaia) E questo specialmente nelle opere della bontà; quale diversità, anzi quanto contrasto tra i metodi e i sistemi degli uomini e quelli di Dio! (Scr. 86,72).
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Allora solo si comprende quel linguaggio meraviglioso di quel meraviglioso P. Felice del Manzoni, che per sé e compagni chiamava alto privilegio l’essere stato scelto a servire Cristo negli appestati del Lazzaretto di Milano e chiede perdono se non ha degnamente adempito a sì gran ministero, allora si vede chiaro che per essere di Cristo bisogna vivere intensamente e divinamente ogni ora, ogni attimo che passa, come quello che è germe di vita eterna (Scr. 86,100).
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L’Europa e la civiltà furon salvate da Maria a Lepanto. Dante, Petrarca, Tasso, Raffaello, Michelangelo, Manzoni e il nostro Perosi ispirarono il loro genio a Maria! (Scr. 88,103).
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La stampa fu definita dal Manzoni “La riduzione delle scienze e delle lettere a una forma inorganica”. Attenderemo dunque dalla stampa il rispetto al dovere e il miglioramento del popolo (Scr. 96,7).
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Se essa vuole essere Suora, allora lo sia davvero, e cominci dove deve cominciare, dal rinnegato di sé, il che non ha fatto mai o solo in minima parte, lasciando molte radici, che poi pullulano e inselvatichiscono l’anima, soffocando lo spirito buono e il buon seme, del quale è parola nel Libro della vita. Quella sua figlia legga bene e umilmente quanto è scritto al Capo X del Manzoni, a un capoverso che comincia, mi pare, così: “è una delle facoltà singolari ed incomunicabili della religione cristiana etc.”, fino a “lo fosse divenuta” (Scr. 103,32).
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Fatevi coraggio, o mio buon fratello! Ricordatevi le sante e consolanti parole di sentimento cristiano del vostro cristianissimo Manzoni: “Il Signore non turba mai la gioia de’ suoi figli se non per darne loro una più certa e più grande” (Scr. 105,98).
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Lo sapete di quel Renzo Tramaglino dei Promessi Sposi che fuggitivo, dopo quella sorprendente lavata, in quella malaugurata osteria di Milano, varcato che ebbe l’Adda, non volendo presentarsi al cugino come un pitocco e dirgli: dammi da mangiare, entro in un’osteria a ristorarsi lo stomaco; e infatti, pagato che ebbe, gli rimase ancora qualche soldo. Nell’uscire s’abbatté con dei poveri che gli stesero la mano... “La c’è la Provvidenza!”, disse Renzo; e cacciata subito la mano in tasca, la vuotò di quei pochi soldi; li mise nella mano che si trovò più vicina, e riprese la sua strada. E qui l’insuperabile romanziere cristiano, il celebre Manzoni, vi fa su un breve ma edificantissimo riflesso che sempre ci dovrebbe essere presente. La refezione e l’opera buona (giacché siamo composti d’anima e di corpo) avevano riconfortati e rallegrati tutti i suoi pensieri. Certo, dall’essersi così spogliato degli ultimi denari, gli era venuta più di confidenza per l’avvenire, che gliene avrebbe dato il trovare dieci volte tanti (Scr. 110,126).
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Aprite i fasti della Chiesa, vedete i novatori, quelli che nel corso dei secoli l’hanno lacerata colle loro eresie, coi loro scismi: erano tutti uomini distinti per ingegno o per scienza. E ai dì nostri, tra quelli che alzano cattedre d’incredulità, non vediamo anche spiriti che erano stati illuminati per essere apostoli di dottrina migliore? E così dite nel campo civile degli artefici delle rivoluzioni delle ruine delle sciagure dell’umanità di tutti anche di Napoleone I. Per questo il Manzoni si chiede fu vera gloria? E lascia a posteri l’ardua sentenza! (Scr. 111,71).
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Dal sacrificio di Gesù e dalla effusione dello Spirito Santo nacque la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, la Chiesa che il nostro Manzoni invoca Madre dei Santi, immagine della Città suprema, una società di credenti in Cristo: il regno della fede verace e della grazia della vita interiore e spirituale, della libertà in Dio, sotto la guida del Papa, vicario di Gesù Cristo e dei Vescovi aventi pace e comunione con Lui (Scr. 111,97).
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Non ci confondano le nostre personali cadute, non il dolore che la patria porta profondo nel cuore: “il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola”, non vuole no, la nostra morte; “Dio ha fatto sanabili le nazioni” e i grandi colpi della sventura sono per richiamarci a Lui. Lo ha detto anche il Manzoni: “Ma il Signore non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne una più certa e più grande” (Scr. 111,121).
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Cari Amici del Piccolo Cottolengo Milanese, ecco, quando mi si disse di venirvi a dir qualche cosa sulla Divina Provvidenza ho pensato, stante i vincoli di gratitudine che ho verso di voi e verso tutta la cittadinanza milanese, ho pensato in qualche modo se non di sdebitarmi di darvi almeno un segno particolare della mia riconoscenza, attingendo al Manzoni, al vostro Manzoni, perché ritengo che da secoli in qua nessuno abbia scritto della Provvidenza, abbia cantato la Divina Provvidenza quanto il Vostro Manzoni. E instintivamente m’è corsa alla mente la espressione Manzoni “Là c’è la Provvidenza”. “La c’è la Provvidenza”: è l’affermazione semplice, popolare, di una sublime verità colta sul labbro di Renzo Tramaglino, ma noi sentiamo che, sovratutto, è la espressione alta della fede di Alessandro Manzoni (Scr. 114,196).
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Domani è la Natività della Madonna e domenica 10 corr., è il SS.mo Nome di Maria che il Manzoni cantò così sublimemente. Leggi alla tua anima e a quella de’ tuoi alunni “Il Nome di Maria” e infervoratevi di devozione verso di Lei, che ci è Madre, e che è la Donna sublime, che la infinita umiltà fece degna di un’altezza infinita (Scr. 115,17).
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Il Manzoni ha scritto, nei Promessi Sposi, queste grandi, consolanti parole: «Il Signore non turba mai la gioia, la pace dei suoi figli, se non per darne loro una più certa e più grande». Dunque non si lasci abbattere qualunque cosa avvenga, ché la Mano dell’Altissimo sta aperta sopra di Lei! (Scr. 119,49).
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Silvio Pellico nei suoi ricordi di prigionia parla del conforto, della gioia che si prova dopo una buona confessione, parla della felicità nel ritorno alla fede che fu per lui grande sollievo nella prigionia. E così il Manzoni, quando si gettò ai piedi del confessore, descrive quale gioia invase il suo cuore, dopo la confessione della sua giovane vita lontana da Dio (Par. II,18).
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Susanna, calunniata e condannata, doveva essere lapidata, ma Susanna scongiura il Signore di guardare alla sua innocenza e così lo prega: “O Signore, Tu che conosci la mia innocenza, non mi lasciar morire disonorata”. E il Signore ascolta la preghiera di quell’anima pura, innocente, e Susanna fu salva e furono invece condannati i suoi accusatori. E il Manzoni in un suo libro, nel suo grande romanzo, come parla bene della preghiera! Dice che una fanciulla, portata in un castello, doveva essere vittima di uomini cattivi; ma la fanciulla si rivolge a Maria con una preghiera così fervente che la Santissima Vergine la libera (Par. II,52).
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Uno fa l’elemosina e la sa fare; un altro invece non la sa fare. Anche il Manzoni dice che bisogna usare il modo “che accetto il dono ti fa”. L’elemosina quindi va fatta in modo da non umiliare, con buon modo. Invece c’è quello che ha bisogno di farlo sapere a tutti e batte i coperchi e umilia i poveri (Par. II,164).
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Se tu sei all’altare e ti sei ricordato che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia...; se tu vuoi che il Signore gradisca il tuo olocausto, va’, lascia l’offerta e riconciliati con il tuo fratello. Se questo è l’insegnamento che ci ha dato Gesù, allora bisogna far di tutto per tradurlo nella nostra vita. Il Manzoni ha scritto – voi lo sapete – pagine mirabili; se il Vangelo si perdesse basterebbero i Promessi Sposi a darci il midollo della dottrina di Cristo sviluppata nei Santi Evangeli. Dice il Manzoni che l’Innominato era nella notte della crisi terribile, mentre la buona Lucia nella stanza stava pregando, Lucia simbolo della virtù (Par. III,23).
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San Carlo lasciò come eredità l’umiltà e non già l’orgoglio di essere forti e di far stare a dovere i competitori. Viveva San Carlo in periodi dei quali voi potete avere una qualche idea anche dai Promessi Sposi. San Carlo visse alcune decine di anni prima di quegli avvenimenti descritti dal Manzoni in cui la società era più infrollita e tra i principotti si faceva guerra continua (Par. III,31).
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Un beato diceva che per celebrare bene la Santa Messa ci vorrebbero tre eternità. Sant’Ignazio Martire era chiamato il teoforo e noi, col suo aiuto ed esempio, dobbiamo essere teofori. Rinnegamento, vita illibata. Il Manzoni nella descrizione del Cardinal Borromeo fa palese la illibatezza del candore verginale sul suo volto (Par. III,36).
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Nei Promessi Sposi la Lucia del Manzoni mentre è rapita, quella umile e nobile creatura, quando si accorge del pericolo grave in cui si trova, quando teme di essere oltraggiata estrae dalla tasca il Rosario e invoca la Madonna e dice: "O Vergine Santissima, Voi a cui mi sono raccomandata tante volte... Voi che avete fatto tanti miracoli per i poveri tribolati, aiutatemi; fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornare salva con mia madre, o Madre del Signore”. Preghiera dolce, preghiera filiale, cristianamente sublime che fa pensare, piangere e pregare (Par. III,57).
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Non toccate i ragazzi mai! Diceva un santo, Don Calabria: “I miei preti, i miei religiosi non devono avere le mani”. Come, non devono avere le mani? Come si fa senza mani a stare coi ragazzi? Bisogna suonare la campanella, servirli a tavola... Eppure egli diceva che i suoi assistenti non dovevano avere le mani e voleva intendere né per batterli né per accarezzarli. I religiosi assistenti devono regolarsi coi propri ragazzi come se non avessero le mani. Il Manzoni dice del Cardinale Federico che non alzava le mani che per benedire (Par. III,66).
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La grandezza dell’uomo sta nel cuore. La grandezza dell’uomo sta nella gloria, nella potenza, nel comando. Alessandro Manzoni, di fronte alla vita di un grande, che mise sottosopra il mondo con i suoi eserciti si chiede: fu vera gloria? Fu vera grandezza la grandezza di Napoleone? Non risponde alla domanda e lascia che i secoli diano i loro giudizi, la loro risposta: Ai posteri l’ardua sentenza (Par. III,81).
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La Madre di Dio fece da umile ancella e all’incontro con la sua cugina emise quel cantico, semplice e bello di una bellezza direi quasi evangelica. Nel Magnificat la Madonna Benedetta disse: “Ex hoc beatam me dicent omnes generationes”, che il nostro Manzoni ha tradotto meravigliosamente: Tutte le genti mi chiameran beata. E lo stesso Manzoni nel Nome di Maria dice: “In qual terra mai, qual spiaggia, di sì barbaro nome fior si coglie – che non conosca dei tuoi miti altari, – le benedette soglie?”. Grande fu Maria (Par. III,96–97).
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San Bernardino da giovane aveva una cara devozione alla Madonna. Andava a scuola dai frati di un Convento, perché sapete che allora la scienza l’avevano i preti, i frati. Chierico voleva dire sapiente e vi erano anche i laici. Ricordate fra Galdino, laico, un gran santo, ma ignorantello, un mucchio di noci in un cantuccio. Alcuni critici hanno avuto da dire su questo e non hanno compreso che il Manzoni fa parlare così un povero fraticello, sicuro, era fra Galdino (Par. III,184).
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Gli Apostoli cominciarono a predicare, non più timidi, non più paurosi, ma forti; e tutti udirono e compresero nel loro proprio linguaggio la parola del Signore, la buona novella, l’annuncio di Gesù Cristo. Ma costoro sono ubriachi! No, no, non sono che le nove del mattino. Il Manzoni nella meravigliosa sua “Pentecoste”, porta la similitudine della luce: “Come la luce rapida piove di cosa in cosa e i colori vari suscita dovunque si riposa; tal risonò molteplice la voce dello Spiro; l’Arabo, il Parto, il Siro in suo sermon l’udì” (Par. III,187).
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Quando noi leggiamo nel Manzoni la pagina di Fra Cristoforo dinanzi a Don Rodrigo e anche nel Cantù in Margherita Pusterla, non dobbiamo dire: ma questa è una pagina di romanzo. No, la figura di Fra Cristoforo nel Manzoni e quella di Cesare Cantù, trovano la realtà nel tipico frate che sfida i tiranni, trovano la loro realizzazione, già fin dai tempi di San Francesco, in questo umile frate Antonio da Padova (Par. III,190d).
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L’Apostolo San Paolo dice che il Padre mandò il Suo Unigenito per riconciliare i peccatori; e il poeta cristiano commenta: “Qual mai tra i nati all’odio – qual era mai persona – che al Santo inaccessibile – potesse dir perdona, – far novo patto eterno?”. Così dice il novello poeta della fede, Manzoni. Ecco, quindi, il motivo e il fine per cui il Verbo si è fatto carne, cioè uomo (Par. IV,286).
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Tutti sono fatti a somiglianza di Dio, figli d’un solo Riscatto – come dice il Manzoni – cioè della Passione di Cristo. Gesù andò a morire per noi (Par. V,10).
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Voi avrete letto il Manzoni là in quel punto dove parla della peste di Milano e dice che, mentre Renzo girava per il Lazzaretto, vide alzarsi quasi un turbine improvviso e cadde un’abbondante pioggia. Il grande Manzoni dice che la peste fu spazzata via da quell’acqua. Così pure l’acqua prodigiosa caduta sul Monte Carmelo, ristorò quella terra; gli uomini e gli animali si sentirono come salvi (Par. V,90).
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La mano del Signore faccia di te un uomo nuovo, un uomo creato secondo Dio, uomo risplendente di virtù, di santità nello stato clericale e religioso. Questo uomo deve risplendere della santità e carità di Cristo. Leggete il Manzoni. Vi sarà capitato di leggere quel capitolo dove il grande Poeta cristiano, parlando del grande Padre Cristoforo, dice che in lui s’incontrava l’uomo vecchio con l’uomo nuovo; dice che aveva ancora tutto il vigore dell’uomo vecchio, ma santificato dalla mortificazione e dalla lunga penitenza. E tale ce lo mostra nel castello di Don Rodrigo, quando prende il teschio della morte dalla corona e lo mise sotto gli occhi di quel signore dicendo: “Non ho paura di quattro mattoni e di quattro sgherri!”. Quel potente ostinato lo insultò in mille modi ed egli abbassò il capo ricordandosi della vita abbandonata e ricevette la tempesta come il cielo gliela mandava; volgendosi al castello, a quelle quattro pietre non trovava che una parola di preghiera e di perdono. Ecco dunque spiegato dalla pagina manzoniana che cosa è l’uomo vecchio, che cosa è l’uomo nuovo (Par. V,175).
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Fin dai tempi di Renzo c’era il Duomo di Milano e il Manzoni, nei Promessi Sposi, dice che Renzo, quando giunse vicino a Milano e fu salito “sopra di un poggio, che si sopraeleva come una specie di montarozzo, vide quella gran macchina del Duomo sola nel piano come se, non di mezzo ad una città, ma sorgesse in un deserto; e si fermò su due piedi, dimenticando tutti i suoi guai, a contemplare anche da lontano quell’ottava meraviglia, di cui aveva tanto sentito parlare fin da bambino” (Par. VI,177).
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L’Italia ha avuto in questi ultimi secoli due grandi scrittori: il cantore di satana, il Carducci e il cantore di Cristo, della fede, della sua nascita, della sua morte, e della sua gloriosa risurrezione, il Manzoni. Carducci morì bene, lo possono testimoniare chi l’ha assistito e due lettere che, per ora, non si possono pubblicare per prudenza e delicatezza, ma che qualcuno ha. Il Manzoni canta la fede della Chiesa: “Madre dei Santi, immagine della città superna – Del sangue incorruttibile – conservatrice eterna – Tu, che da tanti secoli – soffri, combatti e preghi” (Par. VI,230).
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Che monumento ha innalzato il Manzoni ai Cappuccini di quel tempo: nelle malattie, nella morte, tutti fuggono dal Lazzaretto, solo i Cappuccini restano... Così quel Fra Felice della nobile famiglia dei Colonna (Par. VI,257).
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L’Italia ebbe due cantori: Carducci, cantore di Satana, che poi in fine si converte, e Manzoni, cantore di Cristo: questi canta il Natale, la Passione, la Pentecoste, la Pasqua... Solo la Chiesa conserva il sangue di Cristo ed è madre di Santi (Par. VI,299).
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Beati quelli che hanno la fede! Così diceva ad Alessandro Manzoni una celebre scrittrice protestante. Io morrò credendo in Dio di cui imploro la misericordia, così scrisse il grande storico Adolfo Thiers. Lasciatemi con la mia fede di fanciullo, gli uomini non hanno ancora trovato nulla di più consolante, esclamava Saverio Ambriset sul letto di morte (Par. VI,310).
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Il nostro grande Alessandro Manzoni nella “Morale Cattolica” parla sublimemente della confessione. Silvio Pellico, tempra di patriota sublime, che visse tanti anni nel carcere dello Spielberg scrive: “Infelice colui che non sperimenta la gioia del perdono cristiano...”. Oh quante persone io ho veduto alzarsi dai piedi del confessore con una faccia raggiante, col cuore in pace, mentre prima la loro vita era una tempesta, un subbuglio (Par. VII,20).
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Ci furono due grandi filosofi, certo due dei più grandi filosofi, due sacerdoti, l’uno dei quali morì a Parigi con l’Imitazione di Cristo sotto il cuscino e l’altro morì a Stresa con accanto il Manzoni e Ruggero Bonghi: questi è Antonio Rosmini il quale, nonostante le sue pecche e i suoi errori filosofici, non lascia di essere un grande santo sacerdote e più crescerete e più studierete, più vi confermerete in ciò che dico (Par. VII,57).
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Tutti abbiamo letto il Manzoni, quelle pagine meravigliose, pagine veramente cristiane, dove Padre Felice parla di quelli che stanno per uscire dal Lazzaretto, e dice a quella gente: “O voi giovani, sorreggete i vecchi; voi uomini vedete quanti poveri fanciulli sono rimasti orfani, date la mano, siate voi padri agli orfanelli: cominciate una vita di carità”. La carità copre molti peccati e Padre Felice aggiunse: “essa addolcirà i vostri dolori”. Lo dice quel Padre Felice che poi – come narra il Manzoni – si porrà una corda al collo e domanderà scusa di essere stato, forse, un po’ tardo nel servire gli appestati, mentre tanti Cappuccini erano morti vittime (Par. VII,161).
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Il Manzoni, quando parla di Federico Borromeo, ci dice che, da giovane, il futuro Cardinale fece un confronto tra la condotta del mondo del suo tempo e quella del cugino San Carlo e riflettendo sui suoi esempi santi, disse: “Questa è la linea” e la seguì. Facciamo anche noi confronto tra quello che abbiamo fatto e quello che è nostro dovere di fare (Par. VII,172).
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Manzoni ha fatto un gran bene all’umanità, perché l’anima dell’umanità non ha bisogno di verità, ma ha bisogno di bontà e di fede e anche di alta e pura bellezza, quali si trovano nei Promessi Sposi del vostro milanese, del nostro Alessandro Manzoni. Un gruppo di giovani, fiorenti di vita, fiorenti di fede con a capo il caro Don Cojazzi, ha prospettato un Manzoni santo. Ai posteri l’ardua sentenza. Non ai posteri, alla Chiesa Madre dei Santi, conservatrice incorruttibile del Sangue di Cristo. Alla Chiesa la materna decisione. È certo però che Manzoni, come uomo, come scrittore, come grande pensatore cristiano, ha scritto pagine così convinte, ci ha lasciato un patrimonio così grande di fede che non si sa come non si potrebbe metterlo nella schiera di quei giusti (Par. VIII,39).
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Miei amici, quanto il Manzoni con il suo canto altissimo ha celebrato, il Cottolengo ha tradotto nella pratica della vita cristiana, con un petto infuocato di carità verso tutti, ma specialmente verso i miseri e i più abbandonati, onde io (perdonate questo io), non mi accosto mai al grande nostro Poeta che trasse un’ispirazione cristiana così alta senza la stessa venerazione con cui mi accosto al Santo della Divina Provvidenza. Chi ha scritto che il Manzoni non ha fatto altro che opera letteraria... la capii nient... Il Manzoni ha svolto un vero e fecondissimo apostolato di fede e se l’Italia, il popolo cristiano, durante i lunghi decenni dei funesti dissidi, è rimasto cristiano, si deve anche all’opera del Manzoni (Par. VIII,40).
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Non vi meravigliate se una piccola sconosciuta Congregazione ha ordinato ai suoi figli, ai suoi seguaci che non si apra nessuna casa, nessun istituto di educazione e di carità se in quella casa non entra il Vangelo, con la Somma di San Tommaso, con l’Imitazione di Cristo e la Commedia di Dante e il nostro, il vostro Manzoni. Quando si leggono queste pagine, allora o miei amici, lo spirito si rifà. Si ha il bisogno di tutto, ma soprattutto di bontà e di verità. Quando leggiamo il Manzoni, sentiamo lo spirito rasserenato. Il Manzoni ci conquista, ci trasforma, il Manzoni in certe ore quasi ci trasumana, e ci sentiamo portati a compiere in noi l’esortazione del Cardinale: “Avviciniamoci a Dio, apriamo a Dio i nostri cuori, perché gli piaccia di riempirli di quella carità, che ripara il passato, che assicura l’avvenire, che teme e confida, piange e si rallegra, con sapienza; che diventa in ogni caso la virtù di cui abbiamo bisogno”, quella carità che ben compiuta, riempie l’animo di santa letizia; quella carità che porta sopra di noi la benedizione di Dio, in tutti i luoghi, su tutti i passi della nostra vita (Par. VIII,41).
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Trovandomi un giorno con un eminente Cappuccino gli dissi: “Perché voi Cappuccini non fate un monumento ad Alessandro Manzoni? Nessuno vi ha celebrato tanto come il Manzoni” (Par. X,189).
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La ricordate la frase del Manzoni dove traccia la figura ammirabile del Cardinale Federico Borromeo? Parla di lui studente che si trova davanti a due strade e dice che si volse per la strada che vide giusta e che mena a buon porto... Leggetelo quel punto, vi farà bene! (Par. X,192).
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La guerra è un gran flagello! Insieme con la peste e con la fame! E il Manzoni, nei Promessi Sposi, ce li mette tutti e tre; e la Chiesa, nelle Litanie dei Santi, ci fa invocare: A peste, fame et bello libera nos, Domine... Milano, nella famosa peste descritta dal Manzoni, era diventata la città della peste, della fame perché c’erano sempre delle guerre. Anche voi pregate e fate Comunioni, che Dio tenga lontano il flagello della guerra, specialmente oggi; la guerra è, significa devastazione! (Par. X,230).
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Invece di parlarvi di Santa Prassede, vi parlerò di un’altra Prassede, quella del Manzoni, per dirvi qual è il significato che il Manzoni le dà. Voi avete letto quel capitolo del Manzoni, nel quale dice quella frase: “I miei 25 lettori”. È proprio il capitolo XXV. Vi si parla di una coppia di Signori che abitavano vicino al paesello del sarto: erano Don Ferrante e Donna Prassede. Dice il Manzoni che il loro casato era rimasto nella penna dell’anonimo. Come era rimasto nella penna dell’anonimo il nome dell’Innominato, così c’era rimasto il casato di Donna Prassede. Era Donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a fare del bene. Però subentra la psicologia. “Anche il bene, scrive il Manzoni, va fatto bene e vuol essere discreto”. E va avanti, il Manzoni, parlando del bene e come lo si deve intendere il bene. Donna Prassede! Magnifica questa macchietta di Donna Prassede, la quale, dice Manzoni, aveva le sue idee; poche, in verità, come degli amici bisogna averne pochi. Soltanto che, spiega Manzoni, le idee di Donna Prassede erano sì, poche, ma molto storte (Par. XI,29).
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Di Donna Prassede dice il Manzoni che voleva sempre fare la volontà del Cielo. Peccato che metteva la volontà del Cielo nel proprio cervello! Una parola: qual è l’idea principale di questo passo manzoniano? Che cosa ci volle dire in Donna Prassede il Manzoni? Volle farci sentire come dobbiamo, nel bene e nello zelo del bene, essere savi e discreti; non deve essere uno zelo che brucia. Volle forse il Manzoni descrivere i difetti della vecchiaia, in Don Ferrante; ma volle anche colpire quell’attaccamento che si nota a volte in uno spirito che si ammanta di pietà; volle colpire quell’attaccamento che molte volte la gente di Chiesa ha al proprio amor proprio. Nel Manzoni, nel romanzo del Manzoni, sono celebrate tutte le virtù cristiane, in modo speciale, la carità, l’obbedienza e la povertà e si colpiscono e si detestano tutti i vizi. Donna Prassede che mette la volontà del Cielo nel proprio cervello, insegna a me e a voi, ci avvisa di essere guardinghi, di essere staccati dal nostro giudizio e di non ritenere come volontà del Cielo ciò che è proprio nostro capriccio (Par. XI,30).
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In questi giorni io pensavo, facevo un po’ di filosofia della storia dei passati giorni e, un poco manzoniano, sono andato all’ultimo capitolo dei Promessi Sposi, che è un gran libro, vedete! è una gran filosofia cristiana! e là il Manzoni è andato a far cercare da Renzo e dalla sua buona moglie Lucia, la ragione come mai fossero capitate loro quelle vicende, più dolorose che liete. E così il Manzoni cavò il succo del romanzo, in un modo alto e degno, che voi conoscete. Ed io pensavo a cavare il succo da quello che è capitato a me e alla Casa vedendo in tutto la mano, la voce di Dio: Dominus est. Dio parla con la vita e con la morte, con la gioia e con il dolore. Tante sono le vie di Dio, tante sono le vie, per mezzo delle quali Dio manifesta la sua volontà (Par. XII,116).
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L’umanità è come la Lucia del Manzoni, che solo cerca rifugio nell’aiuto di Dio, nell’aiuto dall’Alto, è come la donna scolpita dal Bartolini e cantata dal Giusti! Così è lo spirito umano! (Par. XII,118).
Vedi anche: I promessi sposi.
Martirio
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Dobbiamo essere bollenti di fede e di carità e avere sete di martirio; e infondere questa sete e questo fuoco di ardentissimo amore di Dio e delle anime in tutti i membri della Congregazione. Apostolato e martirio: martirio e apostolato! Avere un gran cuore e una più grande carità e vivere la divina follia delle anime (Scr. 1,272).
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Bisogna facchinare più che da un’Ave Maria all’altra, per il buon andamento degli Istituti, con amore di figli, pensando prima agli altri e poi a noi e mostrando così se c’è o no vocazione, se c’è quello spirito di Dio, quel vero spirito di annegamento di noi e di martirio per la salvezza delle anime, che debb’essere proprio dei figli della Divina Provvidenza (Scr. 6,150e).
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Tante volte, o caro mio figliolo, hai protestato il tuo amore alla Chiesa di Roma, la «Madre dei Santi», la Madre della nostra Fede e delle nostre anime e avevi giurato di esserle tutto e sempre suo e anelavi crescere a sostenere e la Chiesa e il Papa con le parole, con le opere e anche con il martirio (Scr. 6,150g).
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Vi prego a non inquietarvi per nulla, ad essere anzi contento che abbiate da patire qualche cosa per amore di n. Signore Gesù Sacramentato e crocifisso nel SS.mo Sacramento. Voi benedetti, o cari miei figli, a cui è dato patire qualche cosa e incominciare a patire lì dove Gesù nei suoi santi pontefici e martiri ha tanto patito! Basta che da parte nostra non si offenda il Signore e si desideri amarlo e amarlo tanto e amarlo proprio tanto e poi perché turbarci? (Scr. 30,58).
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Questo Istituto però pare che dovrà molto patire molto patire molto patire: sono tempi che, chi sta con i Vescovi e con la Chiesa dovrà molto patire: speriamo con l’aiuto, che certo ci darà il Signore e la Madonna SS., di servire umilmente e fedelmente la S. Chiesa da servi buoni e fedeli sino al martirio. Tu non ti spaventare e dì ai tuoi che stiano lieti di darti alla Chiesa (Scr. 32,3).
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Voi avrete occasione di confessare il Vangelo, come Vescovo, in faccia al mondo, di predicarlo e di patire per la giustizia E che volete di più? Ci sono molti martiri – il vostro sarà martirio prolungato: ma state al vostro posto, quando al Signore piacerà, penserà lui a togliervi: vi conforti o mio buon padre, il rammentare che S. Giovanni era così vecchio e pieno di acciacchi e infermità che non poteva fare altro che essere portato in Chiesa e dire al suo popolo sempre le stesse parole: «figlioli, amatevi l’un altro»; e tuttavia non gli cadde in mente di rinunziare all’Episcopato né di prendersi un coadiutore (Scr. 45,32).
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Io vorrei potere scrivere questo con il mio sangue e questo dico a gloria del Signore e solo per la grazia che mi dà n. Signore. E vorrei che con il martirio per la santa Chiesa fosse dato ai miei figlioli di poter almeno qualcuno di essi scrivere, quello che io povero peccatore non posso scrivere che con questo inchiostro (Scr. 45,78).
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Portiamo lietamente e festosamente la croce con Gesù Cristo sig. nostro, in adorazione e immolazione silenziosa con Cristo crocifisso e per l’amore di Gesù Cristo come figli e Martiri, così Dio volesse! della s. madre Chiesa e del Papa (Scr. 52,56).
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Gesù Cristo manifesta la sua protezione su quelli che per Lui si affaticano, si logorano, patiscono e non aspettano per mercede le lodi degli uomini né temono i biasimi – Felici quelli che muoiono martiri della carità (Scr. 55,329).
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Ponimi, o Signore, sulla bocca dell’inferno perché io, per la misericordia tua, lo chiuda. Che il mio segreto martirio per la salvezza delle anime, di tutte le anime, sia il mio paradiso e la suprema mia beatitudine – Amore delle anime – Anime! Anime! Scriverò la mia vita con le lacrime e con il sangue. L’ingiustizia degli uomini non ci affievolisca la fiducia piena nella bontà di Dio. Sono alimentato e condotto dal soffio di speranze immortali e rinnovatrici. La nostra carità è un dolcissimo e folle amore di Dio e degli uomini che non è della terra. La carità di Cristo è di tanta dolcezza e si ineffabile che il cuore non può pensare, né dire, né l’occhio vedere, né l’orecchio udire parole sempre affocate, soffrire tacere, pregare, amare crocifiggersi e adorare. Lume e pace di cuore salirò il mio Calvario come agnello mansueto. Apostolato e martirio: martirio e apostolato (Scr. 57,103–104).
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I Missionari si offrono cosi alle fatiche dell’apostolato evangelico: si consacrano, per le mani della Santa Madonna, ad una vita tutta di sacrificio e, occorrendo, al Martirio, per l’amore di Dio e la salvezza di popoli lontani, ma fratelli in Cristo. E ciò ad imitazione di Gesù, nell’orto degli Ulivi, in quella notte che fu la vigilia del suo divino olocausto per la redenzione del mondo universo (Scr. 62,43).
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Il liberalismo si propaga e si afferma con il delitto e con l’eccidio; il cattolicesimo con il martirio; quello pretende beneficare l’umanità con il ridurla alla disperazione e all’uso della dinamite; questo la benefica con il fatto dell’unica possibile uguaglianza sulla terra, con la sicurezza delle immortali speranze, con il sangue volontariamente sparso dei suoi fedeli (Scr. 80,5).
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Io sono rassegnato, ma piango da solo e sono alcuni giorni che non so dove stare; ad ogni figlio che mi muore, mi sento morire. Forse il Signore vorrà questo martirio da me, che muoia a poco a poco e tante volte, quanti sono i nostri cari morti: sia fatta la volontà del Signore! (Scr. 97,89).
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La grazia e la pace di Gesù Cristo sia con Voi, o miei Cari e con noi, sempre e sempre! E faccia si che tutti siano un cuor solo e un’anima sola, “cor unum et anima una”, ai piedi della Chiesa e del “dolce Cristo in terra”, il Papa: piccoli, umili, fermi, fedeli, amanti di amore filiale dolcissimo la Chiesa, i Vescovi e la Santa Sede, sino alla consumazione di noi, sino al martirio! (Scr. 119,89).
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Ecco, o Figli della Divina Provvidenza, la Fede dei Padri, la Fede dei Martiri: ecco i nostri esempi, i nostri modelli! Leviamoci i calzari e, in umiltà grande, in ardore di Fede e di amore grande e santo, accostiamoci ad essi: sono i nostri maggiori, sono i nostri Fratelli di Fede e di Carità. Imitiamoli, o cari miei figli, imitiamoli: gettiamoci con Loro, fidando nel Signore! (Lett. II,457).
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Abbiamo visto che i Santi portano con loro lo strumento del loro martirio, ossia del loro grande amore per Gesù nostro Salvatore: e noi che cosa porteremo in mano, quando ci presenteremo a lui? Che cosa gli offriremo in prova del nostro amore? La Vergine Santissima, Regina dei Martiri, ha sempre portato con sé, sul suo cuore e fra le braccia, lo strumento del suo martirio: è la Madre della pietà e del dolore, che tiene sulle ginocchia il suo Figliuolo morto fra gli spasimi, su di una croce... E noi che cosa porteremo a Gesù? Quale l’oggetto, lo strumento della nostra fedeltà; del nostro amore? (Par. I,66).
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Dovete sapere che gli Armeni non sono tutti uniti alla Madre Chiesa, come ci sono i Greci Cattolici e i Greci Ortodossi o scismatici, così anche gli Armeni. E quelli che sono attaccati alla Chiesa sono perseguitati e uccisi per la fede. E questi stessi giovani che voi vedete qui sono quasi tutti figli di martiri, alcuni hanno martiri dei fratelli, altri hanno avuto uccisi i genitori, chi il padre e chi la madre, tutti insomma hanno un congiunto, un amico che hanno dato il sangue per la fede. E io dico sempre a questi cari figlioli: Pregate per la vostra Patria affinché cessi la persecuzione, preghiamo davvero anche noi per l’Armenia insanguinata affinché per le nostre preghiere e molto più per quelle numerose legioni di martiri voglia Dio concedere la pace non solo ma faccia sì che il sangue non sia stato sparso invano e anche gli infedeli e musulmani vengano in grembo alla vera Chiesa (Par. III,172).
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Religione e Patria sono due grandi amori che dovete coltivare, attaccati alla Santa Madre Chiesa. Voi avete incominciato il latino e capite già qualche cosa. Preparatevi con la preghiera, fuggite a qualunque costo il peccato, per poter dire al Signore: "“e Voi, o Signore, desiderate il mio sangue – poiché il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani – ecco sono pronto a versarlo, per testimoniare la vostra fede. Spero che tra di voi usciranno alcuni martiri. Siate pieni di amore, di amore di Dio e del prossimo che sono una stessa cosa. Dobbiamo amare il prossimo, vedendo nel prossimo l’immagine di Dio (Par. III,176).
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Come grande è stata la gloria della Vergine e Martire Santa Lucia, così è grande la mercede che Dio ci tiene preparata se noi andremo incontro al nostro martirio terreno con il fuoco acceso dell’amore di Dio, con l’olio che tutto mitiga e addolcisce, della nostra generosità magnanima nel servizio di Dio, della Chiesa, delle anime (Par. IX,483).
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Dobbiamo mostrarci, come i martiri, lieti perché ci ha fatti degni di patire. Che dolore sarà stato per Gesù nel vedere un solo apostolo sul Calvario... Noi dobbiamo essere disposti a dividere con lui il martirio e la morte! Lassù, vicino alla Croce, vicino a Gesù, direi, con lo stesso cuore di Gesù, pieno di amore per gli uomini, c’era la Madonna, c’era la Vergine Santissima (Par. X,168).
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I Figli della Divina Provvidenza devono essere forti e intrepidi, in tutto, ma specialmente nella fede, nello spirito di sacrificio, occorrendo, fino alla morte, fino al martirio, fino a fare della nostra vita, ostia viva a Dio e olocausto a Dio e alla Chiesa per la Santa Fede, a santificazione nostra e a santificazione e salvezza di tante anime (Par. XII,132).
Vedi anche: Fede, Sofferenza.
Massoneria
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Pensate che all’Uruguay, in tutto lo Stato come nella capitale di Montevideo, il governo massonico ha proibito fin di tenere l’acqua benedetta nelle pile delle Chiese: ha distrutti nelle Scuole tutti gli emblemi più sacri, ha vietato ogni segno pubblico che parli di Dio! Oh quanto, quanto volentieri vi aprirei almeno una Casa, magari noi in abito borghese, pur di salvare un po’ di quella tanta gioventù che viene cresciuta nell’odio a Dio e alla Chiesa! (Scr. 2,210).
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Domani, a San Remo, c’è un comizio di tutte le associazioni socialiste e massoniche indetto dalla Parola contro gli Istituti Clericali, e pare più contro il Convitto dove, come da giornale che vi mando, si dice che si siano usate sevizie a qualche ragazzo (Scr. 10,41).
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La Massoneria pure è qui con un Comitato, per raccogliere orfani e orfane, che saranno cresciuti senza Dio. Converrebbe mettere in guardia (Scr. 10,212).
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È vero che per alcuni mesi non ci sarà nulla nella legislazione italiana contro la Chiesa, per non far vedere che in questo cinquantenario si vuole dargli un carattere anticlericale che allontanerebbe la visita di qualche grande Sovrano da Roma – ciò che tanto si desidera – ma finita l’Esposizione, se le visite non venissero o se appena la Massoneria lo potrà, c’è da aspettarsi qualche cosa. Se ora non lo fanno, è perché non lo credono utile ai fini loro (Scr. 11,56).
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Ho ricevuto l’Abiura di un Massone, e vi manderò il grembiule e altri gravi documenti che metterete sotto i piedi della SS.ma nostra Madre (Scr. 12,118).
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Abbiamo anche una richiesta di aprire un Orfanato a Campos, città ricchissima, di 60 mila abitanti e tutta in mano alla Massoneria, che però non ci disturberebbe; qui quasi tutte le Confraternite (che hanno grandi fondi e Cimiteri a sé staccati dagli altri) sono in mano della Massoneria (Scr. 14,102).
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Don Orione si è impegnato di istituire a Novi Ligure, città eminentemente industriale, l’Istituto Tecnico, vivamente desiderato dalla cittadinanza. Ma l’Avv.to Martelli, noto massone di Novi, e membro della Giunta Provinciale, e l’Ing.r Manassero, di origine del Partito popolare, pare siansi data la mano per fare naufragare la pratica presso l’Autorità tutoria (Prefettura di Alessandria). Ad impedire la indegna manovra settaria (massonico–popolare) si prega di far pervenire un’alta parola al Prefetto di Alessandria, perché la deliberazione della maggioranza amministrativa della Città di Novi abbia l’appoggio del Prefetto, tanto più che essa ha pure tutto il favore della Cittadinanza Novese e del Circondario (Scr. 15,68).
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Ho ricevuto la vostra ultima, che è del 18 dicembre, da Tortona con la dolorosa notizia della morte di p. Fedele, del ch.co Lovadina e del chierichetto di Montebello, nonché di Mons. Fossa e del Dr Marchese. Speriamo che questi si sia confessato, era il I Medico della prima Casa, il I anno di San Bernardino; temo che, per salire, abbia aderito alla massoneria (Scr. 19,168b).
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Il dottore morì senza avere sposato altra donna, e quindi Giulietto è figlio naturale, non riconosciuto legalmente. Suo padre era ricco, e chi paga è uno zio, l’Avv. Macrì, uno dei capi della Massoneria di qui e domani, deputato di Messina, di cui è già consigliere provinciale (Scr. 20,27).
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Pensate la gioia del Patriarca [La Fontaine] quando ieri sera dalla Congregazione di carità fu telegrafato qui al patriarcato che la nostra convenzione era stata approvata. La Massoneria sentirà la sconfitta (Scr. 20,54).
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Sono giunto a casa adesso, fra due ore dovrò ripartire è da tre notti che le passo in vettura tanto ferve la lotta tra la loggia massonica L’Armonia di Novi, unitasi ora coi partiti Liberali di tutte le tinte e noi: pregate, o figliuoli, pregate tanto! (Scr. 25,12).
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Avrebbe dovuto aprirlo il governo codesto istituto tecnico di Novi e pagare lui, –lo abbiamo sollevato, e ci tratta peggio dei liberali e demo–massoni (Scr. 26,198).
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Qui al Manin vi sono le scuole professionali, come all’Umanitaria di Milano, solo che l’Umanitaria è massonica e noi siamo, per divina grazia, cristiani (Scr. 43,20).
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La mano del Signore mi ha sempre sostenuto, ed ho potuto lavorare così in mezzo a molti massoni: Finocchiaro Aprile, testé morto, e che era del Supremo Consiglio dei 33: era pure nel Consiglio del Patronato (Scr. 43,159).
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A succedere al direttore del R. ginnasio, ex–prete, don Reggiani, fu mandato uno dei framassoni più scaltri e più propagandista della setta. Egli viene da Fabriano, ove ha già fondata la loggia massonica, di cui era venerabile (Scr. 45,21).
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Tengo a Venezia l’Istituto Manin Maschile dove ora si iniziano buone scuole professionali; uso Umanitaria di Milano, solo che questa è massonica, io invece sono cattolico e italiano (Scr. 46,211).
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Faccio presente che il comitato di Messina dal quale dipendono la maggior parte [degli orfani] e di cui sono il vice presidente è pur troppo, quasi tutto in mano della massoneria. E il comm. Sofio, uomo di valore e di sentimenti cristiani, già presidente a Messina e che condussi ai piedi di vostra Santità, è passato a miglior vita. Così mi pare moralmente certo che, ritirandomi io, non sarà permesso a nessun altro sacerdote entrare nel Patronato (Scr. 48,9).
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E qui stimo doveroso far presente che il Comitato di Messina, dal quale dipende il maggior numero di orfani e di cui sono vice presidente, è, purtroppo, quasi tutto composto di massoni. E così mi pare moralmente certo, che ritirandomi io, non sarà permesso a nessun altro sacerdote di entrare nel Patronato (Scr. 48,16 // 101,96).
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Nel sottocomitato ci sono tre forti massoni e un Consigliere delegato di prefettura settario assai. Il Presidente quando non ci fossi più ai fianchi temo che ceda perché è anche uomo di poca cultura – Dopo l’ordine del giorno della Massoneria che invitava i fratelli di qui a lavorare per dare un’educazione laica agli orfani di Messina e Reggio, mi pare che sarebbe morale se mi ritirassi (Scr. 48,49).
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Il Signore, come ho detto, mi aiutò tanto, poiché nel Patronato vi sono forti ostacoli, essendo parecchi grossi massoni (Scr. 48,61).
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Mi urgerebbe conoscere se i Vescovi hanno da Roma istruzioni particolari nel caso di matrimoni di massoni, se cioè qualora uno di questi dovesse contrarre matrimonio, non possa contrarre se non fa una dichiarazione per iscritto con la quale lei giuri di rinunziare alla massoneria, o una dichiarazione equivalente, cum testibus. In caso che da Roma non ci fosse nulla di quanto sopra, desidererei conoscere se il Vescovo o il parroco possa imporre questo atto, senza del quale rifiutare il matrimonio, anche il massone si dica disposto a confessarsi (Scr. 49,59).
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Se il futuro sarà fosco e saranno giorni di lotta più acuta tra i figli di Dio e i figli degli uomini, tra Cristo e satana, tra il Papa e la massoneria, i membri della Compagnia del Papa saranno sempre, come fermamente lo spero e come ne prego il Signore ogni giorno, saranno sempre all’avanguardia dell’esercito pontificio (Scr. 52,3).
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Si tratta, come ella ben comprende, di una vera opera di conservazione della fede, essendo ormai evidente che la massoneria vuole alacremente attuato in Messina tutto un suo piano di scristianizzamento (Scr. 52,217).
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Lavoratori cristiani, voi vivete in mezzo ad una società inferma come era quella dell’impero romano, una società languente che reclama la sua guarigione dalla Croce; la cazzuola del massone verrà infranta dal piccone del socialista. Piccone e martello sono pur, con la cazzuola e la squadra, nel verde grembiule del massone; ma, se il massone, umile in atto, il sorriso sul labbro e la maschera agli occhi, li nasconde coll’ipocrisia del cospiratore, il socialista, ritto in piedi, fremente in volto, le braccia alzate, brandisce minaccioso piccone e martello coll’audacia indomita del ribelle. E se il socialista, nella sua sfida feroce, qualche servizio pur rende, alla società sbigottita, è quello appunto di smascherare il maestro, il liberale massone. Sotto al fango dei suoi scherni e delle sue calunnie, il liberale massone ha preteso con la cazzuola seppellire la Croce e sulla tomba del cristianesimo innalzare la famiglia atea, la scuola atea, l’edificio della società senza Dio. Stolto! non ha previsto il piccone vendicatore del socialista, che fa di quell’edificio un cumulo di macerie; mentre la Croce, nella sua virtù immortale, converte quelle macerie e quel fango in un piedistallo di gloria (...). Liberali, massoni, socialisti, lavorate, lavorate, vi scaverete il sepolcro a vicenda. I popoli si stancheranno di voi che li pascete di tenebre, di terra, e di odio; i popoli hanno bisogno di amore, di luce, e anche di un bene che non è terreno (Scr. 53,3).
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Nella Prussia imperversava la famigerata lotta per la civiltà bismarchiana, tirannia scimmiottata poscia dal radicalismo elvetico che inaspriva ognora più le persecuzioni contro il clero tramutando le nostre Chiese in logge massoniche (Scr. 56,30).
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Domenica vidi in gran fretta, e d’in piedi Mons. Perosi, che dovetti disturbare mentre poco dopo verso le l4 prendeva un po’ di riposo. Mi bisognavano certe facoltà per l’abiura d’un massone (Scr. 59,132).
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Dio ha vinto! Dopo tante lotte e dopo tanto pregare nostro Signore, a confusione dei nemici della Divina Provvidenza, ha voluto che il diavolo mi facesse il collegio. Il sotto – prefetto se n’era lavate le mani; il prefetto non voleva approvare, noti framassoni e professori e socialisti ricorsero a Crispi ed a Baccelli per fare annullare il contratto di cessione. L’ispettore fu mandato dal governo a visitare il locale, e vi andò con il metro alla mano. Tutto sembrava perduto, quando la Madonna, la mia cara Madonna che non mi ha mai abbandonato, né me né i miei poveri figli e la bontà e la misericordia grande di nostro Signore –, non badando a tutti i miei peccati, cagione di tutti questi guai, sono venuti in mio soccorso e mi hanno consolato (Scr. 59,186).
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La neutralità poi della scuola, che si invoca dagli asserviti alla massoneria e al socialismo è una impossibilità pratica: il silenzio stesso in questa circostanza ha la sua eloquenza: chi tace acconsente, dice un vecchio proverbio; chi tace di Dio nella istruzione dei giovani, possiamo dire noi, rovesciando il proverbio, lo nega. La Chiesa non ha bisogno di schiavi né li vuole (Scr. 61,57).
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Una volta che l’Italia sarà indebolita nella sua fede cattolica, o sarà divisa in fatto di religione, noi diventeremo una facile preda di conquista dello straniero. Chi è pagato dallo straniero, aprirà le porte d’Italia allo straniero. Il solo fatto che le varie sette dei protestanti hanno tanto denaro da dar via, e non è certo denaro italiano, il fatto che i protestanti sono largamente sussidiati da governi stranieri, e forse oggi anche dalla Massoneria straniera (Grand’Oriente di Parigi) dovrebbe far aprire gli occhi anche ai più ciechi (Scr. 61,222).
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La massoneria fa oggi sforzi titanici per umiliare la Chiesa, e purtroppo parecchi dei nostri vi si prestano, o dormono (Scr. 63,204).
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Io sento la forza di Dio che mi spinge e mi incalza a spezzare le catene d’Italia e a rivendicarla a libertà, sento la voce di Dio che mi comanda di liberare il mondo dalla schiavitù di satana, sento la voce del sangue di G. Cristo che mi comanda di distruggere abbattere in Roma cattolica il trono dell’idra massonica e dell’anticristo (Scr. 64,202).
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Apostolato tanto più necessario al Brasile dove oggi la fede cattolica è assorbita non più solo dalla Massoneria come in passato, ma dal protestantesimo, dallo spiritismo, dal teosofismo; i protestanti dell’America del Nord hanno votato 150 milioni di dollari per convertire al protestantesimo l’America del Sud (Scr. 64,237).
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Il liberalismo è figlio della massoneria, è la più ipocrita delle sue evoluzioni: il liberale non è in analisi che un massone mascherato da cattolico (Scr. 64,320).
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Viva il Papa: in Hoc signo vinces! Il Massonismo ha lanciato in cuore sovra il Tevere la scintilla dinamitarda e agogna assidersi sulle rovine della patria cantando l’eccidio di Troia. Italia di Cristo, cingi l’usbergo e sorgi! sorgi concorde e in nome di Dio salva la fede (Scr. 64,327).
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Costoro che non vogliono la Chiesa per Madre finiranno con il divenire lo zimbello della Massoneria. Vogliono piantare delle biblioteche per diffondere la cultura (l’hanno sempre con la cultura costoro) ma che razza di biblioteche vorranno essere Dio lo sa! (Scr. 69,209).
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Si vuol oggi sostenere i fatti compiuti e la massoneria assisa in trono; epperò ogni Città ha il suo Tiro ed al povero popolo si moltiplicano tasse e balzelli per sostenere il governo che spande e spende nelle clamorose gare nazionali: povera Italia! (Scr. 70.189).
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Dal momento in cui si permette alla Massoneria di levare pubblicamente la voce, agli anarchici di discutere, e predicare liberamente le loro teorie, perché dovremo essere impediti, noi cattolici di far udire accenti inspirati dalla nostra coscienza, dal nostro amore per il bene e per la religione? (Scr. 71,12).
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Viva il Papa! Viva e aderga il trono sovrano sulla tomba della massoneria, che palpita di eterno odio a Dio e giurò morte al Papato. Viva il Papa! Viva e trionfi sul popolo italiano tradito e assassinato dalla massoneria perfida matrigna della patria nostra. Ferve la lotta fra Satana e Cristo e la patria grandezza, la nostra morale e civile grandezza, rovinano ai colpi del martello settario. Tradimento è il silenzio Guerriero di Cristo mi avanzo nel santo Nome di Dio al grido di Viva il Papa e mi avanzo ad animarvi alle battaglie pro aris et focis ed a combattere con voi avanti al massonismo giudaico e liberale (Scr. 75,2).
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La Massoneria ha lanciato il pugnale nel cuore della Sposa di Cristo, e s’è fatta l’Italia; restavano a farsi gli Italiani: e gl’Italiani ce li stampa ora la setta con il ferro in pugno e grondante di sangue! (Scr. 75,211).
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Amore! Amore! Grida Leone e la bieca Massoneria lancia ancora le sue bave immonde d’odio contro l’immacolata veste della Chiesa e contro gli intangibili paludamenti del Papato. Ma sono gli ultimi sforzi della belva insaziabile ormai ridotta all’impotenza. Il raggio della tua stella immortale, o Leone XIII fuga le tenebre e le ricaccia agli abissi (Scr. 79,255).
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A Padova alcuni massoni, passando per quella città, oltraggiarono un’antica statua del nostro gran Taumaturgo e protettore Sant’Antonio, rompendole le mani e sfregiandola in tante maniere. Appena saputosi in Padova tanto sacrilego insulto vi fu una grande generale reazione di fede e di fervore per il gran Santo (Scr. 83,80).
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Vengo a pregare V. Eccellenza di un favore: avrei bisogno di essere assicurato su questo: se esistano norme speciali pei matrimoni dei massoni, o se da Roma i Vescovi abbiano avuto istruzioni particolari che si riferiscono ai matrimoni di persone notoriamente massoniche, e quali (Scr. 84,183).
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Io non so se i Vescovi abbiano istruzioni particolari che si riferiscano ai matrimoni dei massoni; ho interrogato qualche Vescovo e Mons. Arcivescovo di Reggio e mi hanno risposto di no (Scr. 84,208).
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L’Onorevole Fulci Deputato di Messina e Prof. di Diritto Penale a questa Università, è massone; lo avrebbe dichiarato implicitamente egli stesso di questi giorni a Roma, a due Signori di qui, Sig. Lorenzo Deodato e Domenico Darè (quest’ultimo persona di fiducia dell’ex Sindaco D’Arrigo, fratello di Mons. Arcivescovo) professandosi massone dormente. A Messina ci sono di sicuro almeno cinque logge massoniche: l’essere massone e vivere in concubinato sono purtroppo le cose più comuni. La piaga del concubinato è antica per l’ignoranza del popolo in fatto di religione, e anche, crederei, per la vita indolente, e, sovente, disonesta del clero, la massoneria poi fu sempre molto potente, e pare che una volta avesse piede anche in Curia (Scr. 107,152).
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Il Santo Padre mi raccomandò di non abbandonare gli orfani affinché non abbiano a cadere in mani settarie, poiché è sempre grave questo pericolo, essendo il Patronato Regina Elena infeudato alla massoneria e ai modernisti (Scr. 84,274).
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L’Italia non è più cattolica; ma è liberale: né potrebbe essere altrimenti, essa è oggimai la figlia della massoneria: non può essere che liberale (Scr. 85,2).
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Stanotte vado a Cortona, mi ci fermo domani, e Sabato sono di nuovo qui. Domenica riceverò l’abiura di un alto massone. Deo gratias! (Scr. 85,134).
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Trovandomi a far parte del Patronato Regina Elena per volontà del Sommo Pontefice Pio X prima e ora del nostro Santo Padre Benedetto XV, mi capita di dovermi trovare in qualche relazione anche con massoni e persone ben lontani di idee, e di fede almeno molto dubbia (Scr. 96,114).
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I giornaloni liberali fanno le orecchie da mercante e non sentono. Sono tutti figli della massoneria: sono tutti d’accordo. I giornaloni liberali hanno altro da fare: fare lunghe e minute relazioni di un processo piccante, di un fattaccio di cronaca, oppure stampare delle ingiurie maligne contro il Papa (Scr. 104,163).
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Al Conte Gallarati sfuggì che aveva visto Luzzatti, e che questi lo avrebbe ricevuto al suo ritorno a Roma. Mi ha fatto l’impressione che questi poveretti diventeranno zimbello della massoneria, se pure non lo sono già (Scr. 107,80).
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Asservire la nostra Patria: ecco dove certe Potenze e Associazioni estere vogliono arrivare: ecco dove vuol arrivare la Massoneria estera. Che se non potranno arrivare fin là, infrangendo l’unità morale, essi sempre arresterebbero la nostra ascesa, la marcia trionfale verso i nostri nuovi e più grandi destini. Ci riusciranno? Dio salvi l’Italia! (Scr. 113,284).
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Quando la Massoneria, con losche manovre e leggi inique, condannò all’esilio oltre cento vescovi e molti cardinali, parecchi dei quali furono imprigionati; quando si arrivò alla soppressione dei Conventi, all’incameramento dei beni della Chiesa ed alla laicizzazione della scuola, fu ancora a Maria, l’aiuto dei Cristiani, che a Lei ricorsero (Par. I,21).
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Il bene, vedete, piace a tutti, anche ai cattivi! Anche i frammassoni fanno del bene: anzi con uno dei capi siamo in buona relazione, e fa del bene... Sicuro, sicuro... solamente che il più delle volte, si servono del bene per far del male! Sono più svegli, più alacri i figli delle tenebre che i figli della luce, come dice Gesù! Essi lavorano per il lucro, per la gloria o per un ideale, e talvolta sono in buona fede: il Signore certamente la ricompenserà questa buona fede (Par. I,57).
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Dobbiamo prendere i figli del popolo, i più poveri insidiati dalle sette dei massoni, ma specie dei protestanti che sono più dannose dello stesso socialismo e comunismo. Essi professano un credo diverso, sono opposti tra di loro in ciò; ma sono uniti nell’andare contro Roma (Par. VI,217).
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Lo sa Dio quanto avrei desiderato di stare sempre qui con voi per tutti gli eventi; ma prima di entrare in refettorio, mi furono consegnati due telegrammi. Sono chiamato presso il letto di un moribondo. Forse è iscritto alla massoneria. Ha 82 anni (Par. IX,350).
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Una volta mi venne in mente di telefonare a Palazzo Giustiniani, in piazza del Gesù, alla sede della massoneria, per chiedere le condizioni che si richiedevano per l’accettazione... dissi che desideravo uscire dalle tenebre per entrare nella luce e chiesi molte informazioni... Per un po’ mi diedero ascolto e mi risposero. Quando poi chiesi loro quale sarebbe stata la retribuzione mensile allora se ne accorsero che li prendevo in giro ed hanno chiuso il microfono (Par. X,11).
Vedi anche: Anticlericalismo, Chiesa, Concordato (Stato–Chiesa), Liberalismo.
Mater Dei (rivista)
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Dirai a Don Gigi che mandi ad Ognissanti altre 20 copie della Mater Dei per abbonati già fatti: ne mandi, se può, altre 15 copie a Tortona Ne tenga riservate un dato numero per quelli che si abboneranno più tardi e vorranno i numeri arretrati (Scr. 20,267).
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Manderò, appena lo possa, uno della Congregazione, stabile, in aiuto a Don Gigi. Digli che provvederò per gli articoli della Mater Dei; desidero vedere, alla mia prossima venuta, quanto c’è, e che ha scritto P. Antonio, poiché padre Antonio mi scrisse che ritorna nei frati, e pare che questi vogliono ora fare loro monopolio la Mater Dei (Scr. 29,278).
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Riferendomi a tua del 27 nov., ho parlato anche a don Sterpi della proposta di accettare tu la direzione e stampa di «Fede e Civiltà», noi non si è del parere che la Piccola Opera o alcuno dei suoi membri assuma la direzione di giornali, siano pure cattolici, ma solamente limitarci alla stampa cattolica per il popolo (eccetto, ora, la Mater Dei) ma che escluda qualsiasi trattazione, cronaca o riferimento a cose politiche, come i salesiani e non come l’Opera Cardinal Ferrari (Scr. 22,149).
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Facciamo uscire una rivista mariana «Mater Dei» per preparare per il 1931 il XV centenario della proclamazione del dogma della Divina Maternità di Maria SS.ma ad Efeso, nel Concilio Ecumenico del 431, contro Nestorio. Si lavora! E avanti! (Scr. 32,68).
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La prego di voler gradire la Rivista Mariana «Mater Dei», che le mando in devoto omaggio e con grato animo. Gesù la consoli! (Scr. 40,204).
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Devoti di Maria. Voi sentite già non solo l’importanza storica e dogmatica ma tutta altresì la dolcezza mistica e la gioia spirituale che per noi tutti racchiude quella data del Concilio di Efeso della quale ricorrerà nel prossimo 1931 il XV centenario. E sentite altresì il dovere di non lasciar trascorrere la solenne carissima ricorrenza, senza celebrarla nel modo più degno. Gli è appunto per questo, per preparare i nostri cuori a quella dolcissima commemorazione, che esce questo Periodico. Gli intenti particolari, il programma, i metodi saranno spiegati più largamente, man mano, dai valenti che sono incaricati delle Direzione e della Redazione di «Mater Dei». A me fu chiesta una parola di presentazione, ed io l’ho detta, sebbene l’ultimo tra i figliuoli di Maria; l’ho detta con slancio di amore filiale e gioia grande, con la soavissima speranza e l’augurio fervidissimo che questo Periodico concorra efficacemente a preparare l’Italia nostra – la terra classica di Maria – a cantare degnamente le glorie, le grandezze, la bontà della gran Madre di Dio (Scr. 53,79).
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Con il gennaio uscì la Rivista [Mater Dei] di cui invio una copia anche per v. Sig.ria A sua Eminenza il Card. Segr. di Stato deve averne portate due copie un mio sacerdote, una anche per il S. Padre. Ho veduto che, su di essa hanno messo me assente e a mia insaputa Organo ufficiale, ciò mi è dispiaciuto, e lo farò togliere, poiché non si vuole fare che opera di divulgazione e di preparazione, da umili gregari e figli della chiesa. Potrebbe ella, caro Mons., sentire se sua Eminenza ne avesse già conferito con sua Santità, e quale ne è stata la risposta? E se a sua Eminenza la Rivista non fosse pervenuta, vorrebbe presentargliela, dicendogli subito, che farò togliere quell’ufficiale altra copia vorrebbe offrirla a Mons. Pizzardo? (Scr. 58,73).
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Eminenza Rev.ma, Come ebbi l’onore di esporre a vostra Eminenza rev.ma, onde preparare i cuori alla celebrazione del XV Centenario del Concilio di Efeso (a. 431 – giugno 1931), uscirei con una Rivista Mariana, dal titolo «Mater Dei», redatta dai migliori e più sicuri scrittori mariani; di essa unisco il programma. Ho pregato sua Emin.za rev.ma il sig. Card. Vannutelli arciprete di Santa Maria maggiore, dov’è il vetusto arco trionfale in mosaico, che celebra il dogma della divina maternità della SS.ma Vergine, arco voluto da Sisto III subito dopo il Concilio, e che ora si sta riparando per la munificenza del nostro Santo Padre, di degnarsi esser Presidente d’onore del comitato che dovrebbe, in questo frattempo, sempre più promuovere il culto di Maria quale madre di Dio (Scr. 58,130).
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Ti ringrazio di quanto hai fatto e fai per la “ Mater Dei “ la Madonna te ne ricompensi! È un Rivista che costa, e avrei bisogno, per uscirne, di almeno 1500 abbonati; vedi se puoi trovarne altri, e se puoi scrivere anche qualche cosa, sia pur breve. E grazie! (Scr. 65,61).
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Grande Rivista Mariana dal titolo: Maria di Nazaret “Mater Dei” indirizzata a preparare gli animi a commemorare degnamente il XV Centenario della Divina Maternità di Maria. Uscirà in grossi fascicoli per ora bimestrali, riccamente e artisticamente illustrati. La rivista sarà redatta dai migliori scrittori Mariani Italiani ed esteri, con il seguente PROGRAMMA 1. Disporre i fedeli a commemorare convenientemente il XV Centenario del Concilio di Efeso (an. 431). 2. Maria negli insegnamenti del Papa, della Chiesa e della tradizione. (Esposizione – Apologia). 3. Maria e dissidenti. 4. Maria nella vita della Chiesa e dei popoli. 5. Il Culto di Maria: genesi, sviluppo, storia (Esposizione – Apologia). 6. Istituzioni e pie pratiche in onore di Maria. 7. Maria e l’Azione Cattolica. 8. Maria nell’arte e nella letteratura. 9. Le opere d’arte riproducenti Maria, scientificamente e criticamente illustrate. 10. Cronaca del Movimento Mariano in Italia e all’estero. 11. Resoconto delle pubblicazioni Mariane. 12. La pagina musicale. Direzione ed Amministrazione: Tipografia e Libreria Emiliana. Venezia (Scr. 67,196).
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Dacché anche il S. Padre ha inviato una lettera per la Mater Dei che si pubblica in Venezia umilmente oso supplicare Vostra Eminenza di mandare una Sua lettera o di scrivere qualche bella cosa sulla SS.ma Madre di Dio che ci riempia di consolazione spirituale, di dolcissima gioia, di amore di devozione verso la grande Madre del nostro Dio e Redentore Gesù Cristo (Scr. 87,94).
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La nostra Congregazione, malgrado le sue strettezze, pubblica quel fascicolo della “Mater Dei” che voi tutti conoscete e che è dei più belli che le tipografie italiane mandino fuori. Quando i nostri Sacerdoti si radunarono insieme per parlare degli interessi della Congregazione, e quello che dirige la Tipografia Emiliana disse che c’erano state lire 20.000 di debito, tutti risposero: Si vada pure innanzi. Mi fece tanto piacere sentire questo (Par. IV,384).
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Quanto alla Rivista della “Mater Dei” essa continuerà fino a tanto che potrà continuare così. Noi ci rimettiamo venti lire almeno ogni abbonato. Tutto per onorare la Madonna! Quando non si potrà più mantenerla bella e degna così com’è, la sospenderemo (Par. IV,423).
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La Piccola Opera pubblica a Venezia la rivista più bella che esca in Italia, e si chiama appunto la “Mater Dei” (Par. V,239).
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La Congregazione svolge parecchie attività che sono materialmente passive; per esempio la stampa della Rivista ‘Mater Dei’; eppure la Congregazione, perché si tratta della Madonna, dell’amore alla Madonna, sostiene una rivista mariana che non ha la pari in Italia, e ritiene che si debba continuare a fare tutti i sacrifici imposti dalla pubblicazione (Par. VI,8).
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In occasione del centenario di Efeso, la Congregazione stampava una Rivista, un periodico bellissimo e intitolato alla Mater Dei. Si tenne in piedi per parecchi anni e per me fu un dolore grandissimo quando cessò. (1) A qualunque costo, con qualsiasi sacrificio, la Congregazione doveva continuare nella pubblicazione di quel periodico. Non sono stato compreso... Bisognava interessarsi di più. Non sono stato capito; e così è morto quel periodico... Preghiamo la Madonna che lo faccia nuovamente rivivere (Par. XI,208).
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Vi leggo la lettera che il Papa ha mandato alla Rivista Mater Dei. Vi raccomando di non lasciar cadere questa rivista almeno fino al 31. Noi abbiamo voluto adottare come titolo la Mater Dei perché in quel titolo c’è tutto. È Virgo Potens perché è Mater Dei. È Mater amabilis perché è Mater Dei, è Salus infirmorum, refugium peccatorum perché è Mater Dei e tutto è lì (Riunioni, 1929).
Vedi anche: Ufficio stampa.
Mater Dei (titolo)
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Quanto alla «Mater Dei», ho già detto che si faccia un quadro con raggiera, come quella che è a Novi, come quella che è alla Colonia. Vi sia una bella cornice e una raggiera corrispondente: non si discuta più: si faccia subito (Scr. 5,505).
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Sono contento che, per ora, si mettano i quadri e la Mater Dei: ci voleva la scopa della Visita Apostolica, perché la Mater Dei potesse trovare posto nella Chiesa nostra di Roma, non devo tacere che per me (che lo avevo chiesto ripetutamente), era un dolore (Scr. 5,506).
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Dobbiamo pur nella stessa guisa e in modo ineffabile ragionare di Maria e insegnare ai nostri giovani a conoscere, a chiamare e a venerare la Madonna SS.: Mater Dei perché il Verbo ab aeterno generato dal Padre, quando tolse umana natura fu generato da Lei, secondo la carne, et Verbum caro factum est in Lei. Maria, è vero non ha creato la Divinità, ma è vera Madre dell’unica Persona del Verbo divino fatto carne. Noi, ponendo questa devozione, mettendo in rilievo la Mater Dei, fissiamo i punti cardinali della Fede: la divinità di Cristo e la Divina Maternità di Maria. La nostra confessione di Fede, anche nella devozione alla Madonna, dev’essere chiara decisiva, cattolica, dogmatica. Nella recita dell’Ave Maria, i nostri ripeteranno sempre le dolci parole con cui la Chiesa, fin dai primi secoli, ha salutato la Madonna: Mater Dei! E anche questo servirà e come! a radicare in essi la vera fede e la vera devozione (Scr. 15,109).
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Sotto le Immagini che si tireranno si metta questa dicitura: «Θεοτόϰος», Mater Dei, la Madre di Dio: in tre lingue, o anche in quattro, la quarta sia spagnolo o, portoghese, o francese, o tedesco, o polacco. Venerata dal popolo con il dolce nome di «Madonna della Divina Provvidenza». Se invece si facesse solo in tre lingue: Dove è la dicitura italiana «la Madre di Dio, venerata dal popolo con il dolce nome di Madonna della Divina Provvidenza», si metta in spagnolo (e così l’orazione che vi è dietro alle Immagini) per l’Argentina; in portoghese, per il Brasile; in polacco per la Polonia. Et de hoc satis, per ora. Vedete che già l’Immagine, a lato, porta scritto in greco le sigle che significano Mater Dei: quindi è proprio quella che la Provvidenza ci ha mandato, per lo scopo nostro (Scr. 15,109).
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La devozione alla Mater Dei servirà anche ad accrescere in noi il sentimento grande della comprensione materna per i nostri giovinetti e per tutte le anime che ci saranno affidate, specialmente le più bisognose, specialmente per i ragazzi che non hanno madre e che la paternità – e anche la maternità – la cercano in noi (Par. III,63).
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Questa è la dolce solennità della nostra cara Madonna che ricorda l’incarnazione del Verbo e ricorda a me e a voi tutti come la umile Vergine di Nazaret fu elevata alla grande dignità di Madre di Dio. E la nostra povera nascente Congregazione della Divina Provvidenza, venera appunto la Madonna “Mater Dei” perché questo è il titolo più grande che si possa dare alla Madonna (Par. III,136).
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Ormai sapete che la Piccola opera ha stabilito come titolo con cui si vuol onorare la Madonna, il titolo della Mater Dei. Noi non sappiamo quando sia stata onorata con questo titolo dai primi cristiani... Certo che l’Ave Maria porta le parole Mater Dei: la seconda parte dell’Ave deve essere antichissima, se non proprio di origine apostolica... Certo che fu proclamata pubblicamente Madre di Dio nel 431 nel Concilio di Efeso quando San Cirillo, a nome del Papa San Celestino difese la divina maternità contro Nestorio (Par. III,152).
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Voi sapete che come sua bandiera mariana – che deve distinguerla, del suo amore alla Vergine Santissima, tra tante altre famiglie religiose e altre denominazioni e titoli mariani che esse danno alla Madonna –, la Piccola Opera ha scelto come celeste Patrona presso il Signore, proprio la Mater Dei, il titolo tanto caro al cuore di San Cirillo di Alessandria. Dobbiamo quindi ricordare quest’anno e poi sempre, anche questo Santo, battagliero e devoto della Madonna e del Papa. Siamogli devoti, invochiamolo che dia a noi, ci ottenga dal Signore un po’ di quell’amore che a lui stesso gli ardeva in cuore verso la Madonna Santissima Mater Dei e verso il rappresentante di Gesù Cristo in terra il Romano Pontefice (Par. IV,401b).
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Ogni Congregazione o Ordine ha una devozione speciale verso la Madonna. I Domenicani hanno la Madonna del Rosario, i Carmelitani la Madonna del Carmelo, i Serviti l’Addolorata, i Salesiani l’Ausiliatrice. Noi abbiamo la Mater Dei. Per questo titolo Dio diede prerogative altissime, come la sua purezza e la sua Immacolatezza, appunto perché l’aveva scelta a Madre Sua. In preparazione alla sua festa, daremo la Santa benedizione alla sera e faremo l’esercizio di buona morte. La Piccola Opera pubblica a Venezia la rivista più bella che esca in Italia e si chiama appunto la “Mater Dei”. Attenti che la festa della Mater Dei, diventerà la festa della Congregazione con quella della Immacolata e di San Pietro (Par. V,239).
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Questa Chiesa, questo Santuario ha per titolare la Mater Dei, la Madre di Dio. Il popolo ormai usa chiamare questa Chiesa “La Guardia” perché c’era già questa devozione alla Madonna della Guardia; e anche per accontentare e aiutare la devozione del popolo si è lasciato che così la chiamassero. Ma quando venne il Vescovo a benedire questo Santuario, quando fu aperto al culto, era sì la festa della Guardia, ma la Chiesa fu dedicata alla Vergine Santissima venerata e invocata sotto il titolo di Maria Mater Dei. La Cripta sotto invece è dedicata a San Bernardino. Si capisce che la Madonna SS.ma È sempre quella, si chiami Essa Madonna del Buon Consiglio, la Madonna Ausiliatrice, la Madonna delle Grazie o altro: noi invochiamo la Vergine Santissima con i nomi più dolci, con i titoli più belli. Ma è sempre Maria Santissima. Oggi è la festa della Mater Dei. È stata costituita nel tardo autunno una festa speciale per la Mater Dei. Ma la festa vera e propria, che ricorda la Mater Dei è l’Annunciazione di Maria e questa tra le feste della Madonna è la festa più antica che si celebri in onore di Maria (Par. X,128).
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I Figli, i piccoli Figli della Divina provvidenza come onoreranno particolarmente la loro Madre Celeste Fondatrice Maria Santissima? Voi lo sapete e lo sentite ogni volta che sentite parlare i vostri Superiori. Noi la onoriamo e invochiamo particolarmente sotto questo titolo: la Mater Dei. Perché la Mater Dei è la base, la ragione di tutta la sua grandezza! Per questo Dio la fece pura e immacolata, per questo è l’Aiuto dei Cristiani, per questo è Madre delle grazie, per questo le si addicono tutti i più bei titoli, i dolci titoli che la pietà cristiana ha trovato per lei (Par. X,129).
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Anche la nostra piccola Congregazione deve avere la sua giaculatoria mariana tutta particolare, tutta nostra; ed è questa: Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Vi raccomando: invocate Maria Santissima con questa giaculatoria: Mater Dei, Madre di Dio, Santa Maria, Mater Dei, ora pro nobis. Questa giaculatoria è pure nella preghiera a Maria Santissima che la Chiesa pone sulle labbra di tutta la cristianità. È questa la nostra giaculatoria, che sintetizza un gruppo di dogmi e di verità religiose; essa esprime parecchi dogmi, esprime la fede di parecchi dogmi; Santa Maria, Mater Dei... Quindi e prima e dopo le nostre azioni e prima e dopo gli atti, direi, più importanti della nostra vita religiosa invochiamo sempre la Madonna Madre di Dio. La nostra devozione alla Madonna deve esprimersi anche nella nostra giaculatoria mariana, che deve essere una giaculatoria dogmatica. E spero che, se non a me, almeno a voi sia dato di potere innalzare il Santuario che la Congregazione consacrerà a Maria Madre di Dio. Il Santuario della Guardia, ricordatelo, bene, è dedicato alla Madonna Mater Dei (Par. XI,207).
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Quando il Vescovo mi chiese qual era il titolo del Santuario, a chi si voleva dedicare il Santuario, risposi: Alla Mater Dei! Si era infatti nel centenario Efesino. Il popolo poi lo chiamò Santuario della Madonna della Guardia, perché era già diffusa a San Bernardino la devozione della Madonna della Guardia. Ma, dal momento che questo Santuario, pur dedicato alla Gran Madre di Dio, ha preso ormai il titolo popolare, pure dolcissimo, della Madonna della Guardia, lascio poi a voi di innalzare un tempio più grande e più bello di questo, che sia il tempio della Congregazione tutta e non solo le Case di Tortona, ma che la Congregazione tutta offre a Maria; tempio da innalzarsi nella città che è il centro della nostra fede, in Roma (Par. XI,208).
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Dopo tanti anni che ho pregato sono venuto alla conclusione di mettere in venerazione nelle nostre Case una Madonna con il titolo Mater Dei. Questo titolo è anche una affermazione dogmatica contro quelli che negano la divinità di Cristo. Maria allora non sarebbe più Mater Dei, ma Mater Christi, dobbiamo essere dogmatici, papali, anche nella devozione a Maria (Riun. Luglio 1924).
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Vi leggo la lettera che il Papa ha mandato alla Rivista Mater Dei. Vi raccomando di non lasciar cadere questa rivista almeno fino al 31. Noi abbiamo voluto adottare come titolo la Mater Dei perché in quel titolo c’è tutto. È Virgo Potens perché è Mater Dei. È Mater amabilis perché è Mater Dei, è Salus infirmorum, refugium peccatorum perché è Mater Dei e tutto è lì (Riun. 20 agosto 1929).
Vedi anche: Madonna.
Materialismo
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V’è una corruzione nella società spaventosa; vi è una ignoranza di Dio spaventosa: vi è un materialismo, un odio spaventoso: sola la carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle. Ma ogni moto non giova, o poco giova se non ci impadroniremo della gioventù, delle scuole e della stampa: bisogna prepararci con grande amore di Dio e riempirci il petto e le vene della carità di Gesù Cristo; diversamente faremo nulla: apriremo un solco profondo se avremo una profonda carità. Che avrebbe mai fatto San Paolo senza la carità? Che avrebbe fatto San Vincenzo de’ Paoli senza la carità? Che avrebbe mai fatto San Francesco Saverio senza la carità? Che avrebbe fatto il Cottolengo, senza la carità? Che avrebbe fatto il ven. Don Bosco? Nulla, nulla, nulla, senza la carità! (Scr. 20,77).
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La società invoca un rimedio ai suoi mali, e, per cercarlo si getta in braccio al socialismo, il quale è dottrina materialistica che nega la religione e la morale, e va a distruggere la famiglia e la società. Si rideva 30 anni fa dell’utopia del socialismo, ma esso è divenuto una triste realtà. Molti uomini disertano le chiese, e per il socialismo rinunciano alla fede e alla vita cristiana. Si deliberò nel Signore di non stare più tristemente guardando, o fors’anco criticandoci tra noi, e di gettarci nel fuoco dei tempi nuovi per l’amore di Gesù Cristo, del popolo e del Paese. L’umanità, afflitta da tanti mali, ha bisogno di ristorarsi nella fede: ha bisogno del cuore di Gesù Cristo. Andiamo al popolo, e portiamogli Gesù Cristo (Scr. 52,222).
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Sotto la bassa apparenza di scienza, il naturalismo, il materialismo ed il razionalismo insorgono fancheggiati dalla più assurda filosofia e dopo ferventi tenzoni il Cristianesimo ne esce invulnerabile. L’uomo superbo si propone di distruggere la religione del Dio vivente, ed in un con la Chiesa lo stesso Cristo. Ma ben disse il Profeta: vidi impium exaltatum super cedros Libani: transivi et non erat. e siccome le generazioni, le quali, quasi ombre, l’una dopo l’altra scomparver, così di un scomparver gli audaci: la sposa di Cristo abbattuta, si leva potente, e sulla loro tomba un trono innalza: è la Chiesa che sopravvive gloriosa (Scr. 57,290).
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Le minacce, le leggi, il carcere, l’esilio: tutto si usa per soffocare la voce della verità, anche la congiura del silenzio, ancora la morte! Si vuole il totale annichilimento del Cattolicismo e della Cristiana idea. Si vuole sotto una larva di indipendenza con gli epiteti lusinghieri di risorgimento, progresso, libertà, fratellanza, abolire il culto cattolico. Mentre solo nel Vangelo l’idea di fratellanza ritrovasi, mentre la sola carità cristiana spiana la via alla libertà, al progresso, alla fratellanza, alla civiltà e alla gloria pura ed eterna. Si paganizza l’istruzione, si attossica la gioventù nell’ateismo e con il materialismo, strappando dal loro cuore ogni dolce speranza, dalla mente ogni nozione di vera morale, di autorevole giustizia di virtù e di bene. Si vuole ad ogni costo sterminare la Religione di Cristo e, come ben scrisse il venerato Pontefice della virtù non meno che della sapienza, il grande Leone XIII, si agogna strappare dal cuore la fede e riseppellirci nelle tenebre del gentilesimo. O Religione Santa! la voce della verità, la giustizia in te combattuta e le tue vittorie sempre più splendide, altamente ti gridano religione vera, ti venerano quale Sposa di Cristo! (Scr. 57,296–297).
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Amici e alunni miei, lavoriamo pro scola christiana. Badate che l’astensione pro scola christiana è propaganda ostile, è proclamazione d’ateismo. “Il materialismo fu la maggiore vergogna del secolo passato”, ha detto A. Graf., e il Tommaseo ebbe a scrivere che “la religione sola può rendere compita l’educazione”. O voi, dunque, che amate profondamente la Chiesa e sospirate a un’Italia grande e gloriosa, voi che amate una libertà amica di ogni bene e libera da ogni pregiudizio, voi che volete una cultura bella del raggio della fede, lavorate a dare alla gioventù a cui sorride l’avvenire della vita non il materialismo che distrugge ogni morale grandezza, ma la fede che vivifica, “il cristianesimo integro e vivo quale si ha nella Chiesa”. A questa divina Religione che è verità e amore: che sola non conosce la confusione delle lingue e ha un balsamo soave per ogni morale ferita, con quella carità, che non è terrena, e con il sacrificio della vita, cresceremo nei nostri Istituti i giovani che ci vorrete affidare (Scr. 66,249).
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Le masse operaie sono agitate dalla febbre del malcontento, sono sedotte da una propaganda materialista e immorale, che avvelena i cuori con dottrine sovversive alla nazione e di rivolta, da errori e teorie rivoluzionarie: esse non potranno liberarsi, se non saranno avvicinate da elementi buoni, onesti, se non saranno istruiti secondo i principi sociali della Chiesa, ben intesi e diffusi da loro compagni di lavoro ben preparati e animati da spirito di apostolato. Noi dobbiamo volere un popolo che si ispiri al Cristianesimo, si rigeneri nel Cristianesimo, si nutra e viva del Cristianesimo. Voi vedete che le masse operaie furono, in parte, sedotte da una propaganda nefasta, da teorie anticristiane, materialiste, sovversive che le alienarono dalla vita cristiana e le vanno disamorando dalla famiglia e dalla Patria., la febbre del malcontento agita il proletario: vi è chi vuole fare l’operaio nemico di Dio, strappare Gesù Cristo dalle officine, scacciarlo dalla casa, e, se fosse possibile, eliminarlo dalla società: se non si correva ai ripari, anche il Sud America avrebbe veduto tra non molto aprire Scuole e Università dei Senza Dio, come in Russia. Il Clero lavora, ma, suo malgrado, non può sempre arrivare a tutto: ben sovente è insufficiente per numero. Uomini di azione Cattolica, il Santo Padre Pio XI ha fatto di voi un organismo, una istituzione; gli Ecc.mi Vescovi vi hanno tracciato un programma: voi dovete sostenere il Clero; Voi siete chiamati dall’augusta parola del Vicario di Cristo a collaborare all’apostolato stesso della Chiesa per la difesa della fede e del buon costume, per la diffusione della dei principii religiosi, per lo svolgimento di una sana e benefica azione sociale cristiana. Voi i chiamati a collaborare con il Clero, per la restaurazione cristiana della famiglia e della società. E molto da Voi e la Chiesa e la Patria aspettano! (Scr. 72,12–13).
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Una grande bufera si addensa nella gioventù: l’indirizzo, lo spirito che informa l’istruzione pubblica: la licenza sfrenata della stampa; lo scetticismo e il materialismo pratico di gran parte delle classi che diconsi dirigenti e delle classi popolari; in breve, l’anima dell’organismo sociale che a Dio ha dato l’ostracismo, ci fanno temere ogni maggiore male per la crescente generazione. È una lotta dove la Chiesa combatte per la vita dei suoi figli. Il nostro Ricreatorio non raggiungerebbe il suo scopo se non concorresse a mantenere salda la fede e il sentimento religioso nella gioventù tortonese: per questo, sovra tutto, egli è sorto: per questo la sua vita deve confortare e incoraggiare la nostra laboriosa e credente popolazione, e aprire i cuori a più liete speranze (Scr. 76,212).
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Dobbiamo incominciare le scuole per compiere la nostra missione: creare sulle rovine della scuola materialistica o atea, la purezza della scuola cristiana. Dio, che è padrone della luce, se lo pregate, illuminerà il vostro studio e manterrà retta la vostra intelligenza, la vostra intenzione e reggerà il vostro cuore. La scienza che non va a toccare il cuore, è scienza vana. L’uomo deve regolarsi dal cuore che deve sentire e vivere Gesù Cristo! Studiare guardando in alto, guardando Dio. Studiare per Dio. La scienza che non arriva a Dio gonfia e fa delirare (Par. V,256).
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Le opere umane si appoggiano nel debole bastone dei mezzi e soccorsi umani: capitale, poteri pubblici, protezione da parte dell’autorità, talento e ingegno, invece le opere della Divina Provvidenza valendosi dei mezzi umani e razionali che sono indispensabili, si appoggiano essenzialmente in Dio. Sono soprattutto opere di fede e generazioni di miscredenti, materialiste, atee, davanti a quest’opera dovranno toccare con la propria mano e vedere con i propri occhi malati di prevenzione e di assurdità che est Deus in Israel, cioè che vi è Dio in Israele. E questa fede realizzata nelle opere di cristiana carità servirà come un faro di luce che le costringerà a confessare infine che Dio esiste e allora si convertiranno. Ecco perché diciamo che l’Opera della Divina Provvidenza è opera provvidenziale di fede e di amore appropriata ai nostri tempi. Se l’intelligenza deve necessariamente seguire la vera luce, i cuori hanno bisogno di calore e di vita, in quanto le aridità dello spirito che è scetticismo proviene dall’aridità del cuore che è l’egoismo. È faticoso partire dal cuore per conquistare l’intelligenza. La forma attuale della missione religiosa e dell’apostolato cristiano deve essere di carità e di dedizione di se medesimo. È necessario che l’apostolo moderno impregni di carità ardente i diversi modi di apostolato che si preoccupi meno di convincere le intelligenze che di penetrare nei cuori induriti e gelati trasformandoli con la forza dell’esempio e questa è la missione che nobilmente ed eroicamente compiono i vari Cottolengo nel mondo (Par. IX,328).
Vedi anche: Anticlericalismo, Liberalismo, Massoneria, Socialismo.
Matrimonio
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Giuro davanti a Dio che non so come sono fatte le persone di sesso diverso e questo per divina misericordia. Giuro che non so come si compie l’atto cattivo né come si consumi il matrimonio: né come nascano i bambini: questo per divina bontà e misericordia. Certe cose in teologia le ho lette forse, ma senza capirle e cercando anche di non capirle. In confessionale ho avuto aiuti speciali dal Signore, senza aver bisogno di imparare il male (Scr. 31,157).
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Gesù Cristo, volendo santificare le famiglie, elevò il matrimonio cristiano, che era già di divina istituzione, alla dignità di Sacramento. La sposa cristiana deve ricordarsi sempre che il suo stato è sacro e che nulla deve mai operare che non sia di tale stato. Per adempiere le obbligazioni del proprio stato è necessario conservare costantemente un animo tranquillo e una mente serena. Nessuna pertubazione entri in voi. Prendete le avversità con perfetta rassegnazione; evitate sopra tutto la pertubazione dell’ira, ma non confondete però l’ira con lo zelo, il quale è lodevole, quando sia puro (Scr. 46,136).
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Io prego per te, perché possa incontrarti con la persona adatta, sì che possiate amarvi santamente e aiutarvi a santificare le anime vostre e dei figlioli, se Dio ve ne darà. Ciò ti dice sino all’evidenza che io ti lascio libertà, ampia libertà di scelta; E il consiglio che ti do di andare adagio e assicurarti bene, è il consiglio che ogni sacerdote deve dare a chi gli si rivolge come nel caso tuo. E aggiungo che, sposando, tu non fai cosa che dispiaccia affatto a N. Signore; anche nel matrimonio avrai le tue croci, ma tu sai bene che, senza croce in Paradiso non si va, se non dagli innocenti. Io poi non ricordo ciò che posso averti detto dei piissimi genitori di Santa Teresina, ma certo non ho mai inteso dire che tutti i coniugati si dannino: mai ho pensato quello, che sarebbe grave errore contro la dottrina cattolica (Scr. 47,129).
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Gesù Cristo, volendo santificare le famiglie, elevò il Matrimonio, che era già di divina istituzione, alla dignità di Sacramento. I figlioli sono un dono di Dio. Se Egli ve ne darà, riceveteli con gratitudine, offritegli a Lui ed educateli buoni cattolici e buoni italiani. La benedizione di Dio accompagni tutti i vostri passi e discenda larga e confortante sulla vostra famiglia (Scr. 56,45).
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Quando però il Signore, che è infinito Amore, diffonde nel matrimonio la rugiada celeste della sua benedizione sopra due sposi, allora si benedice in modo particolare ciò che è il fondamento del matrimonio cristiano, cioè il mutuo amore – in questo amore santo le vostre anime devono armonizzare nei pensieri, nei desideri, negli affetti e diventare come un’anima sola: frutto di questa benedizione è che sorgano in noi quel sentimento nobile e gentile della stima: la stima non è il sentimento dell’amore, ma lo genera e lo alimenta – spirito di sacrificio scambievole e di compatimento reciproco di comprensione, di intendervi Già ogni amor vero ha in sé un germe più o meno palese di sacrificio, ma solo la benedizione di Dio fa soave ai Coniugi ogni sacrificio (Scr. 56,46).
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Il matrimonio nella dottrina e nel concetto del cristianesimo è un Sacramento per il quale le due persone coniugate vengono da Dio steso unite così strettamente nella vita, da diventare una sola persona morale – Santificate il vostro amore nella fede e lo farete signoreggiare dall’amore di Dio e lo vedrete rifiorire di una virtù suprema e bellissima, ch’è la virtù del Sacrificio. Il Sacrificio è il tesoro di ogni amore buono, come dell’amore materno e anche dell’amore Sacerdotale – Or bene, il sacrificio è pure la più bella gemma dell’amore coniugale – Ma dove trovare la forza per la virtù del sacrificio? Voi saprete sacrificarvi l’uno all’altro secondo il bisogno e sentirete anche le misteriose dolcezze del sacrificio, se saprete guardare con amore a Gesù Cristo Sacrificato e Crocifisso (Scr. 56,48).
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È caritatevole e urgente occuparsi della famiglia cristiana. L’attacco contro questa fortezza sociale, che è la famiglia cristiana custodita e mantenuta dall’indissolubilità del matrimonio è sempre all’ordine del giorno di un certo partito, che non vuole né trono né altare. Per questo il 26 gennaio il nostro Rev.do sig. Prevosto don Alberto Zelaschi volle che uno dei propagandisti dell’Unione popolare istituisse, anche a Casatisma, l’Unione delle madri di famiglia. Grande il concorso e numerosissime le iscritte. Sempre avanti! (Scr. 64,258).
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Gesù Cristo, volendo santificare le famiglie, elevò il Matrimonio, che era già di divina istituzione, alla dignità di Sacramento. I figlioli sono un dono di Dio. Se Egli ve ne darà, riceveteli con gratitudine, offritegli a Lui ed educateli buoni cattolici e buoni italiani. La benedizione di Dio accompagni tutti i vostri passi e discenda larga e confortante sulla vostra famiglia (Scr. 66,318).
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Se l’età e l’inclinazione del tuo cuore ti determinano al matrimonio, invoca il Signore nella scelta di quell’anima che dovrà essere la compagna per tutta la vita: ma ricordati che sono i genitori queglino che del Signore fanno le veci. Essi soli possono darti un buon consiglio su questa scelta, perché, credi a me, non vi sarà mai persona che più di tua madre ti ami. Quelli che ti parlano in una maniera diversa dai genitori, sono le persone che non vogliono il tuo bene, ma il loro; esse cercano la loro utilità e non la felicità della tua vita (Scr. 70,191).
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Tutti sappiamo che la luce, la guida, la consolazione di un matrimonio buono e felice si deve cercare nell’amore coniugale. Anche la Bibbia, libro divinamente ispirato, c’insegna così così c’insegna l’Apostolo Paolo che, nel parlare del matrimonio cristiano, vola come aquila al di sopra di tutti i maestri delle celesti dottrine: “O Mariti, egli dice, amate le vostre mogli, come Gesù Cristo amò la Chiesa e dette sé stesso per essa.” E il medesimo comandamento dà alle mogli, insegnamento altresì ad esse che l’amor loro deve prendere una certa forma più soggetta e obbediente. Ma questo amore coniugale, per dar frutti di pace, di affetti santi e di felicità durevole, dev’essere un amore coniugale cristiano. E in che consiste l’amor cristiano? in questo che l’amore delle creature sia intimamente unito con l’amore di Dio, il quale amore di Dio, primeggiando sopra tutti gli altri, ci faccia sempre trovare Dio nelle creature e le creature in Dio. Se vi amerete di questo cristiano amore, voi avrete molti beni e due principalmente: darete alla vostra vita uno scopo alto, morale e santo, il quale consisterà nell’aiutarvi scambievolmente a conseguire il fine ultimo di ogni vita cristiana, 2do diventerete l’uno apostolo dell’altro: ogni raggio di virtù che splenderà in voi la saggezza, il vigore morale, la prudenza dello sposo, perfezionerà la vita della sposa (Scr. 97,221).
Vedi anche: Famiglia, Sacramenti.
Meditazione
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Vi direi di fare quanto è in voi, perché la meditazione (per carità) non si faccia a quel modo. Piuttosto anticipate la cena di un’ora, e andate a dormire alle 8, ma si faccia la meditazione, e non si dorma continuamente e da tutti a quel modo. Io ne sono rimasto molto male: ve lo dico nel Signore. E penso che male sarebbe, anche per l’avvenire, se codesti figliuoli cresceranno così. Anche tutti facciano ogni sforzo per stare desti, ciò che non mi pare: 1) essi finiscono col non fare, di fatto, la meditazione; 2) è uno scandalo anche a vederli (Scr. 2,85).
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione: Le pratiche di pietà; vedere se si procede in esse con leggerezza; se si fa e da tutti e insieme la Meditazione; a che ora, su che autore; se con troppa facilità si dispensa dalla Meditazione o da altre pratiche di pietà (Scr. 5,490).
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Spero che i chierici vorranno continuare bene, ci ho tanto sofferto dalle notizie non buone che tu prima e poi pure nella tua penultima mi hai dato di alcuni di essi, e ne risento ancora oggi il dolore. Vi raccomando la meditazione e la vita religiosa: che il lavoro non abbia ad affievolire in voi lo spirito di pietà (Scr. 23,135).
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Amerei che il breviario ed ogni altra pratica di pietà, cominciando dalla meditazione, la faceste insieme tutti e tre, e sempre, e anche un po’ di lettura a tavola. E così deste forma di vita religiosa alla canonica (Scr. 24,72).
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Ti raccomando la ritiratezza e l’orazione, e di attendere alle pratiche di pietà con ogni diligenza. Sei a Roma: coltiva lo spirito, coltiva lo spirito: visita i luoghi santificati dai martiri e ove tanti nostri fratelli, che vissero prima di noi, amarono Gesù e la Chiesa e le anime e fecero di sé il più sublime olocausto nella carità di Gesù Cristo Signor Nostro. Non lasciare mai la meditazione, e vedi di passare qualche mezz’ora in qualche chiesa più abbandonata, avanti al SS.mo Sacramento (Scr. 26,1).
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Sono rimasto molto contento che si metta la meditazione in comune, e desidero che possiate ritrovarvi insieme di sera a recitare la terza parte del rosario in comune, e che a tavola come in camerata si faccia un po’ di lettura (Scr. 26,6).
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Quindi meditazione. Nessuno la tralasci – levata insieme – Meditazione insieme e prima della Messa – la prima ora diamola alla orazione mentale – A costo di qualunque sacrificio – Dalla meditazione impareremo a farci santi e a santificare gli altri – La base principale su cui si appoggia il buon andamento nostro e delle Case e la moralità è la meditazione I novizi ne facciano mezz’ora anche alla sera. Meditatio matutina et vespertina sit de observantia Constitutionum Filiorum Divinae Providentiae i tre principali istrumenti della vita spirituale e religiosa sono: a) la meditazione; b) l’esame di coscienza; c) l’orazione fatta con intelligenza e attenzione. L’importanza della meditazione è capitale e vitale. È nella lunga e seria meditazione che s’impara a conoscere sé stessi e Dio: a stimare l’unione nostra con Dio: a non fare più conto alcuno di tutte le altre cose. Non bisogna però martellare la testa, ma andare avanti con pace e tranquillità di spirito. La meditazione delle piaghe di Gesù Cristo Crocifisso e dei dolori della nostra Madre Maria SS.ma Deve essere il nostro pane quotidiano (Scr. 28,105).
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Confessati sempre bene, fa bene la tua meditazione, recita adagio, più adagio e più devotamente il Sant’ufficio: recita sempre il tuo rosario, e prega di più. Tu preghi ancora poco, o caro figlio mio! Prega di più, e leggi ogni tanto certi letteroni che Don Orione ti ha scritto con grande fiducia in te e con grande amore all’anima tua (Scr. 29,158).
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Converrà che i ragazzi facciano la preghiera insieme, voglio dire le pratiche di pietà di prima importanza come la meditazione e il rosario. Lo farete già, ma sai che io son fatto così che temo sempre e tu sei buono e ti prego a volermi compatire, o mio buon Goggi (Scr. 30,1).
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Gli esercizi e le pratiche di pietà si devono fare bene. Devi specialmente far bene la meditazione, l’esame di coscienza, la confessione settimanale e la santa comunione, questa poi possibilmente tutti i giorni. Devi sempre tenere il cuore caldo dell’amore di Gesù crocifisso e della SS.ma Vergine (Scr. 32,205).
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L’apprendere che avete sempre fatta la santa meditazione, è stata per me la notizia più confortante. Anche noi qui abbiamo sempre fatto insieme, e all’ora della Regola, la meditazione, le orazioni. Insieme la visita, il rosario alla sera e le preghiere: insieme quasi sempre tutta la recita dell’ufficio, sempre almeno il Mattutino e Lodi. Anche in refettorio facciamo la lettura, in portoghese, s’intende, e così in portoghese la meditazione e tutte le orazioni e il rosario (Scr. 33,4).
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Andate a letto non mai dopo le nove, e tutti levatevi alle 4 eccetto i malati, e sia sempre vostra prima cura la s. meditazione. Vi sia sempre un grande ordine e pulizia in casa e nelle vostre persone – niente ambizione, ma grande nettezza (Scr. 34,25).
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Quanto mi hai fatto piacere che tu faccia a tutto il personale riunito, la s. meditazione, la lettura spirituale, il Rosario, etc – anch’io faccio ogni possibile, e dico il Rosario con i chierici, dico loro la Messa, faccio loro la meditazione, visito ogni giorno la infermeria, lo studio, do la Buona notte, e cerco di vivere sotto i loro occhi: dopo tre anni di assenza, sento che fa bene a me e farà certo del bene anche al personale della Casa che sempre mi vedono tra di loro, a fare la vita da religioso con loro. L’Ufficio divino lo recito in due volte con don Orlandi: Mattutino e Lodi nel pomeriggio: le Ore, Vespro e Compieta tutto al mattino, subito dopo la meditazione, valendomi di certa concessione, così resto tranquillo, e lo diciamo in cappella, coram Sanctissimo (Scr. 34,116).
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Per la domenica 10 corr., se hai bisogno di essere a Voghera, la meditazione la leggeranno la mattina. Fa’ di non durare mai più di ¾ d’ora, ma anche mezz’ora di buona meditazione sostanziosa, chiara e, infine, che commuova e muova le anime; darà molto buon risultato (Scr. 38,131).
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Quando, la mattina, non ti è possibile fare la meditazione, mediterai, durante il giorno, e anche facendo le visite ai Malati, un qualche punto della Via Crucis, il che ti riuscirà più facile. 7/ Figlio mio, penso che il mondo non sia per te, e prego per te: io ti porto sull’altare nelle mie orazioni, e tu portami nelle tue (Scr. 47,142).
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Fate bene la meditazione; dite bene la vostra S. Messa e l’ufficio; dite con sentita pietà e sempre la terza parte del Rosario; alimentate la vostra lampada, la vostra vita spirituale di buone letture, sostanziose di Dio (Scr. 49,264).
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Cari miei figlioli in Gesù Cristo mi ha fatto tanto tanto pena vedervi quasi tutti dormire durante la s. meditazione. Come ci faremo santi, senza meditazione? Per carità, fate forza a voi stessi: chi dorme in quel modo in chiesa non si fa santo. Dio Deus promisit coronam vigilantibus, non dormientibus. Ne ho portato una dolorosa impressione, ve lo dico nel Signore. Guai alla Congregazione se cresceste così indolenti e pigri nella meditazione Il vostro Superiore è autorizzato ad anticipare il riposo alla sera o crescere quello del pomeriggio, purché si ottenga di fare bene la s. meditazione. Anche per quelli che venissero nuovi nella Casa, sarebbe di scandalo vedere tanti dormiglioni e dormire del continuo, anche senza vedere fare nessuno o ben poco sforzo quando il Superiore, per destarvi, suona (e fin più volte) il campanello. Ho visitato molte Comunità religiose non ho mai visto cosa simile (Scr. 52,194).
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Guardiamo che le cose materiali ed esteriori non ci assorbiscano troppo: se si vuole fare un po’ di bene sul serio, bisogna animare tutte le nostre opere con la s. meditazione, e fare questa base e fondamento del nostro lavoro. Come il cibo nutrisce il corpo, così la s. meditazione, o mio buon fratello, nutrisce l’anima e la infiamma d’amore soavissimo di Gesù e la rende forte ed invincibile contro le tentazioni (Scr. 54,80).
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Mettetevi pienamente fin d’ora nelle sante mani di Dio e cominciate a fare, col chierico, almeno una mezz’ora di s. meditazione, e questa nelle prime ore del giorno, quando la mente è libera e fresca, sì che per tutta la giornata ne possiate sentirne il beneficio grande (Scr. 54,176).
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Che cosa è la meditazione. Si chiama meditazione l’applicazione seria delle tre potenze dell’anima sopra qualche verità della fede per cavarne profitto spirituale. Necessità della meditazione. Della meditazione così intesa il grande Sant’Alfonso M. de’ Liguori dice così: se la meditazione è necessaria, moralmente parlando, a tutti i fedeli, come scrisse il dottissimo P. Suarez, maggiormente ella è necessaria ai sacerdoti. Il P. M. Avila poi allontanava dagli ordini sacri quelli che non erano dediti alla santa meditazione. E Don Bosco scriveva ai suoi: «Meditate sovente. Chi lascia l’orazione certamente lascia la vocazione». Ci vuole molta orazione e molta orazione. La meditazione sia dunque sopra tutti vostri pensieri e ritenete come perduto quel giorno in cui non avrete fatta e fatta bene la S. Meditazione. Effetti della meditazione Freno alle passioni. Frequens meditatio carnis afflictio est. Eccl. 12,12 Luce alla mente – [lucerna pedibus meis verbum tuum et lumen semitis meis. Salm. 118] Fuoco d’amor di Dio al cuore (Scr. 55,1).
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Certe Suore di devozione ne hanno poca – tutto si riesce a nascondere, meno la mancanza di pietà. Quando pregano fanno tutto in fretta e furia, senza briciolo di devozione mai puntuali alla meditazione, alla visita, alle altre pratiche di pietà. Ah come fa pena al cuore! una monaca senza spirito di devozione! (Scr. 55,192).
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La meditazione è la riflessione sopra qualche grande verità morale o dogmatica. Ma il grande ostacolo a questa pratica è che nella meditazione si dorme o si divaga: due debolezze che dobbiamo prendere di fronte e vincere, col divino aiuto. Più di una volta è nella meditazione che si sente il tocco di Dio e allora sentiamo interiormente ed esteriormente un gran desiderio e bisogno di riformarci, e tutto il nostro interiore si riempie di commozione e di amore a Dio, e tutto il nostro esterno di pudore, di modestia, di dolcezza e di pace (Scr. 55,206).
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Badate che il demonio cercherà ancora di farvi danno, quindi vigilate sopra di voi, pregate di più, siate veramente umili servi di Gesù Cristo e della santa chiesa, fate bene le vostre pratiche da buoni religiosi, specialmente la meditazione, l’esame di coscienza e la confessione settimanale. E pregate per me che sento di portarmi nel cuore (Scr. 63,134).
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Siccome il cibo alimenta il corpo così la meditazione nutrisce l’anima e la infiamma d’amore di Dio e la rende forte e invincibile contro le tentazioni. Se si vuol fare un po’ di bene sul serio, bisogna animare le nostre opere con la meditazione: questa è il principale nostro sostegno (Scr. 73,204).
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Fa’ la tua meditazione e la lettura spirituale, e bene, l’esame particolare ed educa i nostri cari confratelli colla santa umiltà e alla santa meditazione e lettura spirituale e allo esame generale la sera, e particolare, di coscienza e mezzodì. E non ci stanchiamo dall’abbassare e comprimere l’altezza dell’animo (Scr. 75,58).
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Non dispensate mai dalla meditazione, mai dal rosario mai, dalla lettura spirituale, lettura in refettorio, preghiera canonica prima e dopo il cibo, lettura mentre si va a letto. Esercizio mensile della buona morte – rendiconti – e conferenze mensili ai confratelli (Scr. 83,126).
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Dio parla, Dio vivifica, Dio rischiara, Dio conforta! Ma è necessario la meditazione, è necessario la presenza della nostra anima e la presenza di Dio: che la nostra anima tutta intera si raccolga e che lo splendore di Dio sia sopra di essa. Il nostro spirito si forma nel silenzio, nella meditazione, ai piedi di Gesù; ma è necessario ascoltarlo per intenderlo, e far silenzio per ascoltarlo (Scr. 90,350).
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La meditazione si faccia da tutti in comune al più presto e all’ora stabilita dal Superiore della Casa. È raccomandabile, poiché già di consuetudine in tutte le Case, che l’ora stabilita sia subito dopo la levata, ed in Cappella (Scr. 115,214).
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Le ore del mattino ci portano il dono di saper pregare, ed è nella meditazione, cioè nella riflessione sopra le grandi verità morali e dogmatiche, che ci si schiudono le sorgenti dell’anima. Anzi la preghiera mattutina è principalmente la meditazione, è il gran mezzo di dare alla nostra giornata e alla vita tutta la loro spirituale fecondità (Lett. I,451).
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Nella meditazione sentiamo di respirare in Dio, nella meditazione sentiamo il tocco di Dio. È quando nasce in noi un gran desiderio; la volontà di riformarci; e tutto il nostro interiore si riempie di sommessione e di amore a Dio, e tutto il nostro esterno di modestia, di dolcezza, di pace. Ma, per sentire questo, è necessario, fin dal mattino, summo mane, gettarci umilmente ai piedi di Gesù, nel silenzio e nella solitudine, e disporre almeno di una mezz’ora al giorno: è allora che Dio, parlandoci, si fa Maestro. E nella meditazione non sonnecchiare né divagare; due debolezze, che bisogna prendere di fronte e vincere, col divino aiuto, o non si fa nulla. Quando il libro dell’Apocalisse dice: «E si fece nel cielo un silenzio di mezz’ora», io credo che il testo sacro riveli un fatto ben significante nel cielo delle anime. Ma, a ben meditare, è necessaria la presenza della nostra anima e la presenza di Dio; e saper stabilire il silenzio in noi, il silenzio vero, esteriore e interiore (Lett. I,452).
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La meditazione bisogna farla bene, con metodo, come in noviziato. Con essa si riattiva un vero lavoro delle potenze dell’anima, si eccitano gli affetti soprannaturali. Se saremo uomini di meditazione staremo in piedi, sopporteremo con pazienza le avversità della vita, troveremo forza e coraggio per vincere le tentazioni del nemico (Par. III,33c).
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San Bernardo nella Exortatio ad clerum dice: la meditazione purifica la mente, corregge gli eccessi, produce la scienza delle cose divine e umane, scopre le cose apparenti e finte. Ritorna sul già fatto, prevede l’avvenire. Non si accorge delle avversità. Se si lascia la meditazione si giunge al punto di non trovare e di non saper trovare ciò che sa di spirito, perché la meditazione è quella celeste rugiada, che fa rivivere le piante affossate e arsicce (Par. III,34).
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Fare bene, fare bene la Santa Meditazione. Bisogna essere impegnati a farla bene! Ogni settimana passare da me. Ricordatevi bene queste parole che vi dico: la buona vita religiosa si mantiene con la confessione settimanale – in giorno fisso, che per noi è il venerdì – con la santa Comunione e con la meditazione fatta bene (Par. III,64).
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Chi lascia la meditazione ha finito di vivere bene, di vivere da buon religioso e perderà la vocazione. La meditazione conserva la moralità e lo spirito religioso e ci fa conoscere i nostri difetti e quali siamo realmente (Par. VI,232).
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Per poter continuare a fare la nostra meditazione è necessario che ci alziamo mezz’ora prima cioè alle 4. 30. Cercate di essere puntuali. Le meditazioni del Chaignon alcune volte sono letture più che meditazioni e sarà bene che ciascuno di noi, durante la giornata, si fissi un punto da meditare, per esempio, una stazione della Via Crucis (Par. XI,197).
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La meditazione si fa al mattino dopo la levata (un quarto d’ora dopo) e deve durare ¾ d’ora – Nei collegi bisogna provvedere in qualunque modo a questa meditazione, perché, se i chierici non la fanno, invece di angeli custodi per non far cadere gli altri, cadranno essi per primi. Perciò i chierici, i sacerdoti ecc., si alzeranno all’ora stabilita e dove non possono riunirsi a fare la meditazione ognuno la farà da sé. Questa è la soluzione più sicura di questa difficoltà che si trova nei collegi. La meditazione però deve essere sugli stessi punti e sullo stesso trattato e questo per tutti. Alla sera si assegnano i punti della meditazione. Nei tre quarti d’ora della meditazione è compreso il preparamento ed il ringraziamento. Gli assistenti che non hanno tempo sufficiente per la meditazione prima della levata dei giovani, la compiano durante la levata di questi. Nelle Chiese pubbliche, se mentre si medita domandano di confessare, con bei modi si dice che aspettino dopo la meditazione; se però si tratta di infermi si corra subito (Riun. 4 settembre 1912).
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La meditazione serve per dare alimento alle anime nostre ed a quelle affidate alle nostre cure. – È come l’olio della lampada – Io ho provato, seguita a dire il Direttore, che quando non fò almeno 20 minuti di meditazione, io fò nulla o magari lavori molto materialmente, pure quello che ho edificato così, in poco tempo svanisce (Riun. 14 agosto 1913).
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Saltata la meditazione è perduta la giornata. Ho chiesto ad uno dei poveri sacerdoti che fece capitombolo: la faceva la meditazione? E mi ha risposto che non la faceva. Piuttosto chiudiamo i Collegi se ci impediscono di fare la meditazione. Quel poco di meditazione che si fa coi ragazzi non basta per i religiosi (Riun. 1932).
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Partecipiamo per quanto potremo uniti alla meditazione dei Chierici della mattina. Ma quest’ultima non è sufficiente per noi sacerdoti. Noi dobbiamo farla separatamente, è di assoluta necessità. Una casa trascurata nella meditazione perde lo spirito. La prima cosa per evitare il male e fare il bene ci viene dalla meditazione e dai Sacramenti (Riun. 14 luglio 1933).
Vedi anche: Lettura spirituale, Preghiera.
Messa (santa)
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Ti voglio scrivere qualche cosa in merito a quanto mi hai chiesto circa la opportunità di continuare in codesta Casa la Messa dialogata. Veramente non mi ricordo d’aver detto che in Noviziato o in altre nostre Case la Messa fosse dialogata, certo per almeno quaranta anni, cioè dal principio della Piccola Opera, non c’è stata mai da noi la Messa dialogata, almeno come la si celebra, da qualche tempo, in codesto Noviziato. Né mai ho visto né udito che al Cottolengo e da Don Bosco in Torino si facessero Messe dialogate. Dirò, anzi, che mi pare anzi d’aver letto che la S. Sede abbia emessa qualche disposizione non del tutto favorevole alla Messa dialogata, così come ora la si fa da voi alla Moffa, ma non ne sono ben sicuro. Che il popolo cristiano dai tempi apostolici sino a noi, si raccogliesse ab initio nelle Catacombe e poi nelle chiese e basiliche, e partecipasse al divin Sacrificio sì, ma non sino al punto da leggere insieme col celebrante, ad alta voce Epistola, Vangelo, Offertorio, Segrete, Memento dei vivi e quello dei Morti, il Canone etc., questo non risulta affatto. Solo del Pater Noster, che, certo, è nella Messa sin dai tempi apostolici, si sa che, nei riti orientali, si costumava pronunciarlo tutti insieme, celebrante e fedeli. Ma nulla si dice di Messe interamente dialogate, le quali, del resto, non potevano effettuarsi, anche data la disciplina dell’arcano, che continuò sino al secolo V, per cui il popolo, per buona parte della Messa, neanche poteva vedere il celebrante, ond’è che si cominciò a suonare il campanello fargli sapere il momento della consacrazione ed elevazione della Eucaristia. Ciò che da noi, Figli della Divina Provvidenza, si è fatto fin dai primi anni, fu solo questo, che tutti i nostri giovani, quando assistevano alla Messa, nelle nostre Cappelle, rispondevano al Celebrante come se tutti servissero la Messa. Niente di più. E solo così vogliate fare voialtri, continuando una buona tradizione nostra, limitandovi cioè a rispondere all’Introito, al Salmo 42, al Confiteor, al Kyrie, all’Orate fratres, al Prefazio, ai Dominus vobiscum e ai vari Oremus. Di più reciterete col Sacerdote il Gloria, il Credo, e il Pater Noster: Credo e Pater sempre d’in piedi. All’Incarnatus del Credo, inginocchiatevi, e inchinate il capo al «et Homo factus est». E così genuflettete ogni altra volta che il Celebrante genuflette, come ad es. al «Verbum caro factum est». Quello che vivamente raccomando è che si pronuncino tutte le parole senza fretta, all’unisono, distintamente e devotamente. Al Sequentia Sancti Evangelii, e all’Initium del Vangelo di S. Giovanni facciamoci col pollice destro il triplice segno di croce sulla fronte, sulla bocca, e sul petto, tenendo le altre dita distese e congiunte, e la mano sinistra un po’ al di sotto del petto. E ora amo concludere con una esortazione del mio indimenticabile Benefattore e Padre Don Bosco: «Si metta grande impegno nell’apprendere bene le parole ed eseguire con esattezza tutte le cerimonie della S. Messa a fine di meritarsi le celesti benedizioni» (Scr. 3,539–540).
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Che cos’è la Messa. Come si deve dire – Il Ven.le Giovanni Eudes soleva dire che vi bisognerebbe tre eternità per ben celebrare il Santo Sacrificio della Messa: la prima per prepararsi; la seconda per offrirlo; la terza per il dovuto ringraziamento. San Francesco di Sales la celebrava con grande riverenza. Don Guanella sentiva più Messe che poteva. Come si deve sentire – Difetti che si commettono assistendo alla Messa senza averne la necessaria istruzione. Quanto più utile è una Messa ascoltata bene e con le cognizioni necessarie La Santa Messa si deve celebrare con gran devozione – Don Bosco e Rosmini avevano grande pietà nel dire la Santa Messa, e così Mons. Daffra. Il ringraziamento deve essere più lungo che sia possibile (Scr. 28,105).
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L’azione vera del Sacerdote, quella per la quale egli è costituito dal Sacramento dell’Ordine Sacro, è la celebrazione del Santo Sacrificio della Messa – Tutte le azioni più sante – prima e poi, non valgono una Messa – È il compendio di tutti i Sacrifici antichi, che univano l’umanità a Dio: è il Sacrificio della Croce che perennemente si rinnova a noi: è l’immolazione d’un Dio che si mette tra le nostre mani – E noi Sacerdoti siamo gli strumenti attivi di tante divine meraviglie – La Vittima divina che offriamo a Dio dà la sua carne in cibo dell’anima nostra, e si fa una cosa con noi, ci dà la sua vita – È Dio che viene a sostituirsi alle nostre imperfezioni e miserie – San Giovanni: Qui manducat de spirituali convivo impletur Sp.to Santo: dilatatur sensibus: nutritur in veritate: pinguescit in fide, acquirit vitam aeternam, in su me manet et ego in illo (Io. VI) Vivit vero in me Cristus. (Paolo) Osservare in che modo è celebrata tr. fretta – indecorosa – senza preparazione – senza devozione – senza ringraziamento (un quarto d’ora) più lungo che sia possibile – Tanto più profitto, quanto più ringraziamento Un Sacerdote che amava la nostra Congr. faceva voti perché la compostezza della persona, la pietà, l’esattezza delle cerimonie fosse il distintivo dei figli della Div. Provv. D. Bosco e Rosmini – Non si tenga l’elemosina, ma si pratichi la povertà religiosa, e si consegni (Scr. 56,108).
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San Francesco di Sales dice: «Il Santo Sacrificio della Messa è il centro della Religione cristiana, il cuore della devozione, l’anima della pietà il mistero ineffabile che ci svela l’abisso della carità divina per cui Dio si unisce realmente a noi, ci comunica generosamente le sue grazie e favori. La preghiera fatta in unione di questo divin Sacrificio ha una forza indicibile. (Vita Div) Niuna cosa è piccola, quando si compie un’azione così augusta. La Messa di D. Bosco – quel Sacerdote è un Santo! Anche da vecchio fu visto a rileggere le Rubricae Missalis – Imitiamolo Don Guanella – Celebriamo e ascoltiamo la Messa con sempre crescente fervore Non progredi, regredi est, nel servizio di Dio Durante e dopo la celebrazione della M. calma – raccoglimento – timore riverenziale. Dopo la Consacrazione – pensiero costante che ci troviamo faccia faccia con Dio: siamo in unione intima con Gesù Sacerdote e Vittima gravità semplice, improntata a pietà riverente posatezza non singolarità nel portamento nel tono, nella pronunzia, nei movimenti Non genuflessioni a metà, né troppo in fretta; non sguardi curiosi o distratti: non mezzi segni di croce – non esclamazioni e sospiri! Dopo la Messa: Deporre con riverenza e garbo i sacri paramenti. Guardarci dal divagarci. Ringraziamento: se ricaviamo poco frutto è spesso per il poco ringraziamento (S. Teresa). Sacerdote 4 torce. Silenzio religioso in Sacristia. La Messa o la Comunione con il Breviario e la Meditazione dev’essere l’alimento fondamentale della nostra vita di Sacerdoti e di Religiosi. Don Bosco celebrava con il fervore d’un serafino. Il Ven.le Giovanni Eudes soleva dire che vi bisognerebbe tre eternità: la prima per prepararsi, la seconda per offrirlo, la terza per il dovuto ringraziamento. Rememoramini pristinos dies (Scr. 56,109).
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La Messa – sacrificio incruento – ha un valore inestimabile a placare la divina giustizia e a soddisfare i peccati non meno dei vivi che dei morti. Potissimum vero acceptabili altaris sacrificio – sì quel sangue sovr’essi ricada e sia pioggia di mite lavacro (Scr. 94,147).
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La Santa Messa è un complesso di preghiere, ordinate dalla Chiesa; ma il sacrificio vero, la Messa propriamente detta, si compendia dall’Offertorio alla Comunione del sacerdote nel Canone. Per questo la Messa è valida quando si arriva al Vangelo, è valida quando il Sacerdote offre il calice coll’acqua e il vino: valida, perché proprio allora comincia il sacrificio reale della Santa Messa (Par. I,212).
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Il Cottolengo diceva che non vi era sforzo più dolce di quello che faceva per celebrare quando aveva le gambe gonfie. Dal momento in cui si metteva gli abiti allora si vedeva che era in un altro mondo, la faccia cambiava colore, la patena diventava calda. Diceva sovente che dal bene ascoltare la Messa dipendeva l’andar bene o male la Casa. Il Rosmini dice: quanto più lungo sarà il ringraziamento tanto maggiore sarà il frutto. Pio X diceva molto bene che il sacrificio della Santa Messa è il centro della Religione (Par. III,35).
Vedi anche: Eucaristia, Preghiera.
Misericordia
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Oh quanto sono afflitto di essere un povero peccatore perché sento che pei miei gravi peccati sono di impedimento alla misericordia del Signore e della SS.ma Vergine Immacolata! In questo istante per la grazia che il Signore mi dà mi offro tutto alla SS.ma Vergine così come sono, intendendo di riparare con il consumarmi nell’amore e servire umilmente il Signore. Signore Gesù, Dio mio, e Voi SS.ma Madre Immacolata di Gesù e Madre mia tenerissima, datemi grazia di piangere i miei peccati e convertirmi: non vi domando altra grazia. SS.ma Vergine, mi metto come morto ai Vostri santi Piedi usatemi questa misericordia che io Vi ami e muoia di espiazione e mi consumi nell’amarvi, o SS.ma Vergine Immacolata (Scr. 2,29).
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Chi comprende di non essere a posto, vinca sé stesso e le illusioni del demonio, e preghi la SS.ma Madre nostra del Paradiso, e cominci sul serio a corrispondere alle divine misericordie e alle insigni grazie che Dio gli ha fatto. Con la preghiera: con la umiltà: con il candore semplice e la confidenza piena di figli: così e non altrimenti giungerete alla perfezione e alla vera santità, e saremo i figli veri della Divina Provvidenza, e cresceremo cari a Dio, e faremo un bene immenso (Scr. 2,77).
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Prego perché Dio misericordiosissimo nel Suo santo lume vi dia grazia in questi giorni di conoscere sempre meglio il pregio del rinunziare alla propria volontà, e vi ponga nel cuore la risoluzione di conseguire questa umiltà e lo stato dell’apostolato per mezzo della santa obbedienza. Sì, mio caro, l’apostolato per obbedienza e per voto di religione mi pare una gran cosa, un gran bene e che non ci sia altra cosa a desiderarsi fuori di questa (Scr. 4,1).
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Sarebbe sconveniente perdere il coraggio sotto un tale Padrone e Padre così amoroso e misericordioso. Ché anzi, vedendo noi le nostre lacune, mancanze e debolezze, preghiamo la SS.ma Vergine nostra Madre e Padrona, che ci accresca sempre il coraggio e la lena nella confidenza in Dio, e viviamo pienamente abbandonati nel Signore. *Nostro Signore, diceva Sant’Alfonso, sta sempre vicino a quelli che l’amano e s’affaticano per suo amore+ (Scr. 4,186).
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Prego per la pace e serenità del Suo spirito; stia pienamente affidata alla bontà del Signore che è Padre buono, pieno di divina e infinita misericordia. Non pensi alle cose passate, ma solo ad andare avanti di giorno in giorno con semplicità. So che è una prova, e so anche che Dio Le darà luce consolantissima. Ella preghi la SS.ma Vergine, senza affanno: niuna cosa la turbi: Lei porta Gesù nascosto nel suo cuore. Fede semplice ed umile, e coraggio grande, e grande fiducia in Dio e nella Sua Divina Provv.za e bontà (Scr. 9,85).
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Non c’è nulla di più caro al Signore che la piena fiducia e confidenza nella Sua paterna bontà e misericordia. Abbandoniamoci tra le braccia e sul Cuore aperto di Gesù Cristo Crocifisso, Signore e Salvatore nostro. Bisogna avere una speranza, fiducia tanto grande quanto grande è il Crocifisso e il Cuore di Gesù. Offra tutto il suo male al Signore per le mani materne della Santa Madonna. Ricordiamoci sempre che i nostri dolori, uniti a quelli di Gesù e di Maria, acquistano un grande valore e merito agli occhi di Dio: e ricordiamoci che chi confida in Dio non perirà in eterno (Scr. 9,107–108).
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Io mi voglio davvero convertire, voglio amare il Signore e consumarmi di amore, ma ci vorrà tutta la grazia e la misericordia di Nostro Signore perché la mia miserabilità ha qualche infinito qualche cosa di perfido e di spaventoso e io sono come un peccatore B Eppure voglio proprio far penitenza, voglio pregare ed essere tutto del Signore, della Madonna e della Santa Chiesa (Scr. 19,100).
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Il Signore ha tanta misericordia verso di me che, per quanta io ne abbia, con la sua grazia, verso i miei fratelli, non sarà mai un millesimo della infinita carità che N. Signore, ad ogni ora, usa alla anima mia (Scr. 19,172).
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Certo sembrano ora a noi cose queste impossibili e pazzie, e non sarà certo l’uomo che farà e che potrà fare questo, ma la mano di Dio. Sarà la misericordia infinita di Gesù che è venuto per noi peccatori: sarà la divina e infinita carità di Gesù Crocifisso, che vuole la sua redenzione sia copiosa: che gli uomini Vitam habeant et abundantius habeant. E quella sarà l’ora di Dio, sarà la grande giornata di Gesù Cristo, Signore, Salvatore e Dio nostro. E Gesù vincerà il mondo così: nella carità, nella misericordia (Scr. 31,59).
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Pensa sempre, e confortati nel pensiero e nella fede che Dio è Padre, è vero che è giusto, ma è Padre e non è mai crudele né è mai tiranno, ma anzi è misericordiosissimo il Signore. Lavora per lui e fa quello che puoi, e poi sta tranquillo nelle mani della Divina Provvidenza e della beatissima Vergine (Scr. 32,147).
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Se io amassi davvero il Signore e il mio prossimo, come dovrei, oh quante e quante grazie! Io sono il Giona che va buttato a mare; le mie colpe e iniquità meriterebbero assai più, onde ci vuole tutta la misericordia di Gesù Cristo Crocifisso per tollerarmi ancora. Ma, fidando nella infinita carità del Signore, ora, nel nome di Gesù, comincio; mi umilio, ma non mi voglio avvilire; e voglio essere tutto e solo roba del Signore e delle anime (Scr. 37,254).
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Li prego di non voler stare in apprensione, ché sento il Signore che mi sta vicino, più che una madre, nella sua grande misericordia: sono nelle mani di Dio, non potrei essere in mani più sicure. Tutto affidato alla Divina Provvidenza, cercherò di fare quanto potrò per questi miei sacerdoti e chierici, per tanti orfani e tanti poveri fanciulli che abbiamo qui; loro vogliono aiutarmi con le loro orazioni, affinché il Signore sempre mi assista (Scr. 41,155).
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Se lei vorrà andare davanti a quella Madonna benedetta, che mi ha tanto confortato, e vorrà dirle per me un’Ave Maria, le sarò tanto grato, e la ricambierò con affetto di fratello. Quante misericordie, quante grazie ho ricevuto in codesta sua Chiesa! Se avessi corrisposto, come dovrei ora amare il Signore! Tuttavia non mi voglio perdere d’animo, e voglio cominciare, con il divino aiuto. Ella mi aiuti con le sue orazioni (Scr. 42,205).
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La misericordia del Signor nostro è più vasta dell’oceano e più immensa dei cieli: abbandonati in braccio a Gesù, che tanto ti ama da morire non tanto di patimenti quanto più di Divina carità verso di tè. Non pensare alle colpe passate per scoraggiarti: umiliati ai piedi della croce ed il sacrosanto sangue di quel Dio che perdona ai suoi crocifissori, cadrà sul tuo capo e ti difenderà nella lotta con le tenebre (Scr. 44,186).
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Da me so bene che nulla nulla potrò, ma la misericordia del Signore è grande è grande, e un po’ ce ne sarà anche per l’anima mia, e poi confido nella Madonna che mi aiuterà da madre, povera Madonna, che tante volte ho fatto piangere con i miei vizi e peccati! (Scr. 45,160).
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I dolori degli uomini non devono rinserrarci il cuore: è il Signore che farà, e l’ultimo a vincere è sempre il Signore il quale vince nella misericordia. Confidiamo illimitatamente nella bontà di Dio (Scr. 46,97).
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Oh quanto è mai buono e grande nostro Signore e quanto è mai buono e grande il cuore di vostra Santità! Mai come in questi giorni ho sentito di essere un vero servo inutile della santa chiesa ma anche con tutta la mia miseria io mi voglio gettare ai piedi di vostra Santità come a quelli di Gesù Cristo, e più con le lacrime che con le parole confesso tutta la misericordia del Signore sopra di me e tutta la materna bontà della santa chiesa che mi ha fatto suo sacerdote di Dio, e supplico la bontà del Signore di darmi grazia di essergli fedele sino alla fine, e di non guardare a me peccatore, ma al suo cuore aperto per me (Scr. 48,21).
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Sia benedetto Dio, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione! Egli si degni di non abbandonarmi mai, ma di moltiplicare nella povera anima mia la sua grazia e divina virtù quia ego egenus et pauper sum, ed Dominus spes mea a juventute mea. Egli dunque, il Signore, mi prenda e mi conduca da povero figliolo e servo suo all’Argentina, a fare la sua volontà, e un po’ di bene, anzi il più grande bene possibile alla gioventù abbandonata, e più in pericolo di pervertimento (Scr. 48,259).
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So che molto avrò a partire per l’amore di Dio benedetto e in espiazione dei molti miei peccati: E poi sento che nulla di buono ho fatto sin qui, prego la misericordia del Signore di parteciparmi del suo calice e farmi gustare un poco del suo calvario. Ma questo dev’essere per me, non per gli altri, o almeno non lo vorrei per colpa mia (Scr. 49,118).
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Caro mio Signore Gesù, dolcissimo e misericordiosissimo salvatore e padre mio, credo che voi siete realmente presente nel SS.mo Sacramento, vi amo sopra ogni cosa, e ardentissimamente vi desidero nell’anima mia. E perché non posso ricevervi sacramentalmente, vi supplico, caro mio Signore Gesù, di venire almeno spiritualmente nel mio povero cuore (Scr. 52,17).
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Io ti darò Nostro Signore, perché tu possa essere da Lui consolato e fatto forte della sua grazia a meglio corrispondere alle divine misericordie. Hai capito, figlio mio? che devi corrispondere alle divine misericordie? Perché fai così con il Signore? Non lo sai quello che Egli ha fatto per te? ma dunque perché fai così con il Signore? Su figliuolo mio, adesso è tempo di dire: Signore, basta! Glielo dirai al Signore: basta? Diglielo, diglielo: non va mica bene continuare così! Sei contento? no, che non sei contento: e stando così non lo sarai mai contento! Dunque tu verrai alla Madonna a ringraziare il Signore della grazia che ti ha accordata con il chiamarti alla perfezione della vita e là dirai alla nostra e Santa e cara Madre che domandi a Gesù perdono per te (Scr. 54,56).
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Venite, o miei fratelli peccatori, confondiamo le nostre lacrime con il Sangue del sig. Nostro Crocifisso. La confessione è il capo lavoro della bontà e misericordia di Cristo, è ciò che ha potuto immaginare di più perfetto per far partecipare e conseguire agli uomini il fine stesso della redenzione. Assolver B Chiese greche B per quanto grandi siano i nostri peccati, sempre e immensamente più grande è la misericordia di Dio (Scr. 55,225).
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Dio è misericordioso, ma è anche giusto; e anche nella sua giustizia Dio è misericordioso: quasi la misericordia sovrabbonda sulla giustizia. Bada bene, o fanciullo, Dio è giusto ma non è crudele. Tutto ciò che è crudele non è Dio. E guardati da quegli uomini che fanno Dio crudele: essi sono la negazione di Dio e si macchiano d’un ben grave peccato, perché allontanano i cuori da quel Dio che è Padre. IX Dio non ha fatta la morte, né gode della perdizione dei viventi, che Egli vuole salvi, pur rispettando la nostra libertà. Dio ci ha creati per la vita e per l’immortalità, non per la morte (Scr. 57,30–31).
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Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; la corruzione e il male morale sono grandi, è vero, ma ritengo, e fermamente credo, che l’ultimo a vincere sarà Dio, e Dio vincerà in una infinita misericordia. Dio ha sempre vinto così! Avremo novos coelos et novam terram. La società, restaurata in Cristo, ricomparirà più giovane, più brillante, ricomparirà rianimata, rinnovata e guidata dalla Chiesa. Il Cattolicesimo, pieno di divina verità, di carità, di giovinezza, di forza sovrannaturale, si leverà nel mondo, e si metterà alla testa del secolo rinascente, per condurlo all’onestà, alla fede, alla civiltà, alla felicità, alla salvezza. Una grande epoca sta per venire! Ciò per la misericordia di Gesù Cristo Signor Nostro e per la celeste materna intercessione di Maria Santissima (Scr. 70,3d).
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Dire ai fanciulli la divina bontà di Gesù verso i malati, la misericordia di Gesù verso i deboli, i peccatori: l’amore dolcissimo di Gesù ai bambini, ai poverelli, a tutti gli afflitti, certo che è aprire il cuore dei piccoli ad amare Gesù, è un disporre i loro animi a credere alla Parola del Signore e della Sua Chiesa, e ad osservare, a suo tempo, più volentieri i precetti della Religione. Nulla tanto gioverà a fare amare e seguire Gesù, che farlo conoscere (Scr. 78,87).
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Ricordatevi d’imitare Gesù Cristo, con il non aver altro occhio che quello della Sua misericordia; di più ricordatevi che siano uomini e non angeli, quindi bisogna condonare molto e non state attaccati a tutte le inezie, ché delle volte, con il troppo volere, si ottiene molto meno (Scr. 71,81).
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Ho creduto che l’Istituto della Divina Provvidenza dovesse andare avanti con la scienza, ma ora capisco che la scienza, come è insegnata nelle scuola del mondo, scava la vita e il cuore, ma non li colma: solo la preghiera continua, una fede grande e la misericordia infinita di Dio sono quelle che ci innalzano, ci illuminano e ci riempiono l’anima e faranno dell’Opera della Divina Provvidenza una grande opera di misericordia per l’anima mia e per le anime di molti giovani, e di molti cuori infelici! (Scr. 79,293).
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Cristo solo scioglierà il grande problema, gettando una grande luce di misericordia sugli uomini; una luce che mostri quanto poco valgano i beni terreni in paragone dell’oro della sapienza evangelica e dell’amore fraterno. E lo risolverà la sua Provvidenza, per mezzo del Cristianesimo, con un apostolato di fede, di pace, di carità (Scr. 79,358).
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Dio non ci giudicherà per quello che avremo saputo, ma per quello che avremo fatto per amore suo. Se sapessimo tutte le scienze, ma non avessimo la carità del Signore? Dio ci premierà secondo le opere della misericordia. Amiamo Dio e il prossimo, e saremo conosciuti da Dio e amati da Dio: saremo figliuoli di Dio, veri seguaci di quel Gesù che fu tutto pietà per gli infelici e tutto misericordia per i peccatori. Penetriamoci dello spirito e della carità di Gesù Cristo, e tutto sapremo (Scr. 82,12–13).
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Nessun precetto più ripetuto né più fortemente intimato nel Vangelo, come nulla più risplendente in Gesù Cristo che la misericordia. Tutto il cristianesimo può dirsi che è misericordia! Cristo stesso assicurò che l’uomo sarà ricompensato o condannato, secondo ch’ei sarà stato o no misericordioso. Eccovi quella pagina meravigliosa di Vangelo: Gesù, rivolto ai salvi dirà: Venite, benedetti dal Padre mio: possedete il regno che v’è stato preparato sin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame, e mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere; fui forestiero, e mi accoglieste... In verità, vi dico. quante volte avete fatto questo a uno dei minimi di questi miei fratelli, l’avete fatto a me. E a quelli di sinistra, ai reprobi dirà: Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, ch’è preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame, e non mi deste da mangiare; ebbi sete, e non mi deste da bere; fui forestiero, e non mi accoglieste; ignudo, e non mi rivestiste; infermo e in prigione, e non mi visitaste... Io vi dico, in verità, che quante volte non avete ciò fatto a uno dei minimi di questi, non l’avete fatto a me. E n’andranno questi a punizione eterna, ma i giusti a vita eterna. (Matt., XXV, 34–46). Noi così già sappiamo quale sarà la sentenza nostra per l’altra vita. Chi, leggendo e meditando queste parole di Cristo, non si sentirà salutarmente scosso e disposto a fare qualche cosa per i fratelli poveri e bisognosi di conforto? Ma, nel Vangelo di oggi, Gesù ci presenta il modello della misericordia, e quale modello! La nostra misericordia dev’essere grande quant’è grande la misericordia del Padre nostro, che è nei cieli! Si comprende: per quanto ciò è dato alla nostra natura. Ma il Padre celeste fa splendere il sole sulla testa dei buoni e su quella dei cattivi: vuol dire che la nostra carità e misericordia dovrà abbracciare tutti, senza eccezione, buoni e cattivi, amici e nemici, ricchi e poveri. Che, se preferenza ci vuol essere, debb’essere per i poveri, per i cattivi, pei nemici. Questo è lo spirito di Gesù Cristo: chi lo vive, vive la carità di Gesù Cristo, e avrà la vita eterna con Lui (Scr. 82,31).
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L’effusione del Cuore di Dio non va perduta per i mali della terra, ma l’ultimo a vincere sarà Lui, sarà il Signore! E il Signore vince sempre nella misericordia! Chi vince diversamente passa e non se ne parla più! I re passano: i conquistatori della terra passano: cadono le città, cadono i regni: arena ed erba coprono il fasto e le grandezze degli uomini e i venti e le piogge disperdono i monumenti delle loro civiltà. «I buoi nell’urne degli eroi spengon la sete» cantò Zanella. Tutto passa: solo Gesù Cristo resta! Egli è Dio e resta! Resta per illuminarci, resta per consolarci, resta per dare a noi la sua vita nella sua misericordia! Gesù vince, ma nella misericordia! (Scr. 86,180).
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Hai guardato dall’alto, o Signore, e hai aperto il mio cuore alla luce delle tue misericordie e i miei desideri si son fatti puri come i fiori, come la neve sull’altitudine della montagna. Benedetto sia tu, adunque, o Signore, che hai fatto grandi misericordie sul tuo servo! Dal Tabernacolo santo mi verrà, come la lucerna, la luce per pregare a Te, o Signore, Dio mio! Ti amerò, o Signore! La tua misericordia è più grande del cielo! (Scr. 93,235).
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La misericordia del Signore Nostro è più vasta dell’Oceano e più immensa dei cieli: abbandonati in braccio a Gesù che tanto ti ama da morire non tanto di patimenti quanto più di divina carità verso di te. Non pensare alle colpe passate per scoraggiarti: umiliati ai piedi della Croce ed il Sacrosanto Sangue di quel Dio che perdona ai suoi crocifissori cadrà sul tuo capo e ti difenderà nella lotta con le tenebre (Scr. 101,1).
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Tutto passa: solo Cristo resta! È Dio, e resta! Resta per illuminarci, resta per consolarci, resta per dare a noi nella sua vita la sua misericordia! Gesù resta E vince, ma nella misericordia! Sia benedetto in eterno il tuo nome, o Gesù! (Scr. 104,82).
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Esaminiamo bene la nostra vita: tutto ci parla della grande misericordia di Dio verso di noi. Davide, il Grande Re, fu peccatore, ma si umiliò davanti al Signore e compose quel magnifico salmo in cui esalta la misericordia di Dio verso di noi. Miserere mei, Deus! Pietà, misericordia di me, o Signore, secondo la tua grande, la tua infinita misericordia. Davide scrisse pure un salmo che termina così: Et in aeternum misericordia Eius, et in aeternum, et in aeternum misericordia Eius! Che significa: “in eterno, nel cielo, nella terra, negli abissi, vivrà la sua misericordia”. In un altro salmo Davide canta: “Et misericordia Eius, super omnia opera Eius”. La misericordia del Signore, è la più grande delle sue opere. Quale potenza non ha il Signore! (Par. I,167).
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La misericordia di Dio per i peccatori era il mio cavallo di battaglia da giovane; tornavo, dopo quelle predicazioni, a casa stanco ma contento per i grandi frutti... Ricordate sempre che con l’argomento della misericordia di Dio e con la devozione alla Madonna si ottiene tanto; si inducono a commozione vera e a pentimento le anime (Par. VIII,244).
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Nei Salmi c’è un’espressione che allarga il cuore: “La misericordia del Signore è più grande delle Sue opere”. Sopra gli altri attributi risplende in modo speciale la bontà, la misericordia. È grande Dio nelle opere delle sue mani: Coeli enarrant gloriam Dei... e il firmamento glorifica Dio e ci rivela quanto è grande il Signore. Pensate al cielo, tempestato di stelle, in una notte azzurra: stelle immense, in guisa che la terra è un punto rispetto ad esse, mentre altre miriadi di astri sfuggono al nostro occhio. È grande Dio, nel mare, grande nel bello e nell’orrido della natura. Pensate alle onde in tempesta. Ma più grande, che nella sua potenza, si manifesta nella sua misericordia. È l’attributo che ci commuove di più. Che bisogno c’è di avvicinarsi a Dio per vivere nel suo spirito, per camminare alla luce che piove dalla sua fronte! Dio ci viene incontro. E quando gli Apostoli chiedono come devono pregare dà loro un senso di paternità che allarga il cuore. Terribile è Dio nella sua giustizia; più grande nella sua pietà e misericordia. Tutti abbiamo nella nostra vita delle piaghe morali, e che piaghe! Tutti cadiamo! Sette volte al giorno cade il giusto e Dio vede la macchia anche sulle ali candide degli Angeli suoi. Chi è senza peccato? Tutti ne abbiamo commessi: quante debolezze. Quante miserie! Guai se guardassi a Dio solo considerando la sua potenza e non mi confortassi nella sua misericordia. Sono qui per dilatare il fuoco della carità del Signore. Per l’amore, non per il timore, vogliamo servire a Dio. Buoni figliuoli: tutto per amore. Tutto per amore, niente per forza, diceva San Francesco di Sales. Apriamo l’Evangelo: tutte le pagine glorificano il Signore nella sua misericordia, verso i poveri, verso gli affamati, verso i sofferenti (Par. XI,216).
Vedi anche: Apostolato, Compatimento, Opere di misericordia, Perdono.
Missionarie Zelatrici del Sacro Cuore
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Come saprete ho aperto la 1ª Scuola. Ho le suore di don Guanella per la cucina e guardaroba per l’Istituto orfani; nell’Istituto orfane ho le Zelatrici del Cuore di Gesù. Raccoglierò nella sola Avezzano non meno di 100 orfani, ragazzi e giovanetti senza calcolare il reparto femminile che è in altra località (Scr. 12,118).
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Al riguardo delle suore zelatrici delle quali le parlò Monsignor Vescovo di Pescina, vostra Signoria già saprà che fui io a chiamar qui dette suore e ciò feci per secondare i desideri dello stesso Monsignor Vescovo. Quando il patronato creda di approvarle, non si troverà in me alcuna difficoltà, sarò anzi ben lieto se mi sarà dato di concorrere a toglierne (Scr. 48,225).
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Sono ben felice di dichiarare per la verità – a gloria di Dio e a conforto dei loro Superiori – che le Rev.de suore Matilde e Serafina, Zelatrici del Sacro Cuore di Gesù venute in Avezzano dai primi di febbraio, animate da mirabile spirito di carità cristiana e di sacrificio, prestarono durante tutto questo periodo di tempo la loro fatica senza umano compenso – a pro del terremoto che sono sotto la tutela dell’Opera Nazionale del Patronato Regina Elena e ciò esse fecero in mezzo a mille disagi e a gravi difficoltà, specialmente nei primi tempi dopo il disastro (Scr. 53,164).
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Riferendomi a quanto V. E. Rev.ma mi disse oggi circa le Suore Zelatrici del Sacro Cuore pregherei V. Eccell. di scrivere subito loro se potessero venire subito e prendersi gli impegni e l’Opera che ora vanno facendo le Suore di don Guanella. Io mi sono indotto a chiamarle da una necessità più che impellente ignorando affatto il riguardo che potevano meritare le Suore Zelatrici del Sacro Cuore. Ora che V. Eccell. mi mette in chiaro delle cose, non ho difficoltà alcuna a ritirare tosto le Suore attuali per sostituirle con le prelodate Zelatrici. Però in questo oserei pregare V. Eccellenza a decidere con benigna sollecitudine perché anche di fronte a don Guanella non vorrei cadere nella indelicatezza di aver chiamato le sue Suore nel momento più difficile per poi farle sostituire nel periodo più agevole (Scr. 67,264).
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In Italia ho inviato stando a San Paolo, quella tal Suor Flora Lionessa delle Zelatrici del Sacro Cuore, dalla testa poco equilibrata, che deve aver fatto esperimentare la pazienza al Suo Mons. Vicario Gen.le e forse anche a Vostra Eccellenza Rev.ma. L’ho indirizzata a persone sicure anche perché non avesse a trovarsi su d’una strada e poi ora andrò io e la Madonna mi aiuterà a trovare la sua nicchia anche per lei (Scr. 115,283).
Vedi anche: Piccole Suore Missionarie della Carità.
Missioni
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La missione promette dunque assai bene; ma ho bisogno di santi! Quante volte, nei passati giorni, io ho pensato a voi altri, o cari i miei figli! E vi ho fatti passare uno ad uno, per vedere chi poter mandare! Almeno qualcuno di voi bisognerà che lo trovi e lo mandi prestissimo; ma ho bisogno di santi! Poco mi importerebbe che siate piccoli: anzi così imparereste subito la lingua, e tra due anni potreste fare scuola in portoghese; ma ho bisogno che chi va, porti là la santità (Scr. 2,77).
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Sono edificato del tuo spirito come del tuo lavoro e della vita che fai, e condivido pienissimamente con te che i Missionari devono essere di buono spirito, di lavoro e di capacità. Vengo anch’io da paesi di Missione, e forse di Missione più che non sia la Terra Santa, e penso che, come gli Apostoli hanno cominciato la vita apostolica con il lasciare tutto per seguire Gesù Cristo, così – e solo così – si diventa veri Missionari, e non Missionari di nome, da burla, e mestieranti e trafficanti di quattrini. Ritengo, e sento ora più che mai, che l’opera delle Missioni è santissima ed è una somma grazia di Dio essere chiamato alle Missioni, ma ho ora anche capito che è opera sommamente ardua e pericolosa, e che esige nel dare mano a tant’opera che si usi di ogni prudenza per guardarsi da gravi pericoli spirituali e per poter raccogliere più copiosi frutti da tanti sacrifici che si fanno e fatiche, e che chi vi è chiamato sia, prima, ben provato nella vocazione, e che vi si prepari con la vera santità della vita (Scr. 4,231).
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Preghiamo N. Signore che susciti Lui degli uomini veramente apostolici! E noi, ora che Dio ci va aprendo un po’ gli occhi e ci dà un po’ più di esperienza facciamo un proposito: di non mandare alle Missioni se non quelli che mostrano per lunga prova di esservi veramente chiamati da Dio: se non quelli che sono di provata vocazione missionaria, e che mostrano vero spirito di umiltà, di fede, di pietà, di mortificazione di obbedienza, di lavoro, di sacrificio, di zelo (Scr. 4,232).
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Sarete stanchi, cari missionari, ma quanta soave gioia nei vostri cuori! Quanta ineffabile soddisfazione e abbondanza di divina grazia nel cuore di tutta la popolazione! Deo gratias! Deo gratias! Vogliate sentirmi spiritualmente vicino a voi a godere in Domino con voi e a benedire con voi il Signore Dio, delle misericordie! Domattina, nella Santa Messa, voglio pregare umilmente San Giovanni Bosco, che fu già mio confessore e Padre, perché intercedente Maria SS.ma Ausiliatrice ottenga da nostro Signore che i frutti della Sacra Missione permangano e si moltiplichino a santificazione delle anime alle quali avete predicato Gesù Cristo, e perché sul M. Rev.do e sui parrocchiani tutti il Cuore Sacratissimo di Gesù si apra e si versi tutta l’abbondanza delle sue grazie e benedizioni. E a voi, cari amici missionari, vi dia Gesù di amarlo ancora più tanto e di farlo tanto amare. E poi, vi dia quella grande eterna ricompensa, che egli Gesù – serba ai sacerdoti apostoli del suo Evangelo e della sua santa Chiesa (Scr. 32,252).
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Sono disposto a mandare tutto il personale che vi occorrerà, purché veda che, realmente, si fa e si creano, con il divino aiuto, opere di polso e di consistenza con lo spirito della Congregazione, che non vuol essere un corpo di sedentari e di fossilizzati, ma una arditissima legione, di missionari zelantissimi e di veri apostoli, che non abbiano requie e non lascino requie né dì né notte. Avanti così a San Paolo non si può, non si deve andare – Di codesta vita rattrappita poco è più morte Ora noi siamo una legione di vivi in Christo, e non di morti (Scr. 34,103).
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I Missionari sono Sacerdoti evangelici dediti all’orazione, ardenti di zelo nell’annunziare la parola di Dio, particolarmente educati a ravvivare tra le popolazioni lo spirito di fede, di penitenza e la virtù coi loro esempi e insegnamenti (Scr. 62,105).
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Se vi chiamiamo la porzione più eletta della congregazione si è perché i Missionari sono appunto quelli che, più di tutti gli altri ricordano da sublimi fatiche degli Apostoli, i quali, con la loro Fede e sacrificio, vicerunt regna. E voi ce lo immaginiamo, e forse supponiamo anche qualche cosa di positivo, a quali e quante fatiche voi dovete sobbarcarvi; voi, che per primi, senza speciale preparazione, e quasi del tutto sprovvisti, siete andati a gettare le basi delle nostre Missioni Brasiliane (Scr. 67,153).
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Vi faccio ora una confessione, e non abbiatevela a male: ho qui alcuni ottimi Sacerdoti che nulla più desiderano che d’esser Missionari; ma il concetto che purtroppo mi sono formato della rilassatezza religiosa di certe nostre Case d’Argentina mi crea un doloroso caso di coscienza, per cui non so indurmi a mandarVi altro personale, perché so, purtroppo, che costà non troverebbero quello spirito e quella vita di zelo apostolico cui essi aspirano: sarebbe per loro una delusione fatale e forse la perdita della stessa vocazione missionaria (Scr. 68,154).
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Ora vi sentirete stanchi, cari Missionari, ma quanta soave gioia nei Vostri cuori! quanta ineffabile soddisfazione e quale gaudio spirituale e quanta grazia nel cuore di tutta la popolazione. Deo gratias! Deo gratias! Vogliate sentirmi vicino a Voi, permettete che venga a godere in Domino di tanto convito di grazia insieme con Voi e a benedire con Voi il Signore, il Padre grande delle divine misericordie. E a Voi, cari amici Missionari, Vi dia Gesù di amarLo ancora tanto e di farLo tanto amare. E poi, poi Vi dia quella grande, eterna ricompensa, che Egli – Egli Gesù – serba ai Sacerdoti Apostoli del Suo Evangelo e della Sua Santa Chiesa (Scr. 84,7–8).
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Abbiate il cuore grande e magnanime. Chi ha il cuore piccolo non è atto ad andare Missionario. Il Missionario deve avere il cuore grande, pieno d’amor di Dio e del prossimo. La Madonna, io spero, manterrà sempre accesa nel vostro cuore la lampada di pietà, di carità, di fede, di umiltà, di obbedienza e santa povertà, e sarete il buon esempio dove andrete. Non lasciate mai la preghiera e la meditazione (Par. II,197).
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L’opera del Missionario è opera di fede, di civilizzazione. Egli dove giunge pianta la Croce ed edifica una Chiesa. Uno solo di essi riuscì a dirigere 16 Cappelle sparse. Davanti a questi Missionari che vanno a predicare il Vangelo, con la benedizione paterna e con la Croce in mano, che vanno a compiere un’opera di fede, di civiltà, di italianità, noi promettiamo di essere loro vicini con le preghiere; e non essendoci dato di essere anche noi Missionari, saremo almeno apostoli di bene in mezzo al popolo, e irradiatori di luce in mezzo alle persone con cui viviamo, per trovarci poi nel Paradiso uniti in Cristo (Par. V,282).
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I nostri missionari, oltre a portare la fede, con la fede portano la civiltà, la fede di Roma e la civiltà cristiana, perché è dalla romanità che parte la fede. Tutti quelli che aiutano le missioni aiutano l’opera della propagazione della fede e della civiltà. Io crederei di offendervi se vi ricordassi che quando voi darete, oggi, nella Giornata Missionaria va a propagare la fede e la civiltà e a tener alto nel mondo il nome d’Italia, della civiltà, di Dio! (Par. VII,86).
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Se mai ci fosse qualcuno tra voi che desiderasse andare in missione faccia domanda. Le Missioni non sono cosa da prendersi alla leggera. Le Missioni sono un grande campo di apostolato, ma presentano i loro pericoli: Non bisogna pensare di andare in missione e gettarsi nel Chaco, dove pur ci siamo; ma bisogna premettere una preparazione, come un Noviziato locale, per imparare la lingua e i costumi. Anche l’agricoltore ha bisogno di conoscere il terreno prima di farlo rendere. È necessario prepararsi per ottenere un maggior bene e maggior frutto di santificazione. È una cosa da prendersi seriamente, proprio con quello spirito che è il midollo del Santo Evangelo. Se la voce di Dio parlerà al cuore di qualcuno di voi, se la chiamata all’apostolato di fede e di carità qualcuno l’avrà sentita nel suo cuore, chiamata a più alto apostolato, faccia domanda. Si terrà conto della salute, degli studi, di tante cose. Quelli che saranno ritenuti idonei potranno prendere il mare e andare nelle Americhe (Par. X,63).
Vedi anche: Anime, Apostolato.
Missioni Italiane all’Estero
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Entrate pure nell’ordine di idee sue circa l’Istituto per le Missioni all’Estero. Ditegli che a Tortona non è ancora approvato in ente morale, ma l’Istituto è già approvato per le Missioni all’Estero dal Governo. Questi Istituti Esteri è più difficile che vengano incamerati, perché, diceva Gambetta, «l’anticlericalismo non è merce di esportazione e allo Stato giova sempre tenere vive le Missioni all’Estero per l’influenza e la lingua nazionale» (Scr. 13,90).
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Mi ha scritto da poco il Ministro De Vecchi e gli ho scritto per avion auguri pasquali – Se voi credete che gli scriva per il terreno di Roma, mandatemi i dati e lo farò subito. Bisognerebbe far presente che là apriamo un Seminario per le Missioni Italiane all’Estero e per le vocazioni sacerdotali dei paesi redenti, già sotto l’Austria. Io gli avevo parlato di questo progetto, che egli aveva visto tanto, tanto bene, perché quel Clero giovane fosse cresciuto in Roma e fosse vincolo di maggiore unità e non avesse più spirito di diffidenza o ostilità (Scr. 19,44).
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Darai a don Risi a D. Adaglio a Segalerba e D. Bariani la lieta notizia che i Ministri degli esteri e della guerra hanno riconosciuto il probandato di Tortona come seminario per le Missioni all’estero e quindi Fiori, Giacomino [Garberoglio] Bartoli, Marabotto, Sesta, Porta Domenico Zeme sono sino a 26 anni liberi dal servizio militare e se andranno missionari anche esenti affatto (Scr. 20,42).
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I missionari sono apostoli di fede e di civiltà. Facendo della vostra casa un Istituto per Missioni all’Estero, anche il Governo ci appoggerà. Il mio Istituto per Missioni in Tortona è riconosciuto dal Governo. Ma soprattutto dando vita ad una tale istituzione noi figli umili della Chiesa romana, sappiamo, o miei cari, di andare incontro sia pure modestamente, non solo ai bisogni della santa Chiesa ma ad un vivissimo desiderio del Vicario di Gesù Cristo. Fu il Santo Padre Pio XI, in un lampo di genio, a volere l’Esposizione missionaria, che ha meravigliato il mondo. E sempre, ma specialmente in questo periodo di tempo, è il Papa Pio XI che in mille modi, mostrò il suo desiderio che gli Istituti missionari avessero a moltiplicarsi e a sorgere attorno alla Cattedra di S. Pietro, possibilmente in Roma stessa, sotto gli sguardi e all’indirizzo sicuro della santa Sede e delle sue Congregazioni romane (Scr. 41,81).
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Lo spirito dei nostri missionari vuole essere spirito della più grande umiltà e povertà e di ardente carità verso Dio e verso le anime! Chi si sente chiamato a servire Gesù Cristo e la Chiesa e a salvare anime con questo spirito caratteristico, si abbandoni con semplicità alla Divina Provvidenza ed entri generosamente a far parte dell’Istituto per le Missioni all’Estero che si è aperto da poco in Tortona: Anime e Anime! Con la fede e abbandono nella Div. Provvidenza e nella SS.ma Vergine si supera tutto, si trionfa su di tutto! non si badi alla nostra miseria (Scr. 64,159b).
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Sia detto ad onore di Voghera e Circondario: questo Seminario per le Missioni all’Estero ha trovato sempre aperto il cuore di tutti: la Divina Provvidenza si servì dei più insigni come dei più modesti Benefattori per non lasciarci mancare mai di nulla: in ogni bisogno tutti andarono a gara nel sovvenire alla nostra povertà e darci aiuto: lo dica la questua del grano, della meliga e ogni altra forma squisita di cristiana beneficenza fatta evangelicamente, “con quel tacer pudico, che accetto il don ti fa” (Scr. 76,131).
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Maria è la nostra Madre, è la nostra Guardia celeste, la nostra invitta Capitana. A Lei l’Istituto per le Missioni Italiane all’Estero sorto in Voghera è particolarmente consacrato: una devota, artistica statua in legno di Nostra Signore della Guardia troneggia su l’altare maggiore della sua Chiesa, circonfusa di luci, di fiori, di cuori d’argento, ex voti per grazie e guarigioni ottenute (Scr. 91,109).
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L’Istituto Religioso della Divina Provvidenza (sede centrale in Tortona), fin dal 1920 riconosciuto dal Superiore Ministero come preparatore per le Missioni all’Estero (v. giornale Militare Ufficiale, 20 agosto 1920, dispensa 44.a e v. Circolari Ministeriali Guerra, 17 aprile 1924 e 17 aprile 1925) ha iniziato da qualche anno, presso il suo Collegio San Giorgio in Novi Ligure, un Istituto Magistrale, con il fine precipuo di preparare docenti per le Scuole Italiane all’Estero. Tale corso scolastico, sempre con la finalità di cui sopra, funziona in modo completo, cioè con tutte le sette classi, dall’ottobre 1933; e per esso si invoca, a norma dell’art. 51 del R. D. 4 maggio 1925, n° 653, il beneficio della parificazione (Scr. 93,106).
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Siamo lieti di apprendere che, in seguito ad accordi tra il Ministero degli affari esteri e il Ministero della Guerra, nonché con l’Associazione Nazionale per soccorrere i Missionari Italiani, l’Istituto della Divina Provvidenza, è stato in questi giorni riconosciuto dal Governo come preparatorio per le Missioni all’Estero. Invitato don Orione a determinare ove intendesse aprire questo nuovo cenacolo di uomini apostolici, ha scelto la nostra Tortona, che già vide nascere i Figli della Divina Provvidenza. Ed ora egli, con l’approvazione dei Superiori, si accinge ad aprire, nel nome benedetto di Dio e auspice la SS.ma Vergine, tra le mura della nostra amata città e propriamente nella Casa che fu già del Sig.r, Alessandro Agosti, in Via Carlo Mirabello, 15, un Seminario per le Missioni Estere. Mentre una guerra non più vista divide profondamente gli uomini e passa e annienta tanto lavoro insigne di fede e di civiltà cristiana: è confortevole e veramente di felice augurio l’aprirsi tra di noi di una scuola di uomini di sacrificio i quali facendo di sé sublime olocausto per l’amore di Dio e del prossimo, con la Croce di Cristo dalla nostra Italia, che fu ognora madre di civiltà ai popoli, muovano ad evangelizzare le genti e ad incivilirle con lo spirito della fede, della concordia e della pace (Scr. 94,142).
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Gentilissimo sig. Professore, Questa Sottoprefettura mi comunica l’avvenuto riconoscimento di questo Istituto come preparatorio per le Missioni all’Estero. Dopo averne ringraziato e Dio benedetto e la SS.ma Vergine sento subito il dovere di rendere grazie a Vostra Signoria Ill.ma per il Suo valido ed efficace interessamento. La ricompensi Dio largamente! Non mi è dato, come vivamente desidererei, venire in persona a ringraziarLa poiché devo quasi subito ripartire per l’Italia centrale ma lo farò appena possa venire a Torino, il che sarà o agli ultimi dell’anno o nel gennaio. Qui alla Direzione resta il Sac. Sterpi, mio sostituto, che già fu da Lei e dall’Egregio Prof. Ed ora mi è caro ripeterLe che uno dei precipui e più dolci doveri di ogni nostro Missionario sarà non solo di diffondere la fede, che ha cantato con Dante e ha fatto buono e civile il mondo, ma di tenere alto ed onorato il nome d’Italia e di diffondere la lingua e di Dante e di Tasso e ravvivare nei nostri compatrioti ogni nobile sentimento, ogni vincolo d’unione con la patria lontana (Scr. 95,82).
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L’Istituto per le Missioni Italiane all’Estero di Tortona è riconosciuto dal Governo e con l’intendimento di compiere opera di penetrazione italiana all’Estero ha già Filiali in Brasile (Rio de Janeiro – San Paulo – Mar de Espanha (Minas Geraes). In Argentina – Buenos Aires – Mar del Palta – Marco Paz etc. In Palestina, in Polonia – con Scuole per figli di nostri Emigrati. In Italia, per educare ad onesto vivere la gioventù, abbiamo Laboratori e Officine Meccaniche, Scuole del legno (ebanisteria, intaglio) Calzolerie – Sartorie – Legatorie – Scuole Tipografiche etc. a Tortona – Imola – Venezia – Mestre – Padova – San Severino nelle Marche; e Colonie e Case Agricole per non togliere le braccia dai campi, o per riabilitare moralmente e civilmente fanciulli di parenti perversi o pervertitori e compiere opera di risanamento sociale (Scr. 112,252).
Vedi anche: Missioni.
Modernismo
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Deo gratias! Vedete, cari miei, che si può e si dev’essere modernissimi, senz’affatto esser modernisti. E così dobbiamo essere: valerci di tutti i trovati della scienza per diffondere la parola di Dio e il bene (Scr. 18,133).
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Se con il modernissimo e con il semi–modernismo non si finisce, si andrà, presto o tardi, al protestantesimo, o ad uno scisma nella Chiesa, che sarà il più terribile che il mondo abbia mai visto!... E una volta che il veleno del modernismo sia entrato nelle ossa dei giovani padri, esso è peggio che la disonestà: difficilmente si caccia, e ci vuole un miracolo (Scr. 43,53).
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Mi sono messo nelle mani di un Cardinale stretto (dicono), perché io sono già largo; e sono andato da uno che (senza far torto ad altri) è e passa per rigidamente ortodossissimo, perché la mia ignoranza, e poca o nulla dottrina, non finisse di ruinare la piccola Opera, tanto più che mi tocca bazzicare con poveri sacerdoti caduti e taluni noti modernisti, e non vorrei mi si fosse infiltrata qualche idea poco esatta o meno che devota alla santa Chiesa. La vita mia e della piccola Congregazione è la santa Chiesa, e il nostro Credo è il Papa (Scr. 49,125).
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Una buona persona mi ha pregato di scrivere o di venire da vostra Eccellenza Rev.ma, per vedere se si potesse aiutare in Domino certe figliuole che sono nella diocesi di vostra Eccellenza, e propria mente all’eremo francescano di Campello sul Clitunno, a mettersi in regola con la Chiesa, perché sarebbero cadute un po’ nel protestantesimo e modernismo, onde venne loro vietata la partecipa zione dei sacramenti. Pare che prima non fossero così; poiché ho visto una bella dichiarazione di sua Eccell. Mons. Cremonesi, elemosiniere di sua Santità, il quale attesta che anche il Santo Padre le avrebbe confortate di speciale benedizione (Scr. 49,168).
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A difesa della Chiesa e a salute del popolo, spezzeremo la penna prima di deporla: noi non taceremo. L’Affetto al Papa è nei nostri paesi schietto e profondo, ma appunto per questo via i mezzi termini e le mezze misure: non vogliamo dei tentenna con tendenze modernistiche: non vogliamo più oltre il confusionismo delle idee: non vogliamo che si tradiscano i nostri sentimenti cattolici! (Scr. 53,15).
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Capisco che il modernismo fa perdere la testa; ma, se il diavolo lavora, lavoriamo anche noi, e confidiamo! poiché l’ultimo a vincere è sempre Dio! (Scr. 54,112).
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Noi vogliamo confessare sempre (anche nel culto di Maria) la divinità di Gesù Cristo come il nostro cuore e la nostra mente, la nostra fede lo crede lo ama e lo adora e noi non vogliamo esporre i dogmi con tanti argomenti umani: non diventare ragionalisti, modernisti, mentre confutiamo il ragionalismo e il modernismo. Non vogliamo descrivere Maria solamente come il più bello ideale della donna perfetta, ma vogliamo acclamarla venerarla e amarla come i Padri del Concilio di Efeso: come il popolo cristiano di Efeso e di tutto il mondo cattolico d’ ogni età d’ ogni plaga: vogliamo amarla, venerarla, acclamarla con tutto lo slancio dell’anima Madre di Dio e Madre nostra (Scr. 56,216).
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Modernisti ancora ne esistono, ma il loro sistema è spezzato: fu detto che Pio X salvò l’anima della Chiesa come nella lotta contro la Francia laica ne salverà, per così dire il corpo. Basterebbe questo per annoverarlo fra i più grandi Pontefici vindici della fede. È stato detto che ci fu chi abusò del suo nome per scovare modernisti anche dove non c’erano. Ma è pur vero che il Papa fu sempre pronto a prendere le difese degli accusati appena veniva scoperta l’infondatezza delle accuse, come ad accogliere con paterna benevolenza la pecorella smarrita (Scr. 61,147).
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I noti modernisti lavorano. Essi vanno di paese in paese, cercando costituire in ogni città e villaggio della Calabria dei soci corrispondenti, e cercano stendere una vasta rete di aderenti, di amici e di affigliati. Quelli di cui si possono fidare di più vengono più strettamente riuniti. Il lavoro di questa Associazione per il Mezzogiorno d’Italia mostra ogni dì più tutta l’apparenza e le movenze proprie di una vera setta religiosa segreta. Vogliono piantare delle biblioteche per diffondere la cultura (l’hanno sempre con la cultura costoro) ma che razza di biblioteche vorranno essere Dio lo sa! Noi non solo strapperemo la maschera ma opporremo biblioteca: scuola a scuola! Hanno anche il mandato ufficioso di ispezionare tutte le scuole: così avremo le nostre scuole pubbliche infeudate ai modernisti e l’istruzione religiosa, se sarà impartita, c’è pericolo che non sia più cattolica, ma un’insidia alla Chiesa Cattolica. Speriamo che i Signori Maestri e Maestre cattoliche staranno bene in guardia, e non si lasceranno ipotecare dalle forme gentili e educate dai propagandisti del modernismo (Scr. 69,209).
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Un giorno la cristianità si svegliò che era diventata ariana; e noi pure eravamo arrivato ad un punto che si era già sull’abisso, e alla vigilia di essere tutti razionalisti e modernisti, talché pareva che fin l’Arca Santa stesse per cadere nelle mani dei nuovi e più nefasti Amaleciti. Oh è proprio il Signore che veglia in modo provvidenziale e assiste la Sua Chiesa; e nell’ora in cui pareva che le potestà delle tenebre prendessero il sopravvento Egli ci ha dato Vostra Santità che sulla fede di Pietro e con grazia speciale e fortezza veramente apostolica ha saputo scongiurare l’insidia dell’inferno e la nuova eresia (Scr. 84,189).
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Un soffio corre su tutta la faccia della terra, del mondo sempre in ebollizione, in rivoluzione. La vecchia Europa sempre in rivolta, portatrice di spirito di indipendenza, di ribellione, di orgoglio, di insubordinazione, di spirito satanico, gira con il suo soffio, con il suo protestantesimo, con il suo modernismo per il mondo. Ed è penetrato nella Chiesa, non nella Chiesa come Chiesa, ma nell’elemento umano, nel corpo della Chiesa. Ebbene il modernismo, questo grido di Satana, questo raggruppamento di eresie passate, vuole ripercuotersi in questi ultimi anni – questo modernismo, vuol dire ribellione –, nei giardini chiusi della Chiesa e degli ordini e delle congregazioni e perfino nelle cittadelle della fede. Siamo ubbidienti! L’ubbidienza va pari passo con l’umiltà; più uno è umile e più è ubbidiente; più è superbo e più è disubbidiente. Non v’è obbedienza ove non c’è umiltà (Par. VI,236–237).
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Don Brizio Casciola non poteva entrare in Chiesa... Ho fatto di tutto perché non cadesse nelle mani del Santo Ufficio. Sono andato a rischio di passare per modernista per la carità che intendevo usare. Se il Papa non mi avesse conosciuto bene, chissà cosa poteva succedere! L’ho tolto dalla compagnia dei modernisti. Bisogna in questa faccenda entrar con la loro per far loro del bene, ma uscire con la nostra (Riun. 26 agosto 1930).
Vedi anche: Anticlericalismo, Materialismo, Massoneria.
Modestia
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Senza la custodia dei sensi e la modestia è impossibile conservare la bella virtù. I sensi sono come i veicoli, voglio dire i canali che trasmettono a noi le impressioni del mondo esteriore. Ora in questo loro contatto con le persone e le cose mondane è assai facile che i nostri sensi rimangano insozzati e che lo spirito se ne infanghi. Quante anime sono state vittime dei sensi immortificati! Chi non sa mortificare la gola, chi non sa custodire gli occhi ed essere modesto, chi non sa tenere a posto le mani, chi non sa turare le orecchie e non ascoltare tutti i discorsi buoni e cattivi, non sarà mai un buon religioso (Scr. 29,90).
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Se sarete umili, povere, se vi sarà unione e pace fra di voi: se avrete la bella virtù degli angeli, la santa modestia, il Signore sarà con voi sempre, e il vostro istituto farà un gran bene nella Chiesa e vi farete sante (Scr. 39,146).
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Modestia vestra nota sit omnibus hominibus, scrisse San Paolo (ai Filippesi 4 – 5). Dio è severissimo contro colui che manca di modestia, ma la gente del modo, trattandosi di religiosi, è assai più esigente, sto per dire, di Dio stesso. Ed hanno ragione. I religiosi devono essere angeli. Figlioli miei in Gesù Cristo, fate in modo che tutto il cuore, l’anima e la mente sia di Dio, e tutta la vita vostra sia mortificata e pura e vestita di luce, di candore e della grazia di Gesù Cristo. Raccomandatevi sempre alla SS.ma Vergine. Figlioli miei in Gesù Cristo, che lo sguardo, l’andatura il tratto, il tono della voce, la natura delle parole, tutto insomma riveli in noi tale illibatezza e santità di vita, che il mondo abbia a dire stupefatto: sono questi i veri uomini di Dio – i veri figli della chiesa e del Papa, i veri figli della Divina Provvidenza (Scr. 39,146–147).
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Noi saremo gratissimi a Dio e di ammirabile edificazione e buon esempio, e spargeremo come un profumo di buon odore che inviterà tutti alla virtù, se saremo perfettamente modesti e riservati, pure mostrandoci non selvatici, ma cortesi ed educati e civili: però meglio essere selvatico per un religioso che troppo spigliato specialmente con persone di diverso sesso, meglio essere selvatici che essere di modi liberi e secolareschi. Tutto in noi deve rivelare e predicare la modestia e la santità, come diceva San Paolo che scriveva San Paolo a Timoteo: Exemplum esto fidelium in conversatione (4 – 12) (Scr. 52,35).
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Vigilanza, vigilanza, vigilanza su di noi e su gli altri vigilanza paterna, o sacerdoti, ma rigorosa, esatta, continua: in fatto di modestia non si transiga, non si transiga, non si tolleri: o correzione o espulsione. Nessun tratto famigliare anche innocente, e sopra tutto o cari miei, diamo buon esempio, diamo buon esempio, diamo esempio. «Le parole muovono, ma gli esempi trascinano» Così dicevano gli antichi. La nostra vita sia come uno specchio tersissimo in cui tutti possano continuamente specchiarsi (Scr. 52,35).
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Non fidatevi mai, tremate sempre e siate modeste, siate modeste! Oh quanto è bello veder passare le suore con gli occhi bassi, modeste: modestia, modestia, modestia! Ma quando c’è il vero spirito religioso c’è la pietà, c’è la modestia! Sapete perché il popolo ci vede bene? Mica perché siamo Figli della Divina Provvidenza, ma perché hanno stima, perché sanno che i nostri preti mantengono la condotta illibata. E la suora sarà sempre rispettata quando sarà modesta e negli occhi e nel camminare e nel trattare; il popolo ha il naso buono e capisce subito! (Par. II,213).
Vedi anche: Castità (virtù, voto), Mortificazione, Temperanza, Umiltà.
Monte di Pietà
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Ai fini della carità la Divina Provvidenza mi ha mandata un’automobile, di cui mi valgo per la cerca del rame rotto; dopo la festa della Madonna della Guardia, la vado ad impegnare al Monte di Pietà (Scr. 37,8).
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Stamattina sono passato davanti al Monte di pietà, ed ho ricordato a Dio e a Santa Caterina lei e ogni bisogno dell’anima sua, ma già dalla s. Messa avevo fatto uno speciale memento. Accolga dunque con le mie le preghiere dei figli della Divina Provvidenza e Dio la ricompensi largamente di ogni sua carità verso la Piccola Opera (Scr. 40,182).
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Ieri venne da me una signora e mi disse appunto che in casa sua non c’è più neppure un soldo e aggiungeva: «Io ho qui dell’argento per portarlo al Monte di Pietà: ci sono delle posate, delle tazzine e altre cose. Sono stata a Voghera, ma ho trovato chiuso il Monte di Pietà perché è caduto. Lo vorrei portar qui in questo di Tortona, ma ho vergogna. Veda un po’ lei, Don Orione. Mi farebbe un grande favore se andasse lei e lo cambiasse con quello che le danno in denaro!». Io ho detto di sì a quella signora, sapendo che là, al Monte di Pietà, ci sono due nostre Suore, ma senza l’abito. Le ho quindi mandate a chiamare e ho detto loro come stava la cosa. Esse poi mi dissero che anche là non c’era più denaro; ogni giorno la gente veniva ad impegnare chi dell’oro, chi dell’argento, chi persino la pentola di rame dove si fa la polenta, sostituendo ad essa quella più ordinaria di terracotta; chi viene porta della roba per avere solo una lira, c’è chi porta persino la camicia. Sapete, ho pesato quell’argento ed erano circa 10 chilogrammi. Riguardo poi al Monte di Pietà – questo lo dico a voi in confidenza – posso dire che se non fosse per me neppure a Tortona ci sarebbe il Monte di Pietà e nessuno sa che sono nostre Suore quelle due donne che ci stanno. Il Monte di Pietà fu istituito dal grande Servo di Dio, che fu il Beato Bernardino da Feltre, valentissimo predicatore delle idee molto avanzate nelle riforme pratiche della vita cristiana. Certo se non fu fondatore, lui che era francescano, fu il sostenitore della istituzione francescana dei Monti di Pietà (Par. V,136–137).
Vedi anche: Benefattori, Divina Provvidenza.
Mormorazione
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Non tolleriamo il peccato di gola, ma non siamo né passiamo per avari. In certe Case mi fa gran pena sentire lamenti e fin mormorazioni verso i Superiori perché non si dà, non si provvede, quando si può, a ciò che è necessario o anche conveniente, pur nella povertà, che ci sia; oppure si fa aspettare aspettare e non si è mai a tempo, e così si irritano gli animi e si alienano dalla Congregazione (Scr. 4,273).
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Vedete di aiutare Don Piana con carità, con pazienza, con fede di fare un grande atto di carità ad un fratello malato – non mormorate sempre sempre di lui, come si fa a tavola tutti i santi giorni: non va bene, questo: allora è meglio disinteressarvene, se non altro non fate peccati di mormorazione. Che spirito devono prendere i Chierici o quelli che sono a tavola, da questa continua critica? Io come vi posso credere quando mi date le relazioni, se so che c’è pericolo che non siate sereno e imparziale? Voi non ve ne accorgerete, non ci metterete malizia, ma il male esiste e la Casa non va bene. Io ora gli scriverò: ma sono sempre con il cuore in grande pena perché vedo che c’è troppa passione tra voi altri, e c’è poca unione e credo poca santificazione (Scr. 6,15).
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Ed ora vengo agli Ordinandi: proibisco che siano promossi alla Tonsura o a qualunque altro Ordine Chierici, anche di buone attitudini, di intelligenza, di studio, di abilità e lavoro, i quali, almeno da due anni – non abbiano data prova positiva e continuata di possedere spirito di orazione e di pietà vera. Dovessero andarsene anche tutti, se ne vadano e chi non va, lo si mandi via da noi, con carità, ma senza titubanze. E così i non sinceri, i golosi, i mormoratori, i non pii, i non fervidi nella vocazione e pietà – qualunque età abbiano – si dimettano, si dimettano, siano irremissibilmente allontanati (Scr. 19,66).
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Ordiniamo solo quelli che hanno dato un serio affidamento, non quelli che promettono che poi faranno bene, ma che fin qui non hanno in tutto né nell’annata accontentato. Fatelo per l’amore di Dio, della Chiesa e anche della nostra Congregazione. E così i golosi, i leggeri i mormoratori, i negligenti nei doveri, sia di pietà che di disciplina e di studio, gli avidi dello sport e di letture non permesse, non si dovranno ordinare, né ora né mai, se prima non c’è un lungo periodo di emenda, che seriamente affidi la Congregazione (Scr. 19,298).
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Delle volte si parla, e con troppa leggerezza si parla, e si critica e si mormora finanche: si crea così il malumore tra noi e certi enti morali da cui magari noi si dipende. E si chiacchiera, e si lascia chiacchierare a proposito ed a sproposito contro certe amministrazioni che non fanno, o che non hanno fatto subito quello che avrebbero dovuto, e che riteniamo avrebbero già dovuto aver fatto. E lì dai contro questo e dai contro quell’altro. Oggi sarà contro una Congregazione di carità, domani sarà contro la direzione di una cucina economica, etc. Non voglio più che si dica: «La Congregazione di carità non fa: la Congregazione di carità non ha fatto, et palam et publice: La Congregazione di carità qui, o la Congregazione di carità là». No, no, cari miei figlioli, queste cose, se anche fossero vere, non si devono dire che con il superiore, e non se ne parli mai più fuori perché io solo so il male che questi modi di dire possono fare e forse hanno già fatto, raffreddando le nostre relazioni anche con persone perbene e bene intenzionate ad aiutarci. E talora i ragazzi – (e anche persone adulte) sono lì che ci sentono, e poi vanno e riferiscono ciò che abbiamo detto e anche ciò che non avrete, certo, mai detto. È un modo di fare e di dire che ci toglie quella benevolenza presso persone serie e savie, e che ci nuoce assai assai. Lasciamo dunque questi modi, ve ne prego, per l’amore di Dio (Scr. 20,92–93).
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Ti scrivo per rialzare con carità di padre l’animo tuo e al tempo stesso per farti osservare come l’ira deformi anche le più belle qualità d’un servo di Dio, dissecca il cuore ed altera talmente la tua fantasia che ti porta a parole e ad atti non solo dure, non solo dispettose, ma veramente scandalose, e a mormorazioni e lamenti che tolgono la dolce convivenza e carità tra i fratelli, oltreché scandalizzano enormemente gli estranei e quelli di casa, specialmente i chierici che devono essere edificati dai sacerdoti e che sono giovani facili ad essere sgogliarditi perché ancora deboli nel servizio di Dio. Ora bisognerà proprio che tu metta la scure alla radice del tuo male, e che ti emenda (Scr. 29,169).
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Desidero che ogni mormorazione finisca: chi mormora non ha lo spirito di Dio. Evitino alcuni il contagio di volere comparire più abili degli altri, più capaci di fare, più saputi, e quasi i soli capaci di regolare bene la disciplina o di saper insegnare bene. È un’ambizione questa, è uno spirito di ambizione che si deve sradicare sul suo nascere: questo dico per i chierici. Regni sempre tra noi tutti la carità nelle opere, nelle parole e negli affetti in Gesù Cristo (Scr. 32,14).
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Non ascoltate, e abbiate in aborrimento quelli che non si guardano dal mormorare, dal gettare sospetti e fin diffamazione, e dall’esser cagione di dissapori e di amarezze, e anche solamente di freddezze scambievoli: essi non operano in Cristo: non sono veri figli della Divina Provvidenza, ma, in questo, sono ministri e figli del diavolo (Scr. 51,84).
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Fate voi di bandire ogni censura, ogni critica a questo e a quello, ogni mormorazione: bandite ogni discorso di cose profane, di cose leggere, di cose mondane, di cose secolaresche: tutte assai dannose nelle Comunità Religiose, e in opposizione allo spirito dei Figli della Divina Provvidenza. Che la carità fraterna vi leghi in modo nello spirito verace di Gesù Cristo che la vostra convivenza sia reciprocamente utile, lieta, serena, e di edificazione a vicenda. Amatevi ed edificatevi in Cristo a vicenda: amatevi come fratelli: come membri della stessa Congregazione, della stessa Famiglia Religiosa (Scr. 51,86).
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Non mi presentate dei chierici leggeri, mormoratori, insubordinati: i chierici che fanno i risentiti perché non furono Ordinati, non me li presentate neppure: i chierici che si appoggiano a qualche sacerdote di poco spirito, non me li presentate. Fate le cose in coscienza; se anche alcuni dovessero andarsene, lasciate che se ne vadano, ma non proponete i dubbiosi, i senza pietà, i senza umiltà, i seminatori di zizzania. Io qui ho sospesi parecchi dagli Ordini: non deve passare avanti se non chi ne è degno, cioè se non chi ha buono spirito e dà sicurezza d’essere buon religioso (Scr. 51,118).
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Poco si ama l’obbedienza, e più si pensa a salire o a ricevere presto gli ordini, che a rinnegare sé stessi; poco si ama la carità, e si mormora, e si sparla di questo e di quell’altro. So che qualcuno gironzola con facilità, che con facilità alcuni escono e vanno per bibite ai caffè, e di tutt’altro si occupano che di curare lo spirituale, e di tutti si occupano e di tutto si interessano eccetto che di curare sul serio sé stessi e di emendarsi e di darsi ad amare davvero il Signore: ora questo non va bene (Scr. 52,19).
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Guardatevi, o miei cari, dai mormoratori e da quelli che sono religiosi di nome e non di vita. La sacra scrittura dice che i mormoratori seminano la discordia, portano il malumore e la tristezza là dove dovrebbe regnare la pace, l’allegrezza insieme con la dolce carità fraterna e unione dei cuori. Figli miei della Polonia, scuotetevi e infervoratevi nel bene e nella unione, siate cor unum et anima una con il vostro superiore don. B. Marabotto. Con l’ubbidienza, rispetto e affezione con i vostri superiori fate che essi, come dice San Paolo: cum gaudio hoc faciant et non gementes abbiano cioè a compiere l’ufficio loro con gaudio e non sospirando (Scr. 52,121).
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Evitate ogni mormorazione, ogni critica tanto contraria alla carità. Coi vostri Superiori siate come un libro aperto con tutti e singoli i fogli tagliati. Con i compagni non vi siano mai rotture o dissapori Charitas omnia sustinet, ma vivete nelle case tutti uniti cor unum et anima una, in una sola volontà di servire e fedeltà a Dio e di aiutarsi fraternamente in umiltà gli uni gli altri. Tollerate i difetti altrui: tutti abbiamo i nostri difetti, bisogna saperci sopportare e adempire così il precetto di Gesù Cristo: Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi Iesu, ha scritto San Paolo. Non amiamo in parole e con la lingua, ma con l’opera e con verità. Siate dunque tutta docilità e obbedienza coi Superiori e sempre tutto cuore con tutti i Confratelli, e sempre e molto impegnati a cercare buone e molte vocazioni per la Congregazione. Solo così sarete veri figli della Congregazione (Scr. 81,238).
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Deponiamo ogni durezza di modi, ogni freddezza, ogni dissapore, ogni animosità: bando alle mormorazioni, ai lamenti, alle perturbazioni d’animo, tutti frutti di quel seme avvelenato che è l’amor proprio, nemico acerrimo della carità e della pace di Cristo (Scr. 100,247).
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Che lo spirito della fraterna carità eviti e impedisca tra noi la mormorazione. «Non mormorate», ha scritto San Paolo (I Coro 10,10). «I maldicenti non avranno l’eredità del Regno di Dio»: è sempre l’Apostolo, nella Prima ai Corinti (6,10). «Susurro coinquinabit animam suam et in omnibus odietur»: il sussurrone imbratterà l’anima sua, e sarà odiato da Dio e dagli uomini (Eccl. XXI, 31). «Non è forse peggiore di una vipera, la lingua mormoratrice? Per certo assai più crudele, mentre, con un sol fiato, avvelena mortalmente tre persone: colui che mormora, quello contro cui mormora, e quello che volentieri ascolta». Così scrisse San Bernardo (De Trip. custodia). Al contrario, come edifica un religioso che dice bene del suo prossimo e, a suo tempo, sa scusarne i difetti. Procuriamo, pertanto, di schivare ogni parola che sapesse di mormorazione, verso qualsiasi: e ricordiamo che, talora, è anche peggio della mormorazione l’interpretare male le azioni virtuose, o dide fatte con mala intenzione. Abbiamo delicata carità nei modi, ma senza sdolcinature. Non raccontiamo mai ad altri le cose udite in via riservata, né si riferisca al compagno quello di male, che altri avessero detto di lui, perché sarebbe seminare rancori e discordie. Guardiamoci dal dire parole che possano pungere o dispiacere, né trascorriamo ad animosità, né a far riprensioni, in presenza di altri, se non c’è giusto motivo. La carità fraterna è tesoro preziosissimo, e dobbiamo adoperare ogni cura per conservarlo ed accrescerlo. Lasciamo da parte ogni questione, anche fatta per amore della verità e per lo zelo della gloria di Dio, se quella questione potesse dividere gli animi e inasprire, pure un pochetto, il nostro cuore (Lett. II,399–400).
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Nessuna mormorazione, nessuna critica! Guai a quella comunità in cui si trovano i seminatori o le seminatrici di zizzania. È per il bene vostro singolo e comune ch’io dico questo; perché una comunità, dove regna la pace e la dipendenza, è un paradiso; al contrario, è un inferno, dove regna la discordia e l’insubordinazione (Par. I,7).
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Guai ai mormoratori! Dovranno rendere conto davanti a Dio: guai a chi semina discordie. Sentite una cosa contro una persona? Fatela morire dentro di voi. Mia madre, buon’anima, che non sapeva né leggere ne scrivere, mi raccomandava tutti i giorni: getta sempre acqua nel fuoco, non aggiungere legna. Se vedi uno zolfanello acceso, spegnilo, non attizzare il fuoco, mettici il piede sopra. Grandi insegnamenti questi, che restano impressi bene nella mente. Quando parlate, guardatevi dall’essere come le vespe che, con il loro pungiglione, punzecchiano sempre. Guardatevi dalla satira, dalla parola che ferisce, non dite: l’ho detto per burla; no, no; le burle che spiacciono, le burle che offendono la carità, lasciatele da parte (Par. I,207).
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Vado notando con dolore che da un po’ di tempo va spargendosi nelle nostre case il cancro della mormorazione, dei pettegolezzi; bisognerà prendere dei seri provvedimenti e non ammettere neanche al noviziato quelle che non avranno mostrato di avere buono spirito di custodia dei sensi, vero spirito di mortificazione, vero spirito religioso. È per quello che non ho avuto mai fretta per aprire il noviziato in forma canonica! Non è il numero grande che fa, ma è lo spirito, anzi spesse volte si fa più con pochi di buono spirito che in tanti! Gedeone ha vinto la battaglia con pochi. Cosa importa avere una comunità numerosa se non c’è lo spirito? Se c’è la mormorazione? La detrazione? Altro che seminar la zizzania! Ma guai quando si pretende di essere monache, e si è seminatrici di zizzania. Bisogna mortificarle, bisogna fuggirle queste abitudini che non sono affatto secondo lo spirito di una buona religiosa (Par. II,64).
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La cosa che molto nuoce alle Congregazioni religiose è la mormorazione, la mormorazione. Non dico di tutte, no; ma qualcuna deve cambiare. Via le mormorazioni, via le mormorazioni, che poi ci va l’anima dannata!... Le sussurrone, le brontolone, macchieranno l’anima loro e perderanno l’anima delle altre. Procurate voi pertanto di schivare ogni parola che suoni di mormorazione, sia delle vostre consorelle, che dei vostri superiori. Procurate di evitare ogni parola irosa; guardatevi ancora di riferire alle vostre compagne o superiore, quelle che altre di male han detto, perché poi portano il veleno, portano l’odio che dura alle volte anche degli anni, anche degli anni! Oh, che conto hanno da rendere a Dio le mormoratrici. Se Voi udite una qualche parola di mormorazione, lasciatela morire in voi; a meno che tacendo non ne venisse poi un male maggiore. Quando parlate guardatevi dal pungere; guardatevi, nel discorrere, dal pungere qualcuna; non dite cose che sapete possano recare dispiacere. In generale quelle che mormorano o che scherniscono le altre, o usano modi volgari, non perseverano in Congregazione, se ne vanno via. Meglio è essere poche, ma unite nella carità, che in gran numero senza la carità fraterna. Ci sono alcune che hanno lo spirito di litigio e quando la finiscono con una, hanno bisogno di averla con un’altra; e questa ha un difetto; quest’altra ne ha un altro... Ve lo dico io: il difetto sta nel manico; il difetto sta nel tuo cervello, il difetto sta nella tua superbia. Credetelo, il difetto sta sempre in voi che mormorate. Dio mio, Dio mio! (Par. II,98–99).
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Con la mormorazione noi leviamo l’onore e la buona stima della gente; e quando una mormorazione è uscita, anche volendola ritirare, noi non possiamo più: non riusciamo mai, mai, mai! Ecco perché San Filippo cercava di correggere quella donna dal menare la lingua, dal mormorare, dal criticare e dal cadere nella critica e, forse, un passo ancora più avanti, anche dal calunniare. Come il sonno è fratello della morte, così la mormorazione e la calunnia si danno la mano (Par. V,13).
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Cari miei, nella nostra Casa ci sono mormoratori, e da qualche tempo ve lo volevo dire. Siete già stati avvertiti più di una volta; ve lo ricorderò ancora; e anche Don Cremaschi ha voluto, a mia insaputa, parlare del vizio della mormorazione. Il Beato Don Bosco non tollerava la mormorazione. La mormorazione non fa mai del bene né a quelli che mormorano né a chi ascolta. Qui nella nostra Casa ci sono alcuni che si lasciano trasportare e trascinare dalla mormorazione; questo non è bello, assolutamente non lo dovete fare; è assai brutto. Anche la Sacra Scrittura dice di guardarsi da quelli che mormorano. Avete i Superiori; non vi avranno mai messo alla porta quando siete andati da loro. È loro sempre, sempre dispiaciuto quando venivano a sapere che non andavate da loro perché avete mormorato. Con la mormorazione la serenità, lo spirito religioso si affievolisce; nessuno ci guadagna, tutti ci perdono; e già perdura da alcuni mesi e ne ho già parlato. Non dovete più farlo e dovete farne coscienza perché è male ed è tanto più grande male che domani, andando in altra casa, lo porterete qua e là nelle varie case. Non sta bene assolutamente! Io per il primo conosco che in questa Casa vi sono difetti e vi dirò che solamente in Paradiso saremo perfetti. Però anche le deficienze della Casa non ci giustificano, non ci autorizzano a mormorare; avete i vostri Superiori; ma mormorare, non fatelo più! (Par. VI,31).
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La leggerezza! Che brutta cosa è mai la leggerezza! La mormorazione, che brutta cosa! Guardatevi dagli spiriti leggeri, che si lasciano trasportare da ogni soffio, e furono, anche quest’anno, quelli che operano il brutto male sopra di sé e sopra gli altri... Vi furono, anche quest’anno, dei sacrileghi, degli ipocriti, dei Giuda. Il bilancio di quest’anno non si chiude bene! Adesso sono venuti dei vostri confratelli dalle altre Case. Voi, che siete stati qui, – e mi rivolgo specialmente a quelli che mi hanno disgustato, a chi ha “os bilingue”, la lingua acuta e velenosa, a chi visse di spirito basso, a chi si serve di tutto per mormorare, per spargere zizzania – voi pensate alla vostra responsabilità! E voi, che siete venuti nuovi, prendete il bene ed evitate il male, perché ci sono alcuni che avrebbero dovuto essere allontanati. I superiori sono stati, con loro, longanimi, perché hanno creduto che aprissero gli occhi e il cuore a Colui al quale si diedero anche coi voti. Queste parole, che vi dico ai piedi del Tabernacolo, meditatele. E a voi, che siete venuti ultimamente, dico che sono in dovere di aprirvi gli occhi... Disponete tutti il vostro cuore a sensi di maggiore verità di vita religiosa; date bando alla mormorazione, alla leggerezza, che purtroppo ha dominato parecchi di voi, e li domina ancora (Par. VI,132).
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Lasciate la mormorazione! Via, via i sussurroni, i seminatori di zizzania. Non bisogna pretendere che i confratelli siano senza difetti; dobbiamo avere un manto di amore da saperli coprire. Se avete offeso il fratello, umiliatevi e quando vi domanda scusa, perdonategli; ma non fate mai il muso duro, non tenete il rancore. Così non fanno non solo le persone del mondo, ma neppure le persone un po’ educate. Dobbiamo imparare dai secolari a non tenere il rancore: non bisogna essere dei litiganti, sempre da trovare da litigare con tutti: alcuni per delle sciocchezze si accendono... ” Discite a Me, quia mitis sum et humilis corde! ” Cerchiamo di spegnere l’ira e guardiamoci dal dire parole aspre, pungenti, perché alle volte dispiacciono più le parole pungenti che le bastonate (Par. VI,265).
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Che nessuno si dia alle mormorazioni, alle critiche: tutte cose che raffreddano l’amore, anzi lo estinguano. Con un manto di amore e di carità copriamo gli uni i difetti degli altri, con la pietà e con tutto quello che è e deve essere la vita della Congregazione. E poi confortiamoci a vicenda; diamoci la mano e camminiamo insieme guardando in alto. Che bella cosa sentirci tutti una cosa sola e un’anima sola. Guai se la nostra carità si riducesse ad un aiuto materiale e non fosse vivificata dal soffio dell’amor di Dio (Par. IX,360).
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I mormoratori, i seminatori di zizzania, quelli che sono facili alla critica e che trovano sempre alcunché da dire sul conto degli altri, che non vedono, che non sanno vedere che la bisca di paglia nell’occhio dei fratelli, non si facciano della Piccola Opera della Divina provvidenza (Par. XI,293).
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Cari chierici, intendiamoci bene: i sussurroni, i mormoratori, quelli che vedono tutto con malizia, quelli che hanno sempre qualche cosa da dire contro il superiore A o contro l’assistente B o contro chi va sotto l’acqua e di giorno e di notte, anche esponendosi al pericolo di prendersi qualche polmonite, questi sono indegni di restare con noi. I mormoratori, i sussurroni, sono maledetti da Dio! Meglio siano maledette le mormorazioni! Susurro et bilinguis maledictus! Fra i propositi che farete durante la novena, che deporrete davanti a Gesù Bambino nella notte di Natale, vorrete deporre il proposito di lasciare la mormorazione e di purificare il cuore e la lingua e che tutto si rinnovi: omnia corda, voces et opera, cuori, parole e azioni. E, se si è qui per essere religiosi, si sia religiosi sul serio; se no andatevene con la benedizione di Dio (Par. XI,315).
Vedi anche: Calunnie, Carattere, Pettegolezzi, Superiori.
Morte
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È da qualche tempo che ogni morte di quelli che amo in Gesù Cristo più da vicino, e che più stimo per la vita di Cristo in essi, mi fa morire quasi della loro morte, umanamente parlando, e mi va preparando alla morte, facendomi conoscere sempre più la brevità dei miei giorni. «I giorni dell’uomo sono come erba», dice Davide nei Salmi, ma nella fugacità della vita presente Dio ci fa trovare la via alla vita permanente ed eterna. Noi siamo di stirpe divina, e, pure nel duolo, non dobbiamo piangere i nostri cari oltre misura, siccome fanno quelli «qui spem non habent». Figli della Provvidenza di Dio, affidiamo a Dio le anime nostre e le anime di coloro che già hanno finito il loro corso, come più anziani o più destri nel viaggio comune (Scr. 1,44).
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Se il morire giovane può spaventare, pensiamo che il vivere a lungo può essere più pericoloso. E che, per quanto la vita possa parer lunga, «sempre breve è la nostra giornata, e imminente la notte, quando l’uomo non può più operare». Beati noi se sempre avremo il dì della morte dinanzi agli occhi, e studieremo d’esser trovati in quell’ora senza peccato e di buona coscienza. «Ma a ben morire, dice l’Imitazione di Cristo, darà grande fiducia l’assoluto disprezzo del mondo, il fervido desiderio d’avanzarsi nelle virtù, l’amore della disciplina, il travaglio della penitenza, la prontezza dell’obbedire, l’annegazione di noi medesimi e l’aver sopportato qualunque dolore e avversità per l’amore di Cristo benedetto» (Scr. 6,150d).
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La ringrazio di avermi scritto, così ho potuto subito ricordare al Signore l’amico degli anni più belli, povero e carissimo Padre Stefano! Ho sentito questa morte come la morte direi, di un vero fratello. Quante care persone sono già scomparse dalla scena del mondo, dopo la mia partenza dall’Italia! È il Signore che mi avverte di stare preparato, e va disponendomi al grande distacco: e Dio sia benedetto di questi avvisi che mi dà: voglio veramente star preparato tutti i giorni, tanto più che presentisco che l’ora della chiamata non sarà lontana (Scr. 9,137).
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Confortiamoci così nella preghiera e nel Signore e non affliggiamoci sicuti et coeteri qui spem non habent. La morte dei nostri cari è un avviso per noi che questa terra non è la nostra patria, ma il Cielo. Là essa ci aspetta – lavoriamo per il Cielo, e andiamo avanti! (Scr. 25,161).
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Hanno ragione di piangere e di temere, per dopo la morte, coloro che, durante la vita, non hanno avuto vita cristiana, e non hanno amato il loro Dio; ma per quelli che vissero di fede e di viva speranza nella divina misericordia, la morte non è che un istante di merito, un sospiro prezioso, dopo il quale la salvezza è assicurata, e incomincia il gaudio eterno. Niente ci può consolare alla morte dei nostri cari che la Religione, e anche le orazioni di suffragio sono un grande conforto per essi come per noi (Scr. 25,184).
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La religione alla morte dei nostri cari ci apporta grandi consolazioni, sia pure nel più sentito dolore. La tristezza è propria di quelli qui spem non habent: la nostra fede è speranza ed è insieme conforto e sollievo. Questa morte di tuo papà fa, o figliuol mio, che sia proficua all’anima tua, facendoti riflettere sempre più che questa non è la nostra patria, che non siamo qui per godere, ma per patire e farci dei meriti per la vita eterna, e che, ad ogni giorno che passa, dobbiamo sempre più staccarci dalle cose e affezioni terrene e prepararci per la eternità Così vivendo, o caro don Francesco, la nostra morte sarà felice, e sarà anzi il più bel momento di tutta la nostra vita (Scr. 29,174).
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Hanno ragione di paventare la morte quelli che non hanno speranza, «qui spem non habent», dice San Paolo, ma chi crede e sente «la Comunione dei Santi», ma quelli che nell’amore di Dio vissero di fede e di speranza nella bontà del Signore, e che sanno che nulla si infrange di ciò che è buono, la morte, o figlio mio, non è che un istante di merito, un sospiro prezioso verso il Padre celeste, che ci aspetta, verso la Madre di Gesù e nostra, verso gli angeli e i beati, verso quei nostri cari, che da questa misera vita già passarono a vita beata: è un sospiro per essi la morte, dopo il quale la salvezza è assicurata e comincia il gaudio pieno della Comunione dei Santi (Scr. 31,218).
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Quale conforto il pensare che la natura ci inganna e che la fede sola è veramente il principio della vita? Per questo mi parve sempre che la morte delle persone, che hanno amato Dio in vita, e che erano a noi strettamente congiunte, è un avvenimento acerbo in apparenza, non meno vantaggioso dell’eterna salute degli amati defunti, che di noi stessi che sopravviviamo. Noi siamo così molto aiutati a pensare al Cielo, avendo colassù, come speriamo, quelle care persone che aspettano di rivederci in Dio. I nostri, che ci precedono al Cielo, pregano continuamente per noi e ci ottengono da nostro Signore una luce sempre maggiore per conoscere il nulla delle cose visibili, e il tutto delle invisibili, e un desiderio sempre maggiore di dedicarci, secondo lo comporta il nostro stato e la nostra vocazione, a servire Dio, e a giovare ai prossimi per amore di Dio (Scr. 39,10).
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La tristezza è propria di quelli qui spem non habent: conformiamoci pur nella morte dei nostri cari alla santa volontà di Dio. Lo sappiamo: questa non è la nostra patria: siamo qui per amare e servire Dio e per patire con Gesù, patire e meritare, e prepararci per l’eternità. Le persone tolte al nostro sguardo pensano ancora a noi e pregano per noi, e grande conforto è per noi di poter pregare per loro, e sentirci a loro uniti nel Signore. Che Gesù faccia sentire alla signoria vostra e alla povera vedova tutte le consolazioni che la nostra santa religione sa dare alla morte dei nostri cari (Scr. 43,185).
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L’ora della morte è incerta, cari miei figliuoli, chi muore vecchio e chi muore giovane: dobbiamo vivere sempre così cristianamente da essere sempre pronti a rendere conto a Dio di tutta la nostra vita. Il ricordo doloroso della morte dei vostri più cari parenti vi faccia pensare bene che non siamo in questa terra per godere, ma per pregare, per patire e lavorare e meritarci il Santo Paradiso (Scr. 46,113).
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L’ora della morte è incerta, cari miei figli: chi muore vecchio e chi muore giovane, e da tutti si muore, e dai più si muore quando forse meno si crede. Ciò che però importa è che dobbiamo vivere sempre così cristianamente da essere sempre pronti a dare a Dio conto della nostra vita secondo il suo spirito e le sue grazie. Questo doloroso e primo anniversario del terremoto vi faccia riflettere bene che noi non siamo su questa terra per godere, ma per fare del bene: per amare e servire a Dio e al prossimo, per pregare per lavorare per patire e per meritarci il paradiso. Dobbiamo adunque tenere, il cuore distaccato dalle cose terrene e prepararci per la eternità e per il cielo (Scr. 50,304).
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Ecco, come la morte può sorprenderci d’ora in ora, e in modo subitaneo. Essa non guarda, né a gioventù né a robustezza di temperamento, ma viene, tamquam fur, nell’istante che meno ce l’aspettiamo. Il Signore ha visitato il nostro, Istituto: adoriamolo e preghiamo! Sì, figliuoli miei, preghiamo e perseveriamo nella nostra santa vocazione, e stiamo vigilanti con le lampade in mano, sempre in attesa. Per me e per voi questa morte improvvisa è una grande voce di Dio. Una voce che ci invita non solo a chinare riverenti la fronte, ad umiliarci e ad adorare i giudizi imperscrutabili del Signore; ma una voce che viene a scuoterci perché ci infervoriamo a vita religiosa di virtù e di santità. Questo è che Dio vuole e da me e da voi. E vuole anche che preghiamo per il nostro caro morto, e che preghiamo tanto; i suffragi saranno di conforto a noi e di sollievo a lui. Che se egli fosse già salito a quel Dio, che pur trova macchie anche nelle bianche ali degli angeli suoi, se anche D. Gandini non avesse più bisogno della nostra preghiera, essa non sarà vana; pietoso come fu sempre verso i sofferenti, vedrà con gaudio distribuirsi ad altri dal Signore quei suffragi doverosamente da noi fatti per l’anima sua. E ci conforti il pensiero che un giorno il nostro D. Ernesto lo incontreremo in Cielo, dove, ai piedi della Santa Madre del Paradiso, egli intanto pregherà per me e per voi, e si farà angelo di consolazione nelle nostre pene, insieme con quegli altri fratelli che già ci hanno preceduti alla Patria (Scr. 82,167).
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Dio ci chiama a sé, si muore di morte improvvisa, sul letto, per le vie, ci chiama nelle ore e nel modo più adatto e più conveniente alla nostra salvezza eterna. Il Signore ci dà sempre questa grazia, ma noi dobbiamo sempre essere preparati. Che egli venendo ci trovi con le lampade accese, piene di olio, non come le Vergini fatue del Vangelo... Cerchiamo di trarre motivi di meditazione. La vita Religiosa è vita di perfezione e qualche cosa di più, di meglio, e di alto (Par. IV,272).
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Io, quando ero ragazzo, dicevo: Quando avrò 20 anni! Oh, la vita a vent’anni è sparsa di rose! Che illusione! La morte è quel punto da cui dipende l’eternità: Momentum a quo pendet aeternitas, mors. Preghiamo e suffraghiamo l’anima di questo caro Confratello; spero che sia già salito alla gloria; tuttavia è nostro dovere di pregare (Par. V,78).
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Quando muoiono i Santi sono già morti a sé stessi! Che la mia e la vostra morte sia veramente una morte cristiana! Badate, quest’anno ne avremo degli altri morti. Questo ve lo dico qui, davanti a Gesù nel Tabernacolo. Teniamoci pronti, la morte verrà a battere parecchie volte alla nostra porta. È una grande grazia quando Dio dà segni che si preavvisi per qualcuno... E dovete tenervi pronti, tenete il cuore staccato da tutto, osservare le regole, vivere della grazia di Dio. Facciamo ogni sforzo per vivere santamente perché per qualcuno verrà presto il giorno del Signore (Par. V,334).
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La morte dei nostri cari è proficua alle nostre anime perché ci fa riflettere che non abbiamo quaggiù una stabile dimora, ma che siamo incamminati alla futura, come ci dice l’Apostolo. Non habemus hic manentem civitatem... Camminiamo verso l’altra patria che è il Cielo, ove non saranno più lagrime, dolori e morte. A questa riflessione ci porta la morte dei nostri cari. La morte dei nostri cari ci fa sentire che non siamo in questa vita per offendere Dio ma per praticare le obbligazioni del nostro stato, per combattere contro ciò che possiamo sentire in noi, e vedere fuori di noi, di male, e per lavorare a bene dei nostri fratelli. La morte dei nostri cari serve a distaccarci dai beni vani e fallaci del mondo e a dirigere i nostri desideri verso la eternità che ci aspetta... La morte dei nostri cari deve ricordare a me e a voi quello che ha detto nostro Signore: Quae seminaverit homo haec et metet... Se noi semineremo passioni di carne, voi conoscete le parole terribili di San Paolo ai Galati: Qui semina in carne sua de carne et metet corruptionem; qui autem seminat in spiritu, de spiritu metet vitam aeternam... Chi semina nella carne, mieterà pure nella carne; chi invece semina cose spirituali farà grande mietitura per la vita eterna... Si facta carnis mortificaveritis vivestis... Se avremo abbracciato la croce, se avremo compiuto volentieri la volontà di Dio, sia da ogni gioia che da ogni dolore, raccoglieremo vita eterna. Dobbiamo trarre motivo da tutto per distaccarci, per svincolarci dalla terra e attaccarci a tutto ciò che sa di spirito, a tutto quello che ci santifica e unifica in Cristo (Par. VIII,26).
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Come è preziosa la morte dei giusti e quanto dovrà essere stata preziosa la morte di colui che il Vangelo stesso chiama per antonomasia Iustus. Sapete, o miei cari chierici, chi farà la morte più bella, la vera morte del giusto? Farà la morte del giusto colui che, per l’amore di Dio e dei fratelli, avrà data la sua vita per la carità. Domani è l’ultimo giorno di marzo. Invochiamo di frequente San Giuseppe e preghiamo San Giuseppe che ci faccia fare la morte del giusto. Ma ricordiamoci che farà la morte del giusto chi, per amore di Dio e del prossimo – i nostri due grandi amori, i nostri due sacri amori – avrà dato la sua vita. Cari figlioli, oggi e per sempre preghiamo così: Caro San Giuseppe, possa io morire della morte del giusto. Muore con la morte del giusto chi sa dare la vita per la carità! (Par. VIII,226).
Vedi anche: Defunti (devozione ai), Esercizio della Buona Morte, Paradiso.
Mortificazione
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Se non c’è umiltà e amore di Gesù Cristo e purità di vita e d’intenzione e mortificazione di volontà e di gola e di sensi, e formazione profonda di coscienze religiose convinte non edificheremo per Gesù Cristo, né per la Chiesa, né formeremo figli per la Congregazione (Scr. 2,256).
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Vi raccomando molto la pulizia, il fervore della orazione, la semplicità e sincerità della vita, e un po’ più di amministrazione oculata e di economia: non con grettezza, ma in spirito di santa povertà religiosa. E chi non ha spirito di pietà, chi non sa rinnegare sé stesso, chi non sa sacrificarsi, chi rifugge dalla mortificazione od è leggero, variabile, dimettetelo nel Signore. Scrolla, scrolla un po’ più la pianta, e che le foglie secche se ne vadano in Domino (Scr. 3,503).
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E noi, ora che Dio ci va aprendo un po’ gli occhi e ci dà un po’ più di esperienza facciamo un proposito: di non mandare alle Missioni se non quelli che mostrano per lunga prova di esservi veramente chiamati da Dio: se non quelli che sono di provata vocazione missionaria, e che mostrano vero spirito di umiltà, di fede, di pietà, di mortificazione di obbedienza, di lavoro, di sacrificio, di zelo (Scr. 4,232).
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Preghiera, lavoro e temperanza: ecco ciò che farà fiorire davvero la nostra cara Congregazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire Unione con Dio – faticare per le Anime – mortificare il corpo con le sue passioni e mortificare la gola! Oratio – labor et temperantia: che vuol dire tutta la vita dei Figli della Divina Provvidenza! In queste tre virtù c’è tutta la nostra vita! Non c’è per noi altra vita: Non c’è altra via per farci santi. Non c’è altro modo né miglior modo per amare e servire Dio, per imitare Gesù Cristo: per servire davvero la Santa Chiesa e il Papa Non c’è altra né miglior via per imitare la Madonna, per esserle devoti sul serio – per amarla davvero! Non c’è altra via per servire e salvare le Anime! Non c’è altra via per essere veri e santi Religiosi (Scr. 4,261).
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Perché mi vuoi rendere malcontento, anche ora che ti ho mandato in Terra Santa? e non pensi che dovrai rendere un grave conto a Dio della tua vanità e leggerezza? del tuo poco spirito di umiltà, di mortificazione e di sacrificio e di sottomissione? del tuo amor proprio, delle tue viste, della tua volontà? Se non amerai di più la preghiera, se non ti mortificherai di più nella tua gola nella tua testa, in certi tuoi sentimenti pieni di amor proprio e di superbia, e delle volte fin di capricci: se non sarai più umile, se non amerai di più la fatica, il sacrificio con il lavoro, vedi che finirai male (Scr. 4,262).
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Senza mortificazione della gola non c’è nessuna virtù, e non c’è, sopratutto, castità. Per questo San Filippo Neri diceva: «datemi una persona mortificata nella gola ed io ne farò un Santo»; ma chi non è mortificato nel bere e nel mangiare, chi vuole mangiare bene e vuole ungere la gola non avrà castità, non avrà virtù, non sarà mai un buon figlio della Divina Provvidenza, né buon Religioso. La Sacra Scrittura dice: «Il goloso sarà sempre povero. Chi ama il vino e i buoni bocconi non farà mai roba» (Proverbi) La nostra Congregazione si farà grande e farà gran bene, finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e nel bere, particolarmente saran circospetti nel permettersi bibite, vino, liquori e il fumare. Cari miei figli di Terra Santa, se il vizio della gola prendesse mai possesso di codesta vostra Casa, voi sareste bell’e perduti! Guai agli amatori del vino puro, delle buone bottiglie e dei buoni bocconi! (Scr. 4,264).
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Le tribolazioni, le mortificazioni, le croci, che ci manda il Signore o che il Signore permette sono prove infallibili del suo amore. Noi saremo come Gesù ci vuole, e veri seguaci di Gesù Cristo solo se porteremo la croce come Lui e con Lui. Anche le mortificazioni che ti tocca sopportare, caro Don Adaglio, da codesta Superiora, prendile dalle mani di Dio, pensa che sono vere grazie di Dio e che possono e devono fare un grande bene alla tua anima. Bisogna avere sempre dinanzi agli occhi l’esempio dei Santi, ma specialmente di Gesù Cristo; le mortificazioni che ci tocca di patire ce le manda Dio in bene e a santificazione vera delle anime nostre; convieni quindi baciare la mano che ci percuote, e baciarla nell’atto che ci percuote e che sentiamo più vivo il dolore. E la mortificazione nel nostro spirito è proprio la più importante, la più cara a Gesù (Scr. 5,451).
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Ricorda loro di frequente che tutto il fondamento del Vangelo consiste nell’abnege, nella mortificazione interna ed esterna, e che, senza mortificazione e orazione non si arriva alla perfezione: la Mortificazione e la carità sono il tutto della vita religiosa (Scr. 8,171).
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Non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, la umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione tutti uniti di mente e di cuore in Cristo, in una parola, vivere Cristo (Scr. 8,209).
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Comprendo, o miei cari figlioli in Gesù Cristo, che dovrete soffrire, ma fatevi animo che cosi vincerete voi stessi per amore di Dio e vi formate allo spirito di vera penitenza e mortificazione religiosa. Cari miei figlioli, in Paradiso in carrozza non si può andare; ma due sono le vie del Cielo: innocenza e penitenza per amore di Gesù Crocifisso (Scr. 24,9).
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Vivi in Gesù casto e santo: vivi crocifisso e muori del tutto a te stesso per vivere del tutto alla carità di Gesù! Nella orazione nel raccoglimento, nell’umiltà e nella mortificazione della vita e negli altri esercizi della Croce esercita l’anima tua! e lo spirito del Signore ti inondi il cuore e te lo ricolmi di grazie e di benedizioni, pegno dei favori celesti e dei sacri carismi che ti aspettano nel Sacerdozio! (Scr. 25,2).
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Si amino scambievolmente, e coltivino soprattutto, la virtù dell’umiltà, della mortificazione, della pietà; la bella e angelica virtù, la preghiera, il rinnegamento di sé, lo spirito di lavoro, di obbedienza, di sacrificio: raccomando vivamente la carità fraterna ed una devozione tenerissima, filiale alla SS.ma Vergine. Il Signore vi benedica tutti, o figli miei, in terra e in cielo; e scriva nel suo cuore sacratissimo le vostre fatiche e ogni opera vostra buona (Scr. 29,80).
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Quante anime sono state vittime dei sensi immortificati! Chi non sa mortificare la gola, chi non sa custodire gli occhi ed essere modesto, chi non sa tenere a posto le mani, chi non sa turare le orecchie e non ascoltare tutti i discorsi buoni e cattivi, non sarà mai un buon religioso. L’occhio è come la finestra per la quale il demonio entra nel cuore. State attenti, o miei cari, quando uscite o nei passeggi. Temperanza poi, vi raccomando molto la temperanza: senza la mortificazione della gola non saremo buoni religiosi senza la mortificazione della gola non avremo la bella virtù della purezza. E pregate! La preghiera vi otterrà da Dio la grazia di mortificare i sensi e di mortificare il cuore (Scr. 29,90–91).
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Dobbiamo dunque combattere da valorosi soldati di Gesù Cristo; e, a forza di penitenze, di mortificazioni, di preghiera, di vigilanza sopra noi stessi, di assiduità all’orazione e di umiltà, resistere al demonio, al mondo, alle passioni, e lottare sino al sangue, fidati in Dio, pur di essere fedeli alla santa vocazione eremitica, e rendere frutti di opere buone; poiché ha detto il Signore che «ogni albero che non porterà buon frutto, sarà sradicato e gettato al fuoco» (Scr. 30,213).
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Raccomando a te e agli eremiti molto spirito di annegazione di voi stessi e di orazione e di mortificazione. Pensate che niente può l’umana fragilità, ma affidatevi totalmente a nostro Signore e alla Santa Madonna; e dacché, con la divina grazia, avete abbandonato il mondo con il corpo, così distacchiamo il cuore da ogni affetto che non sia Dio e la Sua Santa Croce, ponendo in Dio ogni speranza e fiducia: distacchiamoci anche da noi medesimi, abbracciamo la Santa Croce e seguiamo Gesù Cristo! (Scr. 34,15).
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Ma la prima mortificazione per noi, credetelo, o mio caro fratello, è quella di rinnegare la nostra volontà e di essere sempre bambini per amore di Gesù Cristo e della s. chiesa nostra madre. Capisco bene che la pratica di questa mortificazione importa una continua lotta con noi stessi; ma preghiamo e combattiamo costantemente contro noi stessi, e saremo vincitori. Vincendo noi stessi vinceremo tutti i nostri nemici (Scr. 35,251).
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Fuori dell’obbedienza non v’ha virtù solida, ma solo amor proprio e inganno. La via della mortificazione del nostro amor proprio e della disciplina e obbedienza, è, per un religioso, la via della pace e della salute (Scr. 43,203).
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Abbiamo bisogno di orazioni, e solamente la Madonna ci può aiutare, ma anche le orazioni poco ci serviranno se non leviamo i difetti e lo spirito di leggerezza e lo spirito di leggerezza e lo spirito di leggerezza e abbracciamo per amore di Gesù crocifisso la mortificazione e l’obbedienza e la carità. Io per me sento che forse presto me ne vado, tocca a voi, o figlioli miei, mantenere la Congregazione e non lasciare che si perda lo spirito di vita umile, povera, mortificata e ardente di carità e sacrificio che la deve animare e far prosperare a gloria di Dio e della santa Chiesa (Scr. 52,20).
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Vorrei quindi che ciascuno di voi si mettesse per conto suo a curare in sé lo spirito di pietà, di umiltà, di mortificazione del suo amor proprio e che, continuamente, cercaste di vivere da buoni novizi, rinnegando voi stessi per amor di Gesù Cristo. La vostra lettera è piena di orgoglio, e non è nulla affatto una lettera da chierici, e tanto meno da poveri figli della Divina Provvidenza. Non scrivo questo per confondervi, no! o cari miei figlioli, no! Dio sa quanto vi amo nel suo cuore; ma Dio sa anche quanto soffro di vedervi ripieni dello spirito di abisso e di voi stessi (Scr. 52,196).
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Rettificate nel Signore tutte le vostre intenzioni; e offrite a Gesù crocifisso, per le mani della SS.ma Vergine tutto quello che dovrete patire, e lieti di faticare e di patire per l’amore di Dio benedetto, sopportando in silenzio, e anzi in perfetta letizia, ogni contrarietà e mortificazione (Scr. 52,199).
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Anche da quando eravate qui, o mio buon fratello, io avevo osservato di fatto che qualche volta vi lasciavate portare un po’ dalla gola ed eravate un po’ troppo poco mortificato, ciò che mi ha sempre fatto assai pena. L’essere ghiotto è un gran male: San Filippo Neri diceva: datemi un giovane mortificato ed io ve ne dò un santo; la mortificazione della gola è l’a, b. c. d della vita spirituale. E voi incominciate di lì, se volete cominciare bene (Scr. 54,77).
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La mortificazione reca pace e allegrezza e spiana la via del Cielo. Mortifichiamoci se vogliamo custodire la bella virtù (Rom. VIII): se noi viviamo secondo la carne, morremo: se mortificheremo la gola e le inclinazioni della carne, avremo la vita – Il Signore disse a Santa Geltrude che, per Colui che è mortificato i sentimenti del corpo e le facoltà dello spirito saranno altrettanti servitori, se no altrettanti padroni (Scr. 55,39).
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Noi, ti dico, siamo molto poveri peccatori, ma qui potrai esercitare di più le virtù religiose, quali sono: l’umiltà, la povertà, la mortificazione, la semplicità, la carità e l’abbandono nella divina Provvidenza, e sopra tutto poi una continua orazione e rinnegamento di te stesso per amore di Nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 66,58).
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In codesta Casa si curi in modo speciale la mortificazione dei sensi e della volontà, e ciascuno cresca nella mortificazione della gola e viva in sobrietà; ma nel vitto non vi deve essere mancanza del necessario, e si deve usare prudenza da ciascuno da non mortificarsi talmente da indebolirsi di soverchio le forze (Scr. 84,169).
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Per essere una vera Sposa di Gesù Cristo, e figlia devota della Santissima Vergine, è necessario mortificare e reprimere la nostra natura ribelle: ricordate quel che dice nostro Signore nel Vangelo: “Chi vuol essere mio discepolo rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Abbracciate, dunque, coraggiosamente la vostra croce, giacché tutti ne abbiamo una; e se non l’avete, chiedetela alla Santissima Vergine (Par. I,10).
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Fra gli altri uffici il Signore ha dato a me l’ufficio di essere un po’ il mortificatore vostro e di quelle di voi che il Signore chiama alla sua sequela. E quando vi sentite mortificate, pregate, pregate. La penitenza si fa soffrendo e baciando la croce. Le mortificazioni che ci riserviamo noi, avranno il loro merito, ma quelle che ci vengono dagli altri ci fanno sante. Quando vi sentite deboli, pregate; quando avete l’animo in desolazione pregate, quando state ferme, quando camminate, quando lavorate, pregate, pregate sempre! (Par. II,53–54).
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Siate mortificati e lavorate! Volete voi porre al sicuro questa bella virtù? Siate sobri, siate temperanti. Figliolini miei, volete voi mantenervi costanti e conservare questa angelica virtù? Siate sobri, siate temperanti, siate mortificati nella gola, siate mortificati nella gola! (Par. II,62).
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Mortifichiamoci, mortifichiamoci e compiamo opere di bene, opere sante. Il Signore a noi ha dato di vedere questo nuovo anno. Egli, nella sua infinità bontà, non fa niente senza un fine santo; il fine di concederci ancora questo tempo, è appunto quello di fornirci un nuovo mezzo di mortificazione, un nuovo mezzo di soddisfare per i nostri peccati. Che grazia grande ci fa il Signore! (Par. II,187).
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Mortificazione, temperanza: mortificazione della gola, dei sensi, degli occhi. Voi lo sapete, e ve l’han detto tante volte, che gli occhi sono le finestre per le quali entra il male. Colui che vuol portare gli occhi su tutto, che tutto vuol leggere, che vuol vedere tutto, non è casto! E s’illude colui che dice: Io so salvarmi, so stare attento! Don Bosco diceva: Portate i vostri occhi sotto le scarpe. Nella Compagnia di Gesù si ha una regola anche per il passo da tenere, e sono notati i Gesuiti, anche per il modo con il quale vanno per strada, compassati, ordinati, mortificati negli occhi. Pregare, ricorrere a Dio: Omnia possum in Eo qui me confortat. Se lo chiediamo l’aiuto a Dio tutto possiamo. Mortificazione, fuggire l’ozio e guardarsi da tutto quello che può toccare lo spirito (Par. V,320–321).
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Le grazie il Signore le fa, ma vuole che le chiediamo. Mi raccomando tanto la preghiera, vi raccomando molto la mortificazione dei sensi, della fantasia, della gola. Si deve proprio amare l’abnege temetipsum. La preghiera e la mortificazione devono servire a mantenerci sempre più puri (Par. VI,38).
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La primavera è un tempo nel quale noi dobbiamo pregare, mortificarci e vigilare sopra di noi perché le passioni non abbiano da prenderci. Con molta sapienza la Chiesa ha istituito la mortificazione, i digiuni e le astinenze della quaresima; con occhio spirituale e con spirito lungimirante la Chiesa, qual buona madre, ha istituito queste penitenze. Vi esorto a raccomandarvi a Maria Santissima, a mortificarvi, a pregare. Vi metto in guardia; vi raccomando di pregare e vi raccomando tanto e tanto di mortificarvi e di studiare; e con la pratica dello studio disciplinate lo spirito e mortificate le passioni (Par. VI,95).
Vedi anche: Carattere, Croce, Distacco (virtù), Fortezza (virtù), Obbedienza, Penitenza (virtù), Privazioni, Rinnegamento di sé, Sacrificio, Sette “effe”, Straccio (spiritualità dello), Temperanza.
Musica
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Dopo essermi particolarmente raccomandato al Signore e alla Nostra Santa Madre e Fondatrice Maria SS.ma vengo a dirti quali sono le mie idee sul Canto e sulla Musica. Il Canto Gregoriano è il Canto della Chiesa, ed è quello che i Figli della Divina Provvidenza devono specialmente coltivare. Fin qui nelle nostre Case si è data più importanza alla musica vocale e, in certe Case, anche alla musica strumentale, ed intanto poco si conosce il Canto Gregoriano, o non se ne tiene conto alcuno. Si impiega molto tempo per far musica, per fare imparare della musica, e al canto vero della Chiesa non ci si pensa, anzi ti dirò che qualche cantore nostro di musica o strimpellatore di armonium e di pianoforte si credette come umiliato ad acconciarsi a cantare le Antifone dei Vespri e la Missa Angelorum. Tanto si è già fuori di strada, caro mio Don Cremaschi, facendo un torto gravissimo al Canto della Chiesa, che è il Gregoriano. Mi rivolgo a te, che sei il Maestro dei Novizi, raccomandandoti di infondere nei nostri un grande amore al Canto Gregoriano, sì che tutti abbiano a cuore di apprendere il canto fermo l’insegnamento di questo canto; e ordino, (vedi che vocabolo adopero), che nessuno sia ammesso alla musica, se prima non ha compiuto un buon corso di Canto Gregoriano cioè di canto fermo. Poco importa che i nostri Sacerdoti o Chierici non sappiano di musica! Troppo rari sono gli Ecclesiastici e Religiosi dediti allo studio della Musica, che io stesso ho conosciuti nella mia vita di ormai 60 anni, che fossero Chierici, Ecclesiastici e Religiosi di esimia pietà. Ne ho conosciuto e ne conosco, invece, parecchi che lo studio della musica li ha fatti sconfinare, e uscire dalla diritta strada; su dieci che apostatano dal Sacerdozio o dalla vita religiosa, una metà, in media, sono amanti della musica e portati smoderatamente alla musica. Rari sono i Sacerdoti e Religiosi musicisti di vero spirito: spesso diventano vani, fatui, esaltati, si inaridiscono nella pietà, mancano di serietà, prendono un modo di fare secolaresco e mondano, e fanno peggio dei borghesi, vanno portati dalla musica e ad ogni genere di musica, fino a perdersi (Scr. 3,454).
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Poco importa che i Figli della Divina Provvidenza non sappiano di musica, ciò che moltissimo importa è che sappiano il Canto Gregoriano. Il canto Gregoriano, bene conosciuto, aiuterà assai per il decoro delle sacre funzioni, darà alla vita religiosa un orientamento particolare di serietà e di alta ispirazione ed edificherà ed eleverà lo spirito nella soda pietà: facendo gustare i canti e i riti sacri, esso edifica e solleva a Dio i cuori nostri e dei fedeli. In vari Stati cattolici si fa attualmente diligente studio di questo canto, e anche in Italia esso sta nei programmi d’insegnamento della Scuola popolare, e lo si insegna già come elemento di educazione religiosa della gioventù. Desidero pertanto che nel Noviziato s’insegni a tutti il canto fermo, e che si vada avanti a farne studi più profondi, a misura della capacità dei Chierici. Si avvezzino ad eseguirlo sia con accompagnamento di armonium e anche senza tale accompagnamento, in modo che usciti dal Noviziato, dovunque abbiano i nostri a recarsi, possano compiere nelle Sacre funzioni bene e decorosamente la loro parte; s’insegnino i vari toni: si facciano apprendere le Messe dei vivi e dei defunti del Graduale, e si addestrino ad intonare da soli le Antifone. La scuola di Canto fermo vada di pari passo con la scuola di Sacre cerimonie; sia nostra santa ambizione questa: che cioè, le sacre funzioni, ordinarie e straordinarie, siano sempre eseguite con decoro riguardo al Canto Ecclesiastico e riguardo alle Sacre Cerimonie. Se si eseguirà devotamente il Gregoriano si avranno delle funzioni religiose che attireranno a Dio il popolo e si farà un gran bene. Se il canto Gregoriano si eseguirà con la conveniente distinzione delle voci e dei vari Cori, nulla esso lascerà da invidiare alla musica, che, anzi, il Canto Gregoriano riuscirà sempre con maggior frutto spirituale delle anime (Scr. 3,455).
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Quanto allo studio della musica, esso è tollerato, non comandato né consigliato; e solo si conceda, eccezionalmente, che qualche Chierico o Sacerdote tra quelli di migliore spirito e che danno più affidamento per condotta ottima e vita da buoni religiosi studino quel tanto di musica da accompagnare le Litanie, Tantum ergo e qualche Messa in musica, che si dovesse cantare fuori delle nostre Case, perché nelle nostre Case, le Messe devono essere novantanove su cento nel canto della Chiesa, cioè in Gregoriano – e solo in via eccezionalissima, e per forza maggiore, siano in musica. Per le funzioni in musica non si facciano spese; anche dove il Superiore Maggiore permetterà che si impari qualche Messa in musica, non se ne impari più di una all’anno, e non si impieghi molto tempo per far imparare Tantum ergo o Messe in Musica, con danno delle occupazioni e dei doveri principali, come si è fatto in qualche nostra Casa, con mio vivo dispiacere e vero discapito dello spirito religioso e dello studio. E anche quando si permetterà di cantare la Messa in musica, siavi sempre uno scelto Coro per cantare in Canto fermo l’Introito, il Graduale, l’Offertorio e il Communio e nei Vespri le Antifone. E chi studia musica sia trepidante di sé, e non vi attenda che nel tempo designatogli dal Superiore: e il Superiore vigili sempre perché la musica non affievolisca lo spirito della pietà né la vita religiosa, e veda che non si studi su autori od opere profane. Ecco, caro Don Cremaschi, i criteri e le norme per quanto riguarda il Canto della Chiesa e la Musica (Scr. 3,456).
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Non tollerare delle formazioni religiose a vernice; non tollerare Chierici che sonnecchino tranquilli; non quelli un po’ alti e un po’ bassi; non quelli né caldi né freddi; non i golosi, non gli avidi di letture, di letteratura, di musica, di fotografie; non i leggeri, non i vanitosi, non gli avvocati. E non ti accontentare, per carità, di certo formalismo né delle pratiche esterne di pietà (Scr. 8,208).
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Al mio ritorno dall’America ho trovato troppa musica e troppe macchine fotografiche; questa Casa era appestata dalla musica. Richiamo anche su questo la tua vigilanza, tanto più che sono proprio ora in codesta Casa alcuni che mi hanno preparato qui la penosa sorpresa. Niente musica: canto gregoriano, sì: musica, no! (Scr. 8,222).
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Io voglio tutto quello che vuole il Papa, e il Vescovo nostro fedele rappresentante del Papa: io voglio quindi la musica e musica sacra con la stessa intensità di desiderio e di opera con cui la vuole il Papa e la vuole il Vescovo (Scr. 35,35).
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Nelle arti belle la più bella tra tutte è la musica. Se il ritmo di essa è ispirato da Dio, la musica è divina, rapisce il giovane e di botto lo mena in paradiso: essa ha la virtù di pacificare gli animi, mutare i cuori e raddrizzare i traviati. La musica è il cuore della gioventù: buona musica fa buono il cuore: inspira fede, fortezza, coraggio. Essa eccita potentemente le facoltà dello spirito, ispira altissimi concetti, elettrizza le genti alla gioia, al brio, all’amore di Dio e dei fratelli; in maniera che quelli che non cantano, cantano; quelli che non sono poeti, poetizzano; quelli che non amano Dio, lo amano! Tortona, culla del Perosi, sarà la terra delle armonie di Dio (Scr. 57,249).
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Il nostro più grande Concittadino mi parlava, un giorno, di musica, e ne parlava come sa parlarne Lui, a me, che di musica ne so un’acca, benché la bellezza dell’arte mi rapisca e senta vibrare in me una certa musica, quasi divina armonia della mia vita. Il Maestro diceva che una delle attrattive della musica è costituita – sapete da che? dalla pausa! La pausa è diversa dal finale, perché fa presentire, anche nel silenzio, che la musica continuerà. Nella pausa l’animo assimila, commentandole, le armonie che l’han preceduta e sta, vivamente sospeso, nella desiderosa attesa delle armonie che seguiranno. Non è un vuoto la pausa, aggiungeva ma è un legamento tenue ed è un inizio: una sospensione piena di fremiti di vita, latente e tesa. Così parlava Lui, il nostro grande Maestro. Ma diceva ben più e ben meglio che io non sappia ripetere: neanche so balbettare le sublimi cose che Egli disse: poi, ve l’ho detto, io non so di musica! Solo so che, dopo la pausa, il genio musicale del nostro Perosi sa trarre i pezzi più belli. Avete mai udito gli Oratori o qualche altra composizione Perosiana? Dopo la pausa, a volte è il coro pieno, travolgente: a volte un motivo nuovo che s’insinua in quell’armonioso silenzio, o ritorna lieve, lieve, come una rievocazione lontana, il motivo dominante che lega e riassume tutta la mirabile composizione (Scr. 62,86).
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La musica è tra le arti belle quella che ispirata a Dio più innalza e la religione la benedica poiché essa scioglie il gelo che agghiaccia i cuori, versa balsamo sulle ferite morali purifica in un’onda di melodie soavi; rapisce le anime in una preghiera che è adorazione, speranza, amore. O voi, o Parrocchiani di Volpedo, a Voi non indegni eredi della fede avita il provvedere la vostra Chiesa di questa opera di culto e di arte così necessaria. Il vecchio organo della nostra Parrocchia ormai era ridotto a sì ruinoso stato che invece di servire a rendere più splendide le cerimonie del culto e ad elevarci a Dio con l’armonia dei suoni, pur troppo malgrado tutta l’abilità di chi lo toccava, egli riusciva a certe stonature che erano un vero sconcio per la serietà delle funzioni sacre, e un disaccordo sgradevolissimo in mezzo alle armonie dei cantici e all’elevarsi delle anime al cielo (Scr. 66,255).
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I canti, la musica son belle cose, mi piacciono e vorrei fossero ancora migliori, ma non bastano, sono l’esteriore, non la sostanza; ed è questa che il Signore vuole da voi; la vostra sostanza che consiste nel rinunziare e nel mortificare noi stessi (Par. I,10).
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Come sarei stato contento se, invece di sentire tanta musica, avessi sentito un poco più di canto gregoriano, che ci fa sentire e pregustare le armonie del Cielo. Nessuno sarà ordinato nella nostra Congregazione se prima non darà un esame di canto gregoriano. E la scuola? Vi darò chi vi farà la scuola! E cercate di impararlo bene. Il Papa della nostra Congregazione, Pio X, ha voluto che nei Seminari si curasse il canto gregoriano, e volle che in San Pietro si cantasse da tutti i Collegi il canto gregoriano... Io fui a quell’adunanza di clero. Che meraviglia! Che cosa! Mi pare ancora di sentire quelle melodie celesti! (Par. III,27).
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Riguardo alla musica vi debbo dire che io sono il più acerrimo nemico e non concepisco nessuna speranza di riuscita in quel Chierico che la seguisse. Son contento e desidero che ognuno sappia suonare un Tantum Ergo, le Litanie, la Messa, ma voglio che sia il canto Gregoriano. Sono nemico della musica perché ho conosciuto troppi preti che, con la musica, hanno fallito. Mi piace il canto Gregoriano e voglio che s’impari, invece di perdere il tempo ad imparare quella canzonetta di stampa francese, come al ciel, al ciel ecc. che sono cose da donne; noi siamo uomini e dobbiamo bandire questi canti affettati e che non dicono niente. Il nostro Papa Pio X era il Papa non solo della fede ma anche del canto gregoriano. Noi dobbiamo essere i propagandisti del Canto Gregoriano. Sono stato in Svizzera qualche volta a portare delle lettere per incarico del Governo Italiano ed ho sentito gli Svizzeri cantare molto bene in Gregoriano. Sono stato a Voghera e nel nostro Istituto ho sentito cantare un Tota Pulchra, dai soli cantori, così insipido che non mi è piaciuto per niente. Non mi piace che si cantino dei Tantum Ergo a solo ma tutto il popolo deve cantare. Si deve coltivare molto il canto Gregoriano e i chierici si guardino bene dal farsi vedere a imparare musica altrimenti non prenderanno Messa, non prenderanno Messa mai o almeno dovranno aspettare un successore dopo la mia morte. Vi parlo così perché ho avuto alcuni sotto di me divenuti musici e sono andati a finir male, per esempio Don Chiappetta che è in America e non si sa se è prete o quel che è. Uno mi ha scritto l’altro giorno dicendomi che non sa come fare a vivere. Il povero Totò Traversi, direttore dell’Augusteo a Roma, che si è suicidato due o tre anni fa e tanti e tanti altri. Non sembra che un po’ di musica faccia male, ma invece è tutto al contrario perché la musica è una seduzione continua. Si comincia che si sa appena qualche nota, qualche Tantum Ergo, roba di Chiesa, e fin qui nulla di male, anzi bene. Ma salta fuori poi qualche musica nuova, qualche novità e che so io, si comincia con qualche canzoncina, e poi canzonetta e poi anche qualche canzonaccia e poi qualche pezzo d’opera; e così via senza accorgersene si va a finire miseramente. Quando vedete un pezzo di musica fatevi il segno di croce come se vedeste la coda del diavolo (Par. III,228–229).
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Se c’è uno che ama la musica quello sono io, ma dati gli effetti che ho avuti... La musica la permetto nelle Case ed Istituti, la banda, un po’ di canto, qualche rappresentazione, ma c’è da stare attenti bene, perché possono nascere le affezioni morbose... perché c’è quello là che ha un vocino... quell’altro là delle belle mosse ed un bell’aspetto e allora cominciano i beniamini e le gelosie, così... e tante porcherie, per chiamarle con il loro vero nome. Durante la Messa poi, strettamente parlando, non si può parlare in italiano o almeno si cerchi di parlare il meno possibile. Prima il Pange lingua, O Salutaris Ostia, Veni Creator Spiritus e il Magnificat, specie al Sabato o nelle feste della Madonna; e poi ci sono altri canti bellissimi: “Là sotto quel vel” di Sant’Alfonso dei Liguori, c’è invece un inno che in Chiesa non si dovrebbe cantare, cioè “Inni e canti...” bello, ma è troppo marziale, è adatto per processioni, giornate eucaristiche, circoli cattolici ecc. Certi inni cattolici poi non si dovrebbero cantare più come per esempio: Pietà Signor... là dove dice “Salvate Italia e Roma ecc.”. se una guardia sentisse avrebbe tutte le ragioni di poter dire di smettere di cantare, giacché dopo la Conciliazione le cose sono cambiate. Si canti invece il Gregoriano, lo Stabat Mater, specie di venerdì e nei giorni della Via Crucis. Per questa sera vi raccomando il canto per la Novena di Natale. Ho sentito che facevate le prove, ma non cantavate bene. Il canto gregoriano deve essere specialmente dei Chierici. Dire Figlio della Divina Provvidenza o dire amante del canto Gregoriano è la stessa cosa (Par. III,230).
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Noi vogliamo pietà e studio, non musica. L’esperienza di cinquanta anni ha insegnato che generalmente i preti musici non sono mai stati a posto; eccetto Don Scaglia di Voghera, sacerdote degnissimo, dinanzi al quale io mi prostro e se fossi Papa lo eleggerei subito Cardinale o Vescovo. Il Cardinal Cagliero non sarà in eterno santo ed io avrei preferito che fosse stato il portinaio dell’ultimo Collegio Salesiano, e santo, piuttosto che musico e non santo. La musica presenta un grande pericolo per la gioventù. Noi abbiamo avuto molti chierici che sono falliti per la musica. La fede e la purezza sono le cose più preziose e più delicate (Par. V,363).
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Lasciate da parte qualsiasi musica. Sapete che sono tanto contrario alla musica. L’ultima volta vi ho detto che i vostri canti sono belli: ma la Chiesa aspetta da noi un altro canto. Tutto in noi deve cantare; ma guai se non è la carità che canta; se non è lo spirito del Signore che canta in noi (Par. X,232).
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Vorrei che nessuno di voi vedendomi così terribilmente ostile al sentimentalismo musicale, pensasse che io sia ostile al canto! Purtroppo ho visto tanti perdersi per la musica e per questo tremo quando vedo qualcuno che trascende e non si mantiene nei giusti limiti della musica. Ma io vorrei che in questa casa e nelle altre nostre, dove ci sono chierici, probandi, novizi, collegiali, chiamateli come volete, vorrei che in tutti ci fosse esultanza, serenità, letizia, gioia e che tutti sentissero il bisogno di cantare! Questo sia per chi non mi avesse compreso o compreso malamente. Dico questo per togliere delle idee non giuste, non corrispondenti al mio sentire, perché quando, con anima che trema, alzo la voce contro gli abusi e i pericoli che possono derivare ai nostri chierici dalla passione non contenuta della musica, ciò non toglie che io desideri che si canti, che si lodi e si sollevi lo spirito a Dio con il canto! Io penso che la prima parola detta dall’uomo a Dio nel paradiso terrestre, dopo la sua creazione, sia stato un canto, canto di ringraziamento e di lode dal nostro primo padre Adamo innalzato a Dio per averlo chiamato alla vita! (Par. XII,20–21).
Vedi anche: Arte, Messa (santa).
Natale
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Buon Natale! Ogni cuore esulta di santa gioia all’approssimarsi del grande giorno in cui il verbo Divino, preso corpo e anima come abbiamo noi, per opera dello Spirito Santo, nasce bambinello, splendente di celeste bellezza nel presepio, fra due animali, su misera paglia. Che arcano sublime si manifesta agli uomini in quella grotta solitaria! Il bambino Dio, tra le braccia della sua santissima madre «in poveri panni avvolto» vagisce, piange, trema di freddo intenso. Ma egli non è solamente uomo: è anche Dio: ed ecco che milioni e milioni di angeli sul presepio librano il volo e cantano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! Devoti lettori, ecco i nostri auguri: gloria all’Altissimo e pace ai vostri cuori! Gloria all’Altissimo con la fede che ci auguriamo cresca in voi tutti vigorosa! Fede nutrita dagli insegnamenti del vangelo e dalla santa chiesa cattolica, apostolica e romana. Fede nutrita dalla parola del vicario di Gesù Cristo, Maestro infallibile del genere umano in tutto ciò che riguarda la fede e la morale, e dalla voce dei Vescovi che lo Spirito Santo ha posto a reggere la chiesa di Dio. Fede accompagnata dalle buone opere, e anzitutto da una coscienza scevra dal peccato, santificata dalla presenza dei Sacramenti. E, insieme con questa fede operativa e santa, vi auguriamo la pace! La pace vera che viene dall’amore di Dio e dalle sue celesti benedizioni (Scr. 61,84).
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Natale! Natale! Ecco il giorno dell’innocenza. I fanciulli i quali sono tanto cari al cuor del Signore, aspettano questo giorno, che, essendo la festa del Dio Bambino, è pure la loro festa. E i vecchi, vedendo la gioia serena dei fanciulli, invidiano la loro purezza e la loro fede, e ripensano l’innocenza dei loro primi anni. Natale è giorno in cui bisogna diventar puri di cuore per gustar la gioia della festa. Come si potrebbe passar bene il Natale con il peccato nel cuore? Noi dobbiamo accoglier Gesù nel nostro cuore. Non ne è il padrone? Egli dunque deve regnarvi, e il nostro cuore deve ubbidirgli. Noi dobbiamo cioè avere i suoi affetti, i suoi sentimenti, le sue idee: amare quello ch’Egli ama, odiare quello ch’Egli biasima, desiderare, operare quello ch’Egli desidera ed opera. E Gesù è questo che vuole, renderci suoi: Dio si fece uomo, affinché l’uomo diventasse come Dio. Eppure, come è accolto Gesù dagli uomini? Quanti sono quelli che pensano a purificare il loro cuore per accogliervi Dio? Pur troppo per molti il Natale d’oggi è come il Natale di 1926 anni fa. Allora Gesù nacque in una grotta. Maria e Giuseppe erano andati a Betlemme per dare il loro nome sui registri del censimento. Maria si presenta con San Giuseppe alla porta dell’albergo batte all’uscio dei parenti e degli amici, ma le si risponde: non abbiamo posto per voi! E Maria deve uscire di Betlemme, e cercar rifugio in una grotta tra gli animali, che non le rifiutano quello che gli uomini le avevano negato. Le donne di Betlemme videro quella giovane sposa andar di porta in porta cercando ricovero; la videro verso sera uscir di città e non ne ebbero compassione. E quanti Cristiani fanno pur così? Quanti rigettano Gesù, che vuole entrare nel loro cuore? quanti chiudono l’orecchio alla voce di Maria, che con le sue ispirazioni li chiama di continuo a Dio! Quanti danno a Gesù un cuore che è peggiore della grotta di Betlemme! Ma guai, guai all’avara, alla spietata Betlemme! Perché in essa entrarono poco dopo i sicari di Erode a spada sguainata, e sparsero per le vie e per le piazze il sangue e le viscere dei bambini Innocenti. Gesù accolse quei pargoli nel numero dei Martiri, ma, intanto, le madri loro li dovettero piangere svenati, ed apprendere che nulla si rifiuta a Dio impunemente. O anima, che rifiuti Gesù, tu non vuoi dare a Dio il tuo cuore, ma vi entreranno i tuoi nemici, e tu piangerai desolata (Scr. 62,59–59b).
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Oggi, nel mondo intero, si celebra il Natale, la sacra notte della nascita di Gesù. E per tutto è una gioia serena, una grande universale gioia! È la dolcezza di Dio che si fa sentire, e la santa potenza della bontà del Signore che è più grande, oh sì! assai più grande e duratura che non il rumore di tutte le battaglie di questo mondo, di tutti i conquistatori di questa povera terra! La bontà del Signore ci attira in mezzo agli aridi e dolorosi smarrimenti della vita; il celeste chiarore di questa mistica notte del santo Natale attrae anche le anime più lontane, viandanti traviati o smarriti, come attrae il chiarore del casolare paterno nella foresta oscura! Oh divina luce di Gesù Bambino! Ah soave e santa bontà di Dio e della Chiesa di Dio! Fratelli, siamo buoni della bontà del Signore e poi non temete mai che la vostra opera vada perduta: ogni parola buona è soffio di Dio: ogni santo e grande amore di Dio e degli uomini è immortale! La bontà vince sempre: essa ha un culto segreto anche nei cuori più freddi, più solitari, più lontani! L’amore vince l’odio: il bene vince il male: la luce vince le tenebre! Tutto l’odio, tutto il male, tutte le tenebre di questo mondo, che sono mai davanti alla luce di questa notte di Natale? Nulla! Davanti a Gesù, e a Gesù Bambino, sono proprio un nulla! Confortiamoci ed esultiamo nel Signore! La effusione del cuore di Dio non va perduta per i mali della terra, e l’ultimo a vincere sarà Lui, sarà il Signore! E il Signore vince sempre nella misericordia! Chi vince diversamente passa e non se ne parla più! Passano i re; passano i conquistatori della terra: cadono le città, cadono i regni, arena ed erba coprono il fasto e le grandezze degli uomini, e i venti e le piogge disperdono i monumenti delle loro civiltà. «... I buoi nell’urne degli eroi spengon la sete» cantò Zanella. Tutto passa: solo Cristo resta! È Dio, e resta! Resta per illuminarci, resta per consolarci, resta per dare a noi nella sua vita la sua misericordia! Gesù resta e vince, ma non nella misericordia! (Scr. 62,123).
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Prepariamo le vie del Signore! Doliamoci dei peccati commessi per la grazia del Signore. Umiliamo i monti dell’orgoglio, colmiamo le valli dell’egoismo raddrizziamo i sentieri tortuosi delle passioni e dei vizi: purifichiamo le anime nostre e saremo non del tutto indegni di vedere la salvezza di accogliere in noi il gran Dio e Salvatore Nostro Gesù Cristo. Il Natale ci invita a vivere piamente attendendo quella beata speranza che sarà l’apparizione gloriosa di Cristo. Dobbiamo rinnovarci nell’intimo dello spirito: Gesù Cristo deve rinascere misticamente nella fede e nell’amor nostro: ai piedi di Lui i pastori deposero i loro agnelli e i Re Magi oro incenso e mirra, e noi non offriremo nulla? Sorretti dalla Sua grazia, vogliamo offrire a Gesù l’omaggio di tutte le nostre idee, sentimenti, operazioni: la mente, il cuore, la vita. Noi vogliamo al Suo Natale diventar semplici come i Pastori, docili come i loro agnellini vogliamo adorare Gesù accogliere Gesù tra le nostre braccia vogliamo accettare devotamente la sua dottrina, la sua legge le sue disposizioni la sua Chiesa: credere, sperare amare come Lui vuole per essere salvati secondo la sua misericordia mediante il lavacro della rigenerazione e nel rinnovamento dello Spirito Santo che Gesù copiosamente diffuse su noi. Dio apparso fra di noi in tanta povertà chiamò prima intorno a sé i poveri. E si rivelò non ai sonnolenti ma a quelli che vigilavano e lo attendevano nella semplicità della vita: ai poveri e ai vigilanti agli umili tiene in serbo le sue consolazioni. Essi “andarono in fretta”. Sant’Ambrogio scrisse: “non s’ha da cercare Cristo con indolenza, ma con fervore e con slancio”. La benedizione di conoscere, di vedere, di amare, di servire il signore è una grazia grande, che si deve meritare con l’alacrità della fede, la semplicità dello spirito la prontezza nel corrispondere alle voci di Dio. Chi indugia lascia trasvolare gli angeli: guai a chi impigrisce nella sonnolenza dello spirito. Guardiamo al Bambino che ci sorride e ci tende le braccia. Esultiamo nel Santo Natale, o fratelli e figli miei, poiché nel Natale celebriamo quella grande ora della storia nella quale il Figlio di Dio, apparendo sulla terra in forma umana, diventò di tutti gli uomini il Salvatore. Il verbo si è fatto Uomo è nato tra di noi, dimora fra di noi (Scr. 81,307–308).
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Miei figli e buone Suore, il vostro padre lontano viene a Voi a farvi i suoi Auguri, a portarvi la benedizione santa del Natale. O Figli della Divina Provvidenza, com’è bella la nostra fede e la carità fraterna che ci unisce, in un cuore e in un’anima sola, ai piedi di Gesù! Nessuna distanza ci impedisce di sentire strettamente uniti e concordi a cantare insieme: gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà! E camminiamo anche insieme, è tanto confortante! E camminiamo in fretta anche noi, andiamo a Gesù, e glorifichiamo e lodiamo il Signore! Gesù! Salus generis humani! : è il nostro Dio, è il solo salvatore di tutto il genere umano. Del Signore è la terra e tutto ciò che la riempie: il Signore è venuto a salvarci, e noi cammineremo agli splendori della sua gloria. E regnerà su di noi il Salvatore del mondo: Salus generis humani (Scr. 88,115).
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Adoriamo, o fratelli e figliuoli, il nostro Dio grande e nostro Salvatore, e in questo suo Natale abbandoniamoci alla più santa gioia dello spirito, ai più vivi trasporti di dolcissima esultanza e d’amore. Il suo trono non vacillerà, fu preparato ab aeterno: ecco viene il grande invincibile Re e Salvatore: Salus generis humani. Patriarchi e Profeti Lo videro in spirito, ed esultarono; era solo una speranza o una promessa, un raggio di luce lontana. Ma quali sentimenti di ineffabile riconoscenza non dobbiamo aver noi, o figliuoli, che possediamo il Bene che essi sospirarono, e che non videro che tanto di lontano? Oh! e chi potrà dire l’amore che Gesù ci svela nella sua nascita? Condotti dal lume della fede, adoriamo la infinita maestà di Dio, nascosta sotto il velo dell’infanzia; che questo prodigio di onnipotenza e di amore accenda in nostri cuori della più ardente carità. Ah! Signore! il vostro nome è mirabile su tutta quanta la terra: Voi siete veramente il Dio delle meraviglie, ma trascende ogni meraviglia vedere l’Onnipotente fatto Bambino e coricato in una mangiatoia, per amore di me peccatore. Che avran detto gli Angeli, che non vi siete fatto Angelo, ma nostro fratello, spoglio di ogni gloria, fanciullo, debole, umiliato, reietto? Oh carità di nostro Signore! Ben si comprende il gaudio ond’erano inondati San Girolamo, San Francesco d’Assisi ed altri Santi e Sante quando giunsero a pregare nella grotta di Betlemme. “Il tutto Serafico in ardore” usciva in estasi celestiale, ogni qualvolta parlava di Gesù Bambino. E spirito altamente mistico e poetico, volle nella foresta di Greccio la prima pittoresca rappresentazione del Presepio vivente (Scr. 88,116).
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C’è forse qualcosa di più dolce, e che ispiri di più a vivere in umiltà, ad amare Dio nella santa povertà, in letizia e gioia serena, che il sorriso del Bambino Gesù? C’è qualche cosa che commova e faccia piangere di un pianto più sentito e più consolante, che quel volto, rapimento degli Angeli, ed il riflettere che un giorno quel colto santo sarà schiaffeggiato e pesto, coperto di sputi e di sangue? E di quale corona sarà mai trapassata quella fronte divina?! E le mani, i piedi, il Cuore? Ah Gesù, Re d’amore, che ci hai amato più della tua vita, come resteremo insensibili, e non vivremo della tua vita e del tuo amore? Non sei Tu venuto a soffrire per noi, a portare le nostre miserie, a riparare pei nostri peccati, a riscattarci, a liberarci dai nostri mali? Non sei tu venuto per affocarci di divino amore? Per tutti Tu sei venuto, pei grandi e pei piccoli, per dar pace, salvezza e amore insaziabile a tutti gli uomini di buona volontà! Salus et Amor generis Humani. E perché impariamo ad amarlo senza riserva, senza interruzione e perfettamente, Gesù ci chiama al Presepio, come un dì ha chiamato i pastori: alla scuola di Betlemme vuol trasfondere in noi il suo spirito, e attrarci alla bellezza dell’umiltà, della povertà, della carità: vuol fondare nei nostri cuori il regno di queste tre grandi virtù, senza le quali, o miei figli, non saremo mai veramente suoi discepoli. E con esse, quasi; loro ancelle, avremo altre virtù: l’ubbidienza, la pietà, la mortificazione, la purezza, la pazienza, la dolcezza, l’amore fraterno. Preghiamo, o miei figliuoli, Gesù di purificare i nostri cuori e di disporli a ricevere le sue lezioni e le sue grazie. Preghiamolo che ci ispiri una viva compunzione dei nostri peccati, di non soffrire in noi l’attacco al mondo, ci riempisca del suo spirito, e regni solo sui nostri affetti, sui nostri pensieri e su tutte le nostre azioni; affinché Egli sia tutto in noi, e noi tutti in Lui. O miei cari figliuoli, prostrati con i pastori ai piedi del Santo Bambino, diciamogli: vieni, o Gesù; prendi possesso e regna sull’anima mia. Non voglio essere che di Te solo: Tu sei il mio Dio, vieni, o Gesù, vieni. Io ardisco stendere le mie mani verso di te: Tu sei il mio amore. Tu il palpito e l’anima dell’anima mia vieni, Gesù, vieni! (Scr. 88,117).
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Torna Natale con il suo manto di neve, coi fantastici suoi ricami di brine e di gelo, con il suono pastorale delle cornamuse e lo squillo giocondo di tutte le campane! Torna Natale con il ceppo scoppiettante sotto la gran cappa dei vecchi camini e coi negozi riboccanti d’ogni ben di Dio. E nel tepore dei salotti, su rami verdissimi, tra fiori lucenti e la più gioiosa e santa poesia, mi par di vedere ambiti regali, e tanti tanti doni natalizi! Vi sarà qualche cosa anche per il sereno e lieto Natale dei miei Orfani? dei miei poverelli? qualche cosa anche per i figli della Divina Provvidenza? Oh sì, che vi sarà! i nostri Amici e Benefattori furono sempre tanto generosi! Intanto vi sarà Gesù, il Messia lungamente aspettato: verrà e non tarderà; e in quel giorno risplenderà una gran luce, luce di pace, di letizia, di benedizione! E già l’occhio lo vede e il cuore lo pregusta in una intima arcana spirituale dolcezza. E questa luce sempre più serena e confortatrice auguro ai nostri Benefattori, splenda essa bella in questo Santo Natale nei Loro cuori e sulle Loro famiglie, pegno di grazie e di benedizioni senza fine! E poiché al nuovo Santuario della Guardia, che già sa l’ardore e l’incanto delle feste cristiane, non mancherà il Presepio, e avremo Gesù su la paglia, anzi il Presepio vivente con gli angeli e belli scendenti a schiere per l’ampia notte stellata, anche i Figli della Divina Provvidenza insieme con gli Angeli canteranno pace, gloria e osanna: Gloria in excelsis Deo et in terra pax! pace e benedizione ai nostri Amici e Benefattori! Pace! che bella che santa parola per l’umanità, agitata dal turbine rumoroso di tante passioni! Pace che conforto per il cuore bisognoso di balsamo di riposo, oppresso da un cumulo di rimpianti, di disinganni, di tramonti inattesi, di amicizie disperse (Scr. 92,63).
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Il Santo Natale è la festa che ci ricorda la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo; la nascita di Gesù fu il primo atto della carità di Dio nella redenzione del mondo. Questa solennità è universalmente celebrata nella Chiesa il 25 Dicembre. Papa San Giulio I, nella prima metà del IV secolo, ordinò ricerche negli archivi dell’Impero, che conservavansi in Roma, per conoscere l’epoca precisa del censo ordinato da Cesare Augusto. Da accuratissime indagini risultò che il grande avvenimento della nascita di Cristo era avvenuto il 25 Dicembre. San Giovanni Grisostomo dichiarava che è dalla Chiesa Romana che egli aveva ricevuto l’indicazione del vero giorno natalizio di Gesù. Sant’Agostino, nella sua Omelia sul Natale, asserisce che il 25 Dicembre, è il giorno preciso della nascita di Cristo, e fin dai suoi tempi ciò era un fatto accertato dal consenso generale della Chiesa (Scr. 94,270).
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Nulla di più splendido, di più augusto, di più dolce che la celebrazione del Santo Natale. Le tre Messe Una venerabile tradizione assicura che Gesù è nato a mezzanotte. Le tre Messe del Natale hanno un significato ben distinto. La Messa di Mezzanotte rappresenta lo stato degli uomini quando tutti erano nelle tenebre, e simboleggia, ad un tempo, la generazione eterna del Verbo di Dio, occulta agli esseri creati. La seconda Messa, detta dell’aurora, rappresenta lo stato della umanità in cui si cominciava a conoscere Gesù Cristo, ma solo per mezzo dei Profeti, e indica altresì la nascita naturale di Cristo, la quale, perché da una Vergine, fu in parte naturale e in parte profondamente misteriosa. La terza Messa che si celebra alla luce chiara di pieno giorno, rappresenta il tempo della grazia, quando gli uomini ebbero la cognizione piena di Gesù Cristo, e indica la nascita corporale di Lui, onde addivenne visibile a noi. Venite, amiamo Gesù! Venite, prostriamoci alla culla del santo Bambino, e adoriamo Gesù! Effondiamo i nostri affetti, il nostro pianto di soavissima consolazione davanti al Signore. Venite, adoriamo e amiamo Gesù! Uniamoci ai pastori semplici e buoni: accostiamoci con umile riverenza, ma senza timori: offriamo i nostri doni, i nostri cuori – e diciamo confidenti a Gesù che venga in noi e che riposi nel nostro cuore umile, puro, fervente – riposi in noi, e noi riposeremo in Lui. Non si dà riposo dove Egli non riposa. Il nostro cuore diventi la sua culla. Venite, adoriamo e amiamo Gesù! (Scr. 94,271).
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Natale! Festa della carità! Il Bambino Gesù ha improntato e impastato di carità, di amore questa sua festa. Il Bambino Gesù è poverello, è nudo, è su paglia, povero Gesù! Ha bisogno della carità di tutti, dei ricchi e dei poveri. I pastori accorrono con i doni, umili, casalinghi, pratici, il latte e i formaggi...e i Re Magi vengono con i doni più ricchi. Il primo Natale è un Natale, una festa di carità. A Voi vengono in spirito quanti sono ricoverati nelle diverse nostre Case sano i malati, bimbi ancora o vecchi cadenti che ringiovaniscono in questa onda festosa del Natale e nei lieti ricordi di altri Natali lontani, soffusi dal soffio d’innocenza e di fede: gradite, o Anime benefiche, il loro Augurio: buon Natale! Ecco, viene a Voi, una fervida schiera di giovani dal viso aperto e luminoso: sono i nostri neofiti, gli apostolini, che sognano l’altare, la stola, l’Agnello di Dio: Vi portano il buon Natale ma, impazienti, levano lo sguardo ai vasti campi dell’apostolato, già intravedono le tribù selvagge da evangelizzare. Ora sono i Chierici della Divina Provvidenza: uno stuolo innumero che si avanza nella luce che piove dalla fronte immacolata di Maria. Aiutati da Voi, o Benefattori, essi crescono a pietà, studio e lavoro, e domani, Deo adiuvante, saranno una forza di bene, di fede, di civiltà per la Chiesa e per l’Italia, anelanti in umiltà e fervore, a servire Cristo nei poveri, nei nostri fratelli più bisognosi e più abbandonati (Scr. 94,275).
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Esultiamo, o fratelli, e cantiamo ancora noi con gli Angeli: Gloria... e pace! I pastori erano poveri, erano semplici e pii, onde ad essi apparve l’Angelo; e, giunti alla grotta di Betlemme, il cuore loro s’intenerì davanti a Gesù Bambino. Il Signore parla agli umili, ai puri, ai semplici, I pastori erano uomini di buona volontà e gli Angeli chiamarono su di essi la pace. Ecco, è apparso il Salvatore e Dio nostro, il Messia! Erano migliaia di anni che i popoli lo sospiravano: Lo sospiravano i Patriarchi e i Profeti; Platone ne vaticinò la venuta. Virgilio aveva annunziato una nuova età, un nuovo ordine, un restauratore. Cristo è nato a salvare tutti gli uomini e lo splendore di Lui rifulge oggi su noi, ristorati dalla sua grazia, inondati dalla sua luce! Solo la sua grazia, la sua vita riempie i cuori e dà la pace! È nato Gesù che darà il perdono ai nemici, vincerà il male con il bene e comanderà l’amore a tutti: Gesù, l’Autore della vita, il Redentore del mondo, il Largitore d’immortalità. Adoriamolo, o fratelli, adoriamolo. E che l’universa terra lo adori, lo ami e inneggi a Cristo! Cantian al Signore un cantico nuovo e tutta la nostra vita sia un cantico d’amore a Dio e al prossimo, poiché la misericordia del Signore è discesa più ampia del mare e dei cieli: terra e mare e cieli sono un nulla davanti alla carità infinita di Cristo (Scr. 104,95).
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Dio grande e buono, Dio onnipotente ed eterno, che per noi ti sei fatto Bambino e ci allieti coll’annuale festività del Natale, purifica la nostra vita mediante i celesti misteri: edifica in noi il regno del tuo santo amore e della soavissima pace: dirigi le nostre volontà al ben e le nostre azioni secondo il tuo beneplacito. Fa, o Signore, che camminiamo sempre per il diritto cammino, sotto il tuo sguardo e ai piedi della tua Chiesa, in umiltà semplicità ed esultanza. Gesù Bambino, Gesù dolce, Gesù amore! Noi ti vogliamo amare e servire in carità grande e in santa letizia, sempre contenti per la beata speranza, amando e vivendo delle cose umili e povere, come tu, Gesù, ci hai insegnato. Vogliamo far del bene sempre, far del bene a tutti, o Gesù, benedicendo sempre non maledicendo mai! Aiutaci, o Signore! O Gesù, che sei ancora e sei sempre in mezzo a noi, senti il bisogno che abbiamo di te, in questa ora del mondo. Vedi, o Gesù, che noi periamo! Salvaci ancora una volta! Dà ai poveri, agli operai, alle masse proletarie e dà ai ricchi la tua luce di verità e di giustizia, la tua carità, quella carità che è vita, fratellanza e salvezza: che nulla chiede e tutto dà; che sola, che sempre unifica ed edifica in Cristo per la vita del tempo e per la vita dell’eternità. Fa’ sentire a tutte le genti che, sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni e parti si leva il Vangelo, e con il Vangelo si leva il grande Padre delle anime e dei popoli, “il dolce Cristo in terra”; con il Vangelo si levano i Vescovi, che ne sono i maestri, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio (Scr. 104,96).
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Esultiamo nelle dolci Feste del santo Natale, poiché nel Natale celebriamo quella grande ora della storia nella quale il Figlio di Dio, apparendo sulla terra in forma umana, diventò di tutti gli uomini il Fratello e il Salvatore. Il Santo Bambino, nato fra di noi in tanta povertà, ci animi ad amare sempre più i poveri, poiché Egli chiamò primi attorno a Sé i poveri, i pastori erano gente umile e povera. Gesù si rivelò non ai sonnolenti, ma a quelli che vigilavano, e che lo attendevano con fede viva, nella semplicità dei cuori. Agli umili dunque, ai puri e semplici di cuore e ai vigilanti il Signore tiene in serbo le sue consolazioni. E i Pastori “andarono in fretta”, dice il Vangelo. Sant’Ambrogio scrisse: “non s’ha da cercare Cristo con indolenza, ma con fervore e con slancio”. Amici e Benefattori, non indugiamo dunque: non lasciamo trasvolare gli Angeli, che nel Santo Natale ci cantano la pace del Signore! Non ringraziamo nella sonnolenza dello spirito, ma purificate le anime nostre, con passo alacre di fede, con umiltà, con il cuore puro, aperto e largo andiamo con i Pastori...e “andiamo in fretta”.
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Guardiamo al Bambino Gesù, che ci sorride e ci tende le braccia, e c’invita a vivere di amore di Dio e del prossimo. Adoriamolo, amiamolo, deponiamo ai suoi piedi il cuore e la vita nostra! (Scr. 121,192).
Vedi anche: Bene, Carità, Presepio.
Nobili decadute
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Converrà a Genova far qualche cosa per le signore decadute, se no ci troveremo presto male con chi ha dato a tale determinato scopo e non riceveremo più nulla dalla sig.ra zia dell’avv.to Silvio Tacconi. E non hanno dato poco a tale scopo, lei e la sorella è morta (Scr. 18,141).
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Certo che qualche cosa bisognerà fare a Genova per le signore decadute: bisogna che vedano che si fa, che si comincia (Scr. 18,182).
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Voi sapete quanto vorrei che fosse risolto l’impegno per le signore decadute che l’Avv.to Boggiano mi dice potrebb’essere in un edificio adatto, aderente a Paverano. Ma, a meno che quel benefattore di Milano, che dà 200 mila – per buoni uffici fatti dal Prof.r Isola – voglia o permetta che siano impiegate nel nuovo acquisto, diversamente non sono affatto del parere che si spenda di quel poco che si ha, ma che tutti gli sforzi si dirigano verso Roma. E a non fare debiti (Scr. 19,53).
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Se le condizioni per accettare la casa offertaci a Pegli sono convenienti, da parte mia accettatela, purché ci sia il placet del Visitatore: ne faremo del bene per i poveri, e, qualora si dovesse aprirci una piccola succursale per il Cottolengo – per le signore decadute o per altro genere di bisognosi, non si farà, senza il permesso della autorità diocesana – e se questa non credesse di concederlo, si venderà a beneficio dei poveri (Scr. 19,152).
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Sento da don Sciaccaluga che, facilmente, per San Giuseppe inaugurerete il Reparto Signore decadute: sarebbe per me la più gradita consolazione e certo servirebbe a chiudere la bocca a molti malevoli e sarebbe per noi un mantenere una vecchia promessa. Vorrei che si chiamassero: Le Signore di Santa Caterina da Genova (Scr. 19,187).
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Ho scritto a don Sterpi che bisognerà – e con qualche urgenza – mettere un reparto per Signore decadute: non si può non far niente, né aspettare. Vedete un poco. Dirai anche a don Sterpi di non fare gran conto su quello che avanzerete, non avendo più da dedursi metà la diaria per pagare Paverano: fate le cose come, se quel denaro non dovesse venire: se verrà sarà un in più (Scr. 27,237).
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Ho piacere, che a Castagna si faccia posto per alcune signore decadute; c’è una Contessa o Marchesa Della Chiesa che sta a S. Margherita e che è da tanto che aspetta. È un punto interrogativo e quindi non ci vedo ben chiaro. Vedi se insistesse ancora, essa vorrebbe si facesse posto anche per la sua fedele domestica. Informatevi bene (Scr. 27,239).
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Vedete di dare vita al pensionato per signore decadute, non converrà chiamarlo pensionato, ma Casa Santa Caterina da Genova per signore, (senza mettere decadute) o Casa di riposo per signore, sotto gli auspici di Santa Caterina da Genova (Scr. 27,244).
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Può darsi che la Caffarena e il nipote si siano raffreddati vedendo che non si è fatto nulla per le signore decadute, parlane a don Sterpi. Mandami gli indirizzi precisi delle Case di Genova (Scr. 27,271).
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Si sta per edificare delle camere con retro per le signore decadute. Mi è venuto in mente di proporle di fare lei la I, al nome di sua mamma: vorrei cominciare con una santa. E preghi anche per questa opera che mi sta tanto a cuore (Scr. 41,76).
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Non di rado mi si presentano delle signore ricche, ma ora decadute già e ridotte stato di miseria da far compassione: prima avevano ogni ben di Dio, servi e domestiche, ora non hanno da mangiare, pur vestendo ancora certi abiti che, vecchie ancor ricordano ancora il loro antico stato. Ne abbiamo già alcune al Piccolo Cottolengo di Genova dove c’è anche una cugina di sua Maestà la Regina Elena. Non sempre è sempre bene però si possa [tenere] nello stesso camerone e alla stessa tavola serva e padroni Ma altre ce ne sono che implorano d’essere accolte ricevute e non so come fare, né ho un posto conveniente da metterle, senza che si avviliscano. Da tempo mi sono raccomandato a Santa Caterina da Genova, che era nobile e le ho promesso che, se mi mandava una Casa per adatta per le vere signore decadute, avrei posta la Casa sotto il suo nome e patrocinio Eminenza, è la Divina Provvidenza La Casa la Divina Provv.za l’avrebbe mandata, ed è una Villa, già dei Marchesi Durazzo, a sei chilometri da Genova in collina, a Pino di Molassana: c’è anche la Cappella e in buon stato Giovedì 27 nov.bre l’ho visitata e sabato 29 la Divina Provvidenza ha mandato tutto il denaro per pagarla, senza che io lo chiedessi a persona viva Avevano chiesto 160.000 lire, si concluderebbe per meno. Ci saranno lavori da fare, ma la Divina Provvidenza non fa le cose a metà e Io poi io non farò il barabba voglio cominciare subito la mia conversione, la Divina Provvidenza compirà l’opera. dunque, vengo a mettere me, povero straccio della Divina Provvidenza, tutti i poveri del Piccolo Cottolengo di Genova ai piedi e nelle mani di v. Eminenza rev.ma come ai piedi della s. Chiesa di Gesù Cristo e umilmente la prego di degnarsi concedere che si apra nel nome di Dio benedetto, della SS.ma Vergine, di Santa Caterina da Genova e di tutti i santi codesta piccola Casa per signore decadute, la quale però non si chiamerebbe così ma «Casa di Santa Caterina da Genova». Di più la prego di voler benedire codesta minima Opera, pieno di fiducia che Santa Caterina la crescerà. Per ora ci starebbero, comodamente un venticinque signore, (ciascuna con camera propria e camere tutte indipendenti) e nel sotto tetto ampio sano, arieggiato, starebbero magnificamente le suore addette C’è poi cucina, forno, legnaia, alcuni saloni, giardino orto con viti e piante fruttifere. Penso fino che Santa Caterina, che era di buon gusto non solo nello spirituale, sia venuta giù a cercarsi la Casa (Scr. 48,201–202).
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Mi dimenticai informarla che, quando alla Villa, già dei Marchesi Durazzo, per accogliervi le signore decadute, ebbi da sua Emin.za il Card. Arcivescovo di Genova amplissima approvazione e benedizione, sin dal 3 nov.bre, onde la Villa già venne acquistata e pagata. Vi sono ora entro i muratori per rimetterla un po’ bene e vi si fa l’impianto del termosifone, poi la Divina Provvidenza la arrederà con senso di convenienza, adatta allo scopo: e poi il padre Visitatore ce la verrà a benedire (Scr. 50,46).
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Ella mi chiedeva tempo fa notizie circa la Casa di riposo per nobili Signore decadute che è stata umilmente inaugurata a Pino di Molassana (Genova). Condizione indispensabile per esserVi accettate è la nobiltà del Casato. Se la persona, della quale Ella benevolmente si interessa, non fosse di famiglia gentilizia, sarebbe impossibile poterLa accogliere nella Villa Santa Caterina. In quanto a quota, non vi è stato nulla di preciso; ma vige, anche in questa Casa, il criterio già adottato per tutti gli Istituti della Piccola Opera e cioè chi ha, deve corrispondere per non sfruttare la carità degli altri e privare del pane chi non ha nulla (Scr. 85,217).
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Quanto vi deve essere di conforto vedere sorgere qui quel vasto padiglione a conforto dei nostri fratelli infelici. In modo particolare si raccoglieranno qui persone che avranno strettamente bisogno nel senso più cristiano della parola. Il primo sarà dedicato per tanta gente ricca ma decaduta che si trova in miseria (Par. V,169).
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In vista ora qui c’è il Palazzo per le Signore decadute. Il palazzo non è ancora quello che io vagheggio e non ancora quello che sento che vuole Dio. Per esse questo edificio sarà isolato, così da fare sentire loro l’idea, il senso di una certa agiatezza. Tra i due edifici vi saranno sbocchi, cortili e sfoghi, necessari a tutti gli Istituti del genere... Ogni signora avrà una bella camera e avrà un’altra stanza, oltre la camera. Chi vorrà mangiare insieme nel refettorio comune avrà il refettorio comune; chi invece preferisce mangiare privatamente pure ne avrà il modo. Spero che il Signore mi aiuterà a mettere a disposizione delle Signore una macchina, così se hanno bisogno di andare a Genova vi possono andare in macchina e sentiranno di essere ancora qualche cosa! (mormorio di alta approvazione e battimani) e darò loro l’aiuto della Divina Provvidenza (Par. IX,288).
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Giovedì sera ero stato a Genova e avevo promesso ai Genovesi di aprire una Casa per le signore decadute. In questa crisi di fortuna, in questi alti e bassi, questa gente, che prima avevano case e palazzi, si sono ridotti nella miseria, mentre prima, avevano servitù e dame. Abbiamo, pensate, con noi la cugina della nostra Regina Elena, figlia d’un fratello della nostra Regina: è nel Piccolo Cottolengo Genovese (Par. IX,426).
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È stata aperta in Genova un’altra Casa, ed è quella per le nobili decadute, dedicata a Santa Caterina da Genova. Ieri a Genova ho accettato una marchesa del patriziato più alto di Genova: essa porta un nome celebre nella storia; e mi scrisse una bella lettera. Non è proprio in piena indigenza, quale marchesa, ma è ridotta ad un punto da non poter più avere una cameriera e il necessario per vivere onoratamente la vita: essa che sente una specie di ripugnanza a stendere la mano ai parenti ricchi. Verrà il Cardinale di Genova a benedire questa Casa, questa parte del Piccolo Cottolengo Genovese (Par. X,162).
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Si è inaugurata a Genova una Casa per le nobili decadute. Quanta miseria, quanti patrimoni scomparsi per la grande guerra! Il Signore ha mandato dei benefattori che hanno mostrato tanta benevolenza. Venne benedetta dal Cardinale Arcivescovo di Genova, presenti tutte le Autorità politiche e parecchie persone dell’aristocrazia di Genova. Domani entrano le prime cinque o sei ospiti, tra cui le sorelle Marchese, sordomute. Ho tante domande pronte! Ci vorrebbe una Casa grande tre volte quella. Mai avrei sognato di trovare tanta miseria nella aristocrazia. Persone che vestono signorilmente e non hanno da mangiare! Un signore (Isola), cavaliere, volle donarmi una macchina per il loro trasporto e per le necessità della Casa e fu benedetta lo stesso giorno; fece da madrina la prima cugina della nostra Regina (Par. X,234).
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Questa mattina sono stato a Genova ed ho portato il Santissimo nella nuova Casa di Santa Caterina, per le signore nobili decadute. Bella cosa che questo sia stato fatto proprio nella festa del Cuore di Gesù! Oggi pure ho ricevuto le prime nobili: due marchesine sordomute e una terza che è la prima cugina di Sua Maestà la Regina Elena. Dopo la scomparsa del Regno del Montenegro, voi sapete che tutta la famiglia reale venne dispersa qua e là e mandata in esilio e privata dei mezzi di vita... Questa nobile Signora fu educata a Venezia, nello stesso nobile Istituto in cui fu educata la nostra Regina a cui assomiglia anche molto. Prima era al Paverano e oggi è stata ricoverata nella nuova Casa e mostra alla gente le lettere della sua augusta Cugina. Un’altra ricoverata è la contessa di Levanto che ora ha solo un letticciolo con un povero materasso (Par. X,239–240).
Vedi anche: Carità, Caritas Christi urget nos.
Noviziato
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Nel Noviziato si tratta di far distaccare l’anima da tutto, fin dalla vita, fin da sé stessa, e non di educare nella bambagia. Non fatene dei signori. Il fervore dei Novizi deve essere tale da doverli moderare e dirigere, invece non c’era in parecchi neanche il concetto della disciplina e del rinnegamento proprio di un religioso. Ci vuole virtù soda e martellata, e principalmente l’obbedienza, il sacrificio nella umiltà e nel lavoro, la orazione e la generosità della carità. Alla Moffa ci sono già troppe comodità per grave storpiamento della nostra Congregazione, adesso tu e altri stimabilissimi Sacerdoti della Congregazione non ci badate, non lo credete, ma un giorno, io non sarò più, ma voi piangerete d’aver messe troppe comodità, e non sarete più a tempo, poveri miei figli! (Scr. 3,417).
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Il vero Noviziato comincerà la vigilia dell’Immacolata, a cui è dedicata codesta casa, e prima farete dieci giorni di Santi Esercizi Spirituali, compreso il giorno di apertura e quello di chiusura. Per la Immacolata vi saranno tutti; ma ho stabilito tale festa per ossequio alla SS.ma Vergine. Questo frattempo deve essere per te tempo di prova, tempo di osservazione se qualcuno non dimostrasse buona disposizione, ti obbligo, in virtù di Santa Obbedienza di rimandarlo a Tortona. Questo è parlare chiaro. L’importanza del Noviziato è grande e decisiva: chi, non si studia di purgarsi dei suoi difetti, negare la sua volontà per vestirsi di Gesù Cristo, deve essere allontanato (Scr. 3,420).
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Temo che la Moffa diventi una Villa o una Casa di produzione: no, caro Don Cremaschi, ti prego che sia una Casa di Noviziato. Inutile che ripeta per la centesima volta che amavo più la Moffa quando era più semplice e meno comoda. Imprimi nel cuore dei Novizi un grande amore verso Dio e verso il prossimo, specialmente verso i più poveri e più abbandonati dei nostri fratelli: la nostra Congregazione è per i poveri. Comunione quotidiana: raccomandala assai assai assai a tutti, parlandone a tutti, e la Confessione sia settimanale, in via ordinaria, non meno. Dì ai Novizi che non facciano le cose di Dio per abitudine o per gli occhi dei Superiori. Adoprati a formare la coscienza religiosa: questo è che importa. Sia basata sulla umiltà, combattano l’amor proprio: neghino la propria volontà, poiché Gesù ha detto: “ qui vult venire post me abneget semetipsum “. Chi non rinunzia a tutto, e, prima di tutto, alla sua propria volontà, non si creda discepolo di Gesù Cristo (Scr. 3,432).
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Io, caro Don Cremaschi, sono spaventato; vedo che parecchi sono tenuti in Noviziato e ammessi ai Voti e poi presto cadono; e, da me interrogati, dicono che anche durante il Noviziato cedevano, parlarono ed erano curati con pannicelli caldi e poi consigliati a fare i Santi Voti. Possibile? Rifletto, d’altra parte, che tu non allontani, si può dire mai nessuno dal Noviziato, sempre sperando, e, intanto, la Congregazione si rovina, andando avanti così. Non è la prima né la 2da volta che debbo fare questo dolorosissimo lamento! Prega e vedi di rimediare a codesto sistema che non va, figlio mio, non va, non va! Don Bosco e Don Barberis avevano ben altri criteri: la tua troppa bontà e tolleranza, su quel punto, non potrei approvarla: sii più vigilante e più rigido, e taglia piuttosto che tenere in Noviziato o ammettere ai voti dei dubbi: dubius in fide, infidelis est, dice la Sacra Scrittura: dubius in rebus honestis, inhonestus est, si allontani. Pota, pota la pianta, senza usare una falsa pietà: mi raccomando, caro Don Cremaschi; fa così (Scr. 3,459).
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Il Noviziato è una scuola apertaci dalla Santa Chiesa, il noviziato è una scuola e una fucina dove il novizio deve forgiarsi. I Novizi devono, nel primo tempo, consolidare la vocazione, escludendo, nel modo più assoluto, qualsiasi dubbio volontario, come ben scrisse Don Terrone dei Salesiani. Poi studieranno la natura della prova che devono fare, il metodo che devono seguire cioè i mezzi da proporsi che tu indicherai loro, i difetti di cui spogliarsi e le virtù che devono acquistare per raggiungere il fine. Nel Noviziato non si cercano uomini perfetti, ma solo studiosi di purgarsi dei propri difetti e solo desiderosi di ottenere la perfezione. A questo desideratissimo fine non si arriva se non passando per il fuoco della tentazione ma con l’orazione, con fervore più ardente, nella umiltà, nella semplicità, nella osservanza esattissima delle regole e nella pace fidati in Dio e nella Santa Madonna, preparatevi miei cari Novizi alla santa battaglia e alla vittoria (Scr. 3,489).
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Il Noviziato è una prova: il noviziato è una scuola, la vera scuola delle virtù religiose: è una santa fucina il Noviziato, dove ogni Novizio deve forgiare sé stesso, secondo il Santo Vangelo e lo spirito proprio della Congregazione: dove deve staccarsi dal mondo e da ogni abitudine vana, secolaresca, mondana: dove il Novizio deve, con fortezza e magnanimità, staccare l’anima sua da tutto, quindi non solo anche dalle persone più care – amandole solo in Domino – ma deve, con il divino aiuto staccarsi fin dalla vita fin da sé stesso. Se non riesce a questo, non sarà buon Religioso. I Novizi devono, nel primo tempo, consolidare bene la vocazione, escludendo qualsiasi dubbio volontario. Poi studieranno la natura della prova che devono fare, il metodo che devono seguire, secondo i mezzi che tu loro indicherai e gli aiuti che loro darai: li aiuterai a spogliarsi dei difetti e ad acquistare le virtù per raggiungere il fine: conformarsi in tutto a N. Sig.re Gesù Cristo, vestire entro e fuori, Gesù Cristo, vivere Gesù Cristo. Entrando in Noviziato non si cercano soggetti perfetti, ma studiosi di perfezionarsi, risoluti di perfezionarsi – Deo adiuvante – sì! E a questo desideratissimo fine arriveranno, con la orazione, con il fervore più ardente, con la umiltà, con la semplicità, con il lasciarsi condurre dal Maestro del Noviziato, con la osservanza esattissima delle regole, con volontà ferma nel Signore, fidati nel Signore, fidati nella Santa Madonna preparati ad ogni santa battaglia per Dio e per Dio alla vittoria! (Scr. 3,492).
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Cari miei figliuoli, il noviziato è di importanza capitale: datevi totalmente a Gesù Cristo e alla Chiesa per le mani di Maria SS.ma Sappiatevi impicciolire all’obbedienza dei fanciulli per amore di Gesù Cristo, specialmente nello spirito di umiltà e di obbedienza, con la più grande generosità di cuore nella carità, verso Gesù crocifisso, la Santa Chiesa e la Congregazione, che vi siete scelta per madre. Aspettatevi delle contraddizioni, le quali vi faranno rinunziare al vostro primo intendimento e negare la vostra volontà. Ma voi pregate in umiltà, tutti fiduciosi in Dio e in Maria SS.ma ché vincerete ogni tentazione del nemico, ogni prova e battaglia nel nome e per la virtù del Signore (Scr. 32,175).
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Il Noviziato è veramente una scuola, è la scuola della virtù, la scuola della nostra educazione e formazione religiosa: la scuola che insegna a spogliarci di tutto ciò che non di buono e di secolaresco e mondano portiamo in noi, per conformare la nostra vita alla vita e agli esempi di Gesù Cristo, nostro Signore. E poiché Gesù, anzi tutto, umiliò sé stesso nella povertà della sua nascita, della sua vita e della sua morte: semper humiliavit semetipsum, così il Noviziato deve essere, o miei cari, un esercizio continuo di umiliarci, incessantemente umiliarci in tutto, fino a rendere il nostro cuore dolce e maneggevole e atto a ogni bene. Dobbiamo rinnegare incessantemente noi stessi, il nostro amor proprio, come ha detto il Divino Maestro: qui vult venire post me, abneget semetipsum. Dobbiamo staccare l’anima nostra da tutto e da tutti, staccare l’anima fin da sé stessa, perché solo viva di Gesù Cristo. A questo desideratissimo stato, o miei cari Novizi, non si arriva se non passando per il fuoco della tentazione, quindi vi raccomando di pregare, e con il fervore più ardente, nella semplicità e nella pace, con grande confidenza e apertura di cuore con il maestro di Noviziato che è p. Cesare, preparatevi alla battaglia, invocando la purissima (Scr. 52,156).
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Il Noviziato deve formar l’anima del Novizio con lo studio della regola e delle costituzioni, con pie meditazione ed assidue preghiere, con apprendere bene tutto ciò che concerne i voti e le virtù, con esercizi opportuni a sradicare i semi dei vizi, a dominare i movimenti dell’anima, a fare acquisto della virtù. Insegnare ai Novizi non solo le cerimonie religiose e le leggi della civiltà ed urbanità, ma anche, e principalmente, le cose dello spirito, necessarissime per imitare veramente Gesù Cristo, nostra luce, via, verità e vita: quali siano i precetti della regola, quali i consigli etc. acciocché i Novizi, finito l’anno, sappiano benissimo quale sia l’avvenire, l’obbligo loro. E mostrino in sé, con l’esempio e con le parole, in che consista la vita del perfetto cristiano e del vero figlio della Divina Provvidenza (Scr. 73,102).
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Vi do la consolante notizia che presto si comincerà il noviziato regolarmente e tutte le Case devono dare il loro contributo a mantenere il noviziato; perché nel noviziato non si può lavorare più di poche ore, perciò sarà necessario sia aiutato da tutti. Vi sarà il noviziato chiuso di un anno di tempo, durante il quale, quelle che ci saranno, devono pensare a formarsi la loro personalità religiosa Vi saranno più ore di orazione; devono istruirsi sulle loro regole e costituzioni, per sapere di che si tratta, quando faranno i santi Voti. Si comincerà il noviziato questo anno, il giorno della Madonna del Rosario. Quante vi saranno ammesse e chi vi sarà ammessa non lo so ancora. Alcune faranno il noviziato aperto, e staranno, cioè, alcuni anni fuori, nelle Case, a lavorare. Nel noviziato chiuso si farà sempre silenzio e non si parlerà nemmeno con le altre Suore della Casa; non si potrà uscir fuori, né avere comunicazioni esterne. Intanto, quelle che fanno il noviziato aperto nelle Case, si provano, si studiano, si crivellano, si formano nello spirito. Non fate spese senza necessità assoluta e ogni Casa deve ambire di aiutare il noviziato (Par. I,234).
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Vado notando con dolore che da un po’ di tempo va spargendosi nelle nostre case il cancro della mormorazione, dei pettegolezzi; bisognerà prendere dei seri provvedimenti e non ammettere neanche al noviziato quelle che non avranno mostrato di avere buono spirito di custodia dei sensi, vero spirito di mortificazione, vero spirito religioso. È per quello che non ho avuto mai fretta per aprire il noviziato in forma canonica! Non è il numero grande che fa, ma è lo spirito, anzi spesse volte si fa più con pochi di buono spirito che in tanti! Gedeone ha vinto la battaglia con pochi. Cosa importa avere una comunità numerosa se non c’è lo spirito, se c’è la mormorazione, la detrazione. Altro che seminar la zizzania! Ma guai quando si pretende di essere monache e si è seminatrici di zizzania. Bisogna mortificarle, bisogna fuggirle queste abitudini che non sono affatto secondo lo spirito di una buona religiosa (Par. II,64).
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Il noviziato è come gli Esercizi: la scuola della formazione religiosa e, in tema di dolcezza, vi si sta tanto bene; ma quando dovete uscire, allora cominciano le spine... Voi altre non avete ancora fatto il noviziato, e quando ci sarà per voi, guardate che voi altre madri badesse, sparse nelle case, vi ridurrete piccole novizie, vi dovrete fare piccole. Come succede di quel principe Boncompagni, che mi scrisse ancora oggi insistendo ancora per voler entrare nella nostra Congregazione. Per essere dei nostri, bisogna si faccia piccolo, piccolo. La prima parte della visione è l’epoca delle dolcezze spirituali del noviziato, è l’epoca del raccoglimento; ma poi viene il lavoro, ma poi viene il sacrificio, vengono poi le prove, sì le prove, le ore grigie vengono purtroppo; e allora quelle sono le spine... sì, e le spine sono le contrarietà di spirito, le lotte intime, i dubbi, le aridità (Scr. 2,85).
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E voi, o buone figliuole di Dio, che questa sera siete ricevute in noviziato, sappiate che il noviziato è la scuola delle virtù religiose. Voi cominciate ad andare a scuola. Il noviziato vuol dire andare a scuola della vita religiosa e la vita religiosa consiste nel rinnegamento di noi, nell’abbracciare la croce e seguire Gesù Cristo. Così, il rinnegamento di noi è nel fare continuo sacrificio, fare della nostra vita un olocausto di amore, felici di offrire le nostre pene, i nostri dolori al Signore, in espiazione dei nostri peccati e per dar gloria a Dio e salvare le anime, se il Signore ci destina a fare un po’ di bene con la sua santa grazia. Quanto sono contento, in questa festa del Santo Rosario, di ammettere nella scuola della Congregazione, della formazione religiosa, voi, o buone figliuole del Signore! E prego la Santissima Vergine di prendervi nella palma delle sue mani e di essere Essa la vostra madre, la vostra guida, il vostro conforto. Maria Santissima vi aiuti a spogliarvi di tutte le abitudini e le idee secolaresche... Come fa pena, quando si vede una monaca che non è monaca, che non è monaca! È vestita da monaca, ma non parla da monaca, come deve parlare una monaca, non prega, non ha la carità, la carità... il compatimento! Quanto fa mai pena! (Par. II,121s).
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Bisogna che vi formiate bene nel noviziato. È molto importante il noviziato, è tanto importante che, nel santo Concilio di Trento, l’hanno messo ad obbligo. La Chiesa l’ha sempre voluto e lo vuole e si deve fare con tanto slancio e fervore e stare attente di non romperlo. Il noviziato non vale più se si interrompe, bisogna ripeterlo da capo. Bisogna entrare nel noviziato con cuore grande, senza riserve. Dovete dire: Mi metto ai piedi del Signore, della Madonna, voglio essere tutta del Signore e della Madonna: si faccia tutto quello che i Superiori, nel nome di Dio e della Madonna, comandano. Prego la Madonna di benedirvi, e domani dirò la Santa Messa e nella Santa Messa ricorderò le tre Suore nuove entrate e le tre che domani escono dal noviziato, per andare a fare un po’ di bene dove la mano della Provvidenza le chiama. Si degni la Vergine di prendere il suo Rosario e di legare la vostra vita, e voi state ben legate alla Madonna, state ben legate alla Madonna! E voi che uscite dal noviziato farete del bene e compirete in voi la vostra celeste vocazione, la santa volontà di Dio. E voi che entrate accompagnate, guidate dallo Spirito Santo e condotte a mano dalla Madre di Gesù, non potete fare a meno che riuscire bene e fare una vita santa (Par. II,121u).
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Venendo qui ieri, ho visto i soldati che facevano le manovre, e queste le fanno per essere più esperti nella guerra; così il noviziato è la scuola delle virtù religiose, delle virtù su cui si fa poi il voto. Chi non pratica la virtù durante il noviziato, non faccia i voti; non li faccia chi non è sicuro della virtù propria, specie della castità. Noi poi, che esercitiamo il nostro ministero tra i giovani, dobbiamo essere forti su queste virtù. Noi non dobbiamo solo pregare, ma anche attendere alla santificazione del prossimo; il primo prossimo, però siamo noi e dobbiamo tendere alla nostra santificazione per trasfonderla negli altri. Quindi dobbiamo essere riconoscenti e grati a Dio perché ci ha chiamati in questa palestra di virtù, che è il Noviziato. “Chi vuole venire dietro a me, dice Gesù, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. ” Bisogna essere caritatevoli e non guardare al mondo, ai soldi, poiché “ilarem datorem diligit Deus”. A questo scopo bisogna far bene il noviziato; chi si dà a Dio nella vita religiosa, Dio lo ricompenserà. Per chi entra, si ricordi che il lavoro è il perno su cui si svolge la vita religiosa; vorrei dire che dobbiamo spezzarci per il lavoro sia materiale che spirituale, e non negare mai niente a Dio, non dire a Dio: fin qui sì e poi no, ma darsi totalmente a lui. Col Maestro dei Novizi abbiate grande apertura. Egli non può confessarvi; ma, se uno insiste, deve confessare; bisogna avere con lui, oserei dire, maggior confidenza che con il confessore (Par. V,201).
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Entrate in noviziato con cuore grande. Il Signore ama l’allegro donatore; il Signore vuole tutto, non una parte; è geloso del vostro cuore, e vuole amore, amore grande... La vita del cuore è l’amore. Il nostro amore deve essere la carità per eccellenza: Dio, l’amore per eccellenza, e l’amore fraterno. Non sdolcinature, non effeminatezze, non maniere troppo sensibili che potrebbero condurre al male; ma la carità vera di nostro Signore Gesù Cristo. Sono due amori che devono essere uniti e che si confondono in un unico amore di Dio che è necessario sia il fine della nostra Congregazione con l’amore al popolo derelitto, ai più miseri della società. Se entrerete con questo spirito nel noviziato, il Signore sarà con voi e vi aiuterà a fare bene ogni cosa. Quando uscirete da questa Casa di formazione, non avrete più la Mamma Don Cremaschi. Pur tuttavia ricordate i buoni esempi, i consigli che vi ho dato. Invece parlo a voi, nuovi, per essere buoni novizi dovete mettervi nelle mani del maestro, aprire a lui tutta la vostra coscienza, non nascondergli nulla: che egli vi conosca profondamente Avete bisogno di uno che, conoscendovi bene, formi in voi l’uomo nuovo, come vuole la Congregazione. Il malato che vuole guarire non tace i suoi mali al medico, altrettanto deve fare il novizio con il suo maestro, se vuole professare poi nella nostra Congregazione. Andate dal vostro maestro con il cuore in mano ed entrate nel noviziato con rettitudine. Se qualcuno di voi fosse venuto per fare il noviziato e poi andarsene, vada via prima, non aspetti che ce lo mandino (Par. VI,148).
Vedi anche: Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Costituzioni (FDP e PSMC), Quarto voto, Voti (religiosi).
Obbedienza
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Dio misericordiosissimo nel Suo santo lume vi dia grazia in questi giorni di conoscere sempre meglio il pregio del rinunziare alla propria volontà, e vi ponga nel cuore la risoluzione di conseguire questa umiltà e lo stato dell’apostolato per mezzo della santa obbedienza. Sì, mio caro, l’apostolato per obbedienza e per voto di religione mi pare una gran cosa, un gran bene e che non ci sia altra cosa a desiderarsi fuori di questa. Oh felice quell’uomo che rinunzia a tutte le cose che possiede, per Gesù Cristo! e che va all’apostolato spoglio di tutto, anche della sua volontà, per così dire, e della sua libertà, ma vestito di Gesù Cristo, di quella santa obbedienza di cui Gesù era vestito sulla Croce e per cui è detto: Fuit obediens usque ad mortem, mortem autem Crucis (Scr. 4,1).
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Non agite di vostra testa, ma camminate con docile obbedienza, con lealtà e semplicità. Bisogna avere confidenza con i Superiori; proporre umilmente ogni cosa che ci par buona, ma essere anche disposti ad una negativa. Questo è eccellente esercizio di sottomissione e di obbedienza: esercizio, ed è quello che è più, di vero buono spirito religioso e di umiltà (Scr. 16,122).
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Non quello che fa grandi cose esterne, edifica la sua casa sulla pietra, ma quello che prega e sta umile e fedele alla sua vocazione. Lo zelo è solamente buono, se è obbediente; e tutto il bene che noi potessimo fare alle anime, per quanto grande fosse, non sarebbe accettevole a dio, se andasse ad offendere l’obbedienza. È meglio conservare nella pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo (Scr. 28,68).
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Quando, con la grazia di Dio, si fa un sacrificio per l’amore di Dio stesso benedetto, si prova sempre gioia nell’animo, e grande interiore e spirituale soddisfazione. E quando poi al sacrificio si unisce l’obbedienza (melior est oboedientia quam victima), allora l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo, e alla sua Chiesa, ed è inaprezzabile il tesoro che noi ci prepariamo per la vita presente e per la eternità. Ora a te, che da anni lavori in codesta terra del Brasile, Dio, servendosi di me, peccatore miserabile, offre modo ad un atto degno di obbedienza pronta e perfetta, e insieme di eccellente sacrificio (Scr. 29,171–172).
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Solo vi prego di obbedire, e che lo facciate con spirito di vera e di umile disciplina religiosa e per l’amore di Dio benedetto. Non posso ora dirvi di più, né tutti i motivi di queste disposizioni, e sento che sarebbe anche un offendere il vostro spirito di buoni e di disciplinati religiosi sé stessi qui a portarvi delle ragioni. Siate felici di fare l’obbedienza, e siate sicuri che Dio benedice sempre non chi fa di sua testa, ma l’anima che docilmente compie la volontà del Signore in quella del Superiore (Scr. 29,196–197).
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Questo che scrivo fa’ che sia eseguito a puntino, e tutti siano contenti di fare l’obbedienza. Il fondamento della obbedienza è la fede che vede nel superiore la stessa persona di Gesù Cristo, e nella volontà del superiore la volontà di Dio stesso, per quanto il superiore sia una miserabile creatura come sono io. Obbedite tutti, o carissimi miei in Gesù Cr. Con semplicità, con sincerità, con umiltà, con letizia di spirito, con prontezza e rettitudine. E rendetevi perfetti nella santa obbedienza, così Dio sarà con voi! (Scr. 30,210).
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Questa sia la vostra vita, o cari eremiti della Divina Provvidenza. Vita fondata sulla fede, sulla umiltà, sulla preghiera, sulla operosità, sulla obbedienza, sulla povertà, sul candore e illibatezza della vostra condotta, sulla mortificazione e temperanza, sulla più delicata modestia. Fatevi guidare in tutto, o miei fratelli eremiti, da una viva fede in Dio, nella Chiesa e nella obbedienza, non mai dal vostro proprio raziocinio, ma seguite in tutto e allegramente la via della Croce, via regia, via santa, via di obbedienza al vostro Superiore: l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo e alla sua Chiesa. E, se viene il demonio o il mondo a tentarvi, datevi a più fervida orazione: l’orazione è quella che mantiene la vocazione (Scr. 30,225).
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Lo zelo è solamente buono se è obbediente. Io ti prego con cuore di padre in Gesù Cristo di prendere in buona parte questa esortazione, e di andare avanti con semplicità, senza calcoli artificiosi, ma con quella semplicità evangelica, che è sempre benedetta da Dio. Da buon religioso, fa semplicemente l’obbedienza e non cercare altro, diversamente credi di ragionare e invece sragioni, credi di fare il bene della Congregazione, e invece ne faresti il suo male. Non temere se obbedisci, che nel giorno del giudizio ti porterò io sulle spalle e nel cuore davanti al Signore (Scr. 32,123).
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A tutti io non saprei raccomandare abbastanza l’obbedienza e la dipendenza umile e gioconda in ogni cosa. Ben so che questa sacra parola, obbedienza, è suono ben noto ai vostri orecchi: ben so, o cari miei figlioli, sacerdoti, chierici e aspiranti, che voi la volete praticare e vi sforzate di praticarla amorosamente e beati voi! Ma non vi sia grave che, mentre mando a voi il sacerdote Biagio Marabotto quale mio vicario per la Polonia e vostro immediato Superiore, io richiami alla memoria di tutti il dovere della vostra fedeltà nelle vie della umile obbedienza. Questo dovere prenderà, son sicuro, nella vostra mente e nel vostro cuore un nuovo e più profondo senso e più nuova e profonda efficacia, meditato alla luce che irradia da Gesù crocifisso, del quale, nella prossima settimana santa, udrete ripetere nella sacra liturgia che fu obbediente usque ad mortem, mortem autem crucis. E, insieme con la piena e filiale obbedienza, vi esorto caldamente a vivere in carità fraterna e unione di cuori. Tutto vince l’obbedienza: vir oboediens loquetur victorias (Prov. 21,20). E tutto spera e tutti ci sostenga la carità: Charitas omnia sperat, omnia sustinet (1 Cor. 13,7). Carità ed obbedienza stringa dunque sempre più e perfezioni i nostri vincoli santi, il vincolo tra l’uno e l’altro di voi: tra voi e il vostro Direttore don Biagio Marabotto, tra voi tutti e me, vostro amantissimo Padre, tra noi tutti quanti e i Vescovi e la Chiesa, tra noi tutti quanti e il capo della Chiesa, il Papa, Vicario di Cristo in terra, senza la cui benedizione riesce a nulla ogni cura, ogni impresa, ogni fatica (Scr. 52,115).
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L’indifferenza e prontezza non toglie che, in certi casi non si possa sottomettere al Superiore rispettosamente le nostre riflessioni. Obbedire con sincerità e rettitudine senza furberie e nascondigli. Il nostro intelletto deve tacere: non giudicare, non censurare, ma obbedire interamente, prontamente, umilmente. La nostra ragione individuale inganna sempre ed indubbiamente ogni qualvolta non vuole obbedire ciecamente alla volontà di Dio manifestata per mezzo del Superiore. Rendiamoci perfetti annientandoci per l’amore di Cristo. E la dipendenza dai Superiori sia umile, spontanea e di tutto amore. L’obbedienza vera non vuole titubanze né languore, ma fervore. (Mauro) Piuttosto morire, che disobbedire. Fuit obediens usque ad mortem. Gesù Cristo non fu attaccato né a luoghi né a tempi, né ad azioni, ma solo a fare l’obbedienza del Padre suo usque ad mortem. (Consigliare la lettera di Sant’Ignazio) Per noi della Div. Provv. l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo e alla Sua Chiesa. Dio protegge sempre gli obbedienti. Vir obedien loquetur victorias invece il Religioso non obbediente perde la vocazione, e la sua salute eterna è, per lo meno, molto incerta. Se mai la nostra Congr. potrà fare qualche cosa, sarà coll’obbedienza (Scr. 55,258).
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Non fidiamoci di noi, ma della Chiesa, e avremo grazia e aiuto dal Signore e la benedizione di Dio sarà sul nostro Istituto. Solo chi obbedisce alla Chiesa è eletto da Dio alle opere della sua gloria. Dio ci ha benedetti perché siamo figli devoti e obbedienti alla Chiesa e al Papa – Per questo Dio benedirà anche in avvenire le nostre fatiche. Madonna: fiat mihi secundum verbum tuum! Siamo figli di obbedienza! Tutta la perfezione religiosa – uguaglianza di spirito – consiste nell’abdicare alla propria volontà. Tota religionis perfectio in propriae voluntatis abdicatione consistit. (Spec. disciplina San Bonaventura). Per cui l’unico voto. Il voto più eccellente. Grande è la povertà, più grande la castità, ma l’obbedienza le supera entrambe, se è praticata in tutta integrità. Con la povertà rinunziamo ai bisogni temporali: con la castità alle basse voglie della carne; ma con l’obbedienza l’uomo rinunzia alla propria volontà, regna sul suo spirito, sul suo cuore. (Papa Giov. XXII) Il voto di obbedienza comprende gli altri due. Il Fondatore d’una Congregazione prima d’aver dato una Regola definitiva ai suoi che piangevan disse: fate il voto di obbedienza in esso troverete tutto. San Gregorio dice che essa produce tutte le virtù e dopo ci aiuta a tutte conservarle. È il sale che dà il gusto e sapore a tutte le nostre azioni. L’obbedienza è la penitenza della ragione. (S. Filippo) – due dita di rationale – L’obbedienza è più meritoria che qualunque austerità – (S. Dosita) (S. Cat. da Bologna) – (5 anni) – fu risposto non conosce voi xxx Chi non ha la virtù dell’obbedienza non si può dire Religioso (Scr. 55,258).
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«È martire senza spargimento di sangue chi porta giulivo il giogo dell’obbedienza» (Simon. Cass. lib. IV cap. I). «Se noi obbediremo ai nostri Superiori, Dio obbedirà alle nostre orazioni» (S. Gregorio). Ove regna l’obbedienza non può mancare veruna virtù (S. Tommaso). Ama il Superiore come tuo padre, dice San Gerolamo (Epist. IV). Un permesso estorto, non è permesso, ma una violenza (Bern. in Epist.). Che se uno obbedisce quando gli vengon comandate cose ardue, difficili, la sua obbedienza tocca l’eroismo. Il fare le cose che ci piacciono e tornano di gradimento, è secondare la propria volontà. La vera obbedienza che ci rende cari a Dio ed ai Superiori, consiste nel fare di buon animo qualunque cosa ci sia comandata dalla Santa Sede, dalle nostre Costituzioni o dai nostri Superiori medesimi. Consiste altresì nel mostrarci più che arrendevoli anche nelle cose più difficili e contrarie al nostro amor proprio, e nel compierle coraggiosamente, ancorché ci costi pena e sacrificio. In questi casi l’obbedienza è più difficile, ma assai più meritoria, e ci conduce al possesso del Regno dei cieli, secondo queste parole del Divin Redentore: «Il Regno dei cieli si acquista con la forza, ed è preda di coloro che si fanno violenza». Così scriveva Don Bosco. Del resto è chiaro, che senza forza d’animo, non c’è virtù. Se voi eseguirete l’obbedienza nel modo suindicato, io vi posso accertare nel nome del Signore che passerete in Congregazione una vita veramente tranquilla e felice. Ma nello stesso tempo devo dirvi che dal giorno in cui vorrete fare non secondo l’obbedienza, ma secondo vostro genio e la vostra volontà, da quel giorno voi comincerete a non trovarvi più contenti del vostro stato. E se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene e si vedrà che ciò proviene dalla mancanza d’obbedienza e soggezione della propria volontà, o perché essi fanno come Giuda, fanno borsa, e nascondono del denaro, contrariamente al giuramento e al voto di obbedienza e di povertà (Scr. 55,267).
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La cecità dell’obbedienza e la santa cecità stessa della Fede, e la Fede in pratica, a cui si può applicare il detto del Signore: beati qui non viderunt et crediterunt. E l’obbedienza, benché pienissima, non è mai cieca, voglio dire che non è oscurità, tenebra, miseria intellettuale, no. L’obbedienza, che nel linguaggio dei Santi dicesi cieca, in realtà è illuminatissima, della più alta luce di Dio, nulla vi ha di più illuminato della obbedienza cieca. Nulla di più errato che credere o mostrare di credere che si predichi l’assurdo, che si imponga ai sudditi di non vedere mai i possibili sbagli del Superiore, l’inopportunità di certi ordini o che non sia lecito vedere le cose e le situazioni da un punto diverso: nulla di più falso – sono ad esortarvi a quella santa obbedienza che ha per fondamento la fede nella Divina Provvidenza, l’obbedienza religiosa che vede nel Superiore la stessa persona di Gesù Cristo, e non considera punto le qualità umane né se il comando sia ragionevole, ma se sia ragionevole l’obbedienza. Se si pone per motivo dell’obbedienza la ragionevolezza del comando, l’obbedienza è distrutta (Scr. 55,268).
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Riguardando nel Superiore il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, si obbedisce sempre, e a tutti i Superiori, qualunque siano; e se i Superiori fossero anche, per sé stessi, di molto inferiori al loro posto, difettosi e tanto per esprimermi – pur dispregevoli, si acquisterebbe un merito più grande e si sarebbe più sicuri di obbedire a Dio. I difetti dei Superiori rendono infinitamente più meritoria e cara a Dio l’obbedienza dei sudditi. Il Superiore è l’interprete della volontà di Dio. E in tutte le cose dove non si scorge peccato Il voto di obbedienza ci assicura di fare in ogni cosa la santa volontà di Dio. Abbiate dunque ben radicati nel cuore sentimenti profondi di venerazione, amore e rispetto verso i Superiori, siccome quelli che vegliano al vostro bene, responsabili innanzi a Dio, alla Chiesa e alla Patria dell’anime vostre e della vostra vita. E quelli stessi che nelle Case esercitano qualche autorità si ricordino che devono mostrarsi loro obbedienti e rispettosi. Niuno si permetta mai di biasimare le disposizioni dei Superiori, o criticare le loro azioni... i loro scritti, e simili... La nostra dipendenza umile, spontanea e tutto amore: la vera obbedienza è fervorosa, non vuol languore. E il nostro sacrificio dev’essere un olocausto grato a Dio, deve essere ilare bello, perfetto, pieno: disposti piuttosto a morire che a disobbedire: i veri figli della Divina Provvidenza devono essere vittima con Cristo: sacrificio di noi fino alla morte; e ciò che ci immola come Isacco dev’essere il ferro dell’obbedienza Guai a quelli che cercano sfuggire all’obbedienza, mettendo avanti pretesti suggeriti dall’amor proprio o dal demonio: Qui se subthahere nititur ab oboedientia, ipse sub trahit a gratia: chi cerca sottrarsi alla obbedienza si sottrae alla grazia, dice l’Imitazione di Cristo (Scr. 55,269).
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Nel punto che il Superiore parla, avvertite ch’egli è Dio che parla, o non è che una tromba per cui passa la voce di Dio. Questa è la ragione per cui si deve obbedire sempre e per cui i santi obbediscono in ogni cosa sì prontamente. Anche quando chi Superiore fosse men santo o men prudente non s’ha da lasciare d’obbedirgli in ciò che è Superiore, poiché rappresentando egli Colui che è Sapienza infallibile – il Signore supplirà in ciò che mancasse con la sua Divina Provvidenza. Non guardate perciò mai, né alle persone, né alle qualità dei superiori, ma unicamente a Dio, il quale da per tutto e in tutti è sempre il medesimo e di egual merito e autorità (Scr. 73,223).
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L’obbedienza è cieca, quando si eseguisce ciò che è comandato senza fermarsi a discutere e giudicare il comando, ma si pensa che è Dio che comanda e si obbedisce senza altri riguardi. Nessuno è più saggio e prudente di chi eseguisce i voleri di Dio. L’obbedienza è cieca, ed ha tutto il merito della semplicità, anche quando uno sente nascere nella sua mente pensieri di disapprovazione, quando, per la sua prudenza ed esperienza, vede nettamente la inopportunità del comando. Gli occhi aperti non possono respingere la luce, e la mente non può negare l’evidenza, ma altro è vedere e altro è discutere. Quando si ama Dio, si può sempre praticamente congiungere la semplice e cieca obbedienza con lo spirito d’intelligenza (Scr. 73,235).
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E in terzo vi raccomando la santa obbedienza, e su questo mi fermo un po’ di più, perché è la via più corta e più facile per renderci cari al Signore e buoni e perfetti religiosi. Vi manderò una lettera di Sant’Ignazio sulla Santa Obbedienza, perché la parola di un santo possa illuminarvi bene su questo punto. Oh quanto è mai bello il consenso pienissimo nella Santa Obbedienza! per l’obbedienza l’uomo è come morto in virtù della carità di Gesù Cristo che volle obbedire fino ad esser crocifisso, e per la Santa Carità di Nostro Signore, si fa stolto cioè rinuncia interamente al proprio giudizio. La virtù dunque che raccomando tanto nel Signore per bene dell’anima tua e di tutti i figli dell’Opera, che sono in cotesta Casa, è la santa virtù della obbedienza per amore di Gesù, senza guardare ai difetti dei Superiori, che parlano in nome di Gesù, e pei quali dovete pregare e mattina e sera, che Dio li illumini ed assista e santifichi (Scr. 87,145).
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Si rammenti la Religiosa che coll’Obbedienza praticata per amor di Dio, le più piccole pratiche della regola, o prescrizioni adempiute dei Superiori, ed anche le opere che si considerano in sé di niun valore, come il mangiare, il bere, dormire e simili, acquistano il più alto grato di merito per l’eterna vita, essendo animate dalla carità. 5) Ognuna rifletta che la perfezione dell’obbedienza consiste non solo in eseguire l’opera, quanto all’esterno, ma anche nel sottomettere il proprio giudizio, e però si studi di troncare le importune riflessioni che si affacciano alla mente contro l’Obbedienza, nelle cose riguardanti ciò che può contrariare la sua inclinazione: ma conservi la pace del cuore, offrendo un sacrificio volontario con ilarità. Ciò non impedisce, per altro, che trovandosi nella vera impotenza di pratiche e circostanze, non abbia umilmente a esprimerle, e che nella chiara imprevisione della Superiora di alcuna cosa necessaria a conoscersi, non abbia a renderLa informata (Scr. 98,101).
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La perfetta obbedienza è assai facile e dolce quando noi abbassiamo il nostro amor proprio, e ci diamo tutti ad amare Gesù, la Madonna SS., la Santa Chiesa, le anime e la Congregazione, pronti per tale amore e in tale amore, a fare qualunque sacrificio, con il divino aiuto (Scr. 99,204).
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L’obbedienza alla vocazione ha fatto i santi; la disobbedienza è quella che ha rovinato il mondo: Obbedite in semplicitate cordis vestri Sicut non ad oculum servientes, quasi homnibus, placentes sed ut servi Christi, facientes voluntatem Dei et animo et cum bona voluntate servientes. Ond’è che Nostro Signore parve avere legato all’obbedienza la sua stessa vita, poiché nella lettera ai Filippensi di lui scrisse l’Apostolo: Factus obediens usque ad mortem! (Scr. 109,265).
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Come bisogna sforzarci di pregare, così bisogna sforzarci di acquistare lo spirito di obbedienza, elemento essenziale della vita religiosa, la quale vuol essere vita di perfezione o non è più vita religiosa né di vere virtù. Ricordiamo ciò che scrisse Sant’Agostino: L’obbedienza è la madre e la guardiana di tutte le virtù (Trat. XI). San Gregorio Magno: L’obbedienza conduce al possesso di tutte le altre virtù e tutte le conserva. (Moral. 1–35). San Bonaventura: “Tutta la perfezione religiosa consiste nella soppressione della propria volontà, vale e dire nella pratica dell’obbedienza”. Così che, se noi praticheremo con perfezione l’obbedienza, possiamo essere sicuri di praticare, o miei cari tutte le altre virtù. Ond’è che Sant’Ignazio di Loyola, non dubita di affermare che, se in una Casa religiosa fiorisce l’obbedienza. anche tutte le altre virtù fioriscono. e produrranno gran frutto; e invero. Obbedendo, si esercita la mortificazione, la pazienza, l’umiltà, etc. Anche nelle cose più indifferenti, riponiamo nostra felicità nell’obbedire: viviamo il vivo e fervido desiderio dell’obbedienza. Il superiore sia considerato quale padre amorevole obbediamogli come figli nel Signore, con animo ilare. E dico con animo ilare, perché l’obbedienza ci deve rallegrare sempre, qualunque sacrificio essa importi: se l’obbedienza non ci rallegra, ma ci rattrista, siamo ben lontani dalla perfezione (Scr. 118,102).
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L’obbedienza, per essere grata al Signore, debb’essere eseguita con prontezza, in semplicità e perfetta letizia. Il vero obbediente, dice San Bernardo, non procrastina ma, subito che ascolta, già è pronto ad eseguire, nel comando, la Volontà di Dio. Così fece Zaccheo (Luca XIX). San Paolo insegna (Eph,VI–5): “Obbedite... nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo”. Così obbedirono Pietro e Andrea (Mat. VI, 20). E aggiunge: “non per l’occhio della gente, come fa chi vuol piacere agli uomini, ma da schiavi di Cristo che eseguiscono la volontà di Dio cordialmente e di buona volontà. Quindi non in qualunque modo, ma con tutta attenzione e diligenza obbedite, o miei cari, nel modo migliore possibile; e non solo in alcune cose, ma in tutte. Non cerchiamo né la ragione, né il motivo o il fine del comando: spetta al Superiore esaminare l’opportunità del comando, è proprio, invece, dei sudditi obbedire: “discernere superioris est, subditorum oboedire”, dice San Bernardo. E San Filippo Neri, maestro di spirito e di criteri tutt’altro che angusti, diceva che “per essere obbediente non basta far quello che l’obbedienza comanda ma bisogna farlo senza discorso né dentro né fuori, e tenere per certo che ciò che viene comandato è la più perfetta cosa che si possa fare, ancorché sembri e sia veramente il contrario”. Nulla vieta che in certi casi, si possa sottomettere al Superiore, rispettosamente, qualche riflessione, le proprie difficoltà e ripugnanze, ma, la cosa migliore e più perfetta è obbedire per l’amor di Dio, con piena fiducia che la nostra buona volontà sarà largamente benedetta. A tutti i nostri pensieri e giudizi anteporre quanto prescrive l’obbedienza. Vi sempre una ragione di obbedire a qualunque comando, e questa ragione è quella di rendere noi stessi perfetti per l’amore di Cristo (Scr. 118,103).
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miei cari, non si dà più funesto inganno dell’inimico che quello di un falso zelo, che ci porta ad obbedire meno prontamente, con il pretesto di qualche bene spirituale che si pretende di fare al prossimo. Gesù Cristo non fu attaccato né a persone, né a luoghi né a tempi, né ad azioni, ma solo a fare l’obbedienza del Padre suo usque ad mortem. Obbediamo dunque con semplicità, senza pensare se il comando è utile o disutile: noi non siamo giudici dei nostri superiori: sappiamo che nell’obbedienza ai Superiori sta la volontà di Dio, e basta. Noi eseguiamola con prontezza, con semplicità, con tutto il cuore, ritenendola come ottima. Eccetto il caso che il Superiore comandasse cose peccaminose, il nostro intelletto deve tenere: non giudicare, non criticare, non censurare, ma obbedire interamente, anche la cosa comandata non sia di nostro gusto, anche l’obbedienza richieda non lievi sacrifici, dolorose rinunce, forse umiliazioni. “Fate tutte le vostre cose senza mormorazioni, senza esitare, perché possiate essere figliuoli di Dio, semplici, senza lamentele ed irreprensibili” (San Paolo Fil II). Obbedire sempre dunque, obbedire senza artificio senza simulazioni, in sincerità, cordialmente, lietamente, spiritu ferventes. Senza una assoluta e cieca obbedienza, non saremo mai morti a noi stessi. Come l’obbedienza trae seco tutte la virtù così la disobbedienza trae tutti i difetti: per la disobbedienza entrò il peccato nel mondo e la colluvie dei mali. E un religioso che non ha la rettitudine, ma con meschine furberie, nascondigli, pretesti si sottrae alla sicurissima virtù dell’obbedienza cadrà nei difetti più gravi, e perderà la vocazione; e la sua eterna salvezza sarà, per lo meno, molto incerta. Fuori dell’obbedienza non vi ha virtù solida, ma solo amor proprio, superbia e inganno. Ed hanno animo basso quelli che obbediscono solamente per sfuggire ai rimproveri, o per attirarsi la benevolenza dei Superiori. Questa non è obbedienza, no, ma opportunismo, vile interesse, e, potrei ben dire, vera ipocrisia. Costoro non conoscono né il pregio, né il merito dell’obbedienza. Nell’obbedienza, invece, è grande sapienza, la sapienza che abbraccia il tutto. Non è il far molto all’esterno che conta davanti e Dio, ma l’avere un cuore umile, retto, obbediente. E la semplice obbedienza è virtù tanto cara agli occhi di Dio che sola basta a santificarci (Scr. 118,104).
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La strada dell’obbedienza fu la strada dì Gesù Cristo, di Maria SS.ma, di San Giuseppe e dei santi: è la strada della santa immolazione con Cristo, della pace e della felicità. Obbedienza! Obbedienza! Obbedienza! Ed eviteremo di sbagliare fracasseremo il nostro amor proprio, sfuggiremo agli inganni del demonio e alle illusioni della nostra sregolata fantasia, la pazza di casa. Il far le cose che piacciono e tornano di gradimento, è secondare la propria volontà. Ma la vera obbedienza, che ci rende cari a Dio ed ai Superiori, che edifica i fratelli e il popolo cristiano, consiste nel fare di buon animo qualunque cosa sia comandata o desiderata dalla Santa Sede, delle nostre Regole o dai Superiori. Consiste altresì nel mostrarci più che arrendevoli anche nelle cose molto difficili e contrarie al nostro amor proprio, e nel compierle coraggiosamente, ancorché ci costi pena e sacrificio. È martire, senza spargimento di sangue, chi porta giulivo il giogo dell’obbedienza; di lui è detto: Vir oboediens loquetur victorias: l’obbediente canterà vittorie su vittorie: vincerà sempre (Scr. 118,105).
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Quanto più l’obbedienza è difficile ed eroica, tanto più sarà meritoria e ci condurrà al possesso del Regno dei cieli, secondo queste parole del Divin Redentore: «Il Regno dei cieli si acquista con la forza, ed è di coloro che si fanno violenza». Ed è chiaro: senza forza d’animo, non c’è virtù. Se voi sarete religiosi veramente obbedienti – diceva Don Bosco – io vi posso accertare nel nome del Signore che passerete in Congregazione una vita veramente tranquilla e felice. Ma nello stesso tempo devo dirvi che, dal giorno in cui vorrete fare non secondo l’obbedienza, ma la vostra volontà, da quel giorno voi comincerete e non trovarvi più contenti del vostro stato. E se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene, e si vedrà che ciò proviene della mancanza di obbedienza. Il Superiore è l’interprete della volontà di Dio e nessuno è più saggio e prudente di chi eseguisce i voleri di Dio. Agli occhi di Dio l’alzare una paglia da terra per obbedienza, dice il Rodriguez, val più ed è di maggior merito che fare una predica, un digiuno, una disciplina a sangue od una lunga orazione di propria volontà (Scr. 118,106).
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San Bonaventura, che fu uno dei primi e dei più grandi seguaci di San Francesco d’Assisi, cardinale, dottore di Santa Chiesa, dice che l’obbedienza contiene tutte le altre virtù; e non solo le contiene, ma le conserva. Come il sale conserva i cibi, così la santa obbedienza contiene e conserva tutte le altre virtù. Vir obediens loquetur victorias, cioè riporterà la vittoria, la palma del trionfo colui che sarà obbediente. Vi dirò che anticamente, ai tempi dei primi religiosi, ai tempi di San Basilio, fondatore dei monaci d’Oriente, ai tempi di San Benedetto, fondatore dei monaci d’Occidente, di San Colombano – che venne – cento anni dopo San Benedetto e dall’Islanda trapiantò in Italia la vita monastica, ai tempi di Santa Scolastica, sorella di San Benedetto e dei Padri dell’Eremo, a quei tempi non si facevano i tre voti nostri, ma si faceva un voto solo. Qual era questo voto? Il voto di obbedienza. Ai tempi di Sant’Antonio Abate, di San Pacomio, di San Dositeo, di San Doroteo, di San Gerolamo, di San Gregorio, di San Leone Magno, si faceva dunque un voto solo, il voto di obbedienza. L’obbedienza contiene tutto; nelle virtù, nel voto di obbedienza si compendiano tutte le virtù di perfezione (Par. I,180).
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L’obbedienza per essere vera deve essere sincera, genuina. Dobbiamo imparare da N. S. Gesù Cristo che ci insegna la più perfetta obbedienza. Vedete Gesù Bambino? Apparentemente era un bambino come tutti gli altri che hanno una piccola intelligenza che si sviluppa e cresce con l’età; ma Gesù Cristo, anche bambino, era nella pienezza dell’intelligenza. Mentre vagiva sulla paglia, aveva la medesima sapienza di quando predicava alle turbe. Quando Gesù fu portato al Tempio udiva e comprendeva tutto. Quando Simeone disse alla Madonna: «Questo tuo Figlio sarà pietra di inciampo a molti e risurrezione per altri» e ancora: «Tuam ipsius animam pertransibit glaudius», Gesù era nella pienezza dell’intelligenza. Nella fuga in Egitto abbiamo un esempio d’obbedienza perfetta. Accipe Puerum et Matrem Eius, dice un Angelo in sogno a Giuseppe; ed egli non sta in forse e obbedisce. Io, per esempio, buone figliole del Signore, e forse anche voi, certamente avrei detto: Ma vediamo un po’, aspettiamo domattina... allora sarà chiaro, ci si vedrà meglio, dopo tutto è un sogno! E mi sarei bravamente voltato dall’altra parte... magari con la scusa che non bisogna credere ai sogni. Invece San Giuseppe si alza all’istante, prende il fanciullo e la Madre, e fugge in Egitto. Non è stato a pensare: Ma dove devo andare adesso? Con un bambino così piccolo? Fare un lungo viaggio in terra idolatra... come fare? Come fare? Egli non pensò tanto, ma pensò a tante cose, obbedì subito e partì. Avevano pane? Avevano vesti? Avevano almeno un po’ di fieno per l’asinello? Credo di no. Grande esempio! Esempio di obbedienza e di abbandono alla Divina Provvidenza! Giuseppe non disse mica all’Angelo: ma, senti un po’... dove andremo? Dove staremo? Ma perché Dio non fa scomparire Erode, invece di costringerci a fuggire davanti a lui? No, no, non disse tante cose, ma obbedì ciecamente, perfettamente (Par. I,180).
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Gesù obbedì sempre: cominciò ad obbedire al suo Padre Celeste, scendendo in terra e prendendo carne umana, umana natura, piangendo sulla paglia a Betlemme... Gesù obbedisce nella presentazione al Tempio, nella fuga in Egitto: obbedisce sempre. Dice il Vangelo: “Et erat subditus illis”. Gesù cresceva ed era sottomesso a San Giuseppe, suo Padre agli occhi del mondo; era obbediente alla Santissima Vergine, sua vera madre; era docile, obbediente, sottomesso. Un giorno, quando Gesù era già grande, aveva 30 anni, una voce dolce, cara al suo cuore gli dice: “Vinum non habent! ”... Gli occhi dolci di Maria, della Santissima Vergine, Madre sua, avevano visto che, nel festino di nozze a cui assistevano in Cana di Galilea, erano rimasti senza vino. Maria teme dell’umiliazione e del dolore degli Sposi e dice al Figlio: “Non hanno più vino”. Gesù risponde alla Madre: “Ma che importa a Te, o donna? (Gesù dava del Tu alla Madre sua, perché in latino si dà sempre del tu, non c’è la terza persona) “Nondum venit hora mea”. E la Madre non si lascia intimidire e dice a coloro che servono: “Fate ciò che Egli vi dirà”. La Vergine benedetta sapeva di poter contare sul cuore del Figlio suo! La Madonna non ha pregato; ha detto solamente: Non hanno più vino. E Gesù ha fatto il miracolo: ha obbedito alla Madre sua! La Madonna non ha fatto un lungo discorso: tre parole sole! Tre parole sole! Fate attenzione a questo, voi altre donne che avete il vizio di parlare troppo, e per dire una cosa ci fate un contorno di parole inutili, e fate un lungo discorso, per dire tre parole necessarie; tolte quelle, tutto il resto... chiacchiere! La Madonna parla poco, tre parole bastano per strappare un miracolo dal Cuore di Gesù. Non era venuta l’ora di mostrare coi miracoli che era Dio; ma la Madonna parla ed Egli obbedisce! Come è bella l’obbedienza! (Par. I,180).
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Come vive tranquilla un’anima che vive sotto l’obbedienza! Quando è che una religiosa è tranquilla? Contenta? Quando cerca le cose di suo gusto? Di suo genio? Quando dice: Così non va bene, mi piace più in quest’altro modo... così... e così? No, no! Quando entra questo spirito di critica, di osservazione in una casa religiosa, è finita, non c’è più lo spirito buono, lo spirito di Dio. Io faccio l’obbedienza e devo credere che chi parla e comanda è Dio. Quando obbedisce, allora sì che l’anima vive tranquilla. Quanto più c’è spirito di obbedienza, e più in quella casa c’è buono spirito, si sta bene: è un Paradiso! nostro Signore Gesù Cristo obbedì sempre, sino alla morte. Si leggono nel Passio queste parole: “Factus obediens usque ad mortem, mortem autem crucis”. Per obbedire al suo celeste Padre Gesù portò la sua Croce sino al Calvario, sino a morire sul patibolo più infame di quei tempi: la Croce! Ebbene, buone figliole del Signore, dovete chiedere a nostro Signore la grazia della santa obbedienza: che questa virtù s’imprima talmente nella vostra anima, nel vostro spirito, che siate come impastate d’obbedienza. Con l’obbedienza voi arriverete in breve ad un alto grado di santità. Vale più l’obbedienza che il sacrificio... che qualunque altra cosa, che qualunque altra cosa! E tutti i Santi hanno obbedito, hanno sempre obbedito. Guardate ancora nel Vangelo: Gesù al lago di Genezareth. Egli dice a Pietro: Spingi in avanti la barca e getta le reti. Quelle di voi che conoscono il mare, sanno che la pesca, la vera pesca, si fa di notte; orbene era di giorno, e Gesù dice a Pietro di spingere al largo la barca e di gettare le reti. E Pietro dice: Signore, abbiamo lavorato tutta la notte, senza prendere nulla, ma sulla tua parola getto le reti. E fu premiato della sua obbedienza: Gesù lo fece pescatore di anime. Saulo, persecutore della Chiesa, munito di poteri e di lettere, è sulla via di Damasco per far catturare i Cristiani da lui odiati. Una folgore lo atterra, si apre il cielo, e una voce chiama: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? E Saulo: “Domine, quid me vis facere? Loquele, Domine”? E il Signore gli dice: “Alzati, va a Damasco, dal mio ministro, e fa quello che ti dirà”. Saulo, divenuto cieco, si rialza, si fa accompagnare a Damasco, obbedisce, e da persecutore diventa apostolo, l’apostolo della Genti (Par. I,181).
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L’obbedienza, che fa! Fa’ che si veda Dio in coloro che ci comandano, la persona stessa di Dio. Non dite: Ma io so scrivere e leggere, magari, suonare e ricamare, e devo obbedire a quella là che non sa far niente? Non dite? Ma quella là mi piace, ci sto volentieri, sa far tante cose, magari da far ballare, e far dietro front ai bambini dell’Asilo... Quest’altra invece non sa far niente. Non dite: Questa sa fare e quest’altra non sa fare! Quella mi piace, quell’altra no. Qui appunto sta il merito: obbedire a quella che non sa fare, che non sa comandare, che ha magari un carattere diverso dal mio... È lì che si vede lo spirito buono... Quella lì non mi piace, non mi va genio... Attenta, povera religiosa! Se tu fai le cose per genio, ne avrai ben poco merito... Siate obbedienti, sottomesse, anche a quelle che non vi vanno a genio, che patiscono magari di nervoso, e che certe volte vi scagliano sul capo certe lacchè da far tremare. Ebbene, buone figliole del Signore, abbassate la cervice, siate sottomesse; l’obbedienza sta lì, proprio tutta lì. E se obbediamo a delle persone che ci vanno a genio, che merito ne abbiamo noi? Non dite: Ma a quella lì è un piacere obbedire, dice le cose così bene, con tanta dolcezza... e così... e così... Sicuro! Ma quell’altra! Dio me ne guardi! No, No, questo non è bene. La vera obbedienza consiste nell’obbedire a tutte, buone a cattive, istruite od ignoranti; a tutti, a tutti, capite? (Par. I,182).
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Obbedite, obbedite, buone figliole del Signore, obbedite sempre, obbedite a tutte. Sant’Ignazio di Loyola, di cui sto leggendo la vita in questi giorni, ha scritto varie lettere sull’obbedienza, lettere che tutti i suoi religiosi sono obbligati a leggere, e si leggono nelle loro case, almeno una volta al mese. Ebbene, Sant’Ignazio dice che si deve restare nelle mani dei superiori come un cadavere. Avete visto quella povera vostra consorella, morta circa un mese fa? L’avete vestita, si è lasciata vestire, e quantunque l’abbiate fatto con molta delicatezza, certamente avrete dovuto girarla, rigirarla, ed essa ha lasciato fare; l’avrete messa nella cassa e ci si è lasciata mettere. Sant’Ignazio vuole che i religiosi siano così, come corpi morti che si lasciano maneggiare come pare e piace, e di cui si può fare ciò che si vuole. Ho conosciuto una santa monaca, e molte di voi l’avranno conosciuta, o ne avranno sentito parlare; erano 37 o 38 anni che era a letto immobile, con il capo legato alla lettiera, perché non poteva reggere. Andai a Viterbo un giorno, e siccome abitava lì, andai da lei a celebrare la Santa Messa e le portai pure il Santo Bambino, quello che chiamano “girandolone”, perché lo portano dai malati. Quando stavo per venir via mi disse: “Quando lei fonderà un Monastero di Monache dirà loro così: ch’io lascio loro questo ricordo... ” (A dire il vero, io allora, non ci pensavo nemmeno, ed ho cominciato a pensarci da quel giorno). Dirà loro che si lascino adoperare come veri stracci. Per questo vi ho chiamate “straccione”. Guardate, buone figliole del Signore, guardate come si adoperano gli stracci: un po’ si adoperano per pulire i mobili, un po’ per pulire in terra, si mettono sotto i piedi, si buttano in un canto: così si fa degli stracci! Dica loro, mi disse quella monaca, che procurino di essere veramente come stracci, e la benedizione di Dio sarà con loro (Par. I,183).
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Guardiamo sempre i Superiori con gli occhi della fede! Noi non dobbiamo vedere, in chi ci comanda, il Superiore o la Consorella, ma N. S. Gesù Cristo. La nostra obbedienza sia: pronta, intera, allegra! “Ilarem, donatorem diligit Deus”. Il Signore non ama le cose date o fatte per forza. Non siate come l’asinello cocciuto che si fa battere per obbedire. La vostra obbedienza sia allegra, non solo esternamente, ma internamente: non dite dentro di voi: lo faccio proprio perché non posso farne a meno. No, no! Obbedienza interna ed esterna, di cuore, di mente e di giudizio. Diceva San Filippo: Datemi due dita della vostra testa, e di voi ne faccio un santo. Siate religiose di obbedienza; obbedite nel razionale, nella testa, sicuro, nella testa... che vuol sempre fare a modo suo: Obbedienza pronta, senza discutere, senza dire: Mai... e poi qui, e poi là... Niente! Niente! Don Bosco aveva un chierico, Don Michele Unia, che poi andò a curare i lebbrosi, quei poveri ammalati che sono schivati da tutti per la loro terribile malattia. E ve ne sono ancora di queste case, dove si curano questi poveri ammalati: a San Remo, per esempio, ve n’è una. Questo chierico, dunque, che era obbedientissimo, faceva gli Esercizi Spirituali per prendere la Messa. Un giorno andò da Don Bosco e, tutto desolato dagli scrupoli, disse che non voleva più prendere la Messa per la sua indegnità. E Don Bosco, che vedeva il bene che avrebbe fatto in seguito, si tolse la berretta dal capo e, ficcandogliela ben bene in testa, gli disse: “Se hai la testa rotta, te l’accomodo io; va a terminare i tuoi Esercizi, prendi la Messa; al resto ci penso io”. Colpito da quel gesto, da quelle parole, il chierico si alza risoluto di obbedire, prende a suo tempo la Messa e, guarito per sempre dagli scrupoli, diventa Missionario, martire della sua carità, diventa l’Apostolo dei lebbrosi. L’obbedienza fa i Santi, crea gli Apostoli (Par. I,184).
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Oh! Santa obbedienza! Bisogna obbedire, obbedire sempre. Guardate che il demonio, specialmente con le monache, usa molte astuzie per impedir loro di obbedir bene. Certune hanno un modo tutto speciale per indurre il Superiore a fare a modo loro, un certo modo di circuire i Superiori, una specie di raggiro, certe parole melliflue, melate, che finiscono sempre a far fare al Superiore la loro volontà. Questa non è obbedienza. Il diavolo è scaltro, è malizioso, farà di tutto per impedirvi d’obbedire bene. Il Superiore vi dirà: fate questo e questo... Ma qui... ma lì... ma lì... Guardatevi dai “ma”. Fate questo, fate quest’altro. “Superiora, se sapesse; se... se... “Guardatevi dai “se”. Dovete obbedire senza “ma” e senza “se”. Mi direte: Ma quando una si sente male ed è comandata per questo e quest’altro ufficio, è male il dirlo, avvisare i Superiori? No, non è male, è suo dovere, in questo caso, ma guardate bene di non essere di quelle che, quando fa male loro un’unghia, restano a letto, non ne possono più. Ricordatevi che Gesù Cristo fu flagellato a sangue, e andò sul Calvario, con la sua croce. Dite pure le vostre difficoltà, sinceramente, così e così, poi basta, lasciate fare ai Superiori. Un’altra astuzia del demonio: si ricorre al confessore e il confessore magari dice di no, quando la superiora ha detto di sì. Ma che confessore d’Egitto! Buone Figliole del Signore, il confessore è per la vostra coscienza, d’altro non se ne deve mischiare. È il diavolo che per impedirvi d’obbedire si serve anche del confessore e del Sacramento della penitenza. Non vi dico che non possiate aprirvi coi superiori e dire: Mi pare che per la mia anima, così e così: oppure: Non mi sento per questo e questo; fatelo pure, ma poi obbedite. Domani la regola vi impone di alzarvi alle 4: vi dicono di dormire, e dormite; avrete lo stesso merito, se non di più (Par. I,186).
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Obbedienza, obbedienza! Seguite l’esempio di N. S. Gesù Cristo che prima volle obbedire lui, per insegnarci poi ad obbedire noi. Obbedite, se volete essere veramente secondo lo spirito di Gesù Cristo; obbedite, se volete arrivare ad un alto grado di perfezione, se volete essere care al Sacro Cuore di Gesù; chinate il capo, siate obbedienti, se volete essere care alla SS.ma Vergine. Siate obbedienti! Hanno peccato di disobbedienza gli Angeli: “Non serviam”, e Dio li ha precipitati nell’abisso. Peccò Eva mangiando il frutto proibito, facendone gustare ad Adamo, e furono scacciati dal Paradiso Terreste, condannati al lavoro, alla morte, terribile castigo della disobbedienza. Quando è che la Madonna venne chiamata Madre di Dio? Quando chinò il capo e disse: Fiat, quando obbedì. Con la disobbedienza Eva rovinò il genere umano: con l’obbedienza Maria Vergine lo restaurò: chinata la benedetta sua fronte, le porte dell’inferno si chiusero, si spalancò il Cielo! (Par. I,187).
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Cara Santa obbedienza! Direte: Ma, alle volte, certe cose costano tanto! Pregate! Certi sacrifici fan sudar sangue! Attaccatevi alla Madonna, pregate! Sant’Alfonso, fondatore dei Redentoristi, venne accusato al Papa di cosa iniqua. Era già vecchio, era il fondatore della Congregazione, e lo misero fuori. Egli obbedì ed è santo. Un giorno i politici di questo mondo vollero sfogarsi contro i Gesuiti e strapparono dalle mani del Papa una bolla che ne ordinava la dispersione. E quell’ordine, che aveva dato tanti santi alla Chiesa, che era stato creato apposta per difenderla, venne soppresso. Il Generale, il padre Ricci, morì in prigione, sulla paglia, a Castel Sant’Angelo. Disonorati, infamati, dispersi dalle mani stesse del loro Padre! Abramo pure stava per sacrificare Isacco, il suo proprio figlio, ma alzò solo il braccio, senza colpire. I Gesuiti invece furono proprio sacrificati. Hanno obbedito, e il Signore lì ha risuscitati, il loro Istituto è ora più forte, più fiorente di prima. San Giuseppe Calasanzio fu calunniato, preso, trascinato per le vie di Roma che, povero vecchio, bagnava con il suo sangue, e condotto in carcere. Egli obbedì, si lasciò accusare senza difendersi mai: si lasciò catturare senza una parola, senza un lamento. Giunto alla prigione, stanco, sfinito, si addormentò. Un Cardinale, che gli era amico, saputa la cosa, andò a prenderlo e lo trovò addormentato placidamente come un bambino: tutti poterono allora vedere, attorno al capo di quel santo vecchio, l’aureola luminosa dei Santi Martiri. Egli aveva obbedito. Obbediamo anche noi! Insegnateci, o Signore, a morire come Voi sulla Croce per obbedienza, insegnateci, o Signore, a far nostra la vostra santa volontà, insegnateci ad obbedire come voi avete obbedito (Par. I,188).
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Il padre De Leonardis, fondatore dell’Istituto della Madre di Dio, fu richiesto dai suoi che scrivesse la regola. Anch’egli prese un foglio e scrisse: Obbedienza! E questa, fino a nuova disposizione, è anche la vostra regola. E se qualcuno, qualche parroco, voi altre che siete nelle case, per esempio, ve la chiede, fatevi dare un pezzo di carta e scriveteci su: Obbedienza, e dategliela e ditegli: Ecco la nostra regola. Dobbiamo obbedire! nostro Signore da Bambino ha obbedito, ha obbedito da fanciullo; poche parole ci sono di Gesù fanciullo, nel Vangelo: Fuit obediens... et erat subditus illis: Era obbediente! E poi del Signore nella Settimana Santa si dice: Fuit obediens usquem ad mortem: mortem autem crucis! Per questo Gesù obbedì, perché il gran segreto della redenzione è qui: l’Obbedienza! Per mezzo dell’Obbedienza Gesù ha salvato tutto il mondo, e, dove il Suo nome non è ancora benedetto e onorato, lo sarà prima della fine del mondo. Guardate, per un atto di disobbedienza è entrato il peccato nel mondo e per l’obbedienza è entrata nel mondo la salute... Oh, quanto è importante questa virtù! Anticamente i monaci non avevano i tre voti. I tre voti incominciarono soltanto da San Francesco d’Assisi, in avanti. Noi sacerdoti, quando veniamo ordinati, facciamo soltanto il voto di obbedienza: Obbedientia et reverentia. Obbedienza riverente; non l’obbedienza dell’asino. Non l’obbedienza del padrone. Sapete che nel mondo si suole dire: lega l’asino dove vuole il padrone. Ci sono delle religiose che, sì obbediscono, ma poi, con la lingua! Certe lingue diventano forbici. No, così non va bene! La vostra obbedienza deve essere l’obbedienza filiale, filiale; neanche l’obbedienza da padrone... Obbedienza morale, filiale, filiale! Sicuro: questa è l’obbedienza che piace tanto al Signore. Ecco la vostra regola: Obbedienza, Obbedienza! E la vostra vita deve essere umiltà, castità, povertà, carità! Voi portate del resto nel vostro stesso nome il vostro programma: Missionarie della Carità! (Par. II,71).
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Quando si dice Provvidenza, voi sapete che si dice fede in Dio, abbandono, fiducia in Dio; ma non dice ancora lo scopo, non dice ancora lo scopo... Invece voi altre portate nel vostro nome lo scopo: le Missionarie della Carità: ma siccome la carità è Dio, la vostra carità non deve essere filantropia! Oh! La virtù dell’obbedienza, quanto è mai necessaria! La vostra obbedienza deve avere le radici nel cuore; e nella parola e nella voce e nell’ordine della superiora, e nei superiori dovete vedere la parola, la voce e l’ordine di Dio... Vi farò avere una lettera sull’obbedienza di Sant’Ignazio, scritta ai suoi religiosi in Portogallo e Sant’Ignazio di Loyola è chiamato il santo dell’obbedienza. In un punto egli dice: obbedire da cadavere, fare l’obbedienza come un cadavere... Lo sapete, il cadavere se gli tirate un braccio, se lo lascia tirare; se gli tirate una gamba se la lascia tirare; se lo gettate a terra, scusatemi la parola, se lo dissotterrate, si lascia gettar a terra e dissotterrare; tutto senza parlare. Obbedienza! Lasciatevi maneggiare come cadaveri. Il cadavere non mormora, il cadavere non mormora, il cadavere se lo picchiate, non dice niente, il cadavere se lo buttate nell’acqua, se lo buttate nel fuoco, sta nell’acqua, nel fuoco (Par. II,72).
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Sono stato a Messina al tempo del terremoto e, vedete, ironia delle cose, mi avevano messo a far da vicario generale; al ritorno ero mortificato e stanco e andai a Viterbo a trovare quella santa monaca, suor Benedetta Frey, che appena mi vide, mi disse: Non ci vuol mica della malinconia... Bisogna essere degli stracci nelle mani di Dio! Siate come gli stracci! Lo sapete, gli stracci si adoperano come si vuole; io per esempio mi pulisco le scarpe con lo straccio e anche poco fa, prima di venire qui, ho visto che le avevo tanto impolverate, ed ho preso uno straccio e le ho pulite. Voi poi, lo sapete meglio di me, che cosa si fa degli stracci; se li mettete sul tavolo stanno sul tavolo, se li buttate su una poltrona, stanno sulla poltrona; se li mettete sotto i piedi, ebbene si lasciano calpestare. Noi dobbiamo essere gli stracci della Divina Provvidenza. E poi dobbiamo governare la nostra volontà secondo l’obbedienza. Se noi solleviamo lo sguardo in una notte azzurra, noi vediamo il cielo stellato, vediamo quella moltitudine di astri, di stelle che roteano secondo l’ordine avuto da Dio. Tutto è ordine, tutto è obbedienza alla volontà di Dio (Par. II,73).
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Obbedienza! Obbedienza! San Tommaso d’Aquino esalta l’obbedienza su tutte le virtù, su tutte le virtù, su tutte le virtù! San Gregorio Magno chiama l’obbedienza il compendio di tutte le virtù. Don Bosco diceva che l’obbedienza è la via più breve per raggiungere la santità. Impariamo dai Santi, impariamo dai Santi! San Luigi Gonzaga amava tanto Gesù Sacramentato, faceva lo sforzo di allontanarsi dalla Cappella per andare a girare. Ed un suo superiore gli disse un giorno: Senti, se in questo momento ti venisse data la nuova della prossima tua morte, che faresti tu? Continuerei a giocare, rispose Luigi. Continuerei a giocare! Capite! E sapete perché? Perché egli giocando era certo di fare la santa volontà di Dio. Egli obbediva; obbediva, e quindi sapeva che il Signore ne era contento... Avete mai sentito parlare di San Gerardo Maiella? Come era obbediente, com’era obbediente, com’era obbediente! (Par. II,74).
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Obbedienza, obbedienza! Dopo le virtù teologali San Tommaso d’Aquino mette la virtù dell’obbedienza. Il fondamento della religione, o buone suore, è la fede, è il vedere che nella volontà dei superiori c’è la voce e la volontà di Dio. Sapete che cosa ha detto nostro Signore Gesù Cristo: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? E poi da sé ha risposto: Sono quelli che fanno la volontà del Padre mio. E nell’agonia dell’orto, alla vista dei patimenti che avrebbe dovuti soffrire, esclama: Padre, se è possibile passi da me questo calice; ma tosto soggiunge: Peraltro facciasi di me non la mia, ma la tua volontà... E con queste parole ci ha mostrato come egli desiderava obbedire. Finché i religiosi e le religiose saranno obbedienti, faranno cose meravigliose, mirabilia, ma quando cesseranno di essere obbedienti faranno miserabilia. L’obbedienza è l’anello d’oro che congiunge l’anima a Dio. Oh, dunque preghiamo il Signore che ci dia l’amore di questa virtù. Oh, quanto è mai bello obbedire, quanto è mai bello! Noi dobbiamo essere semplici nell’obbedire, la nostra obbedienza deve essere pronta, la nostra obbedienza deve essere allegra, deve essere allegra... Un’obbedienza senza esaminare, un’obbedienza senza criticare. Coraggio, buone figliole del Signore, tutto le benedizioni di Dio discenderanno sopra di voi, tutte le benedizioni di Dio discenderanno sul vostro lavoro. Quanto più sarete obbedienti, tanto più sarete felici nel Signore! (Par. II,75–76).
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Una seconda parola che vi voglio dire è quella dell’obbedienza. Gesù fu obbediente fino alla morte. Dobbiamo essere obbedienti, anche a costo di morire. L’obbedienza dev’essere come ce la insegnò Gesù Cristo. Volete essere sicure di camminare nella strada del Signore e arrivare dove il Signore vi ha destinate? Obbedite sempre! Andate dove vi dicono di andare, e non fate ragionamenti. Vi mettono sull’altare davanti al Tabernacolo, vi mettono sul trono? State sul trono. Vi mettono sotto i piedi? State sotto i piedi... E l’obbedienza sia pronta, allegra, serena, piena, cordiale; così dev’essere l’obbedienza della vera religiosa... Ieri ho dovuto scrivere a Sua Ecc.za l’On. Mussolini e gli ho detto: Io sono sacerdote disciplinato al Papa e ai ministri del Governo fino alla morte. Ed era necessario ch’io scrivessi così, perché ognuno di noi sappia quale dev’essere lo spirito di sottomissione che un apostolo di Gesù Cristo deve avere per l’autorità. Perché, se domani il Papa mi dicesse di farmi levare la pelle e di andarla a vendere al mercato, io me la faccio levare e vado a venderla... E così dovete essere voi. Gesù Cristo è stato obbediente e le sue spose devono essere simili a lui. I vostri Superiori hanno giurato obbedienza nelle mani dei Vescovi e del Papa, e voi dovete essere obbedienti e non giudicare i Superiori. Iddio solo ci giudicherà. Ricordate quel salmo, che il Sacerdote dice prima di cominciare la Messa, ai piedi dell’altare: Judica me, Deus... Vi comandano bene? Il Signore li premierà. Vi comandano male? Voi sarete giudicate secondo la vostra obbedienza. Solamente in una cosa non sareste obbligate a obbedirli: se vi comandassero contro la legge di Dio. Ma questo, con la grazia di Dio, non avverrà mai. Se le vostre Consorelle sono morte così felici e contente è perché erano felici di aver sempre obbedito. Siccome la morte verrà per tutti, possiamo io e voi fare una morte santa, come l’hanno fatta le vostre Consorelle, che, in punto di morte, sentivano di essere state condotte nella strada del Signore (Par. II,121e–121f).
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Papa Giovanni XXII che santificò San Tommaso, nelle parole della Bolla scrive: “Grande è la castità, grande la povertà, ma più grande è l’obbedienza. Piuttosto morire che disobbedire. Un santo dice che l’obbedienza ci rende simili agli angeli. Gesù non fu attaccato ai luoghi o al tempo. Noi ci raffiguriamo gli angeli con le ali per la prontezza nell’obbedire agli ordini di Dio. In una religione i membri non si portano mai cappello e mantello in camera ma lo lasciano in portineria... Ai militari, ai marinai, ci si dà una lettera che poi aprono alla stazione o in alto mare. Se lo fanno i militari per la politica terrena, non lo faremo noi per la politica celeste? Trovai un mio compagno prete. Mi disse: “Da 37 anni non ci sono più tralci staccati”. Perché c’era l’obbedienza. Cesseremo di fare opere atte alla salute nostra e della Chiesa, quel giorno che lasceremo di obbedire. Coloro che più soffrono sono i Superiori. Il diadema dell’autorità è una corona di spine. Ilarem datorem diligit Deus. Nulla chiedere e nulla rifiutare. Chi si sottrae all’obbedienza si sottrae alla grazia, anello d’oro che ci unisce a Cristo (Par. III,47).
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Abbiate una grande obbedienza: siate obbedienti non per forza, ma sia la vostra un’obbedienza allegra, intera, religiosa. Che non si abbia ad essere in pena e che non si debbano cercare le parole per comandarvi. Obbedite allegramente (Scr. 6,155).
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Siamo obbedienti! L’obbedienza va pari passo con l’umiltà; più uno è umile e più è obbediente; più è superbo e più è disobbediente. Non v’è obbedienza ove non c’è umiltà. Facciamo sinceri e profondi propositi di osservare ad ogni costo, costi quanto costi, la virtù dell’obbedienza. Obbedienza interna e obbedienza esterna. San Filippo Neri diceva: datemi due dita di testa – della razionale – e vi darò presto un santo. L’obbedienza è la via più breve, più sicura e più facile, è l’anello d’oro e la catena che per mezzo dei Superiori, ci tiene uniti a Dio e alla Chiesa. Nelle nostre Costituzioni, al Capo XXVIII, si dice: “Il religioso che entra in questa Congregazione propone a sé stesso, e con il voto della santa obbedienza promette a Dio e a tutta la Congregazione di essere obbediente, indifferente a tutti gli uffici che i Superiori gli comanderanno di esercitare, gravi o leggeri, difficili o facili che sembrano o siano, in modo che sia disposto con la divina grazia a spendere anche la propria vita, ove lo richiedesse la maggior gloria di Dio e del servizio del prossimo ad imitazione di Gesù Cristo Redentore e Signore nostro. Qui fuit oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis (S. Paolo ad Phil. ). I Superiori infatti lo hanno ricevuto e aggregato alla Congregazione dopo che si sono persuasi per via di esperimenti che egli davvero si è procacciato animo sì forte da osservare fedelmente, coll’aiuto del Signore, l’indifferente promessa. San Francesco d’Assisi scrisse: Io frate Francesco prometto obbedienza, riverenza e amore alla Chiesa; voialtri promettete obbedienza, riverenza e amore a Frate Francesco. Così deve essere di noi (Par. VI,237).
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Ho fatto il voto perpetuo di obbedienza il 13 aprile 1912 nelle mani del Santo Padre Pio X. Mi sono legato alla Chiesa corpo e anima, anima e corpo, da vivo e da morto; così voglio essere legato e così ho inteso di legare nella mia persona tutti i Figli della Divina Provvidenza alla Chiesa. Oh i Santi, come erano obbedienti! Cercavano di attaccarsi sempre più al Signore. Elevarono tutti i Santi religiosi la virtù dell’obbedienza all’eccellenza di voto. Sant’Andrea Avellino fece voto di andare sempre contro la sua volontà. Gesù descendit de coelis per salvare le anime; per fare l’obbedienza. L’obbedienza si deve vivere nel sangue e nelle vene: l’obbedienza frena l’amor proprio e ci fa sentire l’unione, le gioie dell’unione con la Chiesa e con Dio. San Bernardo dice che Gesù è l’obbedienza incarnata. San Giuseppe, di notte, all’apparire dell’Angelo, che lo chiama per fuggire in Egitto, subito senza ma, senza se, senza perché, con questo freddo, a quest’ora, aspettiamo domattina, in paese così sconosciuto, con il Bambino tenero, e Maria Santissima, come devo fare... no, no, non è stato a discutere, ma subito si alza senza discutere, senza battere palpebra: che obbedienza! Il Vangelo registra: Erat subditus illis. Con che stupore della corte celeste quando, stanco del viaggio e dall’evangelizzazione apostolica, lo invitarono a mangiare, egli rispose: mio cibo, mio nutrimento è fare la volontà del Padre mio. Altre volte disse: Sono qui per fare la volontà del Padre mio, di Colui che mi ha mandato. Gesù obbediente in vita, obbediente in morte, obbediente nel Sacrario. Stamane all’atto della Consacrazione l’abbiamo chiamato sull’Altare: si dà a certe mani, a certi cuori indegni e lordi dal peccato e dal sacrilegio, e Gesù obbedisce e obbedisce sempre: così vorrei che fosse di tutti voi. Don Rua come sapeva obbedire! Come sapeva bene la cerimonia: era di primo ordine, preciso nella liturgia; come si facevano bene le funzioni in Maria Ausiliatrice! Ivi, per cerimoniere nei primi tempi vi era un chierico che di cerimonie ne sapeva un bell’acca; diceva: genuflectant omnes in plano, mentre faceva inchino... Un giorno Don Rua faceva il celebrante e altri due da suddiacono e diacono nella Messa solenne: il cerimoniere insegnava sbagliato; però Don Rua obbediva... come era obbediente, come era umile! I due ministri invece schizzavano dalla rabbia; invece Don Rua obbediva. Era ardentissimo come un leone, eppure sapeva domarsi. Imitiamo i santi, non per nulla la Sacra Scrittura dice: “Vir oboediens loquetur victoriam”. L’uomo obbediente canterà vittoria (Par. VI,238–239).
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La virtù dell’obbedienza è base fondamentale della vita religiosa. Non possiamo dare a Dio nulla di più bello, di più grato che la nostra volontà e la nostra libertà. San Paolo scrivendo a Timoteo dei disobbedienti, disse: Increpa illos...; correggili, ammoniscili duramente. Gli antichi eremiti facevano un solo voto, perché ritenevano che non fossero necessari i voti di castità e di povertà perché, come osserva San Girolamo, in esso erano inclusi gli altri due. Il Vescovo quando ordina i Sacerdoti dice: – Promittis mihi et successoribus meis oboedientiam? – È un uso antico della liturgia, non è propriamente un voto, ma una promessa. Un fondatore che non aveva ancora fatto approvare le regole, stava in punto di morte e i suoi religiosi piangendo attorno a lui: “Padre, non fa approvare le regole, come andremo avanti?” Aprì gli occhi morenti ed esclamò: “Fate l’obbedienza e troverete tutto” Anche il Cottolengo una propria regola non la diede. Quanto non è mai necessaria l’obbedienza per la vita religiosa! San Bonaventura scrisse: “Tutta la perfezione della vita religiosa consiste nel rinunziare, nell’abdicare alla propria volontà. Fate il voto di obbedienza e nell’obbedienza troverete tutto, disse quel fondatore morendo. I Gesuiti sono detti i soldati, i pretoriani della Chiesa per la loro obbedienza ferma. Ecco perché i nemici cercano di abbattere sempre per primi, i gesuiti. Il Cottolengo diede alcune regole a viva voce. Il suo successore, il Canonico Anglesio, diede le regole, le corresse, le cambiò anche e anche dopo furono cambiate. Don Bosco disse: “Chi di noi si lascia tagliare la cabeza (la testa)? Voleva dire: chi non rinuncia alla propria volontà non può farsi religioso salesiano” (Par. VI,240).
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Obbedite, non per l’occhio della gente, ma perché chi comanda sta al posto di Dio. Se commetti qualche mancanza, bisogna andare dal Superiore e domandare scusa. San Paolo dice: – Siate obbedienti e sottomessi agli ordini dei vostri Superiori. – Obbedite prontamente; il Signore poi chiederà conto al Superiore come ha comandato, a voi come avete obbedito. San Filippo per tenere umile il grande storico del suo secolo, Cesare Baronio, lo mise in cucina e scrisse sul muro: Caesar Baronio coquus perpetuus. – Mi viene in mente che certi superiori sono perpetuamente crocifissi perché tengono dei religiosi che li crocifiggono, e fanno pensare i superiori tanti giorni perché questi non sanno che forma prendere per comandare e perché accettino. Coloro che crocifiggono i superiori non sono affatto religiosi. Don Sterpi mi scriveva di un Superiore: sempre si lamenta; dovunque lo metto non mi prepara che dispiaceri. Non ci devono essere: se, ma, cur; senza forza d’animo non c’è virtù. Il regno dei cieli “vim patitur”... Qui vult venire post me abneget semetipsum”. Don Bosco e Sant’Ignazio dicevano che i religiosi devono essere come il fazzoletto, come stracci nelle mani dei superiori, ut cadaver, come un cadavere. Una santa fece un sogno: vide un’ancella che portava nelle mani un vaso d’oro con la scritta: obbedienza; e vide le altre virtù che sotto forma di ampolle si avvicinavano al vasetto dell’obbedienza e ciascuna versava un liquido profumato nel vaso dell’obbedienza. San Gregorio Magno dice che l’obbedienza conserva le altre virtù e genera le altre virtù. Sia la nostra vita, ora, una buona, nuova intonazione di vita obbediente, laboriosa. Noi ci rifugiamo sul Cuore di Gesù, fatto obbediente fino alla morte (Par. VI,242–243).
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Il Fiat Voluntas Dei è l’obbedienza. Lo spirito di rivoluzione, di insubordinazione, di rivolta, dal diavolo penetrò anche nel clero. Il modernismo è spirito di ribellione. Tutto parte dalla preghiera lasciata: questo soffio minaccia di entrare nella Congregazione! L’obbedienza è figlia dell’umiltà, come l’insubordinazione è figlia della superbia. Correre alle dighe, cioè fare buoni propositi di vivere obbedienti, senza critiche e mormorazioni. Obbedire con volontà e con intelligenza. L’obbedienza è la via più breve che porta alla perfezione religiosa, è l’anello d’oro che unisce, per via dei superiori, a Dio. Io ho fatto i voti perpetui di obbedienza e gli altri nelle mani di Pio X. Come superiore sono legato alla Chiesa; così i sudditi devono essere legati ai superiori. I Santi ebbero la sete di obbedienza per spingersi più vicino a Dio Il voto di obbedienza frena l’orgoglio e la superbia e fa vivere lo spirito di comunità e di sudditi buoni. Gesù lasciò il Cielo venne ad obbedire a Giuseppe e a Maria benché Santissimo: quando aveva fame diceva: “Il mio cibo è fare la volontà di Dio, di Colui che mi ha mandato. Obbedisce anche agli stessi suoi nemici. Anche nella Santa Eucaristia obbedisce ai Sacerdoti ed entra in certi cuori imbrattati, ma Gesù obbedisce (Par. VI,267).
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Il sentimento d’obbedienza era così profondo in noi, da Don Bosco, che avremmo fatto di tutto, tanto era in noi penetrato lo spirito d’obbedienza. Questa virtù è virtù fondamentale e basilare della vita religiosa; nulla di più gradito a Dio che la volontà nostra e la libertà. Gli antichi religiosi avevano il solo voto d’obbedienza, perché non ritenevano necessario il voto di povertà e castità, bastando quello dell’obbedienza. Nell’obbedienza, dice San Girolamo, stanno tutte le virtù; appunto per questo gli antichi religiosi avevano solo il voto di obbedienza. Anche oggi si usano “oremus” antichi, per tenere le forme antiche perché belle. Nell’osservanza dell’obbedienza si trova tutto; tutta la perfezione religiosa consiste nell’abdicare alla propria volontà. Don Bosco chiedeva chi si lasciasse tagliare la testa, cioè chi si sentiva di rinunziare alla propria testolina. Stare attenti quando si ha la direzione spirituale delle teste fasciate; adagio, adagio con le visioni. Tutta la perfezione religiosa consiste nel rinunziare alla propria volontà. L’obbedienza è come il sale che dà sapore al cibo; è quella che dà sapore alle nostre opere: e, se si manca qualche volta, chiedere scusa al superiore; così si fa un atto di umiltà. Obbedire, benché i superiori non facciano l’ufficio loro, tra sospiri e lacrime. Il Cardinale Baronio faceva il cuoco, benché dottissimo. Così spesso si hanno superiori crocifissi in perpetuo dai sudditi, che sono buoni religiosi ma non di spirito, mormoratori e di poca obbedienza. Quelli che non hanno spirito di obbedienza mettono la casa sotto e sopra e anche di fuori. Vi do la facoltà di borbottare, ma di borbottare delle giaculatorie, cos’ si caccia via lo spirito cattivo. Chi darà consolazione ai superiori e chi darà loro sollievo, se non i religiosi buoni? Questi sono quelli che nel Superiore vedono il Padre, il fratello, Dio. Mai alzare la voce, se si hanno incarichi; ma essere padri, fratelli. Purtroppo il Superiore è spesso obbligato ad essere duro, specie con quelli che si fanno dire due o tre volte le cose. Io vorrei che qualcuno fosse al posto del Superiore in certi momenti, e vedrebbero come i dolori più acuti vengono dai religiosi della Casa (Par. VI,268).
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Santa Rita da Cascia innaffiò per tre anni, per obbedienza, un bastone; ma a capo dei tre anni, il bastone fiorì e diede uva e ancora fa uva. Attenti a non immonacarsi, e non essere direttori di monache! Le cose strambe spesso sono per provare l’obbedienza. Dei “cur” non devono esistere in Congregazione. Se, alle volte, si deve far osservare delle situazioni ai Superiori si faccia in bel modo; il ma è avversativo, il se particella, eccetera, ma non siano per noi... I Superiori non sono obbligati a dare ragione dei loro comandi; e nemmeno i sudditi devono darsi al proprio testolino; ma obbedendo alla cieca si obbedisce a Dio. Fare le cose di proprio genio porta poco merito. Se così si fanno, dov’è tutto il merito? Compiere l’obbedienza, anche quando costa pena e sacrificio; altrimenti non si ha merito! Regnum coelorum vim patitur. Rinnegare sé stessi per seguire Gesù, costi quello che costi. L’obbedienza bisogna comperarla, perché è come la pietra preziosa, – per essa si va in paradiso. Per essere stracci, non sporchi, ma obbedienti, si lascia fare quello che si vuole? Obbedire come un cadavere si lascia guidare; questo è il vero spirito dell’obbedienza religiosa. L’obbedienza deve essere cieca cioè non vedere con i nostri occhi, ma con quelli dei Superiori. I religiosi di Sant’Ignazio volevano cacciare un giovane, ma Sant’Ignazio lo salvò, perché obbediente. Una Santa vide l’obbedienza sotto figura di un’ancella adornata d’oro, con un vaso d’oro e le altre virtù, in figura di giovinette celestiali, con vasi differenti tra loro; le seconde si avvicinavano alla prima angelica a vuotare il liquido del proprio vaso in quello di oro della prima. L’obbedienza genera le virtù e le conserva tutte (Par. VI,269).
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Vi esorto quindi, a un’obbedienza intera, cioè ad un’obbedienza interna ed esterna; sottoporre anche la propria volontà e l’intelletto e il giudizio al direttore spirituale e al direttore della Casa e non un’obbedienza dell’asinello che tira perché è forzato, ma pronta; non dire: farò, e poi star lì a dondolarsi! – Eccomi qua, disse Samuele –: ecco la nostra obbedienza. La giaculatoria salesiana è questa: “Vado io! ” e appena si capisce che i Superiori hanno un qualche desiderio... magari non si sarà adatti; ma questa prontezza è assai gradita al Signore. Pronti, pronti sempre! E poi l’obbedienza sia allegra: non ex tristitia aut ex necessitate; non con il muso, con la faccia da Venerdì santo, non perché non se ne può fare a meno. Non dire: – Ma io la vedo così! Ne innitaris prudentiae tuae: non fidarti del tuo consiglio! Dice la Sacra Scrittura (Proverbi 3–5). Che sia allegra l’obbedienza; agire dunque allegramente, non con malinconia o mala voglia... e obbedienza umile, non sostenuta. L’umiltà infatti, è come la pietà: la pietà ad omnia utilis est, e così l’umiltà... Oh quanta sapienza e spirito di vera efficacia spirituale nella frase di San Francesco di Sales: nulla domandare, nulla rifiutare, e tutto umilmente e lietamente accettare! e questa deve essere la nostra norma pratica, la vita dei figli della Divina provvidenza. Non vorrei essere troppo lungo, ma non vi ho spiegato neppure il Vangelo questa mattina perché l’ho spiegato ai poveri del Cottolengo; e quindi lasciate che continui un poco... Ecco perché leggiamo nelle vite dei Santi che molte volte il Santo opera miracoli per l’obbedienza prestata ai Superiori (Par. IX,376–377).
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Per questo stasera, a questi e a tutti, raccomando vivissimamente l’obbedienza, come nelle sere precedenti ho raccomandato lo spirito di orazione e l’impegno nello studio. Vedete, o cari miei chierici, che l’obbedienza che si fa senza sacrificio, ha un valore molto relativo. Come senza sacrificio non c’è vera virtù, così senza sacrificio non c’è vita religiosa. Sta appunto qui la parte meritoria. Diceva Don Bosco: – È più difficile ma più meritorio obbedire ad un assistente o ad un compagno, che a Don Bosco. – Dobbiamo obbedire vedendo nei Superiori, siano anziani o condiscepoli, guardando in chi si obbedisce, non alla persona ma a Dio. Vedete Gesù, quale esempio di obbedienza ci ha dato, e nella casa e negli ultimi momenti della sua vita! Nei tre ultimi giorni della grande ebdomada, della Settimana Santa, come si ricorda e celebra l’obbedienza di nostro Signore. Si incomincia a dire prima: Christus factus est oboediens, e poi, usque ad mortem e, da ultimo, ad mortem autem crucis. Proprio vero che, nell’obbedienza sta la vittoria! E Gesù, Signor Nostro ci ha redenti nell’obbedienza e nella consumazione di sé stesso al Suo Eterno Padre (Par. IX,445).
Vedi anche: Noviziato, Santità, Superiori, Voti (religiosi).
Onestà
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Sii più vigilante e più rigido e taglia piuttosto che tenere in Noviziato o ammettere ai voti dei dubbi: dubius in fide, infidelis est, dice la S. Scrittura: dubius in rebus honestis, inhonestus est, si allontani. Pota, pota la pianta, senza usare una falsa pietà: mi raccomando, caro don Cremaschi; fa così (Scr. 3,459).
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Senza umiltà, in paradiso non si va; e i golosi in Paradiso non ci vanno e i fuggi fatica, i comodi, quelli cioè che amano le comodità e sono pigri, in Paradiso non vanno. I superbi, i pigri, i golosi e i disonesti ho dato ordine che non siano accettati mai e poi mai in Congregazione. Faticare, faticare, faticare bisogna! per l’amore di Dio e sull’esempio di N. Signore Gesù Cristo (Scr. 4,263).
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I ragazzi salutali, parlando loro a tutti insieme, da sacerdote, raccomandando loro di mantenersi onesti e praticanti nella Fede e devoti della Madonna SS.ma e laboriosi (Scr. 25,154).
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Ti ringrazio della cartolina, va pure con la benedizione del Signore e con la mia e fa di star bravo soprattutto, lo studio è molto, ma senza la bontà a nulla giova per la vita eterna e per questa vita lo studio e la perspicacia senza la fede e la vita onesta sai che cosa hanno fatto? hanno fatto i banchieri dalle mani lorde e dai fallimenti colossali e disastrosi per migliaia e migliaia di povere famiglie! (Scr. 40,264).
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Oh quante volte ho trovato gli uomini migliori di quello che credevo! Quante prove di onestà in chi si ritiene disonesto: quanti giudizi ho dovuto correggere in bene, sulle qualità morali di persone, che dapprima non ritenevo meritevoli della mia stima! (Scr. 41,246).
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Io non voglio fare di te, né un prete né un frate, poiché non ho visto in te questa vocazione; ma un bravo giovane, onesto, virtuoso, fervoroso nella vita dello spirito cristiano, pieno di forza morale e di energie sane e di buona volontà di essere un giorno degno figlio del suo Paese e degno figlio della Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 42,138).
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Leggi qualche buon libro ai giovani, o racconti morali che li aiutino a crescere onesti e virtuosi e amanti del lavoro (Scr. 44,154).
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Confido che vi saprete sempre diportare così da giovani onesti e cristiani, che giammai la SS.ma Vergine abbia da dovervi lasciare cadere dalle sue mani di madre. Questo vi raccomando: mantenete il cuore puro e la virtù e la pratica della vita cristiana: mantenete fede alla nostra santa religione e crescete giovani educati, onesti e laboriosi cittadini, secondo tutti quegli avvertimenti e quella educazione che tutti vi abbiamo sempre data e sarete un giorno contenti e sarete abruzzesi onorati e stimati da tutta l’Italia e benedetti da Dio! (Scr. 50,300).
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Prima base della vita civile e d’ogni sana educazione è la moralità e l’onestà dei costumi e ciò non solo per noi cattolici, ma per qualunque popolo e sotto qualunque cielo. Mi ripeto anche su questo, per non essere frainteso o, meglio, perché tutti vogliate sempre ricordare quali sono su questo delicatissimo punto le idee del vostro Superiore e il suo insegnamento (Scr. 51,30).
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Bisogna tenere ben presente che noi apriamo le scuole per dare dei figli alla Chiesa e dei cittadini al cielo: cioè per dare dei veri, onesti e forti cattolici, praticanti e che siano poi a loro volta, padri cristiani e cattolici (Scr. 63,73).
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L’Italia sarà tanto più forte, più gloriosa e più grande, quanto più la sua gioventù sarà onesta, credente e di vita veramente cristiana (Scr. 65,76).
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In alto i cuori! Vivete con onestà, astenetevi dal male e, quando aveste mancato, purificate la vostra anima con una buona confessione che sia il principio d’una vita più timorata di Dio (Scr. 79,159).
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Venga Gesù, re mansueto e facciamo che regni Dio nella vita e prima di tutto, regni con la sua grazia nella nostra vita individuale: siamo più praticanti nella fede, più onesti, più giusti. Cessi lo scandalo di sedicenti cristiani, peggiori nella vita di quelli che non credono. Prepariamo quel regno di Dio che invochiamo ogni giorno con l’adveniat Regnum tuum. Con l’odio non si vive: senza Dio si muore! (Scr. 82,15).
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Per ritornare alla vita semplice, onesta, all’amore del lavoro, agli ideali di giustizia, di bontà, per amare la famiglia, non vi è che un rimedio: ritornare alla Religione (Scr. 91,275).
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Vi desidero Religiosi non di nome o di apparenza, ma Religiosi veri, non falsi, di quelli che hanno sempre da nascondere qualche cosa, che non sono sinceri, che hanno fatto i sacri Voti, ma non li osservano e si gravano l’anima di peccato, perché si può ingannare i Superiori, ma non Dio, che tutto vede e che non benedice chi vive con doppiezza. Siate sempre onesti, diritti, leali! La Congregazione è la vostra famiglia a cui vi siete dati e consacrati: amatela, custoditene lo spirito di umiltà, di fede, di povertà, di obbedienza e amore alla Chiesa e al Papa e onoratela con la vostra condotta buona ed edificante e con il vostro spirito da veri Religiosi pii, seri, non mai leggeri (Scr. 99,197).
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Diffondete lo spirito della bontà: perdonate sempre: amate tutti; siate umili. laboriosi, franchi, leali in tutto: di fede, di virtù, di onestà ha estremo bisogno il mondo (Scr. 117,104).
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Cari figlioli, ecco a che cosa conduce il vizio della disonestà! Esso ci trasforma da angeli in demoni, da anime belle in ceffi così brutti, da potersi rassomigliare all’apostolo che per una vile moneta vendette il Signore! Ed infatti, colui che si lascia trascinare al peccato è simile a Giuda, anzi lo sorpassa in scellerataggine, perché Giuda non ebbe tutte le grazie che noi abbiamo avuto. Cerchiamo dunque di mantenerci sempre in grazia di Dio e di aumentare costantemente in noi la sua santa carità (Par. IV,345).
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Il prete deve essere onesto, non deve essere doppio, deve essere franco, sincero, dritto, non commettere mai nessuna cosa che sia storta, né davanti a Dio né davanti agli uomini. La candela è bianca e voi dovete essere puri; la candela è dritta, siate dritti. La candela è accesa e voi dovete accendervi di una tale luce che risplende; la candela arde, arde e splende; e così voi dovete ardere di amor di Dio, dovete ardere di amore di Dio come arde la candela (Par. VI,28).
Vedi anche: Lealtà, Sincerità.
Opera dei Congressi
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Da quelli che vengono avrei bisogno che mi mandaste un po’ di libri buoni: ad es. i volumi sui Sacramenti e Liturgia del Card. Schuster, credo siano 8 volumi. Gli atti del Congresso sull’Unità della Chiesa (un bel volume, slegato) tenutosi a Milano un sei o sette anni fa. I Volumi sugli Atti dei Congressi Cattolici, dell’Opera dei Congressi, sono parecchi, c’è scritto su quasi tutti, in stampatello, il nome di don Carlo Perosi. Questi libri sono tutti in Casa, a Tortona (Scr. 19,52).
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Credo doveroso unire copia anche della Gazzetta di Messina anche di ieri, dove vi è una grave e veramente scandalosa dichiarazione di don Sturzo. Questo sacerdote che parla per sé e ardisce parlare anche di tutti cattolici contro i diritti della s. sede e in momento così doloroso per la Chiesa mi pare dovrebbe essere almeno rimosso dalle cariche che occupa nel movimento cattolico e che gli fosse tolta la parola nei Congressi cattolici. Domando scusa della libertà, ma poiché il giornale che riporta le dichiarazioni dello Sturzo è edito a Messina sento che tocchi a me deferire. Certamente, se i Capi vanno così, dove andranno a finire le reclute? (Scr. 58,9).
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Le o Opere Cattoliche per unirsi hanno bisogno d’amore. Ebbene o Sveglia mia spargi e fecondale d’amore; di quell’amore che Cristo chiamò precetto nuovo e precetto suo, di quell’amore le cui uniche brame non devono essere quelle di primeggiare nella nostra società o nell’Opera dei Congressi (Scr. 64,186).
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Cattolicesimo militante organizzato nell’Opera dei congressi. Preghiera e lavoro, figlioli miei, preghiera e lavoro e sempre infaticabili nella nostra propaganda; poi state tranquilli e lasciate fare al Signore (Scr. 66,261).
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Eccellenza Rev.ma, Ho letto nell’ultima Circolare le parole di V. E. Rev.ma sull’Opera dei Congressi e le ho bagnate di pianto! Esse scenderanno all’anima dei campioni della fede e del papato: scendendo esse varranno ad animare gli invitti propugnatori dei sacri diritti del Sangue di Dio e del Romano Pontificato, fatti segno d’inestinguibile odio. Sì! alza, o Angelo della fede, la bandiera cattolica: e noi voleremo a stringerla al cuore ed a procombere à suoi piedi, anziché piegarla avanti al liberalismo o venire meno agli alti ideali... giù la maschera! (Scr. 72,148).
Vedi anche: Cristianesimo, Democrazia cristiana.
Opera del Pane di San Giuseppe
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La Congregazione della Divina Provvidenza è la più umile cosa che sia nella Chiesa: nata dalla fede per evangelizzare e portare a Gesù e al Suo Vicario un terra i piccoli e i poveri, essa vive di carità e di povertà. Alcune buone persone, venute a conoscenza delle strettezze in cui versa il nascente Istituto Missionario di via Sette Sale, cominciarono a raccogliere qualche offerta onde dar pane ai nuovi apostolini, e così è sorta per questi poveri Chierici di Don Orione, l’Opera del pane, sotto gli auspici di San Giuseppe, ì provvido Custode della Divina Famiglia. Aiutare quest’Opera vuol dire cooperare al santo Apostolato delle Missioni e alla salvezza di tante anime. Quanti guardano con sguardo di benevolenza alla giovane Istituzione e possono aiutarla, vogliano venirci incontro, e facciano conoscere ad altri cuori generosi l’Opera del pane di San Giuseppe. L’offerta è di lire 10 e 5 mensili, secondo le possibilità di ognuno; si possono iscrivere anche i defunti. Chi preferisce mandare un tanto di pane al mese, può farlo (Scr. 81,57).
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Alcuni di voi, cari Benefattori, avete visto sorgere, da un anno, l’Opera del Pane di San Giuseppe per i Chierici Apostolini dell’Istituto Divin Salvatore in via delle Sette Sale. Di fianco a San Pietro in Vincoli, in via delle Sette Sale, vi è un Istituto con più di trenta Chierici che frequentano le Scuole del Laterano e della Università Gregoriana. Nove fanno ancora la terza Liceo al Lateranense e gli altri frequentano tutti la Gregoriana. Qualche anno fa, alcune pie Signore, avendo capito che quei poveri Chierici mancavano di tutto e avevano bisogno di essere nutriti per non diventare tisici, e sapendo che la Piccola Opera ha bisogno di formare i suoi Missionari per l’Estero, ha bisogno di buoni operai, di Chierici, di Sacerdoti dal cuore dilatato dalla fede e dalla carità di Cristo, Sacerdoti ben formati, ben plasmati nella sana e pura dottrina della Chiesa – e per questo appunto la Piccola Opera è nata e cresciuta da un palpito di amore alla Chiesa e al Papa –, vollero, dunque, quelle pie Signore, desiderando fare qualcosa, impegnarsi ad aiutare a beneficare, a provvedere ai nostri Chierici poveri. Esse aiutarono con molta carità il nostro Istituto Missionario qui di Roma, furono le prime Benefattrici appunto dell’Opera del Pane di San Giuseppe. Chi ha dato 10 lire al mese, chi 5, chi ha cominciato a mandare tutti i mesi un chilo di pane, chi due... E così è sorta l’Opera del Pane di San Giuseppe per i Chierici Apostolini... L’Opera del pane di san Giuseppe è quindi un Sodalizio che ha lo scopo di invitare tutte le persone pie, sensibili alla nobilissima causa delle vocazioni religiose e missionarie, a cooperare alla formazione e al mantenimento dei futuri apostoli con preghiere, opere buone, e aiuti. Come voi comprendete essa raccoglie quasi in una famiglia benefica le anime generose che desiderano collaborare al bene che fanno ora e che faranno in avvenire i nostri Chierici (Par. VI,75–76).
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Vorrei invitare quanti di voi possono a procurare alla Chiesa dei Sacerdoti santi e preparare alla Congregazione dei Sacerdoti addottrinati, educati a integri principi di fede cattolica, perché quest’Opera è nata da un palpito di amore alla Chiesa e al Papa. Chi aiuta e sostiene l’Opera del Pane di San Giuseppe coopera perché la Piccola Congregazione Opera della Divina Provvidenza abbia ad allargare la sua fede e a portare la luce della fede in paesi lontani, ai popoli più selvaggi, a gloria anche di questa cara Patria nostra e di questa stessa Roma “onde Cristo è romano”! (Par. VI,77).
Vedi anche: Benefattori, Carità, Divina Provvidenza.
Operai
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Stare fermi che siano scuole pei figli degli operai o di povere famiglie. In un secondo tempo, quando si abbia un personale nostro e ben preparato, direi di aggiungere scuole commerciali, di dattilografia, di disegno applicato alle arti, di lingue moderne etc., ma vigilare, e non trascendere dai figli della classe umile e operaia. A meno che il Visitatore non dica diversamente, queste sarebbero le mie idee (Scr. 19,275).
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Mi dà consolazione che lavori molto, come mi ha riferito don Bariani: lavoriamo perché ce lo ha comandato Dio, e Gesù Cristo ce ne ha dato l’esempio, e pensiamo che tutti i santi sono stati tutti grandi lavoratori e operai di Dio. E noi dobbiamo essere non solo operai, ma i facchini di Dio e della carità (Scr. 30,153).
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Chi ora si va allontanando dalla chiesa sono gli operai sono i figli del popolo, attratti dalle vane promesse di un socialismo che è anarchia e ateismo. Lei dunque voglia combinare con il sig. rettore del Seminario e con don Perduca cosa si può fare di concreto per il ricreatorio, ed io destinerò un sacerdote apposito per la cura dei ragazzi. È un’opera umile, di poca apparenza, ma che, a suo tempo porterà i suoi buoni frutti, preparando una gioventù più costumata e più cristiana, e buone reclute per le opere giovanili cattoliche della nostra cara Tortona (Scr. 40,75).
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Attendo a dare una educazione cristiana, civile e professionale a centinaia di figli di nostri emigrati, per i quali ho aperto Collegi, Officine, Orfanotrofi e non solo in Argentina, ma in Uruguay e Brasile. E non solo penso agli orfani e ai derelitti, ma anche ai vecchi cadenti e malati. Al solo Piccolo Cottolengo Argentino ho già raccolto più di cento italiani d’ambo i sessi, abbandonati sulla strada, come rottami della società e rifiuto di tutti. Se mi daranno un po’ di latitudine anche al quartiere Appio, su quell’area faremo opera di utilità sociale e vantaggio della gioventù e della massa operaia e a bene sì della religione e della nostra cara Patria (Scr. 41,126).
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Sia l’Istituto eretto in ente morale o non sia, a me poco fa: io non cerco roba o denaro, cerco anime. Non ho i pregiudizi che altri ha: datemi la libertà di educare e la possibilità di dare un pane onorato in mano agli orfani e di farne degli onesti cittadini, degli operai che amino il Paese e ne siano figli degni, ed io mi sbrigo di molte opinioni viete, anzi me ne sono già sfasciato da anni (Scr. 41,205).
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E poiché ora non possiamo ancora fare per il popolo, per tutto il popolo, quanto vorremmo, così limitiamo il programma a raccoglierne gli orfani e a fare dei buoni cristiani e dei buoni operai, e all’opera, tra il popolo, della evangelizzazione; domani poi, cresciuti di forze e di numero, svolgeremo anche un programma, direi, massimo, un’opera veramente organizzata di propaganda cristiana popolare, a preservazione nel popolo della fede e a sostegno della religione cattolica (Scr. 49,257).
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Ho un desiderio: di amare il Signore e di amare la Santa Chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti. Vorrei morire per questi miei fratelli e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto i piedi di tutti e solo amare Gesù, la Santa Chiesa e tutti e perdermi nel Signore: io, indegnissimo, che ho tanto peccato, che sono stato tanto cattivo con il Signore e con la Madonna e non ho tesoreggiato i doni del Signore! (Scr. 50,26).
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Amerei fossero raccolti e salvati sotto gli auspici di San Giuseppe, e che venissero cresciuti ad onesto vivere cristiano e civile, avviati alle arti e mestieri, e a guadagnarsi così un pane onorato. L’operaio, ora tanto insidiato, si formerebbe, in tal modo, cristiano, e tale resterebbe da uomo e da padre di famiglia; e le masse popolari non abbandonerebbero più la Chiesa, ma sarebbero nelle mani della Chiesa una grande forza per il bene della società. Anche quelli che si dicono semplicemente onesti sentono oggi il bisogno di impedire che le nuove generazioni operaie, e specialmente l’orfanità, diventi nelle mani dei tristi strumento di disordine e di sconvolgimenti (Scr. 51,131–132).
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Vicino alla chiesa mi pare che la divina Provvidenza si degnerà far sorgere un ampio oratorio popolare a bene della gioventù tanto insidiata nella fede e nei buoni costumi; annesse vi saranno le opere parrocchiali specialmente pei padri di famiglia e per le organizzazioni operaie cristiane: si apriranno scuole serali e di religione: vi sarà la biblioteca del popolo: vi sarà il teatrino, poi un bel cinematografo e quanto occorre ai giorni nostri per fare un po’ di bene e per salvare le anime (Scr. 52,20e).
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Questa umile Congregazione dunque, fondata sulla sola infinita bontà e aiuto della Divina Provvidenza, è, essenzialmente per i poveri e per il popolo, che vuol elevare alla luce e al conforto della fede nel Padre celeste ed avere fiducia nella chiesa. Essa nei piccoli e nei poveri vede e serve Gesù Cristo. E benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana, abbandonata e di povera condizione, si consacra anche al bene dei più umili nostri fratelli in Cristo, di qualunque età e religione, e lavorerà al miglioramento morale e materiale della classe operaia, insidiata nella fede e ingannata da teorie comuniste (Scr. 52,65).
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L’officina laica strappa l’operaio a Dio e fa il deserto attorno alla chiesa, come prepara giorni funesti alla patria. Ma se il giovanetto, entrando nell’officina, vi troverà non il soffio arido della miscredenza né la parola della insubordinazione e dell’odio di classe, ma la continuazione del buon indirizzo della prima educazione, e vi vedrà il commentario pratico di tutto ciò che fino allora ha creduto ed ha amato: se nell’ora decisiva del suo avvenire morale e delle sue idee egli potrà respirare quell’aria igienica dell’anima che è soffio che corrobora la coscienza e il cuore, presto si manifesterà in lui la volontà forte del bene e si andranno svolgendo le virtù della giovinezza sotto una forma virile e profondamente religiosa. E, aiutato specialmente dalla grazia dei Sacramenti, crescerà sano di mente e di cuore, e si formerà un operaio laborioso, capace per se e per crearsi una famiglia, poiché saprà aprirsi una via onorata nella vita, credente e forte nelle prove inseparabili; della esistenza; poiché sentirà che la vita non è un banchetto né una festa, ma è pure, e sopra tutto, un alto dovere di elevarsi ad un bene che non è terreno con un continuo perfezionarsi; è un alto compito, se per tutti non vuol o non può essere un apostolato, è almeno un alto compito di reciproca tolleranza, di muta cooperazione nel bene e di fraterno amore (Scr. 52,225).
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Svolgiamo tutta un’opera di elevazione morale e di benessere degli umili, cooperiamo in umiltà con la Chiesa ad una vera rinascita, ad un ritorno alla Chiesa della classe operaia – Poiché è pacifico, Dio sarà con noi! o Amici, che non siamo al mondo solo per il bene nostro, ma anche per il bene altrui. E questo altrui non può essere che il prossimo, come molto chiaramente ci ha detto il Divino Maestro. Oh, lavoriamo, lavoriamo sino al sacrificio di noi per il prossimo, ma specie per quei fratelli in Cristo che vivono lontani da Dio o che ancora sono troppo moralmente e materialmente infelici. E ciò con il più ardente amore al Paese: E saremo quali Cristo e la Chiesa ci vogliono: saremo oggi, cristianamente e socialmente utili alla Nazione: domani, benemeriti della Nazione (Scr. 56,57).
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Pregherei anche V. Eccellenza di permettermi se e quando lo crederà, che i miei sacerdoti si possano anche occupare quando siano in numero e forza sufficiente, dei poveri orfani e abbandonati che amerei posti sotto gli auspici di San Giuseppe; e cresciuti ad onesto vivere cristiano e civile, e avviati alle arti e a guadagnarsi un pane onorato, – così l’operaio resta cristiano, anche fatto uomo, e padre di famiglia e le masse popolari non diserteranno la Chiesa, ma saranno anche in avvenire tanta parte della sua forza morale e della sua grandezza (Scr. 64,117).
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Alessandria, città illustre nella storia delle italiche libertà e della Chiesa: capoluogo d’una Provincia tutta di lavoratori: nodo ferroviario di primo ordine: centro importantissimo di industrie e di opifici con più migliaia di operai, sentiva vivo il bisogno di avere, in questa rinascita nazionale, un Istituto di Arti e Mestieri che, accogliendo i figli del popolo, li educasse ad onesto vivere cristiano e civile, e, avviandoli ad un’arte presto remunerativa, aprisse loro innanzi un avvenire onorato nella vita preparando una buona maestranza ai vari rami delle industrie cittadine (Scr. 64,248).
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Con la benedizione del Santo Padre, anche su codesta area che la Divina Provvidenziale ci ha dato fuori di Porta San Giovanni, in un vasto quartiere Operaio, che ne ha tanto bisogno, faremo opera di utilità sociali di vero bene per la Religione e per la Patria, ma mi usino la carità di non mettermi un capestro alla gola, vogliano concedermi, nella Loro intelligente bontà, una dilazione ragionevole, diversamente, pur non volendolo verrebbero ad impedire il sorgere di Opere Sociali di gran vantaggio per la gioventù e per la massa operaia del Quartiere Appio, in tutte le nostre case faccio pregare per ottenere questa grazia (Scr. 65,305–306).
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Gli uomini di azione cattolica hanno una loro funzione da compiere, una funzione che è una missione, che è un sacrosanto dovere, se pur non è già, per la vostra Argentina, un’urgente necessità. Essi devono far opera di cristiana penetrazione della classe operaia; essi devono andare al popolo, mettersi a servizio del popolo, con quanto hanno di fede e di timore di Dio, con quanto hanno di forza morale, di cultura intellettuale, di prestigio sociale, d’efficacia nell’opera. Bisogna salvare il popolo! Solo penetrando di fede il popolo, migliorandolo, le alte classi sociali non spariranno, accendendogli l’odio che cova nel cuore. E non solo vivrete della vita e pace di Cristo, ma sarete seminatori e apostoli dello spirito di Cristo e servirete la Chiesa, partecipando al suo apostolato gerarchico. Animati da quella carità, che di sua natura è diffusiva, Voi siete chiamati ad essere araldi di amore di Dio e del prossimo, araldi del Regno sociale di Gesù Cristo: Voi dovete glorificare Dio e diffondere sempre più la sua fede e il suo amore e la sua pace sulla vostra Patria. Bisogna ridare all’operaio la sua fede, la moralità, la coscienza cristiana la fiducia in Dio, miglioramenti materiali; ma sedargli le passioni disordinate, la sete dei divertimenti e del lusso: bisogna svolgere tutta una propaganda, una opera di cristianizzazione, una vera rinascita di vita cristiana, e non sparirà la grandezza e l’avvenire della Repubblica (Scr. 72,11).
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Le masse operaie sono agitate dalla febbre del malcontento, sono sedotte da una propaganda materialista e immorale, che avvelena i cuori con dottrine sovversive alla nazione e di rivolta, da errori e teorie rivoluzionarie: esse non potranno liberarsi, se non saranno avvicinate da elementi buoni, onesti, se non saranno istruiti secondo i principi sociali della Chiesa, ben intesi e diffusi da loro compagni di lavoro ben preparati e animati da spirito di apostolato. Noi dobbiamo volere un popolo che si ispiri al Cristianesimo, si rigeneri nel Cristianesimo, si nutra e viva del Cristianesimo. Voi vedete che le masse operaie furono, in parte, sedotte da una propaganda nefasta, da teorie anticristiane, materialiste, sovversive che le alienarono dalla vita cristiana e le vanno disamorando dalla famiglia e dalla Patria., la febbre del malcontento agita il proletario: vi è chi vuole fare l’operaio nemico di Dio, strappare Gesù Cristo dalle officine, scacciarlo dalla casa, e, se fosse possibile, eliminarlo dalla società: se non si correva ai ripari, anche il Sud America avrebbe veduto tra non molto aprire Scuole e Università dei Senza Dio, come in Russia (Scr. 72,12–13).
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Aiutaci, o Signore! O Gesù, che sei ancora e sei sempre in mezzo a noi, senti il bisogno che abbiamo di Te, in questa ora del mondo. Vedi, o Gesù, che noi periamo! Salvaci ancora una volta! Da’ ai poveri, agli operai, alle masse proletarie e da’ ai ricchi la tua luce di verità e di giustizia, la tua carità, quella carità che è vita, fratellanza e salvezza: che nulla chiede e tutto dà; che sola, che sempre unifica ed edifica in Cristo, per la vita del tempo e per la vita della eternità (Scr. 73,24).
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Apriamo dunque le braccia e il cuore nella divina carità di Gesù Cristo a tanti fanciulli abbandonati e, oltre alla religione, noi avremo reso un servigio non indifferente all’avvenire e alla prosperità del paese. Nulla v’ha forse oggi di più sentito per i ben pensanti d’ogni partito, nulla certo v’ha di più dolce al cuore di Dio, che salvare dal pervertimento l’orfanità: che educare ad onesto vivere cristiano e civile tanta gioventù derelitta, dandole in mano un’arte remunerativa che ne faccia operai e cittadini degni di questo nobile paese, uomini onorati e cristianamente liberi, che non abbiano da sentirsi domani nella tentazione di vendere la propria coscienza e dignità per un pezzo di pane. Come Ella sa, io non sono fatto per i figli dei ricchi, non sono per i figli degli agiati o di media condizione, sono per i poveri, per gli orfani senza nessuno, sono per i fanciulli più abbandonati, moralmente orfani anch’essi (Scr. 74,90).
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Nella predicazione siano le vostre parole semplici, fluiscano dal cuore e dal labbro semplici, ma ardenti e appassionate: desiderate una sola cosa: portare le anime alla conoscenza e all’amore di Dio. Evangelizziamo i contadini, gli operai, i poveri. Non siate solo predicatori, ma facitori, cioè sempre pronti a servire il prossimo con opere di misericordia, come serviamo Dio con opere di fede, di adorazione e di suppliche. Siate amico e servo di chiunque versa in necessità di conforto spirituale o temporale. Abbiate un cuore grande e una compassione che indovini tutti gli umani bisogni. Preferite quelli che non hanno più nessuno: mendicate il cibo per chi non ne ha: siate sempre pronti a correre ad ogni sventura – siate sempre in mezzo ai poveri e agli sventurati (Scr. 120,120).
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Amare gli umili, i piccoli, i poveri, e non di nome; noi siamo per i poveri, siamo per i poveri, e quando saremo ricchi segneremo la nostra fine. Stiamo con i contadini, gli operai, i poveri derelitti per trarli a Gesù, alla Chiesa. Noi siamo per i poveri e Dio ci aiuta e benedice. Non vedere solo il nostro bene, ma anche quello degli altri (Par. VI,291).
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Il Popolo cari miei è abbandonato, l’avvenire – ricordate – è del popolo, è della classe proletaria. Se non andremo ai poveri, ai più poveri, saremo tagliati fuori. E la Congregazione è per i poveri, solo per i poveri i più poveri. Dico questo e insisto per tracciare il solco e non è la prima volta. Se no, succederà che si farà il deserto attorno alla Chiesa. La Chiesa ha sempre curato i poveri ed il popolo crede che la Chiesa sia una matrigna. La società si orienta in senso popolare. Sono gli obreros che bisogna avere nelle mani, gli operai. È dei figli degli operai che dobbiamo curarci, dei poveri, degli abbandonati. La Congregazione è per questa gente e solamente per questa. Siamo tutti figli del popolo, senza offendere nessuno: dobbiamo essere contenti di occuparci dei poveri. Quindi stop a piantare collegi e internati. E vediamo di non storpiare lo spirito della Congregazione (Riun. 27 agosto 1937).
Vedi anche: Colonie agricole, Eremiti, Lavoro.
Opere di misericordia
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Dì a codesti figliuoli che lo ricevano con affetto di fratelli: che si ricordino con Lui che N. Signore ci ricompenserà non secondo lo studio, ma secondo le Opere di Misericordia: lo aiutino tutti con il loro buon esempio e con ogni carità nel Signore (Scr. 2,278).
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Noi dobbiamo mirare agli orfanelli e ai ciechi, ai vecchi cadenti etc.: opere di carità ci vogliono: esse sono l’apologia migliore della Fede cattolica – Potremmo anche prendere dei piccoli ciechi e bambine cieche, e servirci delle nostre Suore. Ma bisogna essere in Casa nostra e avere terreno da coltivare per mantenerli. Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera, e creare opere opere opere di carità! (Scr. 4,279–280).
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Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un’opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla Fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio. Gesù è venuto nella carità, non con la eloquenza, non con la forza, non con la potenza, non con il genio, ma con il cuore: con la carità (Scr. 4,280).
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Il Signore poi guarda allo spirito di carità, e ci benedirà e premierà secondo le opere di misericordia, cioè secondo che avremo avuta carità (Scr. 31,32).
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Gesù dimostrava la sua celeste dottrina guarendo gli uomini e moltiplicando i pani; noi, se vogliamo ancora essere creduti e fare del bene dobbiamo guarire i popoli seminando a piene mani l’amore di Dio e degli uomini e moltiplicando la vita di Cristo in tutta l’umanità con opere di carità e seminando la nostra vita spingendoci sino al sacrificio di noi stessi per far rivivere Cristo nella sua divina carità. Apriamo i nostri cuori e i nostri spiriti a questo nuovo apostolato, a questa aspirazione e a questa forza. Bisogna che questa nostra Congregazione cresca, si moltiplichi e riempia la terra e sia come l’esercito nuovo della fede (Provvidenza) e della carità (Scr. 55,165).
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Il fine di questo Istituto è non solo attendere, con la divina grazia, alla cristiana perfezione dei suoi membri, ma di cercare la volontà e la maggiore gloria di Dio e del Suo Santo Vicario in terra il Papa, e il Loro amore, con il faticare e sacrificarsi con ogni opera di misericordia spirituale e corporale, a spargere e a crescere l’amore di Dio e del Papa specialmente nel cuore dei piccoli e dei poveri e degli afflitti dai diversi mali e dolori (Scr. 57,107).
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Se lavoreremo non per noi, ma per Gesù Cristo non cercando “quae nostra sunt, sed quae Jesu Christi”: se penseremo di consumare così in Gesù Cristo la nostra vita, per l’amor suo! Allora sì che meriteremo di ricevere poi dalla sua mano stessa la mercede, perché per Lui avremo lavorato, e Lui ci pagherà, com’è detto nelle opere di misericordia: “avevo fame e mi avete dato da mangiare: avevo sete, mi avete dato da bere etc.”. E noi gli diremo: “Ma quando mai, o Signore?”, e il Signore ci risponderà: “Ogni qualvolta avete fatto questo a uno dei più piccoli per l’amor mio, l’avete fatto a me: venite a ricevere quel premio che vi sta preparato “a constitutione mundi”. Ma per educare così bisogna amare Dio: per istruire ed educare così bisogna avere caldo il petto di Dio: bisogna rendersi fanciulli con i fanciulli; “farsi piccoli coi piccoli sapientemente” com’è scritto sul Gianicolo, sotto la quercia del Tasso, parlandosi di San Filippo Neri. Bisogna non cercare la sublimità dei concetti, non la peregrina erudizione, ma spiegare con chiarezza le verità che vogliamo imprimere nella mente e nel cuore degli alunni, stare alla portata di tutti, e fare la scuola intendendo proprio di lavorare per conto di Dio e di compiere una delle opere più belle di misericordia. In tutto quello che noi diciamo e insegniamo, con la parola e con l’esempio, dobbiamo fare risplendere la virtù e dimostrarla amabile e degna di essere seguita, coprendo il vizio di infamia, in modo da doversene avere tutto l’orrore che merita. E sopra tutto dobbiamo dare alla verità morale quell’infinita luce che divinizza, per così dire, le anime che in sé la ricevono, rendendole superiori a tutte le seduzioni del mondo per opera della grazia (Scr. 82,153–154).
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La Piccola Opera vuole servire, e servire con l’amore. Essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le opere di misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri; sia vita è amare, pregare, educare, patire, sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. “La sua carità non serra porte”, ma vuol farsi tutta a tutti i più afflitti della vita, per tutti trarre a Cristo. Ond’è che, sorta da un palpito vivificante di quell’amore che è sempre desto e sempre pronto a tutti i bisogni dei fratelli doloranti, questa Piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere come una corrente d’acqua vive e benefiche che dirama i suoi canali ad irrigare e fecondare in Cristo molte terre, ma rivolgendosi agli strati più umili e più dimenticati (Scr. 94,9).
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Dobbiamo imparare ad avere un grande spirito di carità verso i poveri ammalati; una delle opere di misericordia è visitare gli ammalati. Il grande Sant’Ignazio ordinò che i suoi Religiosi insegnassero il catechismo e curassero gli ammalati per un certo tempo e quello doveva essere prova di vocazione (Par. IV,309).
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Che il vostro sacerdozio abbia questo di mira: la salvezza delle anime, sollevando il prossimo anche nel corpo. Ci sono le opere di misericordia corporale e nostro Signore ha dato così grande importanza a questa opera al punto che disse: Se voi avete fatto qualche cosa di bene in nome mio al più piccolo di voi, voi l’avete fatto a me. Beati noi se quando ci presenteremo al giudizio della nostra eternità, ci sentiremo dire: Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere; ero ignudo e mi hai vestito; ero pellegrino e mi hai alloggiato; ero infermo e carcerato e mi hai visitato: entra dunque nel gaudio del tuo Signore. Questo non basta però, questo è un amore verso il prossimo riguardo al corpo. V’è un altro amore più grande, l’amore delle anime, e lo troviamo spiegato nelle sette opere di misericordia spirituale: Consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese... Bisogna salvare anime! salvare anime! Che darà l’uomo in cambio della sua anima? Domanda Gesù. Il grande apostolo della gioventù, il beato Don Bosco, chiedeva al Signore: Da mihi animas et coetera tolle. San Gaetano, l’uomo della Provvidenza, e quindi uno dei nostri protettori, è chiamato: “Cacciatore di anime”. Siate voi pure, o novelli Sacerdoti, cacciatori di anime! Voi salvando le anime darete da mangiare a chi ha fame, da bere a chi ha sete, vestite chi è ignudo, alloggerete il pellegrino, visiterete gli infermi e i carcerati. Così, nel giorno del giudizio, udiremo quell’invito di Gesù: “Tu che mi sei stato fedele, entra nel gaudio del tuo Signore (Par. V,126).
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Nell’Evangelo non vi è semplicemente questo, ma si dice che, il Signore ci pagherà secondo le opere di misericordia che avremo fatte. Il Signore, o cari chierici, non paga me e voi se avremo fatto delle cose fuori dell’ordinario; il Signore non ci pagherà se saremo stati, o non stati, in certi posti elevati, se avremo fatto cose che sanno di grandioso; il Signore non ci pagherà se avremo occupato delle cariche, se avremo rivestito delle dignità; se uno sarà stato condottiero di popoli, coronato di allori per le sue culture, per le sue dottrine; se uno, non so, avrà voltato il mondo: niente! niente! niente! Se uno sarà stato Vescovo o Papa, niente di tutto questo! Con la morte tante distinzioni diventano frivolezze! Nell’Evangelo il Signore ci dice che ci pagherà secondo le opere di misericordia che avremo fatte. Ero orfano e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, avevo fame e mi avete satollato, avevo sete e mi avete dato da bere, mi avete ospitato. Tutte opere di misericordia! Ero infermo e mi avete visitato: Infirmus eram et visitastis me... (Par. VIII,123).
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Le attività della Congregazione si sviluppano nelle opere della “misericordia”: opere di misericordia spirituale, e opere di misericordia corporale. Opera di misericordia è illuminare gli ignoranti, consolare gli afflitti, confortare chi ondeggia, vestire gli ignudi... Questo è il campo della Congregazione: l’esercizio delle opere di misericordia spirituale e temporale, secondo i bisogni dei tempi e secondo gli ordini che riceviamo dai nostri Superiori, e dal nostro Superiore e Padre che è il Papa, il rappresentante di Cristo, e per noi, il Padrone assoluto di tutti noi e di tutte le nostre persone e delle nostre cose. Le opere di misericordia si possono esercitare in tutte le classi sociali. Abbiamo dei ricchi che in fatto di religione ne sanno meno dei contadini di Bandito. Delle opere di misericordia corporale i ricchi non ne hanno bisogno, non del vestito, né del pane per sfamarsi; allora in questo campo, dobbiamo esercitare le opere di misericordia spirituali (Par. XI,65–66).
Vedi anche: Bene, Carità, Misericordia, Poveri.
Orario
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Spero che codesta Casa sarà un giardino di pietà e di studio per la gloria di Dio e la difesa della S. Chiesa di Gesù Cristo Signor Nostro. Molto da noi la Chiesa e il Santo Padre aspettano. Attento a non spendere troppo con gli uomini a giornata. Va bene alle 5.20 Cappella, ma vedete che alle 6 e ½ si deve avere finito la Cappella: non più tardi: basta un’ora e 10 minuti: Angelus, Orazioni – Meditazioni (subito dopo esca la Messa, la meditaz. serva di preparamento alla Comunione) comunione in principio di Messa. Dopo l’Evangelo Rosario e Litanie (oppure le ore), quando il Rosario e Litanie si dicessero alla sera la quale cosa io consiglio. Alle 6 e ½ studio, appena finita la Messa (se le ore non c’è tempo a dirle tutte, fa niente), ciascuno si abitui a dire da sé, quelle che non possono dirsi in comune, andando in Cappella così durante qualche ricreazione. Dalle 6 e ½ alle 8 studio. Ore 8 colazione. Ore 8.20 pulizia sino alle 9. Alle 9 Scuola o studio sino alle 11. Alle 11¼ Lettura Spirituale – Litanie – Esame qualcuno potrebbe per turno aiutare il cuoco in questo frattempo (lavori di pulizia in cucina). Alle 12 pranzo, indi visita e ricreazione. Alle 2 fine della ricreazione (5 minuti però prima si dà un segno perché ciascuno si provveda pei cessi) e alle 2 precise studio o scuola. Alle 4 merenda e ricreazione. Alle 4½ Vespro Compieta Mattutino e Lodi, poi 5 minuti perché vadano al camerino se loro occorresse, indi studio. Alle 7½ Angelus Domini, Rosario – litanie – De profundis (e se non sono ancora le ore 8), lettura spirituale ed esame. Talora ci sarà magari la benedizione. Alle 8 cena – pulizia ricreazione. Alle 9 meno 5 minuti Orazioni della sera. Buona notte (breve, breve, breve) Riposo. Alle feste farete quelle modificazioni che crederete meglio in Domino, ma tenendo la base dell’Orario al mattino e sera (levata e sera). Si potrebbe nelle Feste non dire le ore durante la Messa, ma nel tempo di Messa ciascuno preghi per sé e voi fate il Vangelo. Dopo, alle 9 andare a fare lettura spirituale e cantare le ore. Al dopo pranzo cantare Vespro e dare la Benedizione. Dopo la Benedizione dire Compieta, Mattutino e Lodi (Scr. 2,51–52).
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Io sono, nel resto, molto molto soddisfatto di voi e di tutti e vi chiedo scusa di queste osservazioni. Così tutti devono essere puntuali in Cappella e dappertutto pronti all’orario; così si serve a Dio e si compie il dovere di umili e veri religiosi con esattezza per amore del Signore e nell’ordine della sua S. Chiesa. Codesta Casa non è un Collegio, né va regolata come si usa con dei semplici collegiali; codesta è e deve essere Casa di perfezione e di formazione alla perfezione della vita religiosa (Scr. 2,86).
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A Mornico vedete di mettere un po’ di orario, ma la levata sia alle 4: a questo punto desidero nel Signore che in nessuna stagione o casa si deroghi, anche quando io dessi il permesso, a meno si sia malati, lo dico nel Signore e sia per amore suo (Scr. 10,85).
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Sono contento che abbiate mandato D. Zanocchi ad accompagnare a Cuneo quei figlioli: prima di mandare gli altri, converrà essere sicuri che là le cose vadano bene: che ci sia la vita religiosa avviata, ordine, nettezza, orario e lo spirito che io desidero, per non incominciare male (Scr. 11,173).
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Fatevi un orario che non sia pesante, ma che vada bene, dove ci sia un poco di studio e di lavoro e ogni pratica di amare il Signore e tutto osservate con grande spirito di amore di Dio e di puntualità (Scr. 34,25).
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Desidero tanto di farvi una visita e lo spero presto; fate che, venendo, abbia il conforto di trovare che nella Casa ci sia l’osservanza diligente e fervorosa dell’orario e della vita veramente religiosa. Con la Pasqua la Regola è di alzarci alle 4, di fare la Meditazione, Orazioni e S. Messa, oppure subito Messa con le Orazioni, indi Meditazione. Vedete che codesta Casa risplenda per spirito di pietà, di osservanza, di unione e concordia nella fraterna carità (Scr. 34,120).
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La bellezza delle cose, più che l’utilità e la forma, innalzi l’anima nostra e dei nostri alunni a Dio. Bisogna regolare subito bene l’orario e fare in modo che sia da noi e dagli alunni osservato con scrupolosa puntualità e con severità anche. L’insegnante senza metodo, ben poco concluderà (Scr. 51,27).
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Dovete mettere ogni vostro impegno, ogni vostra diligenza e premura nell’osservanza delle pratiche di pietà, della Regola e dell’Orario e fatelo per Dio e per amare sempre di più Dio Signor Nostro e compiere in voi la sua volontà, che sta nella nostra santificazione: haec est voluntas Dei: Sanctificatio vestra! Noi dobbiamo amare teneramente la Regola e portarle il più rispettoso ossequio e la più diligente e scrupolosa osservanza (Scr. 51,86).
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Ciascuno deve osservare l’orario e il regolamento non già costretto da agenti estrinseci ma di cuore, spontaneamente per libera elezione del proprio volere – Tutto per amore; niente per forza (Scr. 56,157).
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Esercizi di Rho Silenzio. Spirtualia Exercitia... inviolatio silentio recoli volumus Syn. Dioces. XVIII. Tit. II cap. I n. 63. Raccoglimento. Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius. (Osea 2,14) Orario mattino Ore 6 – Levata 6.30 – Oratorio – Recita di Prima – Meditazione – Riflessione in camera. 8 – Santuario – Santa Messa della Comunità. 8.30 – Refettorio – Colazione – Tempo libero. 9.30 – Oratorio – Terza – Sesta – Nona – Lettura delle Rubriche – Meditazione – Riflessione in camera. 11.30 – Oratorio – Esame di coscienza – Angelus Domini. 11.45 – Refettorio – Pranzo – Tempo libero. Pomeriggio 14.15 – Refettorio – per il caffè, e, subito dopo Oratorio – Vespro – Compieta – Esame pratico – Riflessione in camera. 16.15 – Santuario – Santo Rosario – Litanie in canto – Tempo libero. 17 – Oratorio – Mattutino e Lodi – Respiro. 18 – Oratorio – Visita al SS.mo Sacramento – Meditazione – Riflessione in camera. 19.30 – Refettorio – Cena – Tempo libero. 20.45 – Oratorio – Litanie – Esame di coscienza. S. Benedizione. Riposo (Scr. 74,207).
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Ti destino alla Villa San Luigi, conosciuta con il nome di Villa Eremo, vicino a Varallo Sesia; e ti affido quei poveri e cari Sacerdoti, ai quali userai ogni possibile carità in Domino. Ma una carità vigilata e spiritualmente disciplinata, nella osservanza delle pratiche di pietà e dell’orario. Tu non sarai il loro Superiore e meno che meno il loro padrone, ma il loro amico e fratello (Scr. 85,225).
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Orario: Ore 4 levata; 4.1/2 orazioni e meditazioni; 5.1/2 preparazione e Santa Messa; Sollievo; 7.1/2 Ore e lettura 8.1/2 Sollievo 9 – 10 Meditazione 10–10.1/2 appunti per la riforma della vita 11 litanie e via Crucis e lettura 12 pranzo e sollievo – Visita 14 Vespro e Compieta 14.1/2–15.1/2 Meditazione 15.1/2 Lettura 16 Mattutino e Lodi e sollievo; 17–18 Meditazione 18–18.1/2 Sollievo; 18.1/2 Rosario (Scr. 98,78).
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Approfitto per raccomandarvi tanto la esattezza nell’orario. Qualche vostro assistente si è un po’ lamentato della poca prontezza di qualcuno. Scattare, scattare, scattare quando la campana chiama, quando Dio chiama attraverso la campana e l’orario. Dio benedice chi è pronto alla obbedienza, chi non si fa aspettare, chi non mette in disagio gli altri con il farsi aspettare. Ecce adsum, ecce adsum! Sia il distintivo di tutti, la parola d’ordine di tutti a sé stesso, quando c’è da muoversi, da obbedire. Scattare, scattare! Ecce adsum... Ecce ego: mitte me... Come diceva il Profeta. Pronti! Pronti! Sempre e in tutto (Par. IV,298b).
Vedi anche: Levata.
Oratorio
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La Piccola Opera è sorta da un Oratorio Festivo, ogni Casa dovrà avere il suo Oratorio festivo, dove si fa più bene che con gli Istituti interni e Collegi (Scr. 1,108).
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Gli oratori festivi sono ancora la salute della società, ed è sempre immenso il bene che si può fare. Però ci vogliono spese; essi costano per l’impianto: costano ogni domenica, ma rendono il cento per uno di soddisfazioni nel campo morale e cristiano (Scr. 25,129).
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Ieri– 3 luglio – si inaugurava solennemente l’Oratorio nostro festivo di San Luigi in Tortona nelle sale del Palazzo Vescovile e nell’annesso giardino. Benediceva dopo la Messa in Duomo il locale Sua Eccell. Mons. Vescovo. Viva Gesù Cristo! Verso sera tutti i giovani alla benedizione in Duomo: erano 500 e ne mancavano 70 in circa. Dopo, sotto un bellissimo padiglione in giardino, si teneva splendida accademia con suoni e canti dei Seminaristi. Presiedeva Mons. Vescovo di Tortona, alla destra Mons. Daffra rettore Seminario, creato nuovo Vescovo di Ventimiglia – Capitolo Canonici – Parroci – Clero – Seminario tutto, con Professori – Padri e madri dei giovani. Dopo una poesia recitata dal I, che incominciò l’Oratorio, vi fu un applauditissimo discorso di un Chierico e poi poesie, indirizzi e prose in latino, italiano e francese recitate da’ giovani di tutti i corsi – tecnici – ginnas. ed elem. Ecco il primo passo! Coraggio – Cristo – Anime e Papa! Sempre tutto vostro fratello Luigi di G. P. (Scr. 57,149).
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Fine dell’Oratorio è di trattenere la gioventù nei giorni di festa con piacevole ed onesta ricreazione, dopo avere assistito alle funzioni di chiesa e ad istruzioni morali e religiose. Si vuol trattenere la gioventù nei giorni di festa, perché si hanno specialmente di mira i giovanetti operai, i quali, nei giorni festivi soprattutto, vanno esposti a grandi pericoli morali; non sono però esclusi gli studenti, ma questi formeranno una sezione a parte. Vi sarà una piacevole ed onesta ricreazione, atta veramente a ricreare, non ad opprimere: Non sono pertanto permessi quei giochi, salti, corse e qualsiasi modo di divertirsi in cui vi possa essere compromessa la sanità o la morale. Non a caso abbiamo detto dopo aver assistito alle funzioni di chiesa e ad istruzioni morali e religiose, poiché l’istruzione religiosa e morale è lo scopo primario; il resto è accessorio e come allettamento ai giovani a farli intervenire. Non ometterà però la Direzione dell’Oratorio di fare quanto le sarà possibile per imprimere nelle menti dei giovinetti quei principi educativi di educazione civile, che possono ingentilire il loro spirito, e concorrere a farne buoni cittadini, utili alla famiglia e alla patria. L’Oratorio è posto sotto la protezione di San Luigi Gonzaga perché patrono della cristiana gioventù, ed anche perché coloro che intendono dedicarsi all’Oratorio festivo si propongano questo Santo per modello nella purezza e carità della vita e dei modi che sono le fonti onde derivano i frutti che si sperano dall’Oratorio (Scr. 57,273).
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Intanto, però, per quanto riguarda gli Oratori festivi, non si deve tardar più, o miei Cari. Attorno ad ogni casa e dappertutto, dove si trovano i Figli della Divina Provvidenza, deve tosto sorgere e fiorire l’Oratorio Festivo. E dico festivo, non quotidiano. Nel pomeriggio, per altro, dei giorni che precedono i festivi, si apra per quei giovanetti che cercassero la comodità di confessarsi. E l’Oratorio sia aperto a tutti i giovani, per poterli adunare, parlar loro, moralizzarli, renderli degni cittadini italiani e degni cattolici: aperto tutte le domeniche e feste dell’anno. Se, al mio ritorno, volete prepararmi una grande consolazione, fatemi trovare, annesso ad ogni Istituto, un fiorente Oratorio Festivo. Il più bel giorno per me sarà quello in cui mi sarà data notizia che si è aperto, per opera nostra, un nuovo Oratorio Festivo. E non solo tutte le Case dovrebbero farne sorgere uno, ma, se le circostanze di luogo e di tempo appena appena lo permettessero, anche più Oratori dovrebbero essere appoggiati alla medesima Casa, impiegando in essa i Sacerdoti, Chierici, Coadiutori nostri e personale fidato laico. E badate, l’Oratorio Festivo non deve essere per una data categoria di giovanetti a preferenza degli altri. No. Don Bosco, mio venerato Maestro – ho avuto il gran bene di essere catechista al suo primo Oratorio Festivo di Valdocco, lui vivente, e l’anno dopo la sua morte –, diceva Don Bosco che non si dovesse richiedere n‚ lo stato di famiglia, n‚ la presentazione dei fanciulli da parte dei parenti. unica condizione per essere ammessi all’Oratorio Festivo, aperto in Torino da Don Bosco, era quella che il giovanetto avesse buona volontà di divertirsi, di istruirsi, e di compiere, insieme con tutti gli altri, i doveri religiosi. Cause di allontanamento di un giovane dall’Oratorio non potevano essere né la vivacità di carattere, né l’insubordinazione saltuaria, né la mancanza d’un bel vestito, né la mancanza di belle maniere, né qualsiasi altro difetto giovanile, causato da leggerezza o da naturale caparbietà, ma solo la insubordinazione sistematica e contagiosa, la bestemmia usuale, ripetuta, i cattivi discorsi e lo scandalo. eccettuati questi casi, la tolleranza doveva essere illimitata. E così faremo noi! Diversamente, a che pro l’Oratorio Festivo? (Scr. 70,3e).
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Tutti i giovani, anche i più abbandonati e miserabili, devono sentire che l’Oratorio Festivo è per essi la casa paterna, il rifugio, l’arca di salvamento, il mezzo sicuro per diventare migliori, sotto l’azione trasformatrice dell’affetto puro e paterno del Direttore. I giovani sono di chi li illumina santamente, di chi li allontani dal vizio e li guidi alla virtù. Non vi sia, dunque, più alcuna Casa della Divina Provvidenza senza il suo Oratorio festivo. Perdonate, se non posso dilungarmi di più. Animo, cari miei. gettiamoci tra i figli del popolo; trasciniamo sulle vie del bene la giovane generazione; mostriamo, specialmente con gli Oratori Festivi, quanto la Chiesa è feconda di forza morale, benefica, religiosa, redentrice, sorgente sempre viva di quella carità che Gesù Cristo venne a portare su la terra. Che tutta la vita nostra sia irradiata di amore grande di Dio e di amore al prossimo, specie alla gioventù più povera, più abbandonata, e Dio sarà con Noi! (Scr. 70,3f).
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Oratorio! Quante emozioni nel mio cuore a questa parola! Oratorio! Oh, nome soavemente caro: tu mi suoni casa di fede: tu mi parli di Dio! Scuola di virtù elette e palestra della vita cattolica, l’Oratorio Festivo è istituzione eminentemente cristiana, è santo recinto ove oltre alla sana e larga istruzione religiosa, si rialza lo spirito alternando agli studi i trastulli, si rinvigorisce la volontà nell’esercizio del bene: si educa il cuore agli affetti i più santi e s’eleva la mente agli alti ideali della religione! Eccovi l’Oratorio! qui nel sorriso d’ineffabile dolcezza i giovani tortonesi apprenderanno ad amarsi da fratelli cristiani: apprenderanno a pensare rettamente (Scr. 70,203).
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Da qualche mese l’Opera della Divina Provvidenza secondando i desideri di Sua Eccellenza Rev.ma il nostro Vescovo, ha aperto a Tortona l’Oratorio Festivo. L’Oratorio Festivo è una vera benedizione per la gioventù, e possiamo chiamarlo, ai tempi che corrono, la culla della fede di Cristo e la cellula primigenia dell’azione cristiana. Non è possibile essere cattolico praticante senza amare d’intenso amore l’Oratorio Festivo, il luogo dove i fiori più numerosi e più modesti del giardino di Dio sono raccolti a profumarne gli altri: dove, pur con gravi sacrifici, si fa una vera opera di redenzione di tanti figli del popolo che crescerebbero come le piante del deserto, senza guida e senza cultore, e con il pericolo oggidì di cadere tra mani di gente piena di odio e senza Dio, dando invece in essi alla Patria speranza di glorie nuove e durevoli, in cui la Chiesa si allieti e rinnovelli. Domenica adunque, 8 corr., alle ore 3 pom. tutti i giovani dell’Oratorio Festivo vollero recarsi in Vescovado a ringraziare Sua Eccellenza Rev.ma e a presentargli i loro voti ed auguri per il suo onomastico. A vederli era una bellezza! Immaginate una lunga e spaventosa fila di giovanetti dagli otto ai diciassette anni che, a farli star fermi e un po’ ziti, non sarebbe bastato un reggimento. E tutti freschi e vivaci e buoni e birichini, e con un’impazienza d’andare tenuta lì per otto giorni con mille di quegli sforzi che, per dei ragazzi, direi quasi che meritino il regno dei cieli; e alcuni neanche avevano voluto andare a casa a pranzo, immaginate, per timore di non arrivare poi in tempo per le tre! O belle e semplici gioie dei fanciulli! O sante birichinate dei nostri ragazzi che piacete tanto a Gesù! Il Vescovo, a vederli venire attraverso la grande piazza del Duomo, è rimasto un po’ spaventato, e diceva: dove li metterò? Che bella cosa quando un Vescovo non sa più dove mettere i suoi figli che vanno a trovarlo! Finalmente siamo arrivati in salone del Vescovado; e, dentro, e sempre dentro, si è fatta una gran fila tutto d’intorno e poi un’altra e un’altra fila ancora. E il Vescovo era pieno di gioia, e noi tanto che non ci vedevamo quasi neanche più, agli occhi ci è venuto come un gran bianco, e pareva che tutto d’intorno diventasse bianco nella innocenza dei fanciulli. E uno venne avanti e disse al Vescovo la parola dei fanciulli, e ricordò anche un Oratorio Festivo... l’oratorio antico e benedetto che fu culla della nostra povera Congregazione, e allora vi fu uno che pianse! E il Vescovo rispose da Padre, e non fu mai tanto grande il nostro Vescovo come in mezzo a quei piccoli! E i piccoli allora cantarono, e il Vescovo rideva contento. E poi gli si inginocchiarono ai piedi, e lui sollevò le palme delle mani e chiamò sopra di loro il Signore. E poi... ciò che avvenne poi non ve lo posso più dire, perché... era un po’ del Paradiso (Scr. 71,201–202).
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Fine dell’Oratorio è di trattenere la gioventù nei giorni di festa con piacevole ed onesta ricreazione, dopo aver assistito alle funzioni di chiesa e ad istruzioni morali e religiose. Si vuol trattenere la gioventù nei giorni di festa, perché si hanno specialmente di mira i giovanetti operai, i quali, nei giorni festivi soprattutto, vanno esposti a grandi pericoli morali; non sono però esclusi gli studenti, ma questi formeranno una sezione a parte. Vi sarà una piacevole ed onesta ricreazione, atta veramente a ricreare, non ad opprimere. Non sono pertanto permessi quei giochi, salti, corse e qualsiasi modo di divertirsi in cui vi possa essere compromessa la sanità e la morale. Non a caso abbiamo detto “dopo aver assistito alle funzioni di chiesa e ad istruzioni morali e religiose”, poiché l’istruzione religiosa e morale è lo scopo primario; il resto è accessorio e come allettamento ai giovani a farli intervenire. Non ometterà però la Direzione dell’Oratorio di fare quanto le sarà possibile per imprimere nelle menti dei giovinetti quei principi di educazione civile, che possono ingentilire il loro spirito, e concorrere a farne buoni cittadini, utili alla famiglia e alla patria. L’Oratorio è posto sotto la protezione di San Luigi Gonzaga, perché patrono della cristiana gioventù, ed anche perché coloro che intendono dedicarsi all’Oratorio Festivo si propongono questo Santo per modello nella purezza e carità della vita e dei modi, che sono le fonti onde derivano i frutti che si sperano dall’Oratorio (Scr. 76,219–220).
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Rispondo subito perché si tratta di salvare le anime, rispondo presto, perché così tu, o Venerato fratello nel Signore, ti affretterai ad aprire l’Oratorio festivo e così, aperto più presto, se si risparmiasse anche un solo peccato veniale di più, sarebbe grandissima cosa, come dice la nostra Santa Religione! Coraggio, fratello, coraggio! È il Signore che t’ispira, è il Signore che per mezzo dell’Oratorio Festivo ti darà un popolo nuovo una generazione cristiana e costumata: coraggio! (Scr. 79,170).
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Sulla necessità dell’Oratorio Festivo ho insistito nella lettera che conoscete ed ho ripetuto le parole di Don Bosco che diceva: “Volete voi salvare una città? Aprite un bell’Oratorio!”. La nostra Congregazione incominciò con l’Oratorio Festivo. Chi era il mio aiutante nell’Oratorio Festivo? Era l’attuale Rettore del Seminario Don Gugliada, con altri chierici. Chi va in Seminario lo ricordi. Ci raccoglievamo davanti all’immagine della Madonna del Buon Consiglio, in Duomo; davanti a quella immagine conducevo i ragazzi del giovane Oratorio... Ora eccoci alla conclusione. Anch’io voglio mandare voi in Patagonia; vi mando in una Patagonia vicina, dico a San Bernardino. E, come il Santo Padre a me, io dico a voi: – Entro otto giorni apriremo l’Oratorio! Quanto bene si può fare con l’Oratorio! I Collegi, con alunni interi, sono più o meno ospitali... Ricordatevelo bene! Entro otto giorni ci deve essere l’Oratorio Festivo! Oggi è domenica, e per domenica prossima ci deve essere a San Bernardino l’Oratorio in funzione. La Divina Provvidenza sta coi Figli della Divina Provvidenza. Dev’essere – attenti bene! – l’Oratorio modello di Tortona! Voi dovete essere tutti pronti a dare tutta la vostra opera, a darla generosamente, per fare rivivere l’Oratorio Festivo a San Bernardino! (Par. VIII,95–96).
Vedi anche: Apostolato, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Ex allievi, Gioco, Parrocchia, Teatro.
Ordine (virtù)
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Così vi pregherei che metteste uno sicuro che visitasse i letti, e imponesse maggiore ordine e pulizia nelle camere e dove si dorme e da per tutto. L’ordine e la nettezza esterna serve assai per lo spirito. Vedete che non ci siano cimici, e tale pulizia da non esserci neanche pulci. Anche voi tenetevi pulite le mani: fate che tutti abbiano la testa bene pelata; ma fatemela questa carità della maggior pulizia e ordine, cominciando, mio caro D. Cremaschi, dal tavolino ove ho dormito io, che ho sempre trovato in disordine e ingombro di mille cose e così mi disse Don Sterpi (Scr. 2,86).
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Io non dico grettezza, non dico meschinità, non dico avarizia, ma dico e raccomando la santa povertà e l’economia e l’ordine. Se si è disordinati si perde molto tempo, si perde molta roba, si fa più poco bene, anzi si fa e si avrà molto male (Scr. 4,265).
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I Missionari devono fare loro tutto, e non fare i Signori e non fare i fattori Ed esattezza ed ordine, e fedeltà a Dio e alla Congregazione e carità fraterna sempre! Esattezza, ordine, fedeltà, attività, umiltà e carità fraterna in tutte le più piccole cose! Verbo et exemplo con le parole, coll’esempio reciproco: con i fatti, con i fatti, con i fatti! Vox oris sonat, vox operis tonat! La parola suona, gli esempi tuonano Le parole muovono, gli esempi trascinano! (Scr. 4,268).
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Dove è disciplina, regna l’ordine più perfetto, lo spirito sta raccolto e ognuno sta contento e felice, perché tutto è regolato bene, onde si può ripetere di una Casa Religiosa ben disciplinata il noto verso: «Omnibus una quies operum, labor omnibus unus!». E il primo a godere del buon andamento è il Direttore, poiché egli sente quando il carro cammina bene o quando va male, quando c’è un senso di disordine, e quando, invece tutto procede ordinatamente, e spira e aleggia nella Casa quell’aura di bella letizia che è frutto della disciplina e della pace dei cuori fraterni, della docilità di tutti e della serenità di coscienza (Scr. 8,88).
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Comunque, ciò che, veramente, importa è che l’Istituto sia a posto per lo spirito di vita cristiana, per la disciplina, per l’ordine, pulizia, per lo studio e lavoro: che ci sia vera vita morale e di pietà, e che i giovani abbiano da voi tutti esempi buoni e una educazione e istruzione che veramente risponda e al nostro dovere e sistema e alle speranze che la chiesa e la Patria hanno su di noi e sui nostri alunni (Scr. 23,72).
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E se vuoi essere buon religioso, cura l’ordine e la pulitezza sia della persona che della casa; nelle nostre case tutto deve parlare di povertà sì, ma anche di pulizia, e allora si fa del bene al nostro spirito e si diventa di edificazione pure al prossimo. Spero di venire presto: fa che trovi tutto come vedi che vivamente desidero, e mi darai una consolazione non piccola (Scr. 44,26).
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Dove è disciplina – regna l’ordine più perfetto in tutte le cose e le persone – proprietà, nettezza, semplicità, povertà, letizia. Orario scrupolosamente osservato, ogni azione e movimento è regolato dal suono della campana – Omnibus una quies operum, labor omnibus unus – Silenzio – chi sospetterebbe che colà vi sono? questa regolarità contribuisce a tener raccolto lo spirito e a rendere fecondo il lavoro. Santa Letizia, ammirabile candore, spontaneità, semplicità che è frutto della pace del cuore e della serenità di coscienza (Scr. 55,262).
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Ogni alunno di età capace terrà in ordine e pulizia il suo letto ed i suoi abiti. A tutti i collegiali, due volte il mese, e da apposito barbiere, verranno tagliati i capelli, secondo le prescrizioni date dai Superiori, e tenuto conto del clima e delle stagioni. La pulizia della persona verrà altresì curata con frequenza settimanale, da parte di tutti i convittori, dei bagni (caldi nella stagione fredda) per i quali il Collegio è fornito di speciale impianto (Scr. 110,309).
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Vi raccomando anche molto la pulizia. Pettine, sapone! Alcuni sputano da per tutto, sono sporchi negli abiti... Dio ha creato l’ordine! Che ordine nel mondo fisico! L’onnipotenza di Dio è la forza dell’ordine. Dell’inferno si disse: horrendum caos; orribile disordine. Non impomatati, ma puliti! (Par. III,113).
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Quest’oggi vi parlerò dello spirito di disciplina. Disciplina vuol dire conservare le buone regole e noi dobbiamo considerarle nel senso religioso. Nel lungo salmo 118 vi è questa invocazione: bonitatem et disciplinam et scientiam doce me, Domine! Istruiscimi, educami, formami, o Signore, alla bontà, alla disciplina e alla scienza del bene. Il mondo è retto dall’ordine: ordine nella famiglia, nella scuola, nelle fabbriche, nell’esercito, nella natura, nelle amministrazioni. I romani erano invincibili perché avevano grande ordine. Tutto è ordine, misura, peso: ordine è armonia, è bellezza. Platone diceva: Unitas in varietate est pulchritudo. Noi ora non parliamo della disciplina militare, da caserma, da schiavo, da quartiere; ma di ordine religioso. La disciplina religiosa equivalente ad ordine religioso è la norma, la pietra miliare che ci guida nella via del bene, è la norma cui si è obbligati a stare per poter riuscire nel bene. Le Sacre Scritture con San Bernardo esprimono questo concetto: conserva ordinem et ordo servabit te (Par. VI,215).
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La disciplina, nel nostro sentire, vuol dire ordine. In tutte le istituzioni, perché vadano bene, ci vuole ordine, e ordine in tutto: ove c’è ordine c’è armonia e bellezza. “Serva ordinem et ordo servabit te”. Il mio paese era un accampamento romano e questo era invincibile perché ordinato, e vi sono le vie diritte (Par. VI,290).
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Com’è bello dove c’è vita religiosa! In tutte le Case ci sia lo spirito, e dove ce n’è bisogno, farlo rinvigorire. Stare attenti all’ordine, che si osservi da tutti. L’anima riposa e si alimenta nel silenzio. Aleggi in tutte le Case l’ordine, lo spirito religioso. Quante vocazioni alla Congregazione! Osservate l’orario e le regole. Quel che è di uno è di tutti. Anche spiritualmente avere la pace dei cuori, serenità di coscienza, e quello che è aiutato da spirito religioso fa tutto ex corde. I borghesi sentono quando un religioso non vive la vita, non palpita lo spirito della vita religiosa (Par. VI,295).
Vedi anche: Lavoro, Pulizia.
Orfani
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Noi dobbiamo mirare agli orfanelli e ai ciechi, ai vecchi cadenti etc.: opere di carità ci vogliono: esse sono l’apologia migliore della Fede cattolica – Potremmo anche prendere dei piccoli ciechi e bambine cieche, e servirci delle nostre Suore. Ma bisogna essere in Casa nostra e avere terreno da coltivare per mantenerli. Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera, e creare opere opere opere di carità! (Scr. 4,279–280).
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Così vi prego di prenderli con il cuore, di affezionarveli i ragazzi, di modo che i ragazzi vi vogliano bene, e non vogliano più andare via d’insieme con noi, perché coi modi rustici non si fa mai, mai bene, e coi castighi troppo severi neanche. Fatemi questo piacere: son pecorelle smarrite, alcuni dei vostri orfani: fateci da madre, più che da padre: voi avete ricevuto da Dio tanti bei doni, e avrete da Dio una grande ricompensa come è grande la carità che voi farete alle anime di codesti cari figliuoli. Aspetto una lettera da voi che mi tranquillizzi un poco. Con la carità materna di Gesù e con la fede religiosa e la pietà praticata bene voi riuscirete a fare dei miracoli, ma bisogna saperveli affezionare, e non essere mai crudi nel comandare ma tirarli al bene con bei modi: essi, bisogna che ce lo ricordiamo sempre non sono né servi né schiavi, sono nostri infelici fratelli e orfani ai quali dobbiamo fare da madre, più che da padre. Coraggio, dunque, caro mio don Bariani; la SS.ma Vergine vi conforti e assista in questo grande lavoro per le anime di fanciulli e orfani per di più, i quali meritano molto, molto compatimento perché sono stati troppo abbandonati, prima di venire da noi (Scr. 25,53).
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La tua lettera mi pare che sia arida arida e priva di quella alta luce di Dio, che è il più grande conforto a chi si fa padre degli orfani, e va agli orfani per portarli al Signore. Ora non dico questo per confonderti, o figliuol mio, lo scrivo per animarti, perché la tua opera è opera di grande merito e assai grata a Dio, ma tu hai più bisogno di spirito di Dio. Di questo come ne hai bisogno tu ed io stesso ne ho bisogno, così è necessario imprimere (per educare all’onesto vivere cristiano e civile) profondamente negli animi dei fanciulli il principio degli eterni destini dell’uomo, e un’alta idea del dovere, e infondere nelle loro anime una forte volontà e desiderio di bene e della virtù, e curare, curare, curare molto la pietà e la vita cristiana. Non cercare di farti temere dai giovani, cerca di farti amare come un loro fratello: non sofisticare sulle piccole cose, ma confortali confortali sempre al bene, e cerca di mai, di mai inasprirli (Scr. 36,56).
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Cari miei orfani, fin che il Signore mi darà vite e fin che potrò, spero con la grazia del Signore di aiutarvi sempre e di farvi da padre in Gesù Cristo. Io spero che voi vi diporterete sempre secondo il s. timore di Dio e da buoni figli del Signore. Un giorno ci troveremo poi tutti in Paradiso insieme con le vostre mamme e con le vostre famiglie, se durante questa breve vita avremo osservata la santa legge di Dio saremo stati sempre fedeli alla nostra s. religione. L’ora della morte è incerta, cari miei figliuoli, chi muore vecchio e chi muore giovane: dobbiamo vivere sempre così cristianamente da essere sempre pronti a rendere conto a Dio di tutta la nostra vita. Il ricordo doloroso della morte dei vostri più cari parenti vi faccia pensare bene che non siamo in questa terra per godere, ma per pregare, per patire e lavorare e meritarci il Santo Paradiso (Scr. 46,113).
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Ora ci siamo poi dati, in modo speciale, agli orfani, sono solo perché sono la porzione più cara al cuore di Gesù e l’elemento più inesperto e più insidiato, ma anche per preparare il popolo cristiano e i padri di famiglia di domani, e pure perché ho visto che tutti si attaccano ai ricchi o a quelli che pagano bene, e si può dire che non c’è più una Congregazione che realmente pensi e sia consacrata alla orfanità (Scr. 49,257).
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Prega che possiamo venire con lo spirito di Gesù Cristo, e fare la volontà di Dio sempre, vivendo da poveri e per i più poveri ragazzi, specialmente se orfani o derelitti. Dare agli orfani fede e pane! (Scr. 48,269).
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In spirito io sarò sempre, unito a quei nostri cari orfani! Dio solo sa quante volte in questi brevi giorni ho pensato a loro: quanti ardenti voti abbia fatto perché trovino altre mani assai più valide delle mie: perché trovino un altro padre che mi sia uguale nell’amarli, e mi superi in bontà e in tutto! Che se altro non potrò – sempre voglio pregare Dio che sia meno triste il sentiero della loro vita: che serbino la fede e la purezza del cuore: l’amore al lavoro e alla virtù, e preparino così a sé e alla patria un avvenire onorato e felice (Scr. 50,181).
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Dio ama tutte quante le sue creature, è il Padre di tutti – ma la sua Provvidenza non può non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d’ogni maniera dopo che Gesù li elevò all’onore di suoi fratelli, dopo che si mostrò loro modello e capo, sottostando anch’egli alla povertà, all’abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l’occhio della Div. Provv. è, in special modo, rivolto alle creature più sventurate e derelitte (Scr. 69,338).
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Oh questa degli orfani è una grand’opera di carità assai grata a Dio, che riceve come fatto a sé quel bene che si fa ai fanciulli, e il giovare alle anime dei piccoli e più bisognosi è da Lui considerato come la prova dell’amore che noi gli dobbiamo. Apriamo dunque le braccia e il cuore nella divina carità di Gesù Cristo a tanti fanciulli abbandonati e, oltre alla religione, noi avremo reso un servigio non indifferente all’avvenire e alla prosperità del paese. Nulla v’ha forse oggi di più sentito per i ben pensanti d’ogni partito, nulla certo v’ha di più dolce al cuore di Dio, che salvare dal pervertimento l’orfanità: che educare ad onesto vivere cristiano e civile tanta gioventù derelitta, dandole in mano un’arte remunerativa che ne faccia operai e cittadini degni di questo nobile paese, uomini onorati e cristianamente liberi, che non abbiano da sentirsi domani nella tentazione di vendere la propria coscienza e dignità per un pezzo di pane. Come Ella sa, io non sono fatto per i figli dei ricchi, non sono per i figli degli agiati o di media condizione, sono per i poveri, per gli orfani senza nessuno, sono per i fanciulli più abbandonati, moralmente orfani anch’essi (Scr. 74,90).
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Questa umile Congregazione è per i poveri, esclusivamente per i poveri di ogni età, sani e malati, di ogni malattia e dolore, specialmente per gli orfani e derelitti e più abbandonati, di ogni nazione e religione, siano sani o malati, e di ogni malattia e dolore, ma specialmente è per gli orfani e derelitti, preferendo i più abbandonati e chi ha più dolori (Scr. 79,333).
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La Piccola Opera vuole servire, e servire con l’amore: essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le opere della misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri: sua vita è amare, pregare, educare l’orfanità e i più derelitti figli del popolo alla virtù e al lavoro, è patire e sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. Grido suo è il: Charitas Christi urget nos di San Paolo, e suo programma il Dantesco «La nostra carità non serra porte». Essa, perciò, accoglie e abbraccia tutti che hanno un dolore, ma non hanno chi dia loro un pane, un tetto, un conforto: si fa tutta a tutti per tutti trarre a Cristo (Scr. 80,204).
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Noi daremo per gli orfani la vita, ad essi, dopo Dio e la Chiesa le migliori nostre energie, gli affetti più puri del cuore! Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più nascosto, sarà dolce, pur di riuscire a far di noi stessi un olocausto pro orfani.
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Vorremmo che tutti sentissero che urge togliere dall’abbandono tanti figli di chi per l’Italia ha profuso il sangue; che urge avviarli questi giovanetti, ad onesto vivere cristiano e civile; che urge soprattutto illuminarli sul loro fine, poiché vana sarebbe qualunque opera educatrice non basata sul principio religioso. Oltre ai figli dei caduti, vi sono altri piccoli infelici abbandonati che reclamano un tetto, un pane onorato, una cristiana e civile educazione. Non si può pensare alla sorte di questi figliuoli senza commuoversi, tanto più che sono troppo piccoli, troppo ignari della loro triste sorte per implorare la pietà di quelli che potrebbero venir loro in aiuto. Noi andiamo ad essi... Allargheremo le braccia e il cuore per accogliere il più gran numero di orfani, e la Provvidenza di Dio aumenterà ogni dì più, come aumentano i fanciulli derelitti e gli orfani da accogliere. E per chi non ci conosce è pur bene si sappia che la nostra non è solo opera di fede e di beneficenza, e la Piccola Opera non è un semplice ricovero di orfani, ma vuol essere, anche e più bene, di utilità pubblica, e sociale. Noi vogliamo mantenere gli orfani nella religione dei padri; vogliamo crescerli alla virtù e ad un lavoro onesto, intelligente e remunerativo, che li prepari e li formi lavoratori robusti, temprati, morali, gentili, franchi: per Dio, per la famiglia, per la Patria (Scr. 110,109).
Vedi anche: Apostolato, Carità, Colonie agricole, Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Famiglia, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Sistema paterno–cristiano.
Ospitalità
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Ti accompagno e presento don Marta, Parroco di Montecrestese, che è quel Sacerdote che doveva venire in Noviziato un mese e mezzo fa. Ora viene solo per visitare Villa Moffa e ripartirà domani. Tutta quella ospitalità che userai fraternamente a Lui, la avrò come fatta a me (Scr. 3,448).
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Vi prego di fare quanto vi è possibile perché il sig. Porta, amico della famiglia Adaglio, trovi presso di voi ospitalità per alcuni giorni, che Egli deve passare in Roma – È persona rispettabile sotto ogni riguardo. Quanto al vitto, non vi prenda soggezione, poiché Gli basta il nostro vitto di famiglia (Scr. 6,63).
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Vi raccomando di dare cortese ospitalità al sig. Marchese e di invitarlo anche a prendere i pasti con voi altri. Avvertitelo che io non potrò giungere che lunedì. Vedete che il letto dove lo mettete sia ben pulito, mi raccomando! (Scr. 6,227).
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Domani, 4 maggio, giungerà da te il tuo compagno di scuola don Ercole De Paoli, Arciprete di Gerola. Ti porterà una mia lettera. Tu gli darai la più cordiale ospitalità: fagli subito preparare una camera ben pulita, ben ordinata; fa che sia che rimanga contento. Egli, da qualche tempo, soffre di scrupoli e fu consigliato da Mons. Vescovo e dal Canonico don Perduca di lasciare per qualche settimana la Parrocchia, ed ha scelto di venire dove sei tu e don Garbarino. Trattalo da fratello. Te lo raccomando tanto: vedete di confortarlo, di non fargli il Paradiso impossibile o troppo difficile; se la mattina ha bisogno di riposare, lascia che riposi: è un buon sacerdote, che ha bisogno di essere rianimato e confortato (Scr. 7,369).
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Ti presento il caro giovane Senatori, Presidente dei nostri Esploratori di Roma – È tutto di casa nostra, come uno di noi. Gli darai fraterna ospitalità per i giorni che si tratterrà a Sanremo; per il vitto in Convitto e per il dormire, se non ci fosse posto in Convitto, mettilo a S. Clotilde. Usagli ogni riguardo, che ben se lo merita. Egli fu già a Sanremo, ed è conosciuto sia dai giovani del Circolo che dal Don Ghiglione (Scr. 8,26).
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Vedi che giovedì 27 corr, giungerà Don Vincenzo Minetti, al quale desidero che tu dia ospitalità la più cordiale e che sia trattato non solo come uno dei nostri, ma come uno dei Superiori della Congregazione – Ha poi 74 anni, quindi vedi che il vitto per lui sia ben confezionato, te Lo raccomando. Lo potresti mettere nella camera dell’Ing.r Paolino Marengo, così non fa tante scale, povero e caro don Minetti! (Scr. 8,85).
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Ti presento il M. Rev.do Panizza don Ignazio, parroco del Trentino, che mi condusse qui due bravi aspiranti. Egli deve venire a Venezia e ti prego di dargli ospitalità per quei due o tre giorni che dovrà trattenersi. Capisco che al Manin non ti sarà possibile, ma tu lo vorrai fare accompagnare alle Zattere; lo mando al Manin perché, per chi giunge, riesce più comodo (Scr. 20,237).
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Ti presento il sig. Gatti, persona distinta e buon cristiano; egli avrà forse bisogno di trovare, per qualche notte, ospitalità amichevole presso il nostro Istituto di Alessandria; vedi se lo puoi favorire e te ne sarò grato (Scr. 36,127).
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Vi presento l’ottima Sig.ra Fadda, che io conosco da tanti anni; essa viene a Sanremo insieme con una giovane cameriera. Voi le darete la più cordiale ospitalità per il tempo che si fermerà e fate in modo che nulla le manchi. Vi sarò molto molto grato di quanto farete per essa e delle premure che le dimostrerete (Scr. 39,174).
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Caro sig. Canepa, Vi pregherei di dare per qualche giorno solamente un poco di ospitalità a questo giovanetto indiano, chiamato Paolino Indus, il quale viene a Genova a cercarsi lavoro. Vi ringrazio della carità e vi prego dal Signore ogni celeste ricompensa (Scr. 63,166).
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Caro Canepa, Sia lodato Gesù Cristo! Capisco di abusare troppo della vostra carità, ma vorrete compatirmi se io vengo a pregarvi, se appena vi è possibile, di voler dare ospitalità a questo mio sacerdote don Giovanni Serra, il quale vi darà il meno disturbo possibile. Egli è un ottimo religioso e si fermerà a Genova questi giorni del Congresso per dopo continuare per Roma (Scr. 63,169).
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Cari miei figli in Gesù Cristo, Vi presento il M. Rev.do don Gioacchino Sottani, Parroco a Borgo Reggello – Diocesi di Fiesole – prov. di Firenze. Questo caro Sacerdote, mio ottimo Amico, ha già ottenuto dal Suo Vescovo il permesso di venire a far parte della nostra Congregazione e veramente dovrebbe già trovarsi con noi. Ma, per ostacoli indipendenti dalla sua buona volontà, egli dovrà, suo malgrado, tardare a venire sino a giugno, quando il suo Vescovo abbia come farlo sostituire. In questo frattempo Egli mi ha chiesto di passare alcune settimane, sin che è libero, presso qualche nostra casa di Roma, per raccogliersi e respirare un po’ di aria religiosa e santa. Gli ho indicato in Roma le case di Via Sette Sale e la colonia di Monte Mario. Egli sia accolto come un vero e proprio nostro confratello e nell’una e nell’altra casa; abbia la più accogliente e fraterna ospitalità e tutta la vostra delicata attenzione e ogni conforto. Alle Sette Sale mettetelo nella mia camera e alla colonia trovategli una cameretta adatta e conveniente. È Sacerdote che non solo non darà disturbo, ma darà buon esempio a tutti (Scr. 74,152).
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L’ospitalità è un dovere indispensabile per un Figlio della Divina Provvidenza ma, qualunque siano i nostri ospiti, la tavola sarà sempre messa con semplicità (Scr. 81,193).
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Vi presento l’ottimo giovane Rossastra Edoardo, di a. 37, nato a Varese, studente in Lettere, il quale oggi viene accettato nel Nome di Dio e invitato a raccogliersi con me, per alcuni giorni, prossimamente. Intanto che gli darò una destinazione stabile, prego gli diate cordiale ospitalità alla Casa paterna di Tortona (Scr. 104,30).
Vedi anche: Affabilità, Generosità.
Ozio
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Cari miei figlioli, fuggite l’ozio e lavorate! Lavorate con umiltà; con zelo, con ardore di carità Don Bosco morì raccomandando il lavoro. E Giobbe diceva: «l’uccello è nato per volare l’uomo per lavorare». Non amate il dormire e non sacrificate la meditazione al letto della vostra pigrizia: guardatevi dal cubiculum otiositatis. Quando in una Casa s’incomincia ad introdurre l’ozio, o la poca voglia di lavorare, o non si è così operosi e alacri come si dovrebbe, quella Casa è bell’e rovinata Se, al contrario, lavoreremo molto e lavoreremo e travaglieremo per mettere a frutto i talenti e sotto lo sguardo di Dio e per compiere la volontà del Signore e l’esempio del Signore, il lavoro sarà degno di noi e di Dio: il lavoro sarà il grande rimedio contro la concupiscenza e un’arma potente contro tutte le insidie del diavolo e le tentazioni del mondo e della carne (Scr. 4,263).
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Ti raccomando il lavoro, caro don Casa, ti raccomando la preghiera e il lavoro. Che il demonio non ci trovi mai oziosi! Oh quanto ci ho sofferto a Mar de Espanha al vedere l’ozio le ore e le giornate intere di alcuno, piene di ozio: in verità confesso che, se quella casa fosse stata nostra, io più di una volta fui tentato di darle il fuoco e credi pure che lo avrei fatto, se fosse stata di nostra proprietà. E sarebbe stato un bell’esempio, bruciare io, con queste mani sacerdotali, la prima Casa! Ma meglio così, che l’ozio e la discordia! Oh come si sta bene qui, dove si lavora e si prega e si è tutti un cuor solo, da buoni fratelli! Il nostro programma, per fare veramente del bene, è il motto di San Benedetto: laus et labor: preghiera e lavoro (Scr. 29,143).
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Quello che molto molto ti raccomando è le pratiche di pietà in comune: che tutti si confessino almeno ogni settimana: che si lavori molto, molto, molto e che non ci sia mai mai l’ozio in casa né alcun ozioso. Vigila molto e sta’ a casa più che puoi, perché adesso la famiglia è diventata più numerosa e la tua responsabilità va crescendo (Scr. 30,164).
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Ogni vostra parola ispiri loro quella gioia intima che fa pensare, che fa dilatare il cuore, che fa piangere. Date buone nozioni sul buon uso del tempo, sulla fuga dell’ozio, sul lavoro, come legge e dovere impostoci da Dio: preghiera e lavoro! diceva don Bosco – Gesù ha lavorato, tutti dobbiamo, o in un modo o nell’altro, lavorare: nella natura non c’è ozio. Molto gioverà se vedranno voi a non perder tempo: se vedranno che possedete bene e perfettamente le materie d’insegnamento: se vi vedranno studiare e prepararvi sul serio (Scr. 51,37).
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Niente vi porterebbe più facilmente alla ruina e perdizione che l’ozio, che è il padre dei vizi. Sulle mura dell’oratorio di Valdocco, dove fui educato, Don Bosco fece scrivere queste sante parole, che ancora ricordo e che ho sempre ricordate: Multam malitiam docuit otiositas! (Scr. 52,144).
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Se in una Comunità s’incomincia ad introdurre l’ozio, è bell’e finita! Se al contrario lavoreremo molto, il lavoro grande remedium concupiscentiae et arma potens contra omnes insidias diaboli (Scr. 55,243).
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Infondi sempre coraggio, sempre allegria e avanti in Cristo. E una grande, tenerissima devozione alla SS.ma Vergine. E fa che non stiano mai, mai oziosi, ma che abbiano un lavoro indefesso, o in un modo o in un altro. E non si intrattengano più nelle cose del mondo, anche buone, né leggano più i giornali durante il Noviziato (Scr. 70,100).
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Ognuno, nelle varie Case, deve dare il maggior rendimento possibile. Lo esige la strettezza dei tempi, lo esige il voto di povertà da cui Figli della Divina Provvidenza dobbiamo vivere una vita di santa povertà, dobbiamo lavorare e non vivere oziosamente: tutti, secondo le proprie forze, devono attendere alacremente al lavoro per la propria santificazione e per il bene dei nostri ricoverati. delle nostre Case c’è chi non dimostri questa buona disposizione stretto dovere del Direttore di richiamarlo egli provvederà per il suo allontanamento, sia pure con modi pieni di carità, ma decisamente (Scr. 81,87).
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Fuggite l’ozio che è il padre dei vizi. Il demonio profitta, per tentarvi, del tempo che state oziose. Anche nelle opere di carità siate riservate (Par. I,217).
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Chi non si sente bene e non può lavorare, non lavori, altri lavoreranno, e, dove finirà la vostra mano, comincerà la Divina Provvidenza. Via l’ozio! Via l’ozio! Con l’ozio vengono tutte le tentazioni. Un giorno, un mio chierico viene a dirmi che ha tante tentazioni, che vuole andare via, che non dorme, che non mangia... Benissimo: vedi – gli dissi – quel mucchio di sassi? Bene; prendili tutti e portali da questa parte, svelto, svelto...; e poi, quando li avrai portati tutti, ricomincia e rimettili al loro posto primitivo...; poi, vieni a dire quante volte l’hai fatto. Dopo qualche giorno, torna da me felice e contento: non ho più tentazioni, la sera sono tanto stanco, dormo subito, mangio, sto bene...; e il diavolo è vinto. Capite?! Non aveva niente da fare; era il tempo delle vacanze: guai all’ozio! Attente! Lavorate! Nell’ozio il diavolo gode (Par. I,236).
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Siate sobri, siate temperanti, siate mortificati nella gola, siate mortificati nella gola! Don Bosco diceva di non ordinare sacerdoti quelli che sono golosi, quelli a cui piace unger la gola, quelli che amano l’ozio, quelli che non trovano mai nulla da fare, quelli che amano la cella e il cubiculum, che è il letto (Par. II,62).
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Lavoro, lavoro, lavoro! Oh se noi prendiamo la Storia Sacra, vediamo che tutti i Patriarchi lavoravano: San Giuseppe lavorava, Maria Santissima lavorava, Gesù lavorava, San Paolo lavorava, faceva le sporte e le stuoie... Oh se tanti preti ci pensassero un po’ sul serio! Tanti che non fanno altro che tosare i fedeli, che non lavorano, che dopo la messa e un po’ d’ufficio e un po’ assistenza ai malati, poi fanno ozio... ozio! Per quello è che c’è tanto vizio: è l’ozio, è l’ozio, è l’ozio! Come si spiega che tanti conventi di frati sono andati a male? Perché c’è ozio, perché c’è ozio! La vostra Congregazione fiorirà finché ci sarà lavoro, finché ci sarà mortificazione, finché ci sarà lavoro, lavoro, lavoro... Tutto ciò che può produrre comodità qui da voi, mi fa spavento: ho sempre paura che c’entrino troppe comodità (Par. II,80).
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Se il Signore ha suscitato le Congregazioni, il Signore, dopo il tempo della prova, le fa prosperare... Nella nostra non v’è l’ozio: il lavoro è la base della moralità. Caccia ai fuchi! Caccia a quelli che vengono a mangiar sulle nostre ossa. Vedere chi ama il lavoro e chi batte fiacca! Le nostre Costituzioni dicono che conviene anche che i religiosi sappiano un lavoro manuale... Don Bosco diceva che il lavoro era il primo indizio di santità di vita, il lavoro è vita, il lavoro è salute. A Monsignor Fagnano diceva: “Col lavoro, con la preghiera e la temperanza noi vinceremo noi stessi e tutti i nemici della Congregazione”. Infatti nei conventi ove andava don Bosco, chiedeva se c’erano dei frati mosca, che sono i parassiti, i picchioni. Quando mi trovavo da don Bosco, il primo anno, egli vide la Madonna Santissima che gli diede una regola per mantenere la virtù della illibatezza della vita. Mi sono scritte le parole, che la Madonna disse ad un gruppo di ragazzi: “Figlioli, sobri estote et fugite otiositatem; filioli mei, vultis virtutes in securitatem ponere? Sobri estote et fugite otiositatem”, San Filippo Neri faceva portare le pietre su e giù. Cercare che i ragazzi non stiano mai in ozio (Par. III,123–124).
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Vedete di non stare mai in ozio e ricordatevi che ogni ora, che ogni minuto passato in ozio è un’ora, un momento perduto e un momento guadagnato dal diavolo. Raccomandatevi tanto a Maria Santissima che vi aiuti a compiere i doveri; che vegli maternamente sopra di voi (Par. III,206).
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Mai oziosi, sempre al lavoro, sempre con le mani in movimento. Ci sono tanti modi di lavorare secondo le capacità, secondo la salute... L’importante è questo: non stare oziosi, non bighellonare, non girare come i frati mosca di qua e di là, a chiacchierare, a mormorare, a criticare, ma senza però far niente! Quanti sono abili nel dare pareri! Ce ne sono degli abilissimi! Sicuro! Ma poi se si tratta di mettere sotto la testa, di sgobbare, di facchinare, sono pieni di lamentele, di acciacchi, di mal di testa (Par. VIII,213).
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La fatica moralizza la vita e dà alla vita una felicità che l’ozio e il dolce far nulla non possono dare. Il lavoro stesso è felicità. Come è consolante il poter ripetere: Mangio questo pane che mi sono guadagnato con il mio lavoro. L’ozio è il padre di ogni vizio. Multam malitiam docuit otiositas. Quanti sono caduti nel peccato per l’ozio? Oh se si piegasse l’osso della schiena come voleva don Bosco, il demonio ci troverebbe occupati e non avrebbe modo di coglierci e di tirarci dalla sua (Par. IX,301).
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Fuggite l’ozio: chi non tesoreggia il tempo, chi si abbandona all’ozio, non si manterrà puro, non manterrà la bella virtù, la santa virtù. E questo insegna a me e a voi il Santo del quale domani la Chiesa celebra la festa: otio bellum perpetuum indixit all’ozio dichiarò perpetua guerra. Che Sant’Antonino insegni a me e a voi, sì che possiamo fare tesoro della grande grazia, che Dio ci dà e che è il tempo. Nel libro che si va leggendo per le meditazioni quotidiane Sant’Alfonso pone una meditazione sul prezzo del tempo; e il testo biblico che egli pone in capo a quella meditazione sono le parole dello Spirito Santo: Fili conserva tempus. Figliolo, sta’ attento a non perdere il tempo, conserva il tempo. Sant’Antonino con l’esempio di tutta la sua vita ha insegnato a fuggire l’ozio (Par. X,179).
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Siamo a tutti specchio di lavoro e di temperanza. Temperarsi nei modi, nei giudizi (questo fa per me) e nel mangiare. Togliete l’ozio dalle case, i chierici che non piegano l’osso della schiena... dimittantur in caritate (Riun. Agosto 1932).
Vedi anche: Caritas Christi urget nos, Lavoro, Riposo, Zelo.
Pace
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La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo (Scr. 6,150e).
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Ella tenga la sua anima purificata dalla grazia di Dio, e poi stia tranquilla nelle mani di Gesù. Egli darà pace e conforto al suo spirito, perché la pace è proprio il dono di Cristo e il fonte di ogni bene. E Lei conserverà la pace sé starà tranquilla e rassegnata alla volontà di Dio in ogni cosa (Scr. 9,155).
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Ricordiamoci che, benché l’inclinazione naturale ci porti a restringerci, nel fare il bene, alla nostra patria – tuttavia il principio evangelico della beneficenza e della carità universale è quello solo che, diffuso e predicato, può apportare una vera pace al mondo e, insieme con la pace, tutti i beni. Noi amiamo la nostra patria, ma tutto il mondo è patria per il figlio della Provvidenza che ha per patria il Cielo (Scr. 20,95).
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Se avrete cuore di figli verso Dio, cioè se avrete pietà e anche carità verso i giovani, farete miracoli. E tutto andrà a meraviglia, e i confratelli e gli alunni saranno trattati a secondarvi, perché saranno presi ed edificati dal vostro buono spirito, dalla vostra pietà lieta, dalla vostra bella osservanza, dalla luce stessa di Dio, che risplenderà su di voi. Il vostro cuore godrà allora di una grande pace; diffonderà quasi una santa letizia quasi aureola spirituale attorno a voi: voi stessi e gli altri sentirete meno la fatica, e pure la materialità del lavoro si trasformerà in alta vita di carità, e godrete dentro di voi un vero paradiso in terra, una grande, soavissima pace, pure in mezzo alle tribolazioni, che sempre sogliono accompagnare chi vuole farsi santo e chi vive in una nascente istituzione la quale, come la nostra, si prefigge di servire e di amare Dio e la Chiesa con fedeltà sino alla morte e con ogni morale patimento (Scr. 26,144).
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Vi stia a cuore l’unione, il massimo dei beni, e allontanatevi da ogni spirito mormoratore e dai seminatori di critiche e di zizzanie: vi stia a cuore l’unione: lo Spirito del Signore è spirito di unione, di pace, di carità. Il nostro vincolo è Cristo! Guai a chi spezza Cristo e infrange l’unione: la forza dei religiosi sta nell’unione. L’unione in Cristo ci avvicina, o miei figliuoli, benché lontani, e ci fa abitare insieme collo spirito, siccome fratelli, e il luogo dove abitiamo è Cristo. Mai il mio cuore ha sofferto e soffre tanto come quando vedo che alcuno pretende di essere figlio della Divina Provvidenza e religioso e non sa, o non vuole, vivere unito di cuore, indivisibilmente in Gesù Cristo Crocifisso con la dolce unione di famiglia religiosa (Scr. 26,148).
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Quando vi è pietà vera, una Casa va a meraviglia: vi è spirito di pace, di unione, di allegria: vi è progresso materiale, scientifico, spirituale: vi si gode come una gioia serena di paradiso; ma, se non vi è spirito di pietà, una Casa religiosa diventa un inferno e invece noi di fare mirabilia si diventa e si fa miserabilia (Scr. 28,104).
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Mantenete, ve ne prego, l’esatta osservanza religiosa, e avrete Dio con voi, la pace del cuore e la pace e il buon andamento in casa. Senza Dio non si edifica nulla! L’osservanza delle pratiche religiose, fatte con amore, ci conserva, ci innalza e ci prepara dei meriti per la vita eterna, ma la rilassatezza, al contrario, ci mette il tedio nel cuore, ci abbatte moralmente e spiritualmente, e ci distrugge (Scr. 29,126).
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Se voi tutti, o miei carissimi figli nel Santo Crocifisso, vi darete a Dio dicendogli: «Dio mio, quello che volete voi, lo voglio anch’io» oh allora sì che vi so dire che, come il sole, la vostra vocazione sarà sempre uguale ed uguale la vostra volontà in ogni cosa che vi succeda, perché il vostro contento è nell’uniformità alla santa volontà del Signore, e perciò crescerete nella santa perfezione e godrete sempre una pace imperturbabile quale io con tutta l’anima mia vi desidero e quale si conviene ai veri servi del Signore (Scr. 30,2).
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Con la pace e con l’affetto di figli di Dio e di fratelli incominciate a parlare e finite: con la pace, con l’amore fraterno e con la gioia incominciate a lavorare ed a pregare e finite; parlate e lavorate per fare santi voi o per aiutare i fratelli a farsi santi: non dite né operate mai per apparire: tutto deve farsi per Dio: lavorare e far del bene più che sia possibile ma senza braverie e con quella rettitudine d’intenzione e santità di modi che fa bene a chi sente e a chi vi sta attorno (Scr. 30,12).
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Fate che in Casa vi sia sempre spirito di pietà, di umiltà, di carità, di sacrificio, di concordia, di unità, di pace in Gesù Cristo. La pazienza ci è pure grandemente necessaria. La vita non può essere senza battaglia e senza dolore, ma noi dobbiamo cercare non una pace che sia senza tentazioni o che non soffra contrarietà, ma una pace in Dio che sia pure esercitata da tribolazioni e provata da varie e da molte contrarietà (Scr. 36,226).
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Per la pace, per la concordia, si passi sopra ad ogni interesse: ogni sacrificio è poco per la pace; con la buona volontà si fa tutto: la pace vale più di tutto! (Scr. 41,108).
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Ho capito che lei deve essere un po’ in collera con me, ma io desidero far pace, perché D. Orione è sempre stato e deve essere l’uomo della concordia e della pace. E mi spiace di non essere a Roma che verrei da lei personalmente. Quando potrò venire, le darò tutte le spiegazioni possibili e tutte le scuse che sento di dover fare. Ma intanto voglio che siamo sempre buoni amici, e Don Orione, che ha sbagliato, è giusto che paghi, e quindi io la prego di gradire amichevolmente alcune bottiglie, due delle quali sono proprio il vino della pace. Lei è tanto bravo che non dubito vorrà restituirmi tutta la sua antica e cara amicizia (Scr. 43,192).
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Ho un grande bisogno di pace: Le mille fontane di Roma mi pare che non basterebbero a saziare la grande sete che ho di pace e di silenzio e di rifacimento spirituale. Prima di visitare i miei Istituti, mi ritirerò nella solitudine di qualche Convento per rientrare in me stesso e darmi ad un po’ di preghiera (Scr. 50,183).
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La pace è bene supremo, desiderato da tutti gli uomini buoni, ed è grande conforto ai cuori. Se sarete poi interrogati, rispondete che la pace: l) Bisogna averla con Dio, 2) con, gli uomini, 3) con sé stesso. l) La pace con Dio si ha osservando i suoi comandamenti, e seguendo umili e fedeli la sua santa chiesa. 2) La pace con gli uomini si ha vivendo rettamente. 3) La pace con sé stesso si ha mediante la testimonianza di buona coscienza. La pace è un dono di Dio e fonte di ogni bene. Essa è frutto di carità. E noi dobbiamo custodirla crescerla in noi e nelle case della Piccola Opera, e approfittarne per lodare e magnificare il Signore, dilatando in Dio il nostro cuore, affrettando il passo nella via dei suoi comandamenti, dietro la guida della santa chiesa, nostra madre. Per questa pace l’anima riposa nel suo Dio, né si dà all’ozio, ma vigila contro i suoi nemici: fa quanto può in umiltà e carità verso i suoi fratelli, e tutto a loro vantaggio e prega il Signore con maggior raccoglimento. Questa ineffabile pace, vero dono di Cristo, ci fa vivere distaccati dalle voci terrene e ci trasporta con l’anima in cielo. Proviamo questa bellissima pace, che solo Gesù Cristo ha dato ed ha lasciato ai suoi discepoli e che nessuno del mondo mai ci potrà dare, quando noi riportiamo tutte le nostre cure nel sostanziale e nel massiccio cioè in Dio, considerando tutto il resto con indifferenza e solo di passaggio (Scr. 52,93).
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La pace quindi... o miei cari, non dipende dalle cose esterne, ma da noi stessi, dal valutare che noi facciamo per quello che pare il possesso di quel bene che contiene tutti i beni e che li sopravanza infinitamente. Per trovare questa pace bisogna comunicare in semplicità e verità non volendo altro che Dio, cioè la nostra santificazione nella carità, che è amore santo di Dio e del prossimo. E godremo quindi con gran pace se tutti rispetteremo con tutto il nostro spirito e la nostra vita in Dio, e staremo in quel mare di carità dolcemente pure per l’eternità. Nel distacco da tutte le cose corruttibili e illusorie, e nell’esercizio umile, ma laborioso e dolcissimo della carità verso i fratelli bisognosi e abbandonati, noi gusteremo quanto soave, quanto grande è la pace del Signore. Quando c’è l’umiltà e la carità, che fanno di noi tutti un cuore solo e un’anima sola, allora è che si spande nei cuori e nelle nostre case la pace dello Spirito Santo, e fuori si diffonde il soave odore dei discepoli di Cristo. Camminiamo, o fratelli, nella pace del Signore e faremo un immenso profitto! Pregate per me! «La pace del Signore sia con voi!» (Scr. 52,94).
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Quando l’anima si raccoglie nel silenzio, comincia a percepire qualche cosa di Dio, la pace, una gran pace e grande gioia l’inondano, e avviene ciò che dice Gerson: Si das pacem, si gaudium sanctum infundis, erit anima servi tui plena modulatione. E allora – specialmente le suore – debbono evitare dal lasciarsi trascorrere ad esprimere esteriormente ciò che dentro sentono: devono avere una grande moderazione nel parlare delle cose interiori: devono avere come un profondo pudore dell’anima: devono moderare il ritmo delle parole, e renderlo quasi insensibile: e nella serenità e compostezza esteriore, devono mantenere intimo, nascosto, riservato i doni di Dio (Scr. 55,20).
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Quello che è la salute per il corpo è la pace per il nostro cuore: con la pace si tira avanti, senza pace la vita diventa troppo pesante, diventa un inferno. Che cosa è che priva il nostro cuore della pace? Il disordine, il male, il peccato in genere. Et libera nos a malo – Non est pax impiis: non est pax ossibus meis. Le malattie sono molte – che privano della salute. I peccati sono molti – privano (più o meno) il cuore della pace. La salute è la cosa più utile alla nostra vita fisica, la pace la più utile alla nostra vita morale (Scr. 55,224).
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Il Bene, non terreno, non fugace che fuga gli odi e le violenze, che largisce vita morale e religiosa, e ai cuori e ai popoli dà concordia e pace non può esser altro, non è altro che Cristo. Gesù Cristo! ecco, miei buoni Amici, il Princeps pacis: il divino Largitore e Principe della pace. Cristo nella mente; Cristo nel cuore! Fede e Carità: e si ha la pace! Pax vobis! fu il primo saluto, la prima parola di Cristo risorto – la pace! il sospiro, l’aspirazione costante dell’umanità la pace, ecco l’augurio e il voto dei nostri cuori: la pace. Andiamo al popolo! Compiamo la nostra missione: promoviamo tutto un rinnovamento di anime in Cristo. Svolgiamo tutta un’opera di elevazione morale e di benessere degli umili, cooperiamo in umiltà con la Chiesa ad una vera rinascita, ad un ritorno alla Chiesa della classe operaia – Poiché è pacifico, Dio sarà con noi! o Amici, che non siamo al mondo solo per il bene nostro, ma anche per il bene altrui (Scr. 56,57).
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Le persone di mondo non ti daranno la pace perché non sanno neppure che sia, non ti cureranno o si insulterà al tuo dolore con ghigno beffardo. No, caro fratello mio, nessuno, fuorché sia qualche anima santa, nessuno ti infonderà consolazione e pace. Gesù ti darà la pace: Gesù solo! Va; e genuflesso ai suoi piedi, prega e piangi! Prostrato ai suoi tabernacoli, digli che sarai sempre tutto di Gesù e sentirai consolazione e pace, perché là vi è Dio! (Scr. 57,141).
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La prima condizione d’una pace giusta è la buona volontà di ritornare a Dio. Ritorniamo dunque a Dio e alla sua chiesa con la semplicità dei pastori di Betlemme, deponendo gli odi, le vendette, le cupidigie! La pace annunciata dagli angeli è pace di giustizia, di mitezza e di perdono. Ritorniamo a Dio! Correggiamo le volontà ribelli e le ingiustizie, se vogliamo pacificare il mondo; ma ricordiamo che solo la religione cattolica riesce a questo con la sua fede e con la sua morale. Ritorniamo a Dio! Smettiamo la superbia, la vanità, l’egoismo le disonestà, l’avarizia, e cerchiamo le vie di Dio: l’umiltà la preghiera, la fede, la pace con il Papa, l’educazione cristiana della gioventù, la purezza, la carità, e la carità sino al sacrificio! (Scr. 61,106).
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Oh! è specialmente alla Madonna che Gesù Dio e Redentore nostro, ha affidata l’opera della pace universale del mondo, né altri la potrebbe compiere meglio di Lei. Ed io ho dovuto piangere di tenerissima gioia, quando molti anni fa, visitando la prima volta il Santuario della Madonna del Rosario di Pompei, vidi che l’anima pia di Bartolo Longo aveva tappezzati i muri e le colonne della Basilica di Evviva a Maria SS.ma Regina della pace! e anche le pareti degli Ospizi dei figli dei carcerati e tutte le vie della nuova Pompei erano tappezzate evviva a Maria SS.ma, Regina di pace! Oh si! Essa, che è la Madre di Gesù. Principe e Re della Pace, può ben dare alla società convulsa e alla Chiesa la pace sospirata. Preghiamola pieni di confidenza filiale: preghiamola umilmente, ma con tutto lo slancio dell’amore di figli, e la nostra Madre ci esaudirà! (Scr. 71,190).
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Uomini Cattolici, figli della nobile nazione Argentina la Risurrezione di Cristo è grandioso annuncio di concordia e di pace: Pax vobis!, ha detto Cristo Risorto: la pace sia con Voi! Ma per avere la pace ci bisogna una Verità, che illumini e unisca gli intelletti e un Bene non terreno, la Bontà che unisca e soddisfi i cuori. La Verità non può essere che il Lumen Christi: la luce di Gesù Cristo, cui inneggia la Chiesa con il canto invocatorio all’alba del Sabato Santo, canto sublimamente ispirato. Il Bene non terreno, che fuga gli odi e le violenze, che dà ai cuori la concordia e la pace, che largisce la vita morale e religiosa ai popoli, non può essere e non è che Cristo. Gesù Cristo! Ecco, miei Amici e fratelli, il grande secreto della pace, il Princeps pacis! Cristo nella mente: Cristo nel cuore! Fede e Carità! Pax vobis: la pace sia con Voi, in Voi! Ecco la parola del divino Risorto, ecco l’augurio e il voto dei nostri cuori (Scr. 72,9).
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Il mondo promette, ma non dà mai la vera pace dello spirito di cui parla Cristo nel Vangelo, la pax christiana; poiché esso altro non è che una aperta palestra, dove tutti si sforzano di rovesciarsi o di non lasciarsi rovesciare: alcuni obbligati a vigilare per potersi con destrezza sottrarre alle angherie altrui, altri sono sempre in ordire cabale o tendere agguati per strappare ai meno furbi o ai più deboli quanto essi posseggono su “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Ma qual differenza è tra la pace del mondo, pace sempre sperata e mai ottenuta, pace fallace, e la pace, che promette e dona Gesù Cristo! che è ad un tempo pace della società nella giustizia, nel diritto degl’individui e dei popoli e nell’ordine e grandezza della vita morale, religiosa e civile d’ogni gente, e pace del cuore con la calma delle passioni! La pax Christi è pace inalterabile, che non può essere turbata né dalla sollecitudine dei beni temporali, né da quella dei beni spirituali. Non dalle calunnie, che il cristiano disprezza, non dalle ingiurie, che dimentica, né dalle offese che perdona: non dalle pretese, ch’egli reprime, né dalle passioni, ch’egli soffoca. Chi è in pace con Dio, è uomo giusto, ed è in pace con il prossimo (Scr. 82,30).
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La pace è il dono di Cristo e il fonte di ogni bene: in essa dobbiamo dilatare i nostri cuori, affrettando il passo nella via dei Comandamenti del Signore. L’animo nostro gode gran pace nel distacco da tutte le cose corruttibili ed illusorie, e nell’esercizio laborioso, ma pur dolcissimo, della carità del prossimo. La pace però più che di giustizia, è frutto della carità. Quando c’è la carità si spande la pace dello Spirito Santo e si diffonde per il mondo il soave odore dei discepoli di Cristo. Ma per avere questa pace, per gustare la soavità della vera pace, e per averla questa pace vantaggiosa anche cogli uomini, bisogna farla la pace prima con Dio, da cui solo possiamo attingere la forza di vincere noi stessi, e di perdonare al prossimo. Il mondo ignora e deride la pace ineffabile che Gesù Cristo ha dato e lasciato à suoi discepoli; ma il mondo non ha la pace! La promette ma non la può dare, perché non l’ha. La pace è un dono di Dio. Se nella nostra vita di cristiani noi vogliamo vivere e gustare la pace dello spirito: se nella nostra vita di cittadini e di buoni patrioti noi dobbiamo affrettare sempre in ogni miglior modo alla Patria la concordia degli animi nella pace giusta e vittoriosa, che è nel diritto, e che fu il frutto della guerra ricordiamo che la pace bisogna prima farla con Dio. Con Dio si vince! E si progredisce uniti e forti, ma, senza Dio? Per vincere i nostri nemici, spirituali o temporali, qualunque essi siano, si passa da Dio, o non si passa. Era il tramonto; e Sant’Antonio, il grande araldo di pace ai popoli, moriva nella pace del Signore. Ed era quella un’ora truce di lupi, come un’ora truce di lupi è ancora questa, su “quest’aiuola che ci fa tanto feroci”. Nel giorno che ricorda la morte del Santo, pace con Dio, o fratelli: e la concordia degli animi presto verrà. I flagelli sulle nazioni vengono dai peccati degli uomini. Ma dalla fede, dalla vita onesta e cristiana, della carità e dalle sopraumane virtù vengono chiamate sopra i popoli tutte le benedizioni della pace (Scr. 83,55–56).
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Veramente i popoli sono stanchi, sono disillusi, essi sentono che tutta è vana, tutta è vuota la vita, senza la pace di Dio, senza Cristo. Gesù avrà pietà delle turbe. Egli vuole risorgere, vuole riprendere il suo posto. Ecco, vedo Cristo che torna: non è un fantasma, no! È Lui, il Maestro, è Gesù che cammina sulle acque sconvolte di questo mondo così torbido e così tempestoso. Ritorna nei cuori, nelle famiglie, su tutte le plaghe della terra ovunque diffondendo le gioie della sua pace. Quella pace che gli angeli hanno cantato sulla Grotta di Bethlem che il Maestro Risorto ha rivolto quale primo saluto agli Apostoli, e lasciato quale ultimo dono, prima di salire al cielo. La Chiesa ha raccolto l’estremo anelito del Cuore Divino e lo custodisce – tesoro incomparabile, perché la fiamma della fede e della pace arda e splenda nei secoli, sempre più viva e immortale. Oh, davvero, Custode e Padre della pace è il Pastore universale della Chiesa, “il dolce Cristo in terra”, che ci ha benedetti giorni or sono, dall’alto della Basilica Vaticana: tutto in Lui parla il linguaggio della pace: il fascino di una vita santa assorta in Dio; lo sguardo dolcissimo che ha abbracciato milioni di figli della suggestiva bellezza di stupende assise attorno agli altari; il nome stesso di Pio, il motto suo che è programma di pace nella giustizia; il primo suo messaggio, il suo anelito che è di servire la verità, ma insieme con carità: “veritatem facientes in charitate”. Venga dunque, attraverso il grande cuore di Pio XII, la pace tanto sospirata! (Scr. 108,30–31).
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Pregate, state raccolte, in silenzio, pensate che Maria fu annunziata Madre di Gesù, mentre stava nel silenzio e nella preghiera. E fate tutto con gran pace, con gran tranquillità, senza affannarvi, senza turbarvi. Il Signore vuole che andiamo a lui con grande pace di spirito; non dobbiamo nemmeno affannarci per avere l’amarezza dei nostri peccati: pace in tutto, spirito di pace, serenità d’animo e tutto andrà bene. Oggi preparate tutte le vostre cose per poter essere più raccolte. Chi ha da scrivere scriva; mettetevi in stato da pensare solamente all’anima, a Dio, all’eternità, tutto con gran pace, che, badate bene, non vuol dire inerzia, ma serenità d’animo, cuore aperto e generoso. Guardatevi dal demonio: in questi giorni egli cercherà di giocarvi qualche brutto tiro; ricordatevi che è il padre delle tenebre, che pesca nel torbido, che tutto ciò che produce confusione, irritazione, oscurità, non viene da Dio, ma dal demonio. Lo spirito di Dio è spirito di pace! Il Venerabile Don Bosco talvolta si vedeva passeggiare tranquillamente sotto il porticato, così sereno, come se avesse nulla da fare: sembrava, perdonate il termine, un vagabondo! Passava quasi due ore al giorno senza far nulla, perché così gli avevano ordinato i dottori ed egli obbediva. Un giorno, durante la passeggiata, gli fu portata la lettera del Vescovo che gli toglieva la Messa: la diede ad un sacerdote che gli era vicino e continuò la sua passeggiata come se nulla fosse. Eppure, figuratevi che pena! Essere sospeso dalla Santa Messa! All’indomani tutti i suoi chierici, i suoi ragazzi avrebbero saputo questo! Ebbene: Egli, che aveva lo spirito del Signore, pur soffrendo assai, non si turbò. Grande pace, grande pace! Maria Santissima, ai piedi della Croce, stava in pace, soffrendo il martirio più crudele che madre potesse soffrire: eppure era felice di essere la dolente, straziata ad assistere il figlio, il suo Gesù, che grondante sangue agonizzava su di un patibolo infame (Lett. I,88–89).
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Unione fra di voi, una grande concordia fra voi. Anche quando c’è un gran lavoro e c’è il sacrificio, se c’è la pace, c’è il paradiso; ma dove c’è la guerra, c’è l’inferno! Io ho fede che queste parole siano accettate da voi con quello spirito con cui ho creduto indirizzarvele, che è lo spirito di pace, che è lo spirito di Dio (Par. II,121i).
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Oh, che la pace di Gesù sia sempre nel nostro cuore. Custodite questo dono, custoditelo insieme con la grazia di Dio. Finché voi conserverete intatta, illibata la vostra coscienza, voi gusterete quelle gioie ineffabili che la pace porta con sé; ma quando disgraziatamente entra nel vostro cuore il demonio allora, perduta la grazia di Dio, anche la pace va esulando da voi. Quando gli Angeli cantarono: pace in terra agli uomini di buona volontà, non cantarono solo per essi, quelli presenti, ma per tutti. Gesù si è incarnato non solo per quelli che vivevano allora ma per salvare tutti e dare a tutti la sua pace, a tutti la sua gloria. Oh, dunque, preghiamo perché la pace regni sempre nella nostra Congregazione. Discenda sulla nostra Casa e vi rimanga per sempre. Rimanga sempre il nostro più grande conforto, rimanga come la gioia più preziosa, rimanga sempre come la più grande consolazione per la nostra vita (Par. III,233).
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Il mondo dice: “Pax et non pax”. Credetelo, in questo mondo non vi è pace: i mondani cantano pace, ma la pace, la gioia, il contento, la letizia di questo mondo dura poco; al massimo una giornata; ma la gioia è coronata dal dolore, e tutto qui tramonta. Solamente Dio può dare il vero amore, la vera pace. Tu ci hai creati: tu fecisti nos et cor nostrum irrequietum est donec requiescat in te, dice Sant’Agostino. Al nostro Benefattore, all’anima sua, abbiamo augurato la pace, pace santa, quella che il mondo non ha mai dato e non può dare. Dopo la famosa e tremenda guerra mondiale, vi fu la pace: ma una pace solo apparente, di nome, giacché nei popoli, nei paesi, nelle famiglie rimase sempre qualcosa che non indica pace, ma piuttosto agitazione. Ed ecco quindi, che noi abbiamo implorato da Dio, per il nostro Caro, la vera pace, il lume di gloria, la luce perpetua, il gaudio sempiterno, in una parola: il Paradiso; il cui possesso consiste tutto nella gloria di Dio, nel possederlo (Par. V,286).
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Il saluto di Gesù è sempre saluto di pace. Nascendo cantò la pace; quando inviò per il mondo i suoi apostoli ordinò di salutare i popoli coll’augurio di pace; quando andò a morire, la sera prima della sua dolorosa passione, salutò i suoi amati con l’abbraccio e con il bacio di pace; quando risuscitò glorioso apparve la sera stessa agli undici salutandoli sempre con il saluto di pace: Pax vobis! La pace sia con voi. Vi do, vi lascio la mia pace. “Pacem meam do vobis”. Non la pace di cui parla il mondo; egli grida pace, pace; ma pace non trova perché la cerca dove non c’è, egli la cerca negli onori, nelle dignità, piaceri, ricchezze, passioni; Non est pax impiis; la pace si trova solo in Dio. Che cosa dobbiamo fare per avere la pace? Per avere la pace dobbiamo purificare, mondare il nostro cuore, rettificare il nostro spirito, raddrizzare la nostra vita, rinnovare lo spirito della nostra vocazione e fare una santa e sincera confessione. Uniamo il nostro cuore a quello di Gesù, il cuore ha bisogno di pace, di riposo; e la pace si trova in un bene che non è terreno. Il profeta Michea chiama Gesù la stessa pace. La pace regna dall’una all’altra parte del mondo. E la Chiesa canta: princeps pacis. O fratelli e figli miei in Gesù Cristo, il saluto che io vi do non può essere diverso da quello dato da Cristo, il nostro saluto sia il saluto di Gesù: Pace. Il salmista esclama: Cor mundum crea in me, Deus. Accendiamo il fuoco dell’amore, della carità con Dio e con il nostro prossimo. Lo spirito di Dio non è tumultuoso, turbolento, agitato: ma è un soffio, un’aura soave, dolce, serena; lo spirito del Signore è spirito di pace. L’aureo libro dell’Imitazione di Cristo dice: se vuoi trovare la pace, conforma la tua vita a quella di Cristo (Par. VI,205–206).
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Noi usiamo, nella nostra corrispondenza, nelle lettere che scriviamo, le parole: La pace del Signore sia sempre con voi! ” Queste parole, questo saluto con cui ci avviciniamo, spiritualmente, con il ricordo e con lo scritto, a quelli con cui trattiamo, è un augurio, direi, una preghiera con cui invochiamo gioia e serenità e pace ai destinatari... Ma è anche un invito alla carità fraterna, è un ricordare che dove c’è Dio, c’è pace, c’è carità, c’è fratellanza, perché non ci può essere Dio senza carità e pace, e non c’è pace dove non c’è Dio, dove manca la carità. Non c’è pace per gli empi, dice la Scrittura sacra; in colui che non è pio, vale a dire, in chi non è pieno di attaccamento, di amore a Dio, non c’è neanche la pace... Ogni volta che usiamo questa espressione nello scrivere, ricordiamo per noi stessi questo suo significato. Siamo seminatori di pace, quella pace che solo Dio può dare, perché solo Egli raggiunge i cuori e li fa tranquilli e contenti... Accendiamo il nostro cuore di carità e nella carità troveremo tanta pace, nella carità sentiremo Dio... ... Quando c’è la carità, c’è sempre zelo, come quando c’è il fuoco c’è sempre anche il calore... Il fuoco comunica il suo calore, la carità comunica il suo zelo... Pace e carità sono quasi sinonimi, perché l’una e l’altra sono sinonimi di Dio, dono di Dio (Par. VIII,81).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Carità, Eremiti, Pazienza, Unione con Dio.
Papa
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Per compiere la volontà e i desideri del Papa molte contrarietà e ostilità e persecuzioni si è sofferto: molti ci hanno visti male e abbandonati; ma quanto si è patito per restare fedeli alla Chiesa, al Papa e ai Vescovi che sono in tutto con il Papa, ce lo troveremo in Paradiso, e ci sarà, spero, presso il Signore di grande merito e di grande condono per i tanti nostri peccati. E quel poco altro di bene che si è fatto, è la Madonna che ci ha aiutato a farlo, facendoci proprio da Madre. Ora bisogna mantenere questo spirito di papalità, e continuare a servire la Chiesa con tutti noi stessi, e ricominciare in tutto ad essere tutti di Dio con tutto il fervore dell’anima e con tutta e per tutta la vita, con fede grande con carità grande con abbandono grande nella Divina Provvidenza (Scr. 13,98).
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E metto me e tutti voi ai piedi della Santa Chiesa di G. Cristo e dei Vescovi; noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere, con il divino aiuto, figli, soldati e stracci della Santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi; senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla e non vogliamo essere nulla. Vita nostra ista est: honor noster iste est: gloria nostra ista est (Scr. 16,122).
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Ma noi amiamo anche, e di un amore che sa di più alto, che sa di più grande di più dolce, di più filiale, di più santo la nostra santa madre chiesa, la chiesa madre di Roma e il nostro Papa, perché la chiesa è la vera madre della nostra fede e delle nostre anime e della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi E perché il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, nostro Dio e Redentore, e «il dolce Cristo in terra» come lo chiamò S: Caterina da Siena: è la nostra guida sicura, è il nostro Maestro infallibile, è il vero nostro Padre ed è il più grande e il primo italiano. E noi siamo suoi, e vogliamo essere suoi e per la vita e per la morte: e preghiamo per la libertà ed effettiva indipendenza della chiesa e del Papa e saremmo pronti per essa a dare mille e mille volte la vita poiché «Dio nulla più vuole e nulla più ama che la libertà della sua chiesa», ha detto Sant’Anselmo (Scr. 20,96).
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Il Papa e i Vescovi, e anche i sacerdoti secolari, sono i nostri padroni, ed io voglio essere e sempre mi onorerò di essere per divina grazia, il loro straccio, felice d’essere uno straccio nelle loro mani e ai loro piedi. Sono stato ad Assisi, e questo vorrei almeno avere imparato da San Francesco: uno spirito di illimitata obbedienza e di grandissimo amore e devozione verso l’autorità della chiesa e gli ecclesiastici; con San Francesco voglio ripetere sino alla morte e pur in morte e dopo la morte il mio dolcissimo e affocato amore alla santa chiesa, al Papa, ai Vescovi e ai sacerdoti: Domini mei sunt: sono i miei padroni, diceva San Francesco. Se non fosse superbia, vorrei dire, umilissimamente e con il capo chinato sino a terra: «non tantum domini, sed Patres mei estis». Voi, o Beatissimo Padre, voi, venerabili Vescovi, voi, o sacerdoti tutti, voglio amarvi, obbedirvi e venerarvi tutti perché, più che padroni, siete i Padri della mia fede e dell’anima mia. E questa è la eredità che vi lascio: che nessuno ci dovrà mai superare nell’amore e obbedienza la più piena, la più filiale, la più dolce al Papa e ai Vescovi e nel più grande rispetto e devozione ai sacerdoti (Scr. 20,300).
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Or voi ben comprendete, o diletti figli della mia anima, che vi parlo dell’amore della Santa Chiesa di Dio e al Papa, di questo santissimo amore vi parlo che, insieme con l’amore a Gesù Cristo, e perché anzi è un unico e stesso amore con Cristo, è e deve essere l’amore della nostra vita e la vita nostra stessa. Non si può disgiungere Cristo Signor nostro dalla Sua Chiesa, di cui è capo e anima, e dal Papa, che è il Suo vicario in terra: amare la Chiesa e il vicario di Gesù Cristo è amare Cristo! La Chiesa Cattolica è la società umana – divina fondata dall’Uomo Dio Gesù Cristo Salvator nostro, essa è cosa sua, è la sua opera, l’opera che il Padre celeste gli ha data a fare, com’è detto in San Giovanni (XVII 4) Anzi al dire di Paolo Apostolo (I Cor. XII. 27) la Chiesa è un corpo del quale Cristo è l’anima e la vita: vita che dal Verbo divino fluisce, e si comunica al suo vicario in terra, al Papa, ai Vescovi, alla Chiesa, onde può dirsi con tutta ragione una perenne mistica e sempre nuova incarnazione che Egli compie nella umanità rigenerata da Lui, e da Lui in modo ineffabile unita a sé stesso. Certo è cosa più che meravigliosa, ma ciò è fatto dal Signore! (Scr. 26,161).
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Amare Gesù Cristo e farlo conoscere e amare con le opere nostre. Amare la sua santa Chiesa cattolica, e far conoscere, amare e servire il Papa, Padre nostro santissimo, capo universale della Chiesa e Vicario di Dio tra gli uomini, è l’opera più grande che possiamo fare su questa terra a gloria del Signore, ed è il fine del nostro povero Istituto della Provvidenza – Instaurare omnia in Christo, per grazia di Dio tutto instaurare nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo crocifisso, con l’attuazione del programma papale, specialmente per la parte che riguarda la libertà del Papa e della Chiesa e l’unione delle chiese separate (Scr. 30,17).
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Bada ancora, caro Marabotto, che non avrai più nulla a sperare nel mondo, se non fatiche e patimenti e persecuzioni per amore del nostro Dio e del Papa e delle anime. Tu dovrai essere fedelissimo seguace in tutto – anche nei desideri – del Santo Padre, e figliuolo devoto a lui, e alla Santa Chiesa di Roma e ai veneratissimi Vescovi che sono con il Papa – sino alla consumazione di te stesso, sino alla morte: e sentire con essi e amarli e difenderli come un figlio farebbe per difendere suo padre; e, se facessi diversamente, tradiresti al tutto lo spirito della nostra professione (Scr. 32,2).
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Fine precipuo di questa Opera è di intensificare in noi e nel prossimo l’amore al Papa e alla Santa Chiesa nostra Madre, in questi tempi in cui e nel dogma e nella disciplina purtroppo si vuole, anche da chi meno dovrebbe, l’autonomia. Caro fratello mio, non ti spaventare se ti scrivo assai chiaro, poiché sta bene intenderci – ma ci intenderemo meglio nella unione e nella vita tutta di sacrificio per amore di Gesù e del Papa e delle anime (Scr. 42,165).
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Questo fine, unire al Papa per instaurare omnia in Christo, che è proprio di nostra vocazione, pone l’Opera della Divina Provvidenza ed ogni suo membro alla pronta ed assoluta obbedienza del Vicario di n. Signore Gesù Cristo, il romano pontefice, padre, pastore e maestro supremo, universale ed infallibile dell’unica vera, santa, cattolica e apostolica chiesa di Dio; per eseguire, sempre con la divina grazia e secondo gli ordini e i desideri che egli si degnerà manifestare al superiore dell’Istituto, in qualsiasi parte del mondo, in ogni ordine di idee e di fatti: con ogni attività e sacrificio delle sostanze, dell’intelletto, del cuore e della vita, tutto quello che a lui, Vescovo e Papa della santa chiesa cattolica e delle anime tutte, piacerà di comandare, o mostrerà desiderare, alla massima gloria e dilatazione del Regno di Dio, e per il bene delle anime e dei popoli (Scr. 45,30d).
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Per quanto dunque si estende la carità della sede apostolica: la sollecitudine di vostra Santità per tutte le chiese, vale a dire per tutte le anime, per tutti i bisogni, per tutta le miserie, altrettanto, con la divina grazia, vorrebbero estendersi i nostri sospiri e le povere nostre fatiche nel diffondere l’amore di Dio e del prossimo, nell’affrettare il Regno di Cristo nella umile soggezione e devozione alla Autorità divina del Papa, specialmente consacrando la nostra vita al servizio di Cristo nei più piccoli, umili, miseri e abbandonati nostri fratelli: nutrendoli dell’amore alla chiesa e al Papa, cioè di quel pane di vita che in tutti i tempi, ma incomparabilmente più nei nostri, è necessario per alimentare la vita cristiana, poiché l’amore al Papa contiene virtualmente in sé la pienezza della rivelazione, e il supremo desiderio del cuore di Gesù, e in esso sta la salvezza dell’Italia e del mondo (Scr. 48,38).
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L’amore del Papa è il nostro credo: dell’amore al Papa noi viviamo: nell’amore al Papa meditiamo, preghiamo, lavoriamo e aneliamo a santificare tutti i giorni, perché sentiamo quanto esso avviva la nostra fede, quanto allarga le nostre speranze, piene di immortalità, quanto fa divampare la nostra carità verso Dio e verso il prossimo (Scr. 48,40).
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Preghiamo il Signore che affretti alla sua s. chiesa un pastore e un padre, che ci prenda in mano, e tutti ci conduca con dolce amore per le vie della terra verso la porta del cielo. Chiunque egli sia, per noi sarà Gesù Cristo! Oh quanto conforto è mai essere figli della s. chiesa cattolica, dove vi è Pietro vivente nel Papa, che ci assicura e ci conduce; dove vi è un’autorità, un capo infallibile, un padre: dove vi è Gesù Cristo, visibile e pubblico, nella persona del Papa! Unum corpus sumus in Christo: unum corpus sumus in Papa! Oh quanto è dolce questo amore a Gesù Cristo che è l’amore al Papa! Un amore di Dio che si capisce di meno, per l’elemento umano che è nella chiesa e nel Papa, e per le umane passioni che ci fanno velo, e cento pregiudizi recenti e antichi, e, per noi italiani, anche per il funesto dissidio che è tra stato e chiesa in Italia; ma l’amore al Papa è amore purissimo di Dio e che amore! È amore di Dio che si capisce di meno, che costa di più, ma che sarà di più valutato nel dì che n. Signore ci chiamerà per pesare la nostra fedeltà e il nostro cuore nella generosità e grandezza dell’affetto alla sposa di Gesù Cristo e al suo Vicario, al «dolce Cristo in terra», come lo chiamava Santa Caterina da Siena. Coraggio, caro mio figliolo nel Signore: vivendo un giorno nelle povere Case della Divina Provvidenza, tu hai visto tante deficienze e forse anche tanti mali esempi, specialmente da me; ma una cosa, o caro don Maurilio, tu hai trovato in quelle povere baracche della Divina Provvidenza, una cosa poco capita, purtroppo, ma che, davanti al Signore, varrà a farci perdonare molte mancanze e a coprirci i molti peccati, ed era ed è: l’amore a Gesù nel suo Vicario, il grande nostro amore al Papa! Io in questi giorni sono stato un po’ malato, ed ho avuto comodità di fare un buon esame di coscienza, ed ho trovato tante tante tante miserie mie e dei miei, ma, grazie a Dio, ho trovato che siamo ancora a galla nella devozione alla Madonna e nella devozione al Papa: sì, il nostro amore filiale al Papa è una devozione, perché è amore di Dio: amare il Papa è per noi lo stesso la stessissima cosa che amare Gesù Cristo nostro Dio! Oh! quanto è mai consolante vivere nella Chiesa, dove c’è il Papa, dove c’è Gesù, che ci guida e ci illumina per la parola di fede infallibile che ci viene dal Papa: per la luce di divina carità che esce dalla dottrina celeste ed evangelica che è predicata dal Papa! E domani, lo Spirito Santo, ci darà un altro Papa: cade l’involucro fisico della persona di un Papa, ma il Papato non muore ed ecco che Dio suscita un altro Papa, fatto secondo i bisogni della chiesa e del mondo, e secondo il cuore stesso di Dio. Oh quanto, quanto è mai buono il Signore! Evidentemente Benedetto XV era stato suscitato per il periodo della guerra: la guerra è finita, ed egli aveva finito il suo compito, e va in Paradiso a ricevere il premio che Dio gli ha preparato. Ecco l’altro Papa che viene che avrà la carità di un apostolo e il candore di un angelo. Oh quanto è dolce, caro Monsignore, amare il Papa, amare i Vescovi, amare la santa chiesa di Gesù Cristo! partecipare alle sue amarezze, al suo lutto, ai suoi dolori, come alle sue speranze, alle sue gioie, alle sue vittorie, che sono sempre le vittorie misericordiose di Dio! (Scr. 48,266–267).
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Vostra Eminenza Rev.ma, che da anni mi conosce, sa bene che io non desidero fare che ciò che il Santo Padre può desiderare, e null’altro. La mia fede è la fede del Papa, è la fede di Pietro: una fede che, per grazia di Dio, va sino a credere a ciò che non più dogma, né morale, né disciplina ecclesiastica strettamente parlando, né materia di fede religiosa; ma va oltre, molto oltre. Essa abbraccia e fa suo, umilmente, tutto che può riferirsi alla libertà ed effettiva indipendenza della Santa Sede, e ciò senza reticenze e senza piagnistei, ma con amore di figliuolo; onde io sento di poter dire che per la divina grazia, credo ancora anche a ciò a cui forse neppur più in Vaticano da tutti si crede. Esuli da questa espressione ogni più lontana intenzione di offesa o mancanza di riverenza e di venerazione. Mi esprimo così, unicamente per dire tutta la mia anima e il mio cuore di figliuolo, senza limite devoto alla Chiesa e alla Sede Apostolica, e ai suoi diritti, senza limiti. Io pensavo di poter dare un po’ di lavoro e di pane ai miei orfani; ma «non di solo pane vive l’uomo» e prima, molto prima del pane, c’è la fede. Quanto al pane ci penserà la Provvidenza di Dio benedetto! Per la fede, per il Papa, per la Chiesa, ben poco sarebbe il mio sangue, e ben vorrei poter dare mille e mille volte al minuto tutta la mia vita! «Non ci ha che un Dio, un Cristo, una Chiesa, una fede» scriveva San Cipriano nel «De Unitate Ecclesiae». Che la misericordia di Dio mi faccia sempre vivere, umile e fedele ai piedi della Chiesa: mi faccia nella fede di Pio XI, Vicario in terra di Cristo, che è la fede stessa di Pietro, vivere e poi morire: abbandonato alla Provvidenza del Signore e alle mani materne della Madonna santissima (Scr. 49,119).
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Amare Gesù Cristo e farlo conoscere e amare con le opere nostre: Amare la sua santa chiesa cattolica e far conoscere e amare e servire il Papa, Padre nostro santissimo, Vicario di Dio e capo della chiesa – Tra gli uomini è l’opera più grande che possiamo fare su questa terra a gloria del Signore, ed è il fine del nostro povero Istituto. Per questo io sto certo Instaurare omnia in Christo per la grazia di Dio, tutto instaurare nella carità infinita di Gesù Cristo crocifisso coll’attuazione del programma papale. Difendiamo la testa della chiesa, e ne salveremo il corpo. La parola e il desiderio del Papa sono: di gettare l’amore di Dio e del Papa nel cuore dei piccoli e dei poveri, il mezzo oggi sarà l’agricoltura domani sarà l’industria manifattrice, doman l’altro sarà l’arte, sarà la scuola, sarà la stampa; ma il fine: è l’amore di Dio e del Papa nel cuore dei piccoli e dei poveri e degli afflitti da ogni male e dolore e a santificarsi secondo la dottrina e la carità di Gesù Cristo crocifisso, nella piena subordinazione e unione filiale di mente, di cuore e di opere al Vicario in terra di nostro Signore, che è il Papa, concorrendo ad attuare, nei paesi cattolici, la completa esecuzione del programma papale, e, nei paesi acattolici, predicando il santo evangelo a tutti gli uomini, secondo il mandato di Gesù Cristo agli apostoli, (Marc. XVI, 15) se medesima in particolarissimo modo consacrando con ogni studio e sacrificio di carità, ad ottenere l’unione delle chiese separate (Scr. 52,9–10).
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Il Santo Padre Pio X sarà sempre il nostro sommo Benefattore. Ho voluto baciargli il sacro piede e la mano per me, e pio anche per voi; e in quell’atto ho rinnovato in cuor mio per me e per tutti della Provvidenza il nostro giuramento grande di fedeltà al Papa, di attaccamento al Papa: di stare, con l’aiuto del Signore, sempre piccoli e umili ai piedi del Papa: di ascoltarlo come ci parlasse Dio: e di seguirlo sempre, come dobbiamo seguire ogni giorno Dio: di difendere, anche sino alla morte, la libertà, la indipendenza piena ed effettiva della s. chiesa di Dio: tutti i suoi diritti: i suoi Vescovi e il suo capo visibile, il padre della nostra fede e delle nostre anime, il Papa! (Scr. 52,20o–20p).
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Sì, cari figlioli, Gesù Signore è con la sua chiesa, anima la sua chiesa, e non abbandonerà il suo santo Vicario nelle mani dei suoi nemici: Gesù nulla ama più che la libertà della sua chiesa e del suo Vicario. È venuta però l’ora che tutti prendano posizione netta: o con il Papa in tutto, o contro del Papa! Noi serriamoci umilmente e fortemente attorno a lui, a saldo propugnacolo del regno di Cristo! Dobbiamo essere risoluti a dare il cuore, la mente, l’anima, il sangue, la vita e tutto pur di francare la chiesa e il suo capo e difenderne la libertà. La verità e l’infallibilità, racchiuse in un solo uomo, nel Vicario di Gesù Cristo, non possono essere in schiavitù, né in balìa, foss’anche solo apparentemente, di alcuna umana potestà. Guai il giorno che ciò accadesse! Sarebbe giorno di profondissima perturbazione per la cristianità, e di minaccia per l’unità stessa della chiesa (Scr. 52,20r–20s).
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Siamo sordi, quando alcuno ci parli senza Papa, o non esplicitamente in favore del Papa e della sana ed esatta dottrina della chiesa; costoro non sono piantagione del padre celeste, ma maligni germogli di eresia che producono frutto mortifero. Quelli che non sono concordi in un solo cuore coi Vescovi e con il successore di San Pietro, per me sono colonne sepolcrali e tombe di morti, su le quali sono scolpiti soltanto i nomi degli uomini vani che portano con ipocrisia il titolo di cattolici. Poiché, come in realtà essi non partecipano al calice della madre chiesa e del Vicario di Cristo, così, affetti da malattia difficilmente curabile, c’è a temersi assai che muoiano nella impenitenza, e non partecipino alla risurrezione della vita eterna dell’anima e del corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo, essi che sono i corruttori della pura fede per la quale Gesù Cristo fu crocifisso, e che vanno macchiando con le molte astuzie contro la s. chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le chiese, nella quale risiede la pienezza dell’autorità fondata sulla terra da n. Signore Gesù Cristo. Miei figlioli nel Signore e amici: amiamo la s. chiesa, amiamo il Papa e i Vescovi passionatamente. Nati in questi ultimi tempi, tempi di nuovi pericoli, non cessiamo mai, mai, mai di porgere al mondo esempi luminosi di affetto sviscerato, di umiltà, di obbedienza intera, di carità verso la chiesa e il Papa. Teniamo presente l’angusta povertà a cui è stata ridotta la sede apostolica: le catacombe morali che si vanno preparando alla chiesa madre di Roma e al Papa, e teniamoci grandemente onorati se ci fosse dato di fare o patire qualcosa per la santa causa della Chiesa e del Papa, che è la causa di Dio (Scr. 52,20t).
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Amiamo la santa Chiesa con tutta la nostra mente, avendo sempre come nostre tutte quante le dottrine di lei e del suo capo visibile, il romano Pontefice: i desideri di lei e del romano Pontefice! Amiamola con tutto il nostro cuore, come da un buon figlio si ama una madre, e tal madre, qual è la chiesa! come da un buon figlio si ama un padre, e tal padre qual è il Santo Padre! Partecipiamo vivamente alle allegrezze della chiesa e del Papa: ai dolori, ai timori, alle speranze della chiesa e del Papa: sentendo in tutto con la chiesa e con il Papa. Il Papa! ecco il nostro credo, e l’unico credo della nostra vita e del nostro Istituto! L’Apostolo Paolo, nella prima ai Corinti, ha detto anatema chi non ama Gesù Cristo; ma anatema, o miei figlioli, sarà pure chi non ama il Vicario di Gesù Cristo, il Papa! Oh noi beati, se potessimo fare qualche cosa o patire persecuzione in difesa del Papa! Oh noi più beati, se Dio ci rendesse degni di dare per il Suo Vicario anche la vita! Sarebbe un sacro pegno della vita eterna che il Signore ha promessa e preparata in Cielo ai suoi servi fedeli. Noi siamo pochi, piccoli e deboli, ma nostra gloria o cari figli della Provvidenza, ha da essere che niuno ci vinca nell’amare con tutte le nostre forze il Papa e la chiesa, che è la sposa diletta di Gesù Cristo: la santa e immacolata sposa del verbo umanato. La chiesa è cosa sua, è l’opera sua, come dice l’apostolo San Giovanni al cap. XVII. Ed essa è anche la madre nostra dolcissima, e, sino alla fine dei secoli, l’oggetto delle compiacenze di colui che è la compiacenza del celeste padre: La Colonna di verità, com’è il termine ultimo di ogni eterno consiglio (Scr. 52,20u–20v).
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Niuno dunque ci vinca nella sincerità dell’amore, nella devozione, nella generosità verso la madre chiesa e il Papa: niuno ci vinca nel lavorare, perché si compiano i desideri della chiesa e del Papa, perché si conosca, si ami la chiesa e il Papa. Niuno ci vinca nel seguire le direttive del Pontefice tutte: senza reticenze e senza piagnistei, senza freddezze e senza titubanze. Adesione piena e filiale e perfetta: di mente, di cuore e di opere – non solo in tutto quanto i Papa, come Papa, decide solennemente in materia di dogma e di morale, ma in ogni cosa, qualunque siasi, ch’egli insegna, comanda o desidera. Niuno ci vinca nelle attenzioni più affettuose al Papa e nel sacrificarci e anelare ad ogni giorno e ad ogni ora a renderci quasi olocausti viventi di riverenza e di amore tenerissimo alla chiesa e al nostro dolce Cristo visibile in terra, il Papa! «Ci preservi il Signore, vi dirò, o miei figli, con Ausonio Franchi, il celebre e troppo presto dimenticato autore dell’Ultima Critica, ci preservi il Signore dall’arroganza e temerità stoltissima di farci noi giudici degli ammonimenti e dei precetti del Papa. Ci salvi dalla diabolica superbia di voler noi regolare, limitare i sui diritti, i suoi poteri». «Non spetta a noi di giudicare Chi tiene sulla terra il luogo di Dio: Chi è il rappresentante sommo della Sua autorità e l’interprete infallibile della sua parola. A noi tocca solamente di credere tutto quanto egli dice, e di fare tutto quello ch’egli vuole». « Che il giudizio del Papa sia il criterio dei nostri giudizi: la sua volontà sia la legge del nostro volere, e la norma del nostro operare». E non solo i suoi ordini formali, ma anche i suoi consigli, i suoi semplici desideri siano ritenuti sempre e sempre secondati come la espressione di quello che piace a Dio, che Dio vuole da noi, e che noi, con la grazia di Dio, abbiamo da osservare senza discutere (Scr. 52,20x).
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Il Papa si deve riguardare come il Signore medesimo; «quando parla il Papa, parla Gesù Cristo», diceva sempre Don Bosco. Stare in tutto con il Papa, vuol dire stare in tutto con Dio: amare il Papa, vuol dire amare Dio: né Dio si ama davvero e il sempiterno Pontefice Gesù Cristo, Figlio di Dio, se davvero non si ama il Papa. Amare Dio, amare Gesù Cristo, Dio e Salvatore nostro, e amare il Papa è lo stesso amore. Il nostro amore, Gesù Cristo, è stato Crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e siamo sempre un cuore, una mente e un’anima sola nel cuore adorabile di Gesù Cristo crocifisso, e crocifissi insieme con Lui! Il nostro amore, il Papa, è moralmente crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e sempre un cuore, una mente e un’anima sola nel cuore della Chiesa, che è il Papa: sul calvario con lui: crocifissi insieme con lui! Gesù si ama in croce, o non si ama affatto, diceva il ven.le padre Ludovico da Casoria; e del Papa è la stessa, identica cosa: il Papa si ama in croce: e chi si scandalizza della umiliazione cui è ridotto, chi non lo ama in croce, non lo ama affatto (Scr. 52,20y).
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Oggi, dunque, festa di San Pietro, è la festa del Papa, il Papa è Pietro: parla il Papa, parla Pietro, parla Cristo: amare il Papa, è amare Pietro, è amare Cristo: in Pietro si celebra il Papa, si celebra Cristo! Che grande conforto è oggi, per le nostre anime, questa festa di San Pietro, cara Festa del Papa! L’apostolo Paolo, (e mi è gioia e dovere citare San Paolo, dacché mai la chiesa disgiunge i due apostoli), l’apostolo Paolo scriveva ai Romani che dava grazie a Dio perché, diceva loro, «la fede vostra» (la fede romana) «vien celebrata in tutto il mondo». Ancor noi, o figli miei, dobbiamo rendere grazie al nostro Dio per Gesù Cristo, poiché oggi il nome del Papa risuona benedetto ed è celebrato per tutto il mondo. Per tutto si prega oggi per il Papa, si esalta il Papa, si guarda con sguardo di dolcissimo amore, a Roma e al Papa «dolce Cristo in terra». Penso, ecco, io dal fiume Paranà, i fratelli e figli che ho lasciati, ieri notte, agli estremi confini dell’Argentina, di fronte al Paraguay: gli altri che sono nel Chaco: quelli che rivedrò stasera a Rosario, i nostri che sono alla Pampa, a Quenca a Mar del Plata e in altri punti di questa Repubblica: gli altri dell’Uruguay, del Brasile; chi è in Albania, chi a Rodi, in Inghilterra, in Polonia, e voi, che siete in Italia, tutti, oggi, insieme con me, lontani ma non divisi, dispersi, eppur tutti uniti nella comune Fede e nello stesso; amore di figli amatissimi, oggi ci consoliamo insieme, preghiamo insieme per il Papa, celebriamo Gesù Cristo e Pietro, nel Papa nostro Pio XI. Oh le gioie grandi della fede! Come la fede e l’amore alla chiesa e al Papa ci fanno sentire, particolarmente in questa festa, che la chiesa cattolica e romana è veramente il corpo mistico di Cristo e che tutto prende unificazione e incremento, vigore e amore da Cristo e per il beatissimo Padre nostro il Papa! (Scr. 52,69).
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Quanto si sente e si tocca, direi la verità delle espressioni di Paolo, che cioè, come il mistico corpo di Cristo, la chiesa, è uno, e tutte le membra di questo corpo, pur essendo molte, sono un sol corpo: così per il suo dolce Cristo visibile in terra, per il Papa, la chiesa si sente, ed è una, santa cattolica e apostolica: la stessa per ogni dove, per ogni plaga, inscindibilmente e unita, per il Papa, al suo capo, Cristo. Mirabile unità, vitale e organica, della santa chiesa! Noi, per il battesimo, e per il Papa, non formiamo più che un corpo solo, vivificato dall’unico e medesimo Spirito Santo: un solo ovile, sotto la guida di un solo pastore, il Papa! La festa di San Pietro è la festa del Papa, e, per questo, assurse a festa dei cattolici, essa è, precipuamente la nostra festa patronale, o figli della Divina Provv.za. È la festa della nostra Congregazione, che ha per fine proprio di consacrare tutti i suoi affetti e le sue forze ad unire, con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore, il popolo cristiano della classe più umile e i figli del popolo al beato Pietro e al suo successore, il Papa: vogliamo con il divino aiuto, ridare Cristo al popolo e il popolo al vicario di Cristo. Noi, dunque, nelle nostre Case e chiese dobbiamo sempre pregare per il Papa, parlare del Papa, inculcare amore e obbedienza al Papa, e celebrare con più grande fervore di pietà, con il più grande slancio di amore filiale la festa del Papa. Essa deve segnare per noi e per tutti, di anno in anno, una rinnovata onda di entusiasmo nell’attaccamento alla sede di Pietro. Il Papa è la sintesi vivente di tutto il cristianesimo, è il capo e il cuore della chiesa, è luce di verità indefettibile, è la fiamma perenne che arde e che splende sul monte santo. Dove è Pietro, è la chiesa; dove è la Chiesa è Cristo: dove è Cristo, è la via, la verità e la vita! Oh quanto i figli della Divina Provv.za devono propagarla la festa del Papa! questa cara festa che, prima ancora fosse, direi istituita: prima, cioè, che fosse la festa di San Pietro, fosse trasformata in festa del Papa, già, come cesta del Papa, era data alla nostra Congr.ne quale festa propria della Congr.ne, perché consacrasse il grande amore al Papa della Congr.ne, e il suo fine precipuo (Scr. 52,70).
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Promuovere la festa del Papa è promuovere e diffondere l’amore al Papa: è aderire alla sua dottrina, ai suoi desideri: è riconoscere nel Papa il primato di Pietro e dei suoi successori: è venerare nel Papa il padre della fede e delle anime, il pastore supremo, il pontefice massimo, il condottiero dell’esercito di Cristo: è celebrare e glorificare il Papa quale Cristo visibile e pubblico sulla terra. Cari figli della Div.na Provv.za, voi ben sapete che è Pietro, è il Papa il fondamento vivente della chiesa, colui al quale Gesù Cr. ha detto: Pasci i miei agnelli «pasci le mie pecorelle», i fedeli cioè e i Vescovi: solo a Pietro, al Papa, fu detto: «ho pregato per te, e la tua fede non verrà mai meno... rafferma i tuoi fratelli». Oggi, festa di San Pietro, la chiesa canta: «Tu es Pastor ovium: Tu sei il pastore delle pecorelle: Tu il principe degli apostoli: a te Dio ha dato le chiavi del regno dei cieli». Oh la bella antifona, viva espressione del primato di Pietro e del Papa! Figli della Div.na Provvidenza, noi dobbiamo palpita re e far palpitare migliaia e migliaia di cuori attorno al cuore del Papa: dobbiamo portare specialmente a lui i piccoli e le classi degli umili lavoratori, tanto insidiate, portare al Papa i poveri, gli afflitti, i reietti, che sono i più cari a Cristo e i veri tesori della chiesa di Gesù Cristo. Dal labbro del Papa il popolo ascolterà, non le parole che eccitano all’odio di classe, alla distruzione e allo sterminio, ma le parole di vita eterna, le parole di verità, di giustizia, di carità: parole di pace, di bontà, di concordia, che invitano ad amarci gli uni con gli altri, e a darci la mano per camminare insieme, verso un migliore, più cristiano e più civile avvenire (Scr. 52,71).
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Il Papa è il padre del ricco, come del povero, per lui non esistono nobili o plebei, ma solo dei figli. Dal Papa la fede, la luce, la mansuetudine del Signore, che porta balsamo ai cuori, conforto e consolazione ai popoli. Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam. Passarono i secoli, e queste parole di Gesù a Pietro, risuonando attraverso i tempi e su tutte le tempeste del mondo, furiose e terribili contro il papato e la chiesa, anziché subissare e chiesa e papato, ne fecero la più grande potenza spirituale e morale del mondo, e mostrano ogni dì più che chiesa e papato, sono l’opera di Dio, sono la forza di Dio. Quelle parole di Cristo oggi infondono nuova vita e vigore al bianco vegliardo che dalla rocca del Vaticano regge con tanta sapienza e fortezza la santa chiesa, guida, pasce e salva il mistico gregge di Cristo. Le porte dell’inferno mai prevalsero contro la chiesa né contro il Papa, a cui Cristo ha dato le chiavi del regno dei cieli, e la solenne promessa che tutto quello che avrebbe legato su la terra, sarebbe stato legato nei cieli, e tutto quello che scioglierebbe su la terra, sarebbe sciolto nei cieli (Scr. 52,72).
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Pio XI, il Papa della fede intrepida, è il depositario di quel celeste potere e di quella divina promessa. Egli è il grande padre e pastore dell’unica vera chiesa di Gesù Cristo, una, santa, cattolica, apostolica e romana: la chiesa, colonna e fondamento di verità, che riconosce Cristo come solo Dio e Signore, redentore del mondo, e nel Papa vede, obbedisce e venera il legittimo successore di San Pietro, Vicario di Cristo su la terra. Nel Papa noi riconosciamo non solo il Vicario di Cristo, non solo il capo infallibile della chiesa, ispirato e condotto dallo Spirito Santo, non solo il fondamento della nostra religione, ma ben anco la pietra inconcussa della società umana. Con amore dolcissimo e devozione di figli noi pregheremo sempre per il beatissimo nostro padre il Papa per quanto ci sentiamo miserabili. E con eguale amore e venerazione, oggi, festa di San Pietro, festa del Papa, festa papale del nostro umile Istituto tutto papale, noi ci gettiamo in ginocchio, e deponiamo ai piedi del santo Padre Pio XI tutti i nostri cuori e la nostra vita, piccolo olocausto del nostro grande e sviscerato amore. E tutti uniti, cor unum et anima una, noi, poveri figli della Divina Provvidenza, alziamo a Dio la più fervida, devota e filiale preghiera affinché il Signore, che lo elesse, conservi il nostro santo Padre lunghi e felici anni al bene della chiesa di Gesù Cristo, compia tutti i voti del suo cuore, sì che egli veda l’aurora di quel giorno, tanto auspicato, che segnerà sul mondo tranquillo la pax Christi in regno Christi! Cari miei figli, viva il Papa! (Scr. 52,73).
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Come cristiani sappiamo per fede che il Papa è il successore di San Pietro, il Vicario in terra di Gesù Cristo. Ma come figli della Divina Provvidenza poi dobbiamo oggi più che mai, ricordare che la nostra vita è e deve essere venduta e sacra al Papa. Scopo precipuo della nostra Congregazione è di vivere di amore al Papa, e di diffondere, specialmente nei piccoli, negli umili, nel popolo il più dolce amore al Papa, e l’obbedienza piena e filiale alla sua parola, ai suoi desideri. Sopra tutte le nostre fronti dev’essere scritto e portato alto il nome del Papa: su tutti i nostri cuori deve essere inciso il nome benedetto del Papa: la nostra vita deve essere consacrata al Papa e alla chiesa di Gesù Cristo. Il rispetto, l’obbedienza, l’amore ai Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a reggere alla chiesa di Dio, deve essere senza limite, grande, senza limite devoto, senza limite filiale; ma su tutti i Vescovi, dobbiamo rispetto, obbedienza, amore inestinguibile per la vita e per la morte al capo dei Vescovi e della chiesa al Papa. Rispettiamo amiamo obbediamo, amiamo veneriamo i Vescovi che riconosciamo pastori nella chiesa divinamente istituiti ma essi tali sono e fino a che uniti al Papa e in comune con lui che è il pastore dei pastori (Scr. 52,110).
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I Vescovi sono i successori degli apostoli, sono maestri in Israele, sono i rappresentanti nella diocesi di Gesù Cristo ma Vicario di Gesù Cristo è solo e sempre il Pontefice romano il Papa. Egli è il capo dei Vescovi e capo infallibile di tutta la chiesa: Egli è il padre di tutti, è Gesù Cristo pubblico e visibile per tutti! In lui parla San Pietro, in lui parla Gesù Cristo! Questi sentimenti di fede nel Papa, di venerazione per il Papa, di filiale amore per il Papa dobbiamo trasfonderli nei nostri alunni, o miei sacerdoti e chierici valendoci specialmente in questo anno del giubileo del nostro santo Padre Pio XI, che Dio vivifichi, conservi beato in terra e in cielo. Parliamo volentieri di chi tanto amiamo, del Papa: parliamo della sua autorità, dell’obbedienza che gli dobbiamo, della sapienza delle sue disposizioni, della devozione che si deve al Papa. La nostra pietà filiale deve e saprà ben consigliare ogni occasione per consigliare le benemerenze e la gloria del papato, e specialmente del Papa vivente. Dobbiamo poi sempre pregare per il Papa, e formare nei probandi e chierici specialmente, ma anche nei nostri alunni una coscienza profondamente cattolica e papale. Questa coscienza salda nell’attaccamento al Papa e alla santa sede aiuterà fortemente i nostri alunni a trionfare di ogni insidia che in avvenire fosse tesa alla loro fede. Nelle predicazioni di Esercizi, nelle Accademie nelle circostanze di qualche solennità sia sempre ricordato il Papa. Come dimenticheremo il padre? Detestiamo e teniamo lontani dalle nostre case ogni scritto dove si dicesse male del Papa, dove se ne scemasse l’autorità e le prerogative, dove se ne censurassero le disposizioni o si contenessero dottrine o sentimenti meno che conformi ai suoi insegnamenti (Scr. 52,111).
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Il nostro credo è il Papa, la nostra morale è il Papa; la nostra via è il Papa; il nostro amore, il nostro cuore, la ragione della nostra vita è il Papa, per noi il Papa è Gesù Cristo: amare il Papa e amare Gesù è la stessa cosa, ascoltare e seguire il Papa è ascoltare e seguire Gesù Cristo; servire il Papa è servire Gesù Cristo; dare la vita per il Papa è dare la vita per Gesù Cristo! La nostra sottomissione al Papa non si restringe quindi alle definizioni ex cathedra: non si restringe ad una sottomissione sincera ai suoi insegnamenti sotto qualunque forma impartiti, o per sé o per il tramite della sacre congregazioni, dei nunzi o delegati apostolici, dei Vescovi o d’altri inviati da lui: non si restringe a seguirne prontamente e con ilare animo o a farne eseguire gli ordini, ma i figli della Divina Provvidenza devono avere per legge di vivere solo e far vivere le anime di una vita di unione strettissima e dolcissima e filiale con il Vicario in terra di Gesù Cristo: onde ogni avviso, ogni consiglio, ogni desiderio del Papa deve essere un comando, e il più dolce comando per noi. Noi siamo guardie giurate del Papa. A lui ogni adesione piena di mente, di cuore, di opere, di apostolato ma non basta ancora. Per benché minimo cenno o desiderio del Papa dobbiamo tutto dare, tutto sacrificare, tutti offrirci come ostie viventi: la Congregazione non potrà vivere, non dovrà vivere che per lui; dev’essere una forza nelle mani di lui, dev’essere uno straccio ai piedi di lui o sotto ai piedi di lui; basta amarlo basta vivere e morire per lui! Vivere operare e morire d’amore per il Papa: ecco questa, e solo questa è la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Essa vive per diffonderne il nome, la gloria e l’amore; per sostenerne e difenderne l’autorità e la libertà: per camminare alla sua luce (Scr. 52,112).
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Non vogliamo, non conosciamo altro maestro, né altra luce, non conosciamo, non vogliamo altro pastore: non conosciamo né vogliamo altro padre, né altro Cristo pubblico e visibile in terra: Egli, e lui solo il Papa e il dolce Cristo in terra secondo l’espressione di Santa Caterina da Siena. Nelle conversazioni non tolleriamo parola, e non dico parole, ma parola, men che rispettosa verso la persona o l’autorità del Papa, delle sacre romane Congregazioni, dei Nunzi pontifici o legati papali o meno deferente alle disposizioni della santa sede. Facciamoci con grande e dolce obbligo di praticare anche le minime raccomandazioni del Papa. In una parola; siate sempre e dovunque, o miei cari, sia figli devotissimi del Papa; date energie, cuore, mente e vita a sostegno della chiesa di Roma, madre e capo di ogni e di tutte le chiese del mondo: a sostegno del Papa, della sua autorità, libertà ed effettiva indipendenza, e a diffusione del suo amore. E Gesù Cristo, pastore divino ed eterno, non mancherà di benedirvi, o miei cari figli, del la Polonia, e di benedire alla vostra Patria, la cui fedeltà al Papa è uno dei titoli, è una delle sue glorie più belle (Scr. 52,113).
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Amare il Papa è uno dei primi e più dolci doveri del cattolico: ma assai più, o cari, è dovere di noi Figli della Divina Provvidenza, poiché la massima fondamentale dell’Istituto nostro è sempre stata sino ab initio, quella di rivolgere tutti i nostri pensieri e le nostre azioni all’incremento e alla gloria della santa chiesa di Gesù Cristo: a diffondere e radicare nei cuori nostri e dei piccoli un amore soavissimo al Vicario di Gesù Cristo. Uno scrittore moderno ha voluto osservare che gli antichi Ascetici scrissero poco dell’amore dovuto alla chiesa e al Papa, mentre invece ai giorni nostri se ne scrive e parla molto. Questo, o cari, è segno dei tempi: è segno di nuovi bisogni, di nuovi pericoli: ché, se anticamente se ne fosse parlato e scritto di più e con più amore forse avremmo avuto meno eresie. La Piccola Opera della Divina Provvidenza si consola nel ricordare di aver cominciato con un grido di «Viva il Papa» e con un palpito di amore vivissimo al Vescovo, alla chiesa e al Papa. Essa, durante il suo cammino si è pasciuta di questo dolce amore e solo di questo divino amore a Gesù, al Papa e alle anime vuole vivere e morire. E supplichiamo ogni giorno Dio che non permetta mai che essa risenta delle massime che oggi sconvolgono tante teste: di quello spirito funesto di novità, di insubordinazione, di superbia nel pensare parlare ed operare per cui si pretende di dare da taluni una smentita ai dottori maggiormente stimati e venerati dai cattolici: si osa screditarli, quasi si compatiscono, e si trascorre poi quasi sino ad attentare alla divina costituzione della chiesa, e a scalzare, se fosse dato, le radici stesse della nostra santa fede. Ma è necessario, o cari miei, di fondarci bene negli insegnamenti del Signore, che ci vengono in securo modo dal sommo Pontefice, dalle sacre Congregazioni di Roma e dai Vescovi; e guardarci specialmente oggi, dai nemici interni, seminatori di zizzania e avvocati della morte più che della verità (Scr. 52,257).
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Figli della Provvidenza, noi lasciamoci reggere dalla Provvidenza, ma a mezzo della chiesa, che Dio ci ha dato, e stiamo perinde ac cadaver nelle sue mani. Lasciamoci guidare, portare, maneggiare ovunque si sia e comunque si voglia dalla sede apostolica e dai Vescovi che sono uniti con lei. Siamo sordi, quando alcuno ci parli senza Papa, o non esplicitamente in favore del Papa e della dottrina sana ed esatta della chiesa; costoro non sono piantagione del padre celeste, ma maligni germogli di eresia che producono frutto mortifero. Quelli che non sono concordi in un solo cuore coi Vescovi e con il successore di San Pietro, per me sono colonne sepolcrali e tombe di morti, su le quali sono scolpiti soltanto i nomi degli uomini vani che portano con ipocrisia il titolo di cattolici. Poiché come in realtà essi non partecipano al calice della madre chiesa e del Vicario di Cristo, così, affetti da malattia difficilmente incurabile, c’è da temere assai che muoiano nella impenitenza, e non partecipino alla risurrezione della vita eterna dell’anima e del corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo, essi che sono i corruttori della pura fede per la quale Gesù Cristo fu crocifisso, e che vanno macchinando con molte astuzie contro la s. chiesa di Roma madre e maestra di tutte le chiese, nella quale risiede la pienezza dell’Autorità fondata sulla terra da nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 52,258).
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Miei figlioli nel signore e amici: amiamo la s. chiesa, amiamo il Papa e i Vescovi passionatamente. Nati in questi difficili tempi, tempi di nuovi pericoli, non cediamo mai, mai, mai di porgere al mondo esempi luminosi di affetto sviscerato, di umiltà, di obbedienza intera, di carità verso la chiesa e il Papa. Teniamo presente l’augusta povertà cui è stata ridotta la sede apostolica: le catacombe morali che alla chiesa madre di Roma e al Papa si vanno dalle sette preparando, e teniamoci grandemente onorati se ci fosse dato di fare o patire qualche cosa per la santa causa della chiesa e del Papa, che è la causa stessa di Dio. Amiamo la s. chiesa con tutta la nostra mente, avendo sempre come nostre tutte quante le dottrine di lei e del suo capo visibile, il romano Pontefice: i desideri di lei e del romano Pontefice! Amiamola con tutto il nostro cuore, come da buon figlio si ama una madre, e tal madre, qual è la chiesa! come da un buon figlio si ama un padre, e tal padre qual è il Santo Padre! Partecipiamo vivamente alle grandezze della chiesa e del Papa: ai dolori, ai timori, alle speranze della chiesa e del Papa: sentendo in tutto con la Chiesa e con il Papa (Scr. 52,259).
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Il Papa! ecco il nostro credo, e l’unico credo della nostra vita e del nostro Istituto! L’apostolo Paolo, nella 1ª ai Corinti, ha detto anatema chi non ama Gesù Cristo; ma anatema, o miei figlioli, sarà pure chi non ama il Vicario di Gesù Cristo, il Papa! Oh noi beati, se potessimo fare qualche cosa in difesa del Papa! Noi più beati, se Dio ci rendesse degni di dare per il suo Vicario anche la vita! Sarebbe un sacro pegno della vita eterna che il Signore ha promessa e preparata in cielo ai suoi servi fedeli. Noi siamo pochi, piccoli e deboli, ma la nostra gloria o cari figli della Provvidenza e amici, ha da essere che niuno ci vinca nell’amare con tutte le nostre forze il Papa e la chiesa, che è la sposa diletta di Gesù Cristo: la santa e immacolata sposa del verbo umanato. La chiesa è cosa sua, è l’opera sua, come dice l’apostolo San Giovanni al cap. XVII. Ed essa è anche la madre nostra dolcissima, e, sino alla fine dei secoli, l’oggetto delle compiacenze di colui che è la compiacenza del celeste Padre: la Colonna di verità, com’è il termine ultimo di ogni eterno consiglio (Scr. 52,259).
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Niuno dunque ci vinca nella sincerità dell’amore nella devozione, nella generosità verso la madre chiesa e il Papa: niuno ci vinca nel lavorare, perché si seguano i desideri della chiesa e del Papa, perché si conosca, si ami la chiesa e il Papa. Niuno ci vinca nel seguire le direttive pontificie tutte: senza reticenze e senza piagnistei, senza freddezze e senza riserve. Adesione piena e figliale e perfetta: di mente di cuore e di opere – non solo in tutto quanto il Papa, come Papa, decide solennemente in materia di dogma e di morale; ma in ogni cosa, qualunque siasi ch’egli insegna, comanda o desidera. Niuno ci vinca nelle attenzioni più affettuose al Papa e ai Vescovi e nel sacrificarci e anelare ad ogni giorno e ad ogni ora a renderci quasi olocausti viventi di riverenza e di amore tenerissimo alla chiesa e al dolce Cristo in terra, il Papa (Scr. 52,260).
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Ci preservi il Signore, vi dirò o miei figli, con Ausonio Franchi, il celebre e troppo presto dimenticato autore dell’Ultima critica – ci preservi il Signore dall’arroganza e temerità stoltissima di farci noi giudici degli ammonimenti e dei precetti del Papa. Ci salvi dalla diabolica superbia di voler noi regolare, limitare i suoi diritti, i suoi poteri». «Non spetta a noi di giudicare chi tiene sulla terra il luogo di Dio: Chi è il rappresentante sommo della sua Autorità e l’interprete infallibile della sua parola. A noi tocca solamente di credere tutto quanto egli dice, e di fare tutto quello ch’egli vuole». «Che il giudizio del Papa sia il criterio dei nostri giudizi: la sua volontà sia la legge del nostro volere e la norma del nostro operare». E non solo i suoi ordini formali, ma anche i suoi consigli, i sui semplici desideri siano ritenuti sempre e sempre secondati come la espressione di quello che piace a Dio, che Dio vuole da noi, e che noi, con la grazia di Dio, abbiamo da osservare senza discutere. Il Papa si deve riguardare come il Signore medesimo; «quando parla il Papa, parla Gesù Cristo» diceva sempre il ven.le Don Bosco. Stare in tutto con il Papa, vuol dire stare in tutto con Dio: amare il Papa, vuol dire amare Dio: né Dio si ama davvero e il sempiterno pontefice Gesù Cristo Figlio di Dio, se davvero non si ama il Papa. Amare Dio, amare Gesù Cristo, Dio e Salvatore nostro, e amare il Papa è lo stesso amore. Il nostro amore, Gesù Cristo, è stato crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e siamo sempre un cuore, una mente e un’anima sola nel cuore adorabile di Gesù Cristo crocifisso, e crocifissi insieme con Lui! Il nostro amore, il Papa, è moralmente crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e sempre un cuore, una mente e un’anima sola con il capo visibile della chiesa, che è il Papa: sul calvario con lui: crocifissi insieme con lui! Gesù si ama in croce, o non si ama affatto, diceva il ven.le padre Ludovico da Casoria; e del Papa è la stessa, identica cosa: il Papa si ama in croce: e chi si scandalizza della umiliazione cui è ridotto chi non lo ama in croce, non lo ama affatto (Scr. 52,260).
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Noi siamo, o miei figli, siamo, per divina grazia, e vogliamo sempre essere figli umili, fedeli, obbedienti in tutto, devoti e affezionatissimi del Papa e della Chiesa, e vogliamo lavorare ai piedi della Chiesa, dei Vescovi e del Papa, vogliamo lavorare quanto più potremo ma sempre sotto la guida e nello spirito dei Sacri Pastori e del Vicario di Gesù Cristo a gloria di Dio e per la libertà, la indipendenza e la glorificazione della Chiesa e del Papa (Scr. 57,20).
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Noi dobbiamo amare tanto tanto tanto il Papa, e pregare sempre per il Papa – Amare il Papa e amare Gesù Cristo è la stessa cosa, è lo stesso amore, benché l’amore del Papa costa di più, e Dio ce lo calcolerà e pagherà di più; mi spiegherò poi a voce, quando parleremo dell’amore di Gesù e del Papa (Scr. 63,172).
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Ritorno da Castel Gandolfo, dove oggi la bontà del Santo Padre si degnava di ricevermi in Udienza privata. È stata un’udienza consolantissima: ne sono uscito grandemente confortato e pieno di benedizione per me e per Voi tutti. E quando dico per tutti, intendo anche riferirmi a codesti nostri cari Amici e Benefattori. Sì, Sua Santità li benedisse in modo veramente particolare. Gli ho detto quanto i poveri Figli della Divina Provv.za amino il Papa e ne diffondano l’amore, la devozione, specialmente tra il popolo e nel cuore dei figli del popolo, poiché amare il Papa è amare Gesù Cristo. Gli ho detto quanto abbiamo pregato per Lui, durante la sua malattia, e come sempre, e più volte al giorno, nelle nostre Case si preghi per il Papa. L’amore alla Chiesa e al Papa è l’amore vitale, più sacro e più dolce della nostra Congregazione. E l’ultimo battito del nostro cuore sarà per la Santa Chiesa Romana e per il Papato (Scr. 67,107–108).
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Noi vogliamo con il Divino aiuto lavorare da facchini di Dio e della Santa Chiesa a ricostruire ogni cosa in Cristo per ottenere la pace di Cristo nel Regno di Cristo, ma vogliamo farlo come soldati e figli disciplinati e docili al Papa ed ai suoi legittimi Rappresentanti: con il Papa e per il Papa sempre; senza discussioni, senza reticenze, senza debolezze o compromessi: per noi il papa è Cristo; il dolce Cristo in terra. Vogliamo compiere non solo gli ordini ma anche i semplici desideri del Papa e del Suo Rappresentante; con il Papa e per il Papa nella vita e nella morte. Ci è poi caro, in questo momento solenne, e per noi anche storico, esprimere a Vostra Eccellenza tutta la nostra profonda gratitudine per la costante benevolenza che si è degnata dispensarci in questi primi anni di nostra vita in Argentina, anni di incertezze e di sistemazione, durante i quali abbiamo sempre trovato in V. Eccellenza Rev,ma il padre affettuoso e benevolo il Consigliere pieno di illuminata saggezza (lo permetta la intelligente bontà di Vostra Eccellenza Rev.ma) l’amico vero e santo il grande per non dire insigne benefattore. Non ce ne dimenticheremo mai Eccellenza, ed oltre venerare nella sua degnissima persona il degno Rappresentante del Papa, La ricorderemo con gratitudine imperitura come nostro grande protettore ed amico e La ricorderemo tutti i giorni nelle nostre preghiere. Il noviziato sarà una scuola di virtù religiose e di Romanità. E voglia benedirci, Eccellenza Rev.ma umigli ai piedi benedetti del Santo Padre tutto il nostro amore e l’offerta (della) vita. Gli dica che qui stanno i suoi figli più piccoli che crescono per Lui e vivono del suo amore. Eccellentissimo Signor Nunzio, voglia benedirci in nome del Papa, perché possiamo essere sempre piccoli, umili, amantissimi figli della Santa Chiesa di Gesù C. e fedelissimi alla Causa del Papa, Iddio ci volesse riservare il martirio, che torna ad essere di moda nelle nazioni, che si dicono civili, prima del sacrificio, dica il Santo Padre che accoppieremo al grido già classico di Viva Cristo Re! il dolce grido di Viva il Papa! Eccellentissimo Mons. Nunzio questo povero sacerdote dai capelli bianchi e ormai stanco e vecchio non sa esprimervi la Sua felicità di questo momento, mentre depone ai vostri piedi come ai piedi augusti del Papa il Suo cuore, la sua anima e tutta la sua vita e il cuore e la vita della piccola Opera della Divina Provvidenza (Scr. 67,290).
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Amiamo il Papa! Amiamo il Papa! Come dovere di figli è amare il padre, così è dovere e dolce dovere dei cattolici amare il Papa. Il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, è il Capo supremo della Chiesa, è il Padre della fede e delle anime nostre. Amiamo il Papa! I giudizi del Papa non hanno nulla di comune coi giudizi precipitosi e riscaldati degli uomini di partito. Egli è condotto dallo Spirito Santo, e con la sua parola ispirata affranca la Chiesa da ogni errore. La sua infallibilità quanto si riferisce alla fede e al costume, si congiunge alla infallibilità stessa di Cristo – Dio. Amiamo il Papa! Egli è la base inconcussa non soltanto della Chiesa, ma ben anco della società umana. A Lui spetta regolare la disciplina universale dei veri seguaci di Gesù Cristo: a Lui la gloria d’aver detta sempre la verità in faccia ai dominatori del mondo ed ai persecutori della Chiesa. Amiamo il Papa! La perturbazione dell’animo annebbia ai dì nostri molte menti, e rende più difficile un’umile e filiale sommessione alle decisioni e ai desideri del Romano Pontefice, ma i veri figli della Chiesa sono con il Papa, pregano per il Papa e amano il Papa. E Papa vuol appunto dire il Padre per eccellenza, perché Egli è il Padre di tutti i cristiani (Scr. 69,201).
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Il Papa è il centro dell’unità cattolica, come il padre è il centro di unione della famiglia. È il Papa che dà origine e conserva l’unità della Chiesa cattolica: è il Papa che fa conoscere la vera Chiesa di Cristo a tutti i cristiani in modo facile e certo. Infatti l’unità cattolica sta specialmente in questo: che tutti i figli della vera Chiesa di Dio professino la stessa fede: osservino la stessa legge: ricevano gli stessi Sacramenti ed obbediscano allo stesso Capo. Ora il Papa, quale Maestro infallibile di tutta la Chiesa, è appunto quegli che a tutti i cristiani fa conoscere e professare la stessa fede: osservare... Veneriamo dunque nel Papa il centro dell’unità cattolica: la verità e la vita divina della grazia, che Gesù Cristo fonte inesausta e infinita contiene in sé, si trasfondono nella sua Chiesa soprattutto per il Papa e indi per i Vescovi aventi pace e comunione con Lui, per una catena ininterrotta giungiamo sino a Cristo, e così abbiamo una rigenerazione spirituale (Scr. 69,202).
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Il Papa è il Vicario di Gesù è “il dolce Cristo in terra”, il Procuratore di Cristo: amare il Papa è amare Cristo: obbedire, sentire e stare con il Papa, è obbedire, sentire e stare con Gesù Cristo. In ginocchio, e la più grande venerazione al Vescovo di Roma al Papa; Successore di San Pietro e Vicario di Gesù Cristo. Almeno tre volte al giorno, e in perpetuo, i Figli della Divina Provvidenza pregheranno per il Papa: ubi Petrus, ibi Ecclesia. Il giorno che non pregassero più per il Papa, avranno finito di essere i Figli della Divina Provvidenza! (Scr. 69,400).
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Amare il Papa è uno dei primi e più dolci doveri del cattolico; ma assai più, o cari, è dovere di noi, figli della Divina Provvidenza, poiché la massima fondamentale dell’Istituto nostro è sempre stata sino ab initio, quella di rivolgere tutti i nostri pensieri e le nostre azioni all’incremento e alla gloria della Santa Chiesa di Gesù Cristo: a diffondere e radicare nei cuori nostri e dei piccoli un amore soavissimo al Vicario di Gesù Cristo. Uno scrittore moderno ha voluto osservare che gli antichi asceti scrissero poco dell’amore dovuto alla Chiesa e al Papa, mentre invece ai giorni nostri se ne scrive e parla molto. Questo, o Cari, è un segno dei tempi: è segno di nuovi bisogni, di nuovi pericoli: ché, se anticamente se ne fosse parlato e scritto di più e con più amore forse avremmo avuto meno eresie. La piccola Opera della Divina Provvidenza si consola nel ricordare di avere cominciato con un grido di viva il Papa e con un palpito di amore vivissimo al Vescovo, alla Chiesa e al Papa. Essa durante il suo cammino si è pasciuta e visse di questo dolce amore e solo di questo divino amore a Gesù, al Papa e alle anime vuole vivere e morire. E supplichiamo ogni giorno Dio che non permetta mai che essa risenta delle massime che oggi sconvolgono tante teste: di quello spirito funesto di novità, di insubordinazione, di superbia nel pensare, parlare ed operare per cui si pretende dare da taluni una smentita ai Dottori maggiormente stimati e venerati dai cattolici: si osa screditarli, quasi si compatiscono, e si trascorre poi sino ad attentare alla divina costituzione della Chiesa, e a scalzare, se fosse dato, le radici stesse della nostra santa Fede (Scr. 74,19).
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Il mio credo e l’unico credo della mia vita fu sempre per divina grazia la Santa Chiesa di Roma intera: con il suo Papa e i Suoi Vescovi, con tutta la sua divina costituzione, con la dottrina e gerarchia e disciplina e ciò desidero bene si sappia: e la mia adesione di mente, di cuore e di opere fu sempre piena, pienissima, umilissima e filiale: e questa fede nella Santa Madre Chiesa di Roma fu sempre profondissima, costante ferma, forte più che la morte: senza reticenze e senza piagnistei, in essa ho trovato il mio amore, il mio più grande conforto e la più grande pace dell’anima mia: da essa ho bevuto la divina purezza e bontà della fede e carità di Gesù N. Signore Cristo Crocifisso. Nella Chiesa ho sempre trovato la Madre dolcissima e la più grande libertà di lavorare, e nel Santo Padre la via sicura e il più amabile dei padri, il vero Gesù pubblico in terra e bontà stessa del Signore. Né ho mai potuto capire chi sente o parla diversamente. Questa piccola Opera della Divina Provvidenza è nata dall’amore alla Chiesa e al Papa e per fare amare la Chiesa e il Papa (Scr. 74,20).
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Amiamo il Papa. È Gesù Cristo stesso che ha conferito a Pietro, cioè al Papa, la prerogativa della infallibilità quando gli ha promesso di farlo pietra fondamentale della Sua Chiesa, e perciò di tutta la Chiesa, di tutti i secoli, pastori e agnelli senza differenza: pietra che deve sostenere, dare solidità all’edificio tutto e formare con esso una cosa sola. Poi Cristo dà a Pietro e ai suoi Successori le chiavi, emblema del potere amplissimo, le chiavi del Regno dei Cieli. E lo assicurò che le decisioni sue e dei suoi Successori avrebbero la loro sanzione in cielo. Dobbiamo dunque venerare nel Papa il centro dell’unità cattolica, e tenere sempre gli sguardi rivolti a Lui e ai Vescovi che Egli ci manda per guidarci nel Nome di Dio e Suo ai pascoli salutari della vera dottrina di Gesù Cristo e non pretendere di camminare per una via diversa. È pure nostro dovere, se vogliamo essere cattolici di fatto, e non solamente di nome, stare con il Papa in tutto: approvare ciò che il Papa approva e condannare ciò che il Papa condanna, senza andare più in là né più in qua (Scr. 76,237).
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Il Papa è il Padre della grande famiglia cristiana: dunque noi lo dobbiamo, amare, obbedire, aiutare e consolare in tutti i modi possibili, e pregare ferventemente per Lui, come già facevano i primi cristiani per San Pietro. Non togliamo né aggiungiamo nulla di ciò che il Papa vuole, di ciò che il Papa dice, di ciò che il Papa desidera o comanda. Egli ha le parole di vita eterna: Non restringiamo né allarghiamo. Seguiamo il Papa, e basta! Ricordiamoci che, se Dio disse ad Abramo, padre dei credenti: “Io benedirò a quelli che ti benedicono e maledirò a quelli, che ti maledicono”, assai più dovremo noi aspettarci, le più elette benedizioni di Dio, se noi renderemo il dovuto rispetto al Padre di tutti i cristiani, al Vicario in terra di Gesù Cristo. E, al contrario, dovremo temere i castighi e le maledizioni più terribili, ove noi, invece di amarlo, di obbedirlo, di onorarlo il Vicario di Gesù Cristo e confortarlo Lo avessimo amareggiato e vivessimo lontani da Lui. Amiamo il Papa e la grandezza del Pontificato. E aderiamo alle sue parole, ai desideri del Papa, semplicemente, cioè da figli, da veri, da buoni figli. E aderiamo non solo esternamente, ma anche internamente con piena adesione di intelletto e di cuore, senza entrare in questioni inutili e pericolose. E in quelle cose che non toccano la infallibilità, governiamoci con il Santo Padre, con riverenza e con affetto, obbediamogli come figliuoli e non siamo mai di quelli che sembra mettano ogni studio per ridurre ai minimi l’autorità del Papa. Amiamo il Papa! (Scr. 76,238).
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Nel Papa vedi Cristo, ascolta la sua parola che svolge la dottrina di Dio universale del genere umano. Il supremo potere del Papa è universale e divino: abbraccia cielo e terra. Del Papa non si può non parlarne vivamente e non parlarne tanto: egli è la vita del mondo e la parola redentrice del mondo. Gesù Cristo è morto come uomo: come Dio non poteva morire: egli visse vive e vivrà in Cielo e in terra, ed in visibile modo visse e vivrà nel papato. Dio ha creato l’uomo, il papato e la Chiesa hanno creato l’umanità. Senza non vi ha Chiesa, non vi è umanità. Il giorno in che morisse il papato morrebbe la religione, la civiltà, la morale e la società con loro. Morrà adunque il Papato? No! più che lo spegnersi del sole, sarebbe allora il finimondo. Non vi ha governo più popolare, non istituzione più democratica del Papato (Scr. 77,158).
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La festa di San Pietro e del Papa, è la festa dei Cattolici ed è precipuamente la nostra festa patronale, o Figli della Div.na Provvidenza, che abbiamo per fine proprio di consacrare tutti i nostri affetti e le nostre forze ad unire, con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore, il popolo cristiano e i figli del popolo al Beato Pietro e al Suo Successore, il Papa. Noi dobbiamo celebrare, nelle nostre case con il più grande fervore di pietà e slancio di amore, la Festa del Papa, noi dobbiamo propagarla quanto più ci è dato: promuovere la festa del Papa è promuovere e diffondere il suo amore, è riconoscere nel Papa il Padre, Pontefice e Condottiero, è aderire alla sua dottrina e ai suoi desideri: è venerarlo e glorificarlo quale Cristo visibile e pubblico su la terra. I Figli della Divina Provvidenza, Noi dobbiamo far palpitare migliaia e milioni di cuori attorno al cuore del Papa, e specialmente portare a Lui i piccoli, le classi umili, i poveri operai, e i relitti della vita. Dal suo labbro il popolo ascolterà non le parole che eccitano all’odio alla distruzione, allo sterminio, ma parole di vita eterna, parole di pace di concordia che invitano ad amarci gli uni gli altri: Egli ha le parole di vita eterna. Il Papa è il padre del ricco come del povero, per Lui non esistono nobili o plebei, ma solo dei figli: da lui la luce, la fede, la mansuetudine, la parola e dolcezza del Signore che porta balsamo ai cuori e consola le anime di tutti (Scr. 90,356).
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Noi, con la fede e la carità di Gesù benedetto portiamo e trasfondiamo nelle anime e nei popoli la fede e l’amore alla Chiesa e al Papa, che è la stessa fede e lo stesso amore, poiché, per noi, Cristo e il Papa, Cristo e la Chiesa, Cristo, Papa e Chiesa sono un Corpo solo, una cosa stessa, uno stesso amore: sono l’amore della nostra vita, sono la vita del nostro amore e della nostra Congregazione. Cristo è il Capo, la Chiesa è il suo corpo mistico: Cristo è il Capo invisibile, e nella Chiesa chi fa tutto è Lui, il Signore: Il Papa è della Chiesa il Capo visibile, il quale opera e governa la Chiesa e la pasce nella fede e nella morale cristiana, quale Padre Pastore e Maestro, universale, condotto e illuminato dallo Spirito Santo, onde, quando insegna la morale e la Fede ex cattedra, quale Vicario in terra di Cristo, a tutto il mondo, è ispirato, ed è Capo e Maestro infallibile, è Cristo che parla in Lui! Onde la grande santa e grande italiana Caterina da Siena ben a ragione soleva chiamare il Papa “il dolce Cristo in Terra” (Scr. 90,386).
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Ci preservi il Signore, vi dirò con Ausonio Franchi, il presto dimenticato Autore dell’Ultima Critica, ci preservi il Signore dall’arroganza e temerità stoltissima di farci noi giudici degli ammonimenti e dei precetti del Papa. Ci salvi dalla diabolica superbia di voler noi regolare, limitare i suoi diritti, i suoi poteri. Non spetta a noi di giudicare chi tiene sulla terra il luogo di Dio. A noi tocca solamente di credete tutto quanto Egli dice, e di fare tutto quello ch’Egli vuole. Che il giudizio del Papa sia il criterio dei nostri giudizi: la sua volontà sia la legge del nostro volere, e la norma del nostro operare. E non solo i suoi ordini formali, ma anche i suoi avvertimenti i suoi consigli i suoi semplici desideri siano ritenuti sempre e sempre secondati come l’espressione di quello che piace a Dio di quello che abbiamo da osservare, senza discutere. È assurdo parlare di Cristo e non di Cristo – Dio. Quelli che non parlano di Gesù Cristo vero Dio e della Sua Opera, la Chiesa Cattolica, e del Suo Vicario, il Sommo Pontefice di Roma, e quelli che non sono concordi in un solo cuore coi Vescovi e con il Successore di Pietro, che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Santa Chiesa, per me sono colonne sepolcrali e tombe di morti, su le quali sono scolpiti soltanto i nomi degli uomini (Scr. 90,399).
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Fratelli, amiamo il Papa! La carità di Gesù Cristo ci muova e ci renda infaticabili nel soccorrere e rialzare le anime; l’insegnamento del Papa rimanga costantemente la regola della nostra Fede e del nostro lavoro, e l’amore al Papa, insieme coll’amore di Gesù Cristo, il più forte e più dolce amore della nostra vita. Non dimentichiamo che la Santa Chiesa Cattolica e il Papa (Scr. 93,11).
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Amiamo il Papa! La carità di Gesù Cristo ci muova e renda infaticabili nel soccorrere e rialzare le anime: ma l’insegnamento del Papa rimanga costantemente la regola della nostra Fede e del nostro lavoro; e l’amore al Papa, insieme con l’amore di Gesù Cristo, sia il più forte e dolce amore della nostra vita. Fratelli, non dimentichiamo che la Santa Chiesa Cattolica e il Papa sono, con Cristo, il primo bene e la suprema risorsa delle anime. Amiamo il Papa! La Chiesa Cattolica a suprema legge su tutti i codici e le leggi umane. Amiamo il Papa! Amiamolo come lo amavano i Santi. Veneriamolo come la persona del Salvatore medesimo, il Quale stabilì a fare Sue veci un Capo visibile, perché si avesse un Pastore nella Chiesa, una guida sicura a nostro salvamento (Scr. 93,234).
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“Non spetta a noi di giudicare chi tiene sulla terra di luogo di Dio: Chi è il rappresentante sommo della sua Autorità e l’interprete infallibile della sua parola. A noi tocca solamente di credere tutto quanto Egli dice e di fare tutto quello ch’egli vuole”. “Che il giudizio del Papa sia il criterio dei nostri giudizi: la sua volontà sia la legge del nostro volere, e la norma del nostro operare”. E non solo i suoi ordini formali, ma anche i suoi consigli, i suoi semplici desideri siano ritenuti sempre e sempre secondati come la espressione di quello che piace a Dio, che Dio vuole da noi, e che noi, con la grazia di Dio, abbiamo da osservare senza discutere. Il Papa si deve riguardare come il Signore medesimo; “quando parla il Papa, parla Gesù Cristo”, diceva sempre il Ven.le Don Bosco. Stare in tutto con il Papa, vuol dire stare in tutto con Dio: amare il Papa, vuol dire amare Dio: né Dio si ama davvero e il sempiterno Pontefice Gesù Cristo, Figlio di Dio, se davvero non si ami il Papa. Amare dunque Dio: amare Gesù Cristo, Dio e Salvatore nostro, e amare il Papa è lo stesso amore (Scr. 94,122).
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Il nostro amore, il Papa, è moralmente crocifisso. Deh! che noi siamo tutti e sempre un cuore una mente e una anima sola con il capo visibile della Chiesa, che è il Papa: sul Calvario con Lui: crocifissi insieme con Lui! Gesù si ama in croce, o non si ama affatto, diceva il Ven. P. Ludovico da Casoria; e del Papa è la stessa, identica cosa: il papa si ama in croce: e chi si scandalizza della umiliazione cui è ridotto, chi non lo ama in croce, non lo ama affatto. E più che mai in questi tempi malaugurati nei quali la Chiesa è lacerata con strazio crudele delle sue viscere, adoperiamoci, o miei figliuoli e Amici, a lenirne, come meglio ci è dato, i dolori, studiandoci di essere a tutti esempio e modello di virtù, affinché la nostra vita e tutte le nostre operazioni attestino di qual madre siamo noi generati, e la Chiesa e il Vicario di Gesù Cristo di noi, benché sì poveretti, abbiano sempre a compiacersi e si onorino. e così, e solo così, sarà con noi la benedizione di Dio! (Scr. 94,123).
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Amiamo il Papa! Come dovere di figli è amare il padre; così è dovere e dolce dovere dei cattolici amare il Papa. Il Papa è il Vicario di Gesù Cristo, è il capo supremo della Chiesa, è il Padre della fede e delle anime nostre. Amiamo il Papa! I giudizi del Papa non hanno nulla di comune con i giudizi precipitosi e riscaldati degli uomini di partito. Egli è condotto dallo Spirito Santo, e con la sua parola ispirata affranca la Chiesa da ogni errore. La sua infallibilità, su quanto si riferisce alla fede e alla morale, si congiunge all’infallibilità stessa di Cristo – Dio. Amiamo il Papa! Egli è la base inconcussa non soltanto della Chiesa, ma ben anco della società umana. A Lui spetta regolare la disciplina universale dei veri seguaci di Gesù Cristo: a Lui la gloria di aver detto la verità in faccia ai dominatori del mondo e ai persecutori della Chiesa. Amiamo il Papa! La perturbazione dell’animo annebbia ai dì nostri molte anime, e rende più difficile un’umile e filiale sommessione alle decisioni e ai desideri del Romano Pontefice, ma i veri figli della Chiesa sono con il Papa, pregano per il Papa, amano il Papa! (Scr. 104,84).
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L’amore al Papa è il nostro credo: dell’amore al Papa noi viviamo: nell’amore del Papa meditiamo, preghiamo, lavoriamo e aneliamo a santificarci tutti i giorni, perché sentiamo quanto esso avviva la nostra fede, quanto allarga le nostre speranze, piene di immortalità, quanto fa divampare la nostra carità verso Dio e verso il prossimo. Eccoci, Padre santo, qui prostrati, sacerdoti e chierici: con noi sono qui in spirito anche tutti gli assenti: siamo qui con tutti i nostri cari piccoli, con tutti i cari poveri, raccolti sotto le ali della Divina Provvidenza: tutti siamo qui con le nostre miserie, con i nostri stracci e col nostro amore, a vivere della vostra fede e del vostro paterno e santo amore. Ai vostri piedi benedetti deponiamo i nostri cuori, tutta la nostra vita e le nostre povere opere, intesi specialmente a diffondere la conoscenza e la carità infinita di Gesù Cristo, nostro Dio e Redentore, e ad unire, con vincolo dolcissimo di amore al Papa e alla Chiesa l’umile popolo, facilmente insidiato nella fede, e i più piccoli e derelitti figli del popolo. Degnatevi benedirci, o Padre beatissimo! Fateci sentire il tocco delle vostre vesti, che ci risani da ogni male, che ci rinvigorisca e confermi nei propositi dei Santi esercizi spirituali testé fatti, che ci conforti in ogni prova, in ogni momento (Scr. 118,70–71).
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Poi vi dirò che questa prima pagina delle Costituzioni confido in Dio varrà lo stesso ad infervorarvi, e ad infervorarvi d’amore grande, grande, grande e soavissimo al Vicario di Gesù Cristo: l’amore al Papa è il nostro sacro amore, è la nostra vocazione, è il nostro Credo, è il palpito di tutta la nostra vita, o cari miei figli! Nel Papa noi vediamo Cristo, seguiamo Gesù Cristo, amiamo Gesù Cristo! E nei Vescovi? Nei Vescovi vediamo, seguiamo, veneriamo, amiamo i Successori degli Apostoli, «posti dallo Spirito Santo a governare la Chiesa di Dio», come dice San Luca (Act. App.). I Figli della Divina Provvidenza vogliono essere tutta cosa del Papa, dei Vescovi e della Chiesa: stracci, servitori e figli obbedientissimi della Chiesa, dei Vescovi e del Papa, in umiltà, in fedeltà, in amore senza limite, usque ad mortem et ultra. Il primo Capo delle nostre Costituzioni, in modo inequivocabile, fissa il fine e lo spirito della Congregazione: Deo gratias! Amatela, cari miei figliuoli, la vostra povera Congregazione, amatela tanto! Perseverando in questo amore e attaccamento, cresceremo in virtù e perfezione e ci santificheremo, servendo Dio nel Papa, nella Chiesa, nella fanciullezza più bisognosa e nei poveri. La Chiesa, i fanciulli, i poveri furono e sono i grandi amori del Cuore di Gesù. Amatela la vostra Congregazione nel suo fine santo, nell’Apostolato di carità che vuole svolgere – a salvezza dei piccoli e dei poveri! Amatela, perché è tutto spirito d’amore, di obbedienza, di fedeltà al Papa e ai Vescovi! (Lett. II,386–387).
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L’Opera della Divina Provvidenza è tutta per il Papa, nutre in sé e nei suoi membri, e diffonde nel mondo un grande amore al Vicario di Gesù Cristo in terra. Papa significa padre. Il Papa è il Padre spirituale e morale di tutti. La Piccola Opera della Divina Provvidenza è tutta consacrata al Papa e il suo scopo è accendere nei cuori la devozione al Papa. Devozione vuol significare qualche cosa di più che amore, perché devozione vuol significare che il nostro amore verso il Papa dev’essere senza limiti La scelta del giorno della vestizione di questo vostro Confratello è caduta su oggi perché è la festa della cattedra di San Pietro. Questa festa esprime l’autorità del Papa, autorità che ha sopra tutta l’umanità, in modo particolare sui fedeli che praticano la Dottrina di Gesù Cristo. Il Papa è colui che rappresenta Gesù cristo in forma visibile su questa terra. Santa Caterina da Siena, che ha tanto difeso i Papi, durante la loro sede in Avignone, chiamava il Papa: “il dolce Cristo in terra”. Oggi per esprimere l’attaccamento che la Congregazione ha verso il Sommo Pontefice, ho scelto questo giorno per dare a questo vostro Confratello la veste della Congregazione, e per potervi parlare della Cattedra di San Pietro. San Pietro è rappresentato dai Sommi Pontefici, suoi successori. Noi dobbiamo avere un grande attaccamento al Papa, anzi dobbiamo essere di lui devoti. Il nostro attaccamento al Papa lo dimostreremo quando, sentendo parlare male di lui, ci allontaneremo. E tu, che oggi hai indossato la veste, ricordati di essere fedele alla Santa Chiesa e al Papa. Ricordiamoci tutti: essere devoti al Papa vuol dire essere devoti a Gesù Cristo; patire per il Papa, vuol dire patire per Gesù Cristo; morire per il Papa, vuol dire morire per Gesù Cristo (Par. IV,259).
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Amore a Gesù, amore al Santissimo Sacramento, amore alle anime, amore al Papa; ecco il distintivo particolare della Congregazione. Che possiate voi spandere e portare questo amore al popolo, al mondo intero. Molte volte il Papa è odiato, è bestemmiato dal popolo e dal mondo intero. Se noi vogliamo togliere questo orribile sacrilegio, dobbiamo prima essere noi impastati di questo amore. Dobbiamo amare il Papa, dobbiamo obbedirlo, dobbiamo lavorare per il Papa, dobbiamo morire per il Papa: Si, morire per il Papa. (Un silenzio profondo regna, quando un fragoroso battimani risponde all’invito ardentissimo di Don Orione i cui occhi appaiono insolitamente raggianti di luce, che penetra nel cuore di ognuno, e due lagrime gli cadono a bagnare le guance mostrandone così la grande commozione. Breve pausa). Oggi che la Questione Romana è compiuta, oggi il Papa torna ad essere insultato, oggi, o miei cari figli e fratelli, per voi è giunta l’ora di un nuovo lavoro; oggi al vostro cammino si apre un nuovo orizzonte. Oggi nella cattolica Spagna i rossi bestemmiano il Papa, nel Messico è bestemmiato, e così pure in Russia. Oggi che il Papa è così bestemmiato da gran parte dell’Umanità e oltraggiato, deve essere uno stimolo sommamente per voi potente per attaccarvi sempre più con amore al Papa. Questo dev’essere il grande desiderio, il desiderio senza fine ardente di voi tutti, o miei cari figli nel Signore, e particolarmente di voi, novelli Sacerdoti. Il Papa è il Cristo amabilissimo in terra. Gesù è rinchiuso nel tabernacolo e di là compie miracoli indescrivibili. Ed ecco l’invito che ci dà: amare il Papa! Il Papa, passando per Roma, per il mondo intero, attraverso l’opera nostra, illumina, salva, e conduce le anime a Dio (Par. V,124–125).
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Sentire con il Papa vuol dire sentire con Cristo! Obbedire al Papa vuol dire obbedire a Cristo! Assecondare il Papa vuol dire assecondare Cristo! Servire al Papa vuol dire servire a Cristo! Vivere d’amore per il Papa vuol dire vivere d’amore per Cristo! Vivere e morire per il Papa vuol dire vivere e morire con Cristo! Finché stiamo con il Papa stiamo con Cristo! Dobbiamo temere allorché disgraziatamente non siamo più con il Papa. Il Papa è il dolce Cristo in terra; il Papa è il Nocchiero, è il Pilota che guida la nave... Cambino pure la persona è sempre il dolce Cristo in terra. Quindi noi siamo la “Compagnia del Papa”. Dopo 10 anni che si è in Congregazione, già Sacerdoti, si fa il quarto voto di obbedienza al Papa. Se il Papa dovesse domandarci le nostre Case, gliele concediamo perché non è roba nostra, ma è roba del Papa! Se domani il Papa ci domanda la nostra pelle, andremo a venderla sul mercato. Se qualcuno parla male del Papa, come quando si parla male del padre e della madre, subito diffidate e allontanatevi (Par. V,193).
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Amiamo il Papa e i poveri, e il Signore ci pagherà dell’amore al Papa come se avessimo amato Cristo. Il Padre della nostra fede è il Papa; la nostra Congregazione è “la Congregazione del Papa!”. “Bella cosa amare il Papa!”. Davanti al Santo Padre dissi: Io mi metto con i sacerdoti e chierici tutti e tutti i miei peccati, ai piedi di Vostra Santità, perché ha il potere di slegarli: non le do i miei debiti perché sono già un debito io. – Se 4 giorni dopo che sarò morto nominerete il Papa in mia presenza, aprirò gli occhi e parlerò. Vedete nel Papa il vero Padre. Pregate sempre per il Papa; difatti noi, nelle nostre preghiere, si prega per il Papa. Si prega al mattino, si prega alla sera e specialmente nella visita, che si fa dopo pranzo, si prega unicamente per il Papa. Ho detto ai Sacerdoti che predicano i SS.mi Esercizi di fare ognuno una predica sul Papa; perché in tutti gli Esercizi i Predicatori sono due, quindi due prediche: due prediche sul Papa. E voi, cari chierici, la prima predica che farete, vi esorto di parlare del Papa e di nostro Signore Gesù Cristo, cioè di non dividere mai il Papa da nostro Signore Gesù Cristo; come in tutte le preghiere la Chiesa unisce sempre San Pietro a San Paolo, e San Paolo a San Pietro (Par. V,194).
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Conoscete l’encomio della romanità e della santità di Don Bosco fatto da Sua Santità Leone XIII: “Don Bosco è simile a San Francesco d’Assisi nell’amore al Papa”. Piccoli, umili, obbedienti ai piedi del Papa e della Santa Romana Chiesa. Cari figlioli, voi sapete che tra gli scopi precipui della nostra piccola Congregazione c’è questo: di amare Gesù Cristo nella persona del suo Vicario. Obbedire al Papa, seguire il Papa e venerare il Papa è obbedire, seguire e venerare Gesù Cristo. Quello stesso amore che il Beato Don Bosco, raccomandò ai Salesiani, quello stesso ancora che San Francesco raccomandò ai suoi frati, abbiamolo pur noi. Facciamo in modo che l’amore al Papa, l’obbedienza al Papa, la docilità e la venerazione al Papa nutriscano la nostra vita e siano queste virtù come lo stemma distintivo della nostra Congregazione (Par. VI,7).
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Parlo ancora del Papa! Fra poco tempo, tutto il mondo cattolico risuonerà del nome di Don Bosco. Egli morì nell’88 e, dopo alcune settimane, essendo stato eletto Don Rua, andò a Roma a mettersi ai piedi del Papa, che era allora Leone XIII. Andò Don Rua con molta familiarità; e il Papa gli raccomandò di formare bene i Novizi. Essi vengono dal mondo, portando tanta scoria e abiti mondani, perciò hanno bisogno di essere formati bene e con spirito di pietà. Don Rua assicurò il Papa che avrebbe fatto tutto ciò che desiderava, ricevendo il consiglio come un ordine. Don Bosco sovente raccomandava di amare il Papa e di eseguirne i consigli come fossero comandi. Anche il nostro Don Bosco inculcò che ovunque si aprisse una Casa Salesiana, vi dovesse regnare l’amore al Papa, e che cercassero tutti di amare e venerare il Papa. Allora il Papa Leone XIII disse che il Fondatore dei Salesiani è veramente un santo, simile a San Francesco d’Assisi che, in punto di morte, raccolse i frati e raccomandò loro di essere umili e piccoli servitori del Papa. Cari figlioli, voi sapete che il fine principale della Congregazione è di amare Gesù Cristo nella persona del Papa. Venerare il Papa è venerare Gesù Cristo. Amare il Papa è amare, seguire Gesù Cristo. L’amore che vi raccomando è lo stesso che Don Bosco raccomandava ai Salesiani, e San Francesco ai suoi Frati... Sia il nostro amore al Papa, come la tessera di distinzione della Congregazione (Par. VI,15).
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Devozione al Papa. Grande devozione al Papa, che è il Vicario di Gesù Cristo in terra. La piccola Congregazione è nata con un grido di amore al Papa, amore senza limiti, in devota obbedienza al Papa, senza discussioni, non solo ai comandi, ma anche ai desideri del Papa, pronti sempre a null’altro, se Dio si degnasse di darci tanta grazia, che ad offrire tutta la vita, e anche il nostro sangue, per la Santa Chiesa di Gesù Cristo, e per il nostro grande Padre, il Capo della Chiesa Cattolica, senza discuterne mai gli ordini, i comandi, i desideri. Noi siamo tutti del Papa, dalla testa ai piedi; siamo del Papa di dentro e di fuori, con una totale adesione di mente e di cuore, di azione, di opere di vita, a quelli che possono essere i desideri del Papa. L’amore al Papa, non oso dire che sia il terzo santo amore nostro, sentirei di dire troppo poco, e non vorrei mancare all’espressione, o cari miei figlioli, – quasi limitando il concetto, con il dire che l’amore al Papa è il nostro terzo amore –, giacché l’amore al Papa per noi si identifica con lo stesso amore a Gesù Cristo. Nel Papa vediamo il Signore, nella parola del Papa, sentiamo i desideri del cuore stesso di Gesù. Papa e Gesù, oserei dire, sono la stessa cosa, perché il Papa è il dolce Cristo in terra. Rifuggite e guardatevi da tutti quelli che non amano il Papa e pregate per essi! Poi le Anime! La carità! La carità! O cari miei figlioli e buone figliole di Dio, noi dobbiamo amare le anime di un amore grandissimo, amare con tutto il nostro cuore, dare tutta la nostra vita per la carità. Carità e amore di Dio, che è amore verso il prossimo, verso i fratelli più derelitti, carità materiale ma soprattutto carità del pane della fede. La Piccola Opera della Divina provvidenza è opera di fede, e la prima carità verso i fratelli deve essere la fede e tutti dobbiamo abbracciare, in un grande amore a Dio e con il nostro esempio e con la nostra parola, stretti attorno al Vescovo e al Papa (Par. VI,192).
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Cari miei chierici, fine proprio della nostra Congregazione è l’amore al Papa; amare Gesù Cristo nel suo Vicario, il Papa. Gli antichi abitanti di Milano giurarono, su di una carta, amore, obbedienza, ossequio e fedeltà al Papa. Noi, non sulla cartapecora che il tempo andrebbe logorando, ma in spirito, dobbiamo scrivercelo nel cuore il nostro amore, la nostra obbedienza, la nostra fedeltà, usque ad mortem et ultra, al Vicario di Cristo in terra, a Colui che una grande Santa Italiana – grande non solamente nella luce della fede ma anche nella luce della storia della civiltà e libertà italiana –, la poetessa – e un altro giorno vi dirò perché la chiamo la poetessa –, dichiarò che amare il Papa è amare Cristo; diffondere l’amore al Papa e obbedire al Papa è diffondere l’amore a Cristo, è obbedire a Cristo; giurare fedeltà al Papa è giurare fedeltà a Cristo. Non ama veracemente Cristo chi non ama veracemente il Papa! Chi limita al Papa il suo ossequio, chi limita al Papa la sua obbedienza, il suo amore, limita la sua obbedienza, il suo ossequio, il suo amore a Cristo! Amarlo per noi, il Papa, amarlo dobbiamo per i nostri poveri; e che l’amore al Papa sia così grande che non possa essere contenuto nei nostri petti ma che abbia ad erompere e a diffondersi fuori di noi, ovunque portiamo le nostre tende... Charitas natura sua est diffusiva! La carità è diffusiva, ha bisogno di espandersi, non può essere contenuta, ha bisogno di espandersi e di evadere. L’amore al Papa è vera carità ed è amor di Dio. L’amore al Papa è tale ardore di santa carità che è una necessità che questo amore si diffonda. Dobbiamo pregare Dio che sempre più viva, sempre più accenda in noi e negli altri tutti la fiamma della carità, dell’amore a Dio e al suo Vicario, il Papa! (Par. VII,55).
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La nostra Congregazione, voi lo sapete, deve differenziarsi da tutte le altre nell’amore al Papa; deve distinguersi nell’attaccamento, sino all’olocausto, di tutti noi al dolce Cristo in terra. In molte città si è fatta oggi la festa del Papa. Come avrei potuto io non dirvi una parola mentre il Santo Padre, non è un mese, ci faceva indirizzare quella lettera che voi tutti conoscete e che deve essere stata di gran conforto a noi tutti? Lettera più cordiale non poteva venirci dalla rocca del Vaticano... Una parola la devo dire. Ma l’amore al Papa non si deve esprimere solo con parole, non si può esprimere a parole, l’amore al Papa deve sentirsi nel cuore. Piena adesione della mente, piena adesione delle opere! Ma la prima e più essenziale adesione sta nel cuore. Quando non ci fosse l’attaccamento al Papa che vien dal cuore, non so quanto varrebbe l’adesione della mente... Io do un rapido sguardo alla storia della Chiesa e vedo qual è la ragione intima per cui tanti popoli si sono staccati da Roma: e la trovo anzitutto nella poca adesione dei cuori al cuore della Chiesa che è il Papa (Par. VIII,83–84).
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Diffidate da quelli che criticano il Papa e i Vescovi; diffidate di tutti quelli, fossero anche costituiti in autorità, che cercassero di umiliare, di gettar in non cale le sue direttive per il bene sociale. Siamo figli degni della Chiesa e del Papa, con una condotta degna, con la pratica di una vera vita cristiana. Che se mai Dio permetterà che, in un giorno non lontano, fossimo chiamati a dare la vita per il Papa, prepariamoci con la vita illibata, accendendo il nostro amore che ci fa vedere nel Papa, Cristo. Amare il Papa è amare Cristo. Lottiamo, lottiamo santamente, lottiamo per mantenerci figli fedeli. Soffrire per il Papa è soffrire per Cristo; cadere, procombere per il Papa è procombere per Cristo. Con l’occhio della fede vediamo più alto. Il Vangelo è la Legge di Cristo: il Papa lo alza: questo è il codice, seguitelo. Nella piccola nostra attività cooperiamo tutti perché l’opera del Papa abbia a svolgersi in tutto il mondo e soprattutto in questa nostra diletta Patria, scelta dalla Provvidenza ad essere il giardino, la sede del Vicario di Cristo, – quella Roma onde Cristo è Romano – il centro da cui si irradia tanta luce di fede, tanto conforto e tanta pace. Ho finito. Penso, immagino che anche a me e anche a voi, non Cristo ma il suo Vicario dica a me e a voi come il Signore a Pietro: Diligis me? Mi figuro che il Papa, se fosse qui direbbe a ciascuno: “Mi amate voi? E più di tutti gli altri? Plus his? ”... Ah, che nessuno ci superi nell’amore e nella fede al Papa: nessuno ci superi nell’amore a Cristo. Vada il nostro Angelo a portare un’onda di conforto al cuore amareggiato del Papa, in questa ora di terribili eventi che possono insanguinare tanta parte dell’umanità! (Par. XI,242–243).
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Il fine della Congregazione è di accrescere in noi e in altri l’amore Al Romano Pontefice Pare che il Signore l’abbia fatta sorgere contro le eresie moderne. Questo fine è precipuo: cioè di lottare estremamente contro chi vuole fare il deserto attorno al S Padre: questa Congregazione è tutta del Papa: benché piccola, benché minima, pure essa è tutta per lui. Il Santo Padre ama molto la Congregazione, tanto è vero che ha fatto e fa grandi favori e dà molte prove di affetto fino da donarci in Roma una Casa. Perciò noi dobbiamo essere tutti del Papa: noi siamo prima tutti della Chiesa e del Papa e poi quando tutto è del Papa, se ci resta qualche piccola cosa sarà italiano. È vero che la Congregazione non entra nella politica, ma se amare il Papa lo richiedesse, noi dobbiamo essere pronti a farlo, dobbiamo essere pronti a tutto fino a dare il sangue per Lui. Noi dobbiamo essere anche nel temporale con Lui. La Congregazione è nata impastata con il Santo Padre, così è nato il primo Oratorio festivo, e per questi 20 anni mai ha deviato la Congregazione da questa linea. Anzi dobbiamo fare un giuramento al Santo Padre non solo come Pontefice, ma anche come Re e sovrano temporale. Questo è lo spirito della casa. Chi non si sente di esser così anche in pratica con il Papa, lo dica francamente che si provvederà: perché qui si deve essere tutto con il Papa, si deve fare quello che il Papa vuole, come lo vuole, e quando lo vuole. Però, nell’esternare fuori queste cose ci vuole molta prudenza. – . Acciocché poi il Signore affretti l’ora del trionfo del Santo Padre, si determineranno preghiere ed altre devozioni da farsi. In ogni casa, ed in ogni posto degno, deve esservi la statua di San Pietro, che si venera in Vaticano, giacché essa è uno dei documenti storici che attestano la venuta di San Pietro in Roma. Il mettere questa statua nelle nostre Case deve servire a raffermare la nostra devozione a San Pietro. Anche per questo metteremo la lettura di certi atti della Santa Sede da farsi in refettorio: si leggeranno anche giornali pienamente accetti alla Santa Sede. Siano esclusi tutti gli abbonamenti a giornali che non sono conformi alle direttive Pontificie. A questo, dei giornali, vi si deve attendere strettamente. I ragazzi devono essere educati a questo attaccamento al Papa; essi sanno altre cose che li avvelenano, ma del Papa non sanno nulla, mentre tutte le bellezze della patria nostra ci sono venute dal Santo Padre (Riun. 4 settembre 1912).
Vedi anche: Chiesa, Compagnia del Papa, Concordato (Stato–Chiesa), Costituzioni (FDP e PSMC), Quarto voto, Questione romana, Vescovi.
Paradiso
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E ora mi raccomando alle vostre orazioni, ed io pregherò per voi. Come la mano della Divina Provvidenza ci unisce in terra, così ci unisca in Paradiso ai piedi della SS.ma Vergine (Scr. 2,100).
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Coraggio, mio caro Don Adaglio, vedi, ti dirò che per andare ben alto in Paradiso, come certo vorrai andare anche tu, e per di più, vicinissimo alla Immacolata bisogna soffrire e tacere e lavorare e tribolare e amare molto molto molto con il Signore e la Santa Chiesa, anche moltissimo chi ci fa tribolare (Scr. 4,107).
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Su via, o miei figli, la vita è breve, la fatica è breve, e il Paradiso ci aspetta! Su via, o miei cari figliuoli, andiamo avanti insieme! Gesù è con noi! Andiamo avanti insieme, cioè d’un volere e d’un amore, insieme! Questa è la forza della nostra vita religiosa (Scr. 4,240).
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Per l’amore di Dio benedetto niente ci deve sembrare vile o troppo disagevole, e dobbiamo disprezzare noi stessi ed essere reputati niente e gente buona a nulla, pur di amare e servire Dio, e guadagnarci il Paradiso. Ma, senza umiltà, in paradiso non si va; e i golosi in Paradiso non ci vanno e i fuggi fatica, i comodi, quelli cioè che amano le comodità e sono pigri, in Paradiso non vanno (Scr. 4,263).
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Coraggio, o cari miei figliuoli, presto verrà il Paradiso anche per noi! Breve è il patire, eterno sarà il godere. Et sic semper cum Domino erimus! Se per la misericordia di N. Signore io vado prima, poiché a me tocca – state tranquilli che anche là pregherò tanto tanto per voi e per ciascheduno di voi, e voi ricordatevi di suffragare l’anima mia (Scr. 4,269).
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Stiamo tranquilli nelle mani di Dio, e sia tutto come Dio dispone: basta andare in Paradiso, tutto il resto che vale? Amiamo e serviamo il Signore e la Santa Chiesa e facciamo del bene sempre a tutti e avanti! (Scr. 5,538).
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Ah Paradiso! Paradiso! «Brutta terra e bel Paradiso» diceva il Cottolengo, brutta terra e bel Paradiso! Va, va dunque contento, o figliuol mio, mentre sulla terra corre un soffio che sa di bufera. Va’ a raccogliere ciò che hai seminato! Va’ avanti con gli altri nostri, che già sono in Paradiso. Hodie sit in pace locus tuus, et habitatio tua in sancta Sion. E prega, e pregate insieme per noi, e preparate anche a noi un seggio, ma bello, ma splendido, ma alto, vicino a Dio, ai piedi della Madonna! (Scr. 6,150h).
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Che vi dirò? Che voglio amare molto, moltissimo il Signore e voi con me, e così la Madonna, e poi andremo insieme in Paradiso. Siete contento? Che vale il resto? Si sono un povero peccatore e veramente indegno di essere Sacerdote, ma per la grazia che spero dal Signore e l’aiuto della SS.ma Vergine nostra Madre, voglio lavorare da facchino di Dio e della Santa Chiesa e della SS.ma Madre del Signore e da facchino delle Anime, e voi farete la stessa cosa, e poi su in Paradiso, con la Santissima Madonna per sempre e per sempre! (Scr. 9,18).
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In Paradiso le suscettibilità e le ombre non ci saranno più: là tutto è sereno, e luce e gioia e grande pace e carità! Che gran bella vita sarà mai la vita del santo Paradiso! (Scr. 9,87).
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Cari miei figlioli, in Paradiso in carrozza non si può andare; ma due sono le vie del Cielo: innocenza e penitenza per amore di Gesù Crocifisso. Abbracciamo la Croce, se vogliamo imitare Gesù (Scr. 24,9).
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Cari miei figli, siamo fatti per godere Dio in Paradiso e per tutta la eternità, ma di qui bisogna soffrire, bisogna patire per amore di Dio benedetto e con nostro Signore: Gesù, vedete, lo si ama in Croce, già ve l’ho detto, ma chi non Lo amasse in croce, non Lo ama affatto, affatto, affatto, anche reputi di amarlo, anzi più crede di amarlo, meno Lo ama, chi non Lo ama in croce. Il patire con Gesù Cristo è la via che ci conduce a godere Gesù che sarà il nostro Paradiso (Scr. 25,193).
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Sia benedetta la SS.ma nostra Mamma del Paradiso. Vorrei fare indulgenziare a Roma: Mater Paradisi, ora pro nobis! Che me ne dite? La nostra cara Mamma, non solo è Janua Coeli, ma, a più ragione, è la Mater Paradisi: è la Madre di Dio, che è il vero nostro Paradiso e l’amore di tutti gli Angeli e Beati: è la Madre di tutti i Santi del Paradiso, e anche Dante la pone là nella più alta sfera ove Essa è la gioia della SS.ma Trinità. Pregate un po’ per questo (Scr. 25,224).
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Andare a Dio, andare in Paradiso d’in ginocchio! Che ti pare, caro Paolino? Ti potrà sembrar una novità? No! Tutti i veri servi di Dio non adoprarono né l’areoplano né l’auto né tampoco vettura e cavalli, perché, diceva un vecchio proverbio, «in Paradiso in carrozza non ci si va». E neanche i piedi adoprarono per andare in Paradiso, ma le ginocchia: sì, sì, caro mio: in Paradiso ci si va e ci si entra solo d’in ginocchio. In ginocchio, e in adorazione profonda davanti a Dio Uno e Trino, Cantando gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo! In ginocchio, e in adorazione ai piedi di Gesù Cristo, alfa e omega, principio e termine in ogni ordine di cose (Scr. 31,256).
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Ma poi in Paradiso non ci sarà più tanta fretta, né tanto correre di qua e di là come l’ebreo errante, e allora anche le mie povere gambe staranno in pace, e noi ci sederemo sui gradini del trono del Signore e ai piedi della SS.ma Madre di Dio, e io voglio mettermi a cantare, e voglio cantare la Madonna per tutta la eternità. Ho già fatto voto, sa, di andarmi a sedere ai piedi della Madonna, e di cantare le glorie della dolcissima nostra Santa Madre. E canteremo insieme, caro p. Ignudi! Farò un po’ il pazzarello anche in Paradiso; eh! se fossero tutti savi, sarebbe troppo! Basta: ora finisco, perché ho un po’ di lavoro; la vengo a vedere presto, e staremo lieti in Domino (Scr. 37,166).
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Caro padre, oggi ho una gran voglia di ballare: ci sarà il ballo in Paradiso? Se ci sono suoni, ci sarà anche il ballo: il voglio cantare sempre e ballare sempre. Caso mai, il Signore mi farà un reparto speciale per non disturbare troppo i contemplativi. Sono contento perché in Paradiso sarà sempre festa: e, nelle feste, c’è sempre allegria, canti, balli, in Domino e festosità (Scr. 37,171).
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Questo doloroso e primo anniversario del terremoto vi faccia riflettere bene che noi non siamo su questa terra per godere, ma per fare del bene: per amare e servire a Dio e al prossimo, per pregare per lavorare per patire e per meritarci il paradiso. Dobbiamo adunque tenere, il cuore distaccato dalle cose terrene e prepararci per la eternità e per il cielo. Il Paradiso è la vera patria nostra dove Gesù Cristo, nostro Dio e redentore, ci aspetta. In Paradiso ci aspetta la Madonna SS., la madre di Gesù e nostra, la madre divina che le vostre mamme vi hanno insegnato ad amare, a pregare con fiducia di figli. In Paradiso, insieme con gli Angeli e i santi del Signore, vi aspettano – per vivere sempre felici insieme con voi – vostra mamma, vostro padre, e tutti i vostri della famiglia vostra che sono morti nel Signore (Scr. 50,304).
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Quell’anima guerriera che non era mai stata domata dal ferro era stata vinta dalla carità. O come è bella questa virtù! Il Paradiso stesso non sarebbe Paradiso senza di essa, perché un Paradiso senza carità sarebbe un Paradiso senza Dio (Scr. 55,309).
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Pregherò per tutti voi e per la figlia che vi è andata in Paradiso, e per la suora che è anche voluta andare a far Natale in Paradiso. In Paradiso ci andremo anche noi, tirati su dalle mani della Madonna Facciamoci coraggio a servire e amare Gesù Cristo, la Madonna SS.ma la santa chiesa e le anime, specialmente i più poveri e abbandonati. Carità carità! con la carità si va in Paradiso, e il Paradiso è carità, e non si sente che un cantico e una grande musica: la sinfonia della carità del Signore! (Scr. 63,170).
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Vostra Eccellenza mi metta in spirito le mani sulla testa e si degni benedirmi e pregare per l’anima mia. Anch’io pregherò la SS.ma Vergine che la conforti e la coroni poi in Paradiso di tutti i suoi sacerdoti e diocesani. Oh santo e dolce Paradiso, quanto devi essere mai bello! Coraggio, Eccellenza, e sempre avanti in Domino! Abbracciamoci bene alla Madonna: ancora un po’ di strada, e poi siamo in Paradiso! Il Paradiso paga poi tutto (Scr. 64,6).
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In paradiso non vanno né i vili, né i minchioni, né i poltroni,. Il paradiso è dei semplici, dei puri, dei forti... al fuoco ardentissimo del cuore di Gesù... tutti dovremo confessare d’aver fatto nulla finora, tutti dovremo conchiudere d’essere servi inutili.... I poveri sono, e saranno, quelli che hanno da aprirsi le porte del paradiso, diceva sovente il Beato Cottolengo (Scr. 73,239).
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Il Paradiso pagherà tutto, e nella felicità del Paradiso si dileguerà ogni nube, cesserà ogni dolore. Qui possediamo qualche bene; ma quanti beni ci mancano! In Paradiso, invece, insieme con Dio li possederemo tutti. Qui la gioia è sempre mescolata al dolore, non v’ha rosa senza spine. Il corpo ora è tormentato da infermità, ora è affranto da stenti, ora abbattuto da vecchiaia. In Paradiso, invece, oh! là non potrà più soffrire. Sarà bellissimo, agile, volerà da luogo a luogo con la velocità del pensiero e sarà sempre inondato dallo splendore della gloria. L’anima qui soffre tentazioni, inquietudini, dolori morali talora profondissimi; ma in Paradiso godrà tranquillità sicura. Appena entrata nel celeste regno, l’anima sentirà corrersi in seno quasi un fiume di pace, di quella pace che supera ogni senso, e che Dio solo può dare. e vivrà di Dio, felice di tutte le sovrumane felicità, perché possederà il suo Bene, il più grande di tutti i beni, Dio stesso: Dio nei pensieri, Dio negli affetti, Dio nella eternità! E in Dio gioirà il nostro cuore, e nessuno potrà mai rapire il nostro gaudio! (Scr. 82,21–22).
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Ma è vero che vorresti lasciar qui Don Orione, e tu andartene in Paradiso? Eh bel segretario che saresti tu! In Paradiso bisogna andarvi con dei manipoli di opere buone non con le mani vuote. Niente, niente! In Paradiso ci andrai, ma a suo tempo, e dopo che avrai lavorato con fedeltà, e molto lavorato a tirare la tua carretta, o meglio, la carretta della Divina Provvidenza (Scr. 95,21).
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Oh santo Paradiso, santo Paradiso! Patria sospirata e piena di gaudio! Dove ci sarà data abbondanza d’ogni bene; dove, per ogni afflizione patita con Cristo, sarà dato uno splendore di più; dove l’umile soggezione sarà coronata di gloria! (Lett. I,458).
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Ma ricordiamoci che bisogna lottare per vincere; che in Paradiso ci entrano soltanto coloro che si fanno violenza; il regno dei beati patisce violenza; i balordi e i minchioni, scusate la parola, non ci entrano davvero. Il Paradiso non è per loro! Il Paradiso è per quei cristiani che vivono da veri seguaci della Croce di Gesù, che amano e imitano il loro Divin Maestro, non a parola, ma nella pratica. Dunque esaminate bene voi stesse: nel lavoro, nel silenzio, nella mensa, perché, ricordatelo bene, i ghiottoni in Paradiso non ci vanno (Par. I,31).
Vedi anche: Inferno, Morte, Unione con Dio.
Parrocchia
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Bisognerà che tu li sappia trattare con occhio paterno, con cuore, e anche con una tal quale larghezza di criteri; bisognerà lasciare loro un po’ di braccio e non perdersi in piccolezze: basta che il bene si faccia, e che la Parrocchia diventi grande centro di bene morale e religioso, e che i Parrocchiani sentano di più che la Parrocchia c’è, e vivano di più la vita della Parrocchia e del Parroco (Scr. 7,270).
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Noi non dobbiamo prendere la parrocchia di Grottaferrata e, possibilmente, non prendere più parrocchie, per non snaturare la vita religiosa (Scr. 16,196).
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Come voi sapete, io sono contro ad avere parrocchie, che non aiutano la vita religiosa, ma la storpiano, solo si accettano per necessità e per dare aiuto ai Vescovi (Scr. 18,157).
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Quanto alla parrocchia dei Tre Molini, io non desidero che la Congregazione abbia parrocchie, eccetto che per grave motivo, oppure nelle Missioni. Ti dico riservatamente che, piuttosto che assumere una parrocchia, sarei disposto a cedere tutto ai Tre Molini all’Arcivescovo... Non voglio parrocchie, che legano e storpiano la vita religiosa (Scr. 22,155).
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Non è questione per noi che la Chiesa che ci offrono sia grande o piccola, né che sia parrocchia o no, anzi io preferisco che non sia parrocchia; non voglio parrocchie: solo per necessità accetto parrocchie (Scr. 22,177).
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Il Visitatore Apostolico ritiene che non sia opportuno accettare e questo perché il rev. clero di costì non abbia la sensazione che i Figli della Divina Provvidenza mirino ad avere parrocchie. È criterio fondamentale della Piccola Opera di non accettare parrocchie, tranne in casi d’eccezione, determinati da particolari esigenze di carità, e in quelle diocesi in cui c’è insufficienza di clero (Scr. 23,97d).
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Quasi mi pento di avere dei religiosi che siano parroci! (Scr. 24,66).
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Noi dobbiamo cercare sempre di non prendere più parrocchie, se non proprio perché ci si è costretti (Scr. 25,184).
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Quanto al prendere noi la cura d’una parrocchia, io non sarei proprio favorevole, a meno che ciò non sia imposto dal Vescovo, o non sia di impellente e grave necessità. Lasciamo le parrocchie, per quanto è possibile, al clero secolare, e noi stiamo alla vita religiosa. Ho sempre sentito dire che quando un religioso diventa parroco, per forza di impegni esterni o per affievolimento di spirito di vocazione, diventa poi un essere a sé, e si fa indipendente dai Superiori, e trascura la vita e la osservanza religiosa: non più povertà, non più obbedienza, non più vita di comunità. Anzi nessuno più li comanda, diventano individui inamovibili e ossa slogate quasi fuori del corpo morale della Congregazione. Quindi, se appena appena si può evitare, si eviti che la nostra Chiesa diventi parrocchia, e nessun nostro religioso diventi mai parroco, ma sia solo e sovrattutto buon religioso (Scr. 32,109).
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Chi è parroco, faccia da parroco, in Chiesa, non solo, ma anche nella vita sociale della parrocchia e prenda e mantenga il suo posto, e si metta fuori, compia la sua missione fuori, anche fuori e si faccia conoscere, stando sacerdote e religioso ed edificando tutti (Scr. 32,242).
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Il Ministero parrocchiale ha i suoi dolori, le anime si istruiscono nella parola, ma si salvano coi patimenti, ma ha anche le sue consolazioni; grande cosa e ammirabile è l’attività e lo zelo per le anime, ma ancor più grande è gradire... È questa una briciola che cade dalla mensa del Signore (Scr. 56,65).
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La Curia vescovile dichiara essere detta parrocchia affidata alla Congregazione dei figli della Divina Provvidenza. La nomina del parroco poi dovrebbe sempre farsi dall’ordinario diocesano su proposta del Superiore pro tempore della Congregazione. E, come è la prassi, il Parroco deve essere ad nutum Episcopi et Superioris Congregationis; cosicché quando esso non piaccia più alla Curia vescovile, il Superiore sia tenuto a rimuoverlo; e quando il Superiore ritenesse conveniente di rimuoverlo, la Curia lasci ch’egli venga rimosso (Scr. 58,58).
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Ora sei Parroco, e devi, in coscienza, consacrare la miglior parte del tuo tempo, della tua stessa vita ai tuoi Parrocchiani, a creare moralmente e materialmente la Parrocchia, appunto perché c’è tutto da fare: è la grave responsabilità che ti pesa, di cui Dio e la Chiesa chiederanno conto a te e alla Congregazione: la Parrocchia è il tuo campo precipuo e solo dopo la Parrocchia viene il resto, se si può fare. Ogni giorno ti esaminerai sui tuoi doveri di Parroco e pregherai per i tuoi Parrocchiani, vivi e defunti e ti consacrerai tutto al loro bene e salvezza. Dio ti domanderà conto, in primis et ante omnia, della cura come Parroco e pastore delle tue pecorelle (Scr. 68,102).
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In massima io e tutta la Congregazione dobbiamo sempre essere contrari ad accettare Parrocchie, e questo prego dire a Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Vescovo, e amerei si faccia conoscere parlando con i Sacerdoti di San Severino; e questa nostra poca disposizione è, non solo perché la cura parrocchiale può deviarci da quella che deve essere la vita religiosa, ma anche perché non dobbiamo mai togliere Parrocchie o benefici al Clero secolare, il quale ha una formazione apposita per la cura parrocchiale che noi, in genere, non abbiamo (Scr. 77,21).
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Noi non abbiamo che qualche Parrocchia, perché è proprio del nostro Istituto di evitare possibilmente di prendere Parrocchie, per cui difettiamo di Sante Messe anche pei nostri (Scr. 106,1).
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Difficoltà, in un primo tempo, ad accettare San Rocco era stata che io, non inclino ad assumere parrocchie, se non costretto da forti motivi, come fu qui per San Michele, e anche perché presso San Rocco d’Alessandria, così com’era, non senza l’acquisto d’uno stabile attiguo, non avrei potuto sviluppare un’istituzione a beneficio dei figli del popolo, com’è nostro fine (Scr. 117,107).
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Le parrocchie hanno rovinato in parte alcune Congregazioni, poiché i religiosi addetti alla cura delle anime in una parrocchia si secolarizzano un po’ (Par. V,339).
Vedi anche: Chiesa, Sacerdozio.
Pasqua
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In questa Santa Pasqua a nessuno mi sento più spiritualmente vicino che a voi, o carissimi nel Signore. Alleluia! Alleluia! Lodiamo insieme il Signore nelle soavissime gioie della Sua Risurrezione, fondamento granitico della nostra Fede, ed esultiamo con la Santa Chiesa e benediciamolo per le misericordie grandi di Dio sopra di noi e sull’umile nostra Congregazione! E preghiamolo di darci grazia di risorgere anche noi ad una vita più fervorosa e più santa (Scr. 51,113).
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Che le gioconde solennità della Pasqua di risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo ravvivino lo spirito della nostra fede, ravvivino il fervore della nostra santa vocazione. Ci conforti nel lavoro la presenza continua di Dio e il suo volto sia sempre verso di noi, suoi piccoli figli e la sua grazia sia con noi sempre e siano nostro scudo i suoi angeli benedetti fedeli ministri della Provvidenza di Dio. Oh come vorrei essere con voi tutti a fare questa santa Pasqua! Oh quanti soavi ricordi mi ridesta essa nel cuore! Nella solennità della Pasqua ho celebrato la mia prima Messa e nella Pasqua di dieci anni sono ho emessi nelle venerate mani di Mons. Vescovo i primi voti religiosi! Pregate, o miei cari, per me sempre e preghiamo l’un per l’altro e amiamoci nel Signore: questo piace al Signore: questo vuole da noi il Signore: che lo amiamo e viviamo in dolce carità fraterna: e così discenderà davvero sopra di noi «l’abbondanza delle celesti grazie» (Scr. 52,23c).
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Buona Pasqua! Buona Pasqua! è il saluto, è l’augurio che i figli della Divina Provvidenza inviano a tutti i loro benefattori: è un soffio, un profumo di preghiere e di gratitudine che oggi sale anime alle famiglie dei nostri generosi Amici e porta loro la pace e la benedizione del Signore. Buona Pasqua! Ovunque fosse una lacrima da asciugare, un’anima affranta o caduta da sollevare, da salvare, là vola, o caro foglietto mio, come voce di fede e di conforto, come preghiera umile di tanti innocenti fanciulli e innalza a Dio i cuori, a Dio che dal cielo risponde sempre con un raggio di bontà, con una parola di rinnovato perdono. Alleluia! Buona Pasqua! sento discendere le armonie e le melodie divine dei cieli. O miei benefattori, o pie e generose mie benefattrici, avanti nel bene, avanti! poiché accanto all’inno della natura e della vita vedo dilatarsi la grande melodia della Provvidenza Divina, che spargerà, assai più copiosa che non arrivi la nostra povera intelligenza, le sue misericordia! Alleluia, Alleluia! (Scr. 61,51).
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Alleluia! lodiamo il Signore! Gesù è risorto: vengo ad augurarVi buona Pasqua e ogni benedizione del Cielo! Alleluia! è il saluto, è il canto, pieno di letizia soavissima e di gaudio che ci rivolge la Chiesa nelle dolci solennità della Pasqua. Che consolante saluto! che canto dolce è mai questo: Alleluia! Alleluia vuol dire: lodate il Signore! Lodatelo, poiché Gesù è morto, ma per dare al mondo la salvezza e la vita. Lodatelo, poiché Gesù è risorto, perché noi, viventi della sua grazia, risorgiamo a vita più fervida di fede, di carità, di opere buone, di più alta luce in Lui nostra vita, nostra gloria, nostro Dio. Amici, Benefattori, Zelatrici Buona Pasqua! Alleluia! Alleluia! Alleluia! (Scr. 94,259).
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Carissimi nel Signore, Pax vobis! la pace sia con Voi Vengo a farVi gli Auguri di buona Pasqua: portino essi a tutti e a ciascuno di Voi la pace, le gioie e i gaudi della Risurrezione. Il Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato: l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, è morto, e, morendo, ha distrutta la morte. Ma oggi Egli è risorto glorioso e, risorgendo, rinnovò la vita! Siamo a Pasqua! La Pasqua segna il passaggio, Pasqua, in ebraico, è passaggio, dell’uomo decaduto, dallo stato di schiavitù di peccato e di morte, alla libertà dei figli di Dio e al possesso di tutta una vita nuova di grazia. La Pasqua cristiana è la nostra riabilitazione dinanzi al Cielo, è la risurrezione morale e spirituale della umanità (Scr. 99,242).
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Amici miei, è Pasqua! Pasqua vuol dire passaggio: la Pasqua ci ricorda la Risurrezione di Cristo: il passaggio della morte alla vita. Oh perché non passeremo anche noi dalla tiepidezza al fervore di spirito. Perché se qualcuno si sentisse lontano dalle sorgenti divine perché non vorrà risorgere dalla morte del peccato la fede energica del bene. Bisogna far Pasqua! purifichiamoci o amici dal vecchio lievito. È Pasqua! dobbiamo essere una pasta nuova come dice San Paolo senza il lievito di quel male morale che fermenta pervade e corrompe! Poiché la nostra Pasqua, il nostro Agnello pasquale, cioè il Cristo, “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo è stato già immolato”. Celebriamo questa dolce solennità non con il vecchio lievito, ma con gli azzimi santi della purità e della verità (Scr. 100,206).
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Gesù è morto, ma è resuscitato: Alleluia! Ed è risorto per essere il divino nostro lievito onde viviamo intera la fede e le virtù cristiane, diametralmente opposte agli inganni, alla malizia, alle passioni, che corrompono l’uomo. Gesù, risuscitato dalla morte, non muore più, Alleluia Anche noi, o Amici, purificati per la virtù di Lui dai vecchi lieviti nefasti con la grazia d’una santa Confessione pasquale, manteniamoci azzimi in ogni onestà e purezza: – di anima e di corpo, di cuore e di spirito, sì che tutta la vita arda e splenda di Cristo e nella Sua carità viva e incendi. Celebriamo dunque la Pasqua! Anche noi abbiamo una settimana pasquale da attraversare, ed è tutta la nostra vita cristiana. La “festa”, cioè la Pasqua, il santo passaggio dal peccato alla grazia o dalla tiepidezza al fervore di spirito, è per noi cominciato: il sacrificio del rito pasquale giudaico è compiuto: altra vita comincia. Cristo, il nostro Agnello pasquale è stato immolato, ed è risorto: Alleluia! Alleluia! Alleluia! (Scr. 100,232).
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Buona Pasqua! è il saluto, è l’augurio che I Figli della Divina Provvidenza inviano a tutti i loro Benefattori; è un soffio, un profumo di preghiere e di gratitudine che oggi sale alle anime, alle famiglie delle nostre generose Benefattrici e porta loro la pace e la benedizione del Signore. Alleluia! Buona Pasqua! Ovunque è una lacrima da asciugare, una anima affranta o caduta da sollevare, da salvare, là vada l’Augurio nostro come voce di fede e di conforto, come preghiera umile di tanti innocenti fanciulli e orfanelli e innalzi i cuori a Dio che dal Cielo risponde sempre con un raggio di bontà, con una parola di rinnovato perdono. Alleluia! Buona Pasqua! O nostri Benefattori, o pie e generose nostre Benefattrici, avanti nel bene, sempre avanti! e che, accanto all’inno della natura e della vita, si dilati la grande melodia della Provvidenza divina e sparga più copiosa che non arrivi la nostra povera voce, le Sue misericordie, le sue grazie su Voi e sui Vostri Cari! Alleluia! Alleluia! Buona Pasqua! O santo augurio di pace tutta spirituale e cristiana e quindi tutta piena di giustizia e di onore, va lieto, mentre le campane echeggiano a gloria per le città e pei villaggi: va, come un’onda di gioia, auspice di quella benedizione che il buon Dio vorrà concedere a tutti i misericordiosi nel giorno infinito della eternità: va, dolce come il canto degli Angeli, soave come la carità del Signore! Buona Pasqua! Alleluia! Alleluia! Alleluia! (Scr. 108,159–160).
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Si allieti la Santa Chiesa, fondata su la Pietra di Pietro, adorna e bella di luce sì meravigliosa e l’aula dei suoi templi echeggi delle grandi voci dei popoli esultanti. Magnifichiamo il Signore nella gloria della Risurrezione, camminiamo fidenti verso la Galilea celeste, dove Gesù ci precede, nutriti, corroborati dai Sacramenti Pasquali che la Chiesa, gran Madre della Fede e delle anime, conservatrice del Sangue incorruttibile di Cristo, ci porge. La Santa Chiesa – la Chiesa che sola meriti il nome di Madre e il nome di Chiesa; Chiesa una e universale, che parla da Roma la parola infallibile del “dolce Cristo in terra”. Siamo a Pasqua: buona Pasqua a tutti! Alleluia! Alleluia! Alleluia! E gloria, onore, amore, adorazione a Te, o Cristo Gesù, che ti sei degnato di morire e di resuscitare per noi (Scr. 114,73).
Vedi anche: Natale.
Passione (di Gesù)
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Tutta la Quaresima è consacrata a meditare i patimenti e la morte di Gesù Cristo; ma le due ultime settimane, quella di passione e la Settimana Santa, ci ricordano più vivamente l’anniversario del più sacro tra tutti i misteri della Fede, onde la Chiesa ne fa il soggetto di pubblici e più solenni offizii. Dobbiamo dunque, o miei cari fratelli Eremiti, raddoppiare il nostro fervore e assistere alle sacre funzioni con un cuore veramente compunto dal pentimento dei nostri peccati. Ai primi Vespri della domenica di Passione si coprono le croci e le sante immagini possibilmente con veli di colore violetto o nero, sui quali non ci deve essere alcuna pittura. E la Chiesa vuole così manifestare, più solenne e più sensibile, il dolore onde è immersa e per ricordarci che nostro Signore, prima della sua passione – non si mostrò più in pubblico. E non c’è più il Gloria Patri. Si tralascia dalla domenica di Passione il salmo: Judica me Deus al principio della Messa e la Santa Messa è tutta dominata dal ricordo del sacrificio del Golgota. Noi, o miei cari figlioli, dobbiamo penetrarci bene dello spirito di dolore della S. Chiesa; offriamo a Dio il sacrificio delle nostre lacrime, le quali sono come il sangue che facciamo scolare dai nostri cuori immolati dalla penitenza, lacrime che noi versiamo umilmente davanti al Signore, secondo una bella espressione di Sant’Agostino. La Settimana Santa era chiamata, anticamente, la grande settimana, per le grandi cose che Dio in essa ha operato. Alla domenica, la processione con i rami d’olivo, ricorda l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme, sei giorni prima di essere crocifisso: prima di bere il calice della sua passione, Gesù volle essere riconosciuto e solennemente accolto come il Messia e il Salvatore del mondo, come il re dei cuori (Scr. 30,215–216).
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Se Dio vi darà grazia di potere, in questi giorni di Passione, soffrire qualche cosa, alzate gli occhi e il cuore al Crocifisso e imparate da lui a patire, a perdonare e a pregare per chi vi fa patire (Scr. 36,82).
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E anche per lei, veda di meditare molto la passione e la morte di n. Signore Gesù Cristo e allora imparerà dal Signore e dalle sue S. Piaghe che bisogna spesso fare per amor suo quel che non si vorrebbe e lasciare andare quel che si vorrebbe. In questo modo e in altre somiglianti cose si va formando lo spirito di mortificazione e di annegamento religioso; e il Signore prova di frequente con l’amaro i suoi servi e le sue serve per assomigliarli a lui, che fu sempre e fu tanto amareggiato. Andiamo dunque avanti lietamente sempre nel Signore (Scr. 39,78).
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Non so se per Pasqua scriverò più, perché veramente qui avrei da lavorare molto, ma sarò unito a loro tutti nel pregare e meditare la passione e la morte e la risurrezione di n. Signore (Scr. 49,82).
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Ogni 1° venerdì del mese si faccia la S. Comunione da tutti. Essa sia la Comunione riparatrice offerta al cuore di Gesù secondo la mia intenzione. Gesù Signore nostro ve ne ricompensi. II/ In ciascuna settimana, al venerdì, si faccia digiuno in memoria della passione e morte di n. Signore Gesù Cristo (Scr. 52,12).
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È necessario essere Figli della Divina Provvidenza non solo di nome, ma di fatto. Noi dobbiamo con la divina grazia morire a noi per imitare la passione di Cristo, se non è in noi questa volontà di morire con Cristo, non è in noi neppure la vita di Cristo (Scr. 55,322).
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Chi ama Dio gode sempre! Il dolore non si differenza più dalla gioia, allora diventa tutta una gioia la vita, ed è un paradiso. Fin la passione di Cristo nella sua morte diventa una gran gioia, ed è la gioia la vita del mondo (Scr. 57,170).
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Annunzia loro triboli e spine, prove dure e aspre: il sentiero del Calvario, i chiodi, la croce, la morte con Gesù e ai piedi di Gesù Crocifisso. Fa’ che meditino molto, moltissimo la Passione e Morte di N. Signore e dì loro frequente che dobbiamo conformare la nostra vita alla vita, passione e morte di Gesù Cristo: solo per la via del Calvario si va al Signore e conformandoci in tutto a Lui, con la sua grazia, per quanto alla nostra miseria è dato (Scr. 70,99).
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Quali sono le principali difficoltà o impedimenti: i beni della terra – a questi opponiamo la povertà e la considerazione della povertà in Gesù Cristo, nella sua nascita, gioventù, vita e morte – l’abbandono delle persone care – l’abbandono che soffrì a queste Nostro Signore nella sua Passione e morte. i disprezzi – confortiamoci, meditando i disprezzi di Gesù nella sua passione e morte – i dolori della vita – i dolori e la morte di Nostro Signore (Scr. 80,31).
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Caro mio figliolo, sono questi i giorni della Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo. La Passione di Gesù Cristo Signor Nostro vuol essere il più caro pascolo del nostro spirito, insieme con i dolori di Maria Santissima (Scr. 103,146).
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Si avvicinano i giorni che ricordano la passione e la morte di nostro Signore, ed io quest’anno non ci sono preparato. La mia anima è arida e vuota. Preghi per me (Scr. 116,4).
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Gettati nelle braccia di Gesù Crocifisso e della Madonna Addolorata, caro figliolo mio e in questi giorni che più vivamente ci ricordano la passione e la Croce del Signore, non lasciarti scuotere dal dolore della vita presente e da queste tue prove e tribolazioni ben penose, poiché tu sai che a questo noi, seguaci di Gesù Crocifisso, siamo destinati: alla corona per il tramite della Croce, onde sta scritto “che dobbiamo entrare nel regno di Dio, per molte tribolazioni” (Scr. 121,194).
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Che cosa farete voi, buone figliole del Signore? Bisogna pur fare qualche cosa che ci prepari alla Santa Mestizia della Passione di nostro Signore. Oggi è Venerdì; fate la Via Crucis, fatela con spirito di vera pietà e di penitenza; la farete tutti i venerdì per penetrarvi al cuore e le ossa dello spirito di penitenza, cercando di sentire il grande amore da cui era infiammato il Cuore di nostro Signore, quando faceva la Via dolorosa della Croce (Par. I,123).
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Facciamo bene la Via Crucis, cerchiamo di penetrare bene i misteri della Passione di Gesù, diamo a lui tutta la nostra vita, Ha tanto sofferto! Ed è morto per noi! (Par. I,124).
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Consacriamo il Venerdì alla meditazione della Passione di Cristo... Deve essere nostra premura, per il bene nostro individuale, per il bene comune della nostra piccola Congregazione e per il bene di tutto il mondo; essere devoti di Gesù Crocifisso... Perciò nelle riunioni dei Sacerdoti si è deliberato che in ogni Chiesa della Congregazione, sull’altare maggiore troneggi l’immagine di Gesù Crocifisso. Il centro di tutta la nostra fiducia e speranza è la Passione di Gesù. È brutto segno che nella Chiesa l’amore e la devozione a Gesù Crocifisso vada affievolendosi. E non dobbiamo mai dimenticare che questa devozione è la devozione principale della nostra piccola Congregazione. Quante anime buone spendono il Venerdì alla meditazione della Passione? La devozione a Gesù Crocifisso si può dire che è la prima devozione della nostra Congregazione (Par. III,126).
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Sia, questa Settimana, la grande Settimana della nostra conversione, sicché possiamo proprio partecipare al dolore profondo della passione di Gesù e poi alla dolce gioia della Pasqua, come veramente richiede la Chiesa. Uniamoci al Signore così da formare con tutta e per tutta la nostra vita l’anello d’oro di amore, di divina carità, di unione con Dio (Par. VI,83).
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Amiamo Gesù Cristo e diffondiamo la devozione al Sacro Crocifisso e meditiamo frequentemente la passione e morte di Gesù in Croce. Diceva Santa Teresa: il legno della Croce è il legno che accende meglio nei nostri petti il fuoco del santo amor di Dio. Siamo devoti e facciamo visite frequenti a Gesù Sacramentato e vediamo di nutrire delle carni immacolate dell’Agnello di Dio la nostra vita e le nostre anime (Par. VI,191).
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La Liturgia ci dice: Regnavit a ligno Deus. Gesù regnò dalla Croce. Perciò questa devozione ci è venuta, a guardare bene, dalla Festa in cui si devono meditare i misteri della Passione... Ve la raccomando tanto questa devozione! Abbiatela come la devozione principe. Mi direte: più dell’Eucaristia? Sì, più dell’Eucaristia! (Par. VIII,234).
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Il venerdì poi, è il giorno della nostra redenzione, è il giorno dei dolori e della Passione del Signore, è il ricordo della Passione del Signore: serve molto ad eccitare il dolore dei nostri peccati. Cercatevi un confessore che non alzi solo la mano per darvi l’assoluzione, ma che vi parli franco, che sia un vero medico spirituale, che quando è tempo di scuotervi, vi scuota e quando è tempo di dirvi una parola di conforto ve la dica; ma non andate a cercare né sordi né ciechi (Par. XI,155).
Vedi anche: Pasqua, Quaresima.
Patria
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Vedo con profonda pena che la nostra amata Patria attraversa un momento doloroso. Voglio offrire un dato numero di posti gratuiti nei nostri istituti, per eventuali orfani di guerra, dacché ho rilevato che ora muoiono non solo degli ascari, ma anche italiani (Scr. 18,211).
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Ricordiamoci che, benché l’inclinazione naturale ci porti a restringerci, nel fare il bene, alla nostra patria – tuttavia il principio evangelico della beneficenza e della carità universale è quello solo che, diffuso e predicato, può apportare una vera pace al mondo e, insieme con la pace, tutti i beni. Noi amiamo la nostra patria, ma tutto il mondo è patria per il figlio della Provvidenza che ha per patria il Cielo (Scr. 20,95).
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Ma noi, che sappiamo bene distinguere patria da governo, e da forme di governo, noi rispettiamo anche l’Autorità e la amiamo, ed educhiamo i nostri giovani al rispetto, all’amore e all’obbedienza dell’Autorità civile e politica come di quella religiosa Noi amiamo il nostro paese, e facciamo voti perché l’Italia, riconciliatasi finalmente con la Santa Sede, sia libera dalle sette, sia grande, sia gloriosa: oh quanto sarebbe più grande e più gloriosa se fosse ufficialmente amica e figlia della chiesa! Per la patria noi siamo pronti a dare la vita. Ed effettivamente noi già sacrifichiamo tutta la nostra vita per dare all’Italia dei figli degni e onorati. Ma noi amiamo anche, e di un amore che sa di più alto, che sa di più grande di più dolce, di più filiale, di più santo la nostra santa madre chiesa, la chiesa madre di Roma e il nostro Papa, perché la chiesa è la vera madre della nostra fede e delle nostre anime e della parte più viva, più spirituale ed eterna di noi (Scr. 20,96).
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Tutto il mondo è patria per il figlio della Provvidenza che ha per patria il cielo. Stiamo attenti perché la nazionalità spesso sa di imperialismo e di egoismo, e si sostituisce facilmente alla carità; e non si può essere perfetti nella carità se non a condizione di spogliarci dei particolarismi ed egoismi delle nazionalità. La carità si fa tutto a tutti, e però bisogna rinunziare per amore della carità ai costumi della propria nazione e della propria regione, e adattarsi a quelli delle popolazioni tra cui si vive (Scr. 20,97).
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Ogni nazione ha i suoi destini e la sua missione da Dio. È provvidenziale che l’opera di rigenerazione parta dall’Italia, dalla Chiesa e dalla nuova Italia, perché il mondo sappia che, nei momenti della sua maggior apprensione morale e sociale, l’Italia tiene il primato fra tutte le Nazioni. A quest’opera noi vogliamo modestamente, ma decisamente cooperare: è questa un’opera altamente cristiana e di vero patriottismo. Vogliamo portare un soffio potente di vita spirituale e di purissima vita italiana. Levati e cammina. Vogliamo invadere le città e le campagne, le officine, la scuola, i tuguri: vogliamo invadere il cuore dei giovani, il cuore del popolo lavoratore, il cuore dei poveri. Noi vogliamo essere una forza di fede, una forza di italianità, una forza dottrinale, ma nella carità, facere veritatem in charitate: vogliamo essere una forza di apostolato, una forza di espansione (Scr. 31,263).
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Dobbiamo formare degli onesti giovani, dei giovani laboriosi, fattivi di bene, degli onesti ed integri cittadini amanti della loro patria, perché anche l’amore di patria è uno dei più sacri amori del cuore umano (Scr. 32,14).
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Mio campo è quella carità che non vede partiti: mia politica è quella che tutti vorrebbe abbracciare e tutti salvare, specialmente i giovani, educandoli ad onesto vivere cristiano e civile, e ad amare, sino al sacrificio, la nostra Patria con vero ed alto sentimento di italianità, superiore ad ogni fazione, superiore ad ogni settarismo, da qualunque parte provenga e di qualunque colore (Scr. 37,54).
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Dare alla chiesa dei figli, e all’Argentina dei cittadini onesti e laboriosi, che la onorino e la difendano, occorrendo, perché l’amore alla patria è pure dei più sacri amori del cuore umano: Nihil patria dulcius non è dei pagani, ma in Gloss. Int. super Ierem, c. 7, e nei Maccabei è detto: Et usque ad mortem pro legibus, templo, civitate, patria et civibus starent. (2 Mac. 13, 14) E nostro Signore pianse guardando a Gerusalemme dall’alto del monte, quando di Gerusalemme non doveva rimanere pietra su pietra. E sempre la chiesa ha educato i popoli all’amore cristiano della patria. Dunque noi veniamo fidati nella Provvidenza di Dio, e confortati dalla benedizione dei pastori della chiesa e del santo Padre Benedetto XV, animati da tante persone egregie e benefiche, e veniamo per educare ad onesto vivere cristiano e civile la più povera e derelitta gioventù, e per farne dei bravi operai, degli onorati padri di famiglia e anche – e ciò senza reticenze, dei buoni patrioti argentini, degli uomini degni del loro invidiato e glorioso paese (Scr. 48,269).
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Come negli Istituti che ho in Brasile, in Argentina, a Rodi, in Palestina, i miei Religiosi tutti italiani tengono alto e onorato il nome della Patria, e si adoprano per l’educazione cristiana e civile dei figli degli italiani all’estero, crescendoli all’amore e per la prosperità della nuova Italia, così i religiosi, che sono e manderò nell’Uruguay, faranno del loro meglio per alimentare la Fede degli avi e l’amore alla Madre Patria lontana, che è tra i più sacri amori del cuore umano (Scr. 51,218).
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La causa della religione e della Patria richiede campioni forti, prima di virtuosi intenti, poi di sapere e di gentilezza. Sarà perciò il pensionato una casa di miglioramento e di intensa coltura morale, religiosa e civile per la buona riuscita della gioventù studiosa e per l’avvenire della Patria diletta (Scr. 53,16).
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L’idea il palpito dell’amor di patria risale alla culla dei popoli. La Patria! quale augusta figura! Le simpatie più ardenti, gli slanci più sublimi, le immolazione più devote, non circondano forse la Patria? Sacro, immortale amore! come l’amore a mia madre non ha bisogno d’essere insegnato, ma sgorga dalle viscere della vita, così l’amore di Patria è scolpito da Dio nei cuori. Non si concepisce patria senza altare, non patria senza Dio, come non vi è corpo vivo senz’anima – Da per tutto Religione e Patria andarono sempre congiunte nello stesso pensiero, nello stesso amore (Scr. 56,60).
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L’amor di patria è una virtù comandata dalla Religione San Tommaso, Maestro di Dante, chiama questa virtù con il bel nome di pietà e dice che essa ha tre oggetti e i tre sono poi i tre sacri amori del cuore umano o, meglio, del cristiano Religione, famiglia e patria andarono sempre uniti nei più grandi popoli, nei più grandi uomini, nei più grandi ingegni i motivi per cui il cristiano deve vivere: servire Dio: migliorare sé stesso; procurare il bene del prossimo – Qual è il I prossimo? quello che s’incontra sulla terra che fu l’abitazione della n. famiglia: Patria da «terra patrum»: terra dei padri Nessun uomo e nessun popolo hanno fatto cose grandi, senza avere una gran fede – Molto da voi la Chiesa e la patria aspettano diligite alterutrum – una forza nuova (Scr. 56,140).
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La nostra politica deve consistere nel portare a Dio e alla Chiesa la gioventù e le anime, a qualunque partito esse appartengano. Noi amiamo la nostra patria di un forte e sacro amore, e la vogliamo cristiana, libera e grande, e per essa siamo pronti a dare la vita. E dobbiamo pregare per la nostra patria. Noi amiamo di un amore più sacro e più grande e la Santa Chiesa e il Papa, perché la Chiesa è la Madre delle nostre anime e della nostra fede, e il Papa è il nostro Padre e il dolce Cristo in terra, e li vogliamo da tutti rispettati, e li vogliamo liberi, e preghiamo per essi e con amore dolcissimo di figli siamo pronti a dare per loro la vita (Scr. 79,295).
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Ricordiamo che l’avvenire della Patria è nelle mani dei giovani; a noi tocca di educarli a tali principi e a tali alte sorgenti di vita e di spirito che essi abbiano da renderla civilmente e religiosamente più grande. I giovani avranno istruzioni morali e religiose e saranno trattenuti in buone letture, giochi ginnastici, teatrini, cinematografo e con divertimenti piacevoli ed onesti atti a imprimere quei principii di educazione cristiana e civile che valgano sempre più ad ingentilire il loro animo e a formare buoni cittadini utili a sé alla famiglia e alla Patria (Scr. 98,275).
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Oh! la Patria! Sacro amore di ogni spirito educato, dolce tesoro per ogni cuore onesto e buono! La Patria che tutti ci affratella in un sono linguaggio, in un solo vincolo, in una sola aspirazione. Noi cattolici l’amiamo questa Patria con occhi che sanno piangere per essa, con labbra che dicono per essa le più calde parole di affetto, con braccia che si tesero, coll’impeto dei nostri soldati cristiani, a compiere la sua grande vittoria... l’amiamo coll’opera onesta e modesta di ogni giorno... l’amiamo in Dio e la vogliamo grande libera e gloriosa. Noi non siamo dei fanfaroni, che lanciamo al vento dei vani evviva e dei facili applausi. Ed anche quando ci flagellano coll’odio con le accuse lanciate sul nostro Pontefice sul nostro nome sul nostro lavoro, allora ancor più noi diamo alla Patria l’omaggio del sacrificio, del dolore, dell’unione, della concordia, della pazienza... per la sua grandezza, per la sua libertà, per la sua gloria. Viva l’Italia! (Scr. 104,164).
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Tortonesi, l’Oratorio festivo, l’opera della salute dei vostri figli, è nelle vostre mani! Non è possibile amare la nostra Città, non è possibile avere fede nei destini della Famiglia, della Chiesa, della Patria senza amare di intenso amore, senza volere di efficace volontà il bene di tanti giovani che della Famiglia e della Chiesa e della Patria sono le speranze più belle! (Scr. 115,245).
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Altro è lo Stato, altro è la Patria. Alcune volte questa differenza si fa tanto palese, che è necessario contrariare lo Stato appunto perché si ama la Patria! Una nazione senza libertà non vive (Par. V,354).
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La patria si ama compiendo opere di carità, di misericordia, tali che basterebbero a divinizzare il Cristianesimo! Leggete Silvio Pellico! Egli dice veramente quale è il vero amor di Patria. E si trovano ne I doveri degli uomini. Sembra che quelle parole siano state scritte per i nostri tempi! Egli dice che bisogna guardarsi da chi grida: Patria! Patria! e poi non la onora, la Patria, con la vita cristiana e onesta e domani sarebbe pronto a darla in mano a gente disonesta! Come parleremo della nostra Patria? Ne parleremo come figli affezionati e buoni. Guardiamoci però dal fare politica (Par. XI,9).
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Amare la nostra Patria di qualunque terra siamo, gioire delle gioie della nostra Patria e partecipare dei dolori della medesima. Ciascuno deve amare la sua Patria evitando certe pose che sarebbero sconvenienti alla religiosità ed allo spirito di convenienza proprio di un sacerdote. Amare la nostra patria di qualunque terra noi siamo; gioire delle gioie delle gioie della nostra Patria... Ciascuno deve amare la sua Patria, evitando però certe pose che sarebbero sconvenienti alla religiosità e allo spirito di un sacerdote (Riun. 27 agosto 1937).
Vedi anche: Ex allievi, Famiglia, Questione romana.
Patronato Regina Elena
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Oggi arriva una lettera da don Fiori con cui avvisa che avremo facilmente una ispezione in tutti i nostri Istituti da parte del Ministero, perché si sono trovate gravi irregolarità nella contabilità degli Orfani del Patronato R. Elena. E vengo a conoscere che ad es. l’orfano Domenico Del Rosso, il quale è uscito di minorità dai primi di gennaio del 1923 (da più di un anno) fu qui sempre messo in contabilità per L. 300 al mese – Si finisce che don Orione fa proprio la figura d’un ladro volgare dello Stato. E c’è una lettera di fuoco anche del Patronato. Cosicché bisognerà ora restituire più di L. 3900, anzi più di L. 4000 al Patronato. Sono veramente disonestà da vergognarsi! Quante e quante volte ho detto: andate diritti, andate con l’onestà! No! Io devo andare a Roma, certo entro la prossima settimana: come mi posso presentare al Patronato o alla Spalletti. E Dio voglia che non avvengano inchieste e che tutto finisca così (Scr. 15,52).
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Sono qui in mezzo ad un lavoro immenso, perché sono ora anche Delegato del Patronato Nazionale Regina Elena che corrisponde a Genova con la marchesa Camilla Groppallo. Ho la cura degli orfani (Scr. 39,5).
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Io sono pronto ad uscire dal Patronato ad un cenno del Santo Padre, che è già stato informato di tutto da Mons. Vescovo. Togliermi senza che il Papa lo sappia, non posso. Fui mandato a lavorare nel Patronato da Pio X di s. m.: io non conoscevo affatto la Spalletti né altri; fatto Papa Benedetto XV, gli ho fatto presentare un memoriale, dove esponevo tutto e poi andai in udienza e mi disse di continuare e anche dopo approvò che continuassi. Ora gli ho fatto chiedere, dopo che so che egli è stato informato di tutto da Mons. Vescovo dei Marsi, se crede venuto il tempo che io mi ritiri e nulla d’altro gli ho fatto dire, per andare proprio in Domino e non aggiungere nulla di mio. Con la grazia del Signore e attaccandomi ogni giorno alla Madonna SS., so di aver servita nel Patronato la causa della Chiesa e delle anime, da sacerdote di Gesù Cristo, (benché indegnissimo) e da figlio umile e fedele della Sede Apostolica. La mano del Signore mi ha sempre sostenuto, ed ho potuto lavorare così in mezzo a molti massoni: Finocchiaro aprile, testé morto e che era del Supremo Consiglio dei 33: era pure nel Consiglio del Patronato. È un grave errore pensare che nel Patronato io posso fare tutto; cerco di fare più che posso, con l’aiuto di Dio, ma non riesco che in parte. Tuttavia io penso con amarezza: chi entrerà ora a prendere il posto di questo povero sacerdote, in un’istituzione così laica? (Scr. 43,159).
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Le chiedo scusa del ritardo a rispondere alla gradita sua che mi rivolse il 17 sett.bre, onde avere notizie circa le beneficenze esercitate da Sua Santità Benedetto XV a favore della sfortunata Marsica, in occasione del terremoto. So che quel Papa, dal cuore pieno di carità, dava a tutti dava sempre e senza misura; ed ho udito che, anche per il terremoto della Marsica, ha largheggiato tanto. Come per il terremoto Calabro–Siculo ero delegato del Patronato Regina Elena per gli orfani a causa del disastro; avevo vitto per essi e per me, viaggi gratuiti, franchigia postale e telegrafica. Non ho avuto alcun sussidio dal Santo Padre, perché nulla mai gli ho chiesto e non ne avevo bisogno. Riservato: c’era però un’intesa tra il delegato Pontificio pro orfani e me: ho indirizzato a Roma, ad istituti religiosi maschili e femminili, quanti più orfani e fanciulli derelitti o, in qualche modo, bisognosi di ricovero, anche temporaneo, per toglierle a pericoli, specie le ragazze: ne mandai, dico, quanto più ho potuto, a vagoni! E la grande carità del Papa faceva trovare le porte degli istituti religiosi sempre aperte e pagava lui o, certo, molto lui ha dato (Scr. 43,452).
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Il sottoscritto, sac. Orione Luigi, espone rispettosamente a codesta Onorevole commissione quanto segue: egli ha aperto da oltre dieci anni alle porte di Roma, a Monte Mario, vicolo Massimi, n. 5 A, un orfanotrofio Colonia–scuola agricola che dà ricovero a circa settanta poveri fanciulli, orfani o derelitti, raccomandati sovente dalle Autorità o dai comuni, perché figli abbandonati o già compromessi con la giustizia. Una parte considerevole sono orfani del recente terremoto d’Abruzzo, a me affidati dall’Opera Nazionale di Patronato Regina Elena. I piccoli ricoverati frequentano le scuole suburbane di Sant’Onofrio sino alla V elementare e poi fanno un corso di agraria per quattro anni nella Colonia–scuola e vengono in tal modo avviati a guadagnarsi un pane onorato (Scr. 44,245).
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Sento il dovere di esporre a vostra Eminenza quanto segue: Ieri sera, sabato 6 corr. giunsi da Messina a Roma e doveva due ore dopo ripartire per Tortona. In quel frattempo, andai dalla Contessa Spalletti, presidente del Patronato Regina Elena per pregarla di interessarsi per le sostanze di parecchi bambini di ricche famiglie rimaste in mano insieme con i pupilli di persone che danno affidamento. non essendosi ancora a Messina costituito nessun comitato del Patronato, aveva dovuto telegrafare e scrivere ripetute volte in questi giorni e all’Onor. Chimirri per la nomina di un ufficio legame di tutela e alla stessa Spalletti – e mi ero messo in relazione con codesti personaggi dietro una parola che quindici giorni fa mi aveva detto il Santo Padre (Scr. 48,45).
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Qui per i ragazzi non s’è fatto nulla: e ieri fui delegato dal Prefetto di raccogliere tutti gli orfani, così potrò avere a mia volta dal Patronato Regina Elena gli orfanelli, che chiederò, essendovi ora una legge che li affida tutti a quel Patronato (Scr. 49,75).
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Io sto molto bene di salute e trovo che il lavoro mi cresce di giorno in giorno. Ora sono il delegato del Patronato Nazionale Regina Elena; mi sono messo io in mano del Patronato Nazionale Regina Elena per non lasciarci cadere gli orfani e finora non ce ne ho dato uno: li vado collocando di qua e di là: ne sono partiti anche oggi per le suore di don Bosco di Catania. Il Signore mi da molto aiuto e consolazioni. Vostra Eccellenza Rev.ma preghi per me: io voglio amare Dio e consumarmi di lui e delle anime pure sono sempre allo stesso livello. Adesso, se piacerà a nostro Signore, vorrei fare una cappella dove si dica sempre (eccetto nelle grandi solennità e feste) la messa pei morti del terremoto: me lo ha scritto il Santo Padre e so che approverà (Scr. 49,80).
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Il sottoscritto, delegato del Patronato Nazionale «Regina Elena», per gli orfani del terremoto del 28 dic. 1908, prega v. Sig.ria ill.ma di permettergli l’impianto di due attendamenti (padiglioni Roma) uso militare, ove collocare in via provvisoria gli orfani e le orfanelle raccolte in Messina e dintorni, al serbatoio Noviziato, sedime di proprietà del comune di Messina (Scr. 50,225).
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Esco dal Patronato per essere figlio umile e fedele ai piedi della Chiesa, capendo di avere sempre – per la grazia del Signore – servita nel Patronato la causa della Chiesa e delle anime, da figlio amatissimo e fedele della s. sede. Ebbene non occorre neanche che io vada dal Papa. Domani il Papa mi manda a dire di continuare, ed io continuo a fare tutto quel poco di bene che potrò: domani il Papa mi manda a dire di uscire ed io sarò felice di uscire e so di poter uscire a fronte alta con il divino aiuto, da sacerdote di Gesù Cristo (Scr. 50,307).
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Ill.mo Signor Pretore di Tortona, Alcuni mesi sono, inviai a V. Sig.ria Ill.ma una raccomandata, pregandoLa dispensarmi dal far parte del consiglio di famiglia delle Ottaggi. Vedendomi oggi giungere nuovamente l’invito per il 12 corr. m., Le rinnovo la preghiera, poiché perdurano le cause della mia lontananza, essendo delegato qui per l’Opera di Patronato Regina Elena e a reggere, in via temporanea, ma per un periodo di tempo non così breve, questa Curia Arcivescovile (Scr. 66,219).
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Il Signore si è degnato liberarmi dal peso del Vicariato e, prima di lasciare queste terre, ove ci siamo incontrati dopo il disastro, compio il dovere di comunicarle la lieta notizia. Ho lasciato Messina dalla scorsa settimana e stasera andrò a Cassano Jonio a condurvi un orfano e a trovare quei cari figlioli. Dopo, mi ritirerò a fare gli Esercizi Spirituali poiché ho una grande sete di pace. Dal Patronato non ho dato finora le dimissioni, vedo che farci entrare un altro prete sarà difficile, con l’elemento che vi predomina, tuttavia le darò, dopo avere sentito a Roma; ché come non ci sono entrato di per me tra quella gente, così intendo pienamente rimettermi alle disposizioni dei Superiori (Scr. 67,249).
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Domanderei la grazia di una udienza privata per fare atto di devozione al Santo Padre e per conoscere la Sua volontà su questo. È dal gennaio del 1909 che faccio parte dell’Opera Nazionale di Patronato Regina Elena per gli orfani del terremoto Calabro Siculo, di cui è presidente effettiva la Contessa Spalletti e Onoraria la Regina Elena. Più d’una volta e anche pochi mesi sono, nel dare a Lui conto di quel po’ di lavoro e delle difficoltà che incontro, Gli ho chiesto se dovessi ora ritirarmi. Ma Egli finora volle che rimanessi e per il male che potevo impedire e per il bene che, a parer Suo, vi potevo fare; e anche perché un altro sacerdote vi sarebbe ricevuto. Con l’aiuto di Dio – più che tre quarti – alcune migliaia di orfani superstiti vennero affidati a persone sicure e anche quasi tutti gli orfanotrofi, che il Patronato ha aperto sin qui, poterono passare in mano di suore o di religiosi. Trattandosi, per altro, di un’opera laica, ove devo essere di frequente con persone che poco sentono con la Chiesa – per posizione politica, lontane da essa, non mi sentirei di poter continuare sicuro, senza una parola del Santo Padre e la Sua benedizione. E ciò anche perché dietro me viene, per quanto piccolo, un Istituto, il quale è ai suoi primi passi, ma, insieme con me, intende di essere umile e fedele ai piedi e ai desideri del Vicario di Gesù Cristo. Io non conoscevo nessuna di queste persone, ed è stato il Santo Padre Pio X, il quale, venuto il terremoto, volle che le avvicinassi ed entrassi nel Patronato (Scr. 74,179).
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Nobile Signora Presidente, anche non mi faccia vivo come prima, io sono sempre il servo fedele del Patronato: sono sempre con tutta l’anima mia per i nostri cari orfani. Quando vedo che c’è chi fa e fa bene, io mi ritraggo e cerco di utilizzare l’opera mia in qualche cos’alta di bene; però, quando venisse un bisogno, od occorresse in qualche modo la modesta attività mia, io sarò sempre desto e pronto a servire Dio nei nostri orfani e in questa santa e veramente provvidenziale istituzione del Patronato. La finalità alta e morale del Patronato pochi, mi apre, l’hanno tutta sentita, ma risulterà fra una decina d’anni e allora si vedrà quale opera grande si è compiuta e quanto il Paese debba essere onorato di quest’opera, uscita da suo seno nell’ora del più acerbo dolore nazionale (Scr, 101,92).
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Beatissimo Padre, Vostra Santità conosce bene come fin qui abbia io continuato in quel posto presso il Patronato Regina Elena, che mi metteva nella possibilità di curare la educazione cristiana degli orfani del terremoto. Più di quattro quinti di essi ho visto affidati per la grazia di Dio, o a Religiosi o a Suore. Ma ora l’opera mia si troverebbe paralizzata da nuove e più nemiche influenze, contro le quali dovrei, in parte, restare quasi inerte spettatore. Sarà aperto a giorni in Frascati un Orfanotrofio femminile che, malgrado i miei sforzi, verrà affidato a mani laiche e raccoglierà giovanette ora educate da Suore. Data questa dolorosa situazione che mi si crea, oso domandare a Vostra Santità di compiere, anche in questo doloroso caso, i voleri e i desideri di Vostra Santità. E qui stimo doveroso far presente che il Comitato di Messina, dal quale dipende il maggior numero di orfani e di cui sono Vice–Presidente, è, purtroppo, quasi tutto composto di massoni. E così mi pare moralmente certo che, ritirandomi io, non sarà permesso a nessun altro Sacerdote di entrare nel Patronato. Il Comm. Sofio poi, uomo di valore e di sentimenti cristiani, già Presidente a Messina e che condussi ai piedi di Vostra Santità, è passato a miglior vita (Scr. 101,96).
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A Cassano Jonio faranno la prima Comunione cinque orfani che hanno già diciotto e diciannove anni, che erano cinque barabba. Il Patronato Regina Elena li fece cambiare parecchi Istituti a Napoli, a Milano e altrove e sempre o fuggivano o si diportavano malissimo e si facevano mandar via. Ora il Patronato, non sapendo più che farne, li ha affidati alla Divina Provvidenza e la religione fece in essi quel cambiamento che i sistemi moderni di educazione senza santo timor di Dio non poterono ottenere: essi si sono avviati bene nella pietà e nel lavoro e riceveranno ora per la prima volta Nostro Signore (Scr. 107,97).
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Venuto il terremoto della Calabria e della Sicilia, fui mandato in mezzo a quelle macerie ed ebbi qualche incarico dal Santo Padre e dal Governo e rimasi due anni delegato del Patronato degli Orfani Regina Elena per aiutare i poveri fanciulli e salvare le loro sostanze... Durante quel tempo, vidi certe scene di orrore che mi fanno raccapricciare solo al pensarci. È proprio vero che il denaro fa commettere atti nefandi e crudeli. Io vidi certi zii sopprimere delle povere creature per impadronirsi dei loro averi e, dove tutti fuggivano, i Milanesi rimasero fermi e offrirono le loro braccia a pro di tanti derelitti (Par. IX,453).
Vedi anche: Orfani.
Patroni (santi)
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Pensi la mia consolazione che il Cardinale abbia proprio scelto la festa di San Pietro Apostolo, che è il nostro Santo Patrono della Congregazione e che è la pietra ferma della nostra fede e attaccamento a Gesù Signor nostro e alla S. Chiesa (Scr. 25,234).
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Mi è assai dolce in questa solennità di San Giuseppe il quale non solo è Patrono Universale della S. Chiesa, ma è anche speciale Patrono della minima nostra Congregazione, di nominare, come nomino, a Superiore, dei Figli della Div. Provvidenza, sia dell’Argentina che del Brasile, il vostro fratello in Cristo sac. Giuseppe Zanocchi, il quale farà le veci mie, o di chi mi succederà nel governo della Congregazione, sino a che non sia da me o dal mio successore disposto diversamente (Scr. 29,197).
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A Protettori scelgono San Giovanni Battista, S. Michele Arcangelo, i Beati Apostoli Pietro e Paolo e gli altri Santi Apostoli. Il ramo maschile avrà poi a speciale Patrono San Benito, il nero e il ramo femminile Santa Efigenia. Avranno anche a Protettori tutti i Santi e le Sante dei Mercedari e dei Trinitari: i Beati Martiri dell’Uganda San Francesco Saverio e i santi missionari, nonché ogni altro santo di colore o Patrono delle Americhe e dell’Africa. Oltre al fine principale di aspirare incessantemente alla propria santificazione, avranno quello, comune ai due rami – di mantenere viva e salda la Fede Cattolica nel Paese, specialmente tra quei di colore e di alimentare e di crescere in sé e negli altri un amore dolcissimo e un’obbedienza veramente piena e filiale alla Santa Sede Apostolica e al Romano Pontefice, che sono, non soltanto il fondamento di nostra Santa Religione, ma ben anco la pietra inconcussa della società umana (Scr. 51,123–124).
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Sia lodato Gesù Cristo. Nel nome e alla presenza adorabile di Voi, Onnipotente e Sempiterno Dio, Padre nostro, Padre, Figliolo e Spirito Santo e avanti a Voi, mio amatissimo Signore e divino Salvatore Gesù Cristo Crocifisso e Sacramentato, vero Dio e vero uomo sempre, nel nome benedetto e alla presenza della Beatissima e sempre Vergine Maria, Madre di Dio SS.ma Immacolata e Addolorata, Madre della Divina Provvidenza e della nostra piccola Congregazione e di noi tutti, alla presenza del glorioso Patriarca San Giuseppe, sposo purissimo di Maria e Padre putativo di N. Signore Gesù Cristo, Patrono specialissimo mio e della Congregazione, alla presenza dell’Arcangelo San Michele e di tutti gli altri Arcangeli e Angeli e Spiriti celesti, alla presenza di San Giovanni Battista, mio Santo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e di tutti gli altri Santi Apostoli e Santi Pontefici della Santa Chiesa di Roma, nostra Madre e Santi Discepoli di N. Signore Gesù Cristo, dei miei Santi Protettori e della Piccola Congregazione della Divina Provvidenza, di San Luigi Gonzaga, mio Santo, di San Benedetto nostro particolare Patrono, di San Gaetano da Thiene e di San Filippo Neri, di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, di Sant’Ignazio di Loyola, dei Santi del Canone e delle Litanie della Santa Chiesa, di San Biagio Vescovo e Martire, di San Francesco da Paola, di San Vincenzo de’ Paoli, di San Francesco d’Assisi, di San Romualdo Abate, di Santa Teresa di Gesù, dei Santi Placido e Mauro Abati, di San Marziano Vescovo e Martire, mio primo Vescovo, di Sant’Innocenzo Vescovo di Tortona e di tutti gli altri Santi Vescovi di Tortona e delle città e Diocesi, ove abbiamo Case e di dove i figli della Congregazione hanno avuto origine o ricevuti Sacramenti, di tutti i San Giuseppe, di San Clemente Maria Hofbauer Redentorista, di San Gerardo Maiella Redentorista, di San Bernardino da Siena, di Santa Chiara, della Beata Eustochio, del Beato Curato d’Ars, di San Candido e Santi le cui reliquie sono in questa casa e di tutti gli altri miei carissimi Santi e Beati Protettori della Santa Madre Chiesa di Roma, della mia Diocesi e Città e Città e Diocesi ove sono Case e dei membri tutti, vivi e morti, della nostra Congregazione, avanti a tutti i Santi Protettori miei e dei miei figlioli vivi e morti, all’Angelo mio Custode e agli Angeli miei e di tutti i miei figlioli (e delle Sante Anime), avanti allo spirito benedetto del Ven.le Don Bosco, del Ven.le P. Lodovico da Casoria, di Pio IX, di don Rua, Servo di Dio e di tutti i Santi, Beati, Venerabili da me invocati e delle Sante Anime del Purgatorio e di tutte le Anime dei miei Sacerdoti, Eremiti, Chierici, alunni, con la divina grazia e per speciale... Prometto e giuro e faccio voto di difendere il Santo Padre il Papa, che ora è il Santo Padre Pio X e tutti i Suoi legittimi Successori e di obbedire in tutto e sempre a Lui e di amare e difendere non solo i Suoi diritti spirituali, ma anche i temporali e la Santa libertà della Sede Apostolica Romana e della Santa Madre Chiesa con tutte le mie forze e anche con l’effusione del sangue e con il sacrificio di tutta la mia vita, poiché questa piccola Congregazione è tutta opera della Santa Chiesa di Dio e della Santa Sede Apostolica, che è la Romana e del Vicario in terra di N. Signore Gesù Cristo che è il Santo Padre, il Papa di Roma, oggi Pio X (Scr. 71,71).
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Quanto all’annesso Istituto Missionario, come le accennai, già lo avevo particolarmente affidato a Sant’Antonio di Padova. Il Santo dei Miracoli è il Patrono delle nostre Missioni, perché volle essere Missionario e fu, invero, Apostolo di fede, che attraversò l’Italia e la Francia riconducendo a migliaia e migliaia le anime sui sentieri della pace e del bene (Scr. 78,132).
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Nel Nome adorabile della SS.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo e di Maria SS.ma Immacolata, Madre di nostro Sig.re Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio e dei miei Santi Patroni e Protettori, cioè del mio Santo Angelo Custode, di San Michele Arcangelo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, di San Giovanni Battista, di San Luigi Gonzaga, di San Benedetto Abate, di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, di Sant’Ignazio di Loyola, di San Biagio Vescovo e Martire, di San Francesco da Paola, di San Vincenzo de’ Paoli, di San Romualdo Abate, di Santa Teresa di Gesù, di San Placido, di San Francesco d’Assisi, di San Marziano, Vescovo e Martire, di Sant’Innocenzo, Vescovo e Martire, di San Clemente Redentorista, di San Bernardino da Siena, di Santa Chiara, della Beata Eustochio, di tutti gli altri miei carissimi Santi e Sante e Beati Protettori, del Venerabile don Bosco, del Venerabile Cottolengo, del Venerabile don Cafasso, del Venerabile P. Lodovico da Casoria, di Pio IX, del Servo di Dio don Michele Rua e di tutti gli altri miei e delle Sante Anime del Purgatorio, propongo in questi Santi Esercizi Spirituali, fatti con la divina grazia in Sant’Andrea all’Jonio, di scegliermi un confessore stabile a cui confessarmi almeno una volta alla settimana, di dire l’Ufficio divino, come mi permise il Santo Padre Pio X vivae vocis oraculo, tutto al mattino e mattutino e lodi la sera antecedente, di recitare ogni giorno il Santo Rosario in onore della dolcissima e SS.ma Vergine Maria, Madre di Dio, e di digiunare il sabato a pane ed acqua in Suo onore, di fare almeno mezz’ora di Santa Meditazione, ogni giorno e un quarto d’ora di esame di coscienza generale e 5 minuti sull’esame particolare, di non leggere giornali liberali, di aborrire ogni colpa anche veniale e di morire piuttosto che offendere direttamente o indirettamente il Signore, tollerando la sua offesa (Scr. 102,49–50).
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Raccomandatevi tanto, cari miei figlioli in Gesù Cristo, alla SS.ma Vergine e ai Santi Patroni; e con cuore generoso diamo principio ad una vita che sia tutta conforme a Gesù Cristo, sia tutta umiltà, fede, sacrificio, mortificazione, carità, povertà, obbedienza senza limite; e santità, poiché questo Gesù e la S. Chiesa vogliono da noi e dalla Congregazione (Lett. II,352).
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Vi chiamate Missionarie della carità, ma questo titolo non deve farvi insuperbire, anzi deve aiutarvi ad essere tali, che quanti vi vedono, quanti vi avvicinano devono osservare riprodotta in voi la carità di Gesù Cristo; dovete essere anime ardenti della carità di Dio. E perché siate veramente missionarie della carità, raccomandatevi alla Madonna Santissima, a San Pietro, San Paolo, San Michele e tutti i vostri Patroni e Protettori. La vostra vita deve essere come una tela tessuta di carità (Par. I,155–156).
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Raccomandatevi a San Giuseppe, il Patrono della vita interiore, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, protettori del nostro Istituto, a S. Michele Arcangelo, a S. Bernardino da Siena, a tutte le Sante protettrici delle nostre Case; pregate le anime benedette delle Vostre Consorelle defunte ch’io spero siano nel Santo Paradiso (Par. I,164).
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Tante volte, nelle vostre orazioni, in questi santi giorni, vi sarete rivolte alla Madonna Santissima, avrete invocata la Madre Celeste; la Madre che vi ha liberate da tanti pericoli, che vi ha tratte dagli inganni e dalle illusioni del mondo per portarvi qui, nella vita interiore spirituale, nella nave di salvezza, nella Casa di Dio. Avrete pregato San Giuseppe, il Patrono della nostra umile, nascente Congregazione. Avrete pregato i vostri Santi Patroni, le anime Sante del Purgatorio e le anime Sante delle vostre sante Consorelle, che sono in Cielo, dove pregano per voi, per le vostre opere, per tutti i vostri bimbi, per tutti i vostri vecchi e gli ammalati. Anime benedette, il cui spirito sento ogni volta che entro in questa Casa (Par. II,121a–121b).
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Che grazia grande legarsi al Signore con i sacri vincoli. Ringraziate il Signore, la Madonna Santissima; vi assistano i vostri Angeli, i santi vostri patroni e il patrono di questa casa e lo spirito benedetto delle anime delle vostre consorelle, che da questa vita sono passate ai gaudi del Paradiso. Che la Vergine Santissima stenda il suo manto sopra di voi; siano benedetti i vostri passi: dovunque andrete spargete la carità di Gesù Cristo a tutti i poveri derelitti, a tutti quelli che hanno bisogno delle carità di Gesù Cristo (Par. II,131).
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San Giuseppe è il Patrono Universale della Chiesa, ma anche in modo particolare il patriarca dei poveri Figli della Divina Provvidenza e ne è stato, fin dalla prima ora il celeste Protettore. A lui la Congregazione ha consacrato le prime macchine tipografiche, ha dedicato alcune chiese e intitolato alcuni Istituti e in tutte le nostre Case Egli ha un posto particolare d’onore (Par. VI,66).
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Confortiamoci nella promessa di Dio, perché tutto potremo in lui; e, per l’osservanza dei santi voti, invocate i vostri Patroni e in modo particolare il vostro Angelo Custode, San Michele Arcangelo, che lotta contro il principe di ogni male; invocate l’aiuto degli Apostoli Pietro e Paolo nella cui devozione noi esprimiamo il nostro attaccamento e la nostra devozione al Vicario di Cristo, il Papa. E non dimenticate i Servi di Dio che vissero su questo monte e che, da questo cenobio, salirono alla gloria del cielo (Par. VI,164).
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Dobbiamo fare direttamente le nostre promesse che i nostri padrini, in nome nostro e per noi, hanno fatto. Invochiamo Maria Santissima e tutti i Santi, nostri Patroni e i Santi Angeli Custodi perché vogliano assisterci e proteggerci nel cammino della vita (Par. X,1).
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Invocate i nostri Santi Angeli Custodi, che sono i vostri amici più fidi, i vostri amici più cari. Invocate i vostri Santi Patroni, i Santi Patroni delle vostre Parrocchie, in cui siete stati rigenerati alla grazia, in cui siete stati battezzati. Invocate i Santi di cui portate il nome. Invocate i Santi, le Reliquie dei quali sono venerate nelle nostre Case (Par. XI,203).
Vedi anche: Devozioni, Santità.
Pazienza
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Vi raccomando dove potete di vedere di farvi tutto a tutti da buon missionario – come faceva San Paolo Apostolo delle genti – omnia omnibus factus sum Voi poi avete bisogno di una gran pazienza per distaccare voi da voi stesso e dall’affetto della famiglia e in tutto una gran pazienza una gran pazienza e vedere tutte le cose con gli occhi della carità e della pazienza. Il vostro cuore deve divenire un mare senza fondo di carità e di pazienza – e pregare Dio per questo – e se vedete qualche debolezza o cosa che non va, ciò non vi turbi, o caro figliuolo mio né produca amarezza alcuna dentro di voi, aspettate in pazienza – Un gran zelo ma anche una gran pazienza fa i Santi e i Missionari – E abbiate una grande carità con tutti con tutti senza eccezione, e senza più e senza meno (Scr. 4,6).
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E tu permettimi di animarti e confortarti alla pazienza, giacché la pazienza ritengo sia la più gran dote di un savio Superiore. Parla a fra Giuseppe con apertura di cuore e lealtà, parla più con amore di fratello e di Sacerdote che con serietà di Superiore: tenta tutti i mezzi, e sii pronto a tollerare qualche difetto, qualche inconveniente con illimitata pazienza, caro mio Don Adaglio, con illimitata pazienza. Quanto più ti concilierai la carità, quanto più con pazienza sopporterai le deficienze, i difetti del tuo personale (molte volte, vedi, non fanno perché non ci arrivano proprio: vanno fino al positivo: perché non sono suscettibili di elevarsi al comparativo: vanno fino a 4 oppure a 6, perché non possono salire a 5 né a 7: e allora bisogna accontentarci e prendere quel poco che danno) tanto più guadagnerai del loro cuore e li condurrai dove vuoi o, almeno, fin dove vedi che possono salire, (e allora bisogna capirli, e non pretendere l’impossibile, né di farli salire di più: bisogna essere discreti; per questo la discrezione e la prudenza sono doti necessarie e di prima necessità per un Superiore) (Scr. 4,237).
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Io ti supplico, caro mio figliuolo, di fare così. Leggi e medita frequente ciò che sta scritto al libro Iº Capo XVI dell’Imitazione di Cristo, dal versicolo Iº al 14mo: «Quel che l’uomo non può correggere in sé o negli altri, lo deve sopportare con pazienza e in pazienza, finché Dio non disponga altrimenti. 2 Pensa che forse così è meglio per la tua prova e pazienza senza la quale i nostri meriti valgono poco. 3 Devi peraltro pregare Dio anche per cotali fastidi, affinché si degni d’aiutarti, e tu possa pigliarteli in pace 4 Se alcuno, ammonito una o due volte, non si acquieta, non ti mettere con lui a questionare; ma lascia fare a Dio, che sa convertire il male in bene; acciocché sia fatta la sua volontà, ed egli abbia onore in tutti i suoi servi. 5 Studiati d’essere paziente in tutti i difetti altrui, e qualunque debolezza; perché tu pure ne hai la tua parte, e gli altri le debbono tollerare (Scr. 4,274).
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La perfezione nella virtù sta nella carità e nella pazienza, non sta mica in altro, no. Dunque tu parlane a Suor Maria Vittoria, e vedete insieme di confortare codesto Baldassarre a fare qualche cosa. E se vi risponde no, non vi perdete di animo; ma poi parlategli ancora in un momento più buono. La pazienza alla lunga vince ogni cosa, e forma noi allo spirito di Dio, e dà edificazione alla Casa e ai ricoverati (Scr. 3,353).
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La pazienza è la perfezione della virtù insieme con la carità: la carità paziente infonda in te e in tutti la pace e il gaudio di compiere la volontà di Dio, e le mani della SS.ma Vergine alleggeriscano i vostri pesi e patimenti, ed Essa vi dia animo forte nella carità paziente, e confidenza in Dio che vede tutto, che sa tutto, che tiene conto di tutto, che ricompenserà di tutto! (Scr. 5,422).
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I Santi, di via ordinaria non si fecero santi come diremo noi, di primo colpo e di getto; no! No, ma poco alla volta, coll’esercizio della virtù, con la pazienza, coll’amore a Gesù Sacramentato ed alla Vergine SS.ma Anch’essi avevano difetti, e li estirparono: avevano passioni, ma le superarono; erano in questo mondo di miserie; ma lo vinsero. La grazia di Dio non ci manca, mio caro figlio in Gesù Cristo: ciò che fecero i Santi, procuriamo di farlo anche noi, e saremo santi noi pure (Scr. 23,1).
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Nelle difficoltà non bisogna avvilirsi, ma confidare nella Divina Provvidenza. Va’ sempre con una grande dirittura morale e lealtà e sincerità con tutti. Semplice come la colomba, ma prudente con tutti come il serpente. Sopporta con pazienza le pene e le sollecitudini annesse al tuo posto. Abbi vigilanza e pazienza con i tuoi confratelli; amali come tuoi fratelli e fa’ del bene alla loro anima (Scr. 23,24).
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Raccomando la pazienza: essa è virtù assai lodata e raccomandata nella Sacra Scrittura. Con la pazienza tutto si vince! La perfezione della virtù sta nella pazienza; ed è con la pazienza e coll’orazione che ci comperiamo il Paradiso. Il modo poi di impararla la pazienza e la dolcezza è levare gli sguardi e il cuore a Gesù Crocifisso e al cuore trafitto di Nostro Signore. La pazienza e la dolcezza si imparano solamente alla scuola di Colui che disse: discite a me quia mitis sum et humilis corde. Con la sua vita, con la sua Passione e con la sua sacratissima morte Gesù Signor Nostro ci ha insegnata la pazienza (Scr. 24,131).
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Ascolta pazientemente tutti, e pazientemente rispondi, giacché la calma e la pazienza sono le più grandi doti di un savio superiore. Sopporta con pazienza i difetti dei soggetti. Quanto più guadagnerai il loro amore, il loro cuore, la loro confidenza, tanto più presto e più soavemente verrà da sé la loro emendazione (Scr. 24,172).
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La perfezione della virtù sta nella carità paziente, forse mi sbaglierò, ma fino a questa mia età, non ho capito che sta in altro, né che altro vi sia di meglio. Il portar pazienza e il sostenere in silenzio, umiltà e carità il Signore, e servire e amare così la santa Chiesa, è uno studiare continuo, meglio assai che sui libri (Scr. 32,206).
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Coraggio, caro don Serra, e vedete di farvi forza a portare con pazienza le vostre croci. La pazienza è tanto necessaria per amare Gesù ed edificare il prossimo, che fu scritto che la perfezione della virtù sta nella pazienza. La pazienza nei nostri mali, unita ai meriti di quella di Gesù Cristo purifica l’anima e ci rende perfetti davanti al Signore, e ci prepara alla beata immortalità. Con la pazienza, con la rassegnazione, con la carità e preghiera ci comperiamo il Paradiso (Scr. 33,172).
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Fate che in Casa vi sia sempre spirito di pietà, di umiltà, di carità, di sacrificio, di concordia, di unità, di pace in Gesù Cristo. La pazienza ci è pure grandemente necessaria. La vita non può essere senza battaglia e senza dolore, ma noi dobbiamo cercare non una pace che sia senza tentazioni o che non soffra contrarietà, ma una pace in Dio che sia pure esercitata da tribolazioni e provata da varie e da molte contrarietà (Scr. 36,226).
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Gesù Cristo ci ha insegnato la pazienza non solo con la sua vita, ma anche con la sua morte. La perfezione della virtù cristiana sta nella carità amore santo di Dio e dei fratelli e nella pazienza. Il portar pazienza e sostenere il Signore è alto studio dello spirito, ed è studiare, seguire Gesù Cristo e conformarci a Lui (Scr. 37,254–255).
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Con la pazienza santificherà la sua vita e la vita degli altri: pazienza e carità. Faccia una novena non di veri e propri Esercizi Spirituali, che non la può fare, ma dico ogni dì nove Ave Maria alla SS.ma Vergine, e ogni giorno si offra tutta a nostro Signore per le mani della Madonna benedetta, e vada avanti in Domino, senza scervellarsi, che questo a Gesù non piace. Che cosa vorrà di essa la provvidenza? Oh, ma non stia lì ad interrogare Dio, a noi non tocca di interrogare Dio, ma di secondarlo. Questa è la direttiva che le dò: fare della sua vita un esercizio continuo di pazienza e di carità. Non altro, per ora; e tutto in umiltà e dolcezza e sacrificio, senza austerità. Pregherò per essa, specialmente nel s. Sacrificio. Sento che v. signoria è tutt’ora sofferente: oh la bontà di Dio nelle sofferenze e nelle tribolazioni! Nessun miglior tempo per esercitare la pazienza e l’umiltà che quello nel quale siamo infermi (Scr. 41,36).
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Tu cerca di avere pazienza con tutti e di confortare, animare e incoraggiare tutti alla osservanza della vita religiosa, soprattutto, con il tuo buon esempio, con il tatto e prudenza, e con fraterna carità. La pazienza alla lunga vince ogni cosa, ed è con la pazienza e con l’orazione, caro don Carmelo, che ci comperiamo in noi la santa legge del Signore, che è legge e precetto di fraterna carità (Scr. 43,35).
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Ci vorrà buona volontà e anche anzi molta pazienza. Uno dei difetti della natura umana, venuti per il peccato, è la fretta e l’insofferenza; e nostro Signore vuole spesso emendare in noi questo vizio con il somministrarci delle occasioni di aspettazione e di prova, e delle volte le prove sono anche lunghe Ma coll’umiltà, con la pazienza e coll’orazione ci comperiamo il Paradiso; e un sant’uomo che fu mio confessore per molti anni mi diceva che la perfezione della virtù sta nella pazienza. Pazienza forse viene da patire, patire con Gesù crocifisso. Fiducia e Coraggio, o buona madre superiora, che con la pazienza e con la divina dolcezza ameremo umilmente e serviremo a n. Signore e alla sua santa chiesa: ci salveremo l’anima e potremo dare edificazione alle anime e salvarne molte, con l’aiuto di Dio (Scr. 50,150b).
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Ad imitazione di N. Signore nell’insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savii, senza gridare mai, eccetto in qualche raro caso, ma operate sempre con giudizio, con maturità, con pazienza (e mi ripeto, lo so bene) con pazienza, sopra tutto. Sta scritto nel libro di Dio: in patientia vestra possidebitis animas vestras, ma io vi dirò che possiederete anche le anime dei vostri allievi, se avrete molta calma, serenità e pazienza con essi: se nella scuola li istruirete e correggerete con amore: correggere vale a reggere insieme e ammendare altri e sé (Scr. 51,28).
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Vi scongiuro per il Signore che camminiate, cioè che tutti viviate degnamente, secondo la vocazione a cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri per la carità, solleciti di conservare l’unità dello spirito, mediante il vincolo della pace. Dunque umiltà, opposta alla superbia, fonte di discordia. Mansuetudine, opposta all’ira. Pazienza, opposta all’impazienza, che non sa tollerare le ingiurie ricevute. Carità, opposta allo zelo smoderato, volubile incostante contrario allo spirito della Piccola Opera. Sia il nostro zelo illuminato, discreto: non lasciamoci ingannare da uno zelo che non fosse secundum scientiam, ma frutto di presunzione e di vanità; quattro virtù dell’umiltà, della mansuetudine, della pazienza e della carità conserveranno l’unità di spirito, ossia degli animi, che importa unità di pensieri e di sentimenti (Scr. 52,124–125).
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Se nell’afflizione è necessario parlare, facciamolo con spirito di pace, se non ci ascoltano opponiamo all’ingiustizia il silenzio, la fermezza nel dovere e nella pazienza ma non una pazienza derivante dal calcolo, bensì una pazienza Cristiana che continua ad amare il nemico. Il solo vero conforto che dobbiamo cercare sulla terra è quello di beneficare tutti e specialmente quelli che ci fanno del male e pregare per essi (Scr. 57,36).
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La pazienza e la dolcezza s’impara solo alla scuola di Gesù che disse: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”. Armiamoci di santa pazienza e pensiamo che abbiamo da fare con tante teste e temperamenti e umori..., l’uno ben diverso dall’altro. 8. Nessun uomo è senza difetto, e tutti abbiamo i nostri. Quando vi sentite disturbate dai difetti delle vostre consorelle non correggetele mai, finché non vi siate pacificate nel vostro animo (Scr. 79,80).
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Fatevi piccoli coi piccoli; abbiate una grande pazienza e un gran rispetto per le anime innocenti che vi sono affidate. Pensate che i loro Angeli custodi vivono al cospetto di Dio e ne contemplano la faccia. Guardate le buone madri: quanta pazienza hanno coi loro bambini! Ricordo mia madre che, quando vezzeggiava i piccini e parlava loro, balbettava con essi! Ieri i vostri Angeli Custodi hanno portato al trono di Dio, in una coppa d’oro, tutti i vostri meriti, gli atti di pazienza, di diligenza, il desiderio di far del bene: e certamente il Signore vi ricompenserà di tutto, dandovi grazie e aiuti per far maggior bene, e un gran bene (Par. I,57).
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È necessario molto, molto compatimento! E pazienza, pazienza! Grande pazienza! Tutti siamo coperti di miserie, bisogna compatirsi l’un l’altro, e aiutarci vicendevolmente e spogliarci di noi stessi per servire e amare Dio. Compatirsi è il primo passo della carità fraterna, ma insieme aiutarsi ad emendarsi con carità, con amore, come fareste con una sorella più piccola! È questo un obbligo che avete con le vostre consorelle: voi dovete aiutarvi scambievolmente a farvi sante. Abbiate pazienza, sempre pazienza, estinguete nel Cuor di Gesù tutto ciò che, umanamente parlando, può far perdere la pazienza. Questo ve lo raccomando tanto! E siate devote di San Calasanzio, acciocché questo Santo vi dia la forza di aver sempre pazienza in tutte le prove e le tribolazioni; v’insegni ad amare queste per amore di nostro Signore Gesù Cristo (Par. I,73).
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Gesù portò con pazienza il suo annientamento, il suo annichilimento, il suo disonore! E morì divinamente tranquillo prendendo con pazienza l’abbandono dei discepoli, l’odio e gli insulti dei suoi nemici. Ah! È veramente alla scuola della Croce che si capisce tutta la verità, la sublimità, la santità di quelle parole della Sacra Scrittura: “in patientia vestra, possidebiti animas vestras”. Con la pazienza si fa tutto, senza pazienza si fa niente. Aveva ragione Santa Teresa: – Con la pazienza tutto si vince: Dio solo basta! Solo il Cuor di Gesù basta! (Par. I,152).
Vedi anche: Carattere, Compatimento, Fortezza (virtù), Mansuetudine, Rinnegamento di sé, Straccio (spiritualità dello), Umiltà.
Peccato
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Oh quanto sono afflitto di essere un povero peccatore perché sento che pei miei gravi peccati sono di impedimento alla misericordia del Signore e della SS.ma Vergine Immacolata! In questo istante per la grazia che il Signore mi dà mi offro tutto alla SS.ma Vergine così come sono, intendendo di riparare con il consumarmi nell’amore e servire umilmente il Signore. Signore Gesù, Dio mio, e Voi SS.ma Madre Immacolata di Gesù e Madre mia tenerissima, datemi grazia di piangere i miei peccati e convertirmi: non vi domando altra grazia. SS.ma Vergine, mi metto come morto ai Vostri santi Piedi usatemi questa misericordia che io Vi ami e muoia di espiazione e mi consumi nell’amarvi, o SS.ma Vergine Immacolata (Scr. 2,29).
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Pregherò per tutti i nostri, vivi e defunti, particolarmente per i Sacerdoti e Religiosi. Voi pregate il Signore che mi perdoni tutti i miei peccati, mi dia dolore e spazio di penitenza, e mi dia grazia di cominciare ad amare e servire Dio e la Santa Chiesa con tutte le mie forze e grazia di riparare al mal fatto (Scr. 7,379).
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Si sono un povero peccatore e veramente indegno di essere Sacerdote, ma per la grazia che spero dal Signore e l’aiuto della SS.ma Vergine nostra Madre, voglio lavorare da facchino di Dio e della Santa Chiesa e della SS.ma Madre del Signore e da facchino delle Anime, e voi farete la stessa cosa, e poi su in Paradiso, con la Santissima Madonna per sempre e per sempre! (Scr. 9,18).
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Il 13 aprile è il mio 40.mo Anniversario della Messa, andrò a dirla al Santuario di Luján: pensando a tanta misericordia del Signore sopra di me, stamattina non ho potuto fare che piangere tutto il tempo della Messa, domandando perdono a Dio e alla Santa Madonna di tutti i miei peccati. Fanno bene a osteggiarmi, io merito questo e altro, essi i contrari, sono e voglio averli per i miei più insigni benefattori. Buona Signora Queirolo, mi aiuti a ringraziare il Signore di tante grazie e misericordie, e a chiedergli perdono di tante ingratitudini e peccati (Scr. 9,81–82).
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Se noi vediamo da anni che è il Signore che come ha suscitato questa Opera, e la Sua Divina provvidenza la tiene su malgrado i nostri grandi peccati, dobbiamo guardarci bene dal voler cambiare lo spirito onde essa è nata, e cambiarle l’impronta che Nostro Signore pare che ci abbia dato. Ah! per carità ci sono già i miei tanti e gravi peccati, caro Don Sterpi, cerchiamo di tenere ben fermo lo spirito religioso e di conservarlo e tramandarlo a quelli che la Divina Provvidenza ci manderà nella Sua misericordia (Scr. 13,101).
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Intanto vi raccomando di stare buoni e in grazia di Dio. Fuggite il peccato che è la rovina delle anime, e lavorate di buona volontà perché dovunque andrete è vostro dovere lavorare (Scr. 21,38).
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Siate sempre più buoni, fuggite il peccato, per carità, fuggite il peccato, datevi di più all’orazione di per voi. Non trascurate l’esame di coscienza. Guardate che non basta non avere vizi grandi, ma bisogna acquistare grandi virtù, e le vostre occupazioni ed i vostri lavori e studi offrite tutto al Cuore di Gesù (Scr. 30,2).
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Tutti siamo, pur troppo, peccatori, e abbiamo bisogno di fare penitenza ogni giorno. Fate, o miei cari figli, che codesto pio pellegrinaggio vi aiuti a sentire la computazione dei vostri peccati, vi radichi nella santa umiltà, vi distacchi da voi e vi dia fortezza spirituale (Scr. 34,184).
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Uno dei difetti della natura umana, venuti per il peccato, è la fretta e l’insofferenza; ora il Signore vuole, talora, emendare in noi questo vizio con il somministrarci delle occasioni di aspettazione e di prova, come è nel nostro caso, sia pure per colpa dei miei peccati (Scr. 37,255).
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Sento che sono veramente un grande peccatore, e coi miei peccati chissà quanti bei disegni della Divina Provvidenza ho rovinato: sono indegno di essere figliolo di Dio e suo sacerdote. Voglio amarlo almeno d’ora innanzi più che potrò, voglio consumarmi nella sua divina carità, umiliandomi: voglio vivere e morire da vero figlio della santa chiesa, e mi affido pienamente ai vostri santi piedi, come roba della santa madre chiesa cattolica (Scr. 45,63).
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Gesù ha portato tutti i nostri peccati sopra le santissime sue spalle, e anche le manchevolezze di quella persona. Ma noi guardiamo i nostri peccati e preghiamo e umiliamoci: questo piace molto al Signore (Scr. 64,223).
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Voi che avete peccato, voi che avere rimorsi sulla coscienza, pentitevi e andate a lui, egli può perdonare tutte le vostre colpe! Non dite come Caino: troppo grande è il mio peccato! No, non fate questa ingiuria al Signore: la Sua Misericordia, l’amplitudine del suo Cuore è più vasta che i cieli e che il mare. Grande infinita è la misericordia del Signore. Gesù non venne a cercare i peccatori? Gesù non è l’amico, il fratello, il padre dei peccatori? Non è Gesù il buon Pastore che va in cerca della pecorella smarrita? Non è Gesù il padre del figlio prodigo? (Scr. 55,226).
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Si, o Gesù mio, che io vengo... sono carico di peccati ma vengo... mi getto tuoi piedi, o Signore, e piango! Peccavi... Ho peccato... Peccavi in coelum: ho peccato contro il cielo, e tante volte; ho peccato insegnando la malizia... Peccavi in coelum! con i mali consigli, con gli scandali... ma, o Signore perdona! et peccavi coram te... non solamente vi ho offeso, ma ho peccato in faccia vostra, sotto i vostri occhi e non ti ho amato, ma oggi, o mio Gesù, oggi io ti amo, ti amo e ti amo! (Scr. 64,263).
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Quando ci separiamo dalle nostre tenebre: quando prendiamo in mano l’anima e l’alziamo a Dio e riposiamo come bambini sul suo seno di Padre, allora il Signore perdona a noi i nostri peccati e ci avvolge nella sua luce divina (Scr. 82,7).
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Come l’abisso invoca l’abisso, secondo l’espressione dei salmi, così il peccato trascina al peccato: E la conversione si fa più difficile quanto più è differita. Cominciamo dunque anche noi dall’accendere la lampada della fede, dissipiamo le tenebre del peccato che offuscano l’anima. Portiamo questa divina luce sin nei secreti della coscienza, a meglio conoscere e detestare quelle colpe più occulte, che forse sin qui neanche abbiamo osato confessare a noi stessi. Ma non basta riconoscere i nostri peccati e le loro deformità, sarà necessario pulire l’anima dalle sozzure che la infettano; dagli effetti corrotti; dalle inclinazioni viziose; dalle ree abitudini che vi avessero messo radice. Così l’anima sarà restituita al suo primitivo candore, e la mistica dramma, la grazia divina sarà ritrovata (Scr. 99,36–36b).
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E se anche avete commessi dei peccati, se vedete di aver avuto, per il passato, una vita poco buona, se adesso capite che avreste potuto far meglio, non v’inquietate per questo; umiliatevi sì, ma non v’inquietate. Dite a nostro Signore: “Signore, vi offro le mie miserie, metto i miei peccati nel Vostro Cuore Sacratissimo: è tutto quanto posso darvi, perdonatemi e fatemi tutta vostra. Offrite a Gesù i vostri peccati come gli offrireste la vostra dote; e questo è quanto desidero che capiate bene. Dite a Gesù: “O Gesù, vi offro i miei peccati, le mie miserie, le mie freddezze; è questa la mia dote, altro non ho, fatemi come mi volete Voi”. E vedrete che allora anche i vostri peccati, le vostre miserie, le vostre imperfezioni coopereranno alla maggior santificazione dell’anima vostra. Omnia cooperantur in bonum – assicurava San Paolo scrivendo ai cristiani di Roma: – tutto coopera al nostro bene, anche i nostri peccati, se sappiamo servircene. Spirito di grande umiltà, ma santa gioia in nostro Signore. Siate liete! Nulla vi turbi; né il grande silenzio vi dia tristezza, ma gioia spirituale; né la vista dei vostri peccati vi sconforti o vi avvilisca: dolore sì, avvilimento no. Abbiate invece una santa confidenza nel Cuore Santissimo di Gesù. Attaccatevi alla Madonna Santissima. Io sono felice che facciate i vostri Esercizi in questi giorni; l’ho voluto a bella posta. Avete cominciato con il giorno di Maria Bambina – la santa infanzia spirituale, – continuerete nel Suo Santo Nome – il Nome di Maria, della cara Madre Nostra, – per fermarvi all’Addolorata – la Madre dei dolori, la Madre che Gesù ci donò sul Calvario. Lei ci impetrerà il perdono dei nuovi peccati e le divine misericordie (Par. I,164).
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E quanto è amaro il peccato, quanto rimorso, quante amarezze porta con sé il peccato. Il peccato non ha fatto mai felice nessuno, i giorni dei peccatori sono abbreviati dal peccato; per il peccato Dio ha condannato l’uomo alla morte, e tutti i mali sono conseguenze del peccato. San Gaetano morì di dolore, sì, morì di dolore, pensando al peccato. Santa Giuliana Falconieri sveniva quando sentiva nominare il peccato. I Santi capivano il grande male del peccato e morivano di dolore. Nostro Signore Gesù Cristo al vedere passare innanzi a sé i peccati degli uomini, ha sudato nell’Orto degli Ulivi! Gettiamoci ai piedi del Tabernacolo. Gettiamo uno sguardo alla nostra vita passata! Quanti peccati fatti coi pensieri, quanti peccati fatti con gli occhi, con la lingua, con gli sguardi, coi desideri del cuore; quanti peccati fatti con il nostro sentimento, con la nostra superbia... Quanti peccati fatti fare anche agli altri; forse abbiamo dato scandalo, forse abbiamo incamminato qualcuno nella strada del peccato. O Dio mio, noi siamo la causa della morte di Gesù, piangiamo i nostri peccati e pensiamo a quel che ha sofferto Maria Santissima per i peccati del suo popolo (Par. II,38–39).
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Vi invito ad accostarvi al Sacramento della Penitenza, che ci mette l’anima in grazia di Dio e ci dà il perdono di tutti i nostri peccati. Perché tutti siamo poveri peccatori. Chi c’è di noi che non è peccatore? Chi nella sua vita non ha piaghe morali? Chi non ha le sue debolezze e le sue cadute? Non è forse Gesù Cristo che disse: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra?” Tutti siamo peccatori. Tutti siamo peccatori davanti agli occhi di Dio, e quindi tutti abbiamo bisogno del perdono e della misericordia di Dio (Par. VII,14).
Vedi anche: Grazia (di Dio), Inferno, Penitenza (sacramento), Perfezione (virtù), Tentazioni.
Pedagogia
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Si bandiscano quei castighi che sono condannati dalla carità cristiana, dalla sana pedagogia e dalle leggi vigenti, e ogni altra severa ed umiliante o troppo lunga punizione che disdica a sacerdoti e Religiosi e ad educatori del cuore e a salvatori di anime (Scr. 51,31).
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La nostra missione prima in ordine di tempo e particolare è di lavorare in mezzo ai giovani poveri e abbandonati – i tempi sono cattivi per il popolo e figli del popolo – la sola pedagogia capace di rendere buoni i figli del popolo, di renderli forti di fronte al male, alle passioni e ad idee e sistemi sbagliati, erratissimi di educazione, è la pedagogia che li educa sotto la guida del celeste Pedagogo, Gesù Cristo, e li fa vivere della stessa sua vita nell’unione Eucaristica (Scr. 55,280).
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Soltanto l’educazione cristiana e civile è in grado di dare e di mantenere una soda coscienza unitaria, morale, cattolica e altamente civile alla nuova Italia e ai suoi gloriosi e grandi destini Questa fede trascende di molto l’ambito strettamente pedagogico e ha un significato altamente religioso e patriottico (Scr. 56,111).
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Come dicono tutte le buone norme della moderna pedagogia, devono i professori adattarsi all’intelligenza dei giovani, devono spiegare con ogni chiarezza le verità che vogliono imprimere nella mente degli alunni, e specialmente devono avere molto a cuore il loro profitto. Non cerchino la sublimità dei concetti, non la peregrina erudizione, no: sostanza, sostanza, sostanza, ben preparata e chiaramente esposta così che tutti la capiscano, sia cioè alla portata di tutti. Non curino i migliori, si tradirebbero gli altri, si curino tutti, e si inclini a favorire e mediocri. Si faccia scuola intendendo di compiere una delle opere più belle di misericordia: istruire gli ignoranti, guardando a Dio e sempre pensando che Gesù Cristo ci pagherà di tutto, e ci dirà: io ero ignorante, e mi avete istruito (Scr. 63,72).
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Badate, o figli miei, che il Vangelo è il più sublime trattato di didattica e di pedagogia che esista. Vedete che metodo pieno di alta e popolare semplicità, efficacissimo sull’animo delle turbe, tiene mai nostro Signore nell’ammaestrare alla nuova e divina dottrina quel popolo ebreo che era uno dei più tardi d’intelligenza, tanto che gli Ebrei non ebbero mai un artista un po’ degno, ed erano ritenuti, come i Beoti della Palestina. E ad imitazione di N. Signore, nell’insegnare come nel correggere, siate pazienti, sereni, tranquilli, semplici, savii, senza gridare mai, eccetto in qualche raro caso, ma operate sempre con giudizio, con maturità, con pazienza (e mi ripeto, lo so bene) con pazienza, sopra tutto (Scr. 82,141).
Vedi anche: Castighi, Direzione spirituale, Sistema paterno–cristiano.
Pellegrinaggi
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Spero che tutto andrà bene, e così tu prega che questo Pellegrinaggio alla Madonna di Caravaggio, che quest’anno mi dà tanto da fare, riesca di gloria a Dio e alla Madonna e di bene alle anime (Scr. 7,297).
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Facciano questo Pellegrinaggio in spirito di umiltà, di penitenza e di preghiera, raccomandandosi ai Santi e agli Angeli tutelari e Patroni dei vari luoghi e paesi dove passeranno (Scr. 8,71).
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Quelli che dessero vero affidamento, e per buono spirito e per salute, e che fossero promossi, e vorranno fare il pellegrinaggio a piedi – sarei ben contento che venissero confortati a tale atto di pietà e di mortificazione dei sensi. Sappiati quindi regolare, senza esaltarli. Non si spinga nessuno, ma neanche si ostacoli, quando concorrano le note su dette, e non ci sia in mezzo spirito di sport e la vanità di apparire e distinguersi, ma vero e sentito spirito di vita penitente e di fede (Scr. 8,129).
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Sarei contento se, tutti insieme, faceste un pio pellegrinaggio alla Madonna dei Fiori, laetantes et orantes, in sancta fraternitate. E là pregare per me e per tutta la Congreg.ne (Scr. 29,278).
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Ricorda a te e ai tuoi fratelli di pellegrinaggio che il desiderio di soddisfare alla giustizia divina con opere di mortificazione e pellegrinaggi di penitenza, è cosa giusta e santa, e che l’uomo vive per fare penitenza. Tutti siamo, pur troppo, peccatori, e abbiamo bisogno di fare penitenza ogni giorno. Fate, o miei cari figli, che codesto pio pellegrinaggio vi aiuti a sentire la computazione dei vostri peccati, vi radichi nella santa umiltà, vi distacchi da voi e vi dia fortezza spirituale (Scr. 34,184).
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Quest’anno vorrei prendermi alcuni giorni di permesso, e indire ancora il pellegrinaggio a Caravaggio, che al popolo può fare del bene, quando si cerchi di suscitare in esso sensi di vera pietà (Scr. 37,64).
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Oggi è la festa di Santa Margherita da Cortona, non avendo potuto venire di persona, farò il pellegrinaggio in spirito, è un pellegrinaggio un po’ comodo, ma nostro Signore e la cara Santa lo accetteranno, anche se non costa fatica (Scr. 38,64).
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Siete dunque alla vigilia del vostro pio pellegrinaggio, e confido che vi darete a codesta opera di pietà e di mortificazione con quello spirito di fede, di umiltà, di preghiera di penitenza con cui peregrinavano i santi. Rettificate nel Signore tutte le vostre intenzioni; e offrite a Gesù crocifisso, per le mani della SS.ma Vergine tutto quello che dovrete patire, e lieti di faticare e di patire per l’amore di Dio benedetto, sopportando in silenzio, e anzi in perfetta letizia, ogni contrarietà e mortificazione. Tenetevi sempre davanti Gesù e Maria SS.ma; l’Arcangelo San Raffaele e i vostri angeli e santi protettori. Pensate che le strade che voi farete sono state percorse già da tanti pellegrini, da uomini e servi di Dio e da santi, e invocateli di frequente. Raccomandatevi ogni giorno alle sante anime del Purgatorio, e ne avrete grande aiuto. Passando davanti alle chiese, salutate gli angeli che le custodiscono. Venerate le sacre Immagini e le s. reliquie che in esse fossero custodite e adorate anche brevemente, Gesù sacramentato, se vi si conserva. Dove vi fermate, o per riposare o per compiere le opere di pietà, possibilmente dite ai Sacerdoti che mettano la firma sul vostro libretto d’itinerario con il bollo della Chiesa o dell’Istituto che vi accoglie. Nicola farà da capo del suo gruppo e Cesaro del suo; state uniti in Domino sì da formare veramente cor unum et anima una, fraternamente. Date buon esempio a tutti, edificate tutti con la vostra umiltà pietà, modestia e contegno religioso. Potrete fare un gran bene, e la vostra peregrinazione si trasformerà, Deo adiuvante, in una predicazione di buon esempio. Non parlate molto, ma pregate molto, e che il vostro passaggio lasci buona impressione e buona memoria di voi in tutti (Scr. 52,189).
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Fratelli miei, questo nostro pellegrinaggio è figura di un ben altro cammino: siamo tutti pellegrini qui nel mondo: fra le gioie e i dolori, noi compiamo nella vita il nostro pellegrinaggio, sinché, vivendo fedeli a Dio, alla Chiesa e alla Patria, avremo riposo in Paradiso, dove Gesù e la Sua Madre Santissima ci accoglieranno nel loro amore e nella loro gloria, eternamente. Pellegrini Fratelli, salute! Salute, pace e conforto a Voi, che avete il cuore pieno delle ansie, delle preoccupazioni fastidiose della vita; a Voi che siete venuti per refrigerio morale e spirituale, affaticati dai travagli di ogni giorno. Questo vostro Pellegrinaggio Vi ammaestri come dovete indirizzare e compiere il faticoso pellegrinaggio di questa valle di lacrime, che è la presente vita. La fede e la pietà, che oggi vi accompagnano, abbiano a rimanere al vostro fianco lungo la vostra giornata di esistenza quaggiù: che l’amore, la devozione alla Madonna, che oggi vi guidano e vi consolano, vi abbiano sempre a sostenere nel viaggio mortale, breve o lungo, che la Provvidenza di Dio vorrà concedervi (Scr. 70,302).
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Per l’acquisto del Santo Giubileo, nostri Sacerdoti e Chierici, divisi in più gruppi, come gli antichi Romei e ad imitazione di parecchi Santi. Partiranno dal nostro Santuario dai piedi della Madonna della Guardia, dopo apposita funzione. Il loro pellegrinaggio sarà in spirito di povertà, di mortificazione, di umiltà, di preghiera rinvigoriranno mano mano le loro forze e la loro pietà con la visita ai vari Santuari che troveranno sul loro cammino (Scr. 73,37).
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Avete fatto un po’ di pellegrinaggio ai piedi della Madonna della Guardia. Tutta la nostra vita è un pellegrinaggio. Andiamo pellegrinando su questa valle di lacrime.; dopo il pellegrinaggio terreno arriveremo alla patria. Tutti quelli che con la grazia del Signore saranno vissuti secondo i santi Comandamenti e i precetti della Chiesa e i doveri del proprio stato, avranno dalla misericordia del Signore il premio grande alle loro fatiche di quaggiù (Par. IV,323).
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Che questo vostro pellegrinaggio, che ci ha tanto edificato, fortifichi il vostro spirito, rinvigorisca le vostre energie morali e vi sia di stimolo santo a camminare per le vie dello spirito di carità, di amor di Dio e dei fratelli più bisognosi; alimenti sempre più in voi la devozione alla vostra Madonna della Guardia (Par. X,216).
Vedi anche: Apostolato, Giubileo, Madonna, Preghiera.
Penitenza (sacramento)
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Fate una confessione profonda, e andate alla radice: non aspettate troppo: fate un buon esame, eccitatevi al dolore dei vostri peccati, raccomandatevi alla SS.ma Vergine, e poi confessatevi presto, entro i primi tre giorni, ma bene, bene (Scr. 3,377).
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Confessione. Se non ti senti la coscienza tranquilla ne differas de die in diem, ma corri subito al confessore. Singolis hebdomadibus Fili Divinae Providentiae ad Poenitentiae Sacramentum accedant – Da ammalati – non lasciar passare tre giorni – Negli Esercizi confessarsi nei primi tre giorni (Scr. 28,105).
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La confessione è sempre utile anche se non abbiamo materia grave. È bene che i chierici e i giovani sappiano da chi i sacerdoti si confessano e con quale frequenza, e che i giovani lo sappiano dei loro assistenti e dei chierici. Fede di confessione da trasmettersi ogni tre mesi alla Casa Madre. I direttori non possono più, per ordine della Santa Sede, confessare abitualmente i loro chierici e giovani (Scr. 28,105).
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Io ho bisogno di confessarmi molto spesso, due e anche tre volte la settimana, non per peccati gravi, per divina misericordia, ma perché ho una coscienza fatta così, che tutto mi inquieta anche le imperfezioni, se non mi confesso non trovo la pace e la forza di andare avanti (Scr. 39,103).
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Vorrei che ella sentisse tutta la gioia serena e la felicità della Confessione, che le darà grande luce e tranquillità di spirito e un vigore infinito nei passi della vita e illimitata confidenza nel Signore (Scr. 47,257).
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La confessione non solo sia settimanalmente da noi frequentata, e la Santa Comunione quotidianamente, ma la Confessione e la Santa Comunione siano frequentissimamente consigliate ai nostri giovani. Ogni giorno sente il corpo il bisogno del suo cibo, e non sentirà l’anima il bisogno del suo Pane, del Pane vivo disceso dal cielo, per essere a noi, come già scriveva Sant’Ignazio Vescovo e Martire «farmaco d’immortalità»? (Scr. 51,36).
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I vostri peccati, dunque, ditemeli pure in buon tortonese, e cominciate dai più grossi, anche non siano tortonesi. Verrete a confessarvi da me o da altri, ma specialmente da me, che giro tanto mondo e i peccati li so tutti, li indovino anche, delle volte li sento fin dall’odore; che se non me li dite voi, ve li dirò io, con l’aiuto di Dio: in quattro e quattr’otto vi metto a posto, e ve ne andrete contenti con la pace nel cuore (Scr. 52,255).
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La frequente confessione ci da la delicatezza di coscienza. 2) La Confessione è il mezzo ordinario di cancellare i peccati. 3) Accresce in noi la grazia santificante. 4) Ci fa progredire nella perfezione 5) Condizioni – esame etc. Dolore e integrità – tacere per vergogna – non a sbalzi: 8 giorni – buon Medico – Non confessiamoci per abitudine (nulle o di nessun vantaggio) – Ave Maria – raccogliamoci – Il dolore è l’atto primo e fondamentale – vera contrizione – non averla è causa che non si produca in noi quell’orrore che ne dovremmo avere – integrità – via il rispetto umano, il timore di scapitarne nella stima del confessore, dei Superiori, dei Confratelli – è deplorevole insensatezza. Quello che fa un uomo lo può fare un altro – esempio – penitente e San Filippo. E se avessimo fatto confessioni sacrileghe? circostanze che mutano il peccato – Non solo per levarci il peccato, non solo per praticare la regola – Non confessiamoci del puro necessario – una grande confidenza con il confessore Le confessioni generiche non fanno né caldo né freddo. I santi: San Carlo, San Vincenzo F., Sant’Ignazio, San Fr. Borgia, San Leonardo – io e alcuni di voi abbiamo bisogno 2 volte alla settimana – Non cambiamo confessore se amiamo davvero il nostro bene – Sanctus, doctus et prudens – ditelo ai Superiori. Confessione dagli ultimi Esercizi per nostra utilità – Confessione annuale – Confessione generale con preparazione – diligenza – umiltà – dolore (Scr. 129–130).
Vedi anche: Esercizi spirituali, Eucaristia, Peccato, Sacramenti, Unione con Dio.
Penitenza (virtù)
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Io ho bisogno di ammazzare in me tutto ciò che di umano vi è, che non sia secondo lo spirito di umiltà, di tolleranza, di penitenza, di rinnegamento e di annichilamento per l’amore di Gesù Cristo e della Santa Madre Chiesa. Sento di essere molto pieno di me stesso, ed ho bisogno che molto tu preghi anche per me (Scr. 23,10).
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Coraggio! Comprendo, o miei cari figlioli in Gesù Cristo, che dovrete soffrire, ma fatevi animo che cosi vincerete voi stessi per amore di Dio e vi formate allo spirito di vera penitenza mortificazione religiosa. Cari miei figlioli, in Paradiso in carrozza non si può andare; ma due sono le vie del Cielo: innocenza e penitenza per amore di Gesù Crocifisso (Scr. 24,9).
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Ricorda a te e ai tuoi fratelli di pellegrinaggio che il desiderio di soddisfare alla giustizia divina con opere di mortificazione e pellegrinaggi di penitenza, è cosa giusta e santa, e che l’uomo vive per fare penitenza. Tutti siamo, pur troppo, peccatori, e abbiamo bisogno di fare penitenza ogni giorno. Fate, o miei cari figli, che codesto pio pellegrinaggio vi aiuti a sentire la computazione dei vostri peccati, vi radichi nella santa umiltà, vi distacchi da voi e vi dia fortezza spirituale (Scr. 34,184).
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Vogliate pregare per la mia conversione, e che Gesù misericordioso mi dia spazio di penitenza, grazia di patire e il suo santo e divino amore. Se qualche cosa avessi sentito in me, detto o scritto, non secondo la carità di Gesù, il cuore di Gesù mio la abbruci (Scr. 43,98).
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E perché la mia indegnità e così grande, che io ho pure rossore di guardarmi e di parlare, prego la SS.ma Vergine di ottenermi essa, che tutto può, che io non offenda mai e mai più nostro Signore e che, se così piace al Signore, mi conceda egli spazio di penitenza per piangere i miei peccati e riparare con l’amore di Dio alle mie ingratitudini. Del resto io sono contento, per la grazia che mi dà il Signore, di fare la sua s. volontà, qualunque sia: in qualunque modo: sia fatta la volontà di Dio! (Scr. 45,94).
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Non devo più oltre ingannare né me, né gli altri e, meno che tutti, la santa chiesa di Dio. Ho sete di silenzio, di preghiera, di penitenza; non ho bisogno di chiasso io che sono già tanto inclinato a vita divagata, che sono così arido nella vita dello spirito, e così scioccamente pieno di me stesso. Altro che festeggiare il passato! ho bisogno di piangerlo e di riparare, cominciando una vita umile, di carità verace di Dio e del prossimo, e di amore sostanziale alla chiesa, e non di chiacchiere e di apparenza come confesso che purtroppo sono stato fin qui (Scr. 45,160).
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La Divina Provvidenza permette che siamo afflitti dalle malattie perché facciamo penitenza dei nostri peccati e ci meritiamo il Paradiso, sopportando con pazienza e rassegnazione i dolori e purificando la nostra anima. Pensate ai patimenti di Gesù Cristo, e pregate, stando in guardia, che dagli incomodi del corpo il demonio non abbia ad infiacchirvi nel buono spirito (Scr. 70,95).
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In Quaresima la Chiesa ci fa sentire questa verità più vivamente, ed è la misericordia di Dio che batte alla porta del nostro cuore per portarvi di nuovo la sua grazia e la sua pace. Convertiamoci, dunque, e facciamo penitenza di tutte le nostre iniquità, e facciamoci in Cristo un cuor nuovo e uno spirito nuovo, vivendo nella onestà e pratica della vita cristiana, da irreprensibili figliuoli di Dio (Scr. 73,212).
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Non deponiamo le vesti della penitenza: miglioriamo i costumi: purifichiamo le nostre anime da ogni colpa e accostiamoci con umiltà e con lacrime di pentimento e di amore a ricevere la SS.ma Eucaristia, fonte divina di ogni gioia spirituale e della vera pace! Risorga Gesù nei nostri cuori, come è risorto un giorno dal sepolcro. Se i nostri peccati e le colpe dei popoli lo hanno crocifisso, la sua misericordia e la nostra penitenza ce lo ricordino vivo, glorioso Amico consolatore e Padre di pace (Scr. 92,148).
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A questa era, a questo grandioso e non più visto trionfo della Chiesa di Cristo, noi, per quanto minimi, dobbiamo portare il contributo di tutta la nostra vita: per quanto è da noi, noi dobbiamo prepararla, affrettarla con la orazione incessante, con la penitenza, con il sacrificio, e con il trasformare la nostra fede, la nostra anima specialmente, nella giovane generazione, specie di quella gioventù che è figlia del popolo, e che più necessita di religione, di moralità e di essere salvata (Scr. 103,274).
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E perché la Madonna è apparsa con il Rosario in mano, raccomandando la penitenza, preghiamo e facciamo penitenza. Tanto più c’è bisogno di preghiera e di penitenza in questi giorni in cui nel mondo si crede tutto lecito e permesso. E nei giorni della quaresima, giorni di salute, conformiamo il nostro spirito allo spirito della Chiesa, cerchiamo di camminare nella via del Signore; e se qualcuna di voi cammina di fianco, si metta a camminare diritta. Cerchiamo di pregare di più, di far più penitenza, insomma di servire e di seguire il Signore in modo più perfetto (Par. I,122).
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La Vergine Santissima di Lourdes, oltre la preghiera, ha raccomandato la penitenza: Penitenza! Penitenza! Penitenza! Ecco quanto il mondo non vuol capire! Il mondo vuol godere! Ecco, il motivo per cui molte anime si allontanano dalla vita cristiana, dalla vita religiosa: il timore di dover soffrire, di dover far penitenza. Ecco quanto il mondo non vuol capire! Il mondo vuol godere! Se voi non farete penitenza perirete, disse Gesù, e la Vergine Santissima, nostra buona Madre, ci avvisa: fate penitenza! Beati coloro che l’hanno compresa bene la necessità di far penitenza! Beati coloro che hanno rinunziato a tutto per vivere nella preghiera e nella penitenza. Beati coloro che soffrono per Dio. I dolori della vita ci sono dati per far penitenza, sono richiami ad una vita più buona. Guai se l’uomo non avesse da soffrire! Le malattie, le avversità, i dolori servano ad umiliare il suo orgoglio; se non ci fossero, egli si solleverebbe contro Dio. Quante anime orgogliose, superbe, sono tornate a Dio dopo un grande dolore, dopo una grave malattia! Facciamo penitenza, e ringraziamo Dio dei dolori e dei mali che ci manda (Par. I,160).
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In Paradiso si arriva con due strade: l’innocenza e la penitenza. Se non abbiamo mantenuto l’innocenza, ringraziamo Dio che ci dà un po’ di penitenza e specialmente quelle penitenze che non vanno a nostro genio (Par. II,215b).
Vedi anche: Croce, Disciplina (religiosa), Distacco (virtù), Mortificazione, Privazioni, Rinnegamento di sé, Sacrificio, Sette “effe”.
Pentecoste
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Domani è la Pentecoste e voglio pregare specialmente per voi di S. Alberto, che lo Spirito Santo discenda su tutti copiosissimo (Scr. 30,157).
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Presso gli ebrei la Pentecoste era la festa della mietitura (Es. XXIII,16): era la solennità della messe e, poiché lo spazio che passava tra la solennità della Pasqua e la solennità della messe era di 50 giorni, fu detta festa del cinquantesimo giorno o sia Pentecoste. Era giorno solennissimo e santissimo. Ma non è questo il lato per il quale la Pentecoste ebraica ha relazione con la Pentecoste cristiana. La tradizione ebraica dava a tale festa tanta solennità e carattere della più alta santità, perché il popolo ebreo con tale festa intendeva e voleva ringraziare Dio di aver data in questo stesso giorno, la legge sul monte Sinai. E anche oggi gli ebrei chiamano la Pentecoste la festa della legge. Ora, come gli ebrei solennizzavano con la Pentecoste la promulgazione alla legge mosaica, così noi cristiani solennizziamo la promulgazione del Vangelo, lo stabilimento della legge di Gesù Cristo e la fondazione pubblica della S. Chiesa, avvenuta con la discesa miracolosa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli (Scr. 39,48).
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La Pentecoste nostra è una delle tre principali feste dell’anno, Pasqua–Natale–Pentecoste ed è di tanto superiore alla Pentecoste degli ebrei, di quanto la legge di grazia è superiore alla legge mosaica e quanto il compimento dei nostri grandi misteri supera tutto ciò che n’era soltanto la figura. Quali meraviglie non scopre la fede in questo mistero! La terza Persona della SS.ma Trinità è discesa sopra gli uomini per riempirli, con immensa e divina liberalità, delle sue grazie più abbondanti e dei doni celesti! In questo giorno della Pentecoste nostro Signore dà l’ultima mano alla grand’opera alla quale egli mirava in tutti i suoi misteri. È in questo giorno di Pentecoste che Gesù si è formato un nuovo popolo di adoratori. Oggi Dio ha mandato il suo Santo Spirito sulla terra per rinovellare la faccia del mondo, per creare la sua Chiesa, «conservatrice eterna del suo sangue e Madre dei Santi», come la chiama il Manzoni proprio in quell’inno così sublime che egli sciolse alla «Pentecoste» (Scr. 39,49).
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La Pentecoste è il fine e la consumazione di tutto ciò che Dio ha operato e sofferto per l’umanità. Che gran giorno è mai questo! E non è già la celebrazione di un mistero passato, come nelle altre feste, ma è un mistero che continua anche attualmente e si rinnovella e si va compiendo in noi stessi, per il mistero della santa Chiesa di Gesù Cristo. E lo Spirito Santo discese, visibilmente, sulla Chiesa nascente in un giorno di domenica, nella gran festa della Pentecoste degli ebrei; affinché, in quello stesso giorno in cui Dio aveva dato l’antica legge sul Sinai, essa fosse abolita dalla nuova (Scr. 39,50).
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Domani è la dolce solennità della Pentecoste: preghiamo che lo Spirito del Signore discenda su tutte le nostre anime e sui cuori di tutti gli uomini di buona volontà copiosamente con tutti i suoi sette doni e specialmente con il santo timore di Dio che è il principio e la base di ogni sapienza cristiana (Scr. 41,23).
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Oggi è la Pentecoste: cominciamo con una povera mamma cieca alla quale, come a noi poveretti, lo Spirito Santo darà luce di maggior fede nella Divina Provvidenza e conforti a perseverare usque ad mortem nella nostra s. vocazione di sacrificarci per l’amore alla s. Chiesa di Roma, la Chiesa madre e per le anime (Scr. 63,88).
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Quest’oggi è una delle Feste [Pentecoste] più solenni della Chiesa e mi sembrerebbe di mancare ad un mio dovere di sacerdote a non parlarvene, per quanto brevemente. San Luca oltre ad essere Evangelista, scrisse anche la storia della Chiesa nascente, negli Atti degli Apostoli. Ed al capo 2, narra la discesa dello Spirito Santo. Gli Apostoli erano riuniti nel Cenacolo, grande sala dove Gesù Cristo aveva fatto l’ultima cena e dove istituì due Sacramenti: quello dell’Eucaristia – quando prese il pane e alzati gli occhi, lo benedisse, lo consacrò e disse: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo;” e prese il calice, lo benedisse, lo consacrò e disse: “prendete e bevete: questo è il mio Sangue” – e, quello dell’Ordine Sacro. Fece i Sacerdoti, quando disse agli Apostoli: “Fate questo in memoria di me” e diede loro la potestà di consacrare il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Gesù Cristo. Dove, dunque, Cristo aveva fato l’ultima Cena, là c’erano gli Apostoli, raccolti in preghiera con Maria Santissima. Voi conoscete che cosa allora avvenne: apparve un globo di fuoco, che si divise in altrettante lingue di fuoco, ciascuna sul capo degli Apostoli i quali, in quel momento, da deboli pescatori, rozzi e ignoranti, si sentirono trasformati e ricevettero la pienezza dei doni dello Spirito Santo. Tra questi doni, c’è la scienza di Dio e la fortezza. Essi appunto si sentirono così forti che diventarono gli Apostoli e i predicatori del Vangelo in tutto il mondo e diedero poi il loro sangue per Gesù Cristo (Par. X,217).
Vedi anche: Pasqua, Spirito Santo.
Perdono
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Vegliate, amate in Gesù Cristo Crocifisso, sopportate, perdonate e pascete le anime dei Religiosi a voi affidati con la soave e deliziosa pastura della carità e umiltà. Siate aperto nemico dei vizi, ma medico dei viziosi: vigilate e pregate e cercate nel Cuore di Gesù tutti i mezzi per ridonare ai nostri una sanità spirituale e religiosa vigorosa: la vita religiosa (Scr. 1,97).
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Non perdiamo tempo, ma tutto diamolo al Signore, a lavorare per i beni eterni, per le anime: cerchiamo di perdonarci, di perdonarci sempre, più di 77 volte sette: aiutiamoci, illuminiamoci, edifichiamoci a vicenda, fraternamente – Domani, o chissà oggi? saremo morti! (Scr. 5,525).
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Per l’aiuto che mi dà il Signore perdono a tutti, amo tutti, cercherò sempre di fare del bene a tutti, almeno con l’orazione. E farò pregare (Scr. 18,77).
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Queste parole che t’ho buttato giù qui alla buona ti dicono qualche cosa dello stato d’animo del tuo povero prete in questi giorni. Tu domandi perdono, ed io sento che sono sacerdote di un Dio che è Padre di bontà e di perdono: io prete non posso dirti di no, il prete deve perdonare sempre ed avere sempre il cuore e le braccia larghe per chi si pente e vuole ritornare! Vieni e troverai sempre il cuore di prima, ma vieni a studiare davvero e a star bravo. Adesso possiamo sembrare cattivi, ma un giorno, e forse quando non ci saremo più, benedirai alla memoria dei tuoi poveri superiori che ti hanno amato tanto! (Scr. 30,10).
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Io non ho chiesto che facesse processi né che alcuno dovesse restare umiliato: ho perdonato a tutti: amo tutti, vorrei dare la vita per tutti: ho chiesto alla mia chiesa e al mio Vescovo una parola – non mi fu detta: sia fatta la volontà di Dio! Per ora, non devo dire di più, non altro che pregare, tacere, umiliarmi, soffrire e offrire tutto al Signore e adorare la volontà del Signore (Scr. 31,152).
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Chiedo perdono a tutti, (e nel più umile modo), che avessi offeso o danneggiati, e da parte mia perdono di gran cuore a chi mi avesse offeso o recato danno, in qualunque modo, nella roba o nell’onore. Prego anzi il Signore per chi mi avesse perseguitato o fatto del male, e vorrei dare la mia vita per vincere il male con il bene, nella carità di Gesù Cristo (Scr. 53,141).
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Prego Dio di assistervi, e per i dolori che avete dato a me ben di cuore vi perdono, e supplico Dio di perdonarvene, come lo supplico umilmente di perdonare a me le mie colpe (Scr. 66,40).
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Il secondo comando che Gesù fa derivare dal precetto generale della misericordia è il perdono delle offese. Comando poco praticato, perché di penosa osservanza; ma sovranamente giusto e vantaggioso. Esso proibisce la vendetta. Pensiamo quanto sarebbe iniqua, quanto distruggitrice della società la legge, che lasciasse libero ciascuno di far giustizia da sé‚! Il perdono soffoca sin dai cuori il risentimento dell’odio, e ci libera da tutte le spaventose conseguenza che la vendetta trarrebbe seco. Siamo cristiani; alziamo lo spirito al Cielo. Noi abbiamo bisogno che Dio ogni giorno ci perdoni, perché ogni giorno siamo poveri peccatori avanti a Lui. Ebbene, Dio rimette la nostra sorte tra le nostre mani. altri avrà offeso noi, ma noi abbiamo offeso tanto Dio; il nostro giudizio verso chi ci ha offeso, diverrà il giudizio di Dio sopra di noi: Perdonate, e sarà a voi perdonato. Oh patto pieno di carità! Oh giustizia infinitamente misericordiosa di Dio! (Scr. 82,32).
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Pensiamo quanto sarebbe iniqua, quanto distruggitrice della società la legge, che lasciasse libero ciascuno di far giustizia da sé! Il perdono soffoca sin dal cuore il sentimento dell’odio e ci libera da tutte le spaventose conseguenze che la vendetta trarrebbe seco. Siamo cristiani: alziamo lo spirito al Cielo. Noi abbiamo bisogno che Dio ogni giorno ci perdoni perché ogni giorno siamo poveri peccatori davanti a Lui (Scr. 86,58).
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Chi amerà sarà amato, chi darà soccorso troverà soccorso, chi avrà pietà dei miseri troverà pietà e misericordia. La legge del taglione è abrogata nel male, ma è in vigore sempre nel bene. Noi commettiamo del continuo offese a Dio e agli uomini, e queste offese ci saranno perdonate soltanto se perdoneremo quelle commesse contro di noi. Alla luce della fede e del nostro amore, Cristo è in tutti gli uomini, ma più sensibilmente Egli si rivela al cuore cristiano nelle sembianze dei piccoli e dei poveri derelitti: quel che faremo loro sarà fatto a Dio: «Quello che farete a uno dei minimi tra voi, sarà fatto a Me» disse Cristo. Se, dunque, avremo pietà degli altri, troveremo pietà per noi; e soltanto se perdoneremo il male che gli altri ci fanno, Dio perdonerà le offese fatte a Lui e il male fatto a noi stessi. Siamo misericordiosi e troveremo misericordia! (Scr. 86,192).
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Signore, in questo Anno del grande Perdono, perdonate a me, miserabile peccatore, i miei grandi peccati, per la vostra infinita misericordia, come, in virtù della vostra grazia, io perdono di cuore a tutti. Vi prego di esser largo di grazie ai miei Religiosi, Alunni e Benefattori, e umilmente Vi invoco e Vi supplico per tutti: in Voi e per Voi voglio amare, servire e fare del bene a tutti (Lett. II,218).
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Perdona a noi, o Gesù, i nostri debiti, i peccati, le offese che ti abbiamo fatte, le calunnie, le debolezze, come noi perdoniamo a chi ha peccato contro di noi. A chi lo ha offeso, il Signore ha messo sotto condizione il suo perdono: se noi perdoneremo a chi ha peccato contro di noi, anche lui perdonerà a noi. Il che vuol dire che chi non perdona al suo prossimo, non sarà perdonato. Ecco le parole del Signore che ci dicono di perdonare. Qualcuno di voi dirà: M me ne ha fatte tante quella mia nuora o suocera; quella vicina mi ha trattato male... Ma Gesù Cristo, lo hanno crocifisso, e mentre grondava l’ultimo sangue, e mentre era sulla croce ha avuto la forza di gridare: Padre, perdona a quelli che barbaramente mi hanno messo in croce! Sì, anche noi perdoniamo il danno ricevuto nel buon nome, nella roba; dobbiamo non ritirare la mano, ma dobbiamo stendere la mano ai nostri fratelli in Gesù Cristo (Par. V,16).
Vedi anche: Carità, Fortezza (virtù), Mansuetudine, Santità.
Perfezione (virtù)
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Cari figli miei, state uniti e lieti nel Signore: mirate alla perfezione, fatevi animo, siate un cuor solo e un’anima sola, e il Dio della carità e della pace sarà con voi (Scr. 1,132).
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Con la preghiera: con la umiltà: con il candore semplice e la confidenza piena di figli: così e non altrimenti giungerete alla perfezione e alla vera santità, e saremo i figli veri della Divina Provvidenza, e cresceremo cari a Dio, e faremo un bene immenso (Scr. 2,77).
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Ecco perché la Chiesa vuole che lo studio principale del Noviziato, anzi unico debba essere di attendere alla formazione religiosa, alla propria perfezione. E quando qualcuno non riesce a correggersi, non si deve aver timore di allontanarlo; meglio qualche membro di meno, che avere individui che non abbiano lo spirito e le virtù religiose (Scr. 3,488).
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Entrando in Noviziato non si cercano soggetti perfetti, ma studiosi di perfezionarsi, risoluti di perfezionarsi – Deo adiuvante – sì! E a questo desideratissimo fine arriveranno, con la orazione, con il fervore più ardente, con la umiltà, con la semplicità, con il lasciarsi condurre dal Maestro del Noviziato, con la osservanza esattissima delle regole, con volontà ferma nel Signore, fidati nel Signore, fidati nella Santa Madonna preparati ad ogni santa battaglia per Dio e per Dio alla vittoria! (Scr. 3,492).
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Mortificati, mortificati nella lingua, si breve e spedito nel parlare: si educato, cortese con tutti, ma si breve, brevissimo nel tuo parlare. «Chi non pecca con la lingua, (dice la Sacra Scrittura), è un uomo perfetto» – e noi religiosi dobbiamo cercare la perfezione; per questo ci siamo fatti religiosi, per fare vita di perfezione (Scr. 29,54).
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Coraggio, fratelli miei, stiamo attaccati a Gesù osserviamo la santa legge di Dio e pratichiamo la vita di Gesù, la vita evangelica della perfezione religiosa: povertà, castità, obbedienza con molta orazione, umiltà, mortificazione dei sensi, lavoro, spirito di sacrificio e tutto con una carità grande e sempre nella concordia e pace con Dio e con tutti (Scr. 30,233).
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Lavoriamo la nostra perfezione, e lavoriamo, fatichiamo, da facchini di Dio, sino alla consumazione di noi, come apostoli e da apostoli, Deo adiuvante. Aneliamo, bramiamo di patire per la nostra santificazione e la salvezza delle anime, a gloria di Dio, tutto e solo a gloria di Dio, e a conforto del Santo Padre e dei Vescovi. Portiamo lietamente e festosamente la croce con Gesù Cristo sig. nostro, in adorazione e immolazione silenziosa con Cristo crocifisso e per l’amore di Gesù Cristo come figli e Martiri, così Dio volesse! della s. madre chiesa e del Papa (Scr. 52,57).
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La vera virtù e la perfezione non consiste in altro che nell’essere sempre contenti della volontà di Dio e nell’uniformarvisi in tutto. Amare la volontà di Dio nelle cose liete è poco amore, se è... ma amarla nelle contrarie, è amor puro, è come l’oro affinato (Scr. 55,13).
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La perfezione nostra consiste nell’unirci con Dio, con la massima intimità l’anima si trova in Dio e Dio in essa, dice San Giovanni – per Dio ci immoliamo, lo benediciamo nelle prosperità, nelle avversità – per il prossimo – l’anima religiosa obbedirà perfettamente ai suoi Sup. sopporterà i Confratelli, li edificherà con i suoi esempi, si sacrificherà per il prossimo. Suore, Missionari – San Bernardo – per sé – combatterà contro le sue male tendenze, abitudini, rinnegherà sé stessa – Che cos’è la perfezione, è la carità perfetta (Scr. 55,164).
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Il monte della perfezione ha due strade: l’una dritta, religiosa e molto breve; l’altra lunga, spinosa e molto ingombra di coltissime fronde che rendono la via tenebrosa; quindi il pellegrino è in pericolo d’inciamparsi. Figliuola del Signore, vuoi tu correre alla perfezione con velocità e presto arrivare alla vetta? Scegliti la strada religiosa della carità. Abbi carità verso Dio, amandolo senza limiti; verso te stessa, calpestando la tua natura e abbracciando quello che ti suggeriscono i tuoi superiori; verso le tue sorelle, con molto compatire, soavemente correggere ed aiutare le deboli, con il mostrarsi sempre ilare e mansueta con tutte; verso i tuoi prossimi, mostrandoti pronta a qualche sacrificio in loro vantaggio, ritenendoti sempre indegna di lavorare per il loro bene (Scr. 79.81).
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La perfezione sta nell’amare Dio con tutto il cuore e le anime per amore di Lui: il sacrificio di noi, per la volontà e la gloria di Dio e per la salute del prossimo, è il sublime della perfezione, è la santità. IV Essere servi di Dio vuol dire: avere gran carità e risoluzione inviolabile di seguire in tutto la volontà del Signore: confidare in Dio con semplicità e umiltà:, sopportare pazientemente le imperfezioni dei compagni (Scr. 86,150).
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Le regole sono l’esemplare che dobbiamo ricopiare in noi stessi per giungere alla perfezione propria del nostro stato. Poiché infatti sono per noi l’espressione della volontà di Dio, e d’altro canto la perfezione consiste nel perfetto adempimento della divina volontà, è manifesto che solo con la perfetta osservanza di queste noi possiamo conseguire la perfezione propria del nostro stato. Inoltre niuno può, non dico giungere alla perfezione, ma neppure alla salute, se non rendendosi con forme a n. Sig. Gesù Cristo, datoci dal padre come modello da imitare: quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis Filii sui et sit ipse primogenitus in multis fratribus; onde consegue che tanto maggiore sarà la perfezione che l’uomo conseguirà, quanto più perfetta sarà l’imitazione di n. Sig. Gesù Cristo (Scr. 102,119).
Vedi anche: Direzione spirituale, Esercizi spirituali, Preghiera, Santità.
Persecuzioni
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Per compiere la volontà e i desideri del Papa molte contrarietà e ostilità e persecuzioni si è sofferto: molti ci hanno visti male e abbandonati; ma quanto si è patito per restare fedeli alla Chiesa, al Papa e ai Vescovi che sono in tutto con il Papa, ce lo troveremo in Paradiso e ci sarà, spero, presso il Signore di grande merito e di grande condono per i tanti nostri peccati (Scr. 13,98).
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Con le tribolazioni il Signore vuole provare la nostra fedeltà e la perseveranza nella vocazione od ostilità, esercitarci nel vero spirito di umiltà: il Signore dispone così perché rinneghiamo noi stessi: ci vuol far crescere nel buono spirito della rassegnazione e della pazienza: vuole il Signore quando permettesse le persecuzioni e le croci, purificare con un fuoco santo le nostre colpe e peccati, i nostri difetti e imperfezioni. Diamone grazie al Signore! (Scr. 27,128).
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Bada ancora, caro Marabotto, che non avrai più nulla a sperare nel mondo, se non fatiche e patimenti e persecuzioni per amore del nostro Dio e del Papa e delle anime. Tu dovrai essere fedelissimo seguace in tutto – anche nei desideri – del Santo Padre e figliolo devoto a lui e alla S. Chiesa di Roma e ai veneratissimi Vescovi che sono con il Papa – sino alla consumazione di te stesso, sino alla morte: e sentire con essi e amarli e difenderli come un figlio farebbe per difendere suo padre; e, se facessi diversamente, tradiresti al tutto lo spirito della nostra professione (Scr. 32,2).
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Il timore di Dio, come dono dello Spirito Santo, è il timore di spiacergli per l’amore che gli portiamo. È un timore che nasce ed è nutrito dall’amore di Dio. I quattro primi doni guariscono, fortificano ed innalzano l’intelletto: gli altri perfezionano la volontà e la informano alla pratica delle virtù. Essi sono una spada ed insieme uno scudo di difesa per l’anima: essi hanno fame e sete di giustizia, sentimenti di compassione e di misericordia, purità di cuore, pazienza nelle tribolazioni, nelle malattie, nelle persecuzioni e una grande e soavissima pace di spirito (Scr. 39,53).
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Tu non puoi, non devi continuare così: ben altro da te si aspetta il Signore. Però, ripeto, nulla io ti prometto di ciò che il mondo suole promettere; ecco che ti prometto, o mio caro, fame, freddo, fatiche, fastidi, fiaschi, fischi, filze di debiti, facchinaggi, frustate, frecce, frizzi: insomma: umiliazioni, annegazioni, tribolazioni, avversità persecuzioni, croci, perché penso che il nostro Calvario non sia ancora cominciato. Ma poi il paradiso! (Scr. 44,109).
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Intorno a noi non mancheranno gli scandali e i falsi pudore degli scribi e dei farisei, né le insinuazioni malevoli, né le calunnie e persecuzioni. Ma, o figli miei, non dobbiamo avere il tempo di «volgere il capo a mirare l’aratro», tanto la nostra missione di carità ci spinge e c’incalza, tanto l’amore del prossimo ci arde tanto il divino cocente foco di Cristo ci consuma (Scr. 57,104d).
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Passano le nubi, le persecuzioni sono, come le prove, le caratteristiche delle opere di Dio: le adopera il Signore che guida le tempeste (Scr. 73,34).
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Oh noi beati, se potessimo fare qualche cosa o patire persecuzione in difesa del Papa! Oh noi più beati, se Dio ci rendesse degni di dare per il suo Vicario anche la vita! Sarebbe un sacro pegno della vita eterna che il Signore ha promesso e preparata in Cielo ai suoi servi fedeli (Scr. 82,104).
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Cerchiamo di avere lo spirito del Signore e la sua santa operazione: pregare con puro cuore e avere umiltà e pazienza nelle persecuzioni e malattie e amare quelli che perseguitano, riprendono e arguiscono calunnia. I Superiori siano servi di tutti gli altri. Beati quelli che patiscono persecuzione per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo. Guardiamoci da ogni superbia e vanagloria (Scr. 94,6).
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Chi abita nel Cuore di Gesù partecipa della pace, che è propria dello spirito di Dio – e ogni persecuzione e agitazione esterna non giungerà mai a turbare la pace, di cui vive e in cui riposa l’anima che si è fatta vera vittima del Cuore di Gesù e che vive nel Cuore di Gesù (Scr. 103,22).
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Desiderate di avere lo spirito del Signore e umiltà e pazienza nelle persecuzioni, se piacerà al Signore di farvi questo grande favore di mandarvene (Scr. 105,113).
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Sia allora questa l’estrema prova d’amore che noi daremo al Papa nella povera nostra esistenza; e noi beati se, mandati là dove infuria la persecuzione, avessimo, la bella sorte di lottare “usque ad effusionem sanguinis” (Scr. 118,41).
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Se verranno tribolazioni e persecuzioni, benediciamone il Signore: esse vengono a noi come a servi del Signore, per nostra emendazione e purificazione e non per nostra perdizione (Lett. II,238).
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Come l’oro si prova al fuoco e l’amore con i fatti, così la Fede si prova con le opere di misericordia, si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni. Ma per la Fede le persecuzioni e i vilipendi, anziché essere cagione di separarci da Cristo, saranno, invece, accrescimento di vita cristiana, di vita veramente di abnegazione, di perfezione religiosa, di soda virtù, di verace amore a Dio ed agli uomini, di unione a Gesù ed alla Sua Chiesa (Lett. II,458).
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Nostro Signore non è rimasto su questa terra per abitare soltanto nei tabernacoli di marmo o di legno, ma più per poter da quelli passare ai viventi tabernacoli dei nostri cuori. Abbandoniamoci in lui! Qualunque malattia, qualunque persecuzione, qualunque perdita, qualunque morte... nulla, nulla deve turbarci (Par. I,149a).
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Oh, con quanto amore si gettava ad adorare Gesù Sacramentato il Beato Giuseppe Benedetto Cottolengo! Oh, le ore sante passate dal Santo della Divina Provvidenza, dal Santo dei Poveri, davanti a Gesù Sacramentato! È là che il Beato Cottolengo, ai piedi del Signore, è là che egli attingeva quella fede, quella tranquillità di spirito, anche in mezzo alle prove più intime, più dolorose, anche nelle ore della persecuzione, anche quando tutti avevano fatto il deserto attorno a lui e si trovava solo con i suoi poveri (Par. III,70).
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Gesù Cristo e la Santa Chiesa si servono e si amano in croce e chi non serve il Signore e non lo ama in croce, non lo serve e non lo ama affatto. È la Scrittura che parla: Tutti quelli che piamente vogliono vivere in Cristo, dovranno patire persecuzioni. Si quis vult venire post me abneget semetipsum... Rinneghi sé stesso. Adesso invochiamo tutte le anime dei santi monaci eremiti che si sono fatti santi nella solitudine e nella mortificazione e anche preghiamo tutte quelle anime che vissero in questo romitaggio (Par. V,35).
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La nostra Congregazione non deve essere una Congregazione di fiacchi, peggio di effeminati, non una Congregazione slombata; ma una Congregazione virile, forte e tanto che, se domani dovesse scoppiare una persecuzione, – badate bene vi vado preparando a questo –, se domani scoppiasse una persecuzione e una cruenta persecuzione, la nostra Congregazione, come la legione tebea, tutta deve cadere e morire martire; e così si moltiplica il seme dei cristiani: “Sanguis martyrum semen est christianorum”. Così! (Par. VIII,6).
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Purtroppo io temo dei terribili giorni per la Chiesa, temo delle tempeste, e, Dio ci liberi, delle persecuzioni sanguinose fino a far versare il sangue. Ricordiamoci che il nostro attaccamento e amore a Dio e alla Chiesa deve essere forte, potente, più potente della morte. Qualunque siano i giorni di tristezza che dovessero venire, qualunque il tempo, pure la Santa Chiesa deve trovarci sempre vigilanti e pronti a cadere, in sua difesa, ai suoi piedi (Par. X,157).
Vedi anche: Martirio.
Perseveranza
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Cari figlioli nel Signore, vi raccomando nell’amor Suo che stiate con tranquillità d’animo, perseveranti nell’orazione e nel lavoro per codesti fanciulli, particolarmente cari al nostro Santo, S. Gaetano, loro condiocesano. Siamo rimessi interamente nelle mani della Divina Provvidenza, seguendo ad attendere con pace all’opera nostra e con dolce sollecitudine di carità nella pace dello spirito (Scr. 2,24).
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Sta’ saldo e in perseveranza: come l’oro nel fuoco, così l’amore e la fede alla Congregazione si prova nei dolori e nei cimenti. Non si turbi il cuor nostro e non tema: Non turbetur cor vestrum, neque formidet: sii longanime e forte nell’amare, confortare, compatire i tuoi fratelli, come una madre con i figliolini suoi (Scr. 4,239).
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Guardate che il demonio cercherà di tentarvi: state fermi e perseveranti nella orazione e obbedienza ai vostri superiori che vogliono il vostro vero bene (Scr. 24,9).
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Figli della Divina Provvidenza non solo di nome, ma di fatto, ogni cosa operando per l’amore di Gesù Crocifisso, perseveranti nella pietà, costanti nella vocazione, in una perfetta purità, temperanza e lavoro, tutti d’un cuor solo e un’anima sola, nella grazia e nella concordia di Dio, sotto la guida di don Sterpi e degli altri vostri superiori, in quelle case od offici ove siete stati destinati a servire Gesù Cristo nelle anime della gioventù che la Divina Provvidenza si degnò affidarci (Scr. 26,156).
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Negli esercizi di pietà e principalmente nel ricevere i SS.mi Sacramenti e nell’assistere al S. Sacrificio avviene la speciale comunicazione fra Gesù Cristo e le anime nostre. Vedi dunque di stare perseverante e di avere una pietà ignita e solida insieme (Scr. 26,243).
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Con le tribolazioni il Signore vuole provare la nostra fedeltà e la perseveranza nella vocazione od ostilità, esercitarci nel vero spirito di umiltà: il Signore dispone così perché rinneghiamo noi stessi: ci vuol far crescere nel buono spirito della rassegnazione e della pazienza: vuole il Signore quando permettesse le persecuzioni e le croci, purificare con un fuoco santo le nostre colpe e peccati, i nostri difetti e imperfezioni. Diamone grazie al Signore! (Scr. 27,128).
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Ma ora finirò e ritorno al motivo principale di questa mia lettera, che è di confortarti alla perseveranza. Portati con il pensiero, caro figliolo mio, ai gemiti disperati di quell’infelice che ci vien descritto dallo Spirito Santo nel libro dei Proverbi. Egli, per aver riso e disprezzato la disciplina e le piccole cose, cadde nelle gravi e fu sepolto nell’inferno. Quivi, piangendo le sue eterne disavventure, si rammenta della cagione primiera di tanti suoi guai, ed esclama: ho detestato la disciplina e non mi sono adattato ai rimproveri, non fui docile alla voce dei Superiori: «Detestatus sum disciplinam, et increpationibus non acquievit cor meum, nec audivi vocem docentium me et magistris non inclinavi aurem meam» Cap. V e IV 12 – 13. E così confessò la sua colpa, ma, lui infelice, era troppo tardi! Non fu docile e disciplinato e finì al fondo di tante colpe, trascinato alla perdizione perché non ascoltò chi lo correggeva, poiché chi correggeva lo amava. Ama dunque, o caro Dondero, l’umiltà: non abbandonare la tua vocazione: chiedi sempre alla Madonna la grazia della santa perseveranza (Scr. 29,31).
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Bisogna perseverare Non basta aver cominciato bene: bisogna continuare nei buoni propositi: Nemo mittens. Non badare a quel che è fatto, ma a quel che è da fare. Il premio non si dà a chi incomincia, ma a chi persevera: Qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit: sarà salvo chi avrà perseverato (Scr. 55,21).
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Guardati dal confessarti per usanza e senza quei sentimenti di compunzione che si richiedono. Abbi un desiderio vivo, sincero, perseverante. Ciò che rende sì poco fruttuose le confessioni di certi Chierici è la mancanza di queste buone disposizioni (Scr. 55,141).
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E stiamo sempre di buon animo, ricorrendo di frequente al Cuore di Gesù con umiltà, fervore, confidenza e perseveranza: Egli ci darà forza, lumi e aiuto e sarà il sovrano rimedio alla nostra debolezza e il conforto delle nostre tribolazioni. Nulla piace più al Signore, che noi facciamo il Suo Cuore depositario di tutte le nostre pene e che mettiamo ogni nostra confidenza in Lui (Scr. 56,87).
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Il manete in vocatione di San Paolo ci rimanga sempre impresso nell’animo; ma non dimentichiamo un momento il vigilate et orate, che è quel gran mezzo che ci ha dato Gesù cristo per ottenere la santa perseveranza (Scr. 57,47).
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Siate forti, costanti e perseveranti nella vocazione e non vi sia demonio né creatura che vi faccia volgere il capo indietro a mirare il mondo, perocché solo la perseveranza è coronata (Scr. 57,86).
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Vi è ancora chi si lamenta: ho provato a pregare, ma non ho ottenuto niente. Risponde S. Agostino: o hai domandato cose cattive, o almeno per te nocive, o hai domandato malamente, cioè senza fiducia, senza umiltà, senza perseveranza. Molte volte crediamo che Dio non ci abbia esauditi, mentre Egli ci ha già preparato grazie ancora maggiori di quelle che gli abbiamo domandato (Scr. 80.25).
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Benedicamus Deum. Questa grazia dobbiamo conservarla e tesoreggiarla con la perseveranza nei buoni propositi, con il mantenere le promesse fatte al Signore, con l’essere costanti fermi nell’elaborare l’opera della nostra santificazione, incominciata in questi giorni. Perseveranza virtù morale per la quale facciamo continuare in noi il bene, finché sia consumato. Assolutamente necessaria – i veri e sodi progressi non sono dovuti che ad essa. Nemo mittens manum... Qui perseveraverit usque in finem hic salvus erit. San Paolo: Bonum autem facientes non deficiamus: tempore enim suo metemus non deficientes. Come siamo oggi, domani, sempre – la perseveranza dipende dalla forza su noi stessi. Omnes virtutes currunt, sed perseverantia coronatur. Vincere le difficoltà – regnum coelorum vim patitur – senza forza d’animo non c’è virtù – farci forza. Vincere la diffidenza e la tristezza. Non lasciarci spaventare dalle difficoltà – seminare molto, molto bene – Coraggio! che nasce dalla fiducia in Dio. Seminare nel pianto, come gli Apostoli: Euntes ibant et flebant. Corrispondere con generosità all’onore che Dio ci fa. Per essere perseveranti bisogna l’aiuto di Dio e farci forza; questa forza ce la daremo, se avremo questi tre sentimenti: Sentimento di timore di ricadere: diffidare di noi (Scr. 90,326).
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In molti punti del Vangelo si raccomanda la preghiera, preghiera continua, perseverante, anche importuna: Oportet semper orare: è necessario pregar sempre; Petite et accipietis, quaerite et invenietis, pulsate et aperietur vobis”. Dice il Signore che non basta domandare, ma bisogna insistere, bussare fino ad essere importuni. In un altro passo del Vangelo si racconta di un uomo che ricevette la visita di un amico; questi doveva cenare, ed era di notte; non avendo pane andò a bussare alla porta dell’amico che già era a dormire, chiedendo una pagnotta. Bussa, torna a bussare, nessuna risposta; l’amico che era a letto fingeva di non sentire. Quel tale però continuava a bussare sempre più forte, finché l’altro, per togliersi quell’importuno seccatore notturno, s’alzo da letto e gli diede il pane. Così – diceva Gesù – dobbiamo far noi con il Signore: non stancarsi mai di pregare e non far come quelli che dopo aver pregato per un po’ di tempo, non vedendosi esauditi, tralasciano l’orazione (Par. I,91–92).
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La nostra preghiera dev’essere fatta con fiducia, dev’esser umile, dev’essere perseverante. Si deve pregare con fiducia, con umiltà, con perseveranza; pregare sempre, pregare oggi, pregare domani, pregare sempre. Fra gli altri uffici il Signore ha dato a me l’ufficio di essere un po’ il mortificatore vostro e di quelle di voi che il Signore chiama alla sua sequela. E quando vi sentite mortificate, pregate, pregate. La penitenza si fa soffrendo e baciando la croce (Par. II,53).
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Non basta aver cominciato, bisogna che tu supplichi la Madonna che ti dia la grazia della perseveranza: sarebbe inutile aver cominciato bene, se poi non si perseverasse fino alla fine della nostra vita. Sarà coronato chi persevererà (Par. II,175).
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E diciamo a Maria Santissima e raccomandiamoci che prenda essa le nostre promesse e offra essa la vita, il cuore, i pensieri, le parole; voglia essa deporre i nostri voti ai piedi di Gesù Bambino, affinché abbia a concedere a voi e a me quelle grazie celesti di cui abbiamo tanto bisogno e specialmente ci dia la grazia della perseveranza finale. Grande grazia è la perseveranza perché senza di quella i nostri sforzi non gioverebbero a nulla. Ci dia egli il dono della pace annunziata dagli angeli agli uomini di buona volontà (Par. III,232).
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Ho sempre dovuto rilevare che quelli che sono devoti della Madonna Santissima perseverano e riescono chierici pii e sacerdoti zelanti. Siatele devoti e la Madonna vi libererà da tante insidie e vi aiuterà a diventare veri modelli di Gesù Cristo, perché il sacerdote è un altro Cristo: Sacerdos alter Christus (Par. IV,279).
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La preghiera sia fatta con molta umiltà, con spirito di fede e con perseveranza. Perseveranza e costanza; cioè avere piena fiducia di essere ascoltati in ciò che si prega. Gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo perché perseverarono nell’orazione (Par. V,67).
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Domandiamo al Signore la grazia della perseveranza, la grazia di corrispondere alla vocazione, alle grazie di Dio e di corrispondere così da essere veramente sal terrae e di abitare non indegnamente nella casa di Dio. Chiediamo di essere veramente, nella Casa di Dio Sale della terra. Pur nella sua forma semplice, senza fronzoli, quell’Ingegnere ci ha parlato, in breve, ma queste cose ci ha detto – specialmente dopo pranzo – e tuta pratica! Dio mio! Che non abbiano i secolari da avanzarci nelle vie del Signore. Che un giorno, svegliandoci dopo questa povera vita, non abbiamo da vederci rapito il posto che il Signore ci aveva preparato. Tutti i giorni vogliate anche voi, insieme a me, domandare al Signore la santa perseveranza; perché questo è il senso dell’espressione del salmista: Non solo abitare, ma corrispondere alla grazia del Signore ed essere tali quelli che Dio e la società ci aspetta (Par. X,33).
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Certo che avrete aspettato a farli, i propositi, nelle ultime prediche, quando si parla della perseveranza; ma anche nei due giorni di raccoglimento la mano del Celeste Agricoltore avrà seminato la sua grazia; e voi vi sarete commossi e animati a far bene. Ora poi bisogna continuare nei buoni propositi fatti. È questa perseveranza che ora vi raccomando tanto! «Sola perseverantia coronatur»: «Solo sarà coronato il perseverante». E la grazia della perseveranza è una delle più grandi grazie che Dio possa fare, perché ci aprirà le porte del cielo; ed è quello che io prego e chiedo al Signore per voi. Quanti hanno cominciato bene e quanti, cari miei, non hanno perseverato; o perché non hanno pregato, o perché si sono lasciati portare da sentimenti di tiepidezza, di indolenza, di rilassatezza, di tedio del bene (Par. X,135).
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Bisogna avere la volontà forte e decisa e pregare per vivere nella santa perseveranza. Dice Gesù: “Chi pone mano all’aratro e poi si volta indietro non è fatto per il regno dei Cieli”. La perseveranza in fatto di vocazione, dice Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, dipende dall’orazione. Bisogna pregare, pregare, pregare. Un filosofo cristiano e come cristiano! e profondo! e come profondo! malgrado certi errori suoi, il Rosmini, ebbe a scrivere che per perseverare non bisogna pregare, ma sforzarsi di pregare (Par. XI,51).
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Guardatevi, cari chierici, di non voler abbracciare troppo, perché ai voli troppo alti e repentini sogliono i precipizi essere vicini. Ricordatevi delle parole che San Giovanni Berchmans lasciò ai suoi compagni, agli scolastici che gli chiedevano un ricordo prima della sua morte: Quidquid minimum, dummodo constans! Benché breve, piccolo, minimo, sia però costante e perseverante. Allora, miei cari novizi e professi, si riuscirà ad edificare in voi una devozione tenera, costante, filiale, verso Maria Santissima! (Par. XI,276).
Vedi anche: Fortezza (virtù), Prove, Vocazione.
Pettegolezzi
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Mi raccomando che in casa ci sia spirito di carità e vita religiosa, quella povera casetta di Sant’Anna di tutte le nostre Case visitate è una delle meno spirituali, è troppo divagata, c’è troppo interessamento e pettegolezzo mondano bisogna concentrarvi ad una vita più tranquilla, più religiosa più di spirito (Scr. 6,12).
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Non era il caso di far sapere a quei Monsignori che mi nominate i pettegolezzi della Casa, non ci si guadagna mai a divulgare il male e i difetti dei confratelli. Scusatemi, mi pare così (Scr. 6,15).
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Non perdetevi più in piccolezze, in pettegolezzi, ma attendete seriamente alle nostre cose vitali, a ciò che è sostanza, che è di prima necessità e di urgenza e gravità. Invece che stare, di frequente, a bisticciarvi o a parlare a tavola della bontà dei vini, invece che andare di qua e di là, permettetemi di dirvi nel Signore che dovete interessarvi, ma sul serio dell’andamento della vita della Parrocchia e fare quanto è umanamente possibile perché e la Chiesa Parrocchiale e la Congregazione non subiscano un danno così colossale (Scr. 7,362).
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Ora poi che don Piana ritorna, mi pare che dovrebbero finire tutti i pettegolezzi, o le ragioni che ci potevano essere di malumori – Voi, da parte vostra, state attenti nel parlare, vivete da religiosi e in carità fraterna e pregate per quelli che ci fanno del bene e per tutti e cercate sempre di spegnere e mai di attizzare (Scr. 20,24).
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Alle consorelle della Questua direte, a nome mio, che, se incontrassero ancora qualcuna che fu già da noi, sia essa Maria Vittoria o altre, non si fermino mai a parlare, facciano un inchino e via; e se sono fermate, dicano che hanno avuto ordine di non parlare per evitare pettegolezzi e mancanze contro la carità fraterna e non rispondano mai a nessuna domanda. Che se sentano dire male di don Orione, chiunque sia, rispondano: Deo gratias! e si ritirino, senza prendere nessuna difesa: lasciate fare a Dio (Scr. 39,224).
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Circa quanto mi dite avvenuto in Chiesa e fuori e a voi personalmente, ciò è buon segno; tuttavia evitate nelle prediche discorsi ecc. qualunque allusione a ciò che è avvenuto, per non abbassarvi a fare pettegolezzi di partito e tenere la Chiesa in alta sfera serena di fede e di conforto (Scr. 48,250).
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Via le mormorazioni contro i confr. contro i Superiori – via i pettegolezzi – di Casa in Casa – via il dominio delle donne – via i sentimenti d’invidia e gelosia e peggio di disprezzo – guai ai seminatori di zizzania – guai a chi rompe il calice dell’umiltà, della unione fraterna, della carità (Scr. 55,312).
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Tenetevi ben unite alla vostra Superiora, non le nascondete nulla; ma abbiate con lei la massima confidenza; e se talvolta vi fosse qualche urto, qualche scontro fra voi, non andare a confidarvi con questa o con quella ricoverata, che a sua volta andrà a raccontare le vostre miserie in tutte le botteghe del paese, dove poi nascono pettegolezzi e chiacchiere... Vi dico tutto questo con molta franchezza, perché non intendo nascondervi nulla e perché queste mie parole siano un monito per quelle che partono e rimprovero per quella che era là e che non si è comportata bene. Ricordatevi che quando c’è buono spirito, c’è anche pietà e serenità di spirito e, con questo, una dignità naturale. Un’anima che sente di essere religiosa, anche quando soffre è felice; felice di sopportare le spine di cui è intessuta la vita religiosa, felice di soffrire con Gesù e per lui solo; non sente quindi affatto bisogno di sfogarsi con le creature e di pettegolare (Par. I,93).
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Pregate e vegliate! È l’avvertimento che Gesù diede ai suoi Apostoli. Pregate e vegliate! Raccomando io pure a voi. Vegliate su di voi; non vi fidate mai di voi stesse; evitate le chiacchiere e i pettegolezzi. Non vi mischiate in nulla e non occupatevi mai dei partiti che ci sono in paese. Sopra tutto e sopra tutti, sta la Carità di Gesù Cristo (Par. I,101).
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Per mantenere la pace e la concordia nelle case, attente bene, non ci vogliono sussurrone, pettegole! Se avete qualche cosa da ridire rivolgetevi alla Superiora: se vedete qualche miseria in una vostra consorella, non la sparpagliate in comunità; evitate il brutto vizio di creare i pettegolezzi, di riferire quel che succede da una casa all’altra. Non si devono chiedere queste cose, né domandare! (Par. I,205).
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Vado notando con dolore che da un po’ di tempo va spargendosi nelle nostre case il cancro della mormorazione, dei pettegolezzi; bisognerà prendere dei seri provvedimenti e non ammettere neanche al noviziato quelle che non avranno mostrato di avere buono spirito di custodia dei sensi, vero spirito di mortificazione, vero spirito religioso. È per quello che non ho avuto mai fretta per aprire il noviziato in forma canonica! Non è il numero grande che fa, ma è lo spirito, anzi spesse volte si fa più con pochi di buono spirito che in tanti! Gedeone ha vinto la battaglia con pochi. Cosa importa avere una comunità numerosa se non c’è lo spirito? Se c’è la mormorazione? La detrazione? Altro che seminar la zizzania! Ma guai quando si pretende di essere monache e si è seminatrici di zizzania. Bisogna mortificarle, bisogna fuggirle queste abitudini che non sono affatto secondo lo spirito di una buona religiosa (Par. II,64).
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Via le mormorazioni; ve l’ho già detto tante volte, ma mi piace ritornarci ancora; via i pettegolezzi, via il raccontare le cose di casa vostra; gli uomini stiano fuori dei piedi, cominciando da quelli della Divina Provvidenza: c’è la superiora e basta. Via ogni sentimento d’invidia, via ogni sentimento di gelosia o peggio, di disprezzo verso qualche vostra consorella; via la zizzania; guai a chi rompe il calice dell’unità, dell’unione, della concordia, della carità (Par. II,111).
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Voi, per conto vostro, o buone Suore, se vedranno, nei paesi, che siete vere monache, se farete una vita seria, senza pettegolezzi e vedranno che la vostra vita è Chiesa e casa, casa e Chiesa, se non vi vedranno andare a passeggio, se vi vedranno, invece, sempre raccolte, al lavoro, amanti dell’orazione, farete tanto bene, nel vostro paese e sarete di edificazione (Par. II,218).
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Non seminate dei difetti, non siate pettegoli. Raccomando a tutti, Sacerdoti e Chierici, di essere uniti: più si è uniti e più si è forti. Quando si è molti, ma si è divisi, disuniti, si è di gioia al diavolo Quanto è bello essere uniti: tutti per uno e uno per tutti! (Par. IV,305).
Vedi anche: Calunnie, Mormorazione.
Pia Unione del Transito di San Giuseppe
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Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo. Notiamo soltanto che, quanto venne scritto sui nostri Bollettini, in merito alla pia unione del Transito di San Giuseppe e al Don Cesare Pedrini, noi lo avevamo appreso dalla bocca stessa del compianto Don Pedrini. Né mai ci è passato per la mente di voler detrarre alcun ché alla verità, né allo zelo e santità del Servo di Dio Don Luigi Guanella, verso del quale tutti i Piccoli Figli della Divina Provvidenza hanno la più alta venerazione, ben sapendo quanto grande fu l’amicizia ed è la devozione di Don Orione verso il Don Guanella (Scr. 74,177).
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Nel Santuario della Guardia di Tortona venne eretta con Decreto vescovile, la Pia Unione del Transito di San Giuseppe per gli agonizzanti, istituzione dovuta alla iniziativa del nostro Don Orione Pedrini, il quale già a Roma, ove ha sede l’Unione Primaria, ne è stato, col Servo di Dio Don Guanella, zelantissimo Fondatore (Scr. 93,257).
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“Pia Unione del Transito di San Giuseppe” Ai miei cari Sacerdoti e alle Suore della Piccola Opera La carità più preziosa e più urgente pel prossimo è quella di salvargli l’anima aiutandolo a fare una buona morte. A tal fine sono lieto che Don Pedrini abbia istituito una Filiale della Pia Unione del Transito di San Giuseppe in Roma nel nostro Santuario della Guardia in Tortona all’altare di San Giuseppe; ed è mio vivissimo desiderio che a questa S. Crociata pel 140 mila Agonizzanti d’ogni giorno ci ascriviamo tutti: Religiosi, le Rev.de nostre Suore, Professori e Probandi e Coadiutori e Novizi, i ricoverati, orfani e alunni dei nostri Istituti Italiani ed Esteri. Prego si raccomandi di offrire spesso SS.me Messe, Comunioni, buone opere, Indulgenze specialmente nei Mercoledì al Santo Patrono dei Moribondi. Permetto la recita della Giaculatoria al Santo dei moribondi nelle preghiere della mattina e sera, e raccomando “Mater Dei” quella di San Giuseppe pei moribondi. Il Santo Padre Pio X diceva: “Noi vorremmo che, come si è diffusa pel mondo la preghiera del suffragio pei morti, sicuri, come ormai sono del Cielo, altrettanto e più si diffonda quella pei moribondi in pericolo di perderlo e per sempre”. Permetto pure a tutti i miei Reverendi Confratelli Sacerdoti di ascriversi alla S. Messa perenne, celebrandone una all’anno per turno assegnata dai due Zelatori a ciò incaricati Don Santino e Don Pedrini. Il Signore vi benedica tutti. Pensiamo spesso al grande momento a quo pendet aeternitas! (Scr. 110, 291).
Vedi anche: San Giuseppe.
Pia Unione delle Madri Cristiane
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Bisogna che tu sappia conquistarti sempre e sempre di più il cuore della popolazione del Quartiere Appio. Cosa vuoi? Bisogna avere pazienza! Pazienza con quei di Casa, pazienza con i giovani del Circolo, pazienza con le Madri cristiane, pazienza con le Suore: pazienza, grande carità e pazienza con i poveri (Scr. 6,221).
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Ho visto il Santo Padre mercoledì 19 febb. per una buon’ora e ho mandato la benedizione Apost. alle Madri Cristiane di don Semino e anche per voi (Scr. 9,5).
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Il don Perduca seppe trarre a sé il consiglio comunale e il sindaco: tutte le famiglie principali e il popolo. Creò delle opere di beneficenza e di umiltà pubblica: asilo infantile, ricovero di vecchi, sale per operazione chirurgiche, laboratorio per ragazze, circolo giovanile per giovani. Istituì le madri cristiani e l’unione dei padri di famiglia, oppose ai giornali cattivi giornali buoni, abbonandovi le famiglie e acquistò due Case per dare stabilità a queste Istituzioni e tutto fu pagato (Scr. 28,131).
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Urgemi avere almeno 50 copie regolamentino e schede iscrizione per la Pia Unione Madri Cristiane che istituì qui. Se c’è un manuale anche. Almeno per sabato le avrei bisogno (Scr. 48,246).
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Spero che la Divina Provvidenza ci darà un grande chiesone: ma tutti ne devono vedere presto presto la necessità e vedrete che ce la faranno; cioè il Signore muoverà la s. Chiesa a farcela. Voi lavorate il campo spirituale e morale: quaerite primum regnum Dei e il resto verrà. Sono consolatissimo della Pia Unione Madri Cristiane. Il giornale potrebbe cominciarsi per le feste natalizie e capo d’Anno, ed essere quindicinale (Scr. 48,247).
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Umiliate ogni mio riverente ossequio alle loro Eccell. rev.me Mons. Sogaro e Mons. Fossà e domandate la loro benedizione su di me e sull’Opera della Provvidenza. Mi occorrerebbe pagelle d’iscrizione delle madri cristiane: medaglie: e un altro manuale, poiché qui ce ne sono già tre sezioni in punti diversi (Scr. 48,249).
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Fuori da Porta S. Giovanni sono cristiani perché sono stati portati al battistero di S. Giovanni Laterano, ma tutto il resto è da fare. Allora per l’aiuto e la bontà di sua Eminenza il Card. Vicario e di Mons. Faberi ho posto là alcuni sacerdoti: una rimessa da cavalli venne provvisoriamente trasformata in chiesuola pubblica: oggi vi sono quattro sacerdoti e bisognerà metterne qualche altro e sviluppare altro lavoro; già però si fanno circa dodicimila comunioni all’anno: si istituì un circolo giovanile: la Compagnia dei Luigini: la fiorente Unione delle madri cristiane e si pubblica anche il bollettino quindicinale: La Croce (Scr. 53,22).
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Il propagandista della Giunta diocesana don Gius. Rolandino, istituì da noi l’Unione delle Madri Cristiane e l’Unione popolare. Come è dovere difendere l’onore della propria famiglia, la prosperità del proprio lavoro e così tutto questo popolo si convinse una volta di più che si deve amare la religione come la vita della propria anima e per mezzo dell’Unione popolare si deve difenderne l’onore e gli interessi (Scr. 64,258).
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È dunque quest’anno il V Centenario del passaggio da Tortona di San Bernardino. E perciò la popolazione del Sobborgo di San Bernardino festeggiò con devoto triduo la cara festa del Santo Patrono: le Figlie di Maria la Pia Unione delle Madri Cristiane e molti giovanetti del con la gioia sul volto simbolo della purezza dei loro cuori si accostarono alla mensa eucaristica (Scr. 64,264).
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Domenica scorsa fu costituita l’Unione delle Madri Cristiane a Garbagna e a Sarezzano. In questi due Vicariati per lo zelo dei MM.RR. Signori Arcipreti, si è pure costituita numerosa l’Unione Popolare. A Monleale, in occasione delle Quarantore predicate con frutto da don Giovanni Bussetti, Arciprete di Brignano, vi fu Conferenza alle Madri Cristiane con largo numero di nuove iscritte e si formò un forte gruppo dell’Unione Popolare. Domenica, 16 corr. Don Orione terrà al dopo – pranzo, a Viguzzolo, conferenze religioso – morali, per la costituzione delle Madri di Famiglia e l’Unione Popolare. A queste conferenze sono invitati tutti. Tutti devono sentire il dovere dell’ora che passa, ora di battaglia suprema per fini supremi. Lavoriamo perché la civiltà cristiana sia ancora la civiltà d’Italia (Scr. 66,233).
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Io ho ben capito che dalla riunione dei parroci in Episcopio Vostra Eccellenza deve aver avuto una delusione. Ebbene mi permetta di poterle dare questa consolazione: questo Asilo che si aprirebbe a San Sebastiano è in gran parte già un frutto, un’opera pratica della Società delle Madri Cristiane, che don Perduca ha saputo condurre già a tanto (Scr. 68,33).
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La Madonna della Guardia”: bollettino popolare quindicinale diretto da don Orione. Uscirà il giorno di Ognissanti. Si propone di diffondere largamente nel popolo la devozione alla Beata Vergine e di promuoverne l’erezione del Santuario Votivo in Tortona. Caldeggia il progetto di un Ricovero per povere vecchie e zela le pie Unioni delle Madri Cristiane, delle Figlie di Maria e le Organizzazioni femminili della Diocesi. È approvato e benedetto dal Vescovo (Scr. 92,214).
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Ti mando un saluto in Domino dal tuo paese, dove sono venuto per l’Unione delle Madri Cristiane e per l’unione popolare. Puoi immaginare che cosa m’è passato per l’anima ritornando, dopo tanti anni, su questo pulpito dove ero stato in occasione della tua prima Messa (Scr. 101,123).
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Domani è la festa di Santa Monica, madre di Sant’Agostino. Quante volte, o miei cari, nel parlare di Sant’Agostino avete udito il nome della sua Santa Madre, Santa Monica. Io ebbi più volte la consolazione a Roma di pregare e di celebrare la Messa sulla tomba di Santa Monica che si trova nella Chiesa di Sant’Agostino, una delle più belle di Roma. Le Pie Unioni delle Madri Cristiane prendono come patrona o Sant’Anna o Santa Monica (Par. X,169).
Vedi anche: Azione cattolica, Famiglia.
Piccola Opera della Divina Provvidenza
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La nostra Congregazione ha bisogno di essere non solo una forza religiosa: una forza di fede, una forza di carità, una forza di apostolato per le anime, ma anche una forza dottrinale, una forza di sana e purissima e forte dottrina filosofica e teologica. Essa, la Piccola Opera deve portare tra le mani e sul cuore i santi evangeli e San Tommaso, né la sana dottrina nuocerà alla fede, ma la sosterrà, non nuocerà alla carità, ma la alimenterà, renderà più efficace e fruttuoso l’apostolato per le anime. Ora tutti sanno, sapranno male, ma sanno, è di suprema necessità essere forti e ben corazzati a difesa della fede e della Chiesa. Non sarà l’ignoranza che ci farà santi, ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù dell’umiltà, e della carità, ma la scienza di Dio (Scr. 18,177).
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Ricordatevi sempre che la Piccola Opera della Divina Provvidenza è nata nella Settimana santa e ai piedi del Crocifisso, e la prima chiesa che mi fu data dal Vescovo per raccogliervi in ragazzi del I oratorio festivo fu appunto l’Oratorio del Crocifisso presso la Canale (Scr. 30,216).
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Che se il Signore nel grembo stesso di questa sua Piccola Opera della Divina Provvidenza ha destinato che vi siano rami diversi di una stessa pianta, di una stessa Opera, e che alcuni siano sacerdoti e che altri non lo siano, ricordatevi sempre, o miei cari, che ciò non lo ha fatto perché preferisca i primi ai secondi, ma perché i sacerdoti aiutino a salvare le anime in un modo cioè principalmente con il ministero dei sacramenti e della predicazione e con altri mezzi, che sono propri dei doveri sacerdotali; e gli altri invece attendano alla loro santificazione e alla salvezza del prossimo, direi in altro modo: cioè per mezzo specialmente dell’orazione, che renderà fecondo anche di più il ministero di quelli che sono sacerdoti: per mezzo del buon esempio, per mezzo della umiltà, del sacrificio, del lavoro corporale (Scr. 30,225).
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Grazie a Dio, la Congregazione detta la Piccola Opera della Divina Provvidenza va prendendo solida consistenza sulla umiltà, carità e spirito di orazione, ed è ciò che dà a sperare bene del suo avvenire, tutto fede ed abbandono alla Provvidenza del Signore e alla nostra celeste Madre e Fondatrice Maria SS.ma E ciò che dà grande conforto e gioia è che siamo tutti cor unum et anima una! un cuor solo e un’anima sola! (Scr. 31,260).
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On.le Direzione della Cassa di Risparmio della PP. LL. Succursale di Tortona. Riferendomi a domanda di sussidio e a questionario che mi fu inviato, faccio rispettosamente presente che questa Piccola Opera della Divina Provvidenza, la quale ha la sua sede centrale in Tortona, dove è nata, non è propriamente una scuola nello stretto senso della parola, ma una Istituzione, che qui forma il suo personale il quale viene poi distribuito in Italia e all’Estero. In Italia dà vita e sviluppo a più di quaranta Istituti di educazione e di carità, specialmente a pro della fanciullezza derelitta; all’Estero: in Palestina, a Rodi, in Polonia, in Argentina, in Brasile cresce italianamente i figli dei nostri emigrati, e vi compie opera di penetrazione italiana. Ond’è che questa casa Madre di Tortona fu riconosciuta dal Governo quale Istituto per le missioni italiane all’Estero dal 1920. Essa oggi accoglie circa 200 giovinetti provenienti da ogni angolo d’Italia; sono tutti poveri; non pagano nessuna pensione; si mantengono convenientemente, sono vestiti, si provvedono di libri. Studiano sino a raggiungere un diploma, quelli che hanno attitudini e che devono mantenere o aprire nuove scuole italiane: imparano un’arte quelli che devono essere capi d’arte o aprire officine. Non ho rendite patrimoniali: vado avanti con oblazioni di privati (Scr. 40,47).
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Chi vuol farsi della Piccola Opera, deve fare il suo noviziato e poi, se sarà approvato, e il novizio sentirà che quella è la sua vocazione, sarà ammesso ai voti religiosi. Essi sono ad annum, per tre anni, e poi perpetui, e sono i soliti tre voti. Trattandosi per la levata, che è alle 5 da tutti i Santi a Pasqua, e alle 4 da Pasqua ai Santi. Il vitto è caffè o caffè e latte (a piacere), il mattino; a pranzo e cena: minestra vino, pietanza e frutta, da figli della Divina Provvidenza. La meditazione è in comune e il rosario ed esame di coscienza; l’ufficio divino si dice insieme, quando si può, e di mattino per tempo tutte le ore. Siamo in pochi, ma c’è molta unione, non si ambisce di crescere di numero, ma di carità. Non siamo per i ricchi, ma per i poveri. Molto attaccati ai Vescovi, dei quali nulla più desideriamo che d’esserne gli stracci, e molto attaccati al Papa: siamo i Gesuiti dei poveri. Gesù ci conceda di amarlo tanto nella piena dedizione alla sua Chiesa! (Scr. 43,264).
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Ricevete il Visitatore con la devozione come se fosse il santo Padre Pio XI e lo stesso Signore nostro Gesù Cristo. Egli viene a noi nel nome del Signore e con autorità apostolica: egli, da oggi è il mio e il vostro Superiore immediato: metto me e voi nelle sue mani: io non sono e non rimango, con grande gioia, che l’ultimo di voi, sino a che piacerà alla misericordia di nostro Signore Gesù Cr. e alla carità della santa sede di tollerarmi nella Piccola Opera della Divina Provvidenza, la quale dichiaro che non fu fondata da me, né costituita con mezzi umani, né da me conservata o cresciuta, sì bene per grazia e volontà dell’Onnipotente e Provvidentissimo Dio e Signor nostro Gesù Cristo, malgrado ogni mia miseria e peccato. Ed è sorta per la specialissima materna protezione della beata Vergine Maria, Immacolata, Madre di Dio e nostra (Scr. 52,60).
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Capo I. Del Titolo e del Fine della Congregazione. 1° Il titolo della Congregazione è: Piccola Opera della Divina Provvidenza; ossia: Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza. La Congregazione è posta sotto la protezione speciale di Maria SS.ma, Immacolata e misericordiosissima madre di Dio e nostra; di San Giuseppe e dei beati Apostoli Pietro e Paolo. II. Il fine primario e generale di questa umile Congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, e di queste Costituzioni. Fatti almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, si può essere ammessi ad un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al romano Pontefice: di offrire la vita per le missioni tra gli infedeli e per il ritorno dei protestanti e delle chiese separate alla unità della madre chiesa. III. Il fine particolare e speciale è di propagare la dottrina e l’amore di Gesù Cristo, e della chiesa specialmente nel popolo: trarre e unire con un vincolo dolcissimo e strettissimo di tutta la mente e del cuore i figli del popolo e le classi lavoratrici alla sede apostolica, nella quale, secondo le parole del Crisologo «il Beato Pietro vive, presiede e dona la verità della fede a chi la domanda (Epist. ad Eut. 2)». E ciò mediante opere di misericordia spirituali e corporali, e le seguenti Istituzioni, destinate vuoi alla educazione e formazione cattolica della gioventù più umile o derelitta, vuoi a condurre le turbe a Gesù Cristo e alla sua chiesa, per le vie della carità. Oratori festivi e patronati – Doposcuola – Esternati – Pie Associazioni Centri e Circoli di a. cattolica, per fanciulli, aspiranti giovani, studenti e operai – Istituzioni per uomini cattolici e Patronati operai – Scuola di religione, Scuole e Collegi, sempre per fanciulli poveri. Scuole agricole professionali – Opere di prevenzione per i minori abbandonati – Riformatori – Istituti pei figli dei carcerati – Case di redenzione sociale – Segretariati – Patronati per carceri e ospedali Ricoveri per orfani e deficienti – Case di Div.na Provvidenza per minorati d’ogni genere e pei rifiuti della società. Lebbrosari e lazzaretti – Case di riposo per la vecchiaia – Cattedre ambulanti popolari di propaganda religiosa – Stampa – Scuole di propagandisti – Scuole per formazione pubblicisti cattolici – Catechismi – Predicazioni – Pellegrinaggi – Opere di prevenzione e contro la propaganda protestante – Scuole apostoliche – Istituti missionari – Seminari per provvedere vocazioni ai Vescovi e alle loro Diocesi – Convitti ecclesiastici – Ritiri sacerdotali – Case di santificazione del clero etc. E quelle Opere di fede e di carità, che, secondo i bisogni dei paesi e dei tempi, piacesse alla santa sede di indicarci, come più atte a rinnovare in Gesù Cr. la società. Solo verrà tollerata la accettazione di Istituti di istruzione media, là dove la gioventù, a causa di scuole laiche o protestanti, corresse grave pericolo per l’anima, e gli Eccell.mi Vescovi non potessero diversamente provvedere 4° Questa umile Congregazione dunque, fondata sulla sola infinita bontà e aiuto della Divina Provvidenza, è, essenzialmente per i poveri e per il popolo, che vuol elevare alla luce e al conforto della fede nel Padre celeste ed avere fiducia nella chiesa. Essa nei piccoli e nei poveri vede e serve Gesù Cristo. E benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana, abbandonata e di povera condizione, si consacra anche al bene dei più umili nostri fratelli in Cristo, di qualunque età e religione, e lavorerà al miglioramento morale e materiale della classe operaia, insidiata nella fede e ingannata da teorie comuniste (Scr. 64–65).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza è una umile Congregazione religiosa di data recente, italiana di origine, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza. Nata, dunque, per i poveri, a raggiungere il suo scopo, essa pianta le sue tende nei centri operai, di preferenza nei rioni e sobborghi più poveri che sono ai margini delle grandi città. industriali, e vive, piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori – Confortata dalla benedizione della chiesa, dal valido appoggio delle Autorità e da quanti sono spiriti aperti ai nuovi tempi e di cuor largo e generoso, Al popolo essa va più che con la parola con l’esempio e l’olocausto d’una vita dì e notte immolata con Cristo all’amore e alla salvezza dei fratelli. Questa istituzione è di schietta marca cattolica e italiana, senza reticenze: anche all’Estero svolge opera di fervida italianità. Pur vivendo un’unica fede, pur avendo un’anima e un cuor solo e unità di governo, sviluppa, per altro, attività molteplici secondo le svariate necessità degli umili ai quali va incontro, adattandosi per la carità di Cristo alle diverse esigenze etniche delle nazioni tra cui la mano di Dio la va trapiantando. Essa non è, dunque, unilaterale, ma pur di arare Cristo e la sua civiltà negli strati più umili e più bisognosi della umanità, assume forme e metodi differenti, crea e alimenta diversità di istituzioni, valendosi nel suo apostolato di tutte le esperienze e dei suggerimenti che attinge dalle locali Autorità. Suo anelito è la diffusione tra il popolo dell’Evangelo e dell’amore al dolce Cristo in terra nonché d’uno spirito più vivo e più grande di fraterna carità, tra gli uomini, rivolto ad elevare religiosamente e socialmente le classi dei lavoratori, a salvare i diseredati da ideologie fatali, ad edificare ed unificare i popoli in Cristo. Suo campo è la carità nulla esclude della verità e della giustizia, ma la verità e la giustizia fa nella carità (Scr. 61,217).
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La Piccola Opera vuole servire, e serve con l’amore: essa, deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le Opere della cristiana misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri: sua vita è amare, pregare, educare, patire, sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. « » Ha per grido il «Charitas Christi urget nos» di San Paolo, e a programma il dantesco: «La nostra carità non serra porte». Essa accoglie e abbraccia tutti che hanno un dolore, ma che non hanno chi dia loro un pane, un tetto, un conforto: si fa tutta a tutti per tutti trarre a Cristo. Ond’è che, sorta da un palpito vivificante di quell’amore che è sempre desto e sempre pronto a tutti i bisogni dei fratelli doloranti, questa piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere come una corrente di acque vive e benefiche che dirama i suoi canali ad irrigare e fecondare di Cristo gli strati più aridi e dimenticati. Essa è una pianta novella, sorta ai piedi della chiesa e nel giardino d’Italia, non per opera d’uomo, ma di un soffio divino della bontà del Signore. E, di anno in anno, va sviluppandosi, alla luce e al calore di Dio, e a conforto di migliaia e migliaia di corpi e di spiriti, pianta unica, con diversi e sempre più numerosi rami, vivificati tutti dall’unica stessa linfa, tutti rivolti al cielo, fiorenti di amore a Dio e agli uomini. È questa forse la minima tra le Opere di fede e di carità sgorgata dal cuore di Gesù, ma non vuol essere seconda a nessuna nel consumarsi d’amore a servizio della chiesa, della Patria e del povero popolo. Tutto ci dice che solo Dio è che l’ha suscitata e che la va estendendo, malgrado la nostra miserabilità, attraverso prove quanto mai dolorose e pur per ignem et acquam, forse per dare aiuto di fede a noi uomini di poca fede. In un’epoca di positivismo, di terrene cupidigie e di denaro, essa si propone, con il divino aiuto, di elevare i cuori e le menti a quel bene che non è terreno, e che solo può riempire e far pago di sé il cuore dell’uomo, modestamente cooperando, in umiltà grande e d’inginocchio ai piedi di Roma, con Roma e per Roma, a mantenere fedele o a ricondurre il popolo alla chiesa e alla Patria, a salvare i piccoli, gli umili, i più insidiati o più sofferenti fratelli in Cristo (Scr. 61,218).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza, la quale, benedetta ampiamente dal Santo Padre e da molti Vescovi, ha stese le sue tende nell’alta e nella bassa Italia e nell’America con Collegi convitti, Colonie agricole, Oratori festivi, Orfanotrofi e Scuole di arti e mestieri, ha aperto alcune Case per le vocazioni degli adulti allo stato ecclesiastico. Molti giovani, i quali hanno già esercitato un’arte, od atteso ai lavori della campagna, o che aspettarono a decidersi dopo l’esito della leva militare, vengono così aiutati a compiere i loro santi desideri, e riescono, quasi sempre buoni sacerdoti. Essendo già attempati, essi sanno ciò che lasciano e ciò che abbracciano: hanno meglio ponderata la loro vocazione, e la decisione presa è sempre più sincera e più robusta. Raccolti in apposite Case, sotto particolari e pazienti Insegnanti, attendono agli studi classici come richiedono le disposizioni pontificie. Parecchi di tali ottimi giovani non solo riusciranno pii e abili operai per la vigna del Signore; ma pure negli studi, diedero risultati soddisfacentissimi, e parecchi di essi ottennero anche la laurea di teologia e di diritto. Quest’Opera vive in gran parte di beneficienza, per cui caldamente si raccomanda alla carità dei benefattori (Scr. 62,23).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza è nata in una Settimana Santa e ai piedi del Crocifisso e avrà vita sempre combattuta e crocifissa: io la affido a Voi tutti e a ciascuno di Voi. Vi starò vicinissimo con lo spirito e vi accompagnerò sulla Croce: Gesù e la Chiesa si amano e si servono in Croce, come tante volte già vi ho detto, si amano e si servono in Croce o non si amano e servono affatto (Scr. 79,318).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza è un’umile Congregazione Religiosa di data recente, italiana di origine, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza. Nata, dunque, per i poveri, a raggiungere il suo scopo essa pianta le sue tende nei centri operai, e di preferenza nei rioni e sobborghi i più miseri, che sono ai margini delle grandi città industriali, e vive piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori, confortata dalla benedizione della Chiesa, dal valido appoggio delle Autorità e da quanti sono spiriti aperti ai nuovi tempi e di cuor largo e generoso. Al popolo essa va, più che con la parola, con l’esempio e l’olocausto d’una vita dì e notte immolata con Cristo all’amore e alla salvezza dei fratelli. Questa istituzione è di schietta marca cattolica ed è italiana, senza reticenze: anche all’estero svolge opera di fervida italianità. Pur vivendo un’unica fede, pur avendo un’anima e un cuor solo e unità di governo, sviluppa, per altro, attività molteplici, secondo le svariate necessità degli umili ai quali va incontro, adattandosi, per la carità di Cristo, alle diverse esigenze etniche delle nazioni tra cui la mano di Dio la va trapiantando. Essa non è, dunque, unilaterale, ma pur di seminare Cristo, la fede e la civiltà nei solchi più umili e più bisognosi della umanità, assume forme e metodi differenti, crea e alimenta diversità di istituzioni, valendosi nel suo apostolato di tutte le esperienze e dei suggerimenti che attinge dalle locali Autorità. Suo anelito è la diffusione tra il popolo dell’Evangelo e dell’amore al «dolce Cristo in terra», nonché uno spirito più vivo e più grande di fraterna carità tra gli uomini, rivolto ad elevare, religiosamente e socialmente, le classi dei lavoratori, a salvare i diseredati da ideologie fatali, ad edificare ed unificare i popoli in Cristo. Suo campo è la carità, però nulla esclude della verità e della giustizia, ma la verità e la giustizia fa nella carità (Scr. 80,203).
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La Piccola Opera vuole servire, e servire con l’amore: essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le opere della misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri: sua vita è amare, pregare, educare l’orfanità e i più derelitti figli del popolo alla virtù e al lavoro, è patire e sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. Grido suo è il: Charitas Christi urget nos di San Paolo, e suo programma il Dantesco «La nostra carità non serra porte». Essa, perciò, accoglie e abbraccia tutti che hanno un dolore, ma non hanno chi dia loro un pane, un tetto, un conforto: si fa tutta a tutti per tutti trarre a Cristo. Ond’è che, sorta da un palpito vivificante di quell’amore che è sempre desto e sempre pronto a tutti i bisogni dei fratelli doloranti, questa Piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere quasi una corrente di acque vive e benefiche che dirama i suoi canali ad irrigare e fecondare di Cristo gli strati più aridi e dimenticati. Essa è una pianta novella, sorta ai piedi della Chiesa e nel giardino d’Italia, non per opera di uomo, ma sì da un soffio divino della bontà del Signore. E, di anno in anno, sviluppandosi, alla luce e al calore di Dio, a conforto di migliaia e migliaia di corpi e di spiriti, è pianta unica, ma con diversi rami, vivificati tutti dall’unica stessa linfa, tutti rivolti al cielo, fiorenti d’amore a Dio e agli uomini. È questa, forse, la minima tra le Opere di fede e di carità sgorgate dal Cuore di Gesù, ma non vuol esser seconda a nessuna nel consumarsi di amore a servigio della Chiesa, della Patria e del popolo. Tutto ci dice che solo Dio è che l’ha suscitata e la va estendendo, malgrado la nostra miserabilità, attraverso prove quanto mai dolorose e pur per ignem et aquam, certo per dare aiuto di fede a noi, uomini di poca fede. In un’epoca di positivismo, di terrene cupidigie e di denaro, la Piccola Opera della Divina Provvidenza si propone, dunque, auspice la Vergine Celeste, di asciugare molte lacrime, di elevare le menti e i cuori a quel Bene che non è terreno, che solo può riempire e far pago di sé il cuore dell’uomo, e di modestamente cooperare in umiltà grande e d’inginocchio ai piedi di Roma, a mantenere fedele o a ricondurre il popolo alla Chiesa e alla Patria, a salvare i piccoli, gli umili, i più insidiati o più sofferenti fratelli in Cristo (Scr. 80,204–205).
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La Piccola Opera vuole servire, e servire con l’amore. Essa, Deo adiuvante, si propone di attuare praticamente le opere di misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri; sia vita è amare, pregare, educare, patire, sacrificarsi con Cristo: suo privilegio è servire Cristo nei poveri più abbandonati e reietti. “La sua carità non serra porte”, ma vuol farsi tutta a tutti i più afflitti della vita, per tutti trarre a Cristo. Ond’è che, sorta da un palpito vivificante di quell’amore che è sempre desto e sempre pronto a tutti i bisogni dei fratelli doloranti, questa Piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere come una corrente d’acqua vive e benefiche che dirama i suoi canali ad irrigare e fecondare in Cristo molte terre, ma rivolgendosi agli strati più umili e più dimenticati (Scr. 94,9).
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Memoria sulla Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione) in Tortona. 1) Nata per divina bontà circa 41 anni or sono (15 ottobre 1893), la Piccola Opera della Divina Provvidenza muoveva in Tortona i suoi primi passi, confortata dalla paterna benedizione del Vescovo Mons. Igino Bandi, il quale poi la approvò con Decreto in data 21 marzo 1903. Vi sono anche due altri Decreti di approvazione: a) del Vescovo di Ventimiglia, Mons. Daffra (25 aprile 1904) b) del Vescovo di Cassano Jonio, Mons. Pietro La Fontaine, che poi fu Cardinale Patriarca di Venezia (25 marzo 1910). 2) Suo intento primario, oltreché la santificazione dei suoi membri – Sacerdoti, Eremiti, Chierici, Coadiutori – è quello di attendere, mediante artigianati, orfanotrofi, istituti professionali e scolastici, all’apostolato fra le anime dei giovani i più poveri, degli orfani, dei derelitti, dei sofferenti di ogni specie: lenire le piaghe dell’anima oltreché del corpo: concorrere alla rigenerazione sociale: portare ovunque il balsamo consolatore del Divin Redentore. Cerca di far suo, coll’aiuto della Madonna, il programma di santi: da mihi animas – venari animas – anime e anime! (Cfr. Decreto Mons. Bandi, All. A. – Costituzioni, pag.3 e seg.; all.D.). 3) Decisa di essere tutta del Papa o sparire, pone trai suoi primi amori, dopo quello di Dio e della Vergine, l’incondizionato attaccamento ai Vescovi e al Sommo Pontefice mediante “un’adesione piena e perfetta di mente, di cuore e di opere”, e prende nome e sicura linea di programma dalla espressione scritturale: “Instaurare omnia in Christo! ”. Quei Sacerdoti poi che, emessi i voti perpetui, e fatti almeno dieci anni di irreprensibile e lodevole vita religiosa, saranno creduti degni dal Superiore, potranno far parte di una sezione speciale, avente speciale obbligo d servire in tutto e per tutto al Sommo Pontefice, e si avranno siccome guardie giurate della fede e della dottrina cattolica: servitori fedeli sino alla morte e figli del Papa. (Cfr. Costit., pag. 7, All. D.) 4. Il Santo Padre Pio X, oltreché il Vescovo Mons. Bandi di f. m., sii degnava paternamente benedire e incoraggiare con la bontà propria di chi è Vicario del Signore, la Piccola Opera della Divina Provvidenza nel suo primo avviamento, e riceveva personalmente la professione perpetua del suo Superiore e Fondatore Don Luigi Orione, citando a testimoni gli Angeli Custodi di entrambi. (Vedi lettera a stampa – Pentecoste 1912, All. E.). A lui pure si benignava affidare incarichi delicatissimi quali il Vicariato di Messina, subito dopo il terremoto del 1908, e autorizzava i Vescovi di Ventimiglia, Noto, Gerace, Alessandria, indi Tortona, a compiere “Ratione famulatus Ecclesiae” le ordinazioni a quanti membri il Sac. Luigi Orione proponesse. (Vedi all. F/G/H.) 5 Nata specialmente per gli orfani, a quelli delle zone terremotate di Messina e Reggio Calabria (1908), e più tardi (1915) della Marsica, apriva con cuore paterno le porte delle sue Case di Roma, Cassano Jonio, Sanremo, Tortona, Cuneo. Quest’assistenza, offerta con pieno senso cristiano in un’ora così grave, attirava sull’umile pianta benedizioni da Dio, edificando le anime ovunque. 6 Consapevole dei grandi bisogni delle anime, della urgenza di operai egli per la messe di N. S., attendeva, oltreché alla formazione di personale proprio, a favorire le vocazioni dei poveri, impossibilitati ad entrare nei Seminari. Vari Parroci Diocesani fecero nelle Case della Piccola Opera i loro studi classici e filosofici e poterono ascendere così al Sacerdozio. 7 Abbeverandosi alle divine fonti del Vangelo, agli esempi dei Santi; quali Don Bosco e il Cottolengo, apriva, sospinta dalla Carità di Cristo, ospizi caritativi, ammettendovi i più bisognosi, senza riserva per l’età, per la condizione, e per il genere di malattia, per la nazionalità e per la religione. In queste case, ordinate secondo lo spirito di San Giuseppe Cottolengo, palesamene assistite da Dio, lavorano le umili Suore Missionarie della Carità, ramo iniziato il 29 luglio 1915. Attualmente il Rev.do Don Luigi Orione, fondatore della Piccola Opera, va ponendo le basi del Piccolo Cottolengo nella capitale argentina. 8 Il Santo Padre Benedetto XV, consapevole di quanto per divina misericordia si veniva compiendo, ne faceva ufficiale encomiastico riconoscimento in un breve emanato nella ricorrenza del 25° di ordinazione sacerdotale di Don Orione, lo incoraggiava a dilatare sempre più il suo lavoro, e lo regalava di un prezioso calice. (cfr. All. I–Lett.). 9 Negli ultimi decenni la Piccola Opera è venuta assumendo, nelle varie branche, più regolare assetto. Il Noviziato eretto nel 1912, raccoglie annualmente a Bandito–Bra, località opportunissima, presso la Madonna dei Fiori, e presso la culla di San Giuseppe Cottolengo, dai 30 ai 40 novizi. Resosi da qualche anno insufficiente l’ambiente, sempre nella stessa località, alla costruzione di un nuovo edificio che consente accoglierne un maggior numero. 10 Varie Case di Studentato, e di formazione religiosa, sono sorte nell’ultimo decennio. Gli studi, per i corsi classici e di filosofia, si compiono, dai singoli membri, a Tortona, Voghera, Montebello, Campocroce (Venezia), San Severino Marche, Reggio Calabria, e Seminario Patriarcale di Venezia. Per gli studi teologi, si fa capo al Seminario Vescovile di Tortona e al Collegio Brignole–Sale di Genova. Un gruppo rilevante, oltre 30, frequenta la Gregoriana di Roma: prima si frequentava anche il Lateranense. Vari elementi hanno già conseguita la laurea in filosofia alla Gregoriana e sono stati preposti ai diversi studentati. 11 A Tortona e a Novi esistono due Collegi–il “Dante Alighieri” e il “S. Giorgio”– con scuole interne e parificate: Istituto Tecnico e Istituto Magistrale. All’insegnamento sono preposti, per due terzi, membri dell’Opera, laureati nelle Università Statali o autorizzati. Attualmente la piccola Opera, non tenendo conto dei Maestri, dispone di una quarantina di elementi iscritti all’Albo Professionale delle Scuole Medie. Ha cinque laureati in filosofia alla Gregoriana, e 14 pure licenziati dalla Gregoriana o dal Lateranense. Sei sono prossimi alla laurea in belle lettere, filosofia e matematica; e frequentano: due le Università Regie e quattro la Università Cattolica di Milano. Cinque stanno per laurearsi in teologia presso la Gregoriana. 12 I Sacerdoti, oltreché alle mansioni suesposte, si dedicano ad attività di ministero in diverse Parrocchie: Ognissanti a Roma, affidata alla Piccola Opera in “Perpetuo” da S.S. Benedetto XV; San Rocco in Alessandria–Ortonovo (Spezia); San Severino Marche; in Polonia e nel Sud–America; e in molte altre Chiese aperte ai fedeli. Cuore di tutti i Figli della Divina Provvidenza dislocati in Italia e fuori: Rodi, Polonia, Uruguay, Argentina, Brasile, Stati Uniti, e il Santuario della Madonna della Guardia, eretto, con il personale concorso d’opera di Sacerdoti e leviti della Piccola Opera, nel 1931, a ricordo del XV centenario del Concilio di Efeso, in Tortona, nella Borgata di San Bernardino, che fu prima culla dell’Opera stessa (Scr. 117,166–168).
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I Figli della Divina Provvidenza non saranno mai né languidi né ultimi nella devozione alla Santa Madonna: primi vogliamo essere, o in prima fila, a nessuno secondi nell’amarti, o Vergine benedetta e santissima Madre del Signore, unica e sola celeste Fondatrice della nostra cara Congregazione, Madre di Dio, Madre e Regina nostra! O tutta Santa e Immacolata Madre! Ave, o Maria, piena di grazia, intercedi per noi! Ti ricorda, Vergine Madre di Dio, mentre stai al cospetto del Signore, di parlargli e d’implorare per questa umile Congregazione tua, che è la Piccola Opera della Divina Provvidenza, nata ai piedi del Crocifisso, nella grande settimana del Consummatum est. Tu lo sai, o Vergine Santa, che questa povera Opera è opera tua: Tu l’hai voluta, e hai voluto servirti di noi miserabili, chiamandoci misericordiosamente all’altissimo privilegio di servir Cristo nei poveri; ci hai voluto servi, fratelli e padri dei poveri, viventi di fede grande e totalmente abbandonati alla Divina Provvidenza. E ci hai dato fame e sete di anime di ardentissima carità: Anime! Anime! E, questo nei giorni che più ricordavano lo svenato e consumato Agnello, nei sacri giorni che ricordano quando ci hai generati in Cristo sul Calvario. Che avremmo potuto noi, senza di Te? E che mai potremo, se Tu non fossi con noi? Or dunque, dinne: A chi andremo noi, se non a Te? Non sei Tu la meridiana face di carità? Non sei la fonte viva di olio e di balsamo, non la celeste Fondatrice e Madre nostra? Forse non è in Te, o benedetta fra tutte le donne, che Dio ha adunata tutta la potenza, la bontà e la misericordia? Oh sì: «In Te misericordia in Te pietade, in Te magnificenza, in Te s’aduna quantunque in creatura è di bontade». Sì, sì, o Santa Madonna mia! Tutto Tu hai e «tutto Tu puoi, ciò che Tu vuoi! ». Or dunque, discendi e vieni a noi: corri o Madre, perocché il tempo è breve. Vieni e infondici una profonda vena di vita interiore di spiritualità. Fa’ che arda il nostro cuore dell’amore di Cristo e di Te: fa’ che vediamo e serviamo negli uomini il Tuo Divin Figliuolo, che in umiltà, in silenzio e con anelo incessante conformiamo la nostra vita alla vita di Cristo, che lo serviamo in santa letizia, e in gaudio di spirito viviamo la nostra parte di eredità del Signore nel Mysterium Crucis (Lett. II,478–479).
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Ai tuoi piccoli figli, ai Figli della Divina Provvidenza, dona, Beatissima Madre, amore, amore; quell’amore che non è terra, che è fuoco di carità e follia della Croce. Amore e venerazione al «dolce Cristo in terra» amore e devozione ai Vescovi e alla Santa Chiesa; amore alla Patria, sì come Dio lo vuole; amore purissimo ai fanciulli, orfani e derelitti; amore al prossimo, particolarmente ai fratelli più poveri e doloranti; amore ai reietti, a quelli che sono ritenuti quali rottami, rifiuti della società; amore ai lavoratori più umili, agli infermi, agli inabili, agli abbandonati, ai più infelici, ai dimenticati; amore e compatimento per tutti: ai più lontani, ai più colpevoli, ai più avversi, a tutti; e amore infinito a Cristo. Dacci, Maria, un animo grande, un cuore grande e magnanimo, che arrivi a tutti i dolori e tutte le lacrime. Fa’ che siamo veramente quali ci vuoi: i padri dei poveri! Che tutta la nostra vita sia sacra a dare Cristo al popolo e il popolo alla Chiesa di Cristo; arda essa e splenda di Cristo; e in Cristo si consumi, in una luminosa evangelizzazione dei poveri; la nostra vita e la nostra morte siano un cantico dolcissimo di carità, e un olocausto al Signore. E poi... e poi il santo Paradiso! Vicini a Te, Maria: sempre con Gesù, sempre con Te, seduti ai tuoi piedi, o Madre nostra, in Paradiso, in Paradiso! Fede e coraggio, o miei figliuoli: Ave Maria, e avanti! La nostra celeste Fondatrice e Madre ci aspetta e vuole in Paradiso (Lett. II,480–481).
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La nostra Piccola Opera è, e vuol essere tutta di Dio, perché è opera della Provvidenza di Dio, specialmente per mezzo della Santa Madonna! Alla Madonna oggi, come ieri, domani e sempre, abbiamo affidato tutti noi stessi, con una incrollabile fede, con una disillusa fiducia. Si deve sapere che è propria dell’Istituto dei Figli della Divina Provvidenza una disciplina religiosa, con una autorità paterna, si, ma anche con una obbedienza telegrafica. Cioè un Figlio della Divina provvidenza, come deve essere sempre pronto a partire per l’eternità, così deve essere spiccio e pronto sempre a lasciare tutto per volare là dove l’obbedienza lo chiama. L’Istituto dei Figli della Divina Provvidenza è nato nella Settimana Santa, in una Chiesa dedicata al Crocifisso in Tortona, e per il Crocifisso ha particolare devozione. Il Crocifisso è il vero centro d’unione delle anime cristiane, è la nostra ancora, il nostro Libro, il grande Libro dei Santi, è il nostro Vessillo! (Par. V,140).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza potrebbe essere chiamata altresì la Congregazione della Carità. La carità, prendendo questa parola nel senso ampio e generosamente cristiano, come la definì san Paolo, apostolo delle genti, l’apostolo del popolo, ha la sua ragione di essere, il suo distintivo e la sua missione. Messaggio questo tanto antico come la croce di Cristo e tanto generoso come le parole infuocate dell’Apostolo: Charitas Christis urget nos, la carità di Cristo ci spinge. E per questo tutte le opere della Piccola Opera sono di carità: oratori, asili, Cottolengo, sono ispirati e si sostengono e vivono grazie alla carità, di modo che se ben si riflette, questa Congregazione viene ad essere come la corda di un ricco pozzo, con il secchio in una delle estremità che va levando a poco a poco l’acqua abbondante dal cuore della buona gente per depositarla sopra la terra ferma, mancante di pane, di abitazioni, di fuoco, di consolazione. La carità è la vocazione indeclinabile e diremo fatale dei Figli della Divina Provvidenza, ossia lo stesso amore di Cristo, nei suoi poveri, e riverirlo cordialmente nella persona degli invalidi e degli infermi e dei bisognosi (Par. IX,327).
Vedi anche: Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Costituzioni (FDP e PSMC), Piccole Suore Missionarie della Carità.
Piccole Suore Missionarie della Carità
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Instaurare omnia in Christo Buenos Aires, 12 settembre 1935. Festa del Nome di Maria SS.ma Pequeño Cottolengo Argentino. Qui cominciano, nel nome di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, le costituzioni delle Piccole Suore Missionarie della Carità. Nel nome di Dio e di Maria SS.ma. Capo I Del titolo e del fine della Congregazione. 1 Il titolo della Congregazione è: «Piccole Suore Missionarie della Carità». 2 Il fine primario e generale della Congregazione è la santificazione delle proprie religiose, mediante la osservanza dei voti semplici di povertà, castità, obbedienza e carità, e di queste costituzioni. 3 Suo fine particolare e speciale poi è l’esercizio della carità verso i prossimi, massime con il consacrare la vita a portare alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo, del Suo Vicario, «dolce Cristo in terra», il Romano Pontefice e della Santa Chiesa i piccoli figli del popolo e i poveri più lontani da Dio o più abbandonati, mediante l’insegnamento della dottrina cristiana e la pratica delle opere evangeliche della misericordia. Capo II Madre e Protettrice celeste. 1 La Congregazione è particolarmente consacrata a Maria SS.ma, Immacolata e Misericordiosissima Madre di Dio; e sta sotto le ali della Divina Provvidenza e sotto il manto di Maria come una bambina. 2 E per la filiale devozione che essa nutre, fin dal suo nascere, verso la Beatissima e sempre Vergine Madre di Dio, ne diffonderà, quanto più possibile, il culto: ogni casa, di proprietà della Congregazione, si onorerà di denominarsi da qualche suo titolo o prerogativa, e ogni suora assume, quale prenome, il nome di Maria (Scr. 18,147–148).
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Attendete dunque, o povere missionarie della carità alle opere della carità. Cercate sempre di compatirvi tra di voi e di fare vita santa, vita di amore di Dio e di opere di carità verso del prossimo. E di quel po’ di bene che farete, con l’aiuto del Signore, cercate che sia conosciuto da Dio, e poi reputatevi un nulla e tenetevi a vile: tutti siamo fragili, ma voi tremate sempre, e pensate che nessuna è più fragile di voi (Scr. 39,80).
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Alle povere figlie del Signore che sono state dette, a loro confusione, «Le Missionarie della Carità». Ho pregato ed ho pensato più e più volte a voi, in questi giorni, ricordando che proprio, mentre vi scrivo, vi troverete riunite nei santi Spirituali Esercizi. Vi ho poste tutte e vi pongo ciascuna nelle mani della SS.ma Vergine, perché siate quali n. Signore vi vuole, tutte umili, modeste, piene dello spirito di sacrificio e della carità di Gesù Cristo, a servizio dei poveri, dei piccoli e degli abbandonati, vivendo ai piedi e nell’amore dolcissimo della sua Santa Chiesa e del Vicario di n. Signore. Pregate e chiedete a Gesù crocifisso lo spirito di patire e di abnegazione di voi e di pazienza grande e di orazione. Ogni abbandonato trovi in voi una sorella in Gesù Cristo e una madre, e mentre curerete i dolori del corpo, donate alle anime la luce e il conforto di Dio. Ad ogni passo trasfondete fede, purezza, dolcezza, amore di Dio. Donatevi tutte a Dio per essere tutte del prossimo, e non lasciate di istruirvi per rendervi capaci di illuminare le menti, per acquistare le anime. A questo fine, cioè anche a questo fine, vado ora in America per prepararvi un più largo e più vasto campo di carità. Oh quanto sarete felici se tutte sacrificherete la vita per Dio e per le anime.. Allora sì che il cuor di Gesù benedirà la vostra povera comunità, quando i limiti dell’Italia e dell’Europa non basteranno più alla vostra carità per Gesù, per i poveri di Gesù Cristo... che vuol dire mai essere missionarie se non questo: di andare ad evangelizzare il mondo con fede e la carità del Signore? (Scr. 39,144).
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Buone figliuole del Signore, la mano della Divina Provvidenza vi ha tutte raccolte in codesta nascente e minima Congregazione e par che l’abbia fatto con il disegno manifesto che voi annichilendovi nel suo cuore e nelle mani della Santa Chiesa di Roma, e tutte infiammate dalla carità di Gesù crocifisso andiate a ravvivare nelle anime e nei popoli l’amore di Dio e degli uomini. La vostra minima istituzione fu fondata nel cuore di Gesù, perché di là è venuta la carità sulla terra e di là voi la dovete attingere per voi e per gli altri cui la misericordia di n. Signore vi indirizzerà, e la vostra fede sta nella croce e nella Chiesa del Papa, e la vostra fermezza sta nella santa Provvidenza e nella Chiesa santa del Papa e dei Vescovi che sono in unione e dipendenza con lui che è il Vicario unico di Gesù Cristo sulla terra. Da voi potranno entrare vedove e figliuole e la vostra minima Congregazione religiosa porterà il nome di «Missionarie della Carità» il che vuol dire Missionarie di Dio perché «Dio è Carità» «Deus Charitas est»: vuol dire missionarie di Gesù Cristo, perché Gesù Cristo è Dio ed è carità: vuol dire missionarie, cioè evangelizzatrici e serve dei poveri perché nei poveri voi servite, confortate ed evangelizzate Gesù Cristo. Ma questa divina carità dovete cominciare ad averla voi, ad averla in voi, e vivere voi di essa, se volete farla e portarla al vostro prossimo. Essa deve prima risplendere in voi... Grazie a Dio, credo che non vi sia alcuna tra voi la quale non voglia questo: vivere di Gesù portare in sé e glorificare in sé la carità di Gesù Cristo crocifisso. Ed io umilmente lo prego il Signore che sempre vi dia questa santa e buona volontà, e che voi assecondiate e copiate così la vostra grande vocazione, e che vi doniate di gran cuore a lui, e che ne portiate la carità a tutti i cuori o a tutto il mondo magnanimamente. E prego la bontà di Dio che per l’infinita sua misericordia si compiaccia versare abbondantemente su di voi ogni sorta di grazie, di benedizioni, e prego la SS.ma Vergine, madre nostra, per voi, perché vi dia spirito non di austerità; ma di carità, di carità, di carità che tutte vi consumi per il prossimo. Se sarete umili, povere, se vi sarà unione e pace fra di voi: se avrete la bella virtù degli angeli, la santa modestia, il Signore sarà con voi sempre, e il vostro istituto farà un gran bene nella Chiesa e vi farete sante. Sia il Signore con voi (Scr. 39,145).
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Grazia e pace a voi, buone figliuole di Dio, Missionarie della Carità di Gesù Cristo Signor nostro! Uscite per la divina Misericordia dal mondo, voi vi siete totalmente a Dio consacrate nell’umiltà e nella carità, solo desiderose di amarlo e servirlo il Signore nella sua santa Chiesa e nei poveri, che sono i più cari al suo cuore, e i nostri fratelli di predilezione. Il Venerabile Don Bosco, indimenticabile mio benefattore e Padre, era solito confortare ogni tanto i suoi religiosi inviando loro qualche buona parola. Ho pensato di farvi piacere mandandovi anch’io per questa Quaresima alcuni brevi ricordi, per la maggior perfezione del vostro spirito. 1 Orazione 24 ore al giorno, cioè fare tutto col, cuore e con la mente elevata in Dio, stando in solitudine interna, e riposando in pura fede e santa carità di Dio. 2 Lavorare, patire e tacere. 3 Non ti lamentare, non ti risentire, non ti giustificare. 4 Non ti vantare, non parlare mai di te. Non presumere. Via la vanità, l’orgoglio e l’amor proprio. 5 Silenzio, silenzio e pazienza silente e mansueta. 6 Non fare la critica alle tue consorelle, né ad altri, mai. Alle volte una falsa specie di zelo ci muove a guardar le cose degli altri con occhio nero. 7 Niente di duro: tutto per l’amore di Dio benedetto, e niente per forza. È meglio conservare con la pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo. 8 Prega umilmente, e abbi grande fede nella Divina Provvidenza. 9 Non quella che fa grandi cose esterne, edifica la sua casa sulla pietra, ma quella che sta fedele al Signore, alla Santa Chiesa, all’obbedienza. 10 Lo zelo non deve essere né torbido né amaro: non lasciarti ingannare: lo zelo è solamente buono se umile, dolce e obbediente. 11 La santa Madre di Dio sia la tua tenerissima madre. Il nostro Istituto è particolarmente consacrato a Maria SS.ma 12 Benedire Dio sempre, e sempre Deo gratias! 13 Sta’ piccola ai piedi di Gesù crocifisso: sta con il tuo cuore dentro del santo Tabernacolo: sta in mano della santa Madonna, della santa Chiesa, dei Vescovi e del nostro santo Padre, il Papa. 14 Sta’ contenta sulla croce. Ama il patire con Gesù, e per suo amore. 15 Le anime e i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la sua Chiesa e la piccola tua Congregazione si amano e si servono solamente «stando sulla croce» e crocifissi di carità. «Sta’ contenta sulla croce». Vicino alla croce troverai pure la nostra madre, la Madonna SS., che sarà sempre la tua consolazione. Vi benedico: fate tutto in fede, in umiltà, in carità (Scr. 39, 147–148).
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Lettera riservata alle Missionarie della Carità. Grazia e pace a Voi, buone figliuole di Dio, Missionarie della Carità di Nostro Signore Gesù Cristo! Vi siete, per la divina misericordia, separate dal mondo, vi siete totalmente consacrate a Dio, nell’umiltà e carità, solo desiderose di amarlo e servirlo, il Signore nella Sua Santa Chiesa e nei poveri, che sono i più cari al Suo Cuore e i nostri fratelli di predilezione. Il Ven. Don Bosco, indimenticabile mio Benefattore e Padre, era solito confortare ogni tanto i suoi religiosi inviando Loro qualche buona parola. Ho pensato farvi piacere mandandovi anch’io per questa Quaresima alcuni brevi ricordi per la maggior perfezione del vostro spirito. 1) Orazione 24 ore al giorno, cioè far tutte con il cuore e con la mente elevata in Dio, stando in solitudine interna, e riposando in piena fede e santa carità di Dio. 2) Lavorare, patire, tacere. 3) Non ti lamentare, non ti risentire, non ti giustificare. 4) Non ti vantare, non parlar mai di te, non presumere, via le vanità, l’orgoglio e l’amor proprio. 5) Silenzio, silenzio e pazienza silente e mansueta. 6) Non far la critica alle Consorelle né adularle, mai! Alle volte una falsa specie di zelo ci muove a guardar le cose degli altri con occhio nero. 7) Niente di duro, tutto per l’amor di Dio benedetto e niente per forma. È meglio conservare con la pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo. 8) Pregate umilmente ed abbiate grande fede nella Divina Provvidenza. 9) Non quello che fa grandi cose esterne edifica la sua casa sulla pietra, ma quello che sta fedele al Signore, alla Santa Chiesa e all’obbedienza. 10) Lo zelo non deve esser mai ne torbido ne amaro: non lasciarti ingannare: lo zelo solamente buono è umile, dolce, obbediente. 11) La Santa Madre di Dio sia la tua tenerissima, dolcissima ed amabilissima Madre. Il nostro Istituto è particolarmente consacrato a Maria SS.ma. 12) Benedire Dio sempre e sempre Deo gratias! 13) Sii piccola ai piedi di Gesù Crocifisso: sta con il cuore dentro nel Santo Tabernacolo, sta in mano della Santa Madonna, della Santa Chiesa, dei Vescovi e del Nostro Santo Padre, il Papa. 14) Sta’ contenta sulla croce, ama il patire e per Suo amore. 15) Le anime ed i nostri cari poveri: Gesù Cristo, la Santa Chiesa e la tua piccola Congregazione si amano solo stando sulla Croce e crocifissi di carità. Vi benedico. Fate tutto in fede, in umiltà, in carità, e Nostro Signore vi conceda di star contente sulla Croce presso la Croce troverete pure la nostra Madre che sarà la vostra consolazione. Il nostro cuore deve essere un altare dove inestinguibile arde il divino fuoco della carità: Amare Dio e amare i fratelli: due fiamme di un solo sacro fuoco. Ed è di questo fuoco che vogliamo vivere e consumarci: questo è il fuoco che ci deve trasformare, trasportare e trasumanare (Scr. 78,85–86).
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Vi chiamate Missionarie della carità, ma questo titolo non deve farvi insuperbire, anzi deve aiutarvi ad essere tali, che quanti vi vedono, quanti vi avvicinano devono osservare riprodotta in voi la carità di Gesù Cristo; dovete essere anime ardenti della carità di Dio. E perché siate veramente missionarie della carità, raccomandatevi alla Madonna Santissima, a San Pietro, San Paolo, San Michele e tutti i vostri Patroni e Protettori. La vostra vita deve essere come una tela tessuta di carità. Di San Romualdo oggi si legge nella Messa: In fide et lenitate ipsius sanctum fecit illum. In fide, cioè con la fede, che è la radice della virtù, la carità, che ne è il frutto, e la dolcezza, la mitezza, la mansuetudine, che sono come il profumo e la fragranza della carità. La carità che è amor di Dio e degli uomini: per la carità il Figliolo di Dio si è fatto uomo ed è morto sul Calvario; per la carità resta nel Tabernacolo: vi resta per tutti, ma in modo particolare per le anime devote. Voi donne, nel Vangelo avete una posizione di privilegio: non parlo di Maria Santissima, la creatura privilegiata per eccellenza, la Madre di Dio; ma molte volte il Cuore amoroso di Gesù si manifesta a favore vostro, compiangendo e consolando la vedova di Naim, con la Cananea, con la povera emorroissa; Gesù che difende la Maddalena dai suoi accusatori, che conforta la povera caduta, che volevano lapidare, scrive in terra i peccati dei suoi accusatori, li fa fuggire e poi dice: Donna, nessuno ti ha condannata? Nemmeno io ti condanno; va in pace, non peccare più. Gesù che, al castello di Betania, loda Marta, ma dice a Maria: hai scelto la parte migliore! Quante cose ci dice il Vangelo della dolcezza, mitezza, e bontà del Cuore di Gesù! Datevi davvero ad imitarlo in queste virtù così belle! Oggi è la festa di San Romualdo: è il I Venerdì del mese, giorno che ci ricorda pure i dolori della Madonna Santissima, ai piedi della Croce, fu fatta da Gesù Madre nostra. Confidate a lei la vostra vita religiosa, fate oggi un fermo proposito di voler essere tutte di Gesù, piene del suo amore: mettete nelle sue mani il vostro cuore, duro, freddo, gelido, perché lo riscaldi, l’infiammi al contatto con il suo, perché da oggi tutto in voi respiri la carità, l’amor di Dio, e non abbiate altro desiderio che di far del bene e salvare le anime (Par. I,155).
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Che Gesù vi aiuti ad essere Missionarie della Carità del Cuor di Gesù. Missionarie vuol dire banditrici, apostole, inviate a far del bene, a far conoscere la Fede, la Carità, l’amore: la missione di far conoscere la Fede lasciatela ai sacerdoti: la vostra missione deve essere di far conoscere la carità, di portare in voi la carità di Gesù Cristo. Se queste mie povere parole, che vi ho dette stamattina, illuminate dalla Fede, dalla luce del Signore, vi faranno essere tali, allora sarete veramente felici, spargerete il buon odore di Gesù Cristo e quanto bene farete! Patirete forse il freddo e la fame, ma se avrete la carità del Signore, sarete felici. Lavorate su di voi, ma praticamente, in spirito di umiltà, sopportando voi stesse, perché, per talune, la croce più pesante è sopportare loro stesse, e non vi avvilite per i vostri difetti, ma, appena vi accorgete di essere cadute, rialzatevi subito, con la benedizione di Dio, umiliatevi con nostro Signore, con le vostre sorelle e ricordatevi, sempre, che siete solamente quel che siete davanti al Signore. Che il Signore vi benedica, metta il Suo Cuore vicino al vostro povero cuore, v’insegni ad amarlo, ad amare le anime, fate quel che potete e anche più di quel che potete, tutto rivolgete al Signore, pensieri, lavori, fatiche; Maria Santissima vi condurrà in questo spirito di carità, e allora sarete davvero Missionarie dell’amor di Dio e delle anime (Par. I,156–157).
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Andate a far del bene ai bambini, ai malati, ai vecchi e spargete dovunque la carità. Voi vi chiamate Missionarie della Carità, non piccole Missionarie, ma grandi Missionarie, perché dovete far tanto bene. Piccole Suore, sì, ma grandi Missionarie! Andate, spargete, dunque, la Carità dovunque, perché nel mondo non c’è bisogno di scienza, c’è bisogno d’amore (Par. I,245).
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Ebbene, buone figlie e Missionarie della Carità, ricordatevi che uno scopo della vostra istituzione non è soltanto di salvare la vostra anima, ma di salvare delle anime, di seminare Gesù nei cuori. Se il Papa me l’avesse approvato vi avrei chiamate le Apostole della Carità, ma non l’ho neppur chiesto, perché temevo che non me lo avrebbe concesso. Però, mi è parso buono questo nome, Missionarie della Carità, di indicare bene lo scopo, il programma della vostra Congregazione: al principio anzi desideravo vi chiamaste “le piccole Missionarie della Carità”; ma poi ho pensato che qualcuno pensasse che ci volesse un cuore piccolo per la vostra opera. E vi ho chiamate “ le Missionarie della Carità”. Dovete infatti essere giganti di carità; dovete essere e ritenervi piccole davanti al Signore, ma farvi grandi seminatrici di amore, di carità; con la carità di Dio e del prossimo; ricordatevi di evitare la preferenza per i ricchi; cercate i poveri; voi altre siete per la scopatura del mondo, per i poveri; siete povere, siete povere, vivete povere; e dovete essere per i poveri. Povere, povere, povere! Straccione, straccione, straccione per i poveri; pulite, pulite, sì, ma straccione, e per i poveri. Pensate, o buone Missionarie della Carità, che se Dio ha eletto voi, voi avete eletto Dio. Fra voi e Dio ci deve essere un anello di congiunzione: l’amore fra voi e Dio. L’elezione che ha fatto di voi, se vi corrisponderete, vi darà una grande catena di grazie, voi salirete di virtù in virtù, voi salirete la scala del Paradiso. Delle vostre case fatene altrettanti cenacoli dell’amore di Dio. In ogni vostra casa deve alitare un’aria diversa da tutte le altre case; si deve sentire che anche nello squallore della miseria c’è la carità. La Chiesa usa così con voi: vi ammaestra, coltiva le vostre virtù religiose, vi fa passare lunghe e difficili prove; e perché? Perché la Chiesa vuol formare in voi Gesù Cristo, vuole che in voi risplenda l’amore di Dio, l’amore di Gesù Cristo (Par. II,87–88).
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Pensate se non avete da insuperbirvi voi che vi chiamate, che vi chiamano, e lo sarete, le Missionarie della Carità! Siete le seminatrici di Dio, perché Dio è carità; e San Giovanni aggiunge: qui manet in charitas in Deus manet; e chi è nella carità è in Dio! Ma questa carità noi la dobbiamo vivere, la dobbiamo dimostrare a quelli che ci stanno in giro; la dobbiamo dimostrare nel nostro contegno, in tutto. Che grande grazia, che grande vocazione è mai la vostra! Ma non si può amare Dio, se non si ama il prossimo. Voi siete le Missionarie della Carità, le propagandiste, le zelatrici, le seminatrici di Dio. E lo stesso precetto che ci impone l’amore di Dio, ci impone l’amore del prossimo, e non si può amare Dio se non si ama il prossimo (Par. II,92).
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Missionarie della Carità, voi siete quelle Suore chiamate dalla mano di Dio a spargere la carità nei cuori dei malati, dei derelitti! Oh quanto bene voi siete chiamate a fare: a spargere la carità, a beneficare; ma quanto bene farete se vi amerete fra voi. Coraggio! Andate nelle vostre case, portate un grande rispetto, non solo alla superiora generale, ma a quelle dove andate, portate i miei ossequi al parroco: educate la gioventù al grande rispetto alle Autorità. Educate tutti al rispetto e alla sottomissione verso le Autorità. Statevene da voi: casa e Chiesa, Chiesa e casa. Quando si tratta di malate, andate; quando si tratta di uomini chiedete alla superiora. Sacrificatevi presso i malati, date buon esempio, abbiate un contegno modesto nel camminare, nel parlare. Che la benedizione di Dio vi segua, vi accompagni in tutti i passi che fate: che tutti, che vi vedono, abbiano a imparare; andate, seminate la carità di Gesù Cristo con le parole, con le vostre opere; sacrificatevi, fate olocausto della vostra vita; se vi ammalerete, che piacere dire: Ho dato la vita per Gesù Cristo! Ricordatevi che Gesù Cristo non ha detto: perché tu hai diplomi, perché tu hai abilità... Gesù Cristo non ha parlato così, la bilancia di Gesù Cristo è questa: ero orfano, ero vecchio, ero ammalato, avevo fame, ero nudo e mi avete vestito; ora venite a ricevere quel premio a voi preparato; e noi: quando mai, o Signore, abbiamo fatto tutto questo? Tutto quello che avete fatto ai piccoli in mio nome, e per amor mio, tutto quello l’avete fatto a me! (Par. II,214–215).
Vedi anche: Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza), Costituzioni (FDP e PSMC), Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Piccolo Cottolengo
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Nella festa e sotto gli auspici di San Giuseppe si è aperto in Genova il Piccolo Cottolengo, e San Giuseppe non è solo il celeste Provveditore dei nostri poveri, ma anche il santo del Cottolengo, il quale da tutti era chiamato don Giuseppe: Giuseppe Benedetto Cottolengo. Ora, come se vi stessi davanti, lasciate che vi rivolga il mio più cordiale saluto nel Signore e che vi ringrazi, cari miei benefattori e benefattrici, di tutto quel gran bene che avete fatto ai nostri poveri del Cottolengo genovese. Dio ve ne ricompensi largamente in questa e nell’altra vita! Chi dà al povero per l’amore di Dio, dà a Dio stesso! E lasciate vi dica che io sentivo che l’Opera del Piccolo Cottolengo in Genova non avrebbe sofferto per la mia lontananza, ma si sarebbe consolidata e ingrandita – Non poteva essere che così, dacché il Piccolo Cott.go genovese non è l’opera mia, ma della Divina Provv.za. Quando ho dovuto partire ho messo tutti i poveri nelle mani della santa Madonna, e son partito tranquillo, ben sapendo che il Piccolo Cottolengo, dopo il cielo, sarebbe stato sostenuto dalla vostra carità, e che i miei cari benefattori e benefattrici di Genova avrebbero continuato a favorirlo. E più si prolungava il tempo di dover stare qui, più comprendevo che la Divina Provv.za per il Piccolo Cottolengo di Genova voleva servirsi di voi, miei benefattori e benefattrici, e non di me, per fini suoi, sempre giusti, sapienti e santi, se non anche per umiliare la mia grande superbia. E così dimostrare anche, sia agli amici che ai contrari, se ve ne fossero, che il Cottolengo genovese non è opera mia, ma è opera del Signore: che va avanti, e anzi meglio, me assente e lontano per anni interi, perché è sostenuto dalla mano di Dio, dalla protezione celeste di Maria SS.ma di San Giuseppe, e di San Giuseppe Benedetto Cottolengo il Santo degli infelici e abbandonati. Ed anche è validamente confortato ed aiutato dalla vostra benevolenza e carità, o miei buoni, indimenticabili genovesi, che avrete un fare talora un po’ fiero, ma avete poi un cuor d’oro, un cuore grande, più grande che il vostro mare. Che se il Piccolo Cottolengo si è diffuso e allargato anche in sud–America e altrove, questo si deve, in gran parte, all’esempio edificante di carità verso i poveri, che voi avete dato. Certo è che molto da voi, o genovesi, hanno imparato le persone benemerite, che nei Piccoli Cottolenghi, qui e altrove, si occupano dei poveri più infelici e più abbandonati: il vostro zelo, il vostro spirito di cristiana carità, la latitudine e magnanimità del vostro cuore ha fatto scuola! Dio ve ne renda merito, in terra e in cielo! (Scr. 52,214).
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Si capisce che, a perfezionare il Piccolo Cottolengo, rimane ancor molto: l’Opera non è finita, ma solo abbozzata, ed ha ancora molte imperfezioni. Ma voi sapete che nessun uomo è senza difetti, e così le Istituzioni: esse si formano poco a poco. Io che ho conosciuto Don Bosco, don Rua etc. vi posso dire che, a quei tempi, la Congr.ne Salesiana non era così ordinata come è adesso. C’era molto buono spirito, e il buono spirito vale per tante cose. Se nel Piccolo Cottolengo e nelle nostre persone voi, miei benefattori, vedete che c’è ancora tante manchevolezze, non dovete, scoraggiarvi né raffreddarvi per questo, ma siccome voi amate di sincero amore questa Opera di fede e di carità, voi dovete pregare per noi e aiutarci coi vostri consigli a migliorare ogni cosa, e noi stessi, prima di tutto. Per divina grazia, noi vogliamo, in umiltà grande, amare e servire Gesù Cristo nei poveri più bisognosi e vogliamo servire i poveri con il più grande e dolce spirito di carità. Con l’aiuto di Dio e ascoltando i buoni consigli di tutti, vogliamo che il Piccolo Cottolengo risponda sempre più e sempre meglio, al suo fine santo, allo scopo per cui Dio, padre misericordiosissimo, lo ha suscitato (Scr. 52,215).
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Le Case non sono nostre, ma di Gesù Cristo: la carità di Gesù Cristo non ha partito e non serra porte; alle porte dei Piccolo Cottolengo non si domanda a chi viene, se sia italiano o straniero, se abbia una fede, o se abbia un nome, ma se abbia un dolore! E quanti son venuti li abbiamo abbracciati, in osculo sancto e posti sotto il mantello del Beato Cottolengo. Quelli poi che passavano a miglior vita, tutti son morti cristianamente, vinti dalla carità di Cristo, Nostro Signore. E la Divina Provvidenza non lasciò mancare mai nulla, malgrado che, con le nostre miserie, la andassimo, chissà quante volte, ostacolando e storpiando nelle sue opere. E noi l’abbiamo veduta e l’abbiamo toccata tante volte la Divina Provvidenza. Fu in quel verso di tempo che, vuoi per il genere di ricoverati e di infermi, che nel Nome della Provvidenza si ricevono, vera «roba da Cottolengo», vuoi forse per la povertà onde queste Case cominciano, e poi mirabilmente vivono e crescono, fatto sta che, un bel giorno, ci siamo accorti che la voce del popolo andava chiamando le nostre umili Case di carità «Piccolo Cottolengo». La cosa ci meravigliò non poco dapprima, ma poi in un certo modo, ci fece anche piacere perché poi ci avvicinava, direi di più al caro Santo, mentre tale denominazione, meglio esprimeva lo spirito e la natura dell’Opera, veniva anche a differenziarla Come sempre, così anche oggi, per dovere e debito di lealtà ci teniamo a pubblicamente dichiarare che questa minima Opera è ben distinta da quella grande istituzione che è la Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata in Torino da San Giuseppe Benedetto Cottolengo, come pure da ogni e qualunque Opera del genere (Scr. 61,152).
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I nostri Piccoli Cottolenghi, affidati alla Divina Provvidenza e alla carità di cuori cristiani e generosi, sono sorti dal nulla, e vivono di quella fede che è un complesso di prodigi dell’amor divino verso di noi. Il dito di Dio li andò moltiplicando, e pensiamo che più si moltiplicheranno, malgrado le nostre miserie, perché, veramente, non sono opera nostra. Come poi in sì breve questo sia avvenuto, non lo sappiamo neppur noi; Don Orione stesso confessa, per il primo, che, chi ne capisce meno in questa faccenda è proprio lui. Essi si propagarono in Italia e all’Estero; mentre scriviamo anche in Cile, a Santiago e a Valparaíso, con la più ampia approvazione di quegli Eccell.mi Vescovi. sua Emin.za Rev.ma il Card. Segura, Arcivescovo di Siviglia, trattenendosi ultimamente in Roma con Don Orione, mostrava il suo vivo desiderio, anzi la necessità e l’urgenza che pure in Spagna, si aprisse un Piccolo Cottolengo; tenuto presente che l’utilità sociale di queste opere è largamente riconosciuta da molti spiriti retti, anche d’altra sponda Oh, certo, con la carità si sanano molte ferite, e vinceremo tutti i nostri nemici, amandoli! I Piccoli Cottolengo sono come il soffio vivificante di quella carità del Signore che è umile, soave e dolce: che è sempre pronta ad accorrere a tutti i bisogni umani: quella carità che esclude ogni egoismo: che è universale e abbraccia tutte le nazioni, che è onnipossente e trionfatrice di tutte le cose: carità che tutto ristora, tutto edifica, tutto unifica in Cristo e nella sua chiesa; onde i Piccoli Cottolengo nascono e vivono comminando umili e fedeli, ai piedi del «dolce Cristo in terra» e dei Vescovi, e con il più alto rispetto di ogni Autorità (Scr. 61,153).
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Lo spirito del Cottolengo è semplice affabile, attraente, ardentissimo di carità divina e tutto tenerezza per gli infelici, dà sollievo e conforto ed opera un gran bene ai cuori. Questo foglio vuol rivelare la vita e l’anima stessa di quell’Eroe di carità che la Chiesa ha elevato agli onori degli altari e che ancor vivo era chiamato giustamente un altro San Vincenzo de’ Paoli. I Santi sono i miracoli della divina grazia. Rivolgetevi a Dio per la intercessione di San Giuseppe Cottolengo e sarete consolati: il nostro Santo è il grande consolatore degli afflitti: Egli ebbe dal Signore abbondanza e, si direbbe, pienezza di spirito da infondere fede e vigore sovrumano alle anime. Mentre riconosciamo dalla Divina Provvidenza tutti i benefizi che riceviamo, veniamo ad essere anche più grati verso coloro dei quali il Signore si serve per beneficarci. Il nostro foglietto ha incontrato il gradimento universale: diamo grazie a Dio! Il nostro foglietto vuol essere semplice, umile e popolare come fu il Santo di cui porta il nome sia slancio (voce) di fede vivissima nella Divina Provvidenza e fiamma di ardentissima carità verso Dio e verso il prossimo sia conforto ad opere di carità (di) santità di sacrificio per i fratelli più bisognosi e dimenticati. Il Cottolengo sarà pei Benefattori una sorgente viva di benedizioni temporali ed eterne. Siamo pieni dell’amore di Gesù Cristo verso gli afflitti. Charitas Christi urget nos! La carità di Cristo ci... stringe. Questo grido dell’Apostolo Paolo tanto semplice e tuttavia cos sublime, posto sulla porta del Piccolo Cott. di Torino e su quella del Piccolo Cottolengo Argentino è promessa certissima che ogni privazione avrà un conforto, ogni male un rimedio, una consolazione ogni lacrima. Quanti sono infelici e languenti d’ogni età, d’ogni ceto, d’ogni paese che entrano al Piccolo Cottolengo vi trovano e tetto e cibo e vestito: tra le mura del Cottolengo Argentino il sollievo nei dolori del corpo e la rassegnazione in quelli del cuore (dello spirito), la pace della coscienza, la serenità nello spirito, e si dispongono a compiere nel bacio del Signore una vita che prima era per loro e travagliata ed afflitta (Scr. 94,5–6)
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Chi si riceve al Piccolo Cottolengo Milanese Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale e materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede. Distinti poi in diversi reparti o famiglie, accoglierà come fratelli i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli ebeti; storpi, epilettici, vecchi cadenti o inabili al lavoro, ragazzi scrofolosi, malati cronici, bambini e bambine da pochi anni in su: fanciulle nell’età dei pericoli: tutti quelli, insomma, che, per uno o per altro motivo, non potendo essere accolti negli Istituti già esistenti hanno bisogno di assistenza, di aiuto, e che siano veramente abbandonati: da qualunque parte vengano di qualunque religione e anche i senza religione: Dio è Padre di tutti! È ovvio che questo si farà mano mano che ci sarà posto; confidiamo in Dio e nell’aiuto di cuori generosi per poter edificare nuovi padiglioni. Al Piccolo Cottolengo non dovrà mai esserci un posto nuovo.. Visitate il Piccolo Cottolengo O Milanesi, che avete il cuore più nobile che abbia mai conosciuto, veniteli a visitare questi cari poveri, sono nostri fratelli! Al Piccolo Cottolengo assisterete alla laus perennis per la concordia e prosperità delle vostre Famiglie: al Piccolo Cottolengo non passa giorno che non si preghi per le fortune della Patria. Una sezione poi è particolarmente consacrata a suffragare le anime dei defunti. Tutto è semplicità di vita e sorriso eterno, riconoscente al Piccolo Cottolengo Milanese: tutti i sacrifici, tutte le parole si confondono e si combinano in una sola: Deo gratias! (Scr. 94,9).
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La porta del Piccolo Cottolengo non domanderà a chi entra se abbia un nome, ma soltanto se abbia un dolore. «Charitas Christi urget nos» (Il Cor., IV). Quante benedizioni avranno da Dio e dai nostri cari poveri quei generosi, che ci daranno aiuto a sollevare tante miserie, a lenire i dolori di quelli che sono come il rifiuto della società! Come è il Piccolo Cottolengo? Esso, ora, è come un piccolo grano di senape, cui basterà la benedizione del Signore per diventare un giorno grande albero, sui cui rami si poseranno tranquilli gli uccelli. (Math. c. 13). Gli uccelli, qui, sono i poveri più abbandonati, nostri fratelli e nostri padroni. L’Occhio della Divina Provvidenza. Dio ama tutte quante le sue creature, ma la sua Provvidenza non può non prediligere i miseri, gli afflitti, gli orfani, gli infermi, i tribolati d’ogni maniera, dopo che Gesù li elevò all’onore di suoi fratelli, dopo che si mostrò loro modello e capo, sottostando anche Egli alla povertà, all’abbandono, al dolore e sino al martirio della Croce. Onde l’occhio della Divina Provvidenza è, in special modo, rivolto alle creature più sventurate e derelitte (Lett. II,223).
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Chi si riceve al Piccolo Cottolengo? Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede. Distinti poi in tante diverse famiglie, accoglierà, come fratelli, i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli ebeti; storpi, epilettici, vecchi cadenti o inabili al lavoro, ragazzi scrofolosi, malati cronici, bambini e bambine da pochi anni in su; fanciulle nell’età dei pericoli: tutti quelli, insomma, che, per uno o altro motivo, hanno bisogno di assistenza di aiuto ma che non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri, e che siano veramente abbandonati: di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione: Dio è Padre di tutti! È ovvio che tutto questo si farà gradualmente mano mano che si edificherà e ci sarà posto, confidando in Dio e nell’aiuto di cuori pietosi, diffidando solo di noi (Lett. II,224).
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Al Piccolo Cottolengo non dovrà mai esserci un posto vuoto. La nostra debolezza non ci sgomenta: la consideriamo come il trofeo della bontà e della gloria di Gesù Cristo. Come si regge e governa il Piccolo Cottolengo? Nulla è più caro al Signore che la fiducia in Lui! E noi vorremmo avere una fede, un coraggio, una confidenza tanto grande, quanto grande è il Cuore di Gesù, che ne è il fondamento. Il Piccolo Cottolengo si regge in Domino sulla fede; vive in Domino della Divina Provvidenza e della vostra generosità; si governa in Domino, cioè con la carità di Cristo: tutto e solo per amore, sino all’olocausto della nostra vita, con il divino aiuto. E niente impiegati! Niente formule burocratiche, che spesso angustiano, se pur non rendono umiliante il bene: niente che somigli a una amministrazione: nulla di tutto questo. Tutto dipende dalla Divina Provvidenza: chi fa tutto è la Divina Provvidenza e la carità di cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare il bene, si e come il Vangelo insegna, a quelli che ne hanno più bisogno (Lett. II,225).
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Ha redditi il Piccolo Cottolengo? Voi forse crederete che abbiamo fondi e rendite. No, Amici miei, di tutto questo abbiamo meno che niente. Il Piccolo Cottolengo non ha redditi, e non potrà mai avere redditi di sorta: va avanti giorno per giorno: «panem nostrum quotidianum». Quel Dio che è il gran Padre di tutti, che pensa agli uccelli dell’aria e veste i gigli del campo, manda da mani benefiche il pane quotidiano, cioè quel tanto che fa bisogno giorno per giorno. La nostra banca è la Divina Provvidenza, e la nostra borsa sta nelle vostre tasche e nel vostro buon cuore. Come si vive al Piccolo Cottolengo. Il Piccolo Cottolengo è costruito sulla fede e vive sul frutto d’una carità inestinguibile. AI Piccolo Cottolengo si vive allegramente: si prega, si lavora, nella misura consentita dalle forze: si ama Dio, si amano – e si servono i poveri. Negli abbandonati si vede e si serve Cristo, in santa letizia. Chi più felice di noi? E anche i nostri cari poveri vivono contenti: essi non sono ospiti, non sono dei ricoverati, ma sono dei padroni, e noi i loro servi; cosi si serve il Signore! (Lett. II,226).
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Quanto è bella la vita al Piccolo Cottolengo! È una sinfonia di preghiere per i benefattori, di lavoro, di letizia, di canti e di carità! In che modo si può aiutare il Piccolo Cottolengo? In tanti modi: con la preghiera, con il denaro e con farlo conoscere a persone di cuore e benefiche, che possono cooperare a sì gran bene. Poi, tutto quello che avete, e che per voi non è più utilizzabile, mandatelo al Piccolo Cottolengo. Ecco: avete un paio di scarpe che non portate più? Ebbene, mandatele al Piccolo Cottolengo. Avete lenzuola, camicie logore, biancheria, coperte e abiti usati, cappelli vecchi? Ebbene, mandate al Piccolo Cottolengo. O telefonateci dove e quando possiamo venire a prenderli... Tutto è grande, quando è grande il cuore che dà. Come al Piccolo Cottolengo si ricevono i così detti rifiuti della società, così si ricevono pure i rifiuti delle vostre case: mobili disusati o rotti, tavoli, sedie, letti, libri, quadri, stracci, oggetti da rigattiere, etc.; pane, carne, pasta, farina, legumi, olio, caffè, zucchero, medicinali; carbone, legna, petrolio, etc.: tutto serve ai poveri del Piccolo Cottolengo. Al Piccolo Cottolengo siamo tutti più poveri di voi, cominciando dai Padri, i quali riceveranno e vestiranno con senso di molta gratitudine gli abiti ecclesiastici disusati che il Rev.do Clero vorrà loro offrire in carità (...). Chi poi desiderasse avere intestati dei letti, un’aula, un dormitorio o un padiglione, al nome di persone care, questo al Piccolo Cottolengo si può fare, e si tramanderà in benedizione l’atto munifico dell’insigne Benefattore o Benefattrice e di sua Famiglia (Lett. II,227).
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Visitate il Cottolengo. Cari Benefattori e buone Benefattrici, dal cuore nobile e generoso, veniteli a visitare i poveri del Piccolo Cottolengo, dove è laus perennis per la pace e prosperità delle vostre Famiglie e della Patria, dove tutto è semplicità di vita e sorriso buono, sereno, riconoscente; dove tutti i sacrifici e tutte le parole si confondono e si combinano in una sola: Charitas! Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia! Alle Benefattrici e ai Benefattori. Susciti Dio, dovunque, molti cuori generosi, aperti al bene, che vengano a coadiuvarci in questa Opera di cristiano amore verso i fratelli più miseri. Vogliano tutti pregare per noi, e ricordare con benevolenza i nostri cari poveri: essi, memori e grati, pregheranno sempre per i Benefattori, e le loro benedizioni li seguiranno e conforteranno in tutti i giorni della vita. A quanti si adoprano per il Piccolo Cottolengo conceda Dio il cento per uno in vita, ed eterna ricompensa in cielo! Custode, Regina e Madre del Piccolo Cottolengo è Maria, Madre di Dio, la Santa Madonna della Divina Provvidenza. O mia Santa Madonna, ecco Vi ho fatta Padrona e Madre: ora tocca a Voi! (Lett. II,228–229).
Vedi anche: Carità, Piccola Opera della Divina Provvidenza, Poveri.
Pietà
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Ciò servirà a te anche per avere modo di avvicinare e di plasmare meglio i detti nostri piccoli fratelli e soffiare nelle loro anime quella pietà che è tutta carità e verità: pietà umile, pietà solida: pietà diritta, pietà che non ha attaccamento materiale agli esercizi di pietà, perché non è bigotta e non li riguarda come fine ma come mezzo: pietà che sa essere discreta e sobria e che non stanca, non è pesante, non è intollerante, non è gretta, non è irritante, non è mesta, non ha il collo torto, non sospira sempre, non maledice tutto, non esclude tutti, non è amara, non allontana da Dio né dalla Chiesa; ma invece è ignita e non fredda: è soda e non leggera: è pura, modesta, dolce ed ha una santa libertà: è fervorosa, ma di un fervore spirituale e non di solo sentimento: è una pietà che conforta dove arriva e addolcisce ogni dolore, ogni amarezza, ed è sempre lieta e piena di letizia e sparge felicità e gioia spirituale, alle anime dove va o dove arriva e arriva a tutto con il suo alito: è una pietà sublime e umile: una pietà devota che prega, che tiene il cuore caldo e unito con Dio, anche negli affari più di calcolo e più umani. Si nutre di Gesù Cristo e dei sacramenti: si nutre della s. messa e di fede e si conserva pura e incontaminata quanto più pura beve alla fonte della Fede e alla dottrina immacolata della Chiesa. E la pietà tanto più ingrandisce quanto la nostra anima si impadronisce e si umilia nella fede e nella Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 26,9).
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Badate però, o miei figlioli, che altro è la pietà, altro le pratiche di pietà; rispetto a queste conviene usare discrezione e sobrietà, perché esse non facciano ai giovani diventare pesante la religione e non rendano la vera pietà antipatica ed odiosa: nelle pratiche di pietà discrezione e sobrietà ci vuole, essendo esse mezzo e non fine. Quando la pietà è quale debb’essere, allora essa tempera ogni dolore, addolcisce ogni amarezza, conforta in tutte le ore della vita, ed è questa la pietà raccomandata tanto da San Paolo e di cui dice: «la pietà è per davvero un gran guadagno» (I Tim. VI) Essa darà a te, o mio amato figliolo e ai nostri fratelli i chierici la forza di star lontani dai parenti, come fu la massima di tutti i santi, i quali furono le anime più altamente infervorate di pietà, essa convertirà gli affetti naturali in affetti soprannaturali e spirituali (Scr. 26,145).
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Sono lieto assai che abbi incontrato dei buoni superiori e più lieto nel sentire che fai le tue pratiche di pietà. Negli esercizi di pietà e principalmente nel ricevere i SS.mi Sacramenti e nell’assistere al S. Sacrificio avviene la speciale comunicazione fra Gesù Cristo e le anime nostre. Vedi dunque di stare perseverante e di avere una pietà ignita e solida insieme (Scr. 26,243).
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Quando vi è pietà vera, una Casa va a meraviglia: vi è spirito di pace, di unione, di allegria: vi è progresso materiale, scientifico, spirituale: vi si gode come una gioia serena di paradiso; ma, se non vi è spirito di pietà, una Casa religiosa diventa un inferno e invece noi di fare mirabilia si diventa e si fa miserabilia Tutto l’andamento della Congregazione e delle Case dipende dalla pietà. San Paolo scrisse a Timoteo: «Exerce teipsum ad pietatem... pietas ad omnia utilis est, promissionem habens vitae quae nunc est, et futurae» Le nostre anime come le nostre Case non cammineranno mai bene, se in esse non regnerà grande spirito di pietà e di moralità. La base più solida per ottenere buoni risultati per la nostra vita religiosa, per la nostra santificazione e per il buon andamento delle Case e della nostra umile Congregazione è promuovere in noi e negli altri uno spirito ardente di soda pietà. 2/ I sacerdoti e chierici della Div. Provvidenza devono ricordarsi sempre e poi sempre che devono essere primissimi tra i primi a dare buon esempio di fervore e di esattezza nelle pratiche di pietà e che la pietà deve essere l’aria delle nostre Case (Scr. 28,104).
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La pietà, o miei figli in X.sto, nutre l’anima e la rende forte contro le tentazioni: la pietà tempera ogni dolore e addolcisce ogni amarezza. Essa, come parmi d’avervi già detto, deve essere ignita e, insieme, solida – non debb’essere sentimentale né a gocce di rugiada. Fino a tanto che saremo fervidi nella pietà e zelanti nella osservanza degli esercizi propri della vita religiosa, principalmente nella orazione e nel ricevere i SS.mi Sacramenti, il nostro cuore starà bene con il Signore: conserveremo il petto caldo e affocato d’amore a Dio e vivremo uniti con Dio anche nelle varie occupazioni del nostro officio e, se siamo sacerdoti, nelle molteplici cure del nostro sacro ministero: avremo buona armonia con tutti, saremo lieti e contenti della nostra vocazione. Al contrario – cominceremo a dubitare della via che abbiamo preso, anzi proveremo forti tentazioni, e, Dio nol voglia, diventati languidi e negligenti, si finisce di diventare dei disgraziati disertori Fino a tanto che la pietà fiorisce, fiorisce l’anima e la soavità del profumo religioso si sparge attorno a noi, ma quando si diventa tiepidi, quando si decade dallo spirito di pietà anche i religiosi cadono e le Congregazioni più rispettabili diventano come atrofizzate, decadono e vanno a fracassare. La pietà è un dono dello Spirito Santo, come tutti sapete, un gran dono che ci fa vedere e sentire Dio come dolcissimo Padre, ce lo fa amare e servire con affetto tenerissimo, con delicatezza spirituale, con devozione profonda e filiale ineffabile (Scr. 52,57).
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È lo spirito di pietà che regola saviamente le nostre relazioni con il Signore, che in Lui ci porta ad onorare non solo il Dio nostro, ma il redentore e il Padre. Ed è anche lo spirito di pietà che santifica le nostre relazioni con il prossimo, giusta quel detto di San Francesco di Sales che «le anime veramente pie hanno ali per innalzarsi al Signore con la orazione, ed hanno piedi per camminare tra gli uomini con una vita lieta, amabile e santa» Felice colui che possiede e coltiva in sé lo spirito di pietà, egli sa convertire tutto in amore di Dio e del prossimo. Invece il Religioso che non avesse spirito di pietà, non sarebbe altro che un simulacro di religioso, una parvenza, un fantasma di religioso, se non un sepolcro imbiancato. Cari miei figli, con il praticare la pietà e viverla la nostra vita diventa una gioia serena, diventa «perfetta letizia» e noi ci eleviamo, in qualche modo, a quella stessa vita di cui godono i beati del cielo. Che anzi, quando poi si fanno i voti religiosi i vincoli santi diventano più stretti, più intimi, più solenni: lo spirito di pietà ci trasporta a divenire realmente, direi, tutta una cosa del Signore. E quando sopravvenissero giorni e ore amare, le prove di Dio, allora sentiremo quanto necessaria, quanto confortante è la pietà. Non è forse lo Suarez che scrisse che la perseveranza finale sarà infallibiter data a chi ha vero spirito di pietà? «Vae tibi, si fons devotionis in te siccatus fuerit!». Guai, guai a te, se in te venisse a seccare la sorgente della devozione, della pietà! Badate però, o cari chierici, che altro è la pietà e altro sono le pratiche di pietà: queste sono mezzo e quella è fine; gli esercizi di pietà tengono viva la pietà e di frequente la rivelano, essi servono sempre mirabilmente ad alimentarla (Scr. 52,58).
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Vi esorto a fare una vita umile, semplice, sincera, sempre e in tutto: una vera vita di pietà e di orazione e di perfezione evangelica: quella vita umile, povera e pura, piena di carità, che Gesù Cristo ha rivelata al mondo. E la vostra pietà non deve essere una pietà melanconica né che impigrisce, ma abbiate spirito alacre e fervoroso e lieto sempre, che vi porti a lavorare come ha comandato Dio, per santificarvi la vita, come ci ha dato l’esempio Gesù Cristo e tutti i santi. La vostra vita sia una vita senza artifizio, ma retta, limpida come l’acqua della sorgente, una pietà, lieta, gioiosa, sana, discreta, buona con tutti, che sparga attorno a voi luce e bontà e santa e perfetta letizia (Scr. 52,89).
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Ti raccomando quanto so e posso di darti totalmente a Dio e di amarlo con tutto il tuo cuore e di cercare la pietà che è appunto quella vita di fede viva e di preghiere che ci unisce a Gesù! Caro mio figliolo, ti raccomando di amare il tuo Dio e di porre in Lui ogni tuo affetto! (Scr. 54,195).
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Come il Cibo alimenta e conserva – così le pratiche di pietà nutriscono l’anima e la rendono forte contro le tentazioni – fino a tanto che noi saremo zelanti nelle pratiche di pietà il nostro cuore sarà in buon’armonia con tutti, saremo allegri e contenti della nostra vocazione. Al contrario cominceremo a sentire forti tentazioni quando nel cuore comincerà a farsi strada la negligenza nelle pratiche di pietà. È la storia degli Ordini e Congreg. Religiose: fiorirono e promossero il bene della Chiesa e delle anime fino a tanto che si mantenne in vigore la pietà: cominciarono a decadere e a morire quando si rallentò lo spirito di pietà e ciascun membro si diede a pensare alle cose sue, non a quelle di Gesù Cristo (Scr. 55,166).
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Virtù indispensabile è lo spirito di pietà: è il fondamento ed il prezioso tesoro delle nostre Case. Mi arrivano dei lamenti talvolta: in questa Casa non vi è pietà e le cose vanno di male in peggio – ed è vero. Ho notato questo nei rendiconti – Che cosa sono i rendiconti – devono farsi – sempre – si visitano Case – si trova che c’è abilità – Che si fatica – che fanno scuola ecc. non c’è unione perché? non c’è pietà, non devozione. Si parla di politica, dei partiti, si legge il giornale – non c’è pietà – Sono affabili con quei di fuori – non sono affabili con te, o mio Dio – non c’è pietà – non c’è spirito. Non sanno parlare delle cose di Dio, o ne parlano con apatia e freddezza. Tutto si può nascondere, meno che la mancanza di pietà – Tutto in fretta e in furia, si confessa svogliati e più le donne che gli uomini, si va a confessare monache – mai puntuali alla meditazione, alla visita, alle pratiche di pietà – Che pena al cuore (Scr. 55,174).
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Gli esercizi di pietà, le pratiche di pietà sono mezzo, non fine: mezzo per conseguire lo spirito di pietà che dev’essere considerato come fine. Rispetto alle pratiche di pietà conviene usare discrezione e sobrietà. Non bisogna essere attaccati alle pratiche di pietà, quando i nostri doveri c’impongono di lasciarle. Gli esercizi di pietà si devono far bene, con spirito di pietà. Senza spirito – senza amore di Dio, senza devozione, gli atti di pietà diventano un simulacro, un fantasma della vera pietà, un’impostura. Ciò dicendo non intendo affatto né minimamente diminuire l’alta stima che dobbiamo avere per le varie forme esteriori che prende la pietà. La pietà deve essere ignita ma insieme solida, non fuoco di paglia. Per acquistare spirito di p. bisogna molto pregare – le pratiche e forme di pietà necessarie come la legna con il fuoco – l’acqua ai fiori – ma lo spirito deve essere base e fondamento (Scr. 55,184).
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Felice colui che possiede e coltiva lo spirito di pietà, egli tutto converte in amore di Dio e del prossimo. Il religioso invece, che non avesse pietà, non sarebbe altro che un simulacro di Religioso, una parvenza, un fantasma di Religioso, non un Religioso vero. Praticando lo spirito di pietà, la nostra vita diventa una gioia, una perfetta letizia; noi viviamo in qualche modo di quella gioia di cui godono i Beati del cielo. E quando poi si hanno i voti della perfezione religiosa, i vincoli diventano più solenni: la pietà ci trasporta a divenire realmente tutta cosa del Signore. E quando venissero ore e giorni di prova, allora sentiremo quanto essa è necessaria, quanto conforto proviene dallo spirito di pietà! E lo Suarez dice che la perseveranza finale sarà infallibiliter data a chiunque ha vero spirito di pietà. Vae tibi, si fons devotionis in te siccatus fuerit! Guai a te se in te venisse a seccare la sorgente della devozione, della pietà! Altro è la pietà solida e altro sono le pratiche di pietà: queste sono mezzo e quella è fine: gli esercizi di pietà tengono in esercizio, mantengono viva e servono mirabilmente ad alimentare la pietà. Non dobbiamo trascurare mai le pratiche di pietà, ma diamo ad esse la massima importanza, anche a quelle che non sembrassero di grande necessità o cose piccole: «Si vis magnus esse, a minimo incipe». Siamo osservanti non solo, ma diligenti: santifichiamo ogni azione, ogni fatica della nostra giornata con lo spirito di pietà, ut non hinanis fiat labor noster, diceva San Paolo ai Tessalonicesi: perché non rimanga vuota, senz’anima, senza merito la nostra fatica – se desideriamo la salvezza dell’anima nostra, se vogliamo aver olio nella lampada da far lume e da far del bene, se amiamo l’onore della nostra Congregazione (Scr. 55,189).
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Pietas! onora Dio come Padre, virtù di religione e pietà – non ci basta il culto, direi quasi ufficiale, ma l’affetto – virtù di religione è il corpo, la pietà è l’anima – virtù di religione è la mente, la pietà è il cuore a Dio (Scr. 71,105).
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Sia, o fratelli, la nostra pietà non quella falsa pietà leggera e superficiale che piace, ma non soddisfa e non nutre le anime, che solletica, ma non santifica, ma una pietà soda: non abbandonata al sentimento, alla parvenza alla esteriorità e superficiale, ma che si fondi su una fede massiccia sui principii della dottrina più pura e più sicura una pietà che tenga il cuore caldo e unito con Dio (Scr. 104,24).
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Come vorrei vedervi pieni di pietà, di una pietà solida e ignita: umili, pii ferventemente pii, generosi con Dio, tutti del Signore e della Madonna, del Papa, della Santa Chiesa: solo desiderosi e anelanti di consumarvi di carità, di vivere di carità, di una carità grande, divina, dentro e fuori di voi, farvi olocausto di amore a Gesù, al suo vicario, alla Chiesa (Scr. 117,96).
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Quest’oggi vi parlo dello spirito della pietà, perché la pietà è utile a tutto. Vi parlo della pietà! Oh, quante cose vorrei dirvi parlandovi della pietà... Che cos’è la pietà? Io ve ne parlo come ne parla San Francesco di Sales, il Santo della dolcezza, di cui è stato detto che, dopo Gesù, San Francesco era il santo più dolce che sia mai esistito sopra la terra. E sì che era un temperamento bilioso, irascibile... San Francesco di Sales, dunque, definisce la pietà un culto devoto che è radice di ogni virtù sincera; è linguaggio d’amore tra l’anima e Dio, è un cumulo di soavità... Se voi fate la minestra, avete bisogno di mettervi il sale; se voi fate una vivanda ci dovete mettere il sale, altrimenti rimane insipida; se fate la polenta, ci vuole il sale; anche nel pane ci vuole il sale: ebbene, quello che è il sale per le vivande, è la pietà per la vita religiosa. Una religiosa senza pietà è una cosa assurda; un uomo, un religioso senza pietà è inconcepibile. Pietà ad omnia utilis est. La pietà è il fondamento più solido delle nostre case, è il fondamento più solido delle nostre opere. Ma vi sono religiosi e religiose che hanno una devozione a loro modo; hanno una pietà di farfalle, di vernice, la pietà delle “beate”. Le beate, magari figlie di Maria, le beate che vanno a sentire la Messa del curato, non quella del parroco, perché è un po’ vecchio forse; le beate che vanno alle funzioni più da un sacerdote che da un altro, che vanno da quello che predica bene e dice magari qualche fiore, qualche coserella; una pietà con i guanti, insomma (Par. II,30).
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Non piantate la pietà del Santo chiodo, no, buone religiose; la nostra pietà sia soda, sia veramente pia, non una pietà da gocce di rugiada. Chissà quante anime si sono salvate con la pietà di gocce di rugiada! Dubito però... La vostra pietà sia seria, non pietà vuota, di apparenza, pietà di torcicollo! Pietà interiore, che tocchi l’anima. Come fa pena vedere certe anime religiose e di religiosi che non sono mai pronti alla meditazione, alla visita, alla preghiera! Oh, come fa pena una monaca senza pietà! Perché la pietà si manifesta da tutto il nostro essere: dal contegno, dagli occhi, dalla compostezza... Voi, o buone religiose, cercate di avere una pietà solida, cercate di avere una pietà fervorosa, cercate di avere una pietà infuocata, cercate di avere un cuore pieno d’amor di Dio e così porterete una pietà vera anche nei vostri uffici, una pietà con cui non ha spine il dolore, ma che vi consola nelle vostre pene, nei vostri dolori, nelle vostre spine; la pietà farà venir dolce ciò che è amaro. Ma ricordatevi bene che altro è la pietà, altro sono le pratiche di pietà! In queste ci vuole discrezione, sobrietà; non vi caricate di Pater Noster, non vi caricate di tante pratiche che poi fate male. Fatene poche, ma quelle poche fatele bene, con spirito vero, con cuore; a caricarsi di troppe si finisce con il farle male, si finisce di lasciare quelle di regola per fare quelle di nostro gusto, a cui siamo attaccati! (Par. II,31).
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La pietà deve togliere l’impostura. Ho conosciuto persone che sembravano angeli di pietà e invece erano diavoli. Anche quando ero ragazzo, sentivo dire: Guarda quella là; sembra una santa ed è un diavolo... E deve essere pietà sincera e deve esprimere la verità. Il Signore dice: voi mi lodate con la bocca e non con il cuore. Molti hanno una pietà di vernice, tutta esteriore, ma nel cuore non vi è niente; e invece no, la pietà deve essere sincera. Il Signore vede nel cuore, vede se vi è la devozione. Dio non s’inganna come la gente; non fingere, non fingere! Avete capito? Pietà soda, pietà soda, pietà soda, che è come la carità; con la pietà si mandan giù i bocconi amari come se fossero dolci; quella pietà, però che dice al Signore; fate di me come uno straccio; una pietà reale, non a chiacchiere. Quella suora che si agita e mormora se una sua consorella adopera in isbaglio il suo grembiule, se la cambian d’ufficio, non ha la vera pietà; non c’è niente, di quella cosa là, della pietà! Deve essere pietà soda, deve essere pietà soda, deve essere pietà sincera! (Par. II,32).
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La pietà non si nasconde; si vede anche dalle cose piccole, si vede dal modo di dire l’Ave Maria, si capisce da tutto il modo di fare. Anche voialtre lo capite quando una vostra consorella ha la pietà; capite quali sono i veri sacerdoti, si capisce subito se hanno spirito di pietà. La pietà deve essere forte, la pietà deve essere forte, è quella che vi conforta; la pietà si vede nel modo di dire il Santo Rosario. Dio non benedice le opere, le case, dove non c’è la pietà. Chi ha la pietà, fa mirabilia e chi non ha la pietà fa miserabilia. Chi ha la pietà è come una pianta che trionfa, è sempre bella, sempre verde, chi ha la pietà è portato al sacrificio; con la pietà tutto va; senza la pietà nulla vale. Quando recitate le litanie dite alla Madonna: Vas insigne devotionis, il che vuol dire: O Vergine, sei vaso insigne di pietà. Buone figliole del Signore, buone figliole del Signore, cercate di coltivare in voi la pietà, cercate di pregare, di pregare, vivete santamente; chi prega bene, la pietà apre la porta del cuore (Scr. 2,33).
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Potete concepire una suora che non abbia devozione, pietà? “Guai e te se la sorgente della pietà si è seccata nel tuo cuore”, dice la Sacra Scrittura. Guai a te, persona religiosa, se ti credi di essere venuta a consacrarti a Dio senza pietà. E dice Gesù parlando dei suoi Apostoli: “Voi dovete essere il sale della terra” e lo dice anche a voi: il sale è la pietà! Una suora che non prega, che non va alla Comunione tutti i giorni, una suora che è senza pietà, non si può concepire. Vi raccomando tanto, tanto la pietà! (Par. II,211).
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Mi raccomando tanto tanto, di coltivare in voi, dovunque sarete, lo spirito di pietà, lo spirito religioso. Cercate in queste vacanze, di conservare la vostra pietà e di non disperdere quel po’ di bene che potete aver raccolto durante l’anno. Vi raccomando di vegliare e pregare appunto per non cadere nelle tentazioni; vi raccomando di dare buon esempio. Dovunque andrete e in mezzo a chiunque vi troverete, cercate di edificare gli altri e di non dimenticare le pratiche di pietà che sono i mezzi. (Par. III,206).
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Fate ogni cosa per spirito di pietà, per un grande desiderio di essere con Dio. Dice il Signore: “Guai a te, se la fonte della tua devozione sarà seccata”. Il Signore passando un giorno dinanzi ad un albero che non aveva frutti, lo fece sradicare. I frutti che il Signore attende da noi vengono più dal buono spirito e dalla pietà che dalla cultura! Dobbiamo agire contro di noi stessi. Anche la compostezza esteriore deve rivelare il buono spirito: “Maledictus a Deo qui facit opus Dei neglegenter”. Vi raccomando tanto, tanto cari figlioli, la pietà. Verranno momenti in cui vi sentirete talmente oppressi dal lavoro che non avrete più tempo di pregare; guai a voi, se non vi sarete fatto un buono spirito di pietà. Molte volte vi ho già detto che a Roma sono mandati i chierici che potranno aiutare la Congregazione per l’istruzione dei chierici; però non dovremo tener conto solamente di questo: non possono restare se non quelli che danno garanzia di molta pietà. San Paolo dice che dobbiamo servire al Signore con spirito di fervore; ciò è impossibile senza una vita di pietà. Farete più bene con un vero spirito di pietà che con una laurea che potrete riportare dalle scuole (Par. V,191).
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Se vogliamo mantenerci saldi e fermi nei nostri propositi, facciamo orazione, curiamo in noi lo spirito di pietà, la meditazione e tutte quelle pratiche mediante il cui esercizio si accresce in noi la pietà indispensabile per un vero religioso. Oh amiamo, o cari miei chierici, amiamo l’orazione mentale, amiamo l’orazione vocale, che sono l’espressione di quello che il cuore sente e sono l’elevazione della mente e dello spirito a Dio. Amiamola e che né a me né a voi, che abbiamo deciso di seguire Gesù Cristo, accada mai di doverla tralasciare: “Oportet orare et nunquam deficere”. – Chi prega si salva; chi non prega si danna! Guai a te, dice il Signore, se fai illanguidire lo spirito di pietà, se fai spegnere in te la lampada dell’amor di Dio (Par. VI,184).
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Tra i sette doni c’è il dono della pietà. I pagani avevano anch’essi un gran senso, una grande stima della pietà e la dividevano in pietà erga patriam, pietà erga parentes, pietà erga Deum. Chiamavano pietoso quel figlio che aveva grande amore, venerazione e gratitudine verso i suoi genitori; così è chiamato pio il figlio Enea che sottrae dalle fiamme dell’incendio di Troia il vecchio padre Anchise. Dunque, che cosa è la pietà? La pietà è il fior fiore della devozione; è l’Oportet semper orare, è la laus perennis di San Francesco di Sales, è la preghiera perenne del Cottolengo. Noi cristiani per pietà intendiamo il dono dello Spirito Santo. La pietà è la radice, il fondamento di vita religiosa su cui si reggono le tre grandi virtù teologali. Dalla carità viene la devozione, la pietà, il fior fiore della devozione; è il culmine della devozione. Da essa ne viene la religione che è una virtù, un dovere, un culto privato e sociale verso Dio. La pietà è qualche cosa di più fino, di più delicato, di più dolce, di più amabile della devozione. Quando viviamo di Dio e per Dio, di lui viviamo, di lui amiamo non solo come Creatore e Salvatore, ma principalmente come Padre. Per mantenere lo spirito di pietà dobbiamo stare alla presenza di Dio (Par. VI,211).
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Le pratiche di pietà sono l’acqua, il fuoco, la legna che serve per alimentare e vivere la vita di pietà. Le pratiche di pietà sono il Rosario, le Confessioni, le preghiere, le visite al Santissimo Sacramento, le Comunioni, la lettura spirituale, la meditazione. Ma la pietà è qualche cosa di più devoto, di più sentito. Quelli che compiono le pratiche di pietà pro forma, macchinalmente, sono senza pietà, quindi sono ipocriti e sono come corpi morti, corpi senza vita, senza anima. Dio scaglia la maledizione a chi opera così: Maledictus qui facit opus Dei negligenter, fraudolenter. La dolcezza della devozione sta tutta nella pietà. Bisogna, sì, essere uomini di azione, attivi; ma non per questo trascurare, indebolire la pietà. Anche lo studio delle cose più sante, gli affari più zelanti, se non si sta bene attenti, possono illanguidirci dallo spirito di pietà. San Francesco d’Assisi, temendo che Sant’Antonio s’indebolisse nella pietà con lo studio della sacra Bibbia, – pensate che si trattava della Sacra Bibbia – gli scrisse quella breve frase: Vae tibi si fons devotionis in te siccatum fuerit. San Giacomo dice che la fede senza le opere è morta; così la pietà è morta senza le pratiche di pietà. Non lasciamoci preoccupare troppo dagli affari pure zelantissimi e trascurare lo spirito di pietà (Par. VI,212).
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Le pratiche di pietà devono essere fatte con lo spirito di pietà. Senza lo spirito di pietà le pratiche sono un corpo morto e quelli che le fanno sono impostori, sepolcri imbiancati. Le pratiche di pietà devono essere animate dallo spirito di pietà. La nostra pietà è attiva; però bisogna stare attenti che l’attività non spenga lo spirito. Attenti a noi che siamo nel momento della civiltà, perché non si oscuri lo spirito di pietà (Par. VI,289).
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Un religioso sacerdote deve essere puro, apostolo santo, ma se non ha pietà, se manca lo spirito di orazione, come potrà essere puro, apostolo santo? Pensate sempre che noi camminiamo sotto lo sguardo di Dio, che tiene conto di tutto, del sacrificio per la lotta che facciamo sopra di noi per vincerci e per aderire, non solo internamente ma sempre, anche nelle prove esterne, allo spirito della Chiesa, compiendo bene le pratiche di pietà, vivendo il vero spirito di pietà e di devozione da buoni religiosi, alimentando e vivendo in noi lo spirito della vera formazione religiosa (Par. VIII,167).
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Ve l’ho detto ieri sera: renovamini; un rinnovamento di fede, di vero fervore, di pietà ignita, ignita (con forza), affocata; dobbiamo imprimerlo in noi fin da questi primi giorni. Ma il chierico che è trascurato nelle pratiche di pietà, che quando recita il Rosario è divagato, che quando fa la meditazione è divagato, che va a confessarsi perché c’è l’uso, che sente tedio e pesantezza nelle pratiche di pietà, come potrà essere vero religioso e santo sacerdote? Quale sacerdote sarà se non avrà olio di pietà e spirito di orazione? Come mai San Filippo neri convertì Roma? Perché, da giovane, passava le nottate in preghiera alle Catacombe di San Sebastiano (Par. IX,395).
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Più di una volta mi sono domandato: da che cosa provengono certe defezioni dei nostri chierici e, qualche volta, anche di qualche sacerdote che vennero meno alla vocazione religiosa? Ed ho dovuto rispondere che proviene dal non essersi essi formati ad uno spirito di pietà, dal non essersi formata un’anima veramente religiosa, dalla mancanza di pietà, dello spirito di pietà, di una vera pietà, della mancanza dello spirito di preghiera. Finché i chierici sono in noviziato – e sono lì, come in un ambiente chiuso –, mantengono lo spirito della pietà, poi, quando si trovano a contatto con gli altri, allora si inaridiscono, si dissipano perché le loro anime non si sono approfondite nello spirito di pietà, perché non si sono vestite di Gesù e perché le pratiche di pietà e la frequenza dei Sacramenti e la stessa Comunione è fatta più per abitudine che per spirito di fede (Par. IX,481).
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Da tutto si conosce quando un chierico ha una pietà intima, sentita, vera e se è invece, una vernice, una semplice apparenza. Da tutto si conosce: da come viviamo, come giochiamo, come si sale le scale, come si cammina... La pietà vera è un qualcosa che irradia, sempre, anche nelle pratiche della vita più comune, come il passeggio, il camminare, in refettorio. Si vede subito, dal modo con cui parla se uno ha spirito di pietà; se non mormora, se non critica, se non ne ha sempre una; invece se ha spirito di unione, di concordia. In tutte le cose si vede lo spirito buono, se la pietà è soda, verace e non solo incenso, fumo... L’ho detto tante volte, anche quindici giorni fa, anche a Don Cremaschi e ai chierici del Noviziato. Ho detto: vi cantate bene e cantare è una gran bella cosa, ma state attenti a non razzolare male: è una gran bella cosa cantare ma non solo incensi ardono... È d’uopo alzare nell’alma il primo altare! La pietà è anche nel cuore, ma non è il canto che fa il religioso. La pietà deve venire dal cuore e allora è anche forte, non slombata, sdilinquita, a gocci di rugiada e bisognosa di sospiri. Niente! Niente! Quando la pietà è interna, vera, crea il religioso generoso, magnanimo! Quando c’è pietà tutto va bene; se manca la pietà, (Dà un colpo di mano alla maniera dei piatti della banda musicale) tutto inutile. (Par. X,188).
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Ci vuole una pietà forte! La nostra pietà deve essere forte per correggere le nostre debolezze, i nostri difetti, i nostri mancamenti, le nostre inclinazioni e per non cedere ai difetti dei Confratelli non esemplari, per non cedere davanti ai tiepidi, ai poco osservanti, ai languidi, ai mormoratori, ai sussurroni; per non cedere ai sempre malcontenti, per non cedere ai nostri e altrui difetti; ma lottare con gagliardia, resistere e non piegarsi alle debolezze dei nostri Confratelli poco esemplari! La nostra pietà deve essere forte, forte, per disprezzare i giudizi del mondo e di quelli che non hanno buono spirito. Deve essere forte per pesare bene ciò che è giusto e retto; pietà forte per fare la tara di quello che non è giusto, che non va per noi, che non va per il Signore, per non lasciarsi vincere dai sofismi (Par. X,191).
Vedi anche: Pratiche di pietà, Preghiera.
Politica
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Noi viviamo in tempi incerti, passionali e mutevoli assai: non intendo che le nostre opere di carità si attacchino agli uomini, né alle istituzioni politiche degli uomini e degli Stati, né alla politica dei tempi o degli uomini o ai partiti politici. Io rispetto tutti perché sono un cattolico, figlio della Santa Chiesa Cattolica e devotissimo al Papa, e sento anche di molto amare la Patria, ma non voglio che il Governo entri nelle nostre opere di carità, perché le guasterebbe e snaturerebbe; abbiamo uno spirito totalmente diverso. Badate bene: non è affatto che io non voglia obbedire alle leggi del Governo, né mancare al debito ossequio alle Autorità Civili e politiche dello Stato, no, affatto! Voi sapete come tratto con le Autorità e come sempre mi sono prestato ove potei per compiacerle e aiutarle. Solo voglio essere liberissimo nel bene, mentre nulla tralascio per costituire d’amore e d’accordo con le autorità Ecclesiastiche e del Governo le nostre umili opere (Scr. 13,99).
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Anche fino nei partiti noi non dobbiamo assolutamente entrare, e dobbiamo risolverci a non metterci in politica. La nostra politica dovrà consistere nel portare a Dio e alla chiesa la povera gioventù e le anime, a qualunque partito esse appartengono. Gesù Cristo non è forse venuto per tutti? E non è Egli Padre e Redentore di tutti, senza distinzione di nazionalità e di partito?... Noi siamo italiani e sentiamo di amare di dolce, di forte e di santo amore questa nostra patria. Preghiamo per essa: lavoriamo a fare del bene ai suoi figli i più piccoli, i più deboli, i più poveri, i più abbandonati. Noi l’Italia la vogliamo vedere in pace con il Papa, e amica e figlia della chiesa da cui ha tratto tanto del suo prestigio e della sua grandezza. La vogliamo cristiana nella famiglia, cristiana nella scuola: cristiana nelle leggi, cristiana nel governo. Ma noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità: quella carità grande e divina che non vede partito. Nostra politica è fare del bene a tutti, ai buoni e ai cattivi, come il Signore che fa piovere la luce del sole sulla testa dei buoni e sulla testa dei cattivi. Siano rossi o siano bianchi: siano credenti o siano miscredenti: noi non cerchiamo la fede politica e neanche la fede di nascita; noi non guardiamo ad altro che sono anime da salvare. Che, se una preferenza la dovremo dare, la daremo a quelli che ci sembrano più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. Anime e anime! ecco la nostra politica: ecco il nostro partito: ecco tutta la nostra vita! Anime e anime! Ecco il nostro grido! Ecco la nostra bandiera: il nostro programma: tutta la nostra anima e il nostro cuore. il mio gaudio e la mia corona (Scr. 20,95–97).
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La mia politica sono le anime. I mio partito sono tutti, le anime di tutti eccetto il peccato. La mia politica è il Pater noster, la preghiera! Il mio partito è la carità, quella carità che non vede partito. Niente politica: tutta carità, fino a consumarci e a morire per i rossi come per i bianchi (Scr. 20,97e).
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Il nostro venerato Vescovo, del resto, mi conosce molto bene, e mi sa alieno affatto dall’azione di partiti: mio campo è quella carità che non vede partiti: mia politica è quella che tutti vorrebbe abbracciare e tutti salvare, specialmente i giovani, educandoli ad onesto vivere cristiano e civile, e ad amare, sino al sacrificio, la nostra Patria con vero ed alto sentimento di italianità, superiore ad ogni fazione, superiore ad ogni settarismo, da qualunque parte provenga e di qualunque colore (Scr. 37,54).
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Se potessi mai far giungere sino ai piedi del Santo Padre la mia povera voce, vorrei dirgli di far sentire ai Vescovi che stiano uniti nel Signore, che poi le patrie di questa terra se ne vanno, ma la fede e la carità non devono essere spezzate, perché sono esse che ci daranno il Paradiso. Oh quanto mi parrebbe necessario che, i Vescovi e il clero sentissero si facesse tacere la voce della carne e del sangue e l’umana politica, per sentire la voce del Vicario di Gesù Cristo! Sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni, e partiti, e controversie politiche, si leva il Vangelo e con il Vangelo si leva il Vicario di Gesù Cristo, che predica a tutti ugualmente e in modo generale la giustizia, la carità, l’umiltà, la mansuetudine, e la dolcezza, e tutte le altre virtù evangeliche, riprovando i vizi contrari (Scr. 49,91–92).
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Il nostro Bollettino non fa politica, ché è semplicemente un modesto foglio di propaganda morale e cristiana. Noi viviamo di fede, di pietà, di carità: la nostra politica è il Pater Noster. Però non lasciamo di essere italiani, e cerchiamo di dare in noi e di formare al Paese tali cittadini, di cui non abbia ad arrossire, di cui abbia anzi ad onorarsi. Che se scopo essenziale del Bollettino vuol essere di portare un qualche contributo alla ricostruzione spirituale delle anime, mediante la devozione alla santa Madre di Dio, ciò non toglie che esso non miri non solamente a rinvigorire gli animi nel fervore della pietà e vita cristiana, ma anche a temprarli a quelle virtù e grandezze morali e civili alle quali la Divina Provvidenza va chiamando l’Italia (Scr. 52,249).
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È d’uopo risolverci assolutamente a non mai metterci in politica. La mia politica è il Pater noster! La nostra politica deve consistere unicamente nel grido: Anime e Anime! sta tutta e sola nel portare anime a Dio e alla Chiesa, a qualunque sesso, a qualunque ceto, a qualunque partito, a qualunque popolo esse appartengano, ma specialmente evangelizzeremo i poveri e i figli del popolo, dando il primo posto agli orfani. La nostra politica è la preghiera, raccoglierci a implorare perdono e misericordia da Dio. Perciò: niente politica – Non se ne parli con il popolo, non coi giovani, non si leggano giornali né periodici pericolosi. Un giornale buono per Casa, il più papale possibile e la lettura sia riservata al Direttore o all’incaricato di tenersi al corrente con le cose pubbliche, ciò che in qualche modo, ci riguarda. D. Bosco si serviva di D. Savio. Noi non abbiamo scopo politico, ma religioso. Fare buoni cristiani buoni operai, buoni studenti, buoni cittadini, buoni cattolici. Uomini onesti, laboriosi, credenti, forti. Non permettiamoci mai quindi, motti, parole, discorsi lesivi dell’Autorità. All’erta con certe ovazioni, con certi paragoni di nazionalità, non come i Francesi. Non Missionari alla francese. Turba l’unione e la concordia. Non paragoni di autorità né di candidati politici (Scr. 55,169).
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Qual è la missione del Sacerdote? La missione del Sacerdote non è la politica, non sono le armi, non è piantare banche, non sono i partiti, non è fare i mercanti, né vendere o comprare cascine – per Evangelium dare anime a Gesù Cristo non è negoziare – non è pensare ad arricchire – docete omnes gentes servare quae mandavi Vobis baptizantes eos – è lavorare tra il popolo donec formetur Chritus (Scr. 56,123).
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Delle cabale della politica, non c’intendiamo. La nostra politica è la carità, una politica così larga che non vede partiti: la politica del Pater Noster. In tanta apostasia dalla fede, in tanta onda che ci preme di egoismo e di odio ché tutt’altro che sacro, vogliamo amare e far amare Dio, la chiesa e la Patria con la carità: vogliamo con la carità trionfare su tanti cuori ostili o ribelli! Charitas Christi urget nos! «Già troppo odiammo! » ha gridato il Carducci, che morì credente e, pare, qualcosa di più, e fu troppo debole per dirlo forte (Scr. 61,93).
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Raccomandazioni I Non fare politica, assolutamente. II Tenerci estranei a quanto avviene nelle Diocesi e ai partiti Lo diciamo franco: di certi Comitati, e di tutto ciò che sa di politico, noi diffidiamo (Scr. 67,168).
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Noi non facciamo della politica, rispettiamo e insegniamo il rispetto a tutte le Autorità costituite e l’osservanza delle leggi. Solo domandiamo di poter far del bene ai giovani e salvare delle anime. Il programma della prima ora, è il programma nostro di oggi, è e sarà il programma di domani e dell’ora estrema: Anime e Anime! Questo fu il primo e questo sarà l’ultimo nostro grido: Anime e Anime! (Scr. 76,212).
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Anche fino nei partiti noi non dobbiamo assolutamente entrare, e dobbiamo risolverci a non mai metterci in politica. La nostra politica deve consistere nel portare a Dio e alla Chiesa la gioventù e le anime, a qualunque partito esse appartengano. Noi amiamo la nostra patria di un forte e sacro amore, e la vogliamo cristiana, libera e grande, e per essa siamo pronti a dare la vita. E dobbiamo pregare per la nostra patria. Noi amiamo di un amore più sacro e più grande e la Santa Chiesa e il Papa, perché la Chiesa è la Madre delle nostre anime e della nostra fede, e il Papa è il nostro Padre e il dolce Cristo in terra, e li vogliamo da tutti rispettati, e li vogliamo liberi, e preghiamo per essi e con amore dolcissimo di figli siamo pronti a dare per loro la vita (Scr. 79,295).
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Non è la scienza né la politica che salverà e darà la pace al mondo, ma solo la carità di Gesù Cristo! (Scr. 116,125).
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In tutto il vangelo di Gesù Cristo non c’è un punto solo, una virgola, dove si parli di politica. Io ho sfogliato spesso e letto attentamente e cercato nei 4 Vangeli e non ho mai trovato nulla in cui si parli di politica. Tra i tanti discorsi, tra le tante opere fatte da Gesù, non una che si riferisca alla politica. Unica frase dove si potrebbe dire che Gesù parla di politica è quella del Vangelo d’oggi: Date a Cesare ciò che è di Cesare, date a Dio ciò che è di Dio. L’unica frase in tutto il Santo Vangelo. Ed è una frase tale che tronca ogni questione, che, come si direbbe in italiano, taglia la testa al toro. Ora sono i poteri che governano la società; al potere religioso, Dio; e quello che regge e governa le cose degli uomini qui in terra, il potere civile, la politica. Questi due poteri sono le due grandi ruote del carro sociale. Date alle autorità di questa terra l’onore, il rispetto, l’obbedienza, il riconoscimento, il tributo che loro spetta; il tributo non è solo la moneta ma tutto ciò a cui il potere civile ha diritto. Ma attenti bene! Non si è sempre obbligati ad obbedire a chi tiene in mano il potere politico. C’è qualche eccezione. Si deve obbedire in tutto fino a che non comanda cose contro coscienza. Così non si è sempre obbligati ad obbedire al potere religioso, ma solo fino a che non comanda – se possiamo fare l’ipotesi – cose contro coscienza (Par. V,107).
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Date a Cesare quel che è di Cesare: sono parole che c’insegnano che noi non dobbiamo imbarazzarci e buttarci nella politica: dobbiamo lasciarla a chi tocca e stare nel puro campo religioso. Con ciò non vuol dire che non ci siano dei punti di contatto tra i due campi. Ma in genere tutti i preti politicanti finiscono con il rompersi la testa e abbassare il loro alto, divino ministero: finiscono per darsi a passioni di partito, abbassarsi al livello comune e più in giù. Ciò che mi preme di dirvi è questo: Gesù Cristo non ha per nulla fatto politica. Su tutti e quattro gli evangeli non vi è una parola di politica, meno queste parole che abbiamo detto, se si può dire che sono politica solo perché vi è nominato Cesare. Gesù Cristo ha fatto tanti discorsi. Il Vangelo ne è pieno. Un giorno lo leggerete. Sarà vostro dovere leggere e meditare spesso il Santo Vangelo e uniformarvi alla vita di Cristo. Ebbene, non troverete altro accenno alla politica. Don Bosco diceva: la mia politica è la politica del Pater noster. Nel Pater noster c’è politica? Padre che sei nei Cieli..., con quel che segue. Non è politica questa. Con questa frase Don Bosco voleva dire che missione del prete è pregare: sola missione e dovere è la parte religiosa e non la politica (Par. V,108).
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Altro è amare la Patria, e altro è far politica. La Patria è qualche cosa di più alto della politica! La politica, i partiti, cambiano spesso: ora è su uno, ora un altro; sta su dieci, venti, cinquanta anni e poi la ruota gira e chi era sopra sta sotto e chi era sotto sta sopra. E questo cambiamento, attenti bene, Avviene anche negli alti dicasteri ecclesiastici! La politica troppo spesso fa in modo che quello che dieci, venti anni fa era no, ora diventa si. Questa è l’opera dell’uomo, fatta anche da chi indossa un abito che è il nostro! Il Prete deve star fuori del partito, fuori della politica. La carità è superiore a qualsiasi partito e non è di nessun colore. Il Prete non deve far politica come non deve negoziare, non deve far baratti di compravendita! La casa mia è casa di orazione! Di orazione e non di politica! E voi l’avete fatta spelonca di ladri. Non fate mai e poi mai politica! Non interessatevi di partiti, ma state nel puro campo religioso, che è quello proprio che conviene al nostro stato. Non fate mai e poi mai politica! (Par. V,109).
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Perché non si deve fare mai politica, mai, mai! Diceva Don Bosco: la mia politica è quella del Pater noster... La nostra più grande politica è dare la vita nostra, fare olocausto di noi stessi, nelle opere di fede e della carità, a vantaggio e salvezza dei più piccoli, poveri, bisognosi, sventurati nostri fratelli... Ma non dobbiamo mai fare della politica; mai guardare alla politica e mai, parlando della Patria, lasciarci trascorrere nel campo pericoloso della politica! Ho voluto vedere un giorno, già fatto sacerdote, in quali punti del Vangelo si facesse accenno alla politica. Avevo già letto e riletto i Vangeli più volte; ma questa volta volli vedere espressamente questo punto incominciando dalla genealogia di nostro Signore Gesù Cristo, e volli passare, passo per passo, tutti e quattro gli evangeli per scoprire se ci fosse qualche frase che accennasse alla politica. Ora, trovai in uno solo dei quattro Evangeli, ma una sola frase, che sa di politica, se pure non è la negazione della politica, là quando Gesù, come sapete, diede quella risposta, disse quella frase: “Date a Cesare quello che è di Cesare; date a Dio quello che è di Dio! ”... Gli presentarono una moneta. Chiese Gesù: Di chi è questa effige? Risposero: È di Cesare... Ed Egli:” date allora quello che è di Cesare a Cesare e quello che è di Dio a Dio! ” Come se dicesse nostro Signore: La cura mia è la cura delle anime, dei cuori, di tutto ciò che è celeste, e non di tutto ciò che è umano, terrestre, terreno! (Par. XI,8).
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Non entriamo mai in politica. La politica divide le anime, non solo, ma divide anche i membri della medesima Congregazione. Se sapeste che cosa fa la politica anche in ordini religiosi rispettabilissimi, quante lotte e malumori per l’elezione dei superiori, perché i religiosi fanno della politica nazionale. Noi nessuna politica, la politica del Pater Noster. Dicono che a Venezia si diceva: Della Serenissima non se ne parla né bene né male, perché bene non se ne poteva parlare e parlarne male si correva pericolo di dover passare il ponte dei sospiri. Ascoltate sempre e parlate mai. Prendete parte a quelle dimostrazioni nazionali che lo Stato ordina. Mettete fuori le bandiere. C’è un lutto nazionale, prendete parte al lutto. I momenti che attraversiamo sono delicatissimi. Don Bosco ordinò ai suoi salesiani che non facessero della politica (Riun. 27 agosto 1931).
Vedi anche: Azione cattolica, Concordato (Stato–Chiesa), Questione romana, Società.
Politica del Pater noster
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Delle cabale della politica, non c’intendiamo. La nostra politica è la carità, una politica così larga che non vede partiti: la politica del Pater Noster. In tanta apostasia dalla fede, in tanta onda che ci preme di egoismo e di odio ché tutt’altro che sacro, vogliamo amare e far amare Dio, la chiesa e la Patria con la carità: vogliamo con la carità trionfare su tanti cuori ostili o ribelli! Caritas Christi urget nos! (Scr. 61,93).
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Non abbiate paura di noi, del nostro abito. Non ad un partito abbiamo consacrate le nostre forze e la vita, ma ad un’alta idealità, ad un apostolato di bene. La nostra politica è la carità, che non vede partito, è la politica del Pater Noster. In tanta apostasia dalla fede, in tanta onda di egoismo e di odio, tutt’altro che sacro, vogliamo colla carità trionfare su tanti cuori ostili o ribelli (Scr. 71,98).
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Ma non abbiate paura: la nostra politica è la politica della carità e del Pater noster – niente paura di chi ogni giorno invoca il Dio delle misericordie di essere propizio alla Chiesa e all’Italia, alla patria del tempo e alla patria dell’eternità, che fanciullo imparò ad amare – e di chi, da giovane, nella ebbrezza dell’entusiasmo, volle, all’umile servizio dell’una e dell’altra, sacre tutte le forze: non paura di chi, in questo doloroso momento, spende, senza paga e senza viltà, la sua vita per i vostri figli! Cuori generosi, a voi! (Scr. 73,209).
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Don Bosco diceva: la mia politica è la politica del Pater noster. Nel Pater noster c’è politica? Padre che sei nei Cieli..., con quel che segue. Non è politica questa. Con questa frase Don Bosco voleva dire che missione del prete è pregare: sola missione e dovere è la parte religiosa e non la politica (Par. V,109).
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La nostra politica lo ripeto, dev’essere la politica del Pater noster. Stiamo nel puro campo religioso e non vogliamo a qualunque costo sconfinare (Riun. 27 agosto 1931).
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La nostra politica deve essere come quella di Don Bosco, la politica del Pater Noster e in tutte le manifestazioni di onore alla Patria e alla Monarchia non siate mai assenti. Noi sappiamo di servire veramente alla Patria occupandoci dei poveri. La nostra Congregazione è per i poveri (Riun. 1932).
Vedi anche: Politica.
Poveri
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Inutile che ripeta per la centesima volta che amavo più la Moffa quando era più semplice e meno comoda. Imprimi nel cuore dei Novizi un grande amore verso Dio e verso il prossimo, specialmente verso i più poveri e più abbandonati dei nostri fratelli: la nostra Congregazione è per i poveri (Scr. 3,432).
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Ricordatevi che siete sempre i poveri, gli umili, gli straccioni figli della Divina Provvidenza. Ho ricevuto i vostri auguri per il Natale, e ve ne ringrazio. Ma come poteva io gradirli, sapendo che al Rafat non si vive come si deve? che non si ama la povertà che con le parole? Sì, voto di povertà, ma basta che manchi niente e che si possa fare una vita comoda e tranquilla. Povertà invece vuol dire sacrificio e anche economia: povertà vuol dire non fare spreco di roba: povertà vuol dire anche farsi scrupolo nel tenere d’acconto e nel non sprecare. Un grano, anche un grano solo di frumento perduto sarà sulla vostra coscienza, e ne dovrete rendere conto a Dio! Noi non siamo che amministratori della roba della Chiesa e dei poveri: e a Dio, alla Chiesa e ai poveri dovremo darne conto. Io non dico grettezza, non dico meschinità, non dico avarizia, ma dico e raccomando la santa povertà e l’economia e l’ordine. Se si è disordinati si perde molto tempo, si perde molta roba, si fa più poco bene, anzi si fa e si avrà molto male (Scr. 4,265).
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La carità non misurarla con il metro: fanne più che puoi, ché Dio nascerà suoi tuoi piedi! Sii largo con i poveri, sii pieno di dolcezza con le povere e con la povera gente, e non avere vergogna di chiedere tu la carità ai ricchi per i tuoi cari poveri! Fatti benedire dai poveri! Caro Don Risi, fatti benedire dai poveri e fa tutto e amali e consolali per l’amore di Gesù Cristo, e Dio sarà in te e sui tuoi passi! Noi siamo i frati del Papa, degli orfani e dei poveri e della Madonna! (Scr. 6,191).
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Amiamo la santa povertà, facciamo economia, ma senza grettezza, senza stirchierie, solo per amore e spirito di povertà religiosa, e confidiamo nella Madonna, che Essa ci aiuterà a dare a ciascuno quello che gli va. Vi dico che ogni vostra sollecitudine per estinguere le passività sarà benedetta da Dio! Vi dico ancora: ogni ragionevole risparmio, per spirito di giustizia verso i creditori e di povertà religiosa, sarà benedetto da Dio! (Scr. 29,45).
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Caro figliuolo mio, guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri, e pure tu dovrai fare vita da povero religioso per amore di Gesù Cristo il quale è il nostro divino esemplare ed egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra d’una croce, privo anche d’un po’ d’acqua. Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi, e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù. Egli sarà con te, e ti consolerà, e troverai più gioia spirituale e più contento e felicità a vivere della povertà e umiliazione di nostro Signore, che se tu fossi ricco di tutti i beni e piaceri fugaci di questo povero mondo (Scr. 32,2).
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Sì, la nostra Congregazione è per i poveri, e, in particolare, per i più poveri e più abbandonati, la Piccola Opera della Div.na Provvidenza est ad pauperculos et est pro pauperculis. È da anni che, più che un presentimento, sento in cuore una grande fede che cioè la Divina Provvidenza, per le mani di Maria SS.ma fonderà in Polonia molti istituti di beneficenza a pro degli umili, dei piccoli e della povera gente più derelitta. Preghiamo e lavoriamo! Abbiamo fede! abbiamo fede! (Scr. 32,130).
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Ci unisca Dio nel dolcissimo amore dei poveri e degli orfanelli, dei poverelli che sono i suoi degli orfani più che sono i piccoli e i più cari al suo cuore, e sono nostri fratelli. non disse al prefetto e persecutore dei cristiani il levita della santa chiesa di Roma, il beato Lorenzo, che i poveri sono il tesoro della chiesa? di Cristo? Uniamoci nella carità e nel lavoro a fare del bene ai poveri di Cristo che sono nostri fratelli (Scr. 40,133).
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Spero di poter riprendere presto il mio modesto lavoro per la fanciullezza bisognosa di fede e di un’arte che dia pane, e per i nostri cari poveri. Non è tra le palme di Sanremo, ma tra i poveri che devo vivere e morire (Scr. 44,183).
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Ho un desiderio: di amare il Signore e di amare la s. chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti: vorrei morire per questi miei fratelli, e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto i piedi di tutti, e solo amore Gesù, la Santa Chiesa e tutti, e perdermi nel Signore: io, indegnissimo, che ho tanto peccato, che sono stato tanto cattivo con il Signore e con la Madonna, e non ho tesoreggiato i doni del Signore! Mi aiuti, caro padre Visitatore, mi aiuti! Mi faccia amare il Signore, mi faccia riparare! E poi rimanga sempre con noi, con i poveri figli della Div.na Provv.za, che hanno tanto bisogno di lei, del suo aiuto, della sua carità (Scr. 50,26).
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Stiamo allo spirito ed all’esempio del nostro Divin Salvatore; viviamo poveri per divenire ricchi con Gesù Cristo. Siate lieti di mancare di qualche cosa, se no, come professate la povertà evangelica? Siamo contenti di essere non di nome, ma davvero Figli della Divina Provvidenza. Essa è la vera nostra Madre e fondatrice insieme con Maria SS.ma che visse poverissima come Gesù. Ci mancarono mai gli alimenti? o lo strettamente necessario per vivere? Mai! E se nel collegio manca qualche cosa, non credete voi che se noi lo domanderemo al Signore, in umiltà e Fede e con le ginocchia, quando Dio lo vedrà opportuno, non credete voi, o miei cari figli, che ce lo darà? Non è mica bello che sia proprio il Vescovo a dirci ogni tanto e a ricordarci che siamo Figli della Divina Provvidenza! Questo, capite, è un dolce rimprovero! Cari miei, carissimi miei, se vogliamo avere merito e premio da Gesù, guardiamoci da un genere di povertà altamente biasimata da San Bernardo! «Gloriantur de nomine paupertatis et socios paupertatis fugiunt», diceva il grande dottore San Bernardo: si gloriano d’essere chiamati poveri religiosi, ma non vogliono i compagni della povertà, cioè non voglio che loro manchi niente (Scr. 51,74–75).
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Supplico la paterna carità di V. Eccellenza di prendere nelle sue mani questi e tutti gli altri miei sacerdoti perché mantengano vivo lo spirito dell’orazione, della umiltà e carità e vivano poveramente e per i poveri di Gesù Cristo; Cristo preghino per i ricchi, ma vivano poveri e consacrati per i più poveri e derelitti. Mando anche le suore Figlie della Divina Provvidenza per Mare del Plata: confido faranno bene anche loro; ma tutte voglio che come stracci nelle mani di Vostra Eccellenza e che ne faccia in Domino quello che vuole: noi non siamo per noi, ma per la Chiesa e per i Vescovi; siamo stracci e per gli stracci cioè per i poveri e per ogni miseria...non è per sé, ma per il Vicario di N. Signore Gesù Cristo e per servire d’in ginocchio, in umiltà e carità grande e senza limite devota, la Chiesa e i Vescovi, e stare sotto i piedi di tutti come uno straccio, basta amare Gesù e fare la volontà di Gesù che si manifesta nella Chiesa e nei Vescovi (Scr. 51,191).
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Questa umile Congregazione dunque, fondata sulla sola infinita bontà e aiuto della Divina Provvidenza, è, essenzialmente per i poveri e per il popolo, che vuol elevare alla luce e al conforto della fede nel Padre celeste ed avere fiducia nella chiesa. Essa nei piccoli e nei poveri vede e serve Gesù Cristo. E benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana, abbandonata e di povera condizione, si consacra anche al bene dei più umili nostri fratelli in Cristo, di qualunque età e religione, e lavorerà al miglioramento morale e materiale della classe operaia, insidiata nella fede e ingannata da teorie comuniste (Scr. 52,65).
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Io vivo qui tra i poveri di Gesù Cristo: servo Gesù Cristo nei poveri più abbandonati: sono nostri fratelli! È grande grazia di Dio poter evangelizzare i poveri: lavorare a salvezza e di tanti fanciulli, a conforto di tanti vecchi, in parte italiani. Sono coi poveri e sono felice! Con questo non vi dirò che manchino pensieri e croci, no! guai se mancassero! Senz’acqua non fiorisce la terra, né l’anima senza lacrime! (Scr. 53,86).
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Gesù è povero, è il Dio e il Padre dei poveri. Il Figlio di Dio si è unito alla natura umana sotto la forma della povertà. Volle la povertà, la sposò e ne fece la sua virtù propria, la sua virtù prediletta, la virtù necessaria alla perfezione. Gesù vuole che i suoi discepoli abbandonino ogni cosa per essere poveri come Lui: e perché sono poveri, dà loro tutti i privilegi della sua divina missione. Alla povertà dà il centuplo in questo mondo e l’eredità del regno dei cieli: sono i poveri di Gesù Cristo che sederanno un giorno su troni di re, e giudicheranno il mondo. Gesù è povero: Betlemme: la grotta; la paglia, la mangiatoia: ecco la gloria della Sua povertà! E sarà povero nella sua vita e nella sua morte: vestirà le vesti del povero, dividerà il cibo, le umiliazioni, i rifiuti del povero. Vivrà di elemosina, non saprà dove reclinare il capo, morirà sulla croce, spogliato delle sue vesti e lacerato pur nella sua pelle e non avrà di che essere seppellito! Vi fu mai sulla terra un povero come Gesù? Oh quanto dobbiamo amare e stimare la povertà, divinizzata in Gesù. Come dobbiamo vivere lo spirito di povertà per amore di Gesù. Poveri nell’affetto, non attacchiamoci a nulla, né alle vesti né a cosa veruna di questo mondo. Figli della Divina Provv., il nostro Istituto professa la perfetta povertà evangelica. La perfetta povertà evangelica consiste nel non aver niente sopra la terra, aspettando tutto il bisognevole della sola provvidenza del celeste Padre. Questa santa povertà è approvata dalla Chiesa: essa è la conservatrice della nostra Congregazione. È incredibile quanto giovi la santa povertà alle anime che desiderano veramente staccarsi da tutto questo mondo per darsi a servire Dio e la Chiesa. Oh la felicità di chi lascia tutto, per darsi a servire Dio e i poveri! La povertà religiosa proibisce di fare qualunque atto di proprietà: esige che si tengano in buon ordine i libri relativi all’amministrazione economica, e che si facciano con somma esattezza le rese di conto (Scr. 55,230).
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Il buon religioso porta le livree della sua povertà non solo senza arrossirne, ma con gaudio, come è diritto del suo stato, secondo la semplicità e l’umiltà della sua condizione, rigettando da sé tutto quello che sa di mondano: povero nelle Case; povero nel mobilio, povero nel vestire, povero nel vitto. Gesù Cr. disse: Beati i poveri di spirito per encomiare e raccomandare il distacco da tutte le ricchezze e le cose mondane. La nostra Congregazione risentirà più di tutte le inevitabili conseguenze. Essa, che ripone tutta la sua vita nelle offerte, già risente del disagio di tutto e prevedo che le strettezze andranno aggravandoci. Vi farete un’idea del mio presente stato d’animo. Il cuore del padre, che deve pensare a tutti i suoi figli e a tutto. Dico questo per non mendicare il vostro compatimento, ma per eccitarvi a fare la massima economia, e a vivere con gioia veramente la santa povertà. Colle presenti strettezze Nostro Signore vuole anche prepararci alla pratica reale della virtù, della povertà che abbiamo abbracciato con voto. Ma se lo facciamo fin d’ora, spontaneamente imponendoci tutti una rigorosa economia non solo in ciò che è superfluo, ma eziandio in ciò che non è strettamente necessario, renderemo il sacrificio nostro immensamente più grato a Gesù il divino Bambino della santa povertà, e più meritevole per noi. Nelle costruzioni o riparazioni di Case si usi gran rigore nello impedire il lusso e la eleganza. Quando comincerà ad apparire ricercatezza nella persona, agiatezze nelle camere o nelle Case della Divina Provv.za, comincerà nel tempo stesso la decadenza della nostra Congregazione. Risplenda la santa povertà in tutte le persone e le cose nostre pratichiamola con rigore, facendo la massima economia, stiamo attenti alla rilassatezza (Scr. 55,231).
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Guardiamo bene da quel genere di povertà religiosa altamente biasimato da San Bernardo: una povertà che è un’ironia, una vera ipocrisia, una vera maschera e indegna impostura: è la povertà di quei falsi religiosi senza spirito che sono la ruina della loro Congregazione: passano per poveri, ma tengono il borsellino nascosto e dispongono illegittimamente di denaro: si gloriano d’essere chiamati poveri, ma non vogliono i compagni della povertà e che non manchi loro mai niente (Scr. 55,235).
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I piccoli, i poveri, i ciechi, i vecchi, gli afflitti, gli orfanelli, i malati sono il mio sogno, il canto di Dio che da anni mi passa sull’anima nella mente e mi gira tutto d’intorno, e mi ferisce il cuore e mi fa vivere – e morire di un foco grandissimo e mi fa esclamare: o amore di Gesù, o amore dolce ai piccoli e ai poveri di Gesù: o amore o morire di amore! (Scr. 47,144).
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Godete umili ed esultate poveri, poiché vostro è il regno dei cieli! » Oh se pensassimo un poco quante ricchezze si trovano pur nella povertà, e quanta povertà nelle ricchezze come si sarebbe più felici. La Ricchezza della povertà è far tesoro di meriti con il lavoro e con la preghiera, tenendo fisso lo sguardo al cielo, dove non vi sarà più distinzione di persone, ma la ricompensa proporzionata al valore delle opere. Povertà della ricchezza sono le tante pene anche in mezzo agli agi spesso sconosciute al povero e l’orgoglio del denaro che fa povero il ricco (Scr. 64,253).
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Voi specialmente, o Novizi, pensate che foste prescelti e siete costà amorosamente custoditi e indirizzati a vita di santità e di carità: di santità per Voi e di carità tra di Voi e verso i più poveri nostri fratelli, nei quali vi dovete onorare di servire Gesù Cristo: amare i poveri è amare Gesù: servire i poveri è servire Gesù. E così giungerete alla perfezione nella carità che è santità, la carità che è amore di Dio e del prossimo, e dei più bisognosi. Oh se io potessi farvi vedere Gesù Cristo nei poveri! Nessuno di voi si rifiuterebbe di correre a fare i servizi anche più umili ai nostri poverelli, sapendo di servire Gesù Cristo stesso! (Scr. 70,106–107).
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Questa umile Congregazione è per i poveri, ed esclusivamente per i poveri. Essa vede e serve in essi a Gesù Cristo Signor Nostro: per la divina grazia, fa un totale olocausto nelle mani e ai piedi della Chiesa, con spirito di fede, di umiltà, di grande e dolcissima carità, preferendo tra i poveri i più lontani da Dio, i più bisognosi di cristiano conforto e di pane. Benché precipuamente intenda consacrarsi alla salvezza della gioventù orfana e derelitta, specie la più abbandonata, vuole, tuttavia, con il divino aiuto, vivere e sacrificarsi per tutti i poveri di ogni età, di ogni nazione e religiose, senza eccezioni, sani o malati, e di qualunque malattia o dolore (Scr. 79,324).
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Charitas Christis urget nos! La carità (cioè l’amore di Dio) ci incalza! Amiamo Gesù, e ameremo bene anche i poverelli di Gesù. Lei deve avere cuore e modi non da Superiora, né da Direttrice, ma carità di Madre, sia verso le Suore, che verso i poveri. Noi vediamo nei poveri le membra di Gesù Cristo, e in essi amiamo il nostro Dio (Scr. 80,117).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza è un’umile Congregazione Religiosa di data recente, italiana di origine, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza. Nata, dunque, per i poveri, a raggiungere il suo scopo essa pianta le sue tende nei centri operai, e di preferenza nei rioni e sobborghi i più miseri, che sono ai margini delle grandi città industriali, e vive piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori, confortata dalla benedizione della Chiesa, dal valido appoggio delle Autorità e da quanti sono spiriti aperti ai nuovi tempi e di cuor largo e generoso (Scr. 80,203).
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Andiamo dunque, o fratello, con letizia e amore di Cristo a trovare Gesù nei nostri fratelli più poveri: santo è l’amore ai poveri. Prendersi cura dei poveri è prendersi cura di Gesù, servire i poveri è servire alle membra sofferenti di Gesù Cristo, diceva San Camillo de Lellis. Dare al povero è dare a Dio. E non sa amare né servire Cristo, chi non lo ama e non lo serve, per quanto può, nei fratelli che sono nella miseria e nell’abbandono. L’amore a Cristo nei poveri è amore sovrumano, amore che conserva e aumenta la più alta vita. È Gesù, che ha acceso sulla fredda e tenebrosa terra questa divina fiamma di carità e di nobilissima vita. Viva questa vita in noi! ed oh quanta luce e quanta forza di grazie divine! Chi si abbraccia a Cristo e ai poveri per l’amore di Cristo accumulerà su di sé e sulla sua casa un tesoro di consolazione e di gaudio: avrà riposo e retribuzione nella gloria di Cristo e starà in sempiterno (Scr. 86,182).
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Le vocazioni di poveri fanciulli al Sacerdozio sono, dopo l’amore al Papa e alla Chiesa, il più caro ideale, il più sacro amore della mia vita. Misericordiosamente condotto dalla Divina Provvidenza, è per essi che ho aperto la prima umile Casa di San Bernardino in Tortona: per quelli, cioè, che il Vescovo non aveva potuto accettare in Seminario. E Dio ha dato incremento: quanti buoni Sacerdoti si sono formati! Per le vocazioni dei fanciulli poveri ho camminato tanto: ho salito tante scale; ho battuto a tante porte! Dio, che mi portava avanti come un suo straccio, Dio solo lo sa. Per essi ho sofferto la fame, la sete, le umiliazioni più dolorose; erano i biscottini di Dio; e solo per la Divina Provvidenza non ho fatto mai fallimento. Per essi mi sono coperto di ingenti debiti: ho sudato, ho gelato, ho scongiurato gli uomini e Dio: per essi, per i fanciulli poveri di santa Vocazione, io vivo, pronto ad incontrare altri debiti, sicuro che la Divina Provvidenza me li pagherà (Scr. 108,235).
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I Novizi poi ti prego di esercitarli nelle cose umili e povere, renderli sommamente amatori della povertà della santa povertà, e della santa fatica. Alla Moffa ci sono già troppe comodità, per grave storpiamento della nostra Congregazione; adesso tu e altri anche stimabilissimi Sacerdoti della Congregazione ci badate, non lo credete, ma un giorno, io non ci sarò più, ma voi piangerete d’aver messe troppe comodità, e non sarete più a tempo, poveri miei figli! (Scr. 115,150).
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A Tortona entrando avrete veduto i due busti del Cottolengo e di D. Bosco. Questo vi dica, cari figlioli, quale è lo spirito che la congregazione deve avere: abbracciare i più poveri, gli ammalati, come li abbracciava il Cottolengo, educare i fanciulli poveri come li educava D. Bosco. Questo è lo spirito della Congregazione, ed è per me quasi una spina e temo tanto per quei sacerdoti dedicati in alcuni istituti all’educazione non di poveri, ma di ricchi. Il nostro scopo è di intensificare l’amore a Cristo e al suo vicario, esercitare sui più poveri ed abbandonati le opere di misericordia spirituali o corporali (Scr. 117,85).
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Questa umile congregazione, totalmente affidata alla divina Provv.za è per i poveri ed esclusivamente per i poveri e per il popolo. Per i ricchi avrà dilezione e preghiere. Nei poveri essa vede e vuol sacrarsi a servire Gesù Cristo, nostro Dio e redentore. Sorretta dalla divina Grazia, farà per essi loro un pieno olocausto di sé in spirito di fede, di umiltà di grande carità, preferendo i più bisognoso di aiuti spirituali e di pane. Onde benché precipuamente essa intenda alla salvezza della gioventù orfana o derelitta più abbandonata, vuole tuttavia, con l’aiuto del Signore, e sacrificarsi per i nostri fratelli i più poveri, senza eccezione alcuna, di età, di nazionalità, di religione, sani o malati di qualunque infelicità o dolore, prediligendo i più bisognosi di aiuto spirituale. Questa piccola Congregazione affidata alla Divina Provvidenza, è esclusivamente per i poveri e per il popolo. Per gli altri avrà preghiere e spirito di grande carità. Negli umili e nei poveri essa vede e vuol consacrarsi a servire Gesù Cristo,. Onde benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana o abbandonata e dei figli del popolo vuole tuttavia anche sacrificarsi, con il divino aiuto, a sollievo morale e materiale dei più poveri nostri fratelli in Cristo e al bene delle classi operaie e agricole tanto insidiate nella fede e da teorie insane. Questa umile Congregazione affidata alla Divina Provvidenza, è dunque per i poveri ed esclusivamente per i poveri e per il popolo. Per gli altri avrà preghiere e spirito di grande carità. Nei piccoli e nei poveri essa vede e vuol consacrarsi a servire Gesù Cristo. Onde benché precipuamente intenda alla salvezza della gioventù orfana o abbandonata e dei figli del popolo vuole tuttavia anche sacrificarsi, con il divino aiuto, a sollevare moralmente e materialmente al bene i più poveri nostri fratelli in Cristo di qualunque età religione e stirpe al bene solleva delle classi agricole e operaie tanto insidiate nella fede e da teorie insane.
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Il fine primario e generale della nostra congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà castità e obbedienza e di queste costituzioni (Scr. 118,213–214).
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Mi pare una vera ironia credere di vivere e professare altissima povertà, ma con una bella e comoda casa, con una buona tavola con un vestito di panno scelto non solo per difendersi contro il freddo, ma da far figura, mentre fuori ci sono tanti mal vestiti, dei sofferenti di fame, dei senza – tetto. Siamo noi i più poveri dei poveri? La povertà la osserviamo noi o la osservano i poveri che non sanno neanche che siano i sacri voti e i consigli dell’altissima povertà? chi ha maggior diritto di riconoscersi vero seguace di Gesù Cristo, noi o il povero popolo? (Scr. 120,121).
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Io esigo dai miei Sacerdoti un giuramento per iscritto, dove si obbligano a non cambiare mai nulla riguardo alla povertà. Vi raccomando, non si lasci mai la povertà, non si lasci mai; e se il vostro stato di povertà vi è di qualche pena, ringraziatene Dio, come gli Apostoli nel Sinedrio di Gerusalemme si proclamavano lieti di soffrire per Gesù Cristo. Beati Pauperes, quondam ipsorum est regnum coelorum”. È più facile che un cammello passi nella cruna d’un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli. Siate felici di portare abiti usati, di avere dei cibi grossi: se non state bene di salute, pazienza, se no usate cibi grossi, questo è spirito di povertà. Oh! Santa povertà! (Par. I,198).
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Oggi si parla della povertà. È un campo così vasto questo. Sono stato fra il sì e il no se parlarvi ancora sulla Carità, ma avevo accennato alla santa povertà e vi dirò dunque della povertà. La povertà è materia di voto, per quando avrete i voti, come è materia di voto la castità, come è materia di voto l’obbedienza. Quindi non parlarvi ancora della povertà, specialmente ora che la Istituzione è sul nascere e potrebbe perdere quello spirito che deve essere una delle linee principali, non andrebbe bene e per questo vi accenno alla povertà. Quando il Venerabile Don Bosco mandava i missionari in America, fra le tante virtù che avrebbero dovuto praticare, raccomandava prima di tutto la povertà, perché nell’America c’è molto più denaro, in America anche fra i religiosi si è molto larghi in fatto di povertà è relativa; in America si nuota nel denaro e quindi s’intende poco questa parola; nelle case c’è più agiatezza. Nell’America del Nord ancora di più che nell’America del Sud. I missionari che vanno in America, quando non sono in una Congregazione, fanno un poco i mercanti della religione, sono i missionari dei dollari. Questa è la verità; ve lo dico, perché vi teniate in guardia se doveste andare un giorno in America anche voi... Don Bosco dunque, quando i suoi primi alunni andavano in America, quantunque fossero santi salesiani, raccomandava tanto la santa povertà. Ed io vi raccomando; siate povere, siate povere! E spero che anche voi avrete dei debiti, come li ho io. Diceva Don Bosco: fate che il mondo conosca che siete poveri nel vitto, che siete poveri nel vestito, che siete poveri in tutto e voi sarete ricchi davanti a Dio e avrete la stima degli uomini. Se osserverete la santa povertà, diceva Don Bosco, la povertà vi aprirà la porta del cielo, e vi darà modo di far bene nel mondo (Par. II,102).
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Avrete notato quanto le nostre regole insistano sull’osservanza del Voto di Povertà. Sapete già che vi è un articolo il quale proibisce espressamente di portare modificazione alcuna alle nostre costituzioni da questo lato. Su questo punto della povertà io non sono e non sarò mai disposto, e questo è anche il vostro dovere, a cedere di un punto. E per vieppiù rinsaldare in noi questo sentimento e questa norma di vita quelli che hanno fatto i voti, firmeranno una formula con la quale si obbligano con giuramento davanti a Dio, a stare fedeli, su quello che riguarda la povertà, alle costituzioni, e a non permettere né per sé, né per altri, né al presente, né per l’avvenire mai un rilassamento. Tutti gli ordini religiosi crebbero, fiorirono, fecero del bene finché si mantennero nella povertà di Gesù Cristo. Tutti gli ordini religiosi, anche i più insigni, decaddero, si immiserirono, morirono, quando cominciarono a possedere, quando cominciarono a diventare ricchi (Par. III,205).
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Miei cari Figli, il Voto della Povertà si deve osservare nel modo più stretto. Gli Ordini e le Congregazioni più fiorenti nella Chiesa, istituite da uomini di Dio, quando disgraziatamente incominciarono a rilasciarsi sul Voto della Povertà, si rilasciarono anche nello spirito buono della Congregazione. Della Santa Povertà ce ne diede un bell’esempio Gesù Cristo che volle nascere, vivere e morire povero. Quando noi ci attacchiamo ai comoducci, cessa in noi il vero spirito religioso, perché non cerchiamo più Gesù, ma i nostri piaceri. Raccomando perciò, a tutti, di mantenere sempre il Voto fatto, e cercare di osservarlo nel modo più religioso cioè come vuole la Santa Regola. Quelli che lasciano od abbandonano la Congregazione è perché dapprima incominciarono ad affievolirsi nei confronti della Povertà; poi a poco a poco si affievolirono nella vocazione, e poi finirono con l’andar via dall’Istituto. Voi che questa mattina avete emesso i Santi Voti, fate giuramento di mantenervi sempre attaccati al Voto della Povertà e sarete fedeli fino alla fine (Par. III,209).
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Ora questa povertà che io e voi abbiamo professato, è questa povertà che io e voi dobbiamo vivere, dobbiamo praticare. Viverla veramente e non accontentarci di professarla con le parole. Distaccarci anche da quello che ci può sembrare alle volte necessario... Le epoche che furono più funeste alla Chiesa furono i periodi e le epoche in cui il clero aveva abbandonato la povertà evangelica. Quanto bene ha fatto San Francesco, il poverello d’Assisi. Ha trasformato, si può dire, la faccia del mondo intero. Fu lui, povero, lui, vestito di stracci, lui che era stato cacciato dal patriarcato lateranense, dalla corte pontificia perché non vestito bene, lui fu visto a sorreggere la Chiesa Santa di Dio; il pezzente, il poverello teneva in piedi da solo la Chiesa lateranense, Capo e Madre di tutte le Chiese. San Francesco cominciò l’edificio della sua perfezione svestendosi dell’abito di cavaliere per vestire l’abito dei mendicanti. La povertà dev’essere il saldo muro di difesa della Congregazione. Là dove essa è coltivata, là fiorisce lo spirito di Dio; là dove è dimenticata, entra la dissoluzione, e cadono i cenobi più celebri. Sono cadute o furono soppresse Congregazioni illustri fondate da Santi, Congregazioni che ebbero una fioritura di uomini di Dio in altri tempi, illustri per pietà, scienza e spirito di osservanza religiosa; caddero perché avevano lasciato l’osservanza della povertà. Cerchiamo noi di tener alto lo spirito di Gesù Cristo che è lo spirito della santa povertà. Andremo a sfasciarci quando lasceremo lo spirito della povertà. Finché vivremo una vita povera e umile e staremo lontani da tutto ciò che potrà illanguidire lo spirito della povertà professata, la Congregazione potrà svolgere la missione che le è stata affidata dalla Provvidenza (Par. IV,290).
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Quando la Congregazione diventasse ricca allora scriveremo Finis. La mancanza di povertà è segno di perimento, di finis, di sufficit della Congregazione. I Conventuali hanno ottenuto che la povertà fosse mitigata; ora i cappuccini ce ne sono di primo, secondo, terzo ordine di povertà. La Sacra Famiglia, gli Apostoli, i veri religiosi, tutti i santi di tutti i tempi, hanno professato perfetta povertà. San Bernardo dice che Gesù, non avendo trovato la povertà in Cielo, scese in terra a trovarla. Pio X dobbiamo ritenerlo come il Padre della Congregazione perché ci amò molto e fu lui che approvò le nostre prime regole. Questo il suo testamento: Sono nato povero, sono vissuto povero, voglio morire povero. Sarebbe stato meglio che nella sua tomba avessero innalzato un’iscrizione che riguarda questa sua grande povertà. È il Papa della povertà. Lo stesso Papa disse: “Il mio Successore, se crederà bene, farà il favore di voler passare lire 10 giornaliere alle due mie sorelle. Fu un degno Successore, non dico di San Pietro, ma di Gesù Cristo. Noi non siamo per i nobili, per i figli dei ricchi, per le alte classi sociali. I Figli della Divina Provvidenza vivono della mercede di Dio, della vita di lavoro e di povertà, solo, dobbiamo essere per i poveri, per i più poveri, per i rifiuti, per los desamparados (per gli abbandonati) della società. Oh, quanti ordini religiosi hanno perduto lo spirito primitivo della povertà! I tempi, ascoltate attenti, i tempi passati cambieranno, le circostanze sembreranno convenienti per mutarlo; ma voi state sempre saldi, fermi, povertà nel vero senso della parola, non ambiguità; quando entrano parole ambigue, parole equivoche, le Costituzioni segnano Alt! No, no, non altre nuove interpretazioni! (Par. VI,257).
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Questa è la missione nostra, missione di fede e di amore. Amare gli umili, i piccoli, i poveri, e non di nome; noi siamo per i poveri, siamo per i poveri, e quando saremo ricchi segneremo la nostra fine. Stiamo con i contadini, gli operai, i poveri derelitti per trarli a Gesù, alla Chiesa. Noi siamo per i poveri e Dio ci aiuta e benedice (Par. VI,291).
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L’occhio di Dio splende dal cielo sopra le povere membra doloranti... Ecco – dicevo tra me – Dio fa splendere quel raggio vivificante che dà vita, che rasserena e rende bella la vita del poverello, la vita di quelli che il mondo chiama i rifiuti della società. E la nostra vita sia per i poveri, per i più poveri fra i poveri; dobbiamo andare ad pauperes, anzi ad pauperculos: ai più poveri, ai più umili, ai più abbandonati; a quelli che il mondo chiama i rottami della società; mentre invece sono i tesori della Chiesa! Il diacono Lorenzo – il primo dei sette diaconi della Chiesa che tenevano il posto dei Cardinali di oggi, – additava al tiranno che agognava i tesori della Chiesa, i poverelli; disse al tiranno: – Dammi tre giorni di tempo, affinché io possa radunare i tesori della Chiesa – Fin da quel tempo, infatti, la Chiesa Madre manteneva e poteva saziare più di 5000 poveri. E poi chiamò il prefetto e gli disse:, additando i vecchi, i poveri infermi, gli orfani, le vedove: – Ecco i tesori della Chiesa! – Lorenzo era diacono prediletto di quel grande Papa che fu Sisto II. La nostra piccola, umile Congregazione è ad pauperos, ad pauperculos, per gli straccioni, per i più abbandonati, per tutti quelli che vanno dolorando e che nessuno ascolta. Scriviamocelo nel cuore: la nostra congregazione è per i poveri e, finché la nostra Congregazione avrà questo santo orgoglio di portare Gesù Cristo, la verità, la vita ai poveri e i poveri al Vicario di Gesù Cristo e ai Vescovi, non vi meraviglierete quando vedrete i Vescovi fare della nostra abitazione e della nostra chiesa, la loro casa e la loro chiesa! (Par. VII,46).
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I Poveri devono essere i nostri fratelli, anzi tali devono essere i più poveri e i derelitti, i più abbandonati; la nostra Piccola Congregazione è per i poveri, e questo voglio raccomandare a tutti, questa sera. Stiamo attenti, miei Chierici, ad una tendenza che nella Congregazione vado constatando; si va verso le classi che non sono quelle dei poveri e quelle proprie della Piccola Opera. Altre Congregazioni, che erano per i poveri, finirono per perdere lo spirito delle loro Congregazioni, piegando verso i ricchi. Purtroppo mi pare di notare che manchi in qualcuno questo spirito. I nostri tesori devono essere i più poveri e vedere, nei nostri fratelli più infelici, vedere in essi Gesù Cristo e coprirli come le membra di Gesù (Par. IX,338).
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Che cosa vuol dire sposare la povertà? Vuol dire sposare teoricamente la povertà? Vuol dire far voto di povertà? Più! Vuol dire praticare la povertà? Più! Vuol dire rimanere attaccati alla povertà? Più! Più! Più! Sposare la povertà vuol dire fare della vita olocausto per i poveri, per gli umili, per i lebbrosi. Sentiva San Francesco grande ripugnanza per i lebbrosi e, anche solamente al vederli, rifuggiva. Un giorno, incontrandosi con un lebbroso, voleva fuggire, ma sentì come una luce grande, una voce che gli diceva: «Vagli incontro e abbraccialo». Ed egli vinse sé stesso – bisogna sempre vincersi – e abbracciò e baciò il lebbroso, il quale scomparve perché era nostro Signore. Cosa vuol dire sposare la povertà? Ah, se i poveri Figli della Divina Provvidenza sposassero la povertà! Se sapessero sposare la povertà secondo lo spirito della Piccola Opera, nessuno più di noi, né Francescani, né Cappuccini, nessuno più di noi sposerebbe la povertà! Sposare la povertà vuol dire incarnare in noi la vita dei più poveri, dei più abbandonati, dei più reietti, dei più afflitti! Questo è sposare la povertà! Non basta dire: viviamo poveramente. Non basta dire: abbiamo fatta promessa di essere poveri! Non basta! Sposare la povertà è amare la povertà, ritratto di Cristo nei nostri fratelli e amarla tanto – attenti bene! – e viverla tanto, come lo sposo ama la sposa, in quel sacramento che da Paolo è chiamato Sacramentum magnum, il grande sacramento che simboleggia l’unione di Cristo con la sua Chiesa (Par. XI,142).
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Noi siamo per i più poveri, per i più poveri: Gli stracci della Divina Provvidenza sono per i figli delle classi più umili, più proletarie, più bisognose. E se abbiamo aperto il Dante e il San Giorgio è per circostanze speciali per cui non potevamo fare diversamente: ma con questo non ci siamo legati a questo genere di apostolato. I collegi, quei collegi, rovinerebbero la Congregazione. Noi siamo per i poveri, per i più poveri (lo ripeto con insistenza accorata) e ve lo dico non soltanto dopo che sono tornato dall’America. Quando si va in America e si torna dall’America si americanizza – si allargano le idee... ma su questo punto sono diventato più rigido. Ho visto tante cose... mi sono passati per le mani molti soldi... ho visto tante cose, ripeto... ed ho veduto la lotta tra i Salesiani e i Gesuiti per carpire i figli delle famiglie più abbienti... E se v’è un caso di un fanciullo che non possa pagare non trova posto da nessuna parte. In quegli Istituti non c’è posto per i poveri... come non ci fu posto per Gesù Cristo. Non erat locus in diversorio... Il Popolo cari miei è abbandonato, l’avvenire – ricordate – è del popolo, è della classe proletaria... se non andremo ai poveri, ai più poveri, saremo tagliati fuori. E la Congregazione è per i poveri, solo per i poveri i più poveri. Dico questo e insisto per tracciare il solco e non è la prima volta. Se no succederà che si farà il deserto attorno alla Chiesa. La chiesa ha sempre curato i poveri ed il popolo crede che la Chiesa sia una matrigna. La società si orienta in senso popolare. Sono gli obreros che bisogna avere nelle mani, gli operai... È dei figli degli operai che dobbiamo curarci, dei poveri, degli abbandonati. La Congregazione è per questa gente e solamente per questa. Siamo tutti figli del popolo, senza offendere nessuno; dobbiamo essere contenti di occuparci dei poveri. Quindi stop a piantare collegi e internati. E vediamo di non storpiare lo spirito della Congregazione (Riun. 27 agosto 1937).
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La nostra Congregazione è per i poveri. Si aggiunga questa espressione nel primo articolo delle nostre Costituzioni: La Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza è per i poveri per i poveri di ogni età, di ogni infelicità, di ogni dolore, di ogni nazione, di ogni religione. Solo per i poveri saremo benedetti: dai poveri avremo molte vocazioni, i Samueli vengono dalla montagna. Grande pulizia, ma semplicità e povertà grande nelle nostre case (Riun. 21 luglio 1932).
Vedi anche: Apostolato, Carità, Instaurare omnia in Christo, Opere di misericordia.
Pratiche di pietà
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Nella visita alle Case meritano speciale considerazione: Le pratiche di pietà; vedere se si procede in esse con leggerezza; se si fa e da tutti e insieme la Meditazione; a che ora, su che autore; se con troppa facilità si dispensa dalla Meditazione o da altre pratiche di pietà. Se si fa la lettura spirituale insieme, su che libro, per quanto tempo al giorno. Se si fa la lettura in refettorio, se la preghiera prima e dopo i pasti e prima di coricarsi e nel levarsi. Se si fa l’Esercizio della buona morte. E gli Esercizi Spirituali da quanto tempo. Se dell’Esercizio della buona morte se ne compiono le pratiche molto imperfettamente. Esame di coscienza ogni giorno. Se si fa almeno una conferenza mensile ai confratelli e il rendiconto mensile (Scr. 5,490).
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Quelli che non mostrano spirito di orazione e premura per le pratiche di pietà, non si facciano ordinare, ma si aspetti, fossero pure già alla vigilia della messa. Questo come regola generale per tutti (Scr. 18,71).
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Ti raccomando la ritiratezza e l’orazione e di attendere alle pratiche di pietà con ogni diligenza. Sei a Roma: coltiva lo spirito, coltiva lo spirito: visita i luoghi santificati dai martiri e ove tanti nostri fratelli, che vissero prima di noi, amarono Gesù e la Chiesa e le anime e fecero di sé il più sublime olocausto nella carità di Gesù Cristo Signor Nostro. Non lasciare mai la meditazione e vedi di passare qualche mezz’ora in qualche Chiesa più abbandonata, avanti al SS.mo Sacramento. Fa’ pure per me una visita alla tomba di Pio IX e visita per me tutti i nostri fratelli e specialmente i fanciulli di Monte Mario (Scr. 26,1).
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Badate però, o miei figlioli, che altro è la pietà, altro le pratiche di pietà; rispetto a queste conviene usare discrezione e sobrietà, perché esse non facciano ai giovani diventare pesante la religione e non rendano la vera pietà antipatica ed odiosa: nelle pratiche di pietà discrezione e sobrietà ci vuole, essendo esse mezzo e non fine (Scr. 26,145).
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Io sopra tutto desidero che in codesto convitto si compiano le pratiche di pietà e quanto è proprio della nostra Congregazione e della vita religiosa in comune e che davvero, dopo questi S. Esercizi, fioriscano nelle nostre Case lo spirito di pietà e la vita ritirata e religiosa (Scr. 28,67).
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I sacerdoti e chierici della Div. Provvidenza devono ricordarsi sempre e poi sempre che devono essere primissimi tra i primi a dare buon esempio di fervore e di esattezza nelle pratiche di pietà e che la pietà deve essere l’aria delle nostre Case. Solo se saremo noi i primi, avremo diritto di esigerle dagli altri. Quindi meditazione. Nessuno la tralasci – levata insieme – Meditazione insieme e prima della Messa – la prima ora diamola alla orazione mentale – A costo di qualunque sacrificio – Dalla meditazione impareremo a farci santi e a santificare gli altri – La base principale su cui si appoggia il buon andamento nostro e delle Case e la moralità è la meditazione I novizi ne facciano mezz’ora anche alla sera. Meditatio matutina et vespertina sit de observantia Constitutionum Filiorum Divinae Providentiae i tre principali istrumenti della vita spirituale e religiosa sono: a) la meditazione; b) l’esame di coscienza; c) l’orazione fatta con intelligenza e attenzione. L’importanza della meditazione è capitale e vitale. È nella lunga e seria meditazione che s’impara a conoscere sé stessi e Dio: a stimare l’unione nostra con Dio: a non fare più conto alcuno di tutte le altre cose. Non bisogna però martellare la testa, ma andare avanti con pace e tranquillità di spirito. La meditazione delle piaghe di Gesù Cristo Crocifisso e dei dolori della nostra Madre Maria SS.ma Deve essere il nostro pane quotidiano. Messa. Che cos’è la Messa. Come si deve dire – Il Ven.le Giov. Eudes soleva dire che vi bisognerebbe tre eternità per ben celebrare il S. Sacrificio della Messa: la prima per prepararsi; la seconda per offrirlo; la terza per il dovuto ringraziamento. San Francesco di Sales la celebrava con grande riverenza. Don Guanella sentiva più Messe che poteva. Come si deve sentire – Difetti che si commettono assistendo alla Messa senza averne la necessaria istruzione. Quanto più utile è una Messa ascoltata bene e con le cognizioni necessarie La Santa Messa si deve celebrare con gran devozione – Don Bosco e Rosmini avevano grande pietà nel dire la Santa Messa e così Mons. Daffra. Il ringraziamento deve essere più lungo che sia possibile. Confessione. Se non ti senti la coscienza tranquilla ne differas de die in diem, ma corri subito al confessore. Singolis hebdomadibus Fili Divinae Providentiae ad Poenitentiae Sacrametum accedant – Da ammalati – non lasciar passare tre giorni – Negli Esercizi confessarsi nei primi tre giorni. È bene servirsi (fuori degli Esercizi) dei sacerdoti della Congregazione, ove si possa. L’assoluzione sacramentale ha un potere infinito, perché è un’applicazione fatta al peccatore dei meriti della Passione di Gesù Cristo. Il perdono non si ottiene con il molto parlare in confessione o con il molto sottilizzare sulla gravità o leggerezza dei peccati, ma con il pentimento e con la viva fede nella potestà delle chiavi. La confessione è sempre utile anche se non abbiamo materia grave. È bene che i chierici e i giovani sappiano da chi i sacerdoti si confessano e con quale frequenza e che i giovani lo sappiano dei loro assistenti e dei chierici. Fede di confessione da trasmettersi ogni tre mesi alla Casa Madre. I direttori non possono più, per ordine della S. Sede, confessare abitualmente i loro chierici e giovani. Visita al Sacramento. Non ometterla lungo il giorno. Sancta Sanctorum permanenter visitetur. Ragioni che si devono indurre – Frutti che si ricavano prima di tutto dalla preghiera, necessità – efficacia – Modi diversi di pregare e fine dell’orazione recte sapit vivere qui sancte sapit orare – S. Agostino. Pregio – eccellenza – soavità della preghiera – Bisogna che in questa Congregazione si preghi da tutti di più. Il fervore dell’orazione è da anteporsi allo studio, come quella da cui l’uomo religioso trae la sua vita – I Santi trovavano la loro delizia nell’orazione – Chi lascia la preghiera. «Chi lascia l’orazione, lascia la vocazione». Dobbiamo essere altamente persuasi dell’infinito bisogno che abbiamo della grazia di Dio e non cessare di pregare Dio di darcela – Bisogna pregare bene e molto. Domus Orationis: homo orationis Maledictus homo qui facit opus Dei negligenter. Il Fariseo e il pubblicano del Vangelo. Necessità della preghiera: La preghiera e Gesù Signor Nostro – Il Pater – L’Ave Maria – La Salve Regina – Quello che è importantissimo è che non si deve giammai abbandonare l’orazione e lo spirito di orazione (Scr. 28,105–106).
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Il giovane sarà onesto se sarà pio, se frequenterà bene i Santi Sacramenti., Quindi alla domenica fateli venire a Messa, anche gli esterni, ma non puniteli, se non venissero: sempre confortateli a venire e tenete conto, per un altro anno, di chi non viene: vedremo poi insieme i provvedimenti da prendersi. Però nelle altre pratiche di pietà usate discrezione e sobrietà e non stancate i ragazzi e non si facciano dire due Rosari dai ragazzi: le pratiche di pietà non bisogna renderle pesanti e uggiose: deve la religione essere come un alto raggio di luce che illumina, che riscalda, che fa bene, che è desiderata e che dà vita: così dev’essere la pietà. Le pratiche di pietà sono utili, sono necessarie, ma non dimentichiamo che sono mezzo, non fine: tutto in noi, come nei giovanetti, pratiche di pietà, disciplina, studio, lavoro, debba essere subordinato alla pietà solida, cioè all’amore di Dio, alle virtù cristiane, alla vera santità, che non consiste nel dire: Domine, Domine, ma in fare, disse Gesù Cristo: Voluntatem Patris mei! (Scr. 51,36).
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Si facciano le preghiere e pratiche di pietà in comune come segue: I Alla levata dei giovani, lo svegliatore o assistente dica ad alta voce: Benedicamus Domino, cui tutti rispondano: Deo gratias! nell’alzarsi con la massima modestia dica poi Nel Nome del Padre – Gloria Patri Quaeritae Gesù, Giuseppe e Maria – vi sono il cuore. Cara Madre Vergine Maria fate ch’io salvi – Ave Maria Cara Madre Vergine Maria – fate ch’io – Ave Maria Cara Madre – Vergine Maria – Ave Maria Angelus Domini o Regina Coeli – Instaurare omnia in Christo! poi ciascuno aggiunga privatamente giaculatorie e preghiere a sua scelta. In camera – Nel Nome del Padre – Vi adoro – Padre Nostro – Dio ti salvi – Io credo (Scr. 54,230).
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Come il Cibo alimenta e conserva – così le pratiche di pietà nutriscono l’anima e la rendono forte contro le tentazioni – fino a tanto che noi saremo zelanti nelle pratiche di pietà il nostro cuore sarà in buon’armonia con tutti, saremo allegri e contenti della nostra vocazione. Al contrario cominceremo a sentire forti tentazioni quando nel cuore comincerà a farsi strada la negligenza nelle pratiche di pietà (Scr. 55,156).
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Gli esercizi di pietà, le pratiche di pietà sono mezzo, non fine: mezzo per conseguire lo spirito di pietà che dev’essere considerato come fine. Rispetto alle pratiche di pietà conviene usare discrezione e sobrietà. Non bisogna essere attaccati alle pratiche di pietà, quando i nostri doveri c’impongono di lasciarle. Gli esercizi di pietà si devono far bene, con spirito di pietà. Senza spirito – senza amore di Dio, senza devozione, gli atti di pietà diventano un simulacro, un fantasma della vera pietà, un’impostura. Ciò dicendo non intendo affatto né minimamente diminuire l’alta stima che dobbiamo avere per le varie forme esteriori che prende la pietà. La pietà deve essere ignita ma insieme solida, non fuoco di paglia (Scr. 55,184).
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ESERCIZI E PRATICHE DI PIETÀ DA ESEGUIRSI NELLE CASE DELLA PICC. OPERA DELLA DIVINA PROVV.ZA Deliberazioni prese nella riunione dei Sacerdoti Esercizi Spirituali Campocroce 1923. 1. Ogni giorno – Per il personale religioso. Meditazione. La meditazione si faccia da tutti in comune al più presto e all’ora stabilita dal Superiore della Casa. È raccomandabile, poiché già di consuetudine in tutte le Case, che l’ora stabilita sia subito dopo la levata, ed in Cappella. La levata sia per tutti all’ora già fissata, cioè alle ore 4 da Pasqua a Tutti i Santi e alle 5 dai Santi a Pasqua. Nessuno si fermi a letto senza una vera necessità e ne farà avvertito il Superiore prima o dopo. Il Venerdì si mediti sulla Passione di N. S. Gesù Cristo. Al Sabato sulla Madonna. Almeno due volte all’anno poi si leggano per intero le meditazioni dell’apparecchio alla Morte di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Si consigliano come libri di meditazione: Da Ponte–Chaignon – Hamon – Avancino – Pincelli: Il cibo dell’anima imitazione di Cristo – Cabrini: Il Sabato santificato – Da Bergamo – Passione, ecc. Visita al SS.mo Sacramento. Si faccia subito dopo pranzo in comune. S. Rosario – La lettura Spirituale. Si fissi un’ora, conveniente per tutti per la recita del S. Rosario e per la lettura spirituale. Sia possibilmente subito dopo la ricreazione di merenda o circa quel tempo. Come libri di lettura sono raccomandati: La Manna dell’Anima del P. Segneri – La pratica di Amor Gesù Cristo – Gli scritti del Capecelatro – La vita del B. Cottolengo scritta dal Gastaldi – La vita di don Bosco e i suoi scritti – Il Rodriguez. S. Comunione. Possibilmente sia da tutti frequentata quotidianamente con il dovuto preparamento e ringraziamento. Esame di coscienza. Si faccia la sera impiegandovi il tempo e raccoglimento conveniente perché riesca di frutto e pratica di miglioramento spirituale. L’esame di coscienza può essere fatto dopo la lettura spirituale e dopo le orazioni della sera. La buona sera. – è una pia pratica che consiste nel rivolgere, la sera dopo le preghiere, una buona parola alla comunità raccolta. Dev’essere breve, non oltrepassare i 5 minuti; d’indirizzo spirituale e morale della comunità; sia il superiore della Casa che normalmente dia la Buona Sera. In sua assenza lo sostituisca un confratello atto a tal uopo, ma non si ometta questa pratica. NB. Chiunque non avesse potuto soddisfare le pratiche di pietà in comune, supplisca da solo. Si abbia da tutti in grande stima le pratiche di pietà e vi si attenda con diligenza e spirito di fede. II. Pratiche di pietà settimanali. Confessione ogni otto giorni da un confessore stabile, possibilmente sacerdote religioso. La Domenica vi sia la spiegazione del S. Vangelo nella Messa per la Comunità. Nel pomeriggio si cantino i Vespri, istruzione religiosa e Benedizione con il SS.mo Sacramento. III. Pratiche mensili – Esercizio di Buona Morte. È stabilito che si faccia nella prima settimana del mese e nel modo seguente: Nelle case di formazione vi sarà una Meditazione e poi la Confessione alla sera della vigilia. Al mattino vi sarà altra analoga Meditazione – Santa Messa con più solennità dell’ordinario – S. Comunione – Preghiera speciale della Buona Morte. Durante la giornata si terrà un’istruzione sulla vita religiosa e si rileggano in tempo opportuno le Costituzioni. Nei Collegi ed Istituti di giovinetti l’esercizio della Buona Morte lo si ricorderà nel dare la buona sera, la sera dell’antivigilia al giorno designato. Alla vigilia si dia modo a tutti di confessarsi e si procurino confessori straordinari. Al mattino la Santa Messa con più solennità dell’ordinario – S. Comunione con preparamento e ringraziamento non di uso comune e la preghiera della Buona Morte. A pranzo si aggiunga qualche cosa di più degli altri giorni e nel pomeriggio si conceda il passeggio o altro onesto divertimento. IV. Pratiche di pietà annuali. Negli Istituti si facciano due volte all’anno gli esercizi spirituali: in principio dell’anno scolastico (si consigliano i giorni dei Santi e dei Morti) e a Pasqua. Nelle case di formazione invece si faranno a Pasqua e in agosto. Si stabilisca inoltre che di obbligo si celebrino ogni anno e in ogni casa le seguenti pratiche di pietà, che sono prescritte come minimum, lasciando facoltà al Direttore della Casa quel di più lodevole, che si possa fare. Novena di Pentecoste – Novena dell’Immacolata – Triduo di San Giuseppe – Triduo di S Luigi – Triduo del Santo protettore della Casa. Ogni anno si celebrerà in ogni Casa una funzione di suffragio per i Benefattori, personale ed alunni defunti; possibilmente nell’ottavario dei Morti. Il Direttore della Casa stabilisca quale debba essere questa funzione di suffragio, a seconda delle possibilità dell’Istituto (Scr. 115,214–216).
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Le pratiche di pietà sono l’acqua, il fuoco, la legna che serve per alimentare e vivere la vita di pietà. Le pratiche di pietà sono il Rosario, le Confessioni, le preghiere, le visite al Santissimo Sacramento, le Comunioni, la lettura spirituale, la meditazione. Ma la pietà è qualche cosa di più devoto, di più sentito. Quelli che compiono le pratiche di pietà pro forma, macchinalmente, sono senza pietà, quindi sono ipocriti e sono come corpi morti, corpi senza vita, senza anima. Dio scaglia la maledizione a chi opera così: Maledictus qui facit opus Dei negligenter, fraudolenter. La dolcezza della devozione sta tutta nella pietà. Bisogna, sì, essere uomini di azione, attivi; ma non per questo trascurare, indebolire la pietà. Anche lo studio delle cose più sante, gli affari più zelanti, se non si sta bene attenti, possono illanguidirci dallo spirito di pietà. San Francesco d’Assisi, temendo che Sant’Antonio s’indebolisse nella pietà con lo studio della sacra Bibbia, – pensate che si trattava della Sacra Bibbia – gli scrisse quella breve frase: Vae tibi si fons devotionis in te siccatum fuerit. San Giacomo dice che la fede senza le opere è morta; così la pietà è morta senza le pratiche di pietà. Non lasciamoci preoccupare troppo dagli affari pure zelantissimi e trascurare lo spirito di pietà. Un gesuita, un grande scrittore, stava preoccupato nel difendere con i suoi scritti la religione. Un giorno il superiore gli chiese perché non faceva le pratiche di pietà; e, quello zelante rispose: – Oh Padre, sono preoccupato nello svolgere quest’opera dell’apostolato. – Soggiunse il Superiore: “Prega, prega in pace, il resto lo farà il Signore”. Non diede retta; uscì dalla Compagnia, si secolarizzò e divenne un apostata (Par. VI,212).
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Le pratiche di pietà devono essere fatte con lo spirito di pietà. Senza lo spirito di pietà le pratiche sono un corpo morto e quelli che le fanno sono impostori, sepolcri imbiancati. Le pratiche di pietà devono essere animate dallo spirito di pietà. La nostra pietà è attiva; però bisogna stare attenti che l’attività non spenga lo spirito (Par. VI,289).
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Il chierico che è trascurato nelle pratiche di pietà, che quando recita il Rosario è divagato, che quando fa la meditazione è divagato, che va a confessarsi perché c’è l’uso, che sente tedio e pesantezza nelle pratiche di pietà, come potrà essere vero religioso e santo sacerdote? Quale sacerdote sarà se non avrà olio di pietà e spirito di orazione? (Par. IX,395).
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Non dobbiamo accontentarci di cantare, di innalzare lodi, o di forme esterne di culto. Dobbiamo, si sa, stare molto attenti anche nelle pratiche di pietà; ma che non ci sia formalismo; dobbiamo guardare di trovare in essa l’aroma, l’anima il profumo della pietà che deve venire dal cuore. Quindi, anche nelle pratiche nostre di pietà, dobbiamo guardarci dal formalismo, dalla materialità, dalle pratiche esterne della pietà. Non sta lì la pietà; la pietà deve essere interna, uscire in forma palpitante di vita; dobbiamo dare alle pratiche della pietà la piena adesione della volontà e, come quando no fa un inchino, per esempio, china il capo al suo Superiore, quell’inchino per avere valore, per contare qualche cosa, deve esprimere l’atto intimo, l’adesione interna, il rispetto interno al Superiore, se quell’atto esterno mancasse di questo, sarebbe un atto, non dico di ipocrisia, ma certo non completo. Siano le nostre azioni piccole o grandi – parlo delle azioni che toccano la pietà, la vita religiosa – deve essere sempre in esse, l’adesione piena della nostra volontà. Dobbiamo bandire da noi tutto ciò che è scorza; anche se la scorza fa bene alle piante, guai però se manca il midollo e la linfa (Par. X,187).
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Non vogliate addossarvi delle pratiche di pietà che non potrete mantenere. In certi momenti di fervore sarete portati a fare, o promettere, cose grandi; adagio, adagio, adagio!, che molte volte ci può essere anche l’inganno del nemico scaltrissimo. Il demonio è un sofista sottilissimo. No, cari figlioli, no, cari figlioli! Accontentatevi di poche pratiche di pietà; ma fatele costantemente e bene! Attenti bene a non andare mai indietro; mai andare indietro, ma avanti: magari un passo per volta e, se bisogna, un palmo per volta (Par. XI,276).
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Curare, o cari miei Sacerdoti e Chierici, le pratiche religiose che la Comunità fa riunita e facendo qualsiasi sacrificio per prendere parte alle pratiche di pietà della vita religiosa. Già lo sapete, che il Signore disse: Dove sono due o tre, riuniti nel nome mio, io sono in mezzo a loro. Quanto più questo si potrà dire di noi se saremo osservanti delle pratiche di pietà che si devono compiere secondo le nostre regole! Per questo raccomando a voi e ai Sacerdoti di fare qualunque sacrificio per non mancare mai alle pratiche di pietà in comune che sono particolarmente benedette dal Signore (Par. XII,120).
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Stiamo fermi sulle pratiche di pietà, quello che manca in noi è la pietà. Quelli che non fanno la meditazione in comune sono i Frati Elia della Congregazione, saranno quelli che finiranno di rovinare lo spirito della Congregazione. Se amate la Congregazione dovete amare le regole e le disposizioni date. Queste sono le conclusioni dell’opuscolo. O ci mettiamo a posto o la Congregazione fra 100 anni non esisterà più. O ci mettiamo a posto specialmente per quelli che sono i punti cardinali – Levata, Meditazione, Confessione – Certificato della Confessione – Ritiro spirituale o Esercizio della Buona Morte –, o non siamo più religiosi ed il Signore non ci benedirà (Riun. 27 agosto 1937).
Vedi anche: Pietà, Preghiera.
Predicazione
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Ieri fui dal Vescovo, ho anche predicato ai chierici alla Madonna di Montespineto e la Madonna mi ha aiutato tanto tanto, forse voleva far sentire un po’ di dolcezza per le grandi feste che Le si fanno, a me e a loro (Scr. 10,3).
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Sono stato a Gavazzana dopo pranzo: non poterono ballare: la predica del dopo pranzo riuscita a me poco soddisfacente, riuscitissima quella della sera agli uomini in dialetto, finita verso le dieci: mi pare che si sia potuto fare un po’ di bene, almeno si è elevato di molto, per quanto mi è parso, il sentimento della religione: è il Signore che proprio ha voluto aiutarmi in un modo grande (Scr. 10,12).
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Non ho più voce per predicare – e anche Goggi e gli altri che furono qui lo sanno – ché talora mi manca a metà l’oremus della benedizione (Scr. 10,129).
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Ho scritto a don Sterpi che porti a Vostra Eccellenza Rev.ma la reliquia del Beato Stefano Bandello, che le ho promesso nell’ultima. Per questo caro Santo io ebbi, fin da quando andavo a predicare a Castelnuovo, una speciale devozione, ed a lui avevo raccomandato me stesso e le prediche che facevo in quel paese, tanto più che quel vecchio pulpito era ancora lo stesso su cui aveva predicato il Beato (Scr. 11,42).
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Domenica, 18 corr. ho predicato tre volte in brasilero, leggendo e dal pulpito della Parrocchia ho rivolto in brasilero il saluto ufficiale alle Autorità e alla popolazione, con esito benedetto da Dio. Già tutte le Autorità compreso il Deputato, sono venute a farmi visita e così le Signore più distinte e il corpo degli insegnanti. E Deo gratias! (Scr. 14,103).
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Ieri ho predicato: ho fatto una bella sudata, che mi ha fatto molto bene. La voce m’è durata sino alla fine, senza sforzo. Deo gratias! (Scr. 16,87).
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E la tua predicazione, come va? preparati, preparati sempre: e pensieri e idee e affetti e non chiacchiere. I banditori della divina parola sono cooperatori di Cristo; ma essi devono fare quanto possono per prepararsi alla predicazione con la preghiera e lo studio; e mai devono esporsi a predicare male preparati. La predicazione di Gesù Cristo fu semplice, piena di serietà, di sapienza e di santità. Così tu sai come devi fare e da chi devi imparare (Scr. 24,248).
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Mi conforto con te e con tuo fratello della grazia ricevuta dalla Madonna SS.ma Anch’io tornavo da Viguzzolo il 16 a sera (febbraio) dopo avere predicato a S Sebastiano la mattina e poi due volte a Viguzzolo e caddi da un carretto, tra le due ultime gambe del cavallo e le due ruote del carretto e rimasi miracolosamente illeso e senza una scalfittura (Scr. 29,28).
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È dal 18 sett.bre che predico in portoghese; ieri che era domenica, ho predicato più volte: ho detto due Messe, una qui e l’altra a 16 chilometri di qui, dove giunsi alle 12½, in un paese dove non c’è sacerdote. Quello che faceva da parroco, ora già di età, andò a Rio per certe cure e non tornerà più. Tutta la gente stava aspettandomi, e, quando mi videro comparire, si misero a sventolare i fazzoletti per la gioia. Erano là ad aspettare da tutta la mattina, povera gente! E la loro Chiesa è uno squallore e mi venne da piangere e sull’altare ho giurato ancora una volta al Signore di essere un buon sacerdote, vedendo tutta la fede di quel popolo abbandonato. La Chiesa era cheia (piena), ed hanno cantato, ed io a quei canti piangevo di amore a Dio e alle anime e di dolore di vedere quel popolo senza un sacerdote che battezzasse i loro bambini, che confortasse i loro malati, che benedicesse le tombe dei loro morti! (Scr. 33,4).
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Sono stato via di casa a predicare su, verso Cabella, a Cantalupo, a Rocchetta, a Zebedassi, un corso di Esercizi a Borgo Adorno, poi a Montù Beccaria e a Novi [Ligure] per quattro giorni. Alle tue lettere non si poteva rispondere da don Sterpi, per le condizioni stesse; ti avrei scritto io dal Giarolo, ma mi son trovato là in mezzo alle foreste (Scr. 35,64).
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Non sto anche bene, soffro gran mal di reni e bisogna che non lo dica, per non affliggere chi mi sta attorno. Oramai non potrò più predicare, dopo due o tre prediche, mi trovo come disfatto. Proprio 15 giorni oggi ero a Novi, dove, bene o male, quella domenica ho predicato tre volte, una a S. Andrea e due alla Pieve che facevano l’anniversario della incoronazione della Madonna, nella domenica della maternità. Ma, dopo l’ultima, scesi sudatissimo e stanco che non né potevo più. Sono sceso dal pulpito verso le 5 ½ pom. e mi sono incamminato per andare a Novi con due ragazzi. Ma il collegio non era ancora aperto e non avevo che di cambiarmi. A Novi trovo il Can. Perduca, giunto appositamente da Tortona con un telegramma, erano le 6 passate e alle 6½ ecco che dovetti partire per le Marche (Bologna – Ancona), senza neanche poter fermarmi a Tortona (Scr. 35,127).
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Io non sospiro altro che di ritornare tutto tra i miei ragazzi e fare le sante missioni per le nostre montagne. Prega il Signore che mi faccia questa grazia e ti prometto di venire a predicare anche a Cabella [Ligure], ma non più con delle prediche così lunghe, come quella là della festa di Santa Caterina (o San Giovanni, mi pare) almeno, o lì o a Savignone, quando c’era don Bianchi, che avete dovuto venire a tirarmi la veste per farmi discendere dal pulpito (Scr. 35,227).
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Se proprio vedi di non poter differire le Quarantore, fa’ il piacere domani sera di posticipare più che sia possibile perché alle 3 dopo pranzo ho la predica a Passalacqua. Dopo con una vettura verrei a Volpeglino (Scr. 44,85).
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Quanti ritorneranno a Dio, dopo anni ed anni, sentendo i preti parlare con amore dell’Italia e sentano di essere ancora cristiani a loro insaputa e, per taluno, forse suo malgrado! Io l’ho visto anche a Buenos Aires, dopo aver parlato nella Chiesa degli italiani, tenuta dai Salesiani, là almeno c’è una Chiesa per italiani dove si fa il Vangelo e si predica nella nostra lingua, ebbene io feci una vera predica, non una conferenza, una predica sulla Madonna e dopo si empì la sacristia, era gente delle nostre parti e più d’uno – e anche giornalisti pur lontani troppo dalla pratica cristiana, che dopo aver sentito quel pezzo di predica da missionario di montagna, una cosa la più comune, ebbene quei buoni uomini gli italiani si sentiranno così commossi nella loro fede e mi pregavano di lasciarmi abbracciare per il breve conforto dato alla loro vita spirituale (Scr. 45,173).
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Ritorno adesso da Castelnuovo, ove sono stato per la Santa Messa e Vangelo al posto di don Cabella assente: quest’oggi dovrò ritornarvi per un po’ di predica sul Sacro Cuore. Qui le cose vanno bene, ma c’è molto lavoro e mi accorgo d’aver fatto niente ancora, tanto è quello che doveva fare: ho promesso ieri al Signore di mettermi sul serio a servirlo (Scr. 54,24).
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Vengo ora solamente a ringraziarla della sua carità, perché in questi giorni ero a Garbagna e a Sorli a predicare. Sì, prego e farò anche pregare per V. Signoria e per le sue carissime figlie Rachele e Teresa. Che il Signore Nostro Gesù apra le sue misericordiosissime braccia e dia a lei e alle sue figliole ogni più grande benedizione e conforto (Scr. 54,172).
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Carissimo don Bariani, Sai che sono stato al tuo paese a predicare? Si fece un ufficio solenne a suffragio dei caduti e vi ho fatto due discorsi e poi alcune parole per i morti in guerra. Ho guardato, ed ho pregato guardando il camposanto e ho applicata la Messa per Alfonso, ma ho suffragato anche l’altro, il papà di Agostino. Poi sono andato a predicare a Cegni e a Casanova (Scr. 59,80).
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Accetto di venire quest’inverno a farti le Quarantore. Non potrò più predicare tanto per il male di cuore, ma da te ci vengo volentieri, bisognerebbe non fissarmi il tempo (Scr. 66,38).
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26 luglio: Dopo pranzo vado a predicare ad Oliva [Gessi] sulla Madonna della Cintura. Il 26 luglio, a Volpedo, collaudo organo nuovo. 2 agosto: Applicazione della Santa Messa: libera; alle 9:20 parto per Ronco [Scrivia], predica della Madonna. 5 agosto: Applicazione della Santa Messa: a Costa [Serina] predica Madonna Neve. 6 agosto: Alle 9 di sera a Pozzolo [Formigaro] per un triduo (6, 7 e 8). 9 agosto: La predica a Pozzolo Formigaro sull’Addolorata. 16 agosto: A Pozzol Groppo a fare la predica di San Lorenzo. 4 ottobre: Messa e predica sul rosario a Golferenzo o io o altri (Scr. 66,304–305).
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Ho solo bisogno di conoscere a che ora sarebbe la predica: conoscere preciso giorno e ora. Finché posso accettare, accetto sempre: se poi vedessi che non m’è affatto possibile, telegraferò o scriverò e Lei si tenga pronto. L’avverto che non ho più voce, caso mai predicherò con i gesti e amen, Dio farà il resto (Scr. 66,436).
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Quando hai scritto la tua lettera il 28/12/1898 io ero gravemente ammalato. Ero tornato a casa pochi giorni prima da una faticosissima predicazione e sette od otto ore di confessionale, avevo viaggiato tutta la notte sotto la neve, a piedi per 25 chilometri! Sono giunto a casa e sono svenuto fra le braccia dei miei figlioli! (Scr. 66,448).
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Ella mi scrive che, per la predica, potrei venire al 1 dell’anno. Ora mi faccio premura di scriverle, perché è successo quanto segue: nella lettera che le ho scritto, per pura dimenticanza, non l’ho avvertita che io al 1 dell’anno dovrei essere a far le sante Quarantore a Moneglia, dove incominciano appunto il 1; perciò se ella non ha ancora avvertito in Chiesa – la prego a non avvertir niente. La mia predica non farà male alle Quarantore di S. Giovanni, ma aiuterà a riuscir meglio, perché cercherò di tirar anime a confessarsi (Scr. 85,11).
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Grazie a Dio ho fatto buon viaggio, sto bene e sul buque [nave] ho predicato la Passione e la Morte di Gesù Cristo, Nostro Signore, per circa un’ora e mezza a tutto l’equipaggio riunito, dal Comandante all’ultimo mozzo e Dio misericordioso ha benedetto la mia parola: sia onore e gloria a Dio solo (Scr. 97,230).
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Se nulla capiterà, verrò domenica con lei; il Vescovo manda uno a Volpedo; non ho mai fatto Missioni in forma, ma un po’ di qui, un po’ di là, qualche predica con i Missionari, ma non Sante Missioni; non ho mai assistito ad apertura di Sante Missioni, né fatto, quindi, discorso analogo, prego perciò a volermi dispensare dal 1° discorso; non ho neanche libri e di prediche scritte non ne ho, quindi ne porti lei. Le dico le prediche che avrei pronte così, tolte dal Rossi: una sulla bestemmia, una sulla disonestà, una sul rispetto umano, una sulla confessione, poi sulle anime del purgatorio, poi sull’educazione dei figli, poi sulla salute dell’anima, tolta dal Biamonti, poi una sulla vanità delle cose del mondo e necessità della religione. Ecco, tutto il mio repertorio è finito (Scr. 101,40).
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Mio caro D. Piana, Sono tornato ieri sera da una predicazione e perciò rispondo solo adesso alla tua lettera. Il 28 e 29 c. vado con un Pellegrinaggio alla Guardia presso Genova e il 30 sarò libero. Se puoi, vieni in quel giorno perché il 31 dovrò andare per un discorso alle Società Cattoliche della diocesi che si riuniscono a Pontecurone con il Vescovo Ausiliare (Scr. 115,234).
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Nella predicazione siano le vostre parole semplici, fluiscano dal cuore e dal labbro semplici, ma ardenti e appassionate: desiderate una sola cosa: portare le anime alla conoscenza e all’amore di Dio. Evangelizziamo i contadini, gli operai, i poveri. Non siate solo predicatori, ma facitori, cioè sempre pronti a servire il prossimo con opere di misericordia, come serviamo Dio con opere di fede, di adorazione e di suppliche (Scr. 120.120).
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Una volta predicavo un Quaresimale a Sale, dove c’era un arciprete che ci teneva ci fossero molte persone. Una sera parecchi buoni sacerdoti, stavano riuniti attorno ad una tavola, con una buona bottiglia davanti... Eh! Così! Poveri sacerdoti, e stavano discorrendo tra loro. Essi credevano che io dormissi, perché avevo confessato, predicato; ero proprio stanco e si dicevano: «Chissà perché quello lì che non ha studiato, attira la gente più di noi, che abbiamo tanto di laurea in teologia?». Io che non dormivo, ho aperta la porta ed ho detto: «Ve lo dico io il perché! Io sono povero, ho patito la fame, il freddo, la fatica; voi invece siete signori; se anche voi aveste patito questo, trovereste quelle certe parole che fanno del bene: il popolo capisce che sentiamo come lui, che come lui soffriamo, il popolo sente lo spirito di nostro Signore» (Par. I,194).
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Pochi anni fa un sacerdote predicando le Missioni a Castelnuovo Scrivia era arrivato all’ultima sera di predicazione. Al mattino c’era stata la comunione generale, ma dopo la benedizione con il Crocifisso ritornando in sacrestia, trovò che ancora c’erano tanti uomini toccati dalla grazia di Dio dall’ultima predica, che si volevano confessare. La stessa sera, poi, quel Sacerdote doveva far ritorno alla sua casa... Il tempo era pessimo, c’era all’intorno tutto coperto di neve, anzi nevicava... Camminando vide davanti a sé un’ombra nera che si avvicinava verso il suo sentiero, la stessa strada. Era un uomo. In breve il sacerdote lo raggiunse, perché camminava svelto, e, passandogli accanto, diede la buona notte al viandante... ma nel suo cuore era pieno di timore, temendo che quell’uomo fosse poco di buono. Qualche momento dopo però si sentì chiamare; il sacerdote si voltò e quell’uomo disse: Reverendo, vorrei dirle una parola. Lei è il predicatore, vero? Ebbene, io ho sentito la sua ultima predica, dove parlava della misericordia di Dio; e questa sera lei disse che il Signore perdona anche a chi avesse messo il veleno nella scodella della propria madre, purché vi sia il pentimento sincero. Ebbene, padre, io ho messo il veleno nella tazza di mia madre; vi era discordia fra mia moglie e mia madre e io ho ucciso mia madre... E, aperte le braccia, confessò le sue colpe e quell’uomo ebbe misericordia da Dio! (Par. II,19).
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Aspetto che mi diano la Chiesa del Crocifisso per aprirvi un corso di prediche in dialetto per soli uomini. Avremo degli uomini di Tortona che mai si sono confessati che andrebbero a confessarsi. A Casalnoceto in tempi in cui ci era il parroco a capo di un partito e tutto il paese era sottosopra, essendo andate a male le Missioni, mi venne un’idea di parlare in dialetto. Ne confessai di uomini per due notti e due giorni. Chi era venti anni, chi venticinque, chi trent’anni che non si era confessato. A Castelnuovo con Don Semino si predicava in dialetto e avevamo la Chiesa di Castelnuovo piena, Chiesa che è grande più di quella di Tortona. Se alla fine del Giubileo mi invitano, io predicherò in dialetto in Duomo (Par. III,107).
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Come nostro Signore Gesù Cristo usava similitudini, così anche noi dobbiamo predicare al popolo con similitudini, senza andare nelle nuvole. Usare linguaggio semplice; prepararsi per predicare, prepararsi per fare più bene; non predicare impreparati o alla apostolica, che non è alla apostolica, ma alla stolida, cioè da stolti (Par. VI,280).
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A Montecalvo c’era tanto da lavorare; c’era da confessare e da predicare di giorno e di notte agli uomini e quella predicazione mi è rimasta impressa e la ricordo volentieri; ma quel buon Parroco mi trattava bene e mi dava, prima della predica, del vino buono, che si fa lassù, che mi confortava lo stomaco e io domandavo il permesso di metterlo nella minestra perché mi sosteneva la voce e non solo lo stomaco. Un’altra predicazione in quella vallata la feci a Volpara per la festa patronale che è la Madonna Addolorata alla III Domenica di settembre... Lo spunto della predica era la frase scritturale: gemitus matris tuae ne obliviscaris. Mi ricordo che il Parroco mi diede la stola di Don Mejninger, prete tortonese di grande carità e troppo presto dimenticato, al quale è dedicato l’Orfanotrofio delle Suore di San Vincenzo... e mi regalò anche un teschio con il quale predicavo mettendomelo sul pulpito... Questa stola deve esserci ancora e anche il teschio... Ricordo che, essendo la festa patronale piantarono il ballo pubblico a poca distanza dal cimitero. Ed io cominciai la mia predica con queste parole: dal ballo al cimitero breve è il passo e ogni tanto nella predica ritornavo a ripetere: dal ballo al cimitero breve è il passo. Anzi alla fine poi della predica, dissi al popolo: Ripetete con me: Dal ballo al cimitero breve è il passo... Il ballo si tenne ugualmente ma di giovanotti e di figliole della Volpara non ne sono andati... Andarono invece a ballare dai paesi vicini... Avvenne che proprio sul principio del ballo una signorina svenne e morì poco dopo. Io mi credevo di aver fatto delle belle prediche (si ride) ma questo fatto è valso più di tutte le mie prediche (Par. IX,290–291).
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Predicavo le Missioni a Castelnuovo Scrivia: Castelnuovo si può dire che è stato il mio campo di battaglia; spesso vi predicai per feste, novene, Quaresimali e vi feci parecchie Missioni, tanto che ero chiamato “il predicatore”. E la gente mi voleva bene; e anche adesso ci vogliono bene; quelli di allora sono morti, ma forse, per il ricordo del po’ di bene che là si è fatto ci ricordano ancora volentieri (Par. XI,325).
Vedi anche: Apostolato, Missioni.
Preghiera
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Dove non c’è spirito di orazione, dove non c’è pietà, dove non c’è fervore di vera vita religiosa, c’è da aspettarsi catastrofi, scandali e diserzioni. Questo tenetevelo bene in mente, quale criterio direttivo per regolarvi. La presente è anche per P. Cesare al quale la farete leggere: non si ammetta mai ai Voti né a rinnovare i Voti né si dia l’abito, se non a chi ha dato prova di pietà soda, di umiltà, di spirito di sacrificio e di orazione, e sia di vita illibata (Scr. 1,274).
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Riconfortati dunque sempre ai piedi del Signore e nella orazione, e intensifica nei tuoi lo spirito e da vita religiosa, e tutto il resto, naturalmente, vedrai che verrà da sé. Prega, e raccomandati umilmente alla Madre nostra, e vedrai che il Signore ti sarà vicino. Ti sarà vicino, e restaurerà tutte le cose tue personali e le deficienze dei tuoi fratelli sovra misura, se anche essi Lo pregheranno, e mi vorranno sentire, o, meglio, sentiranno il Signore (Scr. 4,239).
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La prima carità dobbiamo farla a noi stessi; dobbiamo pregare di più: lo dico a me, lo dico a voi, lo dico a tutti i nostri: dobbiamo pregare di più, coltivare di più la pietà, l’umiltà, la dipendenza, la docilità di spirito, e lo spirito religioso Vae nobis! si fons devotionis et humilitatis in nobis siccatus fuerit! Guai a noi, noi perduti, se la sorgente della pietà e della umiltà si sarà inaridita in noi, o andrà inaridendosi! (Scr. 4,261).
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Preghiera, lavoro e temperanza sono tre perle preziosissime che devono risplendere sulla fronte e nella vita di ogni Figlio della Divina Provvidenza. Preghiera, lavoro e temperanza: ecco ciò che farà fiorire davvero la nostra cara Congregazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire Unione con Dio – faticare per le Anime – mortificare il corpo colle sue passioni e mortificare la gola! Oratio – labor et temperantia: che vuol dire tutta la vita dei Figli della Divina Provvidenza! In queste tre virtù c’è tutta la nostra vita! Non c’è per noi altra vita: Non c’è altra via per farci santi. Non c’è altro modo né miglior modo per amare e servire Dio, per imitare Gesù Cristo: per servire davvero la S. Chiesa e il Papa Non c’è altra né miglior via per imitare la Madonna, per esserle devoti sul serio – per amarla davvero! Non c’è altra via per servire e salvare le Anime! Non c’è altra via per essere veri e santi Religiosi (Scr. 4,261).
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A questo spirito si deve unire un grande spirito di orazione: fin qui io ho pregato poco: bisognerà che per l’anima mia e pel bene della Congregazione preghi molto molto di più. I Santi trovavano le loro delizie nell’orazione. Che Nostro Signore si degni di mettermi bene ferme le Sue Sante Mani trafitte sulla testa, e assistermi malgrado tanti miei peccati, e non abbandonarci mai e poi mai! Io confido proprio nella SS.ma Vergine per questa grazia che oggi Le ho chiesto, per me come per tutti voi (Scr. 13,100).
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Bisogna che noi stiamo molto vivi nello spirituale e mortificazione di noi e fervorosi nella vita di religione e nella orazione vigilanti, perché se anche gli Apostoli fuggirono, quando venne l’ora della potestà delle tenebre, perché non pregavano, che sarà di noi se non pregheremo e non staremo vigilanti nella vita di religiosi? Curate che codesta Casa sia di gloria di Dio: che ci sia in tutti la S. grazia di Dio e l’osservanza religiosa e la disciplina nell’amore di Dio (Scr. 25,85).
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Pregate molto e fate pregare secondo le mie intenzioni: io prego per voi tutti, specie per le più malate, ogni giorno. Nostro Signore Vi conforti di ogni grazia, e avanti in umiltà, preghiera, carità compatimento reciproco e spirito di sacrificio. Dio pagherà tutto. E San Giuseppe, dove lo lascio? Ah pregatelo tanto tanto questo nostro celeste Provveditore, e pregatelo anche per me! Vi benedico in Gesù e Maria SS.ma, voi e tutti. Umile servo Sac.te L. Orione dei figli della Div. Provv.za. Sto bene, grazie a Dio, sono affocato di lavoro, Deo gratias! Pregare pregare – pregare! (Scr. 27,122).
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Bisogna che in questa Congregazione si preghi da tutti di più. Il fervore dell’orazione è da anteporsi allo studio, come quella da cui l’uomo religioso trae la sua vita – I Santi trovavano la loro delizia nell’orazione – Chi lascia la preghiera. «Chi lascia l’orazione, lascia la vocazione». Dobbiamo essere altamente persuasi dell’infinito bisogno che abbiamo della grazia di Dio, e non cessare di pregare Dio di darcela – Bisogna pregare bene e molto. Domus Orationis: homo orationis Maledictus homo qui facit opus Dei negligenter. Il Fariseo e il pubblicano del Vangelo. Necessità della preghiera: La preghiera e Gesù Signor Nostro – Il Pater – L’Ave Maria – La Salve Regina – Quello che è importantissimo è che non si deve giammai abbandonare l’orazione e lo spirito di orazione (Scr. 28,106).
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Arriveremo a fare del bene davvero, e davvero alla santità, ma a condizione di pregare e di pregare bene, e molto bene. E non contentiamoci di pregare noi soli: nostro dovere è di indurre tutti i subalterni e il personale delle nostre Case a pregare: dobbiamo essere maestri d’orazione e di pietà. La preghiera è l’ossigeno spirituale La regina delle grazie, è la grazia di pregare e pregar bene: non diamoci pace finché non avremo ottenuta questa grazia. Prostriamoci sovente davanti al Tabernacolo, e diciamo a Gesù: Effunde, Domine Jesu, super domun istam et super habitatores ejus spiritum gratiae et praecum (Zachar. XII – 10) E preghiamo: adagio: colle dovute pause, con vera e non simulata devozione. Poi: compostezza della persona, pronunzia chiara e distinta pronunzia devota (sopra tutto: elevatio mentis et cordis ad Deum – non ho più tempo – Et pro me orate – E così per il modo di dire l’ufficio (Scr. 28,107).
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Voi, o mio caro don Cesare, non avete bisogno di ragionamenti, ma di pregare, o caro Cesare, di pregare, di pregare, e di pregare, e fare atti incessanti di umiltà, preghiere e sospiri che vengano dal profondo dell’animo. Il demonio da voi non ha paura che di questo: che preghiate e che vi abbandoniate, come deve un buon figliuolo e un buon religioso, nelle mani dei Superiori colla confidenza di un fanciullo (Scr. 33,31).
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I Santi trovavano le loro delizie nell’orazione, perché lo spirito di orazione è veramente quello che alimenta il fuoco interiore e dà la vita all’anima. Onde molto e molto mi raccomando alle vostre orazioni, ed io farò lo stesso per voi, caro Padre Serra! (Scr. 33,163).
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Quello che potrò fare e che farò ben volentieri è pregare. Preghiamo con umile fede, e Dio ci aiuterà. Quando io prego, sento la voce di Dio nel profondo dell’anima e sento Dio che cresce in me. Tutta la vita è vuota e vana e arida, quando non prego; mentre se prego, sento crescere in me l’amore della giustizia, del bene, della verità, e sento svilupparsi l’uomo e il sacerdote, secondo lo spirito e la carità del Signore. Oh sì che pregherò per lei, signora Contessa, e voglio pregare sempre! Cioè avere sempre Dio presente, e parlarGli sempre, ed elevare ogni pensiero, ogni parola, ogni azione a lui e vivere degno di lui – perché questo è pregare – unirmi a lui (Scr. 50,199).
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In mezzo alle grandi fatiche da Lui sostenute nella evangelizzazione delle moltitudini, Gesù non dimenticò mai l’orazione. L’immagine del Divino Maestro, il quale in mezzo alla predicazione si ritira sul monte a meditare e a pregare, sia la nostra immagine prediletta. Ricordiamoci, o fratelli, che, pur nel lavoro della vita attiva, non cessa per noi l’obbligo dell’orazione. E l’orazione che ci eleva a Dio, ci fa parlare con Dio, ci unisce a Dio, ci santifica in Dio. L’«ottima parte» e l’«unica cosa necessaria» è, prima di tutto, la nostra santificazione. Tutti i cristiani hanno il dovere di pregare, ma noi più di tutti, noi l’abbiamo per ufficio il dovere di pregare (Scr. 51,110).
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Noi sacerdoti, dallo stesso nostro Sacerdozio siamo costituiti uomini di orazione. La Chiesa è Domus orationis, il sacerdote deve essere Homo orationis. Ah se noi sacerdoti fossimo tutti uomini di orazione, il mondo miei fratelli, il mondo intero sarebbe convertito. Omnipotens est eratio. Le pure mani del sacerdote di Gesù Cristo non si levano mai verso il cielo senza farne discendere le grazie: le grazie mancano, perché mancano le orazioni dei sacerdoti. Ma abbiamo noi lo spirito d’orazione? Questo spirito è sommamente necessario a noi sacerdoti, e religiosi per di più, San Paolo dice che lo Spirito Santo prega nel cuore dei santi, gemitibus inenarrabilibus. Tale è lo spirito d’orazione: esso prega sempre nel fondo dell’anima. Segno di avere lo spirito d’orazione è avere il petto e il cuore affocato e infiammato d’amore di Dio e del prossimo (Scr. 51,111).
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Lo spirito d’orazione è tale spirito che ci porta fuori di noi stessi, distrugge tutte le cose terrene, le cose finite, e non lascia regnare che Dio solo. I Santi trovarono le loro delizie nell’orazione. La grazia dell’orazione è la grazia delle grazie: se la domandiamo a Dio istantemente con tutto il cuore, ce la farà, e ci faremo santi. L’orazione ci insegna il modo di diventare uomini di orazione. Certo costa il mettersi ad una vita di orazione, ma questo esercizio più si pratica, diventa sempre più facile e dolce, diventa un esercizio di pietà soavissimo (Scr. 51,112).
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Noi possiamo piantare e innaffiare, ma Dio solo può dare l’incremento. E però il mezzo più efficace di riuscire nelle nostre opere, di aiutarle e farle prosperare è sempre quello di pregare con umiltà e fervore, e di supplicare Dio a benedire le nostre fatiche. Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. La umiltà e obbedienza nel lavoro, la vita intemerata, la rettitudine d’intenzione e la preghiera fervorosa e costante saranno sempre i grandi mezzi per ottenere il sigillo di Dio sulle nostre fatiche (Scr. 52,114).
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Se siamo uomini d’orazione, giungeremo a tutto, perché il Signore non ci può negare nessun bene spirituale, se glie lo domandiamo sine intermissione. Tutto si ottiene coll’umile, intensa e perseverante orazione – S. Scolastica e Benedetto. Con essa si vincono tutti i nemici – S. Tommaso – Mosè sul monte. Chi seguita a pregare, è certo di ottenere ogni cosa: questo è il sicuro mezzo di divenir santo – Coll’orazione si può far tutto: senza orazione non si fa niente – È coll’orazione che si fanno le cose – Gesù San – Stefano. S. Benedetto muore pregando. I Santi, vivono e muoiono pregando (Scr. 55,185).
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Pregare! Quando Gesù ricordò ai suoi D. e in essi a tutti noi, l’obbligo universale e perpetuo della preghiera, non diede ragione del suo precetto, ma parlò con tono d’autorità: Oportet et semper orare (Luca XVIII) Bisogna pregare sempre – Bisogna! la risposta è già in noi perché bisogna vivere. La preghiera è la legge suprema di ogni vita, tanto più di ogni vita cristiana. Ogni vita partecipata (non c’è che Dio che non riceva niente da altra vita) deve, pena l’esaurimento, comunicare colla sua sorgente e riceverne continue effusioni. Sotto qualunque riguardo, l’uomo ha vita partecipata, deve dunque comunicare con Dio, da cui trasse la vita come la corrente d’acqua colla sorgente, come la pianta colla terra dove ha germogliato. L’uomo deve darsi a Dio come il bambino si attacca al petto della madre, ed attingere dalle viscere così ricche e feconde del Padre Celeste le correnti della vita. Ora il mezzo per l’uomo di comunicare con Dio, di darsi a Dio, è la preghiera (Scr. 55,203).
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L’orazione è di tutte le filosofie la più sublime, di tutte le scienze la scienza più istruttiva. È la scienza delle scienze, la sola che faccia l’uomo contento e felice. Il fervore dell’orazione è da anteporsi a qualunque studio, come quella da cui l’anima cristiana trae la sua vita. Pregare e saper pregare, cioè domandare non cose frivole, ma la gloria di Dio, il santo amore di Dio, le cose a noi necessarie, le grazie per adempiere ai nostri doveri di giustizia e di carità, è il grande segreto che molti sanno in teoria, ma che, purtroppo, pochi praticano. La Beata Paola Frassinetti trovò la sua delizia nell’orazione. Lo spirito di orazione è veramente quello che alimenta il fuoco interiore e dà la vita all’anima (Scr. 55,204).
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Chi seguita a pregare per i beni spirituali è certo di ottenere ogni cosa – Con l’orazione si può far tutto senza si fa nulla – Nei combattimenti spirituali. È con l’orazione che si fanno le cose. Noi possiamo piantare e innaffiare, ma Dio solo può dare incremento; dunque pregare con fervore e costanza – l’arma principale di cui abbiamo bisogno è l’orazione (Scr. 55,205).
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L’orazione è l’elevazione della mente e del cuore a Dio, è il respiro dell’anima in Dio. La meditazione è la riflessione sopra qualche grande verità morale o dogmatica. Ma il grande ostacolo a questa pratica è che nella meditazione si dorme o si divaga: due debolezze che dobbiamo prendere di fronte e vincere, col divino aiuto (Scr. 55,206).
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La preghiera è l’arma poderosa – la chiave d’oro – l’anello che lega la terra al cielo – la misteriosa scala di Giacobbe – la debolezza di Dio e la nostra forza (Scr. 55,207).
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La preghiera eleva la mente e il cuore a Dio e, uscendo da cuori umili, sinceri, fervidi, è dagli Angeli portata al trono di Dio, e torna gradita al cielo come il profumo dell’incenso. È la preghiera che ci avvicina e ci unisce a Dio, e dà allo spirito quella calma e forza sovrumana per cui si giunge a tutto, si può far tutto. Noi piantiamo ed innaffiamo, ma essa è il sole che colla sua luce e col suo calore dà l’incremento ad ogni opera. Dirò di più: la preghiera compie in noi una vera trasfigurazione dell’anima in Dio, che si riverbera talvolta anche nell’aspetto esteriore. Quando l’anima non può più contenere in sé la piena della luce divina, allora la irradia tutt’intorno e, dov’essa passa, lascia dietro sé quasi una scia luminosa. Avete voi mai avvicinato qualche anima tutta di Dio? Non v’è parso allora di sentirvi come rifatti e in una atmosfera di serenità calma e raccolta? non avete sentito spirare d’intorno a voi un’aria di soavità spirituale e dolcissima che vi animava la vita, che vi sollevava alla bontà, alla virtù, che avvolgeva quasi anche voi in quell’aureola luminosa e vi confortava a lavorare, a patire, ad amare tutti, a far del bene a tutti, a far del bene sempre? (Scr. 55,208).
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I Santi trovavano le loro delizie nell’orazione – San Paolo I ai Tessalonicesi (Salonicco) – Sine intermissione orate – ai Colossesi: perseverate nella preghiera – pregare, fondandoci sui meriti di Gesù Cristo tantum valet quantum orat. Se siamo uomini di orazione giungeremo a tutto, il Signore non ci può negare nessun bene spirituale. Coll’orazione si può far tutto: senza orazione si fa niente. Nisi Dominus aedificaverit domun. Noi possiamo piantare e innaffiare, ma Dio solo può dare l’incremento: neque qui plantat etc. L’orazione è simile al sole, che colla sua luce e calore avviva la vegetazione e matura i frutti più saporiti. La vita intemerata e la preghiera sono i due gran mezzi con cui si ottengono tutte le grazie. Chi prega poco fa poco bene: chi prega molto fa molto bene. Chi prega si salva chi non prega si danna. Tasso – Manzoni – La Pentecoste – Madre dei Santi – Domus mea, domus orationis – la Chiesa prega – liturgia, divino ufficio – Messa pei vivi e pei morti – il Sacerdote è la bocca della Chiesa – Famiglie religiose dedicate alla preghiera sono una sorgente immensa di grazie. Tutti i Santi furono uomini di orazione e trovavano le loro delizie nella orazione. S. Benedetto – laus et labor (Scr. 55,209).
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La preghiera è la vita dell’anima, e riposo per lo spirito e per l’anima è la preghiera. La preghiera è la vita dell’anima, vita spirituale, vita intellettuale e buona, che si raccoglie e si ritempra alla sorgente che è Dio. Il riposo, morale e intellettuale, è un tempo di comunione con Dio e con le anime, e di gioia in questa comunione. Noi alla sera siamo naturalmente portati a levare lo sguardo e lo spirito verso il cielo. Noi dobbiamo far parlare il silenzio. Consacriamo altamente a Dio la sera, come il mattino. Consacriamo il riposo, il silenzio della sera alla conoscenza di noi, all’amore di Dio e delle anime colla preghiera: mettiamo la nostra anima in comunione con Dio: sia un silenzio riparatore che risarcisca Dio e raddoppi la forza e la fecondità del lavoro per la giornata che viene (Scr. 55,218).
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A te, o anima pia! Dio fa tre chiamate ad ogni anima che vuol essere Sua: agire, soffrire, pregare. Agire senza debolezze e senza amor proprio. Soffrire senza lamentarsi né degli uomini né delle cose. Pregare senza stancarsi della lentezza che Dio mette nell’esaudirci (Scr. 57,102).
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Pregherò e farò pregare: più vado avanti e più sento che con l’orazione si giunge a tutto. È proprio con l’orazione che si fanno le cose; farò pregare da tante parti, e, se questa cosa piace al Signore, vedrà che andrà (Scr. 58,140–141).
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Dobbiamo ora pregare, e aspettare con fede, poiché Dio pare che, in certe particolari circostanze, non abbia miglior modo d’istruire e di preparare i suoi figli che quello di farli aspettare. È ciò, del resto, che è inculcato tante volte nelle divine Scritture, in casi – (per certi aspetti) – simili al nostro, ove si dice: expectare Dominum, sustinere Dominum. E vedo che Lei dice molto bene che è necessario sovra tutto pregare. Anch’io ho fatto cominciare qui a Monte Mario una novena, e aspetto, restando tutto nelle mani della sapientissima e divina Provvidenza del Nostro buon Padre Celeste, pieno di confidenza in Lui e nel Suo Vicario in terra. Speriamo nel Signore e nella Sua Chiesa, e non resteremo confusi in eterno (Scr. 65,73).
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Con prontezza ordinate il letto e piegate con esattezza e pulizia tutte le cose vostre, dicendo da soli al Signore tutto il vostro amore e facendo santi proponimenti per la giornata. Indi insieme scendete le scale con la cantinella e l’asciugamano e recitando insieme l’inno Veni, Creator Spiritus! Dopo esservi lavati, nel salire insieme le scale, recitate uniti l’Angelus Domini o il Regina Caeli. Cappella 4 e ¼. Dato il segno, si discende in chiesa recitando il Magnificat ed esaltando, con tutto l’affetto di figli affezionatissimi, la Santissima Vergine Madre di Dio e Madre di noi, poveri peccatori. Si dicano le preghiere del mattino, aggiungendo nel Vi adoro le parole: «Vi ringrazio d’avermi chiamato allo stato ecclesiastico». Il Vi adoro si reciterà profondamente inchinati in segno di reale adorazione a Nostro Signore che è nell’Eucaristia. Si assiste alla Santa Messa recitando il rosario e le litanie lauretane: il rosario è da morto e per le sante anime del Purgatorio ogni qualvolta la Santa Messa sia da morto. Nel tempo più prezioso della Santa Messa, cioè alla Consacrazione e alla consumazione e quando Gesù sarà nel vostro cuore, pregherete per il Santo Padre e per la libertà della Chiesa, per Mons. Bandi, sotto cui sorse per divino aiuto questa povera casa, per quello che sarà Vescovo di Tortona e per tutti i sacerdoti, secondo l’intenzione del superiore dell’Opera della Divina Provvidenza e per i maggiori bisogni spirituali e temporali delle nostre case e specialmente di questa comunità di Tortona e, in ultimo, vi supplico di ricordarvi anche di me e di pregare per la salute eterna dell’anima mia, promettendo io di pregare sempre per voi in tutti i giorni della mia vita, ed anche dopo morte, se piacerà a Nostro Signore di usarmi misericordia e di prendermi con sé, come Lo prego ogni dì e come ogni giorno ho sperato per i meriti della Sua passione e della Sua santa morte. Dopo la Messa il chierico più avanti negli ordini sacri legge la meditazione e, dopo questa prima lettura, un altro chierico rileggerà una seconda volta il tratto già letto... Detto l’Agimus, escono di cappella, recitando il Te Deum laudamus, fino allo studio in comune. Alle 7 e 1/4 ricreazione e colazione, dividendosi tra i giovani; alle 8 studio o scuola, procurando di occupare bene il tempo per fare la volontà di Nostro Signore e rendervi strumento meno inabili nelle Sue sante mani... Alle 12 si discende al pranzo, recitando il De profundis e Angelus Domini coi giovani... Dopo pranzo i chierici usciranno primi dal refettorio e, in fila, s’avviano alla cappella recitando insieme il Miserere e dietro loro vanno i giovani. Visita brevissima a Gesù. Indi ricreazione e studio... Ore 7 e 3/4 cena: si discende recitando il De profundis e in silenzio e tutti uniti e in fila. Ore 8 e 3/4 preghiere della sera: esame di coscienza della giornata, come fosse l’ultimo della vostra vita. Ore 9, con perfetto silenzio si sale in camera. Si recita il salmo Miserere d’in ginocchio presso il letto e tre volte il Requiem, in fine: indi tre volte il Cara Madre, Vergine Maria, con l’Ave. Con tutta modestia baciate la terra e con tutta modestia vi spogliate, pensando che tutto finisce quaggiù, e che forse quella notte potrebbe essere l’ultima per voi (Scr. 69,376–378).
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La preghiera infonderà ai nostri costanza di propositi e cristiana. Mentre Satana insidierà alla innocenza nostra e si tanti nostri compagni, noi andremo stringendoci alla Croce imporporata del Sangue di Cristo che ci farà sempre dividere con te le... e morire ai tuoi piedi anziché rinnegare la nostra...La preghiera unirà i nostri cuori in un sol cuore col tuo: salverà la nostra fede e la nostra virtù, sarà l’arma della vittoria. La preghiera ci francherà da chi tenta sedurci e dal vizio la nostra fede e la virtù. La preghiera c’infonderà fortezza di carattere cattolico per resistere all’inclinazione ed al vizio, che trascina la gioventù ed il mondo (Scr. 75,270).
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Preghiamo! Oh! se tu sapessi, cos’è pregare! Oh se Dio ti accordasse la grazia di amare la preghiera! Come la tua anima sarebbe serena ed il tuo cuore buono! Come brillerebbe sul tuo viso la gioia dolce e piacevole, anche se le lacrime sgorgassero dai tuoi occhi! Pregare è, anzitutto, col primo grido che sgorga dal cuore e dalle labbra, un avvertire Dio che vogliamo parlargli, e Dio ha la bontà di essere sempre disposto ad ascoltarci; e – come osare a dirlo? colla puntualità e l’esattezza d’un servo fedele, a questo primo grido della preghiera; Egli si mostra all’anima con un amore ineffabile: Eccomi, dice, a te che mi hai chiamato; che cosa vuoi da me? Pregare, è un restare durante tutto il tempo che dura la preghiera, in compagnia di Dio, come in visita presso di Lui, colla certezza che non si annoia mai, qualunque siano gli argomenti dei quali si parla, le domande che gli si fanno... anche quando, non gli si dice niente, e, ad esempio del buon paesano di cui parla il Curato d’Ars, ci si accontenta di guardare Dio, e di essere guardato da Lui (Scr. 79,22).
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Pregare è fare presso il buon Dio ciò che fa il bambino presso sua madre, il povero presso il ricco avido di fargli del bene, l’amico presso colui al quale preme mostrare il suo affetto. Pregare è tenere in mano la chiave di tutti i tesori celesti è penetrare in mezzo alla gioia, alla forza, alla misericordia, alla bontà divina... è ricevere in tutto il proprio essere, come la spugna immersa nell’oceano, ricevere senza sforzo l’acqua che la circonda, quella gioia, quella forza, quella misericordia, quella bontà e portarsela con sé stessi. Oh! sì, se tu sapessi pregare, se ti piacesse pregare, come la tua vita sarebbe dolce, utile, fruttuosa, meritoria! Non vi è nulla che elevi l’anima come la preghiera! Dio, che si è abbassato in certo qual modo fino all’anima, la fa salire lentamente con sé nelle regioni della luce e dell’amore, e, finita la preghiera, l’anima ritorna al suo lavoro quotidiano, coll’intelligenza più pronta e con la volontà più attiva. Preghiamo, anime buone, preghiamo! (Scr. 79,23).
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Infelice chi non prega! Egli non ha Dio con sé. Nelle lotte della vita, nelle amarezze, nella povertà, nelle malattie, nell’abbandono degli amici e dei parenti, di fronte alla morte egli è solo... Ogni giorno le gazzette portano nomi di persone che, stanche della vita, vi pongono fine coll’orribile delitto del suicidio. In qualche caso si tratta di alcuni pazzi, ma, in generale, si tratta di persone, che, perduto da anni l’uso di pregare, in un momento di dolore, davanti ad una disdetta, trascinati da una passione, non seppero far ricorso a Dio, che avrebbe dato loro aiuto e forza. E qual sarà la loro sorte nell’eternità? Beato chi prega! Egli è assistito continuamente da Dio, e colla forza che gli viene dal cielo vince le tentazioni, supera le prove. Non vi è dolore che la preghiera non riesca a raddolcire (Scr. 80,22).
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Niente di più facile che pregare. Basta pensare a Dio, parlare con Lui, esporgli le nostre miserie, i nostri bisogni, i nostri desideri. Il Divino Maestro poi ci ha insegnata la più bella di tutte le preghiere, quella che esprime tutto ciò che noi possiamo desiderare e chiedere a Dio: il Pater noster. Il medesimo Maestro Divino ci ha insegnato come dobbiamo pregare nelle tribolazioni: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice, però non la mia, ma la tua volontà sia fatta». E quanti libri di preghiera c’insegnano come intrattenerci con Dio! Un terzo si scusa così: non prego perché non ho tempo. Oh! si richiede molto tempo per dire un po’ d’orazioni al mattino e alla sera, per pregare in tempo della Messa? Si può pregare senza interrompere i lavori, anche solo col cuore... Vi sono 168 ore nella settimana, e non ne troverete una da dare a Dio, da pregare Dio? (Scr. 80,24).
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Non manca chi dice: non prego perché non ci provo nessun gusto. Ciò avviene perché non preghi di cuore: borbotti parole e parole, ma non pensi a ciò che dici. Vi è ancora chi si lamenta: ho provato a pregare, ma non ho ottenuto niente. Risponde S. Agostino: o hai domandato cose cattive, o almeno per te nocive, o hai domandato malamente, cioè senza fiducia, senza umiltà, senza perseveranza. Molte volte crediamo che Dio non ci abbia esauditi, mentre Egli ci ha già preparato grazie ancora maggiori di quelle che gli abbiamo domandato (Scr. 80,25).
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Dio non esercita il suo potere che sulle creature, ma la preghiera agisce infallibile anche su Dio stesso: “Dio obbedisce alla voce dell’uomo”. (Giov. X, 14). E la preghiera non è solo mezzo certo di salute, ma il mezzo necessario. Due verità essenziali abbiamo: non possiamo salvarci che per la grazia: non otteniamo la grazia, in via normale, che per l’orazione. Pretendere di salvarci con le nostre forze, o di avere l’aiuto da Dio, senza implorarlo, è presunzione colpevole. Quel Gesù che disse: senza di me, nulla potete fare, (Giov. XV,6), disse pure: dovete pregar sempre, e non stancarvene mai. (Luca, XVIII, I). Ora, poiché la grazia è un bisogno la preghiera è, necessariamente, un dovere. Dovere essenziale, che non ammette scuse, e che non può essere surrogato, poiché essa medesima supplisce al resto, ed è necessaria sull’adempimento degli altri doveri. Ma che è la preghiera? È l’elevazione della mente e del cuore a Dio: è un cantico di lode al Signore, è un’impetrazione continua dei celesti favori, di cui sempre e tutti abbiamo bisogno, onde San Paolo scrisse: Non cessate mai di pregare. (I.a Tess., V, 17). È la preghiera che ci mette in comunicazione con Dio; e la sua necessità si rivela subito poiché è da essa che abbiamo la luce divina, la forza sovrumana, il coraggio del bene, la serenità nelle tribolazioni, un sentimento, una calma celeste che si riverberano talvolta anche nell’aspetto esteriore della persona: è un fatto che nulla tanto impone quanto una persona che prega. Niente è più inculcato dal Vangelo quanto la preghiera. Gesù stesso noi lo vediamo quasi continuamente in orazione. Non sicuramente per sé ma per noi, per noi egli pregava e, mentre si faceva nostro intercessore, si faceva pure nostro modello. I Santi trovavano le loro delizie nell’orazione. il grande segreto della santità sta nella carità e nell’orazione. La più eccellente di tutte le preghiere è quella che ci venne insegnata da Gesù Cristo: il Pater Noster, che, mentre è la più perfetta, e anche la più semplice, la più facile. La preghiera non esige ingegno, non studi: non suppone che la fede: suo libro è il nostro cuore! È una scienza singolare che si acquista ai piedi di Dio. (Deut. XXXIII, 3). Ma, dunque, perché tante preghiere non sono esaudite? Perché non sono fatte con lo spirito e nel nome di Gesù Cristo. Primo carattere della preghiera è che deve fari in nome di Gesù, per sua intercessione, in virtù dei suoi meriti. Non v’è che il Divin Salvatore del quale possa dirsi con San Paolo: Ch’Egli è stato esaudito pel diritto dovuto alla sua persona (Hebr. V, I.). Pregando così, si può far tutto, non pregando così, si fa niente: è colla preghiera umile che si fanno le opere di Dio! (Scr. 82,25).
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Pregare e saper pregare, cioè domandare con tutto il cuore, non le cose frivole di questo mondo, ma le cose necessarie, la grazia di adempiere ai nostri doveri di giustizia e di carità, è il gran segreto praticato dalle anime veramente di Dio. I Santi trovarono sempre le loro delizie nell’orazione. L’orazione è di tutte le filosofie la più sublime, di tutte le scienze la più istruttiva; e la grazia dell’orazione è la grazia delle grazie. Coll’orazione si può tutto: senza orazione, nulla si fa di buono avanti a Dio. L’anima tanto vale quanto prega! e, chi non prega, non ama Dio! (Scr. 82,180).
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Come gli Apostoli un giorno andarono a Gesù e umilmente gli chiesero: “Maestro, insegnaci a pregare”, perché si sentivano incapaci di innalzare all’Altissimo la lode degna, ripetiamo noi pure la medesima domanda a Colei che di Gesù è mistica Sposa e dello Spirito Santo tempio: insegnaci a pregare, o Santa Madre nostra, Chiesa di Cristo! Se dal cuore della Chiesa uscirà un cantico sempre antico e sempre nuovo, il più gradito al Signore, il più efficace per la nostra santificazione, quel cantico che da venti secoli si innalza dalla terra al cielo per adorare, ringraziare, riparare, impetrare! Insegnaci a pregare, o Santa Madre nostra! La Chiesa – in risposta a questa domanda – metterà nelle nostre mani dei libri un po’ severi ma bellissimi: il Messale, il Breviario, il Rituale... libri che ci fanno pregare come prega il Sacerdote e che ci insegneranno a capire quello che fa il Sacerdote (Scr. 104,223).
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Ricordiamo ancora che, chi fa orazione, mantiene la vocazione, va avanti e si perfeziona nella virtù e arriva a farsi santo, cioè ad un grande amore di Dio; ma chi non facesse orazione fallirà e tradirà la sua vocazione miseramente. Del resto, si pretenderà di andare in paradiso in carrozza? (Lett. II,267).
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Pregate, pregate, pregate! Quando scese lo Spirito Santo sugli Apostoli? Forse quando erano sulla soglia del Tempio a predicare, oppure quando operavano miracoli? Niente di tutto questo; lo ricevettero mentre si trovavano raccolti nel Cenacolo perseverando nella preghiera. Anche la vita di Gesù Cristo che dev’essere, in tutto, il nostro modello, il nostro Maestro, non è stata una continua preghiera? Nel Vangelo si dice che passava le notti in orazione. Infatti, non crediate che solo la vigilia della sua morte si recasse a pregare nell’orto degli Ulivi; invece era cosa abituale per lui. Il sacro testo ci riferisce che anche nell’agonia continuava a pregare. Egli certamente pregava per noi, perché per sé non ne aveva bisogno; lo faceva inoltre per essere anche in questo il nostro modello. In quella notte medesima dell’agonia disse agli Apostoli aggravati dal sonno: Vigilate et orate: vegliate e pregate affinché non entriate in tentazione. In molti punti del Vangelo si raccomanda la preghiera, preghiera continua, perseverante, anche importuna: Oportet semper orare: è necessario pregar sempre (Par. I,91).
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Se la preghiera è necessaria per tutti, lo è tanto più per i religiosi. Voi, buone figliole del Signore, siete venute qui per seguire più da vicino il Divin Maestro; avete quindi maggior bisogno di lumi e, per conseguenza di preghiera. Per i religiosi direi la preghiera deve essere l’arma del mestiere; difatti anche voi avete sempre osservato che i sacerdoti più zelanti sono uomini di preghiera; così le suore migliori, che vivono più secondo lo spirito di Dio, sono tutte persone che amano la preghiera. I santi furono tutti uomini d’orazione. San Giacomo Apostolo, vescovo di Gerusalemme, che morì martire, a forza di stare in ginocchio a pregare aveva la pelle delle ginocchia dura come il cuoio. San Martino Vescovo di Tours, mentre era in agonia, l’anima sua non poteva lasciare il corpo per la forza dell’orazione. Ma che andiamo a cercare nei Santi? Torniamo alla scuola di Gesù Cristo che insegnò lui stesso, ai suoi Apostoli, il modo di pregare dicendo loro: Pregherete sempre cosi: Pater noster... Infatti questa è la preghiera più eccellente caduta dal labbro, anzi uscita dal Cuore di nostro Signore... Preghiamo, preghiamo sempre, preghiamo bene! (Par. I,92).
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La Vergine Santissima di Lourdes apparve portando tra le mani il Santo Rosario e facendo passare i grani fra le sue dita: pregava, come avesse voluto insegnarci a pregare. La preghiera è la catena d’oro che ci unisce a Dio. Con la preghiera otterremo forza per vincere i nostri nemici, per resistere alle tentazioni e perseverare nella nostra santa vocazione restando sempre fedeli al Signore. Nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo, di nessuna cosa ha parlato tanto, nessuna ha tanto consigliato quanto la preghiera; e pregava Egli stesso per insegnarci a pregare (Par. I,159).
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La preghiera è l’arma poderosa con la quale noi potremo vincere le battaglie contro il demonio e contro le nostre passioni; è l’arma invincibile. La preghiera, disse un grande filosofo e santo, è la chiave d’oro che ci apre la porta del paradiso; e Sant’Alfonso de’ Liguori dice che la preghiera è un gran mezzo di salvezza, e pubblicò al riguardo un libro intitolato: Del gran mezzo della preghiera per conseguire la salute eterna. La preghiera è l’anello che lega la terra al cielo. Giacobbe in visione vide una scala che saliva al cielo e vide su questa una infinità di angeli; angeli che salivano dalla terra al cielo, angeli che scendevano dal cielo alla terra. Gli angeli che salivano dalla terra al cielo portavano a Dio l’incenso delle nostre preghiere. Gli angeli che scendevano dal cielo alla terra portavano le grazie del Signore. Il profumo dell’orazione apre la mano di Dio e ci ottiene le grazie; la preghiera è la nostra forza; noi diventiamo onnipotenti sul Cuore di Dio, quando preghiamo; noi riusciamo ad ottenere tutto da Dio, il quale, davanti alle nostre preghiere, nulla nega. La preghiera è la forza nostra e la debolezza di Dio (Par. II,46).
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San Tommaso definisce l’orazione: (latino) Elevatio mentis in Iesum: l’elevazione della mente e del cuore a Dio. Perché la preghiera non sta solo nel pronunziare quelle date formule a Dio, ma sta nell’elevazione del cuore a Dio. Il Signore non ascolta le preghiere fatte con la bocca; ma vuole la elevazione del cuore. Anche un nostro grande poeta, il Parini, che era sacerdote, in un suo scritto di educazione civile, fisica e anche religiosa, in una bellissima ode, dice: È d’uopo, Achille, alzare nell’alma il primo altare. Non bisogna pregare materialmente, localmente; il culto a Dio deve partire dal cuore, il culto di Dio deve venire dallo spirito. Se l’anima tace, poco importa se parla la bocca. Il Signore ha bisogno di un cuore loquace. San Tommaso definiva la preghiera elevazione del cuore, perché la preghiera deve essere fatta con affetto. Chi pensa solo per sé, non ama; e se la preghiera deve essere elevazione della mente, deve essere soprattutto elevazione del cuore. I santi, che pregavano così bene, andavano in estasi; lo spirito traeva a sé il corpo... Dio non concede le grazie a chi non prega. E senza l’aiuto di Dio noi non siamo nulla. E Gesù nel Santo Vangelo ha sempre inculcato, ha sempre consigliato, ha sempre comandato la preghiera. Gesù pregava sempre. Vediamo quanta preghiera nella vita di Gesù. Gesù pregava, Gesù pregava e pregava tanto; oh, come pregava il Signore! Pregava di giorno, pregava di notte: si ritirava nel deserto a pregare; si ritirava nell’orto degli ulivi e pregava; entrava nel tempio e pregava; pregava mentalmente, pregava vocalmente, con la bocca, in modo vitale. Pregava vitalmente, perché la sua vita, le sue azioni erano tutte una consacrazione all’amore divino (Par. II,47).
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Ricordiamo che il Signore pregava, anche noi dobbiamo pregare e dobbiamo pregare con insistenza, con umiltà e non stancarsi mai. San Carlo Borromeo pregava sempre e quanto bene faceva. Non è vero che chi prega non lavora. Chi prega lavora, chi prega acquista tanta energia morale per lavorar meglio. San Carlo Borromeo voleva che le persone religiose pregassero, e pregassero sempre. Perché San Pietro ha rinnegato tre volte il Signore? Perché non ha pregato abbastanza. Perché Giuda ha tradito il Signore e non si è pentito? Perché non ha pregato. Il Signore disse: In verità, in verità vi dico se domanderete qualche cosa al Padre mio, in nome mio, vi sarà dato. Più la nostra preghiera sale al cielo e più discende dal cielo la misericordia di Dio (Par. II,48).
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Gesù per significare l’efficacia della preghiera c’insegna a pregare, a chiamare Padre il Signore che è nei Cieli, e ci ha persino insegnato fa forma della preghiera con cui dobbiamo pregare: O Padre nostro che sei nei cieli... È tanto necessaria la preghiera che Gesù ha voluto insegnarcela lui. La preghiera del Pater noster è tanto necessaria che si dice anche nella Santa Messa. Per animarci a chiedere, Gesù ha detto: Se un figlio chiede al padre del pane, forse che il padre gli darà un sasso? E se un figlio chiede al padre del pesce, forse che gli darà uno scorpione? Il padre darà pane e pesce, perché nulla oserà negare al figlio. Oh! La preghiera è necessaria! Gesù invitava alla preghiera gli Apostoli nell’Orto degli Ulivi. Diceva loro: Vigilate e pregate. Gesù pregava anche in Croce! Si racconta di un imperatore che, entrando un giorno in coro di certi frati che pregavano, si accorse che la sua presenza non era stata notata da nessuno di loro, tanto era il fervore che li teneva raccolti. La regina Elena, la nostra regina, disse a me un giorno che faceva pregare i principini con gli occhi chiusi, perché non si divagassero. Capite, una donna scismatica, che si è fatta cattolica, fa’ pregare i propri figli con gli occhi chiusi, perché non abbiano ad essere divagati. Tutte le grazie il Signore le dà con la preghiera e tutti i santi hanno tanto pregato (Par. II,49).
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Siamo uomini di orazione! Come ci sono gli uomini degli affari che si occupano del commercio, come ci sono gli artisti, gli uomini d’armi, e altri, così ci sono le persone sacre, le persone religiose, le persone di preghiera. La nostra vita deve essere consacrata alla preghiera! Oggi, venendo qui da voi, ho trovato una buona signora, che avvicinandosi a me mi ha parlato e mi disse in ultimo; preghi per me. E perché mi disse così? Perché noi dobbiamo essere uomini di orazione. E come ci sono le caserme, le case dei soldati, le scuole per quelli che studiano, le case di commercio, così ci sono le case dei religiosi, e specialmente le Chiese. Sopra le Chiese sta scritto: La mia casa è casa di orazione. E quando Gesù vide che del tempio si era fatto un mercato, fustigò tutti i profanatori e, cacciando via quei sacerdoti, cosa ha detto il Signore? – La mia casa è casa di orazione, e voi ne avete fatto una spelonca di ladri – Vedete che lezioni ha dato Gesù a noi sacerdoti e a voi, mie buone suore. In Chiesa si deve pregare e le persone di orazione siamo noi. Le persone si raccomandano a noi, perché preghiamo per loro, perché? Perché sanno che la nostra vita è consacrata alla preghiera (Par. II,50).
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La nostra preghiera dev’essere fatta con fiducia, dev’esser umile, dev’essere perseverante. Si deve pregare con fiducia, con umiltà, con perseveranza; pregare sempre, pregare oggi, pregare domani, pregare sempre. Fra gli altri uffici il Signore ha dato a me l’ufficio di essere un po’ il mortificatore vostro e di quelle di voi che il Signore chiama alla sua sequela. E quando vi sentite mortificate, pregate, pregate. La penitenza si fa soffrendo e baciando la croce. Le mortificazioni che ci riserviamo noi, avranno il loro merito, ma quelle che ci vengono dagli altri ci fanno sante. Quando vi sentite deboli, pregate; quando avete l’animo in desolazione pregate, quando state ferme, quando camminate, quando lavorate, pregate, pregate sempre! Pregate per voi, pregate per le vostre consorelle viventi, per quelle che sono già morte, pregate per i peccatori, pregate per i vostri superiori, pregate per tutto il mondo, pregate; chi prega si salva, chi non prega si danna! Con la preghiera molto si ottiene. Gesù Cristo ne ha dato l’esempio: ha cominciato la vita pregando nel tempio di Gerusalemme, è morto pregando. Sia la preghiera il più grande balsamo delle vostre ferite, il più grande conforto nella vostra vita! (Par. II,53–54).
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Chi lascia l’orazione lascia la vocazione! Mi è stato chiesto di uno: Perché è caduto? Non pregava. Ma non contentiamoci solo di pregare noi, vediamo che tutta la casa preghi, con fortezza, con pronunzia chiara e devota. La preghiera è l’ossigeno spirituale. Manteniamo robusta la vita dell’anima dei nostri. Dobbiamo essere maestri di orazione e di devozione. Non diamoci pace finché non avremo ottenuto da Dio questa regina delle grazie: la grazia di pregare e di pregare bene, di condurre le anime a Dio con la preghiera. Far pregare e pregare bene. Ogni Casa sia "Domus orationis". "Orate, fratres, orate pro me". Noi possiamo piantare e innaffiare, ma Dio solo può dare l’incremento; e, perciò, il mezzo più efficace di aiutare le opere nostre, le nostre fatiche, è quello di pregare con fervore e costanza. L’orazione è come il sole che dà la luce e il calore, ravviva la vegetazione e matura i frutti insapori. Come deve essere la nostra orazione? Preghiera umile, calda, confidente, fervorosa e perseverante. L’orazione (meditazione – vocale – Breviario – S. Messa) sia fatta con regolarità e con la comunità. È più efficace in unione coi fratelli. S. Teresa diceva che la meditazione è una pura comunione d’amicizia per mezzo della quale l’anima si trattiene da sola a sola con Dio, e non si stanca di manifestare a Dio il suo amore (Par. III,33c).
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Se la preghiera è solo una risonanza di voci, non è più preghiera. Se la preghiera non sgorga da un cuore che sente la preghiera, non è vitale, è una cosa che può piacere agli orecchi, ma non è preghiera. Il Signore, parlando degli Ebrei, dice: Labiis Me honorant, cor autem eorum longe est a Me... Quando vi raccoglierete per pregare, dovete eccitare nel vostro cuore sentimenti corrispondenti alla preghiera che state facendo... È d’uopo alzare nell’animo il primo altare. Deve essere sentita la preghiera. Si deve sentire che è un soffio di devozione che vivifica la preghiera. L’animo si apre alla grazia, come il fiore apre la corolla al bacio del sole (Par. III,77–78).
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Stasera vengo a dirvi con parole brevi, semplici, per non annoiarvi, che chi prega, cioè chi fa orazione, mantiene la vocazione, chi non prega la perde. Vi raccomando tanto tanto di pregare o, quando vengono momenti di fiacchezza morale, vi raccomando di pregare. Non tutti i giorni sono lieti, o miei chierici e probandi, e quindi bisogna sforzarsi di pregare. Bisogna che vigiliate sopra di voi, e fuggite le persone che vi possono far del male: quei compagni che vi hanno dato occasione di prendere brutti voti o vi hanno fatto mancare alle regole. Vigilare e pregare per non entrare in tentazione (Par. III,237).
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Quanti chierici hanno bisogno di imparare da noi preti a pregare bene, adagio, insieme, all’unisono, senza farsi tirare, senza correre avanti. Che possiate edificarmi a ricevere buon esempio, non solo dal devoto atteggiamento esterno ma anche dal pregare. Quanto fa bene vedere che i religiosi sono tutti compresi a ricavar frutto da questi giorni di grazie speciali... Ciascuno veda di prendere gli appunti delle istruzioni e delle meditazioni. Si fa questo in scuola, per meglio apprendere la scienza; tanto più si deve fare per comprendere la scienza di Dio e il bene dell’anima... Uno dei modi per sentire il gusto della preghiera è quello di sforzarci a pregare molto e pregare bene. Al tempo dei riflessi, quando ognuno ha finito di fare quelle riflessioni che crede bene per l’anima sua, venga a pregare brevemente anche da solo o a fare delle letture spirituali; e bisogna in esse cercare quello che muove il cuore (Par. IV,313).
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La pietà è il più prezioso tesoro del religioso. Abbiate santo Timor di Dio. Con l’amore di Dio tutto diventa facile e dolce, anche l’amaro. Curate nelle Case molto lo spirito di orazione. Pregare, pregare, pregare. Chi prega si salva, chi non prega si danna. La preghiera fa un buon religioso. Pregate con umiltà, con dolore; che le nostre Case siano Case di preghiera (Par. V,97).
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Pregate, pregate bene, pregate con umiltà e sforzatevi di pregare; non pregate pro forma. Non dev’essere, la preghiera, un formulario matematico. San Tommaso dice che la preghiera è un’elevazione dell’anima a Dio. Non siate come quegli Ebrei di cui Gesù disse: con la bocca mi onorano, ma col cuore sono lontani da me. Amate la preghiera! Gesù non ci domanderà un giorno s siamo stati uomini di affari, ma se siamo stati uomini religiosi, sacerdoti di preghiera (Par. V,219).
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Dobbiamo pregare, pregare, e pregare molto, senza le preghiere siamo un nulla, ma con le preghiere tutto otteniamo, tutto si avvera. Che cosa è, che cos’è la preghiera? È l’arma contro cui nessuno potrà vincere, è l’elevazione dell’anima a Dio; con essa parliamo con Dio e Dio ci ascolta sorridendo. Ecco il mezzo efficacissimo per ottenere la grazia singolare della purezza, per renderci servi fedeli di Maria Immacolata (Par. V,332).
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Un uomo religioso vale tanto quanto è grande il suo spirito di unione a Dio e lo spirito di preghiera. Pregare sempre, preghiera di fatti; preghiera fattiva, come la chiamava San Francesco di Sales. È meglio non pregare che fare della preghiera un formulario vocale: una metà, un terzo; ma quel poco bene! (Par. VI,6).
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Siamo nella Quaresima, mortificatevi: in essa dovete pregare. Questo è tempo accettevole, dato dalla Chiesa, specie per quelli che vogliono servire Dio più da vicino, perché abbiano da disporre il nostro cuore alle grazie che ci vuol fare. Vi ripeto che è tempo di mortificazione e di preghiera e vi raccomando nuovamente di pregare. Come è commessa la vocazione all’orazione, lo sapete; colui che lascia l’orazione, lascia la vocazione. Le grazie il Signore le fa, ma vuole che le chiediamo. Mi raccomando tanto la preghiera, vi raccomando molto la mortificazione dei sensi, della fantasia, della gola. Si deve proprio amare l’abnege temetipsum. La preghiera e la mortificazione devono servire a mantenerci sempre più puri (Par. VI,38).
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Noi diciamo: bisogna pregare. Tutto, tutto abbiamo da Dio, quindi chi vuole vivere da vero religioso e Figlio della Divina provvidenza, oltre che il dovere come creatura di Dio e opera della sua redenzione, deve pregare Perché dobbiamo pregare? Perché abbiamo il nostro essere da Dio e tutto abbiamo da lui, come il rio del fiume vive della vita della sorgente, e la pianta vive la vita del terreno ben coltivato e profondamente radicato. Se la pianta non continua ad avere la partecipazione che viene dal terreno, la pianta si secca; così è la nostra vita. Quando l’uomo interrompe la sua relazione con la fonte della vita, che è Dio, la vita si infiacchisce e muore (Par. VI,228).
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La preghiera è una necessità; Dio è sempre grande, anche quando fa le cose piccole. Che cosa è la preghiera? I teologi la definiscono: Petitio convenientium nobis, petitio ad Deum: domanda a Dio di cose che ci convengono o che ci sono utili o necessarie. Questi teologi strisciano per terra. Tommaso con volo di elevazione a Dio, definisce la preghiera: Assumptio, elevatio mentis ad Deum; sublimazione, elevazione della mente, del cuore, degli affetti, dello spirito a Dio. Eleviamo la mente, il nostro spirito a Dio in adorazione. Egli è il nostro Creatore, il nostro Redentore, il nostro Padre, il nostro sostegno, il nostro aiuto. Rivolgiamoci a Dio come figli al Padre. La preghiera è un bisogno, la preghiera è un bisogno! L’uomo è portato naturalmente a pregare, a rivolgersi a Dio. Inutile dire che non si può vivere senza pensare e rivolgersi a Dio. Cicerone diceva: “Troverete una città senza mura, senza teatri, senza gladiatori, senza civiltà, ma non troverete mai un popolo senza Dio (Par. VI,229).
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La preghiera ci unisce a Dio. Si lavora anche con le mani giunte, il lavoro è anche preghiera; quindi non è necessario stare sempre in Chiesa, ma indirizzando a Dio tutte le nostre azioni, preghiamo. Pregare è parlare con Dio, parliamo con Dio e preghiamo sempre; preghiamo per la Chiesa, per il Papa, per i vescovi, per la Congregazione, per i Confratelli, per tutti. E per i nostri confratelli, specialmente quando uno vacilla nel bene o è ammalato. Vir religiosus tantum valet quantum orat. Guai a colui che crede di poter fare senza l’orazione; finisce col fallimento. Chi lascia l’orazione, lascia la vocazione. Senza preghiera non si fa nulla, con la preghiera si riesce a tutto. Chi prega poco fa poco bene; chi prega molto fa molto bene; chi non prega affatto non si salva, ma si danna. L’orazione è simile al sole che illumina la terra, la riscalda coi suoi cocenti raggi, matura la frutta. La preghiera ci dà la pazienza, ci conforta e ci sostiene nell’avversità, ci unisce al Signore, dà merito al lavoro, e porta la chiave del paradiso. L’anima senza preghiera è come la terra senza acqua e senza vegetazione. La preghiera deve essere umile, fiduciosa, fervorosa, pia, costante, perseverante. Leggete Del gran mezzo della preghiera, e l’Importanza della preghiera di Sant’Alfonso. Perché disse Gesù: orate sine intermissione? Petite et accipietis; pulsate et aperietur vobis”; “pulsate importune et inopportune”... Perché volle mostrarci l’importanza e la necessità della preghiera (Par. VI,233).
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Quando Gesù ricordò l’obbligo di pregare disse: “oportet semper orare”, senza darne la ragione. Come è necessario respirare per vivere, per vivere spiritualmente bisogna sempre pregare, in modo particolarissimo il Figlio della Divina Provvidenza, figlio di fede, deve pregare sempre. L’uomo vive una vita partecipata, come il rivo partecipa della sorgente. Se cessa la sorgente, il letto del rio resta arido. Dio è Colui che è, bastante a sé. Come il ruscello secca quando manca la comunicazione con la sorgente, così l’uomo, quando interrompe la comunicazione con la fonte della vita, che è Dio, e la vita spirituale illanguidisce. Stare unito a Dio con i Sacramenti che sono i canali della grazia e con la preghiera che è sorgente principale della grazia e della vita. San Tommaso disse: “Da questo libro, dal Crocifisso, ho tratto la mia vita, e la summa”. Si partecipa alla vita di Dio con la preghiera e con la Confessione, seconda tavola di salvezza; la santa Comunione poi, ci deifica. Ecco perché Gesù non diede ragione del dovere della preghiera perché questa è insita in noi (Par. VI,298).
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Il religioso vale quanto prega. Con la preghiera si fa tutto; senza preghiera non si fa niente. Chi fa senza orazione, fallisce. Dio deve benedire le nostre opere. San Bernardino da Siena non lasciò la preghiera per l’apostolato. Chi lascia l’orazione lascia la salvazione e la vocazione.; e chi prega molto, fa molto; chi poco, fa poco. Chi prega si salva e chi non prega si danna. La preghiera è come il sale, che dà sapore ai piatti; la preghiera è la chiave del paradiso; la preghiera è di necessità assoluta per salvarsi perché porta a Dio. La forma spesso vale poco, specie nel popolo, noi stiamo alla forma della Chiesa. Gli amici della preghiera sono i nostri direttori di spirito e i nemici sono le distrazioni, l’invilupparsi delle cose di fuori; specie il peccato è il nemico capitale. Non dico il peccato grave, ma anche solo il veniale voluto. Nelle nostre occupazioni non dobbiamo rubare il tempo alla preghiera: senza la preghiera l’anima è come un campo arido. L’anima senza preghiera è secca e fa crepa; e dalle crepe saltano fuori i rospi. Stare al vangelo, nella preghiera umile, confidente (Par. VI,301).
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Pregate, cari miei Chierici! Bisogna pregare! Tanto si vale quanto si prega! Tanto si riesce quanto si prega! E se molte volte avviene che si ottiene senza pregare, l’uomo allora edifica un sepolcro a sé stesso. Dice il Tasso: Non edifica quei che vol gli imperi su fondamenti fabbricar mondani... Ma ben move ruine, ond’egli oppresso sol costrutto un sepolcro abbia a sé stesso! (Tasso, Canto I, v. 25... lo recita a memoria) Questi versi del Tasso sono la traduzione del Nisi Dominus aedificaverit domum, invanum laboraverunt qui aedificant eam. Non mettete il vostro primo impegno nelle lettere; non il vostro primo impegno nelle scienze, neppure nella filosofia, né nella teologia come scienza a sé stessa; ma il vostro primo impegno mettetelo nell’orazione, nella preghiera (Par. VII,58).
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Non so capire, né saprei capire, un Figlio della Divina Provvidenza senza pietà! Bisogna studiare molto, ma pregare moltissimo. Senza la preghiera non si entra in Paradiso! Il nostro lievito è la preghiera, è lo spirito di pietà, è, come direi, il sole di tutta la nostra vita (Par. VII,110).
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Preghiera e lavoro” deve essere tutta la nostra vita. Spiegherò soltanto la prima parte. Lavorare e pregare, elevare lo spirito al Signore, la mente a Dio; pregare non consiste nel ripetere le formule materiali, anzi quello è il meno: l’essenza della preghiera è l’elevazione dello spirito a Dio: “Elevatio mentis ad Deum” dice San Tommaso, cioè preghiera è tenere sempre lo spirito in alto... Le divine Scritture ci raccomandano di pregare sempre: cioè bisogna tenere sempre la mente, lo spirito elevato al Signore: “Oportet semper orare = bisogna sempre pregare”. Non si potrà tenere sempre le mani giunte e le ginocchia piegate; non si potrà, anzi non si dovrà, ma si dovrà orare, pregare sempre, elevare la mente al Signore, trasformare tutte le nostre azioni in preghiera (Par. VIII,140).
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La preghiera è, come dice San Tommaso, una “elevatio mentis in Deum”; si può quindi pregare sempre, perché sempre si può alzare la mente, il pensiero al Signore: quando si lavora materialmente, quando si studia, quando si cammina, quando si gioca, quando si mangia... sempre si può pregare! e sempre dobbiamo pregare, come dice il Signore: Orate sine intermissione (Par. VIII,216).
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Guai se lo spirito di pietà e di preghiera si sarà spento in noi! Chierico tiepido, sarà sacerdote freddo, sarà un blocco di ghiaccio che farà affondare le anime. La Chiesa è Domus orationis. Domus mea domus orationis est – disse il Signore –; ma la casa di orazione implica uomini di preghiera. E chi saranno questi uomini di preghiera e di orazione se non i religiosi, se non quelli che aspirano all’altare? Come si sarà sale della terra, sal terrae, se non avremo spirito di pietà e di preghiera? (Par. IX,396).
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Bisogna sempre pregare, e mai tralasciare, venir meno nella preghiera! Ma se bisogna pregare sempre, vi sono dei momenti particolari, nella vita, nei quali, specialmente, l’anima ringrazia Dio, invoca aiuto, chiede grazie con calore tutto speciale. Ora, tutti dobbiamo pregare; l’ha detto il Signore; “Oportet semper orare! Ma in questi giorni, la carità fraterna vuole che ci ricordiamo dei nostri compagni. Sono, questi giorni di Esercizi, “dies salutis”, il tempo accettevole, il tempo prezioso in cui Dio parla al cuore, tempo di raccoglimento nel quale Dio fa sentire la sua voce. La preghiera è la legge universale degli spiriti, e specialmente di chi intende fare vita cristiana (Par. XI,15).
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Che cos’è la preghiera? Secondo la morale cristiana la preghiera è “elevatio mentis in Deum”. Ma gli scolastici danno un’altra definizione della preghiera; dicono che è “Petitium decentium” cioè la domanda di cose utili, che fanno bene, si sa, soprattutto, all’anima. Sono due definizioni, queste, che non sono opposte, ma anzi si completano. La preghiera è quindi l’elevazione del cuore a Dio; l’omaggio quindi che l’uomo dà a Dio. Ma non è solo omaggio, è anche richiesta di conforto, di aiuto, di grazie... Ora noi, in questi giorni, dobbiamo invocare la grazia di Dio per i nostri fratelli, perché egli ascolti i loro gemiti. Essi gemeranno in questi giorni... Sicuro, i primi sei giorni sono quelli in cui si deve scrutare tutto l’operato della vita passata, in cui si getta lo scandaglio della propria anima, in cui si piange il passato. Dobbiamo pregare il Signore che ascolti la loro voce. Invochiamo lume e grazia, per loro, di rialzarsi e mettersi sul retto cammino, se qualcuno si fosse sbandato, se si fosse raffreddato nella vita cristiana o nella vocazione. Chiediamo per essi, se si trovano in particolare bisogno della grazia e dell’aiuto di Dio. Nel corso degli Esercizi il Signore apre tutta l’abbondanza dei tesori della sua misericordia; dobbiamo dunque pregare perché i vostri fratelli abbiano a rinascere a una vita nuova; sicché tutto in loro sia nuovo; “Nova sint omnia, corda, voces et opera! (Par. XI,16).
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Bisogna avere la volontà forte e decisa, e pregare per vivere nella santa perseveranza. Dice Gesù: “Chi pone mano all’aratro e poi si volta indietro non è fatto per il regno dei Cieli”. La perseveranza in fatto di vocazione, dice Sant’Alfonso dei Liguori, dipende dall’orazione. Bisogna pregare, pregare, pregare. Un filosofo cristiano, e come cristiano! e profondo! e come profondo! malgrado certi errori suoi, il Rosmini, ebbe a scrivere che per perseverare non bisogna pregare, ma sforzarsi di pregare (Par. XI,51).
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Chi prega persevera; dice Sant’Alfonso: “Chi prega si salva, chi non prega si danna. Non sempre potremo pregare; non sempre potremo stare con le mani giunte. Ma basta che facciamo tutto per Dio, con il pensiero in Dio, con la volontà di far tutto quello che vuole il Signore. È necessario perseverare; ma per perseverare bisogna pregare: allora tutto potremo in Dio che ci conforta. C’è un lato specialmente della vita; una grazia da chiedere, una virtù da riavere, che non si conserva senza la preghiera: la continenza, l’onestà; la castità non si mantiene se non si prega (Par. XI,245).
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Infervorarci nello spirito di orazione: il religioso tantum valet quantum orat, perché le opere di Dio si fanno con le mani giunte e in ginocchio – pur correndo – ma stando spiritualmente inginocchiati davanti a lui, ricorrendo alla sua bontà di padre e alla sua misericordia. Quindi diamo grazie a Dio nello spirito della vera pietà e nel fervore della preghiera. È necessaria per farsi Sacerdote, la santità della vita e la pietà, come è necessaria al pesce l’acqua e l’aria all’uccello (Par. XI,294).
Vedi anche: Esercizi spirituali, Fede, Liturgia delle Ore, Meditazione, Rosario, Unione con Dio.
Presepio
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Ritorniamo al Presepio! In questi ultimi anni il Presepio aveva corso pericolo di scomparire. Negli ambienti domestici e scolastici il Natale era diventato la Festa dell’Albero: alla capannuccia, artistica o misera, ma sempre feconda di religiosa poesia, si sostituiva l’Albero dei doni, così povero nella sua fastosità, così vuoto di soprannaturale. Lasciamo ai freddi popoli dell’errore i loro “alberi” semplicemente naturali, e siamo gelosi conservatori di ciò che è gloria della nostra Italia. Amiamo il Presepio! Lo amammo bambini, quando con una religiosità grave, che diceva esser noi consapevoli di entrare nell’arcano di un mistero, si costruiva noi stessi la capannuccia con le statue, le fronde e i lumi; e a Gesù Bambino si parlava come si parla tra bambini, compatendo alla sua povertà e al suo soffrire. Amiamolo sempre perché dinanzi a Dio non cessiamo di essere bambini. La scena del Presepio suscita in tutti una commozione che non somiglia a nessun’altra; è la chiarezza del simbolo che ci fa cadere in ginocchio per adorare, è tutta la poesia creata intorno al Presepio dalla fede, dall’arte, dall’amorosa fantasia di tanti secoli, che rivive e incanta. Amiamo il Presepio. Non il Presepio lussuoso del Seicento o del Settecento, ma il Presepio che aiuta la nostra fede e alimenta il nostro amore. Il Presepio ideato da San Francesco non è un’anticaglia, né un oggetto commerciale: il nostro Presepio deve mandare il riverbero della luce che illuminò la collina boscosa di Greccio. Non meccanismi più o meno... misteriosi che con il Presepio non hanno nulla che fare; ma la semplicità, la tenerezza soprattutto la fede ardente di Francesco d’Assisi, il grande italiano! Allora vedremo Gesù, Gesù vero, che ci inonda di gioia (Scr. 104,260).
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Le vostre preghiere, o miei cari figli, di questa sera, di domani e di domani l’altro, dovete rivolgerle al Signore con più fervore, per ottenere che, per mezzo del Presepio Vivente di Voghera, si possa fare un po’ di bene, tanto bene. Che quella moltitudine di popolazione che verrà a Voghera dopo domani, se, piacendo a Dio, non piovi o nevichi, abbia da sentir passare sull’anima loro un soffio nuovo, un nuovo spirito; soffio e spirito di gioia! E di pace serena, quella pace che gli Angeli fecero sentire ai pastori nella bella, misteriosa notte di Natale. Il presepio Vivente è, e deve essere, la scena di una pagina Evangelica riprodotta al vivo. Bisogna pregare, affinché questa riproduzione sparga su tutti i cuori un soffio di bontà cristiana (Par. V,131).
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Il Presepio Vivente deve essere una predica senza parole. Nessuno faccia capricci o perché non ha la veste più bella, o perché sta a casa, perché di questi terrò conto, gran conto e così pure di quelli che faranno i leggeroni. Fate bene tutti i vostri uffici, affinché si possa fare un po’ di bene alle anime e quindi dar gloria al Signore, a Gesù Bambino (Par. V,134).
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Il presepio vivente si fa per ravvivare meglio, negli animi, il ricordo della nascita di nostro Signore Gesù Cristo. Il presepio Vivente si fa per fare un po’ di bene, molto bene. Nella vita il ricordo del Presepio Vivente è come una fiaccola sempre viva (Par. V,357).
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Sappiate che il Presepio Vivente non è un lucro per la Piccola Opera ma un dispendio non indifferente di tempo e di forze. Giorni di preoccupazione per cui siamo obbligati ad estraniarci da altri lavori e doveri. Il Presepio Vivente lo facciamo per ravvivare il sentimento religioso della gente, perché quello che cade sotto gli occhi resta più vivamente impresso nella memoria, specie dei piccoli e del popolo. Il Presepio Vivente, se si dovesse andare coi criteri del vantaggio e della utilità materiale, non si potrebbe fare. Però, se si parte con il criterio più alto di un vantaggio spirituale, merita di essere fatto e ripetuto più volte. Vale bene nei valori morali, vale bene qualche cosa. È una predica fatta a 30 / 50 mila persone. La Congregazione svolge parecchie attività che sono materialmente passive; per esempio la stampa della Rivista ‘Mater Dei’; eppure la Congregazione, perché si tratta della Madonna, dell’amore alla Madonna, sostiene una rivista mariana che non ha la pari in Italia, e ritiene che si debba continuare a fare tutti i sacrifici imposti dalla pubblicazione. Il Presepio Vivente è una passività, materialmente parlando, ma una attività nelle bilance del bene. Facciamo però tutto con alte intenzioni di bene. Lo spirito di rettitudine è lo spirito del Signore. In tutte le cose della vita bisogna tener più conto, per i tre quarti dei contrari che dei favorevoli; si rischia di sbagliare di più facendo conto dei favorevoli che dei contrari. Qui da noi il padrone è sempre senza chiave; perché il Padrone è la Divina Provvidenza. Pregate perché possiamo ottenere con il Presepio Vivente quei risultati religiosi che sono lo scopo precipuo per cui, da alcuni anni, dai Figli della Divina Provvidenza si lavora tanto (Par. VI,8).
Vedi anche: Arte, Natale.
Privazioni
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Quando c’è buono spirito e la carità che è il precetto del Signore, tutto va avanti e tutti i figli sono contenti anche nelle privazioni, e vivono felici! (Scr. 29,20).
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Dunque, coraggio! o miei cari figliuoli, e se lo stato incipiente di codesta casa vi è cagione di incomodi o di sofferenze e privazioni, rallegratevi con San Paolo, che si dichiara colmo di allegrezza in ogni sua tribolazione (Scr. 51,75).
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Non spaventiamoci degli incomodi e privazioni – portar abiti dimessi – camera incomoda – cibi grossolani – non viaggi che per necessità – non spendere il denaro per procurarsi comodità agi. Non pretendere d’avere in Religione ciò che non si avrebbe forse avuto a casa – la Congregazione vive solo di carità e di Povertà (Scr. 55,233).
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L’Opera della Provvidenza è nata balbettando il nome del Papa; la causa del Papa fu la causa santa che le diede vita, ad essa dedico tutti i suoi pensieri e consacrò tutti gli affetti, i dolori, le fatiche, le angosce, le fatiche, le privazioni. Cerchiamo Dio e fidiamoci di Lui, imitiamo le turbe e seguiamo Gesù (Scr. 66,261).
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Charitas Christi urget nos! La carità di Cristo ci... stringe. Questo grido dell’Apostolo Paolo tanto semplice e tuttavia cos sublime, posto sulla porta del Piccolo Cott. di Torino e su quella del Piccolo Cottolengo Argentino è promessa certissima che ogni privazione avrà un conforto, ogni male un rimedio, una consolazione ogni lacrima (Scr. 94,5).
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Avendo le Religiose rinunziato ad ogni dominio delle cose temporali, per non possedere che Dio solo per sua eredità, soffra volentieri quelle privazioni di comodità che sono la conseguenza del voto da lei fatto: mentre tutto quello che le mancherà nella vita presente, le sarà reso con grande misura nell’altra. Si contenti perciò di quello che le dà la povertà della Santa Religione, aborrendo ogni superfluità e delicatezza (Scr. 98,98).
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Non temere di quelle cose che riguardano il corpo, siate tranquille nelle braccia della Divina Provvidenza, non pensate né all’alimento, né al vestito, né a tutto ciò che è terra: non vi spaventino la povertà, le privazioni, anche se si venisse a mancare del necessario... Quel Dio che nutre gli uccelli dell’aria, i quali non seminano e non mietono, che veste i gigli e l’erba del campo, meglio che non fu vestito Salomone, non abbandonerà Voi che siete le sue figliole dilette (Par. I,136).
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Prendiamo dalla mano di Dio le privazioni, e persuadiamoci che, se ci voltiamo indietro, vedremo tanta gente che sta peggio di noi. Noi abbiamo una cucina ogni giorno, che ci prepara il cibo. Tanti non hanno cucina... Voltiamoci indietro, voltiamoci indietro! Ci farà del bene questo voltarci indietro! Voltiamoci indietro e vedremo Gesù che non aveva cucina sua né per sé, né per i suoi discepoli, i quali, alcune volte per sfamarsi, erano costretti a sfregare le spighe e mangiarsi il grano così semplicemente appena pulito dalla pula (Par. IX,303).
Vedi anche: Croce, Distacco (virtù), Mortificazione, Penitenza (virtù), Sacrificio, Sette “effe”.
Pro Zancla
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È necessario conoscere che tra la Pro Zancla e la Fortitudo c’è un malinteso antagonismo, antagonismo che è d’uso tra città e città da queste parti: c’è tra Messina e Palermo, c’è di più tra Messina e Catania e più forte tra questa e l’altra sponda, tra messinesi e calabresi e tanto più ora che sempre Reggio sia risorta più presto e meglio (Scr. 107,86).
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La Pro Zancla alla fine, non raggiunge i trenta membri, a dire tanto e quando il Cav.r Freni scrive 75, sa di dire cosa non vera. Il Cav.r Freni mi diceva che sono incompatibili due istituzioni cattoliche giovanili vicine; sono vicine, ma saranno del tutto separate da un buon assito, ed egli lo sa: i lavori sono in corso. L’ho pregato che cessasse dal seminare zizzania e che almeno facesse prima un esperimento che le due istituzioni potevano, dovevano anzi aiutarsi e completarsi a vicenda; ma non se ne fece nulla e continua a sparlare di Mons. Cottafavi e di altri così che anche alcuni suoi giovani, disgustati, si vogliono staccare da lui; e sono io che li ho fermati per ora, affinché non gridasse che attento alla vita della Pro Zancla. Gli ho anche detto che in alta Italia abbiamo in parecchie città, dove l’azione cattolica è più sviluppata, più istituzioni raggruppate in un medesimo locale; e che ciò, per molti riguardi, giova, specialmente per l’unità di governo; e qui a Messina urge questa unità di comando, perché tutti hanno l’ambizione di comandare e di fare da loro e così non concluderanno mai. Qui, spesso, i sodalizi cattolici si odiano cordialmente tra loro; così il Circolo San Tommaso dei giovani Studenti di Liceo e Università, non numeroso, ma di sicuri principi e la Pro Zancla non si parlano ché per ingiuriarsi, né il terremoto valse ad affratellarli (Scr. 107,87–88).
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Come ho scritto a fr. Biagio non credo che la Pro Zancla passi ad altre file; ciò che fa pena veramente è vedere un uomo già con i capelli grigi e che dovrebbe essere guida seria e religiosa a questi poveri giovani, sparlare con loro in modo indegno dei Superiori Ecclesiastici. Il Cav.r Freni, nella sua lettera al Sigr. Conte di Carpegna vuol far credere di non poter impedire che la Pro Zancla lasci la confessionalità e che vengano scandali, mentre, purtroppo, è lui che in gran parte li fomenta (Scr. 107,91).
Vedi anche: Sport.
Professione religiosa
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Vegliate e fate che né l’amor del mondo né l’affetto ai parenti, né il desiderio di una vita più agiata vi muovino al grande sproposito di profanare i sacri voti e così trasgredire la professione religiosa, con cui ci siamo consacrati al Signore (Scr. 56,162).
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San Tommaso e Sant’Alfonso dicono che la grazia della professione religiosa viene, in ordine di eccellenza, subito dopo la grazia del Battesimo, poiché con essa noi riceviamo ancora la stola battesimale. Quante volte siete stati ingrati con il velo della sua misericordia e vi ha condotti qui, dinanzi al suo Altare, a fargli questa grande offerta. Sursum corda! Esultate e ringraziate nello stesso tempo Dio benedetto. Nessuno che ha messo la mano all’aratro si volti indietro (Par. IV,358).
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La Vergine Santissima è la custode dei doni che fanno al Signore, ogni giorno, i buoni religiosi, i fedeli religiosi, mantenendo intatto lo spirito delle loro regole, adoperandosi di conservare sempre caldo il proprio cuore nelle promesse fatte il giorno della professione religiosa. Ricordate il fervore che era nelle vostre anime quel giorno? Bisogna affidarsi alla Madonna, perché ci ottenga la grazia di mantenere viva la fiamma di quel giorno, di accenderci sempre più nel fervore dei nostri voti (Par. V,1a).
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I Padri della Chiesa paragonano i voti e la professione religiosa al battesimo... La professione religiosa ha il merito della virtù della religione... Il religioso avrà sempre il dovere di pregare e di esercitare una certa influenza morale con i dovuti permessi e le dovute cautele... Io avevo 14 anni e il Successore di Don Bosco, dal quale mi andavo a confessare, mi permise di fare il voto di purità, in occasione della festa dell’Immacolata all’altare di Maria Santissima Ausiliatrice. Io chiesi di fare il voto ed egli ebbe tanta bontà di concedermelo. Che voto era quello? Era un voto canonico? No! non era un vero voto, ma un voto di devozione. Così faccio io, tante volte: consiglio questo voto di devozione ad tempus e intanto i giovani, i chierici si allenano alla virtù. Coloro che hanno i voti temporanei non sono ammessi alla professione perpetua, se non sono in tutta la pienezza della ragione e se non sanno quello che lasciano e a che cosa essi danno un calcio. Il religioso di voti temporanei, finito il tempo, è libero lui e sono liberi i Superiori, non però se si tratta di ragioni di salute, di malattia, a meno che la malattia avesse già avuto una radice prima dei voti temporanei. Sta al religioso stabilire i limiti di tempo? No! Ma deve stare alle norme dei canoni e delle regole della Congregazione. Se qualcuno mettesse delle condizioni, non valgono i suoi voti; perciò i suoi voti sarebbero nulli, avendo messo una condizione che annulla il voto. È buona, utile e meritevole cosa rinnovare i voti anche per quelli che li hanno perpetui, perché così rinnoviamo i sentimenti che abbiamo sentito quando ci siamo consacrati a Dio (Par, 8,9).
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Il Signore benedice quelli che sono veri religiosi, quelli che fanno professione religiosa e non quelli che, fatta la professione religiosa, praticano una virtù che non è religiosa. Sono entrato quest’anno in una camera e ho visto tanti ninnoli ed ho chiesto: “Chi ti ha dato tutte queste cose?”. Mi rispose: “Questo è un regalo delle giovani cattoliche, questo me l’ha regalato la tal Signora, questo la tal altra, questo la tale signorina...”. E tu sai che sei della Congregazione? O si è o non si è e, se il Signore ci aiuta materialmente tanto, è in proporzione del buono spirito (Par. IX,343–344).
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La emissione dei voti è una grande e santa cosa: ma prima ancora di fare l’atto di professione, di pronunciare la formula dei santi Voti, dovete pensare che questo è il momento augusto di darsi tutto al Signore: poi verrà la formula canonica dei Santi Voti, ma noi, ogni volta che veniamo innanzi all’altare, alla Santa Comunione, dobbiamo avere fatto un atto di fede, di adorazione, di donazione totale di noi stessi e di carità: Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le forze della tua anima (Par. IX,345).
Vedi anche: Noviziato, Vita religiosa, Voti (canonici).
Propaganda
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Il Vescovo Daffra è contento di noi. Forse da Ventimiglia porteranno via il Seminario, se non quest’anno, presto: ecco il perché. 2) Fate su L’Armonia la réclame. Raccomandatevi subito a don Canevasso: ed esca la réclame a pagamento tutte le settimane. Metteteci che ci sarà entro il Convitto un Professore, Dottore in Lettere e filosofia, per la vigilanza speciale degli studi e le ripetizioni (Scr. 2,18).
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Tuttavia tu, o caro fratello D. Sterpi, non ti fidare della pubblicità e propaganda che possono fare preti e sindaci: falla tu direttamente e per mezzo di persone sicure – E raccomando di non limitarvi a farne affiggere 20 oppure 30 copie per Sanremo o per Ventimiglia e poi credere che basti, no. La propaganda si fa così: tutto in una volta la mattina di un dì di concorso, ai punti più centrali e più frequentati e strani fai appiccicare ai muri quel numero grande che è opportuno per cotesta città e per coteste riviere già americane in fatto di pubblicità, quel numero grande, grandissimo di manifesti che è necessario per fare colpo sul pubblico e attirare l’attenzione di tutti anche dei ciechi, poi, ogni settimana, dovete farne affiggere di nuovi là dove vedete che ne starebbero bene o dove vedi che ne mancassero o fossero stati lacerati. Pei primi settembre, tutto in una volta un’ altra pioggia di manifesti facendoli affissare e questo anche subito, alle facciate o prospetto delle Chiese più frequentate e meno frequentate scegliendo i momenti o le giornate di maggior concorso e negli ultimi venti giorni di settembre poi sia un lavoro febbrile e continuato: dovunque si va dovunque si sta, dolcemente e audacemente per la salute delle anime e nel nome santo di Dio, senza stancarci, senza posarci, senza voltarsi, senza dire basta mai mai, mai! Nella propaganda uso socialisti e qualche cosa di più, perché nel mondo moderno, che è tutto movimento di pubblicità e di propaganda, noi, Figli della Divina Provvidenza dobbiamo tenere il primato dell’attività per Dio e per le anime, essendo noi, per grazia del Signore, i figli della luce e della verità (Scr. 10,22–23).
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Vi unisco la réclame uscita oggi su Il Momento. Bisogna allargare la réclame sui giornali; Voi fatela uscire su Il Popolo Veneto e sui periodici che stampate voi: sul «Redentore» sulla «Madonna di Lido»: tutto serve: vanno, girano e arrivano dove non si pensa (Scr. 15,45).
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Mando altri tremila foglietti, che è necessario e urgente siano distribuiti a Staglieno in questi giorni. Penso che a Staglieno andrà molta molta gente oggi, domani posdomani e il 4 novembre (che è festivo) e poi anche venerdì e sabato e specialmente domenica che è l’ottava. Penso che andranno al Camposanto almeno 70 mila od 80 mila persone. Bisogna non solo mandare per la questua (come si è fatto l’anno scorso) ma mandarne di questuanti di più e mandare anche delle migliori buone figlie, magari a due a due, a distribuire di questi foglietti (gratuitamente li diano, se danno offerte meglio). Io ne manderò altri 10.000 foglietti o li porterò. Quello che preme è che vi sveltiate, è sveltirsi e farne la più larga propaganda, occorrendo anche poi alle porte delle chiese (Scr. 21,127).
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Caro Sterpi, date la più larga pubblicità a quanto vi mando e alla lettera dell’ambasciatore su La Stampa, Gazzetta del Popolo, Italia, L’Avvenire d’Italia, Il Cittadino, Il Popolo di Tortona, il Giornale di Voghera e quello di Novi e sui nostri periodici (Scr. 18,94).
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Bisognerà lanciare un programma e farne larga propaganda e portarlo a tutte le famiglie del quartiere Appio, diffondendolo a più copie in tutti i negozi ed esercizi del quartiere. Non c’è da perder tempo (Scr. 19,271).
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Il miglior modo di fare la réclame al convitto è di curare bene la disciplina, la moralità, la igiene e il profitto intellettuale dei giovanetti e mettere a base di tutto la educazione e il nostro lavoro il Santo timore di Dio e la frequenza ai Sacramenti della Confessione e della Eucaristia e la devozione alla Madonna SS.ma (Scr. 24,50).
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Non ti meravigliare che non esca il Foglietto. Qui in casa e dagli amici si fabbricano gli articoli per tre giornali che sostengono noi e che, con l’approvazione del Vescovo, abbiamo comprati, pagando 5 lire per articolo, senza una somma data prima. È una tattica nuova da noi questa di comprare i fogli di pubblicità, ma che vuoi? È pur necessario servirci anche di certi pennaioli e giornalai, se non servono noi, servono il diavolo! intanto che lavorano per noi concorrono al bene (Scr. 25,12).
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Urge provvedere alla pubblicità della conferenza della Università Popolare: a) con il farla subito subito pubblicare su Il Popolo; b) Fate in modo che, anche nel modo di pubblicarla, sia messa bene in evidenza sul giornale; c) Poi facciamo i manifesti murali e non aspettiamo più sabato a metterli fuori, ma almeno venerdì mattino e ne mettano 10 in più delle altre volte; d) E così si prendano premura di mandare le lettere invito e non solo ai soci, ma anche nei negozi e famiglie, in quantità (Scr. 31,91).
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A te darei la parte stampa e pubblicità, perché proporrò tosto l’impianto d’una tipografia per dar lavoro ai ragazzi e di un bollettino, di cui vorrei che tu fossi pars magna. Non so se conosci lo sviluppo che l’Opera del Cardinal Ferrari ha dato a questa partita. A Genova l’istituzione è di altro genere, ma dovremo dare molta parte allo sviluppo della carità con la stampa. Ma una pubblicità seriamente fatta e delicata. Una pubblicità che non tocchi mai la politica, né generale né locale, ma che aspra i cuori religiosamente e dilati il campo della carità di Gesù Cristo e si fermi nel vasto campo della carità (Scr. 37,86).
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Per tre anni almeno il collegio, per quanto vada bene, non potrà essere che passivo, cioè sino a che i convittori stessi e il risultato dei loro esami gli facciano la réclame e esso non raggiunga i cento collegiali. Si voglia anche tener conto che questi ultimi anni di vita del Collegio San Giorgio, cioè dopo che non ci furono più i Padri Somaschi, furono anni poco lusinghieri per il buon nome del collegio (Scr. 38,76).
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Potrebbe la Società Storica tortonese favorirmi il disegno, o, meglio, il facsimile in piccolo del Carroccio e concorrere in qualche modo? Con una propaganda intelligente e fatta a tempo, noi tireremo a Tortona parecchie migliaia di forestieri da Alessandria, da Voghera, Novi etc. (Scr. 40,167).
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Quello che importa perché l’Opera della Divina Provvidenza venga conosciuta e aiutata è, dopo l’aiuto di Dio, lo spirito di propaganda. Esso deve essere l’atmosfera in cui vive, si muove, lavora ogni nostro amico, ogni persona che ci vuol bene davvero. Propaganda, o amici miei e sempre nuove forme di propaganda devono sgorgare spontanee, da ogni nostra situazione, in città o nei paesi, quando si viaggia e quando si sta fermi, con i conoscenti, con i forestieri, con tutti: opportune et importune, ma dolcemente sempre, senza stancarci mai e mai! La propaganda, lo sapete, è il tratto caratteristico del movimento moderno e noi che nel lavoro moderno rappresentiamo i figli della luce e della verità, dobbiamo sapere eguagliare e superare l’attività propagandista di tutti gli altri. Chi ama davvero l’Opera della Divina Provvidenza deve pensare a lei almeno sette volte al giorno: pensare a Lei almeno sette volte al giorno: scrivere o parlare di Lei, sette volte al giorno! Cari amici, non vi spaventate, né credete che queste parole siano buttate qui per spirito di entusiasmo o di fanatismo: bisogna conoscere un po’ da vicino che cosa fa il socialismo per la sua propaganda, massime ai tempi attuali, per capire, quello che dobbiamo fare noi per quest’Opera della Divina Provvidenza chiamata a fare tanto bene e d’importanza [...] come scriveva Mons. Blandini di Noto, quella gloria dell’Episcopato Siciliano. La propaganda privata o pubblica, intermittente o continua, è l’apostolato moderno (Scr. 69,347).
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Per quanto riguarderà il posto del confezionamento del detto vino o di altre bibite del genere, per quanto si riferisce alle stampe o leggende per réclame, a pubblicità o propaganda a titoli e diciture, Ella dovrà rimettersi sempre a quanto io, o un mio incaricato, stabiliremo e mi sottoporrà tutto preventivamente, sì che non esca nessuna etichetta, réclame, stampa, se non da me o da chi per me approvata. E ciò allo scopo che l’Eremo non si trasformi, né nella sostanza né nell’apparenza, nel concetto del pubblico, in uno stabilimento vinicolo o simile, né si faccia, della pietà, un’industria (Scr. 74,123).
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Il Gruppo e il Comitato organizzatore si impegnino a non usare in nessun modo della pubblicità e réclame che siano in contraddizione con lo spirito che anima la Piccola Opera della Divina Provvidenza, o che non sia consona al sentimento religioso e cattolico che la ispira e la informa (Scr. 78,110).
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Quando fin da questi mesi si potesse assicurare le Famiglie e fare una conveniente propaganda, avremmo un’affluenza considerevole di Alunni da molte parti della Marche, con vantaggio non indifferente per la Città di San Severino, che molto si presta a diventare centro di studi medi (Scr. 105,232).
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Io sarei felice di passare tutta la mia vita facendo propaganda: sono nato propagandista. Io sul Giarolo ci fui 32 anni fa per l’inaugurazione della Statua del Redentore, che si vede lassù. Ci salii con quasi 100 Kg. Di propaganda sulle spalle. Fui il primo a confessare, e, non essendoci i confessionali, piantai due pali per poter allargare a modo di grata un panno per poter confessare le donne. Celebrata la Santa Messa, verso le 10, ancora digiuno partii a piedi per Pozzolo Groppo dove dovevo predicare alle 4 dopo pranzo. Lungo la strada cadevo e poi, sentendo le campane, mi rialzavo, sperando di poter giungere a tempo. Giunsi tardi, che stavano al momento della benedizione; ebbi però ancora tempo per poter dire qualche parola a quella poca gente che c’era, poiché la popolazione aveva saputo che non c’ero andato. Oh quante volte ho bevuto nelle pozzanghere e ho patito la fame! (Par. V,207).
Vedi anche: Ufficio stampa.
Propositi
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Noi dobbiamo anzi tutto, umiliarci e ringraziare il Signore, e poi dobbiamo prontamente metterci nelle sue mani con umiltà e generosità; dobbiamo ravvivare in noi la grazia e lo spirito della nostra vocazione: dobbiamo, con il divino aiuto, fare santi propositi, che vengano dal profondo del cuore: dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi. E così unirci di più a Dio, e specialmente con l’orazione, con più profondo spirito di pietà e di disciplina religiosa prepararci, in umiltà e cuore grande e magnanimo, ai sacrifici che la Div. Provv.za e la nostra Congregazione richiedessero da noi (Scr. 1,167).
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Faccia 10 giorni di Esercizi Spirituali cercando di purificare bene la sua coscienza e facendo pochi propositi, ma fermi e profondi che vadano sino alle radici dell’anima e propositi di vera santità e per tutta la vita di umiltà (Scr. 2,63).
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Nulla risparmiate per rendere fruttuosi di santi propositi e di una vita più data a Dio più religiosa e più santa questi Esercizi Spirituali. Scrivete anche i vostri propositi. Cacciate via dalla fantasia tutto ciò che non riguarda i santi Esercizi (Scr. 52,26).
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Cara, Santa Madonna, degnatevi gradire i propositi, le fatiche di chi consacra a voi lo studio e la penna, il cuore e la vita: benedite alle santissime intenzioni: sorreggete nel nobile arringo: sono tutti animi pieni per il vostro Divin Figliuolo Gesù e per voi: pieni di amore per il Papa, «il dolce Cristo in terra» e per i Vescovi, per la Chiesa, per i fratelli: non cercano che la gloria di Dio e vostra, e il bene delle anime, cui voi siete madre, speranza e salvezza! (Scr. 53,79).
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Esto vir nella costanza dei buoni propositi, nella pietà, nella preghiera nello studio – nel vincerti, nel combattere la buona battaglia per mantenerti fedele, per vincere il nemico, sradicare le passioni, praticare la virtù, disciplinarti con la fatica (Scr. 57,132).
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Sta’ fermo nei tuoi propositi e nella generosa volontà di consacrarti tutto a Gesù Cristo e di salvare tante anime e farti santo! Sii casto e puro e va sovente alla Santa Comunione. Fuggi i cattivi. Non lasciarti abbarbagliare da certe idee che ti svieranno dal bene e forse ti danneranno. La gloria non si dà a quei soldati che vilmente cedono le armi, ma a quelli che combattono e vincono (Scr. 70,207).
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Perseverate nei buoni propositi, e guardatevi dal vizio, lasciando da parte quelli che volessero farvi piegare al male. Osservate i Comandamenti del Signore Dio nostro e della Santa Chiesa; vivete di fede e di opere buone e la benedizione di Dio sarà sopra di Voi, cari giovani, e sulle vostre case (Scr. 119,70).
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Abbiamo posta la mano all’aratro, stiamo fedeli e fermi nei santi propositi e voti, stiamo perseveranti, e andiamo innanzi, vivendo il vero spirito e la vita della Congregazione, da ferventi religiosi, da veri figli, puri, umili, poveri, semplici, caritativi della Divina Provvidenza. Abbiamo posto la mano all’aratro: niuno di noi si volti indietro, per amore dei parenti o del mondo; niuno vada a perdersi dietro gli affetti e della carne e del sangue; niuno vada a finire con il mondo fallace e ingannatore, ché assai male se ne troverebbe in punto di morte (Lett. II,266).
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Dovete, quindi, mantenere i propositi fatti e non guardare indietro. Non basta essere uscite dal mondo con il corpo: bisogna uscire anche con lo spirito e vivere nel mondo per fare del bene, senza essere attaccate al mondo, in una vita santa, di sacrificio, umile (Par. II,217).
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Secondo dovere, o miei cari, è il fare santi propositi. Prima piangere sopra il nostro male e poi fare santi propositi per l’anno nuovo, per la vita nuova che domani vogliamo incominciare. Una vita fervorosa, una vita nuova ma tale che meriti di essere chiamata una vita secondo lo spirito e l’intenzione di Dio (Par. III,240).
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Che domani sia una giornata di propositi, propositi di santificare la nostra vita, di rinnovare in noi lo spirito di santa umiltà, di fede, lo spirito di sacrificio, di fiducia in Dio, di purezza, di amor di Dio e agli uomini. E così ci dia la grazia il Signore che possiamo deporre un giorno senza rimpianti il nostro bastone di pellegrini del tempo per entrare nella eternità gloriosa con Dio (Par. IX,509).
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Vi dico, dunque, che non basta avere fatto i Santi Esercizi; ma bisogna avere anche la volontà di mantenere i propositi. Don Bosco diceva: “Esto vir et non frasca” Sii uomo e non banderuola! Sii fermo, forte, costante; devi metterti con buona volontà! Dovete, dunque, pregare che il Signore vi aiuti a mantenere i propositi. Ora che gli Esercizi sono terminati dovete continuare a pregare, perché il Signore vi assista e vi aiuti a mantenere i propositi. Non dovete lasciarvi illanguidire nello spirito e venir meno ai propositi fatti, ma dovete avere volontà risoluta di corrispondere alla grazia che il Signore vi ha fatto e vi farà. Non dobbiamo essere come colui che “vult et non vult”, che oggi propone e domani vien meno, che ha una volontà labile, che ha la leggerezza e non ha il carattere, che non è di volontà forte. Domandate al Signore che vi dia la grazia di una santa volontà, risoluta di non venir meno ai propositi e di perseverare per la diretta via della santa vocazione, in cui la Provvidenza vi ha messo; volontà risoluta di non commettere lo sproposito, dice Don Bosco, di venir meno alla santa vocazione (Par. XI,50).
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I propositi buoni non bastano: bisogna cercare di realizzarli, di attuarli. La grazia del Signore ci ha riuniti qui: ora bisogna perseverare. Non basta cominciar bene. Quanti non furono costanti, ma labili, deboli di volontà e caddero alle prime occasioni, venendo meno ai propositi fatti! Chi si salverà? Chi ha cominciato bene? No: solo chi avrà perseverato nel bene, chi – aiutato da Dio – avrà continuato (Par. XI,244).
Vedi anche: Esercizi spirituali, Perfezione (virtù), Santità.
Prove
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Quanto a te personalmente, o mio caro don Adaglio, che mi sembri nel tuo spirito tribolato e tentato, io voglio invocare su di te uno speciale conforto e una speciale benedizione da Dio. E paternamente ti esorto a ricorrere a Lui, che è il Dio di ogni consolazione, in ogni tua tribolazione, perché Egli ti dia aiuto e te la rivolga in bene. Abbiamo nei Salmi tante e tante sante espressioni che ci aprono il cuore a Dio nelle ore delle prove e del nostro travaglio: «Adiuva me, Domine Deus meus» [Sal 108,26]. «Conplaceat tibi, Domine, ut eruas me» [Sal 39,14]. Sono dai Salmi. Ma il Santo Vangelo ci ricorda le divine parole del Signore al Padre celeste nell’ora più dolorosa dell’abbandono e del sacrificio: «Nunc anima mea turbata est. Et quid dicam? Pater, salvifica me!... Pater, clarifica tuum nomen!» [Gv 12,27–28]. Ma la più alta e divina parola di conforto e insieme di totale abbandono e invocazione sta nel Pater Noster. Meritiamo, purtroppo d’essere e tribolati ed afflitti, ma Fiat voluntas tua! Si sa e si sente che la mano onnipotente di Dio, che ci è Padre non ci abbandonerà nella Sua paterna e divina bontà e Provvidenza e basterà a levarci dalla tentazione e a mitigarne l’impeto, se noi umilmente Lo invochiamo e a consolarci nelle ore grigie, nei turbamenti dello spirito, nel giorno della tribolazione: «Bonus Dominus et confortans in die tribulationis» (Scr. 4,238).
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Le croci, vedi, sono prove infallibili dell’amore che Dio ha per noi. Che cosa si poteva giovare l’essere in Terra Santa, se poi non porti la croce? Vedi, per altro, che siamo sovente noi, con certe nostre fissità o con un pensar troppo piccolo che ci fabbrichiamo o ci facciamo diventare più pesanti le croci che Dio ci manda o permette (sempre a maggior bene nostro) che abbiamo (Scr. 4,286).
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Non ci spaventino le prove, non le tribolazioni e, non i dolori: alle anime e alle opere che Dio ama, moltiplica tribolazioni e dolori. Le opere del Signore tutte, o quasi, nascono tra il dolore e si fortificano nel dolore; e i dolori più profondi fanno le gioie più alte e più sante. Solo dobbiamo saper nascondere le nostre lacrime nel Cuore aperto di Gesù Crocifisso e cercare di cavarne emendazione sincera ed umile di vita e utilità con virtù religiose (Scr. 6,150f).
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Caro don Sterpi pregate e sustine, sustine, sustine! Deh per carità non vi lasciate avvilire: sono grandi prove ma sarà grande anche la corona – e la Madonna SS.ma non ci abbandonerà. Quando mi scrivete e mi date certe frecciate, non è che non le senta, ma è perché ce ne sono tante che sono già morto Il mio interno è diventato un grande spegnitoio (Scr. 10,47).
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Mi pare che don Pensa si lasci troppo abbattere dalle prove che il Signore gli manda o permette. Ma ditegli un po’ che preghi con più fede e abbandono nel Signore! Le tribolazioni dobbiamo sostenerle con pari rassegnazione, forza e costanza: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere in accasciamenti e languidezza: la fiducia in Dio è il balsamo di tutti i mali e la nostra fede è la nostra vita e la nostra vittoria. Facciamo tutto quello che si può e poi avanti in Domino! ricordiamo che il Signore patisce egli stesso con noi, ci trarrà fuori da ogni fossa di leoni, da ogni patimento e ci glorificherà. Non ha don Pensa la corona del Rosario? Non ha il Tabernacolo? Non ha il Breviario ed i Santi Vangeli? Non ha Gesù e Gesù Crocifisso? Oh bella, adesso, che proprio un don Pensa non pensi che con le tribolazioni Dio ci fa prendere sperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e in Lui interamente ci abbandoniamo? (Scr. 19,219).
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Gettati tra le braccia di Gesù Crocifisso e della Madonna Addolorata, caro figliolo mio e in questi giorni che più vivamente ci ricordano la passione e la croce del Signore, non lasciarti scuotere dal dolore della vita presente e da queste tue prove e tribolazioni ben penose, poiché tu sai che a questo noi, seguaci di Gesù Crocifisso, siamo destinati: alla corona per tramite della croce, onde sta scritto «che dobbiamo entrare nel regno di Dio per molte tribolazioni». L’afflizione è momentanea e permessa da Dio a nostra purificazione ed elevazione a Lui: essa ci prepara un sempre più immenso ed incalcolabile grado di gloria e ci fa intendere l’animo non alle cose e persone che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché dice San Paolo: «quelle che si vedono non son che per un tempo, mentre quelle che non si vedono sono eterne» (Scr. 22,7).
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Del resto tutte le Congregazioni hanno le loro prove: e chi non lo sa? E le prove Dio le manda o le permette specialmente nel tempo della fondazione. Con le tribolazioni il Signore vuole provare la nostra fedeltà e la perseveranza nella vocazione od ostilità, esercitarci nel vero spirito di umiltà: il Signore dispone così perché rinneghiamo noi stessi: ci vuol far crescere nel buono spirito della rassegnazione e della pazienza: vuole il Signore quando permettesse le persecuzioni e le croci, purificare con un fuoco santo le nostre colpe e peccati, i nostri difetti e imperfezioni. Diamone grazie al Signore! (Scr. 27,128).
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Ringrazio il Signore di ogni altra buona notizia: prepariamoci per le prove dolorose, perché, a dirti quanto sento, penso che fin qui, siano state rose e fiori, anche quelle che noi abbiamo chiamate tribolazioni e croci; ma il Signore ci starà vicino e il nostro olocausto sarà più vero, più gradito e più santo di quello di Isacco (Scr. 27,230).
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Nelle prove frequenti e dolorose, che incontrate nel vostro ministero di primi apostoli portati dalla mano della Provvidenza Divina sul suolo infocato del Brasile vi sia di conforto il sapere che i vostri cari Confratelli in Gesù Crocifisso e Maria SS.ma vi sono sempre accanto con lo spirito per dividere con voi il peso della croce, sollevarvi e confortarvi. La mano misericordiosa di Dio, togliendovi dalle vostre angustie, vi faccia gustare la soavità del vincolo fraterno, con il quale Egli stringe i figli d’Italia con quelli d’America perché insieme abbiamo ad innalzare un cantico sublime alla dolce carità fraterna che, rinvigorita dai Santi Spirituali Esercizi, parla a voi nel crepuscolo sacro alla Madonna Assunta in Cielo (Scr. 29,14).
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Tu non ti perdere d’animo; ma pensa che queste prove Dio le manda o le permette, quando vuole tenerci umili e farci capire che egli è che fa tutto e che senza di lui faremo nulla di bene. Però, dopo la tribolazione, il Signore vuole consolare quelli che si umiliano e pregano e confidano in lui (Scr. 29,63).
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Qualunque siano le prove, cui piacerà alla bontà grande di Dio sottometterci, se noi preghiamo, non potranno che portarci ai piedi della croce e la croce ci porterà nelle braccia di Cristo. Miei buoni fratelli, Dio vuol provare la nostra fedeltà: Dio vuol provare la nostra fiducia e speranza: Dio vuol provare il nostro amore a Lui: e ci dà la croce! Stringiamoci alla croce! Oggi, domani, quando al Signore piacerà offrirvela, non la gettate per terra, ma stringetela al cuore, bagnatela del vostro pianto e del vostro sangue, o miei cari figlioli: è il Signore che ci ama! (Scr. 30,2).
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Io sono sicuro che, se voi pregherete e sarete umile e tutto vi metterete nelle mani di Maria SS.ma madre della nostra Congregazione, Dio, che vi ha chiamato a noi e ha in voi cominciata l’opera della vostra santificazione, egli la perfezionerà; ma per arrivare fino alla perfezione della vita religiosa è necessario, o caro fratello mio, che voi facciate violenza a voi stesso e tutto vi vinciate nella vostra volontà e vinciate le prove ardue che vi aspettano qui. Qui, o caro figliolo mio nel Signore, dovrete amare Gesù zappando la terra, vangando, facendo la pulizia in cucina e per la casa e tutti gli uffici più umili per amore di Dio (Scr. 32,140).
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È una croce, caro mio questa e le croci, che ci manda il Signore, sono prove infallibili del suo amore. Con questa tribolazione il Signore ti vuol rendere più simile a lui e ti va meglio preparando per le Missioni; tu prega e sta fedele al tuo Signore e alla tua madre dello spirito la nostra cara Congregazione (Scr. 34,134).
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Come è piaciuto alla bontà di Dio di mandare altra volta qualche segno per prepararci a delle prove dolorose, così mi pare o cari figlioli, che questo anno benedetto in cui siamo per divina grazia entrati sia per essere per me e forse per tutta la nostra piccola Congregazione un anno di molte e molte tribolazioni. Io non temo però, o miei cari figlioli, i dolori e le prove che piacerà alla divina misericordia di mandarci, ma ciò che io temo è il poco spirito che si manifesta al presente in alcuni nostri fratelli (Scr. 52,19).
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Non perdetevi d’animo a motivo delle prove dolorose e afflizioni che la Piccola Opera patisce; codeste afflizioni, prese dalle mani di Dio, saranno un giorno la nostra gloria. Dio potentemente vi santifichi. Viviamo in modo degno della vocazione che abbiamo ricevuta, con tutta umiltà, con carità, con mansuetudine verso tutti, fedeli alla Chiesa in uno spirito d’amore. Seguiamo l’esempio di Cristo che per noi ha dato sé stesso in oblazione e in sacrificio, qual profumo d’odore soave (Scr. 55,64).
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Saremo come Gesù Cristo, felici e grandi, se porteremo la croce come Lui. Egli ci sta vicino e ci fa da Cireneo, coraggio! La Croce è il tesoro inestimabile e le croci che ci manda il Signore, sono prove infallibili del suo santo amore. La Piccola nostra Congregazione comincia ora il suo Calvario: ciò che abbiamo potuto patire è nulla: ora vedo Gesù che viene con la Sua Croce, viene con il suo dolore e con il suo amore. Corriamogli incontro: a noi la sua Croce e il suo dolore. Preghiamo e teniamo gli sguardi e il cuore in Gesù Cristo e in Cristo Signor Nostro Crocifisso! Viene l’ora, ma Dio sarà con noi! (Scr. 68,81c).
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Se così pregheremo e se così lavoreremo, da figli umili della Chiesa, sarà abbreviato il tempo delle nostre prove sicuramente, poiché la Madonna è Madre buona e piange dei nostri dolori! La preghiera non è solo il vincolo della carità fra di noi; ma è pure il segreto delle nostre vittorie. Lepanto insegna e a San Pietro un angelo spezzò le catene della prigionia, quando tutta la Chiesa pregava per lui. È maggio, è il mese della Madonna: preghiamo la Madonna! E, domani, troveremo volta dal soffio di Dio un’altra pagina del volume della nostra storia e vi leggeremo, come fatti di cronaca, quelli che al presente ci sembrano i problemi più ardui del tempo: e la libertà della Chiesa e la redenzione economica degli umili (Scr. 71,191).
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Avanti in Domino, caro De Felice! Non possiamo nulla noi, ma Dio può tutto; e se distribuisce le prove ai suoi servi, Egli però li conforta e ci sta ai fianchi nelle battaglie spirituali e ci somministra le armi temprate nel suo stesso Cuore, alla fucina della divina carità. Sotto gli stendardi invincibili di Gesù, della Vergine Immacolata e della Santa Chiesa di Dio, non dobbiamo temere. Avanti in Domino! La misericordia del Signore ci ha armati dell’armatura di Cristo: fede, umiltà, preghiera, rinnegamento di noi, pieno abbandono in Dio e nella sua Chiesa, croci e carità e carità e croce e poi la Santa Madonna, di che dobbiamo temere? Abbiamo tutto (Scr. 106,31).
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Gettati nelle braccia di Gesù Crocifisso e della Madonna Addolorata, caro figliolo mio e in questi giorni che più vivamente ci ricordano la passione e la Croce del Signore, non lasciarti scuotere dal dolore della vita presente e da queste tue prove e tribolazioni ben penose, poiché tu sai che a questo noi, seguaci di Gesù Crocifisso, siamo destinati: alla corona per il tramite della Croce, onde sta scritto “che dobbiamo entrare nel regno di Dio, per molte tribolazioni”. L’afflizione è momentanea e leggera, ed è mandata o permessa da Dio a nostra purificazione ed elevazione a Lui: essa ci prepara un sempre più immenso e incalcolabile grado di gloria e ci fa intendere l’animo non alle cose e persone che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché dice San Paolo “quelle che si vedono non sono che per un tempo, mentre quelle che non si vedono sono eterne” (Scr. 121,194).
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Quest’anno passato mi sono morti due Sacerdoti, il più anziano degli Eremiti, tre chierici di Voghera e un altro chierico giovane di 20 anni venuto dalla Sicilia. Voi siete state risparmiate; ma quest’anno viene. Viene il Signore a visitare e noi e voi. L’ho visto (ha parlato quasi sottovoce) ho visto il Signore bussare alla vostra porta; e ho visto anche altre cose che riguardano noi. Quest’anno sarà un anno di grandi prove, di grandi dolori per la nostra Congregazione. Badate bene a quello che vi dico: ci sarà un momento in cui la barca sembrerà andare a fondo; state salde! La barca sembrerà andare a fondo; ma poi il Signore ci metterà un dito sotto e le cose andranno meglio di prima (Par. II,187).
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I pericoli, le prove e le difficoltà superate da me e certo anche da voi e da tutti coloro che hanno perseverato nella vocazione, stanno a ripetere che chi è devoto della Madonna, ma veramente devoto, ha in mano la certezza di raggiungere la santa meta della vocazione, dell’altare (Par. III,177b).
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Vogliategli bene di cuore e siate pronti a qualunque sacrificio per la nostra Congregazione e preparatevi anche a dei sacrifici non comuni. Amatela tanto, tanto più quando potete sapere che essa soffre e che attraversa qualche periodo di tribolazione. E ringraziamo il Signore: più ci manderà delle tribolazioni e più dobbiamo amare il Signore. Ricordiamoci che fino adesso io dubito che il Signore voglia la Congregazione, perché non abbiamo avuto ancora da patire quelle prove con cui il Signore è solito provare le opere sue. Siamo andati avanti troppo trionfalmente. Quindi tutti i giorni direte una Salve Regina perché il Signore si degni di mandarci qualche tribolazione. Più soffriamo e più ringraziamo il Signore che si degna di farci soffrire. Ci dia tanto amore da sostenere volentieri molte tribolazioni e ci dia anche tanta forza per poterle sopportare (Par. VI,196).
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Vediamo di mantenerci, nelle prove, fedeli, attaccati al Crocifisso. L’amore al Crocifisso, di cui vi ho parlato tante volte, sta qui: che il Signore si degni di mandarci di quelle prove e di quelle tribolazioni che Egli è solito mandare alle opere che sono le sue. Noi siamo sempre andati avanti, purtroppo, in automobile... Io vi prometto di pregare sempre per voi e spero di farvi avere tante belle notizie; e vedrò se voi pregate proprio in modo da ottenere veramente che il Signore ci voglia provare nel torchio della tribolazione e del dolore, affinché io possa capire e sentire che la Congregazione comincia ad essere tutta sua rendendoci meno indegni di portare il dolce nome di Figli della Divina Provvidenza. A tale scopo pregherete la Madonna con questa implicita intenzione, perché si degni di ottenerci dal Signore che provi la nostra Congregazione con quelle prove di cui il Signore è solito servirsi per purificare le opere che sono sue e, al tempo stesso, ci ottenga la forza di dimostrare a Dio la nostra fedeltà con una vita religiosa perfetta e con il sostenere molte croci; sì che possiamo essere veramente buoni religiosi, giacché vita boni religiosi crux est et martyrium. Fino adesso siamo stati accarezzati e non c’è ancora sulla Congregazione il crisma delle opere del Signore. Invoco dalle mani materne di Maria Santissima che voglia mandarci molte prove, affinché non siamo solo di nome i Figli della Divina Provvidenza (Par. VI,197).
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Prove, calunnie, fastidi, dolori ne avremo sempre: Dio ci benedice anche del bene che desideravamo compiere, ma che altri, sia il clero o i vescovi, ci abbiano impedito. Sono prove che Dio ci manda; senza dolori non si ha alcun bene: tutti i fondatori e fondatrici hanno sofferto e hanno dovuto combattere (Par. VI,213).
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Il Signore ci manderà molte prove; andremo avanti sempre nelle prove. Attraverseremo un oceano di fuoco. In Italia si recita tutti i giorni una Salve Regina perché Dio ci mandi molte prove e perché possiamo vincerle. Avremo prove, ma la benedizione di Dio starà sopra di noi, se vinceremo (Par. VI,217).
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Pregate per me qualunque siano le prove: siate forti sia nella gioia che nei dolori, nei trionfi e nelle umiliazioni. Andiamo sempre avanti nelle prove e gravi prove, che sempre la Congregazione dovrà sostenere, stiamo forti, uniti a Cristo, ai piedi della Vergine, devoti del Papa, della Chiesa; servire il Papa è servire Cristo (Par. VI,263).
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Le prove e i dolori della vita non hanno solo lo scopo di punire i peccati commessi, di purificarci dalle nostre colpe e difetti e di aiutarci a diventare migliori, a perfezionarci; ma sono proprio volute dal Signore per i suoi imperscrutabili disegni. E a noi non resta che accettarli volentieri e con tanta umiltà, sicuri che Dio, nella sua grande sapienza, saprà volgerli certamente a nostro bene (Par. XI,308).
Vedi anche: Croce, Persecuzioni, Sofferenze.
Prudenza
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Bisogna essere discreti; per questo la discrezione e la prudenza sono doti necessarie e di prima necessità per un Superiore (Scr. 4,237).
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Tieni molto presente anche la loro dottrina, ma più ancora la loro prudenza. I prescelti siano tali che affidino di nulla fare senza moderazione e prudenza; e siano di prudenza non umana, ma prudenza di spirito, mossi cioè dallo spirito di Gesù Cristo Crocifisso: animati e condotti da quello spirito interiore che sempre riflette e considera bene le cose davanti a Dio (Scr. 6,125).
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Tu agirai con ogni tatto e prudenza, stando rispettoso dei monaci e guardingo nel parlare, molto prudente, molto prudente. Tu non ti vorrai offendere, perché sai bene che la prudenza non è mai troppa, specialmente nella tua posizione (Scr. 25,179).
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Giunto a Varallo, ti presenterai al Parroco e al Podestà, per fare atto di ossequio: molta cortesia, ma senza sbilanciarti né parlare di te: la prudenza è virtù tacita, profonda e cauta: la nostra sia prudenza di spirito, e ti diriga in ogni cosa (Scr. 34,189).
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Spirito di orazione e di prudenza, di quella prudenza che fa giudicare con qualche lentezza, parlare e scrivere con considerazione e operare con cautela, e dopo aver invocato lume da Dio (Scr. 65,334).
Vedi anche: Carattere, Pedagogia, Perfezione (virtù).
Pulizia
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Così vi pregherei maggiore ordine e pulizia nelle camere e dove si dorme e da per tutto. L’ordine e la nettezza esterna serve assai per lo spirito. Vedete che non ci siano cimici, e tale pulizia da non esserci neanche pulci. Anche voi tenetevi pulite le mani: fate che tutti abbiano la testa bene pelata; ma fatemela questa carità della maggior pulizia e ordine, cominciando, mio caro D. Cremaschi, dal tavolino ove ho dormito io, che ho sempre trovato in disordine e ingombro di mille cose e così mi disse Don Sterpi (Scr. 2,86).
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Così desidero e voglio che, unitamente alla pietà e allo studio o lavoro, ci sia più pulizia e più educazione alla Moffa. Io arrivo a supplicartene come di una grande carità che ti chiedo. Sarebbe inutile invitarmi a venire alla Moffa finché non ci sia vero spirito religioso e un’educazione più civile; niente ricercatezze, ma pulizia e civiltà. Datemi questa soddisfazione, e mi avrete dato più anni di vita. Per essere buoni e santi Religiosi non si deve essere sporchi né grossolani, né, peggio, villani! Il Card. Newman, tra gli ostacoli al propagarsi in Inghilterra del Cattolicesimo, ha posto la inurbanità e poca pulizia del Clero cattolico (Scr. 2,266).
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Vedete di ascoltarmi nel Signore, o figli miei! Le vostre mani avranno la misteriosa e terribile mansione di poter toccare le Sante Carni dell’Agnello di Dio: mantenetele innocenti, pure e pulite. Il vostro corpo dovrà essere quotidianamente il vero e reale tabernacolo di Dio! Amate la nettezza! Se un borghese sporco fa schifo: un Chierico o aspirante al Sacerdozio e a vita Religiosa, quando è poco pulito fa pena grande e orrore, e allontana da Dio le anime. Pulizia di anima e pulizia di abiti: lindi e puri di cuore e pulitezza, freschezza di bucato e lindezza di abiti. Igiene morale e igiene fisica: temperanza nel mangiare, e astinenza anche nei moti più innocenti del cuore, che deve essere tutto e solo di Dio (Scr. 2,270).
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Vi raccomando anche molto la pulizia. Pettine, sapone! Alcuni sputano da per tutto, sono sporchi negli abiti... Dio ha creato l’ordine! Che ordine nel mondo fisico! L’onnipotenza di Dio è la forza dell’ordine. Dell’inferno si disse: horrendum caos; orribile disordine. Non impomatati, ma puliti! (Par. III,113).
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Dovete essere sempre puliti. La nettezza del corpo rivela la nettezza dell’animo; infatti constatiamo che coloro che sono un po’ sudici non sono i migliori. Lavatevi bene il viso, il collo, la testa e i piedi ma siate modesti, direi in modo che l’uno non dovrebbe accorgersi che l’altro si lava. Chi entrasse qui dentro subito si accorgerebbe di questo odore e, con rispetto parlando, coloro i quali sanno di sudare molto ai piedi, procurino di lavarseli di frequente e anche gli assistenti badino, osservino bene su questo punto (Par. V,68).
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Cercate di tenervi puliti! Pulizia, non ricercatezza; non cose secolaresche, ma pulizia! Non è a dire che era lo sporco che faceva Santo il Padre Semeria; né di San Giuseppe Labre si deve dire che si fece santo perché gli correvano i pidocchi addosso; ma si fece santo malgrado quello... Vi sono dei chierici che sono trasandati, hanno i denti cariati e non li puliscono. Tenete pulite le mani, i piedi, il collo! (Par. VI,157).
Vedi anche: Colonie agricole, Lavoro.
Quarantore
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Spero poter dire la Messa, se non facessi a tempo e giungessi in ritardo, andrei direttamente a Volpedo dove ho le 40’ore e celebrerei colà dopo mezzodì. Ho bisogno mi facciate trovare: 1/ le Conferenze agli uomini del Rossi; ci sono, le portai io da S. Remo, prendendole dai libri di D. Bascapè. 2/ i 4 volumi del Biamonti 3/ Cercatemi delle prediche per quarant’ore e per l’Ora di Adorazione. 4/ Un volumetto sull’Unione popolare di un Sacerdote di Bergamo, non ricordo il nome 5/ Ogni altro libro che possa interessarmi: Il Mondin, il Manuale di Religione di Giov. Lanza quello là rilegato – E da cambiarmi, che suderò (Scr. 13,162).
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La domenica in Albis vado a Montecalvo Versiggia per le Quarant’ore: va là, caro Zanaldone, il Signore ci metterà la Sua Santa Mano e tutto andrà a posto Preghiamo e confidiamo in Lui (Scr. 35,109)
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Accetto di venire quest’inverno a farti le Quarant’Ore. Non potrò più predicare tanto per il male di cuore, ma da te ci vengo volentieri, bisognerebbe non fissarmi il tempo (Scr. 66,38).
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1 gennaio Applicazione della S. Messa: a San Rocco, pro meis benefactoribus. Finisco le S. Quarant’ore alla Villetta – predico sulla necessità della Preghiera (Scr. 66,302).
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Accetto quarant’ore a Vho – a Gavazzana – a Rovescala – a Silvano, a Montecalvo (domenica in Albis) (Scr. 66,303).
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Veda, caro Sig. D. Damiani; sono tornato, da un’ora forse, da un paesello della nostra collina tortonese, dove ho finito di predicare agli uomini verso le 9.1/2 e chiuse così le S. Quarant’ore: sono, a dire la verità, anche un po’ stanco, tanto più che mi si è spento il lanternino ed ho scivolato, ed ho così un piede matto, che non voleva più tirare avanti (Scr. 66,466).
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Domenica sarò da Lei però, con l’aiuto di Dio, per le SS.me Quarant’ore, e se non potessi venire io, provvederò– Lei stia tranquilla (Scr. 70,6).
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Il S. Padre venne a fare un’Ora di adorazione a Sant’Anna, dalle 10 alle 11¼ di notte, dal 28 al 29 luglio, segretamente. Vi erano le Quarant’Ore. La Chiesa si tenne chiusa, Ve ne parlerò (Scr. 77,75).
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Chiesa di San Rocco Domenica, 7 corr., e nei seguenti giorni di lunedì e martedì si faranno in questa chiesa, che ricorda la fede e la pietà degli antichi Tortonesi, le Sante Quarantore, con predica. ½ Orario delle Funzioni Esposizione del Santissimo alle ore 8 con Santa Messa. ore 10 Santa Messa. Predica e Benedizione ore 20 (Scr. 77,208).
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Ora mi faccio premura di scriverle, perché è successo quanto segue: nella lettera che le ho scritto, per pura dimenticanza, non l’ho avvertita che io al 1° dell’anno dovrei essere a far le sante quarant’ore a Moneglia, dove incominciano appunto il 1°; perciò se ella non ha ancora avvertito in chiesa – la prego a non avvertir niente. La mia predica non farà male alle quarant’ore di S. Giovanni, ma aiuterà a riuscir meglio, perché cercherò di tirar anime a confessarsi (Scr. 85,11).
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Io sottoscritto Sac. Orione Luigi dell’Opera della Divina Provvidenza dichiaro di ricevere dalla Sign.ra Annetta Conti Meana, abitante in Via Cappel Verde N.6 Torino lire cento per un Triduo Quarant’Ore riparatrici. Ogni giorno del Triduo Messa con fervorino. Alla sera Santo Rosario – Predica – Benedizione con il SS.mo Sacramento, e dopo l’Angelus, canto De profundis (Scr. 110,40).
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Sia lodato Gesù Cristo! Abbiamo qui, a San Michele, le quarant’ore. Purtroppo oggi non ho potuto venire e fermarmi qui un poco... Vediamo di mostrare il nostro amore a nostro Signore e la nostra fede in lui... Veniamo, non solo quelli di turno, ma tutti, nei momenti liberi, in cui ci è dato modo di venire ai piedi di Gesù Cristo. Portiamo una grande fede. È la fede che ci anima, è la fede che ci assicura se c’è l’olio di buono spirito religioso (Par. VII,164).
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Nell’Oratorio Salesiano in questi giorni si fanno le Quarantore e, come stanotte e domani, si tiene esposto il Santissimo e quelli che sentono di più la pietà stanno levati alcune ore davanti al Santissimo esposto... E queste penitenze, queste preghiere, questi atti di riparazione sono offerti al Signore appunto per placarlo di tanti peccati e offese, di tanto libertinaggio che appunto si commette durante il carnevale. Domani anche voi esporrete, per qualche ora almeno, Gesù Sacramentato (Par. XII,101).
Vedi anche: Carnevale, Quaresima.
Quaresima
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Durante la quaresima se poteste dare La Passione di N. Signore Gesù Cristo, mi dicono esservene una per cinema che è qualcosa di pietosissimo e che in Alessandria fece più bene che il quaresimalista del Duomo. Bisognerebbe provarla e assicurarsi che sia tale, ché diversamente forse farebbe più male che bene (Scr. 28,59).
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Riponi in questa tua vertenza dolorosa e poi sempre, ogni tuo desiderio nella santificazione dell’anima tua e ricordati dati sempre, ma specialmente in questa quaresima che nelle tribolazioni che il Signore ci manda, Egli vuole, come ti dicevo l’altra volta, che ci rendiamo più buoni e più simili al suo divin Figliolo Gesù Cristo Crocifisso (Scr. 28,90).
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Niente più ti raccomando che di servirti di questo tempo di quaresima per raccoglierti e indirizzarti di più nella preghiera e nel digiuno e mortificarti. L’orazione è la scienza delle scienze e la sola che faccia l’uomo – e più il religioso, contento e beato; è il mezzo per ottenere perdono e salvezza: è la porta del Cielo (Scr. 29,140).
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Tutta la Quaresima è consacrata a meditare i patimenti e la morte di Gesù Cristo; ma le due ultime settimane, quella di passione e la Settimana Santa, ci ricordano più vivamente l’anniversario del più sacro tra tutti i misteri della Fede, onde la Chiesa ne fa il soggetto di pubblici e più solenni offizii. Dobbiamo dunque, o miei cari fratelli Eremiti, raddoppiare il nostro fervore e assistere alle sacre funzioni con un cuore veramente compunto dal pentimento dei nostri peccati (Scr. 30,215).
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Intanto voglia pregare per me che; almeno con questa quaresima cominci la mia vera e costante conversione al Signore (Scr. 39,31).
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L’Opera della Divina Provvidenza è cominciata sette anni fa in un giorno di quaresima e propriamente con un po’ di Catechismo ad un ragazzo che piangeva, fuggito d’in Chiesa. Quel figliolo divenne poi buono e più cristiano ed ora, benché soldato, ricorda ancora con piacere quel giorno tempestoso e felice per lui. Ma e dopo lui quanti figlioli con il Catechismo e con la grazia del Signore divennero più buoni e più cristiani! (Scr. 69,1).
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In Quaresima la Chiesa ci fa sentire questa verità più vivamente, ed è la misericordia di Dio che batte alla porta del nostro cuore per portarvi di nuovo la sua grazia e la sua pace. Convertiamoci, dunque e facciamo penitenza di tutte le nostre iniquità e facciamoci in Cristo un cuor nuovo e uno spirito nuovo, vivendo nella onestà e pratica della vita cristiana, da irreprensibili figlioli di Dio (Scr. 73,212).
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È venuta la Quaresima, ma non vi spaventate. La Quaresima non uccide nessuno e non fa soffrire neppure il male della caduta d’un capello. È venuta la Quaresima e la Chiesa dice ai suoi figli: “Cristiani, ricordatevi che siete uomini e siete battezzati: basta con le baldorie del Carnevale e con i peccati: ritornate a vivere da creature di Dio”. In alto i cuori! Con un po’ di mortificazione e di preghiera avrete la grazia di resistere alle passioni, che vi tirano al basso. In alto i cuori! Vivete con onestà, astenetevi dal male e, quando aveste mancato, purificate la vostra anima con una buona confessione che sia il principio d’una vita più timorata di Dio. Osservate e santificate la Quaresima e avrete consolazione e pace alle anime vostre! Genitori, ricordate! Nelle Parrocchie si fa il Catechismo per i fanciulli. Genitori, ricordate il grave dovere di mandare i vostri bambini, tanto quelli che dovranno fare la prima Comunione come gli altri, che già l’avessero fatta, ma che devono completare la loro istruzione religiosa e prepararsi degnamente alla S. Pasqua (Scr. 79,159).
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Ho pensato di mandarvi un breve regolamento per la maggior perfezione del vostro spirito in questa Quaresima. L’ho tolto da San Paolo della Croce. I Orazione 24 ore al giorno, cioè fare tutto con il cuore e con la mente elevata a Dio e in Dio, stando in solitudine interna e riposando in pura fede (Scr. 101,168).
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È Quaresima: facciamola veramente e santamente. Non guardiamo al nostro stomaco, dimentichiamolo, tenendo fissi gli sguardi nel petto squarciato di Gesù Crocifisso (Scr. 108,267).
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Nei giorni della quaresima, giorni di salute, conformiamo il nostro spirito allo spirito della Chiesa, cerchiamo di camminare nella via del Signore; e se qualcuna di voi cammina di fianco, si metta a camminare diritta. Cerchiamo di pregare di più, di far più penitenza, insomma di servire e di seguire il Signore in modo più perfetto (Par. I,122).
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Oggi, primo venerdì di Quaresima, la Santa Chiesa, sempre Madre Benigna, cerca tutti i mezzi per aiutare i suoi figli e per questo ha tolti tutti i digiuni e le astinenze, solite a praticarsi in questo tempo. Così oggi, primo Venerdì di Quaresima, per i Cristiani, – non parlo delle comunità religiose che seguono le loro regole e costituzioni, – ma per tutti i fedeli non è giorno di digiuno e di magro come per il passato, ma possono mangiare cibi di grasso. Quelli che accusano la Chiesa di essere troppo stretta, gretta, non ne conoscono la larghezza materna, spinta sin quasi all’eccesso, pare a me, con la quale provvede al bene dei suoi figli. (Par. I,123).
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La Quaresima ci ricorda tante cose; vi parlerò in Quaresima sul significato che ha nella nostra Religione, la sua istituzione e la sua pratica. Mi limito a dire che Gesù prima della sua vita pubblica fece penitenza per 40 giorni in un deserto; deserto per dire che era un luogo appartato. Anche San Giovanni Battista predicava nel deserto, ma non nel senso nostro, ma nel senso di luogo disabitato. Gesù si ritirò, dunque, nel deserto, per 40 giorni e 40 notti... Prima della Pasqua si hanno questi 40 giorni per prepararci alla grande solennità nella quale, quest’anno, il Beato don Bosco sarà canonizzato. Che cosa vuole da me, da voi, da tutti i fedeli, la Chiesa? Vuole che consacriamo questo periodo di tempo alla orazione e alla penitenza e al digiuno quaresimale e all’astinenza dalla carne. La Quaresima incomincia con l’imposizione delle ceneri per ricordare all’uomo che è polvere e che in polvere ritornerà (Par. VI,33).
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Siamo nella Quaresima, mortificatevi: in essa dovete pregare. Questo è tempo accettevole, dato dalla Chiesa, specie per quelli che vogliono servire Dio più da vicino, perché abbiano da disporre il nostro cuore alle grazie che ci vuol fare. Vi ripeto che è tempo di mortificazione e di preghiera e vi raccomando nuovamente di pregare (Par. VI,38).
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Dobbiamo prendere la Quaresima con vivo spirito cristiano e religioso se vogliamo che davvero questo tempo sia un tempo grato a Dio e questi siano giorni di salvezza e di santificazione e di profitto dell’anima nostra! (Par. VIII,180).
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È incominciata la Quaresima. Siete dispensati dal digiuno. Quelli che hanno l’età sono dispensati. Invece del digiuno, a commutazione del digiuno, si reciteranno ogni giorno 5 Pater, Ave e Gloria alle Sante Piaghe di nostro Signore. E perché nessuno abbia a dimenticarsene, i 5 Pater, Ave e Gloria si reciteranno a braccia alzate, come fanno i terziari di San Francesco e insieme dopo la visita del Santissimo Sacramento. Chi non ci sarà alla visita lo farà dopo da solo... Durante questa Quaresima dobbiamo ravvivare in noi lo spirito religioso. Che cosa intendo dire dicendovi che dobbiamo ravvivare in noi lo spirito religioso? Ecco, intendo dire questo: dobbiamo ravvivare l’esatta osservanza delle Regole, dobbiamo metterci con maggior impegno ad osservare le Regole (Par. XII,103).
Vedi anche: Pasqua.
Quarto voto
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I fratelli di questa società faranno tre voti semplici di castità, di povertà e di obbedienza, emessi i quali vengono annoverati fra i coadiutori dell’Opera della Divina Provvidenza. Alcuni sacerdoti poi, scelti fra i coadiutori e nominati dal superiore faranno un quarto voto perpetuo di speciale obbedienza al romano pontefice, dopo il quale vengono chiamati con il proprio nome di presbiteri dell’Opera della Divina Provvidenza e avuti siccome servitori fino alla morte e figli del Papa (Scr. 45,29).
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La Compagnia del Papa: per scopo mediato remoto: la santificazione dei congregati e della società; per scopo immediato prossimo: la completa esecuzione del programma pontificio. Questo fine proprio viene sancito da un quarto voto, ponendosi così l’Istituto ad ogni congregato alla pronta de assoluta obbedienza del Pontefice, in ogni ordine di idee e di fatti, con ogni attività dell’intelletto, del cuore e del braccio; per eseguire dove, come, quando e, cosa al Pontefice piace per l’attuazione del suo programma (Scr. 52,1).
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Il fine primario e generale di questa umile Congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, e di queste Costituzioni. Fatti almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, si può essere ammessi ad un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al romano Pontefice: di offrire la vita per le missioni tra gli infedeli e per il ritorno dei protestanti e delle chiese separate alla unità della madre chiesa (Scr. 52,64).
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Quei Figli della Divina Provvidenza poi che, emessi i voti perpetui, avranno fatto almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, potranno essere ammessi a un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al romano Pontefice. Essi non devono vivere che per la santa madre chiesa di Roma, votati, per misterium Crucis, a darle tutto il cuore, la mente, il sangue e la vita, in un sacrificio continuo e totale di sé, offrendo quotidie preghiere e mortificazioni, ut fiat unum ovile et unus Pastor. E accesi da ardentissima carità di difendere e propagare la fede, godranno se piacerà al Vicario di Gesù Cristo di chiamarli a faticare contro il per colo protestante, come a dilatare il regno di Dio tra gli infedeli o a richiamare alla primitiva unità della chiesa i fratelli separati (Scr. 59,21d).
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Fatti almeno dieci anni di irreprensibile vita religiosa, i Figli della Div. Provvidenza potranno essere ammessi ad un quarto voto, di consacrazione al Papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al Romano Pontefice. Essi offriranno del continuo preghiere e mortificazioni ut fiat unum Ovile et unus Pastor (Scr. 80,315).
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Il fine primario e generale della nostra congregazione è la santificazione dei suoi membri, mediante la osservanza dei tre voti semplici di povertà castità e obbedienza e di queste costituzioni. Dopo dieci anni di voti perpetui può essere ammessi ad un quarto voto di speciale obbedienza al papa e di tutta sacrarsi ad indefessa preghiera e lavoro per la predicazione e diffusione del santo evangelo nonché per il ritorno alla madre chiesa di Roma delle chiese separate e dei protestanti (Scr. 118,214).
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Quei figli poi della div. Provv.za che emessi i voti perpetui, avranno fatto altri dieci anni di irreprensibile vita religiosa, potranno, a giudizio del superiore gen.le ad essere ammessi ad un quarto voto di consacrazione al papa, avente speciale obbligo di servire in tutto e per tutto al sommo pontefice. Essi non devono vivere che per la Santa Chiesa di Roma, votati a darle tutto il cuore, la mente, il sangue, la vita in un sacrificio continuo e totale di sé, offrendo quotidie preghiere e mortificazioni ut fiat unum ovile et unus pastor. E accesi di ardentissima carità di difendere e propagare la fede, godranno, se piacerà al Vicario di Gesù Cristo di chiamarli a faticare contro il pericolo protestante, come il dilatare il Regno di Dio tra gli infedeli o a richiamare alla primitiva unità della Chiesa i fratelli separati (Scr. 118,214).
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Quindi noi siamo la “Compagnia del Papa”. Dopo 10 anni che si è in Congregazione, già Sacerdoti, si fa il quarto voto di obbedienza al Papa. Se il Papa dovesse domandarci le nostre Case, gliele concediamo perché non è roba nostra, ma è roba del Papa! Se domani il Papa ci domanda la nostra pelle, andremo a venderla sul mercato. Se qualcuno parla male del Papa, come quando si parla male del padre e della madre, subito diffidate e allontanatevi (Par. V,194).
Vedi anche: Compagnia del Papa, Costituzioni (FDP e PSMC), Papa, Voti (religiosi).
Questione romana
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Continui a tenere vivi e uniti i cattolici italiani nell’amore figliale e nell’obbedienza sincera e piena al Santo Padre, e a propugnare senza reticenze la libertà e l’indipendenza della Santa Sede, ponendo la questione romana sempre a questione principe nel pensiero e nell’azione. Avanti sempre come fin qui, illustre sig. commendatore! Segno di contraddizione, segno di inestinguibile odio ed indomato amore Io pregherò per voi tutti, soldati gloriosi dell’Unità Cattolica e della libertà della Chiesa di Cristo! (Scr. 64,136).
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Viva dunque e prosperi «l’Unità Cattolica» e vivi e tenga uniti i cattolici italiani, e i giovani specialmente nell’amore figliale e nell’obbedienza sincera e piena al Santo Padre, e continui a propugnare senza reticenze la necessità della libertà e della indipendenza della Santa Sede da ogni ostile dominazione. mantenendo alla questione romana sempre il posto di questione principe nel pensiero e nell’azione dei cattolici (Scr. 71,135).
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Mi par venuta l’ora che si debba omai risolvere la grave, la grande questione romana. La Santa Sede è tale Istituto da non nascondersi la necessita, la bellezza della nazionalità italiana. Ricordiamo che ancor ieri fu il Papa a rivendicare il diritto di ogni nazione, alla propria libertà, alla più completa indipendenza, e al governo di sé (Scr. 87,74).
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Non parlatemi di moderazione in fatto di questione romana, non parlatemi di prudenza: la prudenza in questo caso è codardia, la moderazione viltà, onta, tradimento. Lasciatemi, lasciatemi: “Quidam me urget ora praecipit ut romanum evertan” Anch’io grido con Odoacre e con Attila: qui la Roma massonica: abbattiamo la Roma giudaica: la Roma pagana! E splenda sul Campidoglio il vessillo del Pontefice libero ed indipendente: del Papa che s’inalberi sul Capitolino la Croce di Cristo, la croce della libertà vera, della civiltà cattolica! Dio lo vuole! (Scr. 96,4).
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Voi non potete immaginare quanto bene vi faccia la Storia Ecclesiastica specialmente degli ultimi settant’anni. Ora si è sciolta la Questione Romana: (trich e trach); ma vedrete! troppe sono le lacrime; non mi pare una saldatura che tenga. Troppi Cardinali e Vescovi morirono in esilio, perché possa finire così. I principi del Fascismo sono gli stessi del Liberalismo; portano un’altra maschera; non è che il pensiero, la dottrina, si sia cambiata. Dato che vogliono erigere un monumento ad Anita Garibaldi, si vede che i principi non sono cambiati. Io vorrei sbagliare, ma voi vedrete brutti giorni (Par. IV,378).
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Oggi che la Questione Romana è compiuta, oggi il Papa torna ad essere insultato, oggi, o miei cari figli e fratelli, per voi è giunta l’ora di un nuovo lavoro; oggi al vostro cammino si apre un nuovo orizzonte. Oggi nella cattolica Spagna i rossi bestemmiano il Papa, nel Messico è bestemmiato, e così pure in Russia. Oggi che il Papa è così bestemmiato da gran parte dell’Umanità e oltraggiato, deve essere uno stimolo sommamente per voi potente per attaccarvi sempre più con amore al Papa (Par. V,124).
Vedi anche: Chiesa, Concordato (Stato–Chiesa), Papa.
Questua delle vocazioni
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Ho iniziato la questua delle vocazioni nel Trentino e nel Veneto; presto manderò nel Bergamasco, nel Bresciano, in Liguria, Brianza, Piemonte, Novarese e nel Cantone Ticino. Prega il Signore che ci mandi molte buone e sante vocazioni; ne prenderemo 300, tutti dell’alta Italia, o quasi, esclusi i figli unici e quelli di madre vedova, eccettuati casi specialissimi (Scr. 32,62).
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Vi presento con questa mia lettera il fratello Stanislao Kostka Oscar, il quale appartiene alla nascente Congregazione dei figli della Divina Provvidenza. Egli viene a voi nel nome di Dio benedetto e con il permesso dei suoi superiori viaggia per il Brasile in questua di vocazioni per il nostro Istituto della Divina Provvidenza. Umilmente vi prego di volergli usare ogni carità e conforto per l’amore di Dio e dalla mano di nostro Signore voi ne avrete larga ed eterna ricompensa, poiché il suo lavoro, se verrà benedetto come io ho fede da Dio, sarà molto utile alla causa della santa Chiesa di Gesù Cristo, in questi tempi nei quali tanto si sente il bisogno di avere dei buoni padri che cerchino veramente la salute delle anime (Scr. 50,124).
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Quel tal Fra Galdino del Manzoni si contentava di andare alla cerca, alla questua delle noci: io invece, (sarà colpa dei tempi che progrediscono! ) se Vostra Signoria non starà in guardia, finirò di cercare e di portar via anche Lei... E chi sa mai? Chissà che un giorno... Dio volesse! Per ora mi accontento di chiederLe umilmente di mandarmi delle vocazioni, buone vocazioni, molte vocazioni! Anime e Anime! Cerco anime! Cerco, con il divino aiuto e di Vostra Signoria, di far opera suscitatrice di buoni Religiosi, di santi Sacerdoti, di Apostoli. Chi non vorrà aiutarmi? Fatemi questa carità, per l’amore di Dio benedetto! Mi affido a Nostro Signore e alla intelligente bontà e zelo di Vostra Signoria (Scr. 62,32).
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Le rimarrò grato tutta la vita di quanto la S. V. potrà coadiuvarmi nell’opera di propaganda e ricerca di sante vocazioni. Poiché di questo appunto vengo in cerca in Nomine Domine: vengo cioè a far la questua specialmente di giovanetti poveri, che mostrino desiderio di farsi sacerdoti e siano disposti, con il consenso delle famiglie, a far parte di questa umile Congregazione dei figli della Divina Provvidenza, la quale, perché benedetta dai Vescovi e dal Vicario di Gesù Cristo, poté estendere anche fuori d’Italia le sue tende; a Rodi, in Palestina, in Polonia, in Brasile e Argentina. Essa è pronta ad accettare fanciulli poveri, purché diano buone speranze per la Chiesa. E li educherà, con l’aiuto di Dio, a solida ed ignita pietà eucaristica, a fervido spirito di carità e di apostolato, assistendoli con cura particolare negli studi. «La messe è molta, ma gli operai sono pochi». Diamo operai e buoni operai ai vasti campi delle fede e della carità (Scr. 63,175b).
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Per il carattere, poi, che è proprio di questa nascente Congregazione, vado in questua anche di vocazioni tardive, di vocazioni, voglio dire, di adulti, sia per il Sacerdozio che per fratelli laici o coadiutori, dei quali abbiamo grande bisogno, tanto in Italia che all’Estero, nelle missioni. E ricevo anche uomini fatti, purché liberi: contadini, artigiani, anche fossero vedovi, purché di buona salute e di buona volontà. Tutti quelli che si sentono chiamati e siano validi a darmi una mano e ad esercitare in qualche modo l’apostolato della carità nei Collegi, nelle Colonie agricole, nelle Scuole professionali: tipografie, officine meccaniche, falegnamerie, laboratori d’arti e mestieri, come pure negli Ospizi, Case di ricovero, che la mano della Provvidenza va aprendo a salvezza della gioventù, a conforto degli umili: tutti possono trovare da noi la loro nicchia, trovar loro posto di lavoro, perché in queste Istituzioni di carità multae sunt mansiones. Ciò che importa è che ci sia salute e buona volontà; poi essi restano con noi, come in casa loro, da sani e da ammalati, per tutta la vita. Anche per i disingannati del mondo, che intendono darsi a Dio in una vita di raccoglimento e di oblio, abbiamo gli eremiti. I nostri eremiti della Divina Provvidenza vivono nella pace della solitudine, pregando e lavorando. Si ammettono aspiranti anche di giovane età. E poi? E poi non ho ancora finito, perché ho anche le suore. La Divina Provvidenza va giocando. Da qualche anno essa mi venne sviluppando tra mani una nuova Congregazione di suore, che furono dette le Missionarie della carità. E già si sono sparse nel Piemonte, in Lombardia, nel Veneto, nell’Emilia, nelle Marche, a Roma, ed in Calabria. Ora poi si preparano per le missioni. Quante siano, non lo so. So che, in genere, le suore sono un po’ come le formiche: si danno attorno come le formiche, crescono, si moltiplicano come le formiche. Devo dire però che, al bisogno, sono sempre poche, perché me ne richiedono da tutte le parti. Ond’è che se la signoria vostra molto rev.da avesse buone vocazioni per suore, Le sarei assai tenuto se volesse indirizzarmene. Non cerco dote, non pongo limite di età, solo cerco se hanno buono spirito, buona salute, buona volontà di amare e servire Gesù, di lavorare in umile obbedienza, di sacrificarsi nella carità di Cristo per fare del bene ai poverelli. Perché le mie suore non sono per i ricchi, sono per i poveri, anzi per i più poveri ed abbandonati. Et Deo gratias! (Scr. 63,174c–174d).
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Ti incarico dunque di andare in Domino a fare la questua di vocazioni per la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Credo inutile raccomandarti che bisognerà che tu vada in giro pregando la Madonna che ti aiuti ed assista; che tu sia molto delicato con i Rev.di Parroci, sì che solo per il tuo buon esempio di modestia, di serietà, di pietà, essi abbiano da essere così bene impressionati da sentirsi interiormente mossi ad inviarci tante buone vocazioni. Sii dunque molto prudente e discreto nel parlare e nel tratto. Vedi che la prima e più efficace propaganda si fa con il buon esempio (Scr. 77,106).
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Si intensifichi nelle varie città la questua in favore delle nostre vocazioni. Sono difficili i tempi, ma pure la Piccola Opera non cessa di seguire con il Divin Aiuto quella via di sviluppo che la Provvidenza le segna (Riun. 20 luglio 1932).
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Le case che non danno vocazioni ritengo che non siano a posto. Ci saranno cambiamenti nel personale. È da qualche tempo che non c’è più quell’entusiasmo per la questua delle vocazioni. Bisogna darsi alla questua delle vocazioni specialmente in quelle zone che e per il carattere degli ambienti e perché la vita degli abitanti e perché la vita religiosa è ancora molto sentita e perché la gente sente ancora il timor di Dio, si possono trovare elementi buoni per la Congregazione. Dopo che si è lavorato per anni attorno ad individui capitano delle belle eclissi da farci stupire – e questo si verifica specialmente di certe regioni. È il Signore che parla al cuore ma vuole che noi ci diamo attorno. Cercare vocazioni per eremiti. Cercare le vocazioni ma curare quelli che il Signore ci manda e curarli in modo particolare quando escono dal noviziato. Pregare che il Signore susciti dei Samueli che vengano a riempire le nostre file (Riun. 27 agosto 1937).
Vedi anche: Vita religiosa, Vocazione.
Radio
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Ieri sera, festa di don Bosco, ho parlato agli argentini alla radio e in lingua spagnola; ma la cota non riesco a pronunciarla bene, bisogna esser nati qui. È la prima volta che parlo alla radio, ma è un mezzo da poter fare tanto bene, dunque converrà servirsene con la massima frequenza (Scr. 18,88).
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Il 29 agosto, festa della Madonna della Guardia, sarò in spirito con voi tutti; e da Buenos Aires parlerò ai cari tortonesi e ai pellegrini per radio, alle ore 22 precise, quando sarete sulla piazza del Duomo. Intendetevi bene costì e provvedete ponendo sulla piazza del Duomo gli altoparlanti: trasmissione: L. S. X. longitudine onde corte – 28. 98 Di quanto su vi ho scritto, almeno in parte, sarà forse bene darne comunicazione al pubblico con strisce, parlarne al santuario e pubblicarla sui giornali, perché tutti che hanno la radio possano, volendo, ascoltare. Deo gratias! Vedete, cari miei, che si può e si dev’essere modernissimi, senz’affatto esser modernisti (Scr. 18,133).
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Ti vorrei sapere meno poeta e più lento in certi passi. Non so ad esempio come ti arbitri di far acquisto di una radio per lire 400 mentre siete nei debiti fin sopra i capelli e quando sai che l’elemento di codesta Casa ha bisogno di non avere il pericolo che presenta una radio. Ma di questo ed altro dirò a voce in Domino, «quia desidero videre vos» (Scr. 34,198).
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Quella radio che ho visto lì e che dicesi vi fu donata, mettetela quam citius alla riffa e non la adoperate, che non è secondo il nostro spirito avere la radio. Vi dirò, altra volta, ciò, che a proposito, ha scritto il Rettore maggiore dei salesiani a tutti i suoi religiosi, ora diventerei troppo lungo. Saprete del resto le gravi parole dell’Episcopato argentino circa l’avere la radio e si rivolgono i Vescovi specie alle Case dei religiosi e ne parlano in modo molto grave (Scr. 51,75).
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Non è assolutamente permesso ad alcuno dei figli della Divina Provvidenza di tenere presso di sé la radio per servirsene a suo talento. Che sarà della castità di quel povero religioso che la espone – nelle ore più pericolose – agli incentivi di canti passionali, alle frasi equivoche, ai frizzi lascivi, alla spudoratezza sfacciata? Per le grandi audizioni che interessano la Chiesa, la Congregazione, la Patria – le giuste gioie di noi Cattolici di religiosi, di cittadini, i Superiori sappiano fare partecipi. Attenti anche i dischi del grammofono posso esporci e dolorose sorprese ad essere motivo di scandalo. – Una fatuale imprudenza può cagionare la perdita di un’anima (Scr. 56,190).
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Siano sospesi pure da ogni promozione agli Ordini quei Chierici che avessero tenuta la radio o riviste illustrate, sia provenienti dall’Italia che edite in America: intendo parlare di riviste non adatte a Religiosi (Scr. 68,154).
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Parto dall’Argentina dopo una dimora che doveva essere breve e che Dio Nostro Signore con segni tangibili della sua provvidenza ha voluto prolungare per tre anni a partire dal vostro miracoloso Congresso Eucaristico e in quest’ora propizia per l’effusione del cuore voglio approfittare della gentile offerta della Radio Ultra per parlare ancora una volta a tutti voi o amati argentini: Quantunque invisibili corporalmente sento di qui che le vostre anime e la mia palpitano in una medesima fratellanza cristiana e che con molte di esse si è formata una ben profonda comunità di ideali soprannaturali e di quegli affetti che formano una amicizia superiore a tutte le contingenze, una amicizia che confermerà eternamente nel cielo (Scr. 74,138).
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Quest’anno celebrerò la Messa di mezzanotte a bordo dell’«Oceania» e poi parlerò alla radio a tutti gli italiani dell’Argentina; ma si potrà anche sentire dall’Italia perché il Ministro per la stampa e propaganda, S. Ecc.za Alfieri, ha disposto che il discorso–che sarà breve–si possa ascoltare anche in tutta Italia. Deo gratias! E sia lode e onore solo a Dio! Pregate che, con il divino aiuto, possa fare un po’ di bene: con la radio si fa tanto male: ringraziamo Dio quando ci è dato di potercene servire per fare un po’ di bene (Scr. 100,164).
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In questi giorni penserò a voi e a tutta la Congregazione, ma in modo specialissimo a voi: non dico che vi telegraferò: in altri tempi, quando non c’era la radio, vi avrei mandato un telegramma; ma ora la radio vi darà la notizia e allora insieme con i vostri Superiori vi raccoglierete ai piedi della Madonna Santissima nel Suo Santuario a San Bernardino a ringraziare il Signore e canterete un solenne Te Deum e così le nostre preghiere, partenti da punti diversi e lontani si fonderanno ai piedi di Dio (Par. X,108).
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In certe case vi è la radio. Mi direte: l’hanno regalata. Ah... predicava un padre gesuita, lo chiamavano il padre che fa ridere. Si sono trovati con un frate francescano che pareva frate Elia. Il frate francescano tira fuori l’orologio d’oro. Ed il frate: Ah, sa, me lo hanno regalato. Dopo un po’ tira fuori la tabacchiera d’oro. Ed il Gesuita: San Francesco poverello! – Mi è stato regalato dalle signore del terz’ordine... Sono andato a trovare la Luzzatti, una donna coltissima e ricchissima mi ha regalato... Questa signora mi ha voluto leggere una lettera che l’ingegnere X le aveva scritto da Assisi. Parlava del Convento di San Damiano e della Porziuncola, diceva di aver trovato i frati del cappuccio lungo Era ebreo... ma che pena faceva a lui il vedere sul naso di certi frati gli occhiali d’oro, gli occhiali di tartaruga! Quella lettera è un capolavoro e ve la voglio mandare. Mi sono trovato a... in casa di... Hanno attaccato la radio. Ho sentito qualche cosa e poi ho detto che dovevo andare e me ne sono andato (Riun. 26 agosto 1930).
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Non si faccia uso di Radio. Quelle Case che l’hanno non lo adoperino che per una ragione conveniente, sempre per i giovani, mai per soddisfare la curiosità dei soli religiosi (Riun. 21 luglio 1932).
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Perché la radio nelle case? Mi direte c’è in Vaticano... La radio è un’arma a due tagli. Stavamo a Varzi, apersero la radio per il giornale radio e poi saltò fuori della robaccia Stiamo in piedi e non abbiamo i piedi della statua di Nabucodonosor (Riun. Agosto 1932).
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Non si deve mai lasciare la radio in balia dei Chierici È grave questa responsabilità per un Superiore. Bisogna permettere solamente quell’uso che davanti al Signore si crede necessario e quando si sappia che da quella audizione ne possa venire un bene. Nessuna radio ad uso esclusivo di alcuno (Riun. 27 agosto 1938).
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Bisogna essere all’altezza dei tempi: quello che vent’anni fa non si sapeva neppure concepire telefono, radio, volo, tante cose nuove. città in mezzo al mare, città nell’aria... diventano esigenze, hanno i loro benefici. Tutto bisogna usare per salvare la gioventù operaia, per un programma di salvezza degli umili, dei lavoratori. Noi ci saremo e non ci saremo... Il Signore farà! (Riun. 1938).
Vedi anche: Musica.
Religione
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Deh! che la nostra religione non si estenda ad una semplice apologia di ciò che ha fatto Cristo e ad un semplice culto di adorazione di Cristo! Noi saremmo credenti, ma non saremmo figli! E i credenti soli difficilmente hanno l’amore di Gesù: Gesù non può amare che i figli! E come saremo figli, se non siamo seguaci? Ah pensiamo che tutto finisce e che la carità di nostro Signore deve penetrarci tutti, rendere dolce ogni vita, dolce ogni sacrificio, dolce ogni cosa più opposta al nostro naturale! (Scr. 30,144).
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State attaccati alla religione e siate devoti della SS.ma Vergine e vivete onesti e laboriosi: ecco il ricordo che vi lascio e Dio vi darà del bene (Scr. 50,302).
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Bisognerà prevenire e premunire la gioventù e valerci della scuola per istruirla bene nella Religione, per portarla a vita pratica cattolica e salvarla. La buona riuscita sarà assicurata, anche negli studi, se noi li educheremo a coscienza e se formeremo in essi un solido fondamento di fede e una volontà e un carattere forte e sinceramente cristiano (Scr. 51,21).
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Fondamento del sistema non solo deve essere la ragione e l’amorevolezza, ma la Fede e la religione cattolica praticata e il soffio di un’anima e di un cuore di educatore che ami veramente Dio e lo faccia amare, dolcemente, insegnando ai giovani le vie del Signore. L’educatore deve sempre parlare il linguaggio della verità con la ragione, con il cuore, con la Fede! (Scr. 51,23).
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Le pratiche di pietà non bisogna renderle pesanti e uggiose: deve la religione essere come un alto raggio di luce che illumina, che riscalda, che fa bene, che è desiderata e che dà vita: così dev’essere la pietà. Le pratiche di pietà sono utili, sono necessarie, ma non dimentichiamo che sono mezzo, non fine (Scr. 51,36).
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Persuadiamoci anzi che bisogna tornare alla religione, se vogliamo grande e gloriosa la Patria. La guerra europea fu scatenata da chi era ossessionato da spirito di egoismo e di perversione, specialmente nello svalutare i valori morali. Dovette essere un ignobile, spiritualmente cieco, calcolatore solo di ciò che ha valore materiale. Ora il pericolo non è scomparso, tutt’altro! Badate, amici: la morale e la vita stessa della società corrono ancora gravissimo rischio, perché troppi vivono solo una religione di maniera, altri e molti sono gli spiritualmente ciechi, onde avviene che il progresso meccanico va inghiottendo tutta o troppa parte dell’attività umana. Sola via di salvezza è la religione (Scr. 52,250).
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La Religione, come voi sapete, è l’esercizio di tutto ciò che tende al culto e all’amore di Dio e della Chiesa – ma ciò che costituisce virtuoso un tale esercizio e rende virtù la religione, è lo spirito, cioè l’affetto che la persona nutre per ciò che è Dio o di Dio: la stima che ne fa: il modo e il fine con cui lo presta (Scr. 55,36).
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Differenza tra virtù di religione e pietà. la religione: la prima c’inclina a compiere tutti gli atti che appartengono all’onore e al culto di Dio, il quale, avendoci creati ha diritto d’esser riconosciuto e adorato da noi. la pietà: ci fa onorare Dio non solo come Dio, ma come Padre – serviamo Dio con tenerissimo affetto – con delicatezza – con profonda devozione. La pietà è così l’anima della religione: l’essenza della religione, uno dei doni dello Spirito Santo – la sorgente d’ogni grazia, dice San Paolo e d’ogni benedizione per la v pres. e futura (Scr. 55,187).
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Il nostro cuore dev’essere un altare dove continuamente e inestinguibile arda e splenda questo fuoco: il sacro fuoco dell’amore di Dio e degli uomini: un altare dove una fiamma salga sino al Signore, avvolgendo e portando a Lui i fratelli: i fratelli tutti, di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano e anche i senza religione, dando la preferenza ai più bisognosi, ai più abbandonati, ai più sofferenti, ai senza fede, ai senza onestà, ai più debosciati, ai reietti da tutti (Scr. 55,334).
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La religione è un dovere. Ce lo insegna il buon senso – un infelice che gettato da una burrasca – l’uomo all’uso di ragione Doni di Dio La religione è un bisogno – il primo bisogno dell’uomo è di conoscere la verità e di non soggiacere nella ignoranza La prima verità che interessa l’uomo è quella che riguarda lui stesso Conosci te stesso, diceva l’antica sapienza (Scr. 56,76).
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Fondare una morale e una società senza Religione sarebbe voler un edificio senza fondamenta, una legislazione senza legislatore: convinti che l’intelligenza e il cuore se non diretti dalla religione sono come quelle luminose esalazioni, che si accendono in tempo di notte e non fanno lume che per condurre a qualche precipizio (Scr. 57,235).
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Si vuole ad ogni costo sterminare la Religione di Cristo e, come ben scrisse il venerato Pontefice della virtù non meno che della sapienza, il grande Leone XIII, si agogna strappare dal cuore la fede e riseppellirci nelle tenebre del gentilesimo. O Religione Santa! la voce della verità, la giustizia in te combattuta e le tue vittorie sempre più splendide, altamente ti gridano religione vera, ti venerano quale Sposa di Cristo! In Te Christus vivit Christus regnat – Christus imperat. Eccovi il miracolo più stupendo del secolo XIX (Scr. 57,297).
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È necessario, quindi che la religione tutto signoreggi nella scuola e nell’Istituto: l’insegnamento, la disciplina, la stessa ricreazione! La religione non deve essere uno studio o un esercizio, cui sia solo assegnato la sua ora: è una fede che deve farsi sentire costantemente e dovunque, ed esercitare la sua azione sulla vita intera. Finché non si darà a Dio il suo posto di sovrano nell’educazione, nulla si potrà sperare di buono da essa. A questo solo patto, la scuola, l’Istituto raggiungeranno il loro sublimissimo scopo di veramente e sodamente educare. A quanti desiderassero affidare a noi i loro figli assicuriamo ogni nostra sollecitudine per tutto che riguarda religione, morale, sanità e profitto negli studi così scientifici come letterari (Scr. 61,36).
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Come è dovere difendere l’onore della propria famiglia, la prosperità del proprio lavoro e così tutto questo popolo si convinse una volta di più che si deve amare la religione come la vita della propria anima e per mezzo dell’Unione popolare si deve difenderne l’onore e gli interessi (Scr. 64,258).
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Dio mio che ignoranza! Quanti che non hanno fatto la prima Comunione: quanti che non sanno il Pater Noster! quanti che nulla sanno di religione o più nulla ne ricordano e non si sa da che parte cominciare e come poterli assolvere! E in alta Italia? Si bestemmia come Turchi: si ride della Chiesa con quel riso beffardo proprio degli increduli e dei libertini: contro i preti e contro il Papa ogni scherno, ogni vilipendio, ogni più stupida calunnia anche per le pubbliche stampe! Molte famiglie tutto sono, eccettoché cristiane: molti individui di cristiano non hanno più che il Battesimo e perché non possono levarselo (Scr. 71,197–198).
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Perciò è utilissimo che dappertutto, ma specialmente in Italia, ove la guerra giurata alla Chiesa più acre incrudelisce, i cattolici, in sincera fratellanza, si stringano a quella religione che alla patria è fonte di tante glorie. Qui, o fratelli, uniti insieme, gli insegnamenti della Chiesa professiamo con solennità e fermezza maggiore e più altamente li imprimiamo nel cuore (Scr. 77,45).
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La religione ha bisogno di essere conosciuta: conosciuta trionfa! Le tue ossa parleranno l’eloquenza del Martire e dell’atleta. Convinto di quello che credo: la mia parola sarà l’eco fedele dei miei pensieri e del mio cuore; sarà la voce della mia fede cattolica: essenzialmente cattolica. Convinto, voglio convincervi: aspiro a farvi amare quello che io amo, la verità e la virtù: quello che io adoro: Gesù Cristo, la Religione ed il Cielo. inondati da quel gaudio che il vero crea dove batte con il suo raggio immacolato e fecondo. Il cielo che mi additi (a te) era in plurale ti benedica, o venerando Apostolo e arrida copiosa la messe sul tuo passo; noi abbiamo bisogno di te per la tua figura...: predicami la dottrina di Cristo, predicamela integra. La riconoscenza della Religione è la vittoria della Religione, la verità indistruttibile e incorruttibile giudice dei fatti (Scr. 80,4).
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La carità non è realizzabile se non è animata dal soffio ardente della religione e non d’una religione qualunque, perché solo il Cristianesimo, tutte le altre escluse, seppe realizzare questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del suo Vangelo. Con Gesù Cristo e a partire da Lui la religione diventa ispiratrice di carità e con lei è talmente congiunta che la religione senza amore del prossimo non è riguardata che come una indegna ipocrisia (Scr. 80,138).
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Io voglio con il Bollettino parlare una parola dolce, persuasiva, semplice, evangelica, la parola stessa del Signore, perché tutti possano intendere, tutti siano portati ad amare di più Dio, ad amare di più il prossimo: tutti vogliano riconoscere l’eccellenza della Religione e coltivarla: tutti vedano che la Religione cattolica è la sola via della salvezza e la devozione a Maria SS.ma la porta del cielo (Scr. 91,44).
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Bacone ha scritto: “La religione è un aroma che impedisce alla scienza di corrompersi”. Ebbene la religione sarà l’aroma della nostra vita morale e civile, l’aroma della nostra modesta opera di contributo alla restaurazione cristiana e sociale, a pro dei più umili e bisognosi nostri fratelli, comunicandole qualche cosa della sua immortalità. La restaurazione avverrà nella carità, nell’amore di Dio e dei fratelli, in quella carità che non va disgiunta dalla verità e dalla giustizia, come ha detto Pio XI, come ha detto Paolo: facere veritatem in caritate: quella carità che è amore, l’amore che ci anima e che aleggia sopra di noi, quella carità che è luce della fede, calore e amore, che tutto si dà e tutto vince pur di operare il bene (Scr. 94,167).
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La carità non è realizzabile se non è animata dal soffio ardente della religione e non d’una religione qualunque perché solo il cristianesimo, tutte le altre sono escluse, seppe realizzare questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del suo Vangelo. Con Gesù Cristo e a partire da Lui, la religione diventa ispiratrice di carità e con lui è talmente congiunta che la religione, senza amore del prossimo non è riguardata che come una indegna ipocrisia (Scr. 96,162).
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Senza religione non vi ha morale. Levato Dio e la legge divina, donde nascerà la morale? Dalla natura, mi risponde e perciò lo stesso San Paolo scrisse che i popoli che non hanno la legge rivelata hanno la legge naturale. E invero anche il buon senso non separa mai queste due cose – religione ed educazione, religione e gioventù, – religione e gioventù e salvezza sociale (Scr. 102,97).
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La religione non deve mai pesare: non deve essere una campana di piombo, opprimente, ma un raggio sereno di cielo che conforti ed elevi lo spirito. E tieni questo come norma generale. Funzioni brevi. Prendi in mano il cuore dei tuoi giovani e fa loro da padre in Cristo, da madre in Cristo, come Don Cremaschi. Sii sempre leale, veritiero e sincero, sì che abbiano piena stima e piena fiducia in te. Per ora studino bene il latino e la Religione, poi vedremo (Scr. 105,365).
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Vi hanno però oggi taluni che credono la Religione una ispirazione della propria coscienza; essi vogliono stare nella Chiesa, ma vogliono poi pensare ed agire contro del Papa. Orbene, essi sono eretici, se nella fede e nella morale non sono in tutto con il papa; essi sono fuori della diritta via del Signore (Scr. 108,88).
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Una religione ben intesa, non gretta né passiva; non vaporosa, non grossolana; che non miri a profitti terreni, seminerà negli animi “sapienza ed amore e virtute”: formerà uomini interi, cittadini probi e devoti alla patria sino al sacrificio: fini questi che, pure essendo di questo mondo, trascendono in vita eterna (Scr. 108,111–112).
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I nostri libri di testo per la religione, già approvati dalla competente Autorità Ecclesiastica, furono anche approvati con lode dall’apposita Commissione Governativa. È un lavoro nuovo, profondamente educativo, che onora la Scuola italiana; è opera d’un forte intelletto, scrittore dalla lingua viva e pura: valente educatore, civile e cristiano insieme, che, pur nello scrivere, sa rendersi piccolo con i piccoli, sapientemente. Escono questi Manuali di Religione in bella veste tipografica, illustrati con squisito senso di arte da copiose riproduzioni dei migliori lavori della pittura italiana (Gito, Beato Angelico, Michelangelo, Raffaele, ecc.) E ciò ad agevolare quel metodo intuitivo e ciclico ch’è pieno di attrattive e di efficacia e con il nobile intento di educare lo spirito dei nostri fanciulli al bene ed al bello. L’approvazione e la lode che i nostri Manuali hanno ottenuto dal Ministero dell’Istruzione, ci affida che essi incontreranno pure il pieno gradimento delle Autorità Scolastiche e dei Signori Insegnanti (Scr. 110,218).
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A Genova vi è un Signore che ha in odio i preti e la religione. Nessuno gli può parlare di religione, perché le è affatto contrario. Ha visto i nostri chierici lavorare e ha creduto. Anzi mi ha dato 50 mila lire e poi 70 e non ha ancora visto la mia faccia (Par. V,368).
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Teniamoci umili con il nostro Santo Abito e pensiamo che questo Abito deve renderci più umili e più studiosi perché se no ci facciamo sorpassare dalla gente, perché c’è la gente che studia la Religione più di noi Religiosi... Nella Religione di Cristo dobbiamo essere istruiti perché se no una volta o l’altra ci capiterà di parlare di Religione e ci troveremo in non pochi, imbrogliati (Par. IX,317).
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La carità è la nota distintiva della nostra santa Religione. E tanto è forte che essa sola basta ad assicurarci che la nostra religione è verace. È quella carità che conforta, che cementa l’unione dei cuori e li cementa nell’amore di Gesù Cristo (Par. X,198).
Vedi anche: Chiesa, Cristianesimo.
Reliquie
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Ho scritto a don Sterpi che porti a Vostra Eccellenza Rev.ma la reliquia del Beato Stefano Bandello, che Le ho promesso nell’ultima. per questo caro Santo io ebbi fin da quando andavo a predicare a Castelnuovo una speciale devozione, ed a Lui avevo raccomandato me stesso e le prediche che facevo in quel paese tanto più che quel vecchio pulpito era ancora lo stesso su cui aveva predicato il Beato. Io gliela offro con tutto il cuore, codesta s. reliquia, benché mi sia carissima e mi è rincresciuto di non avergliela potuta portare io stesso prima di partire (Scr. 11,42).
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Vi mando delle vedute di Roma antica, che serviranno per la casa di Voghera e poi anche per la casa di Tortona quando la metteremo a posto, con il divino aiuto, perché prenda forma di Casa Religiosa, secondo che vorrei. Mando anche delle sante reliquie che vi prego di ben custodire (Scr. 16,228).
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Ti mando come segno di affetto paterno e a tuo conforto una reliquia del Santo Padre Pio X che devi tenere intera per te e che poi deve passare alla Casa di S. Prospero (Scr. 25,165).
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Mando nove casse di libri. In una troverai due reliquiari più le autentiche di un quadro pieno di sacre reliquie che ti verrà portato a mano da certa sig.ra Zanlungo, zia della maestra di Oramala (Scr. 30,172).
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La sig.ra Angiolina Marchese, nostra benefattrice, che abita al palazzo della posta di Tortona e che ella ha conosciuta in processione, vicino alla SS.ma Vergine, mi diede una reliquia della beata Teresa del Bambin Gesù, perché glie la mandassi. Io la accludo alla presente (Scr. 41,218).
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Non oso, Rev.mo sig. don Ricaldone, chiedere a lei di venire in persona, ma Dio sa quanto le sarei tenuto se ella si degnasse di mandare un suo rappresentante, noi lo riceveremo come se venisse don Bosco! La pregherei pure della carità insigne di favorirci tre reliquie del santo, una per Fano, un’altra per la Congregazione e la terza me la porterò sul cuore (Scr. 42,181).
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In questo momento mi sento dentro una voce che mi dice di prendere la penna e di scrivervi che le reliquie benedette dei vostri cari Santi saranno una fontana di fede e di pietà e molti guariranno nelle anime e molti guariranno anche nei corpi – E questo il Signore farà anche per confondere, con le divine misericordie, la poca fede e la derisione, esterna in parte e interiore anche, di molti che vi compatirono per languore di fede e anche di quelli che temettero umanamente che ne venisse danno alla nostra S. Religione o ci fosse mista della superstizione nel vostro santo lavoro e a molti il Signore aprirà gli occhi per le reliquie dei suoi Santi (Scr. 46,140).
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Raccomandatevi ogni giorno alle sante anime del Purgatorio e ne avrete grande aiuto. Passando davanti alle chiese, salutate gli angeli che le custodiscono. Venerate le sacre Immagini e le s. reliquie che in esse fossero custodite e adorate anche brevemente, Gesù sacramentato, se vi si conserva (Scr. 52,199).
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Il giorno 29 agosto 1899, trovandosi il Sac. Orione a dire alcune parole sulla Madonna della Guardia in Bettole di Castellar Ponzano, riceveva in dono dall’amico D. Alessandro Bottazzi le presenti reliquie, che terrà carissime, lasciando che, dopo lui, passino al Sac. Carlo Sterpi, e, se questi non fosse più, al Sig. Balma Agostino di Torino (Scr. 91,2).
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Spero domani o dopo fare una corsa a Tortona, con il divino aiuto, per la chiusura dei loro S. Esercizi e porterò a codeste figliole una grande reliquia del Santo Padre Pio IX. E ne preparo un’altra per quando Lei aprirà a Roma la Casa della Madonna della Salve (Scr. 103,24).
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Noi abbiamo avuto la fortuna di avere le reliquie di Sant’Alberto e, per grazia di Dio, le abbiamo qui. Esse verranno riportate lassù trionfalmente. Anche dagli estremi confini della Diocesi verranno al grande pellegrinaggio a cui prenderà parte anche il nostro venerato Vescovo (Par. III,91).
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Attenti bene, attorno a quella Chiesa di Ognissanti, dove oggi si fa una grande festa, faremo una Cappella e così pure a San Bernardino, decorata di corpi e di reliquie di Santi. Io adesso cerco di radunarne più che posso (Par. IV,389).
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State a vedere: tra i fini della Congregazione verrà giorno che ci sia anche di darsi attorno per raccogliere le urne dei Santi e le reliquie abbandonate (Par. V,305).
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Io sono stato a Bobbio e visitando il cenobio, trovai una reliquia con l’iscrizione: De virga Aaron. Era nel 1900. Chi stava con me sorrise. Io spiegai in senso benevolo dicendo che erano segni della fede dei padri; ma, certo, ero anch’io perplesso... Toccò invece, proprio a me, a Messina, estrarre le reliquie per la ricognizione, dopo il terremoto e trovai una reliquia – un pezzetto di legno dello stesso colore di quello di Bobbio – con l’iscrizione: De virga Aaron. Ne parlai poi a Padre Vaccari e a qualche eminente studioso di cose palestinesi e di antichità ebraiche; e mi fu risposto che gli orientali sono molto conservatori e assai fedeli nel mantenere le tradizioni. Perciò oggi io credo alla “Virga Aaron” (Par. VII,63).
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Una volta con questo fratello ora defunto si venne a parlare di Alberto e gli dissi: Senti, ad Alberto ho potuto dare, con il permesso del vescovo, 60 lire; tu non mi hai mai chiesto nulla! Egli restò lì un poco e poi guardò: Portami una reliquia da Roma: Mi è caro ricordare questo modo di sentire cristiano: mi chiese una reliquia... Forse noi di famiglia l’abbiamo nel sangue l’attaccamento alle reliquie dei Santi (Par. VIII,29).
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Il Signore ha dato alla Piccola Opera di avere un numero di reliquie e reliquie anche insigni: ma nessuna reliquia è più cara che la reliquia della santa Croce che oggi è sull’altare della nostra modesta Cappella. Questa reliquia che noi abbiamo già avuto da mano d’altri, è stata esposta perché oggi è la festa della Santa Croce (Par. IX,264).
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Si capisce che ho potuto anche portare a casa un po’ di reliquie. Io non vado mai fuori di casa senza ritornare con qualche reliquia. Potremo così aggiungere altre a quelle già abbastanza numerose, che circondano l’altare maggiore nel nostro Santuario (Par. X,40).
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In Diocesi, a Castelnuovo (?) o Castellazzo Bormida (?) abbiamo due corpi di Santi; a Montebello un corpo di Santo; abbiamo Sant’Alberto; abbiamo parecchi Vescovi di Tortona che sono Santi e abbiamo ancora altri corpi di Santi. A Novi, alla Chiesa di Santa Maria Maddalena (?) v’è il corpo di San Prospero e pare che a Tortona vi sia il corpo di Santa Apollonia. A Castelnuovo c’è una insigne reliquia di San Desiderio. Io, un tempo, facevo un po’ l’anticlericale. Mi si era mostrato in un posto un braccio di San Giorgio, in altra parte un altro braccio di San Giorgio e altrove altre braccia di San Giorgio. Ma, dissi io, era un Briareo, questo San Giorgio, che aveva tante braccia? Un Canonico ha preso il martirologio e mi ha detto: – Conti un po’ quanti sono i San Giorgio (Par. XI,28).
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Voi sapete che poi Placido andò a morire martire in Sicilia, a Messina e io, dopo il terremoto, ne estrassi le reliquie insieme a quelle di alcuni suoi compagni martiri e anche di una sua sorella. Mauro, invece, non era prete ma rimase diacono: anche San Benedetto, forse, rimase diacono mentre si sa di certo che San Francesco d’Assisi, per sentimento di umiltà, non ha voluto essere sacerdote (Par. XII,36).
Vedi anche: Devozioni, Santi.
Rendiconto (amministrativo)
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Ricevo ora la vostra che è una specie di rendiconto. Fateli sempre e di frequente questi rendiconti che fanno tanto bene (Scr. 4,4).
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La Tipografia dovrebbe almeno rendere il 3 e ½ per cento del capitale e fare i lavori della Congregazione e di propaganda in più. L’anno scorso, con il ricavo di Viguzzolo si sono pagati i debiti di Tortona, ora vedo che ricominciamo ad affondare: e i sussidi che la Casa di Tortona riceve, non bastano! E la carità in elemosine non bastano! Desidero vederci chiaro: io non ebbi mai un rendiconto di certa parte di azienda della Casa. Ogni volta che ho fatto sentire un lamento, voi vi siete lamentato e mi avete promesso di darmi la situazione, ma poi della Tipografia non la ebbi mai. Questa mia lettera non è un lamento: è un desiderio. Io desidererei un rendiconto da vedere chiaro la nostra situazione, come se voi doveste morire e dare i conti di tutto (Scr. 12,47).
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Dacché siamo in fin d’anno, mi è gradito dovere dare a V. Eccellenza Rev.ma un po’ di rendiconto della parte amministrativa delle Case, che sono in Sua Archidiocesi, riserbandomi darLe anche conto della parte morale e religiosa il che spero poter fare di presenza, dopo i Santi Esercizi Spirituali che saranno in gennaio (Scr. 67,306).
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Ogni Casa dia il rendiconto di questo stato finanziario, perché così si vede chiaro 1) come le case dipendano in tutto dai Superiori, 2) e quali crediti o debiti ci sono e non si va all’oscuro. Questo è da farsi ogni 6 mesi: da Gennaio – Giugno, da Giugno – Dicembre (Riun. 15 agosto 1913).
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Il Superiore di ciascuna casa assegni le intenzioni di Messa; se qualche sacerdote ha delle Messe private da celebrare, presenti una lettera del Superiore generale. È Proibito far cambiali, si transige per le commerciali. Ogni Superiore di Casa deve presentare il rendiconto finanziario semestrale (Riun. 17 agosto 1914).
Vedi anche: Contabilità, Economia.
Ricchezza
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Questo bisogna bene tenere fisso sempre: portare il popolo a Gesù Cristo e al Suo Vicario. E la nostra porzione non sono i ricchi non i figli dei ricchi, ma i più derelitti figli del popolo, i più poveri di mezzi: i più poveri di benevolenza: i più reietti: i più bisognosi: i più pericolosi: ripeto: noi dobbiamo essere i gesuiti del popolo (Scr. 4,250).
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Non vi deve essere nelle Case della Divina Provvidenza cosa che suoni ricchezza o leggerezza: che sembri spirito di comodità: che trattenga e svaghi l’attenzione della nostra mente, che deve essere tutta occupata in Dio e nelle anime: né attirare l’affetto dei nostri cuori, che di Dio solo devono ridondare. La maggiore povertà possibile dunque deve usarsi nelle Case e nei suoi fornimenti e specialmente poi nelle nostre camere. Su questo punto noi non siamo a posto, cominciando dalla mia stanza a Tortona, ma mi ci metterò a posto, con l’aiuto del Signore. Tutto ciò che sa di comodità e di ornamento deve essere abolito dalle nostre Case; tutto ciò che è necessario a mantenere le forze, sì: tutto ciò che è spirito di signoria, spirito di comodità, spirito di ornamento che non giovi ad istruirci e a perfezionarci, no, no! (Scr. 14,29).
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Caro figliolo mio, guarda che, venendo con noi, noi siamo poveri e pure tu dovrai fare vita da povero religioso per amore di Gesù Cristo il quale è il nostro divino esemplare ed egli nacque povero: visse povero: povero morì sopra d’una croce, privo anche d’un po’ d’acqua. Ma Gesù, nostro dolce Dio e Padre, è con noi e noi facciamo una vita felice, poiché ci basta avere Gesù. Egli sarà con te e ti consolerà e troverai più gioia spirituale e più contento e felicità a vivere della povertà e umiliazione di nostro Signore, che se tu fossi ricco di tutti i beni e piaceri fugaci di questo povero mondo (Scr. 32,2).
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Noi siamo poveri ma non cerchiamo denaro ne ricchezze: cerchiamo i figli più poveri e più abbandonati del popolo e per questo ho accettato subito di andare subito al Marco Paz per dare l’istruzione religiosa a quei quasi 700 poveri fanciulli che in aprile saranno portati dei nuovi, che ne hanno tanto bisogno e che cresceranno così buoni cristiani e buoni padri di famiglia, buoni Argentini, rispettosi della Religione e amanti della loro gloriosa Patria (Scr. 51,181).
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Ogni religioso è pienamente contento e felice della sua vocazione, ricordando che servire Deo regnare est – preferisce mille volte la sua povertà alle ricchezze, le sue mortificazioni alla vanità del mondo (Scr. 55,262).
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Leone XIII fa vedere la soluzione della questione operaia sul Cuore di Gesù Cristo, ove il ricco e il povero non sono due opposti che si contrastano, ma due estremi che si toccano ed amorevolmente si confondono. Ricordò che la proprietà è sacra ed inviolabile, ma trovò un correttivo all’egoismo dei gaudenti né doveri indistruttibili della giustizia e della carità cristiana (Scr. 56,30).
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L’opera più perfetta e quella che dà più gloria a Dio è quella di soccorrere i poverelli. Essa serviva personalmente i poverelli di Gesù Cristo. solo quel che si fonda sulle cose eterne, è eterno. Gli onori, le ricchezze e i piaceri del mondo passano in breve, come un po’ di fumo dissipato dal vento. La fede è cosa è preziosa che va anteposta a tutte le altre (Scr. 57,34).
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Oh se pensassimo un poco quante ricchezze si trovano pur nella povertà e quanta povertà nelle ricchezze come si sarebbe più felici. La Ricchezza della povertà è far tesoro di meriti con il lavoro e con la preghiera, tenendo fisso lo sguardo al cielo, dove non vi sarà più distinzione di persone, ma la ricompensa proporzionata al valore delle opere. Povertà della ricchezza sono le tante pene anche in mezzo agli agi spesso sconosciute al povero e l’orgoglio del denaro che fa povero il ricco. Ma che cosa è la ricchezza che fa tanto superbi per la quale tanto sospiriamo? (Scr. 64,253).
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Ricordati che per seguire il nostro Gesù dobbiamo calpestare la superbia le ricchezze e la roba dobbiamo sprezzare gli onori ed amare la povertà e il disprezzo della gente. Fratello, se vorrai seguire Gesù dovrai distaccare totalmente il tuo cuore dai parenti, dalle sorelle, dagli stessi genitori: fratello se vuoi seguire Gesù devi essere casto, puro, vergine; dovrai lasciare tutto, negare la tua volontà – fratello se vuoi seguire Gesù dovrai abbracciare la tua croce, dovrai, o fratello, bere al calice delle amarezze, avrai tante contraddizioni, dovrai essere bistrattato e deriso – sarai coronato di spine – il mondo ti odierà perché sarai con Gesù ti maledirà, ti strozzerà forse salirai il calvario e sarai martire (Scr. 65,341).
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Si digitus dei est hic, lasciatelo un po’ libero questo dito: se mostra di essere il dito di Dio, non bisogna legarlo: dove finisce la miseria mia, là comincia la ricchezza della Provvidenza infinita del mio Dio, del nostro Padre celeste. Intanto, per la maggior gloria del Signore, bisogna fare un gran debito, un santo debito, magari di centomila lire: poi una grande, una bella e devota statua bianca della Madonna Santissima che coroni il santo debito, che troneggi su questa Casa che è Sua, che vegli sopra tutti noi della Provvidenza che siamo suoi, figli suoi, roba sua, tutta sua (Scr. 71,180).
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Quanto più al popolo manca la fede, tanto gli si accresce una sete ardente di ricchezze e di piaceri, che talvolta diventa furore selvaggio. Chi ha poco vuol molto: chi ha molto vuol moltissimo. Se le ricchezze e il piacere sono tutto l’uomo; se non ci ha alcun bene al di là della vita presente; se ogni mezzo adoperato per arricchire è buono; perché mai – grida il popolo diventato miscredente –, perché mai nell’umana famiglia l’uno ha da essere povero e l’altro ricco? (Scr. 79,356).
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Poveri e ricchi, fortunati e miserabili: tutti si confondano in una sola famiglia nella carità di Cristo. Ma ahimè! debbo dirlo? Pochi, troppo pochi sono i ricchi che soddisfano cristianamente a questa loro obbligazione. Par loro assai, se lasciano cadere qualche briciola dalla lauta mensa; e delle ricchezze si valgono per tutto: per le vanità, per le passioni, per peccare, non per sollevare i poveri di Gesù cristo o a pro della società. E allora Dio manda o permette il socialismo, o forse ancor peggio e dovrà darsi per forza ciò che non s’è voluto dare per l’amore di Dio. O ricchi, siate misericordiosi, se volete salvarvi di qui e di là: ricordate che il Vangelo dice chiaro: “Morì il ricco e fu sepolto nell’inferno”. (Luc. XVI, 22). È Gesù che parla: il cattivo ricco “fu sepolto nell’inferno”. Guai a voi, che siete ora satolli, perché avrete fame! (Luc. VI, 25). Beati voi, che siete poveri, perché il regno di Dio è vostro! (Luc. VI, 20) (Scr. 82,32).
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Avete delle ricchezze? ricordate che le ricchezze sono talora ingiuste, perché acquistate malamente, frutto di iniquità, se non degli attuali possessori, dei loro padri e maggiori; provenienti spesso da usare, da inganni, da contratti illeciti, le ricchezze sono poi sempre incentivi al male, data la nostra umana debolezza. Ebbene, volgete le ricchezze all’acquisto del Cielo, deponetele nelle mani dei poveri, lenite i dolori dei miseri e Dio avrà come fatto a sé la carità fatta ai poverelli. E così con la terra vi acquisterete il Cielo! (Scr. 82,46b).
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Non sono i soldi o le ricchezze che fanno prosperare le Congregazioni, ma la santa povertà e il mantenimento dello spirito di fondazione, per cui la Divina Provvidenza le ha suscitate nella Chiesa. Così non siamo disposti a rinunciare ad un’oncia sola del nostro spirito di fondazione per tutto l’oro di questo mondo. Non i beni di questa terra, non il reddito di Prunella farà prosperare davanti agli uomini e tirerà le benedizioni dell’Addolorata e di Nostro Signore, ma lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 90,245).
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La Chiesa nel nome di Dio ingiunge al povero di lavorare per la società e al ricco di largheggiare con i poveri e di mettere le sue ricchezze a pro della società. Essa vuole ristabilire l’equilibrio: vuole che chi ha ricevuto molto, non sia in un’abbondanza eccessiva: chi nulla possiede, non sia in una miseria desolante (II Cor. VIII, 13 – 15) E perché le classi agiate non hanno ascoltato la Chiesa, Dio manda o permette il Socialismo, che otterrà con la forza, ciò che non si e voluto dare ai poveri di Gesù Cristo per amore. Purtroppo molti ricchi soddisfano sovente assai male questa loro obbligazione: non pensano che a godersi la vita: si valgono delle ricchezze unicamente per soddisfare alimentare il lusso, le passioni e offendere Dio. Quanti mirano con occhio indifferente le moltitudini dei Lazzari che sospirano nella miseria e pare loro assai se lasciano cadere qualche briciola dalla loro mensa! (Scr. 111,9).
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Nostro Signore ama gli umili e ad essi si manifesta. Egli guarda soltanto l’umiltà, non la scienza, la ricchezza, l’ingegno, l’abilità nel lavoro. Buone figliole del Signore, ve ne prego: chiedete questa virtù tanto necessaria alla vita religiosa: la dolcezza: l’umiltà negli atti, nelle parole, cercate di riparare, di addolcire qualche scatto, qualche frase che può sfuggirvi e addolorare gli altri (Par. I,40).
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Sapete perché tanti conventi di monache e di frati non ci sono più? Perché son diventati ricchi e il Signore ha permesso che le rivoluzioni mangiassero loro tutto e andassero dispersi. Vedete, ad esempio, gli Umiliati: erano tanto ricchi, possedevano grandi barconi che traghettavano il Tanaro portando i loro prodotti. Con la ricchezza perdettero il buono spirito, si rilassarono: niente più povertà, niente obbedienza, niente mortificazione e arrivarono al punto da tentare d’uccidere con uno schioppo San Carlo Borromeo. Ed il Papa li abolì. “Come va che di 500 monasteri fondati da San Basilio non ne resta nemmeno uno, come non esiste più un solo Basiliano?” Erano diventati ricchi e il Signore li ha vomitati dalla sua bocca. Quando i monasteri diventano ricchi, il Signore non li prospera, non li benedice, non li benedice! (Par. I,198).
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Quanti ricchi, a cui non mancano i soldi, a cui non mancano le agiatezze, a cui non mancano le comodità, a cui non mancano le mense ben imbandite, a cui non mancano le automobili, a cui non mancano le cameriere, i servi, a cui non manca niente, che hanno tutto, tutto..., ma non c’è l’unione, la concordia; dove non c’è l’unione, la concordia, manca tutto: cosa importa, che si mangino i capponi, se i membri della famiglia sono disuniti di cuore, se non c’è l’unione, la concordia? (Par. II,94).
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Quando il Signore fece il meraviglioso discorso delle beatitudini, disse: beati i poveri di spirito; è vero che disse: beati i poveri di spirito, perché intendeva che, anche nuotando fra le ricchezze, si può vivere staccati dalle ricchezze e vivere nella povertà; ma non c’è più povero di spirito di colui che è anche staccato materialmente dalle ricchezze... Dice il Signore: beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno di Dio! Chi non fa questo sacrificio volontario, non ha premio; anzi, avrà l’obbligo di rendere conto a Dio delle sostanze che il Signore gli avesse dato. Veniamo al pratico. Quando avrete le regole, ciascuna potrà tenere in testa sua la proprietà davanti alla legge civile, ma non potrà amministrarla. Quando i preti, i religiosi avevano privilegi e non avevano più tutto in comune, il governo s’impossessò di tutti i beni. Ha fatto male il governo; però per i frati, per le monache, ha fatto tanto bene, per tanti ne è conseguito un gran bene. Un ordine religioso che diventa ricco, va a finire male (Par. II,103).
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Voi avete visto che abbiamo costruito ora un grande fabbricato, presto ne costruiremo un altro vicino per i vecchi, altri sono in corso di fabbricazione a Genova e altrove... E perciò c’è chi dice: “Don Orione fabbrica in su, quindi don Orione è ricco”. Cara la mia gente, io non ho un soldo. Volete sapere dove sono le ricchezze di don Orione? State bene attenti! Volete proprio sapere dove sono le mie ricchezze? Ebbene, le mie ricchezze sono nelle vostre saccocce (Par. V,101).
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Voglio che la Congregazione sia una forza, una forza grande! Non chiederò mai a Dio che la Congregazione diventi ricca, rispettata: ma chiederò che diventi una grande forza dottrinale, spirituale (Par. V,257).
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Ogni Congregazione ha il suo fine particolare, ad esempio: i cappuccini professano l’alta povertà; i trappisti il rigoroso e perpetuo silenzio; i minimi l’osservanza del magro; i gesuiti, i pretoriani, difendono il deposito della fede e della Chiesa con l’obbedienza; i Salesiani curano la classe mediana, noi ci preoccupiamo dei rifiuti della Società. Ricordatevi! Il giorno in cui diverremo ricchi scriveremo: finis! (Par. VI,218).
Vedi anche: Denaro, Poveri.
Rinnegamento di sé
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Io sono lieto che egli si pasca e si infervori di Gesù Cristo Crocifisso; ma amo che sia sinceramente umile, e che non si lasci portare dalla fantasia, che è nociva alla vera rinnegazione di noi stessi e alla vera vita santa. Egli deve solo desiderare di fare nella umile e sincera e filiale obbedienza la divina volontà in cui è riposta ogni benedizione ed ogni verace perfezione (Scr. 2,107).
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Ricordiamoci che le anime non piacciono a Gesù, né si formano religiosamente, né collo star ginocchioni, né con il ricevere N. Signore frequentemente nella Santa Comunione, né con il far penitenze esteriori, ma con il rinnegare sé stesse e con l’obbedire pienamente, prontamente e allegramente. Questo non ti stancare dall’inculcare a tutti e avrai fatto tanto (Scr. 3,315).
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Anche a costo di tenerne uno o due soli, allontana tutti quelli che non volessero comprendere che codesta Casa deve essere scuola di virtù religiose: di fervida pietà, di rinnegamento di sé, di lavoro, di sacrificio. O così, o via! Devono uscire dal Noviziato con il cuore ignito, pronti a dare la vita, a morire per la Congregazione O pronti alla morte con il divino aiuto e della Madonna, per la Chiesa e per la Congregazione, o via! (Scr. 3,398).
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Il fervore dei Novizi deve essere tale da doverli moderare e dirigere, invece non c’era in parecchi neanche il concetto della disciplina e del rinnegamento proprio di un religioso. Ci vuole virtù soda e martellata, e principalmente l’obbedienza, il sacrificio nella umiltà e nel lavoro, la orazione e la generosità della carità (Scr. 3,417).
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Come in passato così il Signore e la Beata Vergine ti assistano, e dirigano, caro D. Cremaschi, ad attendere diligentemente alla riforma dei Novizi. Questi, quando entrano, portano con sé della scoria, e quindi hanno bisogno di esserne purificati e di venir rimpastati allo spirito di rinnegamento – all’abneget – di obbedienza, di umiltà, di semplicità e delle altre virtù necessarie alla vita religiosa. Ecco perché la Chiesa vuole che lo studio principale del Noviziato, anzi unico debba essere di attendere alla formazione religiosa, alla propria perfezione. E quando qualcuno non riesce a correggersi, non si deve aver timore di allontanarlo; meglio qualche membro di meno, che avere individui che non abbiano lo spirito e le virtù religiose. Non tenere in Noviziato, caro Don Cremaschi se non quelli che danno speranza soda di buona riuscita (Scr. 3,488).
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Vi raccomando molto la pulizia, il fervore della orazione, la semplicità e sincerità della vita, e un po’ più di amministrazione oculata e di economia: non con grettezza, ma in spirito di santa povertà religiosa. E chi non ha spirito di pietà, chi non sa rinnegare sé stesso, chi non sa sacrificarsi, chi rifugge dalla mortificazione od è leggero, variabile, dimettetelo nel Signore (Scr. 3,503).
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Umiltà, non a parole, ma a fatti; pietà non a parole ma a fatti; rinnegamento di te stesso non a parole, ma a fatti; fuga dell’oziosità, non a parole, ma a fatti; docilità d’intelletto, docilità di cuore, non a parole ma a fatti (Scr. 4,262).
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Ciò che a te e agli altri raccomando è di pregare, di amare, ma tanto N. Signore: di lavorare a rinnegarvi e ad acquistare le virtù: di prendervi ogni cura del bene dei giovani: di tacere e di mantenere l’unione dei cuori nella carità del Signore (Scr. 8,57).
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Or dunque, mio caro, sia questo il primo e massimo nostro impegno: annichilire noi stessi, rinnegare noi stessi, e formarci su Gesù Cristo, e su Cristo Crocifisso per misterium Crucis. E a questa scuola formare e plasmare i nostri Chierici: non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce (Scr. 8,209).
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Io ho bisogno di ammazzare in me tutto ciò che di umano vi è, che non sia secondo lo spirito di umiltà, di tolleranza, di penitenza, di rinnegamento e di annichilamento per l’amore di Gesù Cristo e della Santa Madre Chiesa. Sento di essere molto pieno di me stesso, ed ho bisogno che molto tu preghi anche per me, se vai all’Eremo di San Corrado (Scr. 23,10).
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Voi, però ricordatevi bene, venendo con noi, venite coi più poveri e miseri servi di Dio, dovrete rinunziare a tutti gli interessi di quaggiù a tutte le comodità e rinnegare in perpetuo la vostra volontà. Qui non avete nulla a sperare se non a faticare e patimenti per amore di Gesù Crocifisso, solo cercando l’amore di Gesù e in Gesù, le anime di Gesù che se cercaste altra cosa tradireste al tutto lo spirito della nostra professione (Scr. 24,2).
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Curatene quanto più potrete anche lo studio, ma evitino che si pensi che essi siano venuti in Congregazione più per studiare che per consacrarsi al Signore e rinnegare sé stessi, e così portare la loro croce e farsi santi (Scr. 24,51).
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Dio sarà sempre con noi, se cercheremo con umiltà il nostro rinnegamento, se con ardore cercheremo di avere la dolce carità del Signore! Il fuoco della santa carità farà dei Figli della Div. Provvidenza un vero esercito del Signore, esercito compatto unito, forte, formidabile ai nemici di Lui, e invincibile per le battaglie di Dio e della Chiesa di Dio (Scr. 26,148).
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Colle tribolazioni il Signore vuole provare la nostra fedeltà alla vocazione che ci ha dato, ci vuol esercitare nella umiltà, nel rinnegamento di noi stessi, nella pazienza, e vuole purgare con un fuoco santo le nostre imperfezioni e difetti E così Dio vuol renderci migliori e più simili al Suo Divin Figlio Gesù Cristo. Del resto, ricordiamoci sempre che Gesù si ama e si serve in Croce e crocifissi con Lui (Scr. 27,129).
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Non abbandonare, te ne scongiuro, per l’amore di Dio e della anima tua, la vita di perfezione religiosa, di sacrificio e di rinnegamento di te: non fare piangere a lacrime di sangue la Congregazione che ti accolse fanciullo, e che ti ha fatto da madre, e ti ha portato al sacerdozio. Non sentire in me la voce dell’uomo, ma, ti prego, di voler sentire nella mia voce la voce del padre spirituale dell’anima tua, e la voce stessa della divina bontà del Signore (Scr. 29,30).
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Si amino scambievolmente, e coltivino soprattutto, la virtù dell’umiltà, della mortificazione, della pietà; la bella e angelica virtù, la preghiera, il rinnegamento di sé, lo spirito di lavoro, di obbedienza, di sacrificio: raccomando vivamente la carità fraterna ed una devozione tenerissima, filiale alla SS.ma Vergine (Scr. 29,80).
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A parole anche don Gabriele ama la pietà, ma poi ritiene di potersi salvare e d’essere buon sacerdote, ma senza sgobbare, senza sacrificio, senza quelle opere che richiedono rinnegazione di noi e vera pietà interiore e vero sacrificio e vero lavoro (Scr. 29,142).
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Senza forza d’animo, senza rinnegamento di noi stessi, senza sacrificio non c’è virtù, né vita religiosa né santità verace. Ma i sacrifici che facciamo per il Signore, per la sua Chiesa, per la Congregazione, o figlio mio, non ci devono parer gravi; giacché a chi si ama, si dà volentieri, e il patire qualche cosa per Gesù Cristo, per la santa Chiesa di Dio, per la nostra Congregazione e per il suo sviluppo, è sempre dilettosa e santa cosa (Scr. 29,171).
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Umiltà vera e rinnegamento di noi stessi: pietà viva: obbedienza piena e allegra: esattezza nelle pratiche della vita religiosa: spirito di temperanza e di mortificazione: santità di vita: amore al lavoro e al sacrificio: carità, carità, carità tra di voi – devozione alla Madonna e al Papa: cura fraterna dei fanciulli: ah! così facendo, nessuno di voi avrà il rimorso di avere afflitto il cuore di Gesù e di avere fatto bagnare di lacrime i passi dei vostri Superiori e di questo buon servo di Dio che vi lascio per padre (Scr. 29,200).
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Il Signore vi ha chiamati, o miei cari, ad una vita di umiltà, di preghiera, di lavoro e di penitenza, nel rinnegamento totale del vostro amor proprio e di ogni passione. Ringraziatene sempre il Signore! Lo stato sacerdotale è certamente nobilissimo, ma non si deve però credere che in Cielo avrà maggior gloria chi è stato sacerdote, che chi non lo è stato, perché non l’ha potuto essere, e Dio ha disposto che non lo fosse (Scr. 30,223).
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Bada, però, o figliuolo mio, che, chi è chiamato dal Signore, deve veramente dare un addio per sempre alla vita del mondo e ai pensieri secolareschi, e, con la più tenera pietà e assiduità al divino servizio: con la più cauta fuga da ogni ombra di pericolo e di distrazione: con il totale rinnegamento di sé stesso per amore di nostro Signore Gesù Cristo, e per obbedire in tutto e sempre e lietissimamente e filialmente alla Santa Madre Chiesa, e al suo capo, il Romano Pontefice, vicario in terra di n. Signore e dolce Cristo visibile in terra, (al quale la piccola nostra Congregazione è particolarissimamente legata), e ai superiori che Dio ti darà nella Congregazione, possa meritarti dal Signore che ti venga più e più confermato il gran dono della vocazione, e gli aiuti per compierla, seguendo il nostro dolce Signore pur nella pratica dei santi Consigli Evangelici (Scr. 32,1).
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Ma chi fin da ora non dimostra nessun attaccamento alla Congregazione; chi rifugge da ogni officio che non gli va a genio: chi non mostra spirito di verace pietà né di rinnegamento dì sé, né di sacrificio: chi vive solo una vita di meschini sotterfugi e di maldicenza, come potrò io farli ordinare? (Scr. 32,52).
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Nessuno deve più essere mandato in Italia, se non sarai ben sicuro della sua vocazione, se non è pio e di vita di orazione: se non ha attitudine distinta allo studio: se non ha spirito di sacrificio, di lavoro, di rinnegamento di sé. Io non ti limito il numero: guarda però alle doti, alla vocazione sicura, alla qualità, alla garanzia e affidamento: devono essere sicuri, sotto ogni riguardo (Scr. 32,62).
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Se hai vera volontà di rinnegare te stesso ogni giorno, e di abbandonare ogni giorno te stesso, di abbracciare la tua croce, e così servire ed amare Dio veramente, cioè in croce(perché sai che Gesù e la Chiesa si amano e si servono solo restando in croce), se davvero vuoi vivere in umiltà, in povertà in obbedienza e santità di vita, e ti vuoi fare santo, ma che vieni dietro cercando, resta e sii benedetto (Scr. 33,155).
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Cerca di confortare nella vita di umiltà, di preghiera, di sacrificio, di solitudine, di lavoro e nel rinnegamento di sé stessi te e tutti gli Eremiti. Facciamo di conformare tutta la nostra vita a Gesù Cristo! (Scr. 34,15).
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Questa breve mia lettera ha lo scopo di animarti a vivere ponendo tutto il tuo cuore nel Cuore di Gesù Cristo Crocifisso, rinnegando la tua volontà per l’amore di Dio, e diffidando di te stesso e del mondo. Coraggio in Domino, figlio mio! Conservati immune dal tuo amor proprio e da ogni cattiva inclinazione; se tu, caro don Pietro, non spezzi queste catene e non ti svuoti del tuo amor proprio e docilmente non ti pieghi alla disciplina religiosa, non potrai sollevarti al Cielo. Sciogli ogni legame terreno, o caro figlio mio, per legare ognor più il tuo cuore a Gesù (Scr. 34,99).
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Vi accetto di buon grado, purché abbiate ferma intenzione e forte volontà di rinnegare voi stesso e vivere in santa umiltà e purità e dolce povertà per amore di Gesù Cristo Signore Nostro, abbracciando ogni giorno la vostra croce per vivere crocifisso all’amore di Gesù e del Santo Padre in questa umile e piccola Congregazione, riposandovi per la via della santa obbedienza ai superiori nelle braccia della Divina Provvidenza (Scr. 35,149).
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Lo conforto grandemente a secondare i desideri di farsi veramente tutto di Dio: di fare il sacrificio totale di sé stesso al Signore in anima e in corpo, e nel rinnegamento di ogni amor proprio e della sua volontà, poiché questa è la prima condizione per andare davvero dietro a Gesù crocifisso: «Chi vuol venire dietro di me, neghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua.» (Scr. 35,248).
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Ma la prima mortificazione per noi, credetelo, o mio caro fratello, è quella di rinnegare la nostra volontà e di essere sempre bambini per amore di Gesù Cristo e della s. chiesa nostra madre. Capisco bene che la pratica di questa mortificazione importa una continua lotta con noi stessi; ma preghiamo e combattiamo costantemente contro noi stessi, e saremo vincitori. Vincendo noi stessi vinceremo tutti i nostri nemici (Scr. 35,250).
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Se davvero vi credete da N. Signore chiamato a questa vita di religioso: se, con il divino aiuto, volete farvi santo, ma per davvero, e non a chiacchiere: se venite per rinnegare in tutto e per sempre voi stesso: per seguire con la Croce e sulla Croce Gesù Cristo benedetto, nostro Maestro e Duce divino, prendete il treno subito, e recatevi a Villa Moffa (Bra) – (Piemonte) – ove in questi giorni si fanno i s. esercizi ai nostri, cominciati già il 2 corr. e che termineranno il 15 agosto. Colà ci incontreremo, poiché vado io pure oggi, e vedremo il da farsi (Scr. 36,54).
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Il gran lavoro è la perpetua rinnegazione e purificazione di noi stessi: la nostra santificazione è il primo nostro scopo, studio, sacerdozio etc., viene tutto dopo. Mi raccomando dunque, caro mio (Scr. 36,59).
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Quello che molto ti raccomando è di venire per farti santo, per rinnegare continuamente la tua volontà, abbracciare la tua croce e seguire Gesù Crocifisso nell’umiltà, nella povertà, nella purezza della vita, nella obbedienza e pietà, nel lavoro e sacrificio, nella carità di Gesù Cristo, nell’osservanza della Regola (Scr. 42,233).
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Con Gesù e per Gesù e ai piedi della sua Santa Chiesa, da figli umilissimi, troveremo, caro don Domenico, la più grande pace interiore e batteremo la strada della più alta vita spirituale, nel rinnegamento di noi stessi, e portando la nostra Croce dietro Nostro Signore, in umiltà, nel silenzio, nella santità della vita, povertà e carità grande (Scr. 42,247).
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Che questi Santi Esercizi siano da voi tutti fatti con il più grande impegno, risoluti, con l’aiuto di Dio, di purgarvi dei vostri difetti, di correggervi delle vostre mancanze, di staccare la vostra anima da tutto ciò che ancora ci fosse in voi di abitudini secolaresche e mondane: staccatela la vostra anima fin da sé stessa, con il più radicale e pieno rinnegamento di voi medesimi (Scr. 51,109).
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Dobbiamo rinnegare incessantemente noi stessi, il nostro amor proprio, come ha detto il Divino Maestro: qui vult venire post me, abneget semetipsum. Dobbiamo staccare l’anima nostra da tutto e da tutti, staccare l’anima fin da sé stessa, perché solo viva di Gesù Cristo. A questo desideratissimo stato, o miei cari Novizi, non si arriva se non passando per il fuoco della tentazione, quindi vi raccomando di pregare, e con il fervore più ardente, nella semplicità e nella pace, con grande confidenza e apertura di cuore con il maestro di Noviziato che è p. Cesare, preparatevi alla battaglia, invocando la purissima Vergine Maria (Scr. 52,156).
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Ricordiamo che faremo tanto profitto quanto avremo saputo farci violenza: senza forza d’animo non c’è virtù, ed è Gesù che ha detto che il Regno dei Cieli subisce violenza: solo chi sa vincersi, chi sa rinnegare sé stesso e osservare la sue promesse e i santi voti con cui si è consacrato al Signore, egli vive la sua Regola e crescerà ogni dì nella vita di perfezione (Scr. 56,193).
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Eviterete la comodità che producano il rilassamento dello spirito religioso e farete penitenza e cercherete di umiliare e rinnegare voi stesse e di diventare gli stracci della casa e di tutte le altre vostre consorelle. E vi amerete fra di voi senza eccezione; come fanno in Paradiso gli Angeli di Dio; e vi compatirete, e vi darete ogni buon esempio di fraterna carità in Gesù Cristo Crocifisso (Scr. 65,222).
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La nostra, vedi, è una vita tutta tutta di rinunce e di rinnegamento. Qui non si pensa a coprir cariche, ma, finora, per grazia di Dio, si pensa a servire a Gesù Cristo Signor Nostro nei suo orfani nei suoi piccoli e nei suoi poveri, e la Chiesa, la Santa Chiesa, di Gesù Cristo e il suo Papa, con amore dolcissimo di figli. Tutto il resto reputiamo vanità e amor proprio e ignoranza e inganno del demonio. E però ci facciamo un’obbligazione di combatterli e di sradicarli da noi, con la divina grazia, non ambendo a dignità nella Chiesa, né a cariche in Congregazione; e ciò lo professiamo pure per Regola, onde benediciamo a Dio, quando ci è dato di stare all’ultimo posto, ove tutti debbono mettersi, secondo l’insegnamento del Vangelo. E cerchiamo così – o meglio anche così – il rinnegamento continuo di noi. Beati quelli a cui la divina parola: “qui vult venire post me, abneget semetipsum”, viene a penetrare le ossa e le midolla; e Dio voglia che tale sia di noi! Non vi è altro bene a desiderare, da noi religiosi, che quello che viene inculcato dalla Imitazione di Cristo: “Ama nesciri et pro nihilo reputari”, intimamente unito alla rinunzia della propria volontà, in tutte le cose, per l’amore di Cristo benedetto. In questa vittoria o rinunzia sta la nostra felicità e ritengo sia l’avvenire e la benedizione di Dio per il nostro minimo Istituto (Scr. 66,223–224).
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La santità non consiste né in abiti, né in case, ma unicamente nel rinnegare noi stessi e far proprio tutto il contrario di quel che vorremmo. Siate felici di fare soltanto la santa volontà di Dio, e fatevi sante per andarlo a godere in Paradiso coi suoi Santi, per tutta l’eternità (Par. I,19).
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La prima cosa è rinnegare sé stessi. Non basta conoscere sé stessi, bisogna rinnegarci! Se abbiamo abbandonato il padre, la madre, i fratelli e anche la roba, abbiamo fatto niente, se non rinneghiamo noi stessi. Noi ci siamo fatti religiosi per mortificarci e rinnegare la nostra volontà. E questo è il fine principale, lo scopo precipuo per cui nella Congregazione si insiste tanto: Rinnegare il nostro genio, per dare piena adesione di mente a quello che i superiori comandano... Oh, vi sarà qualcuno che dirà: Ma lei ha detto di ”rinnegare il nostro genio”! Quindi dobbiamo rinnegare la nostra intelligenza, la nostra memoria? No! Qui si intende “genio” per un attaccamento al proprio io. Quando, o cari figlioli, sono stato all’Ospedale di Alessandria, ero tanto contento di sapervi qui; ma fu un momento che pensavo di non vedervi più qui, ma in Paradiso. Quindi sono veramente contento di trovarmi in mezzo a voi; sono lieto di vedervi tutti qui... È la mano di Dio che atterra e risuscita, mortifica, vivifica e consola. Ma in quel luogo dove mi hanno portato nell’ora trepida della mia vita, io pensavo a voi, ed ho pensato che la prima cosa che avrei dovuto raccomandare ai miei cari figliuoli, era di rinnegare noi stessi e di mortificare la nostra volontà, di fare in noi una vita nuova secondo lo spirito del Signore; vi avrei raccomandato (scusate) di uccidere in noi stessi, l’uomo vecchio, per vivere solo alla regola. Ed è ciò che stasera mi è venuto in mente di raccomandarvi. Vi esorto dunque, ad elevare il vostro spirito, a rinnegare voi stessi, e vi esorto a prendere come Madre la Vergine Santissima (Par. X,139).
Vedi anche: Mortificazione, Penitenza (virtù), Perfezione (virtù), Privazioni, Santità, Sette “effe”, Straccio (spiritualità dello).
Riposo
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Quanto alla levata alle 4, voi sapete che è di regola; ma capirete che andando a letto alle 9, come pure è di regola, si hanno subito 7 ore di riposo, che bastano, ora poi avrete anche almeno un’ora di riposo dopo pranzo (Scr. 4,4).
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Non introducete il riposo al dopo pranzo, o il riposo sul letto. Guai a noi, guai a quella nostra Casa dove la siesta vi pianta le sue tende! Sono trappole del demonio! Sono tende di disgrazia e di morte! «Non amare il dormire, se non vuoi essere oppresso dalla povertà. Apri gli occhi e mangia il pane che ti sarai guadagnato», dice la Santa Scrittura nel Libro dei Proverbi. E altrove, nel Libro della Sapienza sta scritto: «Operiamo il bene, mentre siamo in tempo» E tutto questo, o miei figlioli, che vi esorto di fare, non vogliate farlo per timore servile, né per timore dei castighi di Dio e dell’inferno, ma per l’amore di Dio e per affetto di carità (Scr. 4,264).
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Guai alla Congregazione se cresceste così indolenti e pigri nella meditazione. Il vostro Superiore è autorizzato ad anticipare il riposo alla sera o crescere quello del pomeriggio, purché si ottenga di fare bene la santa meditazione. Anche per quelli che venissero nuovi nella Casa, sarebbe di scandalo vedere tanti dormiglioni e dormire del continuo, anche senza vedere fare nessuno o ben poco sforzo quando il Superiore, per destarvi, suona (e fin più volte) il campanello (Scr. 52,194).
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Il silenzio è il riposo morale: onde la Sacra Scrittura arriva a dire: «Il saggio acquisterà saggezza durante il riposo». Certamente è necessario il riposo e voi, o mie buone Suore, in verità difettate oggi di riposo ben più che di lavoro. Ma il riposo è fratello del silenzio: voi difettate di riposo, ma lasciate che ve lo dica, non vorrei che in alcune Case si difettasse anche un po’ di silenzio. Riposo morale è silenzio e silenzio religioso è per lo spirito preghiera, adorazione unione con Dio. La preghiera è la vita dell’anima e riposo per lo spirito e per l’anima è la preghiera. La preghiera è la vita dell’anima, vita spirituale, vita intellettuale e buona, che si raccoglie e si ritempra alla sorgente che è Dio. Il riposo, morale e intellettuale, è un tempo di comunione con Dio e con le anime e di gioia in questa comunione. Noi alla sera siamo naturalmente portati a levare lo sguardo e lo spirito verso il cielo. Noi dobbiamo far parlare il silenzio. Consacriamo altamente a Dio la sera, come il mattino. Consacriamo il riposo, il silenzio della sera alla conoscenza di noi, all’amore di Dio e delle anime con la preghiera: mettiamo la nostra anima in comunione con Dio: sia un silenzio riparatore che risarcisca Dio e raddoppi la forza e la fecondità del lavoro per la giornata che viene (Scr. 55,218).
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La sera, dopo le orazioni, ciascuno vada subito a riposo. Il fermarsi a passeggiare, a chiacchierare o ultimare qualche lavoro sono cose dannose alla sanità spirituale e di pericolo per la bella, angelica virtù. Il protrarre l’ora del riposo al mattino senza necessità, fu sempre trovata cosa pericolosa (Scr. 55,281).
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Finché la delicatezza d’alcuni non si arrenderà senza replica, (non essendo mai senza pretesti), preveggo che mi si dirà che la regola del levarsi non debba obbligare ugualmente le persone di debole complessione come quelle che sono più robuste e che le deboli hanno bisogno di più lungo riposo delle altre. Al che oppongo l parere dei medici, che tutti sostengono essere sufficiente a tali persone sette ore di riposo e l’esempio di tutti gli Ordini Religiosi nella Chiesa, che hanno limitato a sette ore il riposo. nessuno se ne prende di più; sonvi di quelli che non ne hanno tanto e la più parte non l’hanno che interrotto poiché si alzano una o due volte per andare al coro (Scr. 82,77).
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È certamente un sacrificio alzarsi alle quattro d’estate e alle cinque d’inverno; ma se non facciamo questo sacrificio, quale altro sacrificio c’è da fare in Congregazione? Che penitenza c’è? Non ci diamo la disciplina, non ci alziamo di note, non c’è quasi digiuno, se non il digiuno del Venerdì; l’unica cosa che costa un po’ di sacrificio è l’alzarsi alle quattro per la meditazione. Cercherò di fare anticipare la cena per non togliere il riposo necessario a ritemprarci le forze con il riposo. Anch’io qualche mattina, lo dico con vergogna, non mi sono alzato, perché fra tante occupazioni non ho potuto coricarmi se non ad ora tardissima, ma ho cercato e cercherò di alzarmi ugualmente alle ore quattro (Par. XI,155).
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Per tutto il personale della congregazione, compresi i novizi ed i probandi vi sono due levate, divise in due epoche dell’anno Da Pasqua ai Santi la levata è alle ore 4 (quattro) e dai Santi a Pasqua alle ore 5 (cinque). A riposare si andrà sempre alle ore 9 (nove) e non più tardi delle 10 (dieci) e nessuno dopo le dieci deve trovarsi alzato. Il riposo è unico per tutto l’anno e non doppio come la levata. Si lascia alla prudenza del Direttore stare alzato anche dopo le dieci, ma per ragioni d’ufficio. Così pure alla prudenza del Direttore si rimette il permettere che qualcheduno dei suoi stia alzato anche dopo le dieci (dieci). Questi però si alzerà al mattino con gli altri e solo potrà riposare al dopo pranzo. Questo riposo del giorno è facoltativo; ma nelle colonie e nelle altre case, quando è impossibile avere nella notte le sette ore stabilite dalla regola, è obbligatorio e questo riposo può essere anche maggiore. Alla difficoltà che nei collegi non si può andare a letto alle nove perché la cena è alle 8, per lo studio che si protrae fino a quest’ora si è risposto che si può andare a cena alle 7 e 3/4 e il quarto d’ora di studio che si taglia, si può fare riacquistare nello studio del giorno; del resto, come ben osserva don Sterpi, non bisogna subordinare il bene dell’anima nostra a quello dei ragazzi (Riun. 4 settembre 1912).
Vedi anche: Levata, Orario.
Risaiole
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Al Giarolo il Signore fece andare tutto bene: più di 2000 erano i soli uomini, la colonna degli uomini in processione attorno al Redentore, a quattro per quattro, era più lunga che da casa nostra al Duomo e una gran parte in divisa militare. Le donne erano un po’ meno degli uomini, anche perché la più parte è in risaia. Eravamo 15 Sacerdoti e 12 parroci delle Parrocchie circostanti, tutti abbiamo lavorato e tutti dissero che mai ci fu più devozione che sta volta (Scr. 13,191).
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Proletariato della risaia, in piedi! Un orizzonte nuovo si schiude, una coscienza sociale nuova si va elaborando alla luce della civiltà cristiana, progressiva sempre, che è fiore di Vangelo. Lavoratori e lavoratrici della risaia, nel nome di Cristo, che è nato povero, vissuto povero, morto povero: che tra poveri visse, che lavorò come voi, amando i poveri e quelli che lavoravano: nel nome di Cristo, è suonata l’ora della vostra riscossa. Il vostro lavoro deve essere adatto e limitato alle vostre forze e al vostro sesso: la vostra paga deve essere proporzionata ai vostri sudori e al vostro bisogno: le vostre condizioni devono essere, più umane, più cristiane. È il diritto, il vostro diritto! Ragioni di igiene, ragioni di umanità, ragioni di bene pubblico vogliono che in risaia – tanto per la monda che per il taglio e raccolta del riso – non si lavoro più di otto ore al giorno. Noi cattolici e come tali e come cittadini, ingaggeremo quest’anno la battaglia per le otto ore in risaia. Non lasciatevi sfruttare dal Caporalato; non lasciatevi intimidire dalle minacce dei padroni: non prestatevi a certe manovre, che riescono sempre a danno vostro. E, occorrendo, legalmente sì, ma insorgete! Unitevi contro i crumiri e attenti a voi a non lasciarvi ingannare da un orario di lavoro oltre le otto ore. Il pretesto della guerra e conseguente scarsità di mano d’opera, è una causa che ora non tiene più: quest’anno bisogna fare posto a tutti e sostenere migliori tariffe, adeguate ai cresciuti bisogni della famiglia. E il vostro corpo, più riposato, sarà meno soggetto alle malattie e al deperimento e anche il vostro spirito vivrà di una vita più alta. Evitate la concorrenza, odiosa e umiliante sempre, ma dannosa in estremo grado agli interessi e alla dignità di ogni classe di persone che si rispettano e di ogni anima sinceramente cristiana. Unitevi tutti e siate solidali! se tutti i paesi della Diocesi che danno i lavoratori alla risaia saranno collegati da una fitta, solida e cristiana rete di organizzazione risaiola, noi vi condurremo a certa vittoria. Per le vostre rivendicazioni, per l’intima giustizia della vostra santa causa, non ci daremo pace. No! non daremo pace né dì né notte agli sfruttatori della povera gente, che se ne va a sacrificarsi nelle marcite della risaia e nella malaria, forzatamente lontana dalla famiglia, per guadagnarsi un pezzo di pane. Ma sfruttatori non sono sempre né soltanto i padroni; i padroni sono quello che sono: ve n’è di cattivi e ve n’è di buoni; sfruttatori indegni però sono anche e sono sempre quelli che, per loro loschi disegni, abusano perfidamente di voi: che vi offrono un pane, ma vi avvelenano l’anima: che vi predicano l’odio e vi strappano la fede, che è il grande conforto della vita presente e la base della vita futura. Lavoratori e lavoratrici delle risaie, guardatevi dai socialisti e dalle socialiste, non fidatevi di chi non ha religione: chi non ha religione non avrà coscienza: non ve ne fidate mai! Mondini e mondine, dovete organizzarvi subito e organizzarvi tutti: costituite nel vostro paese le unioni delle risaiole, per la vostra dignità e per il vostro interesse. Unioni che siano forti, sincere, cristiane: è per la vostra salute, per la vostra fede, per l’aumento della vostra paga. Benedetti da Dio e dalla Chiesa, lavoreremo per voi, o fratelli e vinceremo con voi. Troverete lavoro tutti, avrete tutti paga rispondente: assistenza morale e religiosa: riposo festivo; tutela dei diritti inerenti al lavoro (tariffe, orari, applicazione della legislazione sanitaria): dignità di alloggiamenti. Vi difenderemo in tutto ciò che è giusto: realizzeremo le vostre legittime aspirazioni, e, valendoci delle apposite leggi, vigileremo, assisteremo, affrancheremo. Risaiole, voi dovete formare dei battaglioni di donne e poi avanti, nel nome di Dio! Pareva un sogno lontano e oggi, se voi lo volete, la realtà è vicina, la redenzione della risaia è prossima, è afferrabile: è un domani di giustizia e di pace. Lavoratori e lavoratrici della risaia, invocate l’aiuto della Madonna e poi serrate le file! Stringetevi la mano: e, nel nome di Cristo, giurate il patto cristiano del lavoro. In ogni paese delle nostre montagne e della pianura padana sorga l’auspicata Unione delle risaiole. L’unione fa la forza! Ogni catena, che toglie la libertà di figli di Dio, si deve spezzare: ogni schiavitù si deve abolire: ogni servaggio deve finire e finire per sempre. Ogni sfruttamento di uomo su uomo deve essere soppresso, nel Nome di Cristo. La divina virtù di questo nome e la vostra onorata condotta di lavoratori cristiani come vi porteranno allo adempimento di ogni dovere, così vi daranno la rivendicazione di ogni diritto. Proletariato della risaia, in piedi! Apri gli occhi e vedi l’aurora smagliante che sorge: essa è per te, è la tua giornata! Avanti, o proletariato, avanti, portando con te le grandi forze morali della tua fede e del tuo lavoro: un’era si apre: è il mondo che si rinnova! Il Signore Dio tuo è con te: cammina alla luce di Dio e nessuno potrà più arrestare la tua marcia trionfale. Per il tuo interesse, per la tua dignità, per la tua anima! Proletariato della risaia, in piedi e avanti! (Scr. 81,69–71).
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Anche a voi, fratelli e sorelle, della risaia, anche a voi la vostra parte di luce e di sole. Con la rapida formazione delle vostre leghe, con la perfetta e organizzazione delle vostre forze, con la cristiana solidarietà delle vostre idee, con la franca affermazione del vostro pensiero, con la chiara e risoluta coscienza del vostro diritto come del vostro dovere formate le vostre leghe, o risaiole! La redenzione della risaia si avanza e sarà onora di Dio. Al lavoro! (Scr. 89,62).
Vedi anche: Lavoro.
Riscossa (giornale)
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Le dirò che la Riscossa passerà nelle mie mani e l’Avv.to Scala di Torino, già vecchio quasi cadente, che fu dal Papa agli ultimi di dicembre, ne parlò pure al Santo Padre e finché vive lo Scala la Riscossa la terrà lui; ma intanto, vado preparando alcuni dei miei per l’apostolato della stampa. Preghi anche a questo fine, che possa cioè preparare un buon elemento e che siamo proprio figli umili e fedeli della Santa Sede, ma anche arditi e forti nel difenderla insieme con il deposito della fede (Scr. 73,136).
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Qui da parecchi si diceva e si dice tuttora ogni male dei giornali devoti alla Santa Sede e che fecero la campagna contro il modernismo, come L’Unità Cattolica, la Riscossa, La Liguria del Popolo e si guarda con occhio nero chi li legge o chi li sostiene. Parecchi sono gli adoratori di Rocca d’Adria [Algranati Cesare] e de L’Unione di Milano; parecchi che prendono l’imboccata da don Vercesi che più di una volta venne a catechizzare tra noi e anche ad edificare noi chierici e a chiamare “cerotti” le gravi opinioni dei più dotti teologi, quali un Sant’Alfonso, un De Lugo, un Suarez, un Gury, un D’Annibale (Scr. 78,20).
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Io, nella mia diocesi e presso quanti mi conoscono, sono ritenuto per un intransigente: se nelle case dell’Istituto entra un giornale, esso è L’Unità Cattolica o la Riscossa. Io stesso, non lo avrei detto mai, ho condotto su L’Unità Cattolica la lotta contro i modernisti scesi in Calabria: ne ho avvertito la Santa Sede, che inviò una circolare riservata ai Vescovi di Calabria e poi gli articoli di fondo comparsi su L’Unità Cattolica l’anno scorso e quest’anno sono miei, eccetto l’ultimo, del quale inviai solo a don Cavallanti tutti gli elementi, ed egli vi diede la forma (Scr. 102,163).
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Quanto all’ultima vertenza, il Santo Padre ha fatto richiamare gli scrittori de la Riscossa, d’altronde lodevolissima per i principi che sostiene e difende; ma non ha potuto approvare il chiasso, che se n’è fatto, aiutando così i giornali che l’hanno come un pruno negli occhi e la perseguitano come perseguitano L’Unità Cattolica, La Liguria, l’Italia Reale, ed altri poveri lumicini, che danno pure, fra tante tenebre, qualche sprazzo di luce (Scr. 109,193).
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Ai chierici è permesso dare la Riscossa, così cresceranno nei buoni principi di amore e di attaccamento al Santo Padre: però solo ai Chierici assistenti e che sono a contatto con i ragazzi. Riguardo ad altri giornali, quando si troverà qualche articolo importante, si leggerà in refettorio, ma questi giornali non si daranno ai Chierici (Riun. 4 settembre 1912).
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I Chierici devono assolutamente leggere la Riscossa: a me ha fatto tanto bene che ho baciato perfino il primo numero. La Riscossa è voluta, sostenuta dal Papa; ha qualche difetto alle volte, ma quando la dottrina è sana e sincera, tutto va bene. I suoi articoli di fondo possono stare sopra i più grandi giornali del mondo (Riun. 14 agosto 1913).
Vedi anche: Propaganda, Ufficio stampa.
Risparmio
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Cari miei, cosa fate? È vero che, invece di fare, fate fare? Che, invece di ingegnarvi a fare voi tutto il possibile e l’impossibile, cercate di far fare, correte a comperare, a spendere, e non sapete aggiustarvi, arrangiarvi, ingegnarvi? Ma i nostri Missionari del Brasile e dell’Argentina si aggiustano loro le scarpe, si attaccano i bottoni, si cuciscono i calzoni e gli abiti, si lavano la biancheria! Quante volte io al Minas Geraes mi sono lavate calze, fazzoletti, mutande! Ho dovuto anche impararmi a fare la barba, e che risparmio! Qui a Roma, 5 giorni fa sono andato da Cirillo, perché avevo premura, e non avevo qui gli attrezzi, e mi ha preso 4 lire. Ieri l’altro me la sono fatta da me, e va meglio assai! E in quest’anno avrò risparmiate da mantenere quasi un orfanello o un novizio. Dite poco? Bisogna bastare a noi, bisogna non fare i Fra Tranquilli: bisogna ingegnarci Non dicevano i nostri vecchi che Sant’ingegno è la festa dei massai? E il Missionario è il Massaio di Dio e della carità Si deve fare noi, fare come si può, fare meglio che si può, e sempre cercare di fare e non stare lì a far niente, oppure esigere questo e quello. Mia madre mise a me che ero il 4º figlio i vestiti del mio primo fratello, che ha 13 anni di più, e, povera donna, quei vestiti li aveva fatti passare ai tre altri, prima di me; ma ci ha lasciato un po’ di denaro che in parte andò per i primi orfanelli della Divina Provvidenza e ci ha cresciuti bene e all’onore del mondo, come si dice: tutti gli stracci li sapeva combinare e ci cavava dei vestitini, e la famiglia trionfava nella povertà onesta e discreta (Scr. 4,266–267).
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Non vi ho mandato per telegrafo la benedizione, perché ho pensato di mandarvela a mezzo di Don Calegari, e di risparmiare così qualche lira, non solo per l’osservanza della povertà, ma anche per la crisi che risentiamo tanto, e che ci impedisce di fare ciò che, fino a Ieri, ritenevamo di poter fare, senza venir troppo meno alla santa povertà stessa (Scr. 8,119).
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Quello che non hai, compralo, ma dove si può risparmiare, evita spese. Così per la cucinetta da farsi a Santa Clotilde. Vedi se la cucina del convitto può dare piatti, tovaglie, tegami etc. e comprate solo quello che non si può avere. E così per le coperte e lenzuola, se il convitto può darle anche provvisoriamente, poi arriverà della roba dell’avvocato stesso, il quale viene con noi definitivamente, e aiuterà la Piccola Opera (Scr. 26,65).
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Amiamo la santa povertà, facciamo economia, ma senza grettezza, senza stirchierie, solo per amore e spirito di povertà religiosa, e confidiamo nella Madonna, che Essa ci aiuterà a dare a ciascuno quello che gli va. Vi dico che ogni vostra sollecitudine per estinguere le passività sarà benedetta da Dio! Vi dico ancora: ogni ragionevole risparmio, per spirito di giustizia verso i creditori e di povertà religiosa, sarà benedetto da Dio! Codesta casa per il passatosi trovò in eccezionali circostanze, ed io sono il primo a riconoscerlo, ma ora non più: evitate quindi ogni spesa superflua, e giungo pure a raccomandarvi, con voce e carità di padre, di limitare fin le spese necessarie ma pagate i debiti! Io speravo ora di potervi aiutar, ma purtroppo non lo posso perché appena – per il momento – possiamo tirare innanzi qui dove abbiamo dovuto piantare casa, acquistare biancheria etc. e pensate che neanche posso inviare aiuto al povero don Sterpi il quale quest’anno s’è disfatto di personale e di borsa per l’America (Scr. 29,45–46).
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Si stia all’obbedienza: non voglio che soffriate, ma tutto il risparmiabile, si risparmi, e si paghino i debiti. E vi esorto a fare delle preghiere alla SS.ma Vergine della Divina Provvidenza e a San Giuseppe a questo scopo. Abbiate umile fede e Dio non vi abbandonerà! E che la nostra fede e la nostra carità abbondi di più in più, onde essere degni del nome di Figli della Provvidenza del Signore, e che colui, che ha incominciato in noi l’opera buona, nel darci una sì grande vocazione, la conduca in ciascheduno di noi a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Scr. 29,203).
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Dovendo fare acquisti nelle Case, tenetevi al più povero, al più semplice, appena al necessario. Imparate a preparare da voi abiti, biancheria, scarpe; e, per le scarpe, voglio far venire qualcuno che sappia farle di corda, di pezza; sarebbe un bel risparmio! Imparate a mantenervi da voi. Vi do la consolante notizia che presto si comincerà il noviziato regolarmente, e tutte le Case devono dare il loro contributo a mantenere il noviziato; perché nel noviziato non si può lavorare più di poche ore, perciò sarà necessario sia aiutato da tutti (Par. I,234).
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Spirito di povertà! Si legge nei padri del deserto che bevevano appena l’acqua necessaria per spirito di mortificazione e anche per spirito di economia. Don Rua andava sempre a piedi, sempre a piedi, sempre a piedi, perché pensava: anche due soldi risparmiati andranno ai poveri... Sant’Alfonso voleva che i suoi padri, i suoi chierici usassero vesti già usate. Dice ancora monsignor Costamagna che una volta, andato a Torino, trovò un superiore del capitolo, lo trovò che era in cella sotto i tetti, dove faceva tanto freddo e dove dormiva per terra. Altro che queste cose qua! Altro che certi crocifissi signorili che sono in certe case! (Par. II,115).
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Vi prego, nelle Case, di fare risparmi... e da tutti si concorra, come si fa nelle famiglie quando vi è un gran bisogno... Tutti cor unum et anima una... È l’omaggio che la Congregazione fa alla Madonna, nella Città ove per misericordia di Dio è nata. E lei è la nostra celeste Fondatrice... Faremo anche dei debiti per la Madonna, per il suo Santuario... Ma state tranquilli che non ci faran paura quei debiti... La Madonna se li costruisce da Sé i suoi Santuari (Par. III,153).
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In questa Casa si sciupa troppo. Tenete da conto la roba, e poi tutto. Dei panettieri, a quello a cui si deve meno, si devono quarantamila lire, e all’altro non so; so che si deve, o almeno quindici giorni fa si dovevano 100.000 lire e credo che in soli 15 giorni si sia pagato qualche cosa. Oggi è entrato niente. Il Beato Don Bosco parlava molto forte per il pane. Oh, se qualche benefattore vedesse lo sciupio che si fa in questa Casa! Ieri sono andato ad Acqui e, in molti altri paesi, e sono venuto a casa con 100 lire. Sono stato a pranzo da un Generale che, in una sola volta, mi ha dato 100.000 lire; ma non so dirvi la parsimonia che c’era in quella mensa. Finito, ha raccolto le briciole di pane e poi le ha mangiate. Ed io tra me pensavo: se fossero qui i miei Chierici a vedere questo generale che ha uno stipendio così alto, come risparmia! Attenti che in questa Casa si sciupa molto! (Par. V,247).
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Alcuni però si lamentano e poi sciupano con facilità; sciupano e lasciano in giro pane mangiucchiato che non si può più dare ad altri; e poi si lamentano di quei poveretti che con tanto sacrificio vanno in giro per raccogliere o per risparmiare qualche lira. Siamo arrivati alle strette, sapete. In alcuni Istituti, più forti di noi si dà anche meno che da noi; anche in Seminari a noi più vicini... Si viene su con criteri sbagliati; si fa voto di povertà, ma poi non si osserva il voto, ci si lamenta... Sapeste quanta fame c’è in giro, come si fa corto il denaro! Anche i nostri Benefattori non danno più come prima; perché gravati da tasse e in pericolo di andare a fracassare, di perdere tutto. Io guardo qualche volta i giornali: quante ditte, quanti negozi, quante aziende si chiudono! Preghiamo il Signore che non abbia ad accorciare la sua mano anche con noi ma a continuare la sua Provvidenza. Non sciupiamo niente; teniamo da conto libri, carta, vestiti, tutto! Ripeto: non per spirito di grettezza, ma per spirito di santa povertà! (Par. XI,211).
Vedi anche: Debiti, Denaro, Divina Provvidenza, Economia, Poveri, Privazioni.
Ritiro spirituale
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Nell’Evangelo si legge che Gesù Cristo era solito raccogliere, ogni tanto, i suoi discepoli nella quiete della solitudine, poiché la solitudine è atta a far conoscere la vanità di tute le cose e il proprio nulla, a far meglio sentire la voce del Signore, a distaccarci dal mondo e ad elevarci a Dio coll’orazione. Vorrei togliermi anch’io, almeno per qualche giorno, dalle troppe esterne occupazioni e raccogliermi nel silenzio e nella pace di quell’umile casetta per sentire meglio la voce di Dio e parlare con Cristo quasi cuore a cuore. Vorresti unirti a me in questo ritiro minimo, che va dal pomeriggio del sabato, 11 corr., al pomeriggio di lunedì? Bisognerebbe ti trovassi alle 15 di sabato a Genova nell’atrio della stazione Principe, dove sarò a riceverti o dove troverai un mio sacerdote che ti sarà facile distinguere, poiché porterà in mano un libro. Saremo sei o sette, non più, ché casa e cappella sono veramente piccole (Scr. 32,144).
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Il ritiro spirituale è la culla e il riposo fecondo dell’Apostolato – primi secoli della Chiesa: per mantenere la fede o per crescere nell’amore e servizio di Dio cercavano i deserti: furono popolate le solitudini della Libia, di Tebe, d’Egitto, di Asia per santificarsi nel silenzio e preghiera (Scr. 55,247).
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Sono stato due volte a S. Giovanni alla tomba di S. Eccell. Mons. G. Blandini e più a lungo all’Eremo, e nella Grotta di San Corrado. E sono venuto via tanto contento che mi pareva di non toccar terra. Mi ha fatto tanto bene quella giornata, come d’un breve ritiro spirituale. Che il Santo Eremita mi prenda nella sua protezione, e interceda sempre per me povero peccatore! (Scr. 69,165).
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Come Mosè vengo nel nome di Dio: non vengo a liberarvi dalla schiavitù del peccato, del male morale; sarebbe un offendervi: vengo a raccogliermi insieme con voi, in questi brevi giorni di ritiro spirituale: vengo a confortarvi, frater qui adiuvatur a fratae quasi civitas firma: là dove saranno due o tre riuniti nel nome mio là io sono, dice il Signore. Che cosa sono i Ritiri Spirituali – quando cominciarono? Dal tempo di Gesù: Apostoli in desertum locum: requiescite pusillum brevi. Anche voi compite una missione siete apostoli di fede, di azione cattolica, luci di scienza e di cultura cattolica di dottrina ispirata a Cristo. Lavorate avete bisogno di requiescere pusillum. Che cosa sono i Ritiri Spirituali? Sono una grazia speciale di Dio – una chiamata ad Magister adest et vocat te attendere con maggior fervore alla salvezza dell’anima, una rinascita spirituale, un rifacimento di forze, di energie (Scr. 85,188).
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Io voglio credere che nessuno di voi abbia l’anima macchiata di peccati mortali e sia nemico di Dio: credo invece che tutti sarete buoni cari al Signore. Ma se qualcuno avesse qualche viziosa abitudine, qualche confessione di cui non fosse tranquillo? Potrà convertirsi con le sole grazie ordinarie? No! È necessario un mezzo straordinario: il Ritiro Spirituale (Scr. 85,189).
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Servirebbe anche per i Ritiri Minimi per uomini, industriali e giovani che desiderano ritemprare le forze spirituali e anche vorrebbe essere un mezzo per avviare all’altare, aprire la via all’altare, per qualche vocazione tardiva che pur si manifesta in certe famiglie benestanti. Devono trovare un regime conveniente affinché non si spaventino. Che il Signore ci assista. Sono Ritiri Minimi ed è una Casa minima, ma da cui il Signore potrà trarre un gran bene. Bisogna fare il fondamento di questa Casa e il fondamento deve essere la preghiera e la mortificazione affinché il Signore mandi anche i mezzi per mantenerla. La Casa, grazie a Dio, è tutta pagata; ora bisogna arredarla e metterla in piedi e in stato di funzionare; e bisogna arredarla convenientemente con senso di povertà ma anche con senso di convenienza perché tutti i partecipanti vengono da una tal quale agiatezza di vita (Par. XI,212).
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Avete sentito mai parlare dei Ritiri Minimi? Io ho cominciato a sentirne parlare quando l’attuale Cardinal Schuster era Abate a San Paolo fuori le Mura. Essendo io stato a trovarlo, mi parlò dei Ritiri Minimi da lui iniziati, a Roma, per la prima volta in Italia. Egli raccoglieva attorno a sé una quarantina di professionisti, di avvocati, di medici, deputati, di uomini che occupavano le più alte cariche governative; li raccoglieva nel Monastero grandioso di San Paolo, dove c’è lo scalone, il più grande d’Italia – non è grande così nemmeno quello della sala della Regione a Venezia; – entravano là al sabato sera e vi rimanevano fino al lunedì mattina. Una giornata passata con lui! Erano 25 o 30 o anche più; tutta gente di cultura. Egli continuava così i Ritiri minimi iniziati nel Belgio. Questi Ritiri hanno dato e danno risultati meravigliosi, perché tutte le Domeniche, nelle città i Gesuiti, imitando il Cardinal Schuster, raccolgono ferrovieri, tranvieri, spazzini, lavoratori del braccio...; li raccolgono nella Parrocchia vicina alle loro Case e si riuniscono anche dalle altre Parrocchie e cantano e pregano, come facevano le antiche Confraternite; un Gesuita poi tiene loro un discorso dall’altare. È una cosa meravigliosa! Bisognerebbe che anche a Tortona si facessero. Io avevo già pensato di farli, incominciando dagli ortolani (Par. XI,214).
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I Ritiri Minimi! Avevate mai sentito parlarne? Io penso che anche a Tortona forse qualche cosa si farebbe: non di frequente, ma ogni due o tre mesi; raccogliere qualche buon signore...; bisognerebbe trovare il luogo. Là a Genova, abbiamo trovato un posto, bellissimo nella sua semplicità. Se poi esso ci resterà – perché non è ancora nostro – potremo mettere fuori qualche immagine o scritta... Di fuori non appare niente. Per Tortona andrebbe bene Villa Caritas... Io avrei due o tre valige di libri da portare... Qualcuno di voi si presterebbe? (rispondono tutti di sì). Oh, voi non vi accontentate di ritiri minimi; voi vorreste i ritiri massimi (Par. XI,215).
Vedi anche: Esercizi spirituali.
Rosario
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Mi raccomando per la Santa Meditazione: non lasciatela mai: fate di leggere anche la vita di qualche Santo, e di dire Rosario con semplicità e fervore, e date a tutti esempio di vita sacerdotale e religiosa, con carità e modestia grande (Scr. 4,10).
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Confessati sempre bene, fa’ bene la tua meditazione, recita adagio, più adagio e più devotamente il Sant’Ufficio: recita sempre il tuo rosario e prega di più. Tu preghi ancora poco, o caro figlio mio! (Scr. 29,158).
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Devi diventare il prete dei fanciulli poveri raccolti in Alessandria, il prete più popolare presso i ricchi e presso i poveri; e tutto questo farai senza dir niente a nessuno... Mano alla corona del rosario, e avanti! (Scr. 29,254).
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Domani è la festa del santo rosario: che sintesi di fede, di immortali speranze, di carità, di amore di Dio e degli uomini è il santo rosario! Sono i punti più salienti del Vangelo. Viviamo il rosario e vivremo l’Evangelo! Vivremo Gesù e Maria. Tu mi scrivi che hai sete e che ti additi l’acqua divina del Signore: ecco, caro don Alice, bevi al santo rosario, e vivrai alla mistica fonte di Maria, nostra madre (Scr. 32,225).
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Non pranzerò se non avrò recitato il Santo Rosario e fatto l’esame di coscienza (Scr. 57,97).
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Tra le espressioni più graziose, e più dalla Chiesa raccomandate, della devozione a Maria è la pia pratica del rosario. Il rosario pone sulle labbra del fedele le più belle parole che si leggano nel Vangelo, il saluto cioè dell’angelo a Maria, e il Pater noster insegnatoci da Gesù Cristo. Poi lo conduce a contemplare, nei suoi misteri, le virtù, i dolori, le glorie dei principali personaggi che nel vangelo si incontrano, e che da 19 secoli sono l’oggetto del culto del mondo civile. Il rosario è adunque il vangelo presentato ai cristiani in una forma popolare. Sorride l’ignorante quando vede la corona nelle mani di qualche umile donnicciola... Si dirà forse che questa preghiera è una ripetizione di parole identiche la quale deve finire per cagionar noia? Ma e che cos’è una musica melodiosa? Non è forse la ripetizione del medesimo motivo? E che cosa è l’applaudire che si fa ad una regina? Non è forse la ripetizione della stessa parola, del suo nome cioè, accompagnato da battimano che si vorrebbe non finissero mai? E quali parole più belle a ripetersi di quelle dell’Ave Maria che spiegate dai primi geni del cristianesimo riempirono già dei loro commenti più di quarantamila volumi? E quanto al Pater noster chi non conosce il giudizio che ne diede il primo Napoleone? Volete qualche cosa di sublime? recitate il Pater noster! Ed il Gloria non ti rammenta la pace annunziata dagli angeli sul presepio di Betlemme. Ma oltre alle parole vi sono nel rosario misteri santissimi da contemplare. Come nelle rose trovi le verdi foglie, le spine, e lo splendido fiore, gloria dei nostri giardini, nel rosario incontri da meditare, nei misteri gaudiosi le virtù dell’anima, nei dolorosi le pene che devi dividere con Gesù Cristo, nei gloriosi le glorie che delle virtù e dei dolori saranno premio in cielo. Ah! tutto è bello, tutto è istruttivo, tutto è commovente in questa amabile catena di mistiche rose che lega l’anima fedele a Maria, e quando mi dicono che il rosario è la devozione dei fanciulli mi consolo con le parole del vangelo: se non diventerete come i fanciulli non entrerete nel regno di Dio! (Scr. 61,33–35).
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Il Rosario si reciti verso sera, prima della benedizione del SS.mo Sacramento; e sarà conveniente che ciascuno, o durante la Messa privatamente o durante il giorno, ne reciti altra terza parte per imparare a recitarlo, meditandolo (Scr. 79,326).
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Ho bisogno che le Suore siano ben formate, con spirito ben profondamente radicato, ma non marmotte, e che siano sincere: aborro i colli torti e falsi: dicano anche un Rosario di meno, ma servano a Dio con vero buono spirito e con sincerità e rettitudine (Scr. 103,265).
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La Festa del Rosario, è una delle più grandi, più belle, più popolari tra le solennità della Madonna. Come Gesù disse agli Apostoli: quando pregate direte: Pater Noster, così la Vergine Santissima insegnò ai suoi devoti a recitare la corona e dice: Ricorderete i misteri, i punti più importanti della mia vita e della vita di Gesù; così, conoscendolo meglio, lo amerete di amore più dolce e più intenso. Una buona religiosa deve recitare tutti i giorni il Santo Rosario, e non v’è convento ben ordinato dove non si reciti anche più volte al giorno. Anche ai nostri ragazzi del Collegio facciamo recitare il Santo Rosario, a quelli pure che non hanno nessuna idea di entrare in Religione; e questo perché lo crediamo un mezzo efficacissimo a mantenerli buoni. “In un Collegio dove il vescovo, messo su da chierici e sacerdoti, mi avevano fatta l’osservazione che si pregava troppo, ho tolto via i sacerdoti,” ed allora hanno abolito a poco a poco non solo il Rosario, ma la Santa Messa, e fin le preghiere del mattino e della sera. Ebbene, mentre prima il nostro Collegio di Gerace Marina era uno dei più fiorenti, e ancora alla nostra partenza era popolato di ragazzi che frequentavano le Scuole Tecniche ed il Ginnasio, con l’approvazione dei superiori, dei professori e con soddisfazione dei parenti, dopo un solo anno, dacché erano usciti i sacerdoti e si era abolito il Rosario e le preghiere, era quasi spopolato. Non solo, ma successero dei disordini, vi furono delle mezze rivoluzioni, tanto che si è dovuto chiudere e resterà chiuso pure quest’anno. Noi abbiamo promesso a quel buon vescovo che dopo la guerra torneremo ad occupare il nostro posto, ma con noi tornerà pure il Santo Rosario che solo può mantenere l’ordine e la pace. Anche nelle buone famiglie, nelle famiglie cristiane, una volta si recitava il Santo Rosario tutte le sere; ora ce ne sono ancora che lo fanno, ma sono poche. Che cosa si dovrebbe dire di una Comunità dove non si recitasse il Santo Rosario? Non possono essere vere Religiose quelle che non hanno grande amore al Santo Rosario di Maria Santissima. Esso deve essere la dolce catena che ci lega a Lei e per la quale andremo a Gesù. “Ad Iesum per Mariam”. Datevi tutte alla Madonna, cuore e vita, ed unitevi a Lei per la recita quotidiana del Santo Rosario! (Par. I,103–104).
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Ed ora vi consegnerò la corona. L’Immacolata, quando apparve a Lourdes alla Beata Bernardetta, apparve tenendo fra le sue dita e facendo passare, recitando la santa corona del rosario; e una pia usanza vuole che tutti i religiosi abbiano il santo rosario al fianco e che tutti i giorni recitino la stessa orazione che ci ha insegnato Gesù Cristo, che è il Pater Noster, e l’Ave Maria, che è il saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Madonna, e ricordiamo i santi misteri, i misteri principali della nostra santa Chiesa. Il Rosario fu chiamato il Vangelo reso popolare. Quando la Santa Madonna consegnò il Rosario a San Domenico, egli riceveva questa corona come santa spada, che servi poi ad allontanare tutti i nemici delle anime, e convertì grandi popoli alla fede di Gesù Cristo. Quelli erano tempi che piene, piene città si staccavano dalla Chiesa per darsi alle eresie. Con la recita del santo rosario, l’animo si infervora nei suoi doveri, si accende di pietà verso la Madre di Dio, che è Colei che Gesù Cristo ci ha dato per Madre. A Lei quindi si ricorre; e lo stesso Dante dice che: chi vuol grazie e non ricorre a Maria è come colui che vuol volar senz’ali. Vi consegno la santa corona e mi limito a dirvi semplicemente queste parole: “legate il vostro cuore a Gesù e Maria con la corona del santo rosario; non passi mai un giorno senza recitarla: recitatela per i vivi, recitatela per i morti, recitatela per le anime vostre, per le anime dei vostri più cari, per le anime delle vostre consorelle vive, per le anime delle vostre consorelle morte. A voi che avete fatto i santi voti e alle quali do la corona benedetta dal Papa, dico: Legate il vostro cuore a Gesù, vostro Sposo, a Maria Santissima, vostra Madre! Che la corona del santo rosario, che oggi vi consegno, sia quella che un giorno risplenda fra le vostre mani in Paradiso, e che ci leghi tutti in eterno per portarci al cuore di Gesù Cristo ed alla Santissima Vergine Immacolata! (Par. I,127–129).
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Nel tempo della distrazione, la Madonna indica la preghiera, il Rosario come mezzo il più efficace per ritrovare la via del bene, perché il Rosario dice meditazione, raccoglimento, preghiera. Mentre c’è tanto movimento, essa indica una pausa, una sosta che ridona la gioia di incontrarsi con Dio (Par. IV,329b).
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La Chiesa consacra alla Madonna del Rosario questo mese d’ottobre. In questo mese ricorre la festa della Madonna Regina del Rosario. Il Rosario è il Vangelo in compendio. Nei misteri dolorosi noi ci sentiamo pieni di fiducia nel rivolgerci alla Madonna e a Gesù perché hanno sofferto quello che soffriamo noi. Se con Cristo porteremo la croce, con Cristo trionferemo... Se in qualche famiglia è andata scomparendo la pia pratica della recita del Santo Rosario, dobbiamo ravvivarla, dal momento che fu istituita la festa del Rosario da un Papa che ebbe relazione con Voghera, che fece i voti qui, ricevette l’abito qui, qui ha gettato la base della sua santità. I Vogheresi hanno il dovere di recitare il Santo Rosario sempre, specialmente in questo mese (Par. IV,472–473).
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Il Santo Rosario è la forma di preghiera più popolare. Qual è la famiglia, veramente religiosa, che non reciti il Santo Rosario? Quante volte avremo noi visto la nostra mamma con la corona fra le mani! È una pratica così facile di pietà che tutti possono fare. Chi non sa il Pater Noster e l’Ave Maria? E poi è anche istruttivo: i 15 Misteri non sono altro che il Vangelo popolarizzato, reso accessibile agli umili. Il Santo Rosario, voi sapete, ha i tre ordini di misteri. I Misteri rendono popolare il santo Vangelo. L’Annunciazione ricorda l’Incarnazione del Signore, da cui incomincia l’era di Cristo. Ai tempi di Dante, dice egli stesso, si contavano gli anni ab Incarnatione Domini. La visita di Maria Santissima a Santa Elisabetta ci insegna la carità verso il prossimo. E per questo Dante trascende ad alto concetto e la chiama “Umile ed alta più che creatura”. La Natività, la presentazione, ci danno grandi buoni insegnamenti di povertà e di offerta generosa al Signore. Il ritrovamento di Gesù ci ricorda che egli fu trovato mentre spiegava ai dottori della legge la Bibbia; dunque da questo dobbiamo imparare con umiltà che nella Bibbia vi sono dei punti oscuri, che solo la Bocca Divina può spiegare, e che ora solo la Chiesa è la columna et firmamentum veritatis. Noi abbiamo bisogno di guida per non errare e vagolare come un pezzo di legno sull’acqua. Gesù nel Tempio spiega ai maestri di Israele per Gamaliele, che fu maestro di San Paolo, perché non lo comprendono. I Misteri dolorosi poi ci dicono nel loro complesso, l’amore grande di Gesù per gli uomini. Poi vengono i gloriosi. La gloria di Gesù dopo la sofferenza. La resurrezione ci insegna che per mezzo del sacramento della Penitenza dobbiamo anche noi risorgere. L’Ascensione ci insegna a distaccare il cuore dai beni fugaci di questa terra. La Discesa dello Spirito Santo ci esorta a ricorrere sempre alla preghiera, alla luce, al conforto, all’ardore, che ci viene nel cuore dall’Opera del Divino Spirito. Nei Misteri gloriosi naturalmente non ci poteva non essere una lode, un inno a Maria dalla quale Gesù nacque, che fu costituita Madre di noi poveri peccatori e fu assunta gloriosa in Cielo dove siede Regina degli uomini e degli Angeli. Leghiamo dunque, con la corona del Santo Rosario il nostro cuore con quello di Maria, sicché il nostro cuore e il Suo siano un solo cuore! (Par. V,236–238).
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Non lasciate mai la corona del rosario! Anche quando camminate per le strade, magari con la mano sotto l’abito, dite il Santo Rosario; che se non potete finire un’Ave Maria, la finirà il vostro Angelo Custode (Par. VI,156).
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I Domenicani hanno per giaculatoria: Regina Sacratissimi Rosari, perché è tradizione che San Domenico sia stato l’inventore della devozione alla Madonna del Rosario o che almeno, le abbia dato una forma concreta: la devozione al Santo Rosario è la devozione che vuol essere come una sintesi di tutto il Vangelo (Par. XI,207).
Vedi anche: Devozioni, Madonna, Preghiera.
Rosmini Antonio
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Ricordo che un grande Cardinale inglese nel suo testamento morale scrisse che se l’Inghilterra si fermò sulla via della conversione, in gran parte lo si doveva al clero che non era all’altezza per l’educazione. E Rosmini scriveva a p. Gentili (che pure era avvocato, e di gran grido, in Roma, prima di farsi rosminiano) che per la carità di Gesù Cristo si rendesse inglese in tutto quello che non era dogma, morale o stretta disciplina della Chiesa (Scr. 18,143).
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Come volete che la gente ci si affezioni, se sente che critichiamo i loro usi o la loro città? Ricordo d’aver letto nell’epistolario del Rosmini una sapiente e grave lettera che quel filosofo e santo fondatore scriveva ai suoi religiosi inviati in Inghilterra a farvi del bene. Da uomo abilissimo, piissimo e dottissimo, benché non esente da errori, e sostenitore di opinioni che sono addirittura agli antipodi delle nostre idee, egli scriveva ai suoi di farsi e di rendersi inglesi perfetti, per la carità di Gesù Cristo. E li supplicava di assumere modi, vestito, linguaggio e il fare tutto proprio degli Inglesi: i loro modi e i loro costumi, e tutto fare per attirare le anime, e ciò in visceribus Christi. E il Rosmini era un sant’uomo, un profondo conoscitore del cuore umano ed un educatore di prima forza, malgrado, ripeto, certe sue teorie, e certi errori riprovati dalla chiesa. E in tutto ciò che non è «evidentemente male», scriveva il Rosmini, «accettate e adottate», piuttosto che perdere influenza, piuttosto che creare malumore, o mettervi in posizione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. «Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi» – aggiungeva, e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, rendetevi inglesi (Scr. 20,93).
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Dove puoi concedere, concedi: dove puoi compiacere, compiaci: la compiacenza e i modi garbati e dolci sono virtù conformi allo spirito del Vangelo ed è un gran segreto per diventare padroni dei cuori onde poi portarli a Dio. «Prudenza e dolcezza», diceva il Rosmini «devono essere le virtù proprie di un superiore» – E aggiungeva che «un ammaestramento dolce e paterno suole persuadere, un ammaestramento aspro suole irritare e allontanare gli animi». E in una lettera a don Gius. Fradelizio a Stresa, che doveva forse essere il maestro dei novizi o addetto al noviziato, dice così: «Carità abbondante, mio caro: rigore con sé stesso, dolcezza con gli altri e discrezione con tutti» (Scr. 23,185–186).
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La S. Messa si deve celebrare con gran devozione – Don Bosco e Rosmini avevano grande pietà nel dire la S. Messa, e così Mons. Daffra. Il ringraziamento deve essere più lungo che sia possibile (Scr. 28,105).
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Ricordo di avere letto nella vita del Rosmini, il quale (a parte gli errori suoi filosofici e le teorie liberali di lui) in opposizione diretta con il nostro spirito e le nostre idee, era per altro uomo piissimo e dottissimo, profondo conoscitore del cuore umano e cristiano ed educatore di prima forza Rosmini dunque scriveva ai suoi rosminiani che aveva inviati a fare del bene non solo ai cattolici, ma ai protestanti d’Inghilterra: «io vi supplico e vi scongiuro in visceribus Christi di farvi è di rendervi inglesi (e nel fare e nel modo e nello spirito vostro), di rendervi inglesi per la carità di Gesù Cristo, e non solo nella lingua e nei costumi ma in tutto ciò che non è peccato evidente; in ciò che fosse solo un male dubbio, fatevi inglesi per l’amore di Gesù Cristo e per le anime e così convertirete l’Inghilterra». E resterà celebre e sempre benedetto il grande padre Ricci da Macerata santo e dotto gesuita il quale in Cina, per l’amore di Gesù Cristo e per le anime, si fece tanto cinese che parve oltrepassare i limiti e arrivò tanto avanti quasi quasi da farsi scomunicare da Roma. Ma poi, lui morto, Roma capì. E così fecero S. Cirillo e S. Metodio per convertire gli slavi che si fecero in tutto slavi, anche nella liturgia, e vennero da Roma richiamati a difendersi e si presentarono e furono dal Papa approvati, benedetti e poi dalla Chiesa santificati. E San Paolo non ha scritto che bramava essere anatema, cioè scomunicato per fare del bene e salvare le anime? Diceva il Rosmini, appunto scrivendo in proposito di questo al P. Gentile che era in Inghilterra: «Ogni popolo ha i suoi costumi, e sono buoni agli occhi suoi: in tutto che evidentemente non è peccato rendetevi inglesi e perfetti per fare maggior bene? Ed io dico a te, caro Biagio, in tutto ciò che non c’è di male, o non c’è fiacchezza di carattere, renditi perfetto veneziano per la carità di Gesù Cristo (Scr. 32,10).
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Ah! io vi voglio in Domino tanto bene, o cari figlioli di Rosmini, tanto provati dalla croce, e ne voglio anche tanto tanto tanto al vostro benedetto Fondatore e Padre. Coraggio, coraggio! Dominus prope est! Ma finché siete i beniamini della croce vi voglio ancora più bene, di un soave e fraterno affetto, perché tu sai che Gesù si ama in croce. Dunque coraggio, o figliol mio, amalo molto Gesù, e si proprio un buono e perfetto religioso. Oh! come si sta bene quando, con l’aiuto di Dio, si fa tutto per essere religiosi davvero. A questo fine sì, io pregherò per te e tu anche per me e per i miei affinché nella carità di N. Signore riusciamo ad essere un cuore e una cosa sola con Lui. Ancora una cosa: il tuo padre Generale mi ha usata la carità di una copia delle vostre s. regole, ma da mezz’anno non la posso più trovare: digli che, se può, me ne favorisca un’altra copia indirizzandola qui: mi ha aiutato molto quella s. regola, e adesso mi par di essere senza un braccio (Scr. 35,152).
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Così mi farai cosa gradita se vorrai fare gli auguri di buon anno (siamo ancora nell’ottava), a tutti i buoni padri di codesto Collegio, e specialmente a quello che ha risposto cosi magnificamente a quei giudizi sul Rosmini dati da Ausonio Franchi, nell’Ultima Critica (Scr. 35,165).
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Udite ciò che quel grande filosofo cristiano ed educatore, che fu il Rosmini – filosofo non scevro da errori, ma umilissimo e di santa vita, ciò che scriveva a Tortona, a certo Prof. Sac. Ambrogio Gatti, che aveva aperto un collegio là dove dopo tanti anni noi si aperse S. Chiara. «Si deve inculcare per tempo nella gioventù la diffidenza del proprio giudizio e la deferenza e il rispetto all’autorità, prima della Chiesa e poi degli uomini gravi e virtuosi: dimostrare spesso quanto sia facile che l’uomo, che pronunzia con troppa sicurezza di sé, cada in errore. Dobbiamo mettere in guardia contro le affezioni, le passioni, i pregiudizi, che tolgono così facilmente all’uomo la serenità e tranquillità della mente, e quindi l’equilibrio della bilancia: mostrare la bellezza della verità, e quanto siamo obbligati a vegliare sopra di noi stessi per non offenderla con giudizi frettolosi: insomma insegnare per tempo una logica pratica e morale ai giovanetti, parmi, più che in altro tempo mai, al presente necessarissimo. A sostegno di tutto questo, come di ogni altro bene, conviene trovar la via di suscitare nel fanciullo un sentimento religioso: la forza dell’uomo sta nel sentimento. Se si arriva a insinuare nel giovane un’altissima stima delle cose divine, una persuasione che ad esse niun’altra cosa sia comparabile, né per grandezza, né per bellezza, né per sapienza, né per utilità: se si arriva ad infondergli una cognizione di Dio, un timore ed un amore di questo primo e massimo Essere, e di Gesù Cristo e dei suoi benefizi e delle sue promesse; se si arriva a questo, le fondamenta della buona riuscita sono poste, e queste solide fondamenta, gittate in anime ancora pure, difficilissimamente saranno scosse dalle secolari tempeste». Ecco ciò che scriveva il celebre Rosmini ad un educatore tortonese, nel 1852, tre anni avanti la morte (Scr. 51,34–35).
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Ecco perché i Santi trovarono le loro delizie nell’orazione: ecco perché il Rosmini disse che «l’orazione di tutte le filosofie è la più sublime e di tutte le scienze la più istruttiva e la più efficace» (Epist. I,331) (Scr. 55,209).
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Il Rosmini dice: che l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo e alla Chiesa. Niuno sarà idoneo a comandare, se non è capace ad obbedire. finché uno è obbediente come fa? mirabilia!, poi miserabilia! (Scr. 55,261).
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Il vivo ed umile desiderio di diventare perfetto, già è segno di vocaz. religiosa E bisogna corrispondere subito e generosamente. Può dannarsi un uomo con il tardare un giorno solo a corrispondere alla grazia div. della voc. (dice il Rosmini e altri Dottori della Chiesa) (Scr. 56,152).
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Mio buon Padre nel Nostro Caro Signore Gesù Crocifisso, Ho ricevuto ieri sera, ed ho letto con molto conforto per l’anima mia le tre lettere del Veneratissimo Padre Rosmini che (la/ P. V. si degnava inviarmi cogli auguri. L’ultima delle tre lettere quella diretta al Prof. Ambrogio Gatti tanto pio e tanto dotto Sacerdote, a cui io da Chierico ho servito la S. Messa e che ho avuto il bene assistere nell’ultima malattia, mi ha fatto particolare piacere. Qui dove ora mi trovo è appunto dove il Prof. Gatti si trovava a reggere un Convitto quando nel 1852, riceveva la lettera del benedetto Padre (Scr. 57,110).
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Ora, quando il sac. Prof.r Ambrogio Gatti aperse il Collegio, dove poi fu l’Istituto nostro di S. Chiara, viveva ancora il Rosmini viveva già ritiratosi a Stresa, ed era agli ultimi anni. Ora il don Gatti richiese qualche suggerimento al grande filosofo cristiano e suo maestro. Il Rosmini fu, certo, il più grande filosofo che abbia avuto l’Italia nel secolo XIX, benché non esente da errori. E allora il Rosmini, che fu pure grande educatore, fondatore di due benemerite Congregazioni, e tale che, pur dopo morte, operò miracoli, come risulta da canonici processi delle Curie vescovili di Vigevano e di Milano, il Rosmini dunque, che il Ven.le Don Bosco e altri Servi di Dio e uomini grandi ebbero in altissimo concetto, rispose al prof.r don Gatti esortandolo ad «inculcare per tempo (nella gioventù) la diffidenza del proprio giudizio e la deferenze e il rispetto all’autorità, prima della Chiesa e poi degli uomini gravi e virtuosi: dimostrare spesso quanto sia facile che l’uomo, che pronunzia con troppa sicurezza di sé, cada in errore (Scr. 64,238).
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Per la Signora Contessa, onde abbia maggior luce in giorni di tanta mestizia, trascrivo un pensiero del grande Rosmini: molto umilmente anch’io sottoscrivo a queste sante e pie parole (Scr. 81,182).
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Ricordo di aver letto nell’Epistolario del Rosmini una sapiente e grave lettera che quel filosofo e santo fondatore scriveva ai suoi Religiosi inviati in Inghilterra a farvi del bene. Da uomo abilissimo, piissimo e dottissimo, egli scriveva ai suoi di farsi e di rendersi inglesi perfetti, per la carità di Gesù Cristo. E li supplicava di assumere modi, vestiti, linguaggio e il fare tutto proprio degli Inglesi; i loro modi e i loro costumi, e tutto fare per attirare le anime e ciò in visceribus Christi! In tutto ciò che non è evidente male, scriveva il Rosmini, “accettate e adottate” piuttosto che perdere l’influenza, piuttosto che creare malumore, o mettersi in posizione da non poter più operare tutto quel bene che potevate fare. “Ogni popolo ha i suoi costumi e sono buoni agli occhi suoi, aggiungeva, e in tutto che evidentemente, che chiaramente non è peccato, rendetevi Inglesi” (Scr. 82,68).
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I Figli della Divina Provvidenza devono volere e concorrere, per quanto è in loro, che gli studi teologici riprendano l’antico vigore, e non solo l’antico, ma pur quello nuovo, che è domandato dai tempi; in modo che la teologia – che il filosofo Rosmini chiama la regina delle scienze – ritorni così rispettabile agli occhi della presente società da poter influire utilmente su di essa e su tutti gli altri studi anche profani (Scr. 86,53).
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Mio buon Padre, questo povero chierico non mi pare stoffa da eretico, mi pare che possa diventare un grande santo. Ha patito tanto per amore di Nostro Signore ed è tanto affezionato al nostro benedetto Padre Rosmini, per cui io penso che abbia avuto da Nostro Signore tanta forza e tanta rassegnazione. Egli da assai tempo mi ha pregato di trovargli modo di farsi dell’Istituto della Carità. La sua vocazione io l’ho lasciata come a sé, prima, poi Nostro Signore l’ha circondata di tante spine, e mi pareva bene che crescesse così... Il Chierico di cui ho scritto si chiama Risso, nativo di Novi, ma ora è presso una zia a Sale. Con la divina grazia io sarò sempre contento comunque decidiate. Già da questo Seminario di Tortona è venuto a Voi quel santo successore di Rosmini che fu il Bertetti: oh se anche questo chierico diventasse un gran santo! (Scr. 91,352–353).
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Il Rosmini dice che l’Orazione è di tutte le filosofie la più sublime, di tutte le scienze la più istruttiva. Nel suo oggetto: Oratio est petitio decentium a Deo; una domanda che si fa a Dio di ciò che abbisogniamo – (S. Giovanni Damasceno Ost Fid.) Nella sua forma: è uno slancio, un volo del cuore: Ascensi mentis in Deo. È la scienza delle scienze. (Rosmini) (Scr. 101,161).
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Le parole adorare, tacere, godere, sono l’ultimo ricordo che Antonio Rosmini vicino a morte lasciava all’amico ed ammiratore suo Alessandro Mangani (Scr. 108,260).
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Guardi un po’: dì fa, venendo da S. Remo, leggeva una lettera del Rosmini dove loda la bontà e religione dei milanesi; io, che non conosco e che veniva mi vedeva davanti Genova e pensava, invece a Genova dove ci sono ospedali luoghi pii e tante ottime cose e mi pareva che con il carattere eccellente quest’opera avrebbe potuto averne molti vantaggi e da quella pietà e forza di tempera che è propria dei genovesi si potesse venirne un gran bene (Scr. 110,49).
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La vocazione religiosa è il più gran beneficio di Dio, dopo il santo battesimo, dice il Rosmini (Epist. III. p. 698), e la chiamata del Signore bisogna seguirla senza indugio (Scr. 111,14).
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Come l’amore e la devozione di Maria santissima è pegno sicuro del Paradiso, così quanto il nostro venerato padre Rosmini ha scritto, perché fosse glorificata con la definizione del Dogma circa il suo Immacolato Concepimento, è una grande prova, mi pare, della santità del nostro padre, e spero che la celeste nostra Madre lo vorrà a suo tempo glorificare anche in terra (Messaggi, 72, xxx).
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[San Giuseppe Benedetto Cottolengo] diceva sovente che dal bene ascoltare la Messa dipendeva l’andar bene o male la Casa. Il Rosmini dice: quanto più lungo sarà il ringraziamento tanto maggiore sarà il frutto (Par. III,35).
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Attenti voi che siete giovani, che i Figli della Divina Provvidenza non abbiano ad andare a finire anch’essi coi ricchi... Dovrà venire un tempo in cui si dovrà da noi passare per ignem et aquam... È necessario prepararci... Antonio Rosmini fu combattuto da ministri di Dio indegni... Dovrei ricordare tante cose simili anche per noi, nei primi tempi della Congregazione (Par. III,55).
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Bisogna buttarsi a tutti i lavori. Non pensare che quando uno diventa prete si avvilisca a tagliare i capelli ai ragazzi. Don Bosco stesso andò a trovare il Rosmini e vide nella portineria della Casa uno che scopava; chiese dell’abate Rosmini. Egli posò la scopa e si presentò (Par. III,125).
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Quanta gente veniva per sentire i Figli di Don Bosco a pregare, e gente da tutti i punti lontani della Città, persone della aristocrazia; e venivano perché si sentivano aiutati nel vedere come eravamo aiutati da Don Bosco e da altre sante persone. E il Rosmini – non vi rincresca udire questo nome davanti all’altare – disse presso a poco: “la filosofia è preghiera”. E sempre si può pregare, andando a scuola, in ricreazione, tutto si può cambiare in orazione (Par. VI,5).
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La grazia della vocazione a vita perfetta è grazia molto più grande che non quella alla vita parrocchiale. Il Rosmini, rifacendosi a ciò che già dissero San Tommaso, San Bernardo e il grande San Benedetto e Sant’Anselmo, soleva ripetere ai suoi religiosi che la chiamata di Dio a vita perfetta è la grazia più grande dopo quella del Santo Battesimo (Par. VI,147).
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Attaccatevi alla preghiera: Ricordatevi la frase di uno dei più grandi filosofi italiani. Egli diceva che la preghiera è la più alta filosofia. Chi parlava così era l’eretico Rosmini! Con questo non voglio mica dire che egli non abbia degli errori che la Chiesa sapientemente ha condannato (Scr. 6,156).
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Il Rosmini – che nomino dinanzi a voi con gioia, riverenza e rispetto, ancora da molti sconosciuto per pregiudizi di scuola, anche, sepolto, è, direi, calpestato, ma il suo sepolcro fa sentire con i miracoli che ancora egli vive –, Rosmini disse che la grazia della vocazione è la più grande grazia dopo il battesimo (Par. VI,188).
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Ora vi parlo della vocazione. Grande grazia è la vocazione alla vita religiosa. Rosmini, malgrado i suoi errori – e può darsi che la Chiesa un giorno pronunci una grande parola anche per lui – diceva che la vocazione religiosa, dopo il santo battesimo è la grazia più grande che Dio abbia concessa all’uomo. E questo diceva seguendo la dottrina di Sant’Antonio, dottrina pura, di cui siamo sicuri di non storpiarci i piedi, di non trarne offesa (Par. VI,207).
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Ci furono due grandi filosofi, certo due dei più grandi filosofi, due sacerdoti, l’uno dei quali morì a Parigi con l’Imitazione di Cristo sotto il cuscino; e l’altro morì a Stresa con accanto il Manzoni e Ruggero Bonghi: questi è Antonio Rosmini il quale, nonostante le sue pecche e i suoi errori filosofici, non lascia di essere un grande santo sacerdote; e, più crescerete e più studierete, più vi confermerete in ciò che dico. Ricordate queste mie parole! Questo, parlando dell’orazione, dice che l’orazione è la più alta di tutte le filosofie e la più istruttiva di tutte le scienze (Par. VII,57).
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Dice il Rosmini che la lettura dei libri ha sempre un effetto decisivo sull’animo degli uomini; un effetto decisivo buono o cattivo. E questo doveva pensare Don Bosco quando, per consiglio dell’Abate Rosmini, fondava la tipografia salesiana per la diffusione delle buone letture e per stampare i classici riveduti e purgati da frasi che potessero offendere la illibatezza dei costumi. E all’Oratorio, tra i suoi sacerdoti, alcuni si distinsero nelle lingue, come Don Durando, Don Cerrutti e anche il carissimo mio assistente, che sarà sepolto domani, Don Alessandro Lucchelli. Don Bosco fece come un collegio di questi suoi salesiani per purgare certe opere di classici pagani e per pubblicare gli autori cristiani. Don Bosco sentiva e pensava come sentiva e pensava Antonio Rosmini... Io parlo spesso di Rosmini e, con questo, prego credere che non sono rosminiano, benché da 35 anni legga Rosmini e benché Rosmini lasci sempre una profonda impressione nel mio spirito. Ebbene, Rosmini dice che le letture lasciano sempre una impronta decisiva che può essere buona o cattiva. Rosmini – per citarvi una grande autorità – ha scritto che anche per le persone buone, quand’anche leggessero libri non cattivi ma non di dottrina cattolica pienamente sicura, quella lettura è sempre malefica (Par. VIII,53).
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Quando si trattava di alzare il Santuario alla Vergine benedetta, Don Bosco vide, in un mirabile sogno, il posto dove innalzarlo ed era proprio sul luogo dove erano stati martirizzati i tre martiri: Avventore, Solutore e Ottavio. Quel terreno Don Bosco lo comprò con i denari che gli imprestò Don Antonio Rosmini, che i più giovani di voi mi auguro possano vedere innalzare sugli altari, perché è una delle figure sacerdotali più pure, più illibate e più sante che Dio non solo ha dato all’Italia, ma anche alla Chiesa. Rosmini fu perseguitato in modo che non si può dire! Più andrete avanti, più studierete, più vedrete le cose non con le passioni degli uomini, ma alla luce di Dio, più comprenderete tante cose; certe cose le capirete quando avrete i capelli bianchi sulla testa e quando Dio lo voglia (Par. VIII,67).
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Chi ha modificato il carattere del Tommaseo? Rosmini! Rosmini! Rosmini! Rosmini, il più grande filosofo del secolo, sacerdote di vita illibatissima, intemerata, santa, quel filosofo che i miei professori, quando facevo filosofia cacciavano, direi, dalla scuola e che ora fa i miracoli e che un cardinale, promotore di tante cause di beatificazione e di canonizzazione disse che sono miracoli così grandi che basterebbero per canonizzarlo. Ai piedi del letto di Rosmini morente stavano Manzoni e Tommaseo e bagnavano di lacrime i piedi di quel grande scrittore (Par. IX,451).
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Ed ora, che si avvicina la fine dell’anno, vi dirò una frase che ho letto questa sera, su Sant’Agostino. Il grande filosofo cristiano Antonio Rosmini diceva: Una volta i credenti e gli studiosi della fede si pascevano delle grandi opere dei Padri; oggi gli uomini piccoli hanno bisogno di futili libri e superficiali (Par. IX,503).
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Ogni tanto Dio dà i suoi doni. A Milano Dio ha dato Sant’Ambrogio, San Carlo; a Tortona ha dato San Marziano. Dio fa doni grandi anche in altro campo. Per esempio, Marconi è un dono di Dio. Rosmini è un dono di Dio (Par. X,58).
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Un grande educatore, Antonio Rosmini ha scritto che la gioventù bisogna educarla nella verità e nella sincerità (Par. X,219).
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Bisogna pregare, pregare, pregare. Un filosofo cristiano, e come cristiano! e profondo! e come profondo! malgrado certi errori suoi, il Rosmini, ebbe a scrivere che per perseverare non bisogna pregare, ma sforzarsi di pregare (Par. XI,51).
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Avevo letto in quei giorni la vita in grande di Antonio Rosmini. Avevo allora 26 anni. Avevo dunque letto che quando Rosmini venne da Gaeta – perché aveva seguito là Pio IX e, per le mene del Governo di Napoli, era poi caduto in disgrazia del Papa, mentre aveva già il biglietto di nomina per essere fatto Cardinale – mentre Rosmini ritornava in sede, siccome era piissimo, e di molta orazione – più profondo di Gioberti: tutti e due preti! – si mise a pregare e assaggiava tutte le amarezze che il mondo e gli uomini danno ai servi di Dio... Dopo, o perché non poteva dormire o per altro, si mise a leggere. E stava leggendo quando sentì un piccolo rumore. Guardò attorno e vide la parete di fronte a lui come aprirsi: prima sembrava muro poi vide affacciarsi una testa... Essa però si ritirò. Si vede che quel tale, vedendo che l’ospite era sveglio, si era ritirato... Rosmini non dormì più quella notte e pensò che quello doveva essere un sicario mandato per ucciderlo... Avevo, dunque, letto questo e arrivati a Noto, il Vescovo ci trattò bene e ci diede del vino bianchetto, pareva vinello, pareva vino annacquato (Par. XI,125).
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Dice il grande abate Rosmini che gli "eminentissimi" devono essere eminentissimi sotto una di queste tre luci: o eminentissimi per santità, o eminentissimi per dottrina, o eminentissimi per grandi servizi resi alla Chiesa di Dio (Par. XII,95).
Vedi anche: Santi.
Sacerdozio
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Senza la carità non avremmo il sacerdozio che è missione e frutto insieme e fiore di divina carità. Ed è lo spirito di Dio che è spirito di celeste carità che deve portarci a curare nei giovani le sante vocazioni religiose e i futuri sacerdoti perché tante scuole tante rinnovazioni di anime di popoli e di opere non fioriscono che per il sacerdozio e per la vita religiosa. Che faremo noi, che veniamo vecchi e già siamo quasi logori, se non avremo dei continuatori? Io ci penso dì e notte e non gemo tanto sulle umane miserie, quanto nel veder la crisi che vi è nella chiesa in fatto di vocazioni (Scr. 20,78).
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Qui di feste non se ne sono fatte, non ho permesso che se ne facessero per il mio XXV di sacerdozio, quel giorno io dovevo passarlo a Bra, nel silenzio e in Domino, ma, la vigilia, mi accorsi che il caro ch.co Viano andava peggiorando e allora mi fermai a Tortona. La notte la passai presso il letto di Viano, e la mattina dissi la Messa ai piedi della Madonna della Divina Provvidenza, e i ragazzi e tutti fecero la comunione generale. Ho voluto dire messa da morto: ho sentito che dovevo pregare per tutti quelli che mi seguirono o che furono nostri alunni o benefattori e che già sono andati a vita eterna. Venuta l’ora del pranzo, ti dirò come l’ho passata. Viano andava peggiorando ma era sempre presente a sé stesso. da più giorni quel povero figlio, malgrado gli enteroclismi non aveva più avuto beneficio di corpo, quando, verso mezzodì, ebbe come un rilassamento di corpo, e non si fece a tempo, perché anche lui non avvertì a tempo o non se ne è neanche accorto, poveretto! E allora il chierico don Camillo Sacco (ora è suddiacono) che fa da infermiere, e che è forte assai, alzò il caro malato diritto sul letto, e abbiamo cambiato tutto e il letto e il malato, e così, mentre gli altri pranzavano, con dell’acqua tiepida, io lo lavavo e pulivo, facendo con il nostro caro Viano quegli uffici umili sì, ma santi che una madre fa con i suoi bambini. Ho guardato in quel momento il ch.co Camillo ed ho visto che piangeva. Ci eravamo chiusi in infermeria perché nessuno entrasse e fuori picchiavano e chiamavano con insistenza che andassi giù a pranzo; ma io pensavo che meglio assai era compiere con amore di Dio e umiltà quell’opera santa, e veramente di Dio e dicevo tra me: oh molto meglio questo che tutte le prediche che ho fatto, ora vedo che veramente Gesù mi ama, se mi dà modo di purificare la mia vita e di santificare così questo XXV anniversario di mio sacerdozio. E sentivo che mai avevo più sublimemente né più santamente servito a Dio nel mio prossimo come in quel momento, ben più grande che tutte le prediche, che tutte le opere fatte nei 25 anni di ministero sacerdotale. E Deo gratias! E Deo gratias! (Scr. 29,116–117).
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Insieme con voi ringrazio nostro Signore d’avervi chiamato a vita religiosa: la vocazione a vita perfetta e al sacerdozio è la grazia più grande che Dio può fare ad un’anima, dopo quella del santo battesimo. Siatene grato a Dio in eterno e, per la intercessione celeste di Maria SS.ma, tutto fate per corrispondervi: anch’io pregherò per voi (Scr. 32,153),
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Se senti che Dio ti chiama ad una vita di illibatezza, di perfezione e di santità – segui la voce di Dio che ti chiama, e, nel resto, lascia fare al Signore che aggiusterà tutto e accontenterà tutti. Ricordati che la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa è il più grande beneficio di Dio, dopo il santo battesimo. Solo tu non devi restare a metà. Molti, vedi, si fanno sacerdoti e religiosi, ma non si immolano tutti al Signore, e perciò poco concludono di bene e non si fanno mai santi come Dio li vuole. Tu, o mio carissimo Continenza, se ti offrirai a Dio, offriti con cuore generoso e illimitatamente e lasciati adoperare per mezzo dei Superiori, e farai il maggior bene che possa fare, prima per la tua santificazione e poi anche per santa Chiesa di Dio. Attento però che, chi è chiamato al servizio di Dio, deve prepararsi alla tentazione; la vocazione per rassodarsi è un po’ come la terra degli Abruzzi: ha bisogno di qualche scossa: ha bisogno di aver affrontata e vinta qualche battaglia contro il demonio e, talora, contro l’umanità e anche i parenti. Per vincere queste battaglie è necessario essere generoso con Gesù Cristo: pregare la Madonna SS.ma e mettersi interamente nelle mai di chi ti illumina e ti ama nel Signore, procedendo con umiltà e maturità, e diffidando salutarmente di te stesso (Scr. 43,142).
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Noi sacerdoti, dallo stesso nostro Sacerdozio siamo costituiti uomini di orazione. La Chiesa è Domus orationis, il sacerdote deve essere Homo orationis. Ah se noi sacerdoti fossimo tutti uomini di orazione, il mondo miei fratelli, il mondo intero sarebbe convertito. Omnipotens est eratio. Le pure mani del sacerdote di Gesù Cristo non si levano mai verso il cielo senza farne discendere le grazie: le grazie mancano, perché mancano le orazioni dei sacerdoti. Ma abbiamo noi lo spirito d’orazione? Questo spirito è sommamente necessario a noi sacerdoti, e religiosi per di più, San Paolo dice che lo Spirito Santo prega nel cuore dei santi, gemitibus inenarrabilibus. Tale è lo spirito d’orazione: esso prega sempre nel fondo dell’anima. Segno di avere lo spirito d’orazione è avere il petto e il cuore affocato e infiammato d’amore di Dio e del prossimo. Avere i pensieri sempre e generalmente rivolti e tendenti alle cose buone e celesti, e zelare la gloria di Dio. Mantenere un raccoglimento abituale dello spirito. Non trovar gusto, ma disgusto delle cose terrene. Trovar pace e diletto nelle cose sante e divine, nella Chiesa, nelle opere del proprio ministero sacerdotale. Finalmente fare le preghiere, la meditazione, l’Ufficio divino, la Messa, l’orazione con gusto (Scr. 51,111).
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L’essere chiamato da Dio al Sacerdozio è una grazia delle maggiori. San Tommaso. È dignità tremenda, formidabile pure agli Angeli, non si pareggia a nessun tesoro. Ti ho veduto tremare – è una grazia grande che il Signore ti ha fatto, quella di metterti in cuore il tremore e conoscimento della tua dignità sacerdotale. Ora bisogna, figlio mio, che tu corrisponda, con grazia di Dio, alla tua dignità con altrettanta bontà di vita, e se questo non può essere completamente con altrettanta umiltà. Devi essere come il roveto ardente, come un luogo santo, a cui non si può accostarsi, che togliendosi i calzari – tutto amore di Dio e degli uomini, tutto amore di perfezione. Senza sacrificio non si dà Sacerdozio, ma non è buon sacerdote chi prima di sacrificare Gesù Cristo non sacrifica sé stesso per gli umili e non dà la sua vita per la Chiesa, le sue energie lacrime per la sua Patria. La Chiesa non si arricchisce per il numero dei sacerdoti, l’Italia non si arricchisce per il numero della sua popolazione, ma la Chiesa per le virtù dei suoi ministri, la Patria per il valore dei suoi figli. Sei figlio del dolore – si generoso nel patire vita boni religiosi crux est. La nostra forza, l’unica nostra arma è l’amore, la carità e saper vivere e morire con Cristo. Che le tue labbra custodiscano la scienza, ma il tuo cuore l’amore di Dio, delle anime, della gioventù. Custodisci in te il sacro fuoco del divino amore, che hai ricevuto con la ordinazione – si alzino fiamme, s’accenda il tuo cuore e il cuore di tutti. Questo fuoco si tiene acceso con l’orazione. Non si possono avere le benedizioni di Dio, se non si sarai sacerdote di preghiera. Ama la Madonna, è la tua e la vostra Madre e forse tua Madre sul morire – Ama il Papa e il Vescovo, nell’amore tuo la forza (Scr. 54,132).
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Lo spirito dell’orazione è veramente quello che alimenta il fuoco interiore e dà la vita all’anima. Ecco perché tra i doveri e gli uffizi del Religioso e del Sacerdote può dirsi francamente che il primo è quello di pregare. Ognuno di noi, anche senza essere Pontefice: pro hominibus constituitur in iis quae sunt ad Deum – Noi facciamo le parti degli uomini presso Dio, e di Dio presso gli uomini. Ma non sa parlare agli uomini di Dio chi degli uomini a Dio molto non parla. Ond’è che il Ven.le P. Avila diceva: non credo fatto per il Sacerdozio chi non ha spirito d’orazione e di preghiera. E San Bernardo raccomandava a Papa Eugenio di non promuovere agli Ordini quelli che non coltivassero la preghiera. E diceva di scegliere sempre quelli che in ogni cosa confidano nell’orazione più che nelle loro attitudini e industrie. E San Carlo Borromeo, prima di ordinare un Sacerdote voleva fosse esaminato se intendeva, se capiva che fosse orazione. Fosse pure dotto il giovane e dei più eletti ingegni, il Santo ne sperava un bel niente e non lo ordinava quando non potesse avere prove che fosse per divenire un uomo di orazione, un uomo di Dio – Domus mea, domus orationis (Scr. 55,184–185).
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Qual è la missione del Sacerdote? La missione del Sacerdote non è la politica, non sono le armi, non è piantare Banche, non sono i partiti, non è fare i mercanti, né vendere o comprare cascine – per Evangelium dare anime a Gesù Cristo non è negoziare – non è pensare ad arricchire – docete omnes gentes servare quae mandavi Vobis baptizantes eos – è lavorare tra il popolo donec formetur Chritus II Ma il concetto dell’Apostolo Paolo va meglio spiegato perché risplenda in tutta la sua luce la missione del Sacerdote – Gesù disse: veni ut vitam habeant etc – La vita portata da Gesù Cristo consiste in vita di fede e vita di grazia – Ego lux mundi – Ego sum vitis, vos palmites – Con la predicazione il Sacerdote diffonde la fede – fides ex auditu, auditus antem per verbum Dei – Con l’amministrazione dei Sacramenti diffonde la vita della grazia Vedete analogia tra l’opera dei genitori e l’opera del Sacerdozio vita al bambino – vita soprannaturale di grazia (battesimo): alimenta la vita naturale con cibi proporzionati all’età: la vita soprannaturale spezzando ai pargoli il pane della dottrina cristiana e con l’Eucaristia I genitori curano i loro figli malati – il Sacerdote con i consigli e con il Sacramento della penitenza medica e guarisce le malattie dell’anima I genitori sono i custodi dei beni materiali e morali della famiglia: il patrimonio, le tradizioni, il nome, l’onore. I Sacerdoti sono le scolte d’Israele che il Profeta vide su le mura di Gerusalemme a custodire il sacro patrimonio della fede e delle anime. Curato d’Ars – Quali sentimenti deve ispirare il sacerdozio? Guardiamo alla sua benefica, santa missione tra gli uomini, e avrete la risposta Se è padre, deve, ispirare sentimenti di amore e di obbedienza. Alla sua sublimità, alla eccellenza del sacerdozio: Legatione pro Christo fungimur: siamo gli inviati, gli ambasciatori di Cristo – il Papa e il suo legato a Padova – legatione pro Christo fungimur – rivestiti della stessa santità di Cristo, Sacerdos alter Christus La sua potestà: assolvere e consacrare il Corpo di Cristo Quorum remiseritis paccata (Giov. XX) Ego te absolvo! D. N. I. Chr.te et ego auctoritate ipsms te absolvo potere sul Corpo reale » sul Corpo mistico Hoc facite in meam commemorationem – quale autorità Dio è obbediente alla voce del Sacerdote – è la cima radiosa della sua dignità Amore, obbedienza, venerazione! (Scr. 56,123–124).
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Il Sacerdozio è il sale della terra e la luce del mondo: è l’onore delle famiglie, la difesa dell’ordine e della società. Ricordandomi che 25 anni fa ho iniziato con la grazia di Dio e la benedizione del Vescovo, la Casa piccola della Divina Provvidenza in San Bernardino di Tortona, appunto allo scopo di aiutare dei poveri fanciulli a farsi Sacerdoti, così ora coll’intento di dare qualche buon prete alla Santa Chiesa mi rivolgo a Vostra Signoria M. Rev.da e vorrei che unissimo insieme tutti i nostri sforzi e le nostre preghiere in una Santa crociata per dare alla Chiesa dei preti e dei Santi preti! Oggi è questa una questione di capitale importanza sia per la Chiesa come per la Società, la quale non potrà mai essere restaurata senza l’opera e il sacrificio di buoni Sacerdoti (Scr. 56,127).
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Le vocazioni di poveri fanciulli al Sacerdozio sono, dopo l’amore al Papa e alla Chiesa, il più caro ideale, il più sacro amore della mia vita. Condotto dalla Provvidenza, è per essi che ho aperto la prima umile Casa di San Bernardino in Tortona: per quelli cioè che il Vescovo non aveva potuto accettare in Seminario. E Dio ha dato incremento: quanti buoni Sacerdoti sono usciti! Per le vocazioni dei fanciulli poveri ho camminato tanto: ho salito tante scale, ho battuto a tante porte! Dio, che mi portava avanti come un suo straccio, Dio solo lo sa. Per essi ho sofferto la fame, la sete, le umiliazioni più dolorose; erano i biscottini di Dio: per essi mi sono coperto di ingenti debiti: ho sudato, ho gelato, ho scongiurato gli uomini e Dio, e solo per la Divina Bontà non ho fatto mai fallimento: per essi per i fanciulli poveri di santa vocazione, io vivo, pronto ad incontrare altri debiti, sicuro che la Divina Provvidenza me li pagherà; e avrò come grande grazia se Gesù vorrà concedermi di andare per essi mendicando il pane fino all’ultimo della mia vita. Pel carattere poi, che è proprio di questa nascente Congregazione, vado anche in questa di vocazioni tardive, di vocazioni, voglio dire, di adulti, sia per il Sacerdozio che per fratelli laici o Coadiutori, dei quali abbiamo grande bisogno, tanto in Italia che all’Estero, nelle Missioni (Scr. 56,135).
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Fine del Sacerdozio è di salvare le anime e di correr dietro specialmente a quelle che, allontanandosi da Dio, si vanno perdendo. Ad esse io devo una preferenza non di tenerezza, ma di paterno conforto e di aiuto al loro ritorno, lasciando, se necessario, le altre anime meno bisognose di assistenza. Gesù non venne per i giusti, ma per i peccatori. Preservatemi dunque, o mio Dio, dalla funesta illusione, dal diabolico inganno che io prete debba occuparmi solo di chi viene in chiesa e ai Sacramenti, delle anime fedeli e delle pie donne. Certo il mio ministero riuscirebbe più facile, più gradevole, ma io non vivrei di quello spirito di apostolica carità verso le pecorelle smarrite, che risplende in tutto il Vangelo. Solo quando sarò spossato e tre volte morto nel correre dietro ai peccatori, solo allora potrò cercare qualche po’ di riposo presso dei giusti. Che io non dimentichi mai che il ministero a me affidato è ministero di misericordia, e usi coi miei fratelli peccatori un po’ di quella carità infaticata che tante volte usaste verso l’anima mia, o gran Dio! Gesù è pur riuscito a raggiungere la pecorella smarrita. E qui è dove rifulge tutta la sua carità. Non si adira, non si lamenta, non le dice: mi hai fatto penare tanto! No, nulla che suoni rimprovero, nulla che la metta in confusione! Gesù mio, proprio così, anche con me mille e mille volte avete fatto così. Tutto l’amore e le cure di Dio sono nel ricondurre la pecorella all’ovile. Ma egli l’ha ritrovata stanca, abbattuta, languente. E Gesù, mosso a pietà, prende su sé stesso il peso del suo ritorno, e, benché spossato, prima se la pone sul cuore, e poi se l’adagia su le spalle, e la riporta all’ovile (Scr. 99,36a).
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Che sarebbe dell’Italia il giorno che fosse senza sacerdoti? Rispondeva già il Beato Curato d’Ars: “la società, senza sacerdozio, sarebbe come un serraglio di belve feroci, e il mondo ripiomberebbe nella barbarie”. Il sacerdozio “ – (in latino) è l’onore delle famiglie, la difesa dell’ordine e della civiltà. Ricordando che, 25 anni fa, incominciai a lavorare con la benedizione del mio Vescovo, ma con il precipuo intendimento di aiutare dei poveri ragazzi a farsi preti, come già aveva fatto il Venerabile Don Bosco con me, togliendomi dai campi e facendomi studiare all’ombra di Maria Ausiliatrice, là a Valdocco, in Torino; così ora, dopo essermi raccomandato alla SS.ma Vergine e aver presa la benedizione del mio Vescovo e Padre, vengo a pregarVi, o mio buon Fratello, che vogliate aiutarmi a dare alla nostra Santa Chiesa qualche buon prete. “nessuna opera è così bella e così buona, diceva San Vincenzo de Paoli, quanto l’aiutare a fare un buon prete. Le sorti stesse della chiesa si collegano con la buona formazione dei candidati al sacerdozio. Oggi poi è questione di vita o di morte per tante e tante anime, e per la società stessa, “che, ad ogni costo, dev’essere salvata”, disse il Papa; ma la società non potrà essere restaurata che in Cristo, né senza l’opera della Chiesa e dei sacri ministri della fede e della carità. Certo, sono tempi questi che fare il prete vuol dire salire il calvario di ogni sacrificio; ma i padri e le madri veramente cristiani non devono paventare di dirigere lo sguardo dei loro figli verso gli splendori radiosi del Santuario e della Croce di Gesù Cristo, onde abbiano i loro figliuoli a rispondere alla grazia d’una celeste vocazione; e il nostro zelo, caro fratello, non sarà mai impiegato più santamente che se lo volgeremo a scoprire e a coltivare nei giovani le predisposizioni al Sacerdozio. Quanti poveri fanciulli, un po’ aiutati, un po’ confortati diventarono sacerdoti santi, parroci zelantissimi, Missionari e veri Apostoli di Dio. basterebbe ricordare il Beato Cottolengo e il Venerabile Don Bosco! Ma, e senza andare tanto lontano, presso di noi cosa non vediamo? Abbiamo Mons. Guerra, Missionario e Arcivescovo a Cuba. Chi era? il figlio di un povero calzolaio di Volpedo. Abbiamo Mons. Paolo Albera; chi era? il figlio di un povero maniscalco di Godiasco. E come poterono riuscire? Ecco: furono aiutati da qualche buon Sacerdote, ed ora l’uno è Missionario in America, l’altro si può ben dire sia Missionario in Calabria (Scr. 108,64–65).
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Nostro Signore Gesù Cristo, fra i sette Sacramenti ce ne ha dato uno, che è il Sacramento dell’Ordine Sacro; ha creato degli uomini, che fossero in mezzo alle umane generazioni, come altrettanti Cristi, che potessero, in mezzo alle città popolose e anche nelle valli dimenticate della terra, portare il suo Vangelo, la sua luce, la sua carità, la sua parola, i suoi sacramenti. Ha creato il Sacerdozio, il sacerdozio mistico, il Sacerdozio cattolico. Perché il Signore ha creato il Sacerdozio con il Sacramento dell’Ordine Sacro? Perché i sacerdoti aiutino i loro fratelli a corrispondere alle grazie di Dio e a salvarsi: Ed ecco che noi abbiamo i sacerdoti sparsi per le grandi città, come la grande Genova, nei paesi cristiani e civili, e abbiamo anche i sacerdoti che, tocchi dalla carità di Dio, si fanno come Ostie vive, olocausti nell’amore, nelle carità dei fratelli e lasciamo il paese dove sono nati, la patria sempre tanto cara, perché l’amore di patria è uno dei più sacri amori del cuore umano, per recarsi in terre straniere. Lasciano il padre, la madre, le buone sorelle, le persone più care, le persone più amate, e fanno un olocausto di sé stessi per andare a portare la luce della fede anche là dove non vivono che selvaggi, sempre per aiutare le anime a salvarsi, perché la redenzione di Cristo sia veramente copiosa. Per questo Gesù Cristo ha detto, prima di salire al Cielo, agli Apostoli: Andate per il mondo universo, predicate il Vangelo a tutte le creature. Onde è che la missione dei Sacerdoti è la missione degli Apostoli che vanno rinnovando, attraverso i tempi, attraverso le generazioni, l’apostolato dei primi discepoli di Gesù Cristo (Par. II,177).
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Che grande dignità è quella del sacerdote... dispensa la grazia ai suoi fratelli... E quanti meriti! Con la sua vita di fede, vita ripiena di speranza immortale, di carità fervente... Le virtù che esercita, la pazienza, la mortificazione, quando confessa, la benignità nel visitare i malati, l’impegno che deve mettere per prepararsi a dispensare la parola di Dio, il Vangelo, l’esempio che deve dare con il suo contegno, con il suo fervore... Le pene e le prove, le tribolazioni di cui è seminata la vita del sacerdote! Quante occasioni di farsi dei meriti! Le persecuzioni degli uomini... La freddezza con cui la gente a volte risponde alle sue cure... Tutte queste cose gli suggeriscono di non confidare in sé stesso e ad aspettare solo da Dio la paga delle sue fatiche e dei suoi travagli... a non confidare negli uomini... Maledictus homo qui confidit in homine... Il sacerdote vede che è Dio stesso che lo mette alla prova con le croci, croci esterne, croci interne, un po’ croci pesanti, un po’ croci leggere, ma sempre croci... ma sa che, se le abbraccia con amore, se flagella i suoi istinti... se lotta contro le male tendenze dell’uomo vecchio... nessuno riesce ad essere più intimo a Dio che il sacerdote... Persino dalle nostre colpe possiamo trarre motivo di perfezionamento... per la maggior conoscenza delle nostre profonde miserie... Quanto bene ci vuole il Signore se nella Provvidenza ci pone sui nostri passi le occasioni nelle quali possiamo esercitare tutte le virtù, come mette nelle nostre mani le grazie da distribuire, da gettare nei cuori... Per mezzo nostro risana le iniquità dei nostri fratelli... facendoci distributori dei misteri (Par. VIII,19).
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Domani, undici vostri confratelli saranno consacrati sacerdoti e poi celebreranno insieme con il Vescovo, la Prima Messa, consacrando il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo. Che grazia grande per questi vostri confratelli e per la Congregazione! E voi, che siete loro compagni di studio nella teologia, assisterete domani alle sacre ordinazioni. Che cosa farò io e che cosa farete voi? Io offrirò la Messa per i novelli sacerdoti, affinché lo Spirito Santo discenda con tutta l’abbondanza dei suoi doni sopra di essi e ne faccia dei santi sacerdoti e dei perfetti religiosi, che vorranno perpetuare, durante la loro vita sacerdotale, la missione divina di Gesù: Evangelizzare i poveri, Evangelizare pauperibus misit me. In uno dei Vangeli ultimi di queste domeniche l’abbiamo letto: Dite a Giovanni: i ciechi vedono, gli storpi camminano... et pauperes evangelizantur. Gesù venne ad evangelizzare i poveri, i negletti, i reietti, gli schiavi venduti dalle grandi civiltà di Oriente e d’Occidente, di Roma e di Atene. Beati pauperes... La grande beatitudine! La prima, nell’ordine, pronunciata da nostro Signore. Noi qui siamo tutti figli del popolo; nati poveri, dobbiamo consacrare la vita ad evangelizzare i poveri; per i ricchi dobbiamo pregare e ai ricchi dobbiamo chiedere la carità per i poveri. I novelli sacerdoti si consacrino a questo ideale, di essere, nelle mani della Divina Provvidenza, tutti del popolo, gli Apostoli, gli Evangelizzatori, i Padri, i preti dei poveri! Questo è il fine precipuo della Piccola Opera della Divina provvidenza. E voi offrite le vostre preghiere, le vostre Comunioni per questo; e, mentre assisterete, o corporalmente o in spirito, alle ordinazioni sacerdotali di questi vostri fratelli, vogliate confortare il vostro cuore nel pensiero e nella grande speranza che, corrispondendo alla grazia di Dio, sorgerà anche per voi l’alba bella e radiosa di questo giorno (Par. IX,491–492).
Vedi anche: Noviziato, Sacramenti, Vocazione.
Sacramenti
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Hai promesso tante volte: esto vir, non frasca! sii fermo, sii uomo, e non volubile come una frasca! Preghiera, umiltà, fervore, pietà soda: frequenza dei Sacramenti – confidenza coi Superiori, dipendenza dal Direttore, cordialità con il Direttore: aiutalo con tutte le tue forze e cognizioni il Direttore, e non più capricci, né ostruzionismi, né sabotare il suo lavoro, il che neanche voglio dubitare che sia capitato, ma lo dico per compiere tutto il mio dovere di Padre in Gesù Cristo. Umiltà, non a parole, ma a fatti; pietà non a parole ma a fatti; rinnegamento di te stesso non a parole, ma a fatti; fuga dell’oziosità, non a parole, ma a fatti; docilità d’intelletto, docilità di cuore, non a parole ma a fatti (Scr. 4,263).
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Anche tu attaccati alla preghiera e ai Santi Sacramenti, e avrai la forza di perseverare nei santi propositi e nella tua vocazione. Il gran mezzo che ci ha dato Gesù Cristo per ottenere la perseveranza è il vigilate et orate (Scr. 8,1).
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Non temete, la Madonna SS.ma ci aiuterà, ma datevi attorno datevi attorno perché in Casa si evitino le offese al Signore e si curi di più la pietà e la frequenza dei Sacramenti. Io vi raccomando, caro mio Don Sterpi, a costo di qualunque sacrificio e di qualunque taglio, non lasciate che la Casa diventi un Convitto qualunque, ma conservi la primitiva impronta di religiosità, di fede e di orazione. Come vi ho manifestato forse già a voce non mi ha lasciato buona impressione il non avere veduto neanche una volta i nostri figliuoli fare una Comunione Generale durante tutto il lungo tempo che passai a Tortona Ora che la Casa è a posto materialmente bisogna spiritualizzarle di più, di più, di più (Scr. 11,21).
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Con la pietà si curino le vocazioni, con la preghiera, con il buon esempio, con i santi Sacramenti, con la illibatezza della nostra vita, con l’istituzione di pie Congregazioni, con la devozione tenera alla Madonna SS.ma Ma si dovrà da noi andare con molto tatto, con molta delicatezza con molta prudenza anche nel parlare; dobbiamo prima rinnovare e trasformare nella carità il cuore dei nostri giovani, rinnovarli e trasformarli in Gesù Cristo, e dobbiamo della carità di Gesù ardere noi se vogliamo poi che ardano essi; tutto di ravviverà se porteremo ardente nelle mani e alta e ben alta nel cuore la lampada della carità di Gesù Cristo (Scr. 20,78).
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Non so proprio che educazione cristiana, anzi che moralità potrete pretendere che abbiano i vostri giovani se essi non vivranno ogni giorno della vita spirituale dei Sacramenti. Don Bosco (riconosciuto anche dai protestanti e dal Foerster come il più grande educatore che ha l’Italia nei tempi moderni) a ministri inglesi che si meravigliavano della disciplina e studio dei suoi giovani diceva di avere ottenuto ogni miglior risultato dalla pietà: dalla Messa quotidiana: dai Sacramenti: Edifica non per una patria che deve essere credente e cristiana, ma per il liberalismo chi pretende di tenere aperti istituti in modo diverso (Scr. 24,38).
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Il miglior modo di fare la réclame al convitto è di curare bene la disciplina, la moralità, la igiene e il profitto intellettuale dei giovanetti, e mettere a base di tutto la educazione e il nostro lavoro il Santo timore di Dio e la frequenza ai Sacramenti della Confessione e della Eucaristia e la devozione alla Madonna SS.ma Sacrificatevi per i ragazzi, curateli nel Signore illuminateli nelle vie del dovere cristiano e loro date in voi l’esempio delle virtù più belle, e vedrete che essi si affezioneranno a voi, e avranno il convitto come la loro casa e famiglia, e ne farete quello che vorrete (Scr. 24,50).
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Capisco che dei momenti di abbandono e di sconforto possono venire a tutti, e tanto più a voi che siete così lontani ma la preghiera, i Santi Sacramenti e la fiducia in Dio vi devono rialzare e confortarvi nel lavoro incessante. Su, o figliuoli miei, mettetevi di proposito: guardate che non basta l’istruzione, non basta neppure una educazione qualsiasi, o semplicemente religiosa, per formarvi come voglio io, per farci tali da superare i grandi pericoli che troverete nella vita: ci vuole che conosciate la vostra missione provvidenziale e non vi facciate indegni di essa: ci vuole che facendovi umili e docili ai vostri superiori, li amiate di più, vi avvicinate di più a loro, prendiate più confidenza e diate loro maggiori conforti che per il passato: ci vuole ancora che vi illuminiate la mente con la luce purissima di una fede viva ed operosa, sopra di voi per farvi santi – verso gli altri per santificarne le anime (Scr. 25,7).
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Una pietà devota che prega, che tiene il cuore caldo e unito con Dio, anche negli affari più di calcolo e più umani si nutre di Gesù Cristo e dei sacramenti: si nutre della s. messa e di fede e si conserva pura e incontaminata quanto più pura beve alla fonte della Fede e alla dottrina immacolata della Chiesa. E la pietà tanto più ingrandisce quanto la nostra anima si impadronisce e si umilia nella fede e nella Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 26,9).
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Negli esercizi di pietà, e principalmente nel ricevere i SS.mi Sacramenti e nell’assistere al Santo Sacrificio avviene la speciale comunicazione fra Gesù Cristo e le anime nostre. Vedi dunque di stare perseverante, e di avere una pietà ignita e solida insieme (Scr. 26,243).
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Mettiti umile e fidente ai piedi di Dio e chiama il Signore, e metti il tuo cuore nelle mani della Madonna, e confortati con la preghiera, e tieniti puro con i Sacramenti, e confortati e sii gagliardo così nell’operare come nel soffrire ciò che contraria la natura, e vestiti dell’uomo nuovo et noli metuere et noli timere, quoniam tecum est Dominus Deus tuus (Scr. 34,78).
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Lo spirito di Gesù Cristo consiste in umiltà, mansuetudine, annegazione, mortificazione, unione (preghiera–orazione sacramenti) e adorazione. Il contrario è lo spirito del demonio. Gesù Cristo Signor nostro sia la vera vita delle anime nostre (Scr. 39,39).
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Per il Ven.le D. Bosco, non solo i Sacramenti sono le fonti della grazia, ma, specialmente la confessione ha un’efficacia grandissima per preservare dal male e per educare a vita onesta e cristiana la gioventù. E infatti subito il sig. don Rua aggiunge, sempre parlando di Don Bosco: «L’esperienza poi gli insegnava, ad ogni piè sospinto, che per rendere i suoi figliuoli forti contro gli assalti del demonio, costanti contro gli allettamenti del mondo, invincibili nelle lotte contro le passioni, era necessario che, nel Sacramento della Misericordia, la mano del Sacerdote facesse piovere su di loro il preziosissimo sangue del Redentore». Ecco dunque Don Bosco!, l’apostolo della gioventù e mio venerato Padre e Maestro che pone i Sacramenti a suggello: essi danno, anche nell’opera educativa, l’efficacia al nostro povero lavoro. La confessione non solo sia settimanalmente da noi frequentata, e la Santa Comunione quotidianamente, ma la Confessione e la Santa Comunione siano frequentatissimamente consigliate ai nostri giovani. Ogni giorno sente il corpo il bisogno del suo cibo, e non sentirà l’anima il bisogno del suo Pane, del Pane vivo disceso dal cielo, per essere a noi, come già scriveva Sant’Ignazio Vesc. e Mart. «farmaco d’immortalità»? Il giovane sarà onesto se sarà pio, se frequenterà bene i Santi Sacramenti (Scr. 51,36).
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Fine precipuo degli Oratori festivi e Scuole di Religione, è appunto questo condurre a Gesù i giovani a Lui, qui pascitur inter lilia e ciò si fa specialmente con l’istruzione religiosa e con la pratica dei Sacramenti. Dell’istruzione religiosa hanno parlato illustri oratori, mi pare convenga ora insistere sopra la frequenza dei Sacramenti, specie dopo gli ultimi recenti documenti coi quali da Roma si insiste perché si animi e si porti la gioventù alla Comunione frequente e dov’è possibile alla Comunione quotidiana (Scr. 56,96).
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Ispiriamo nei giovani l’amore e il desiderio dei Sacramenti della confessione e Comunione parlando loro della predilezione di Gesù verso i fanciulli, nei Catechismi nelle istruzioni, nei fervori esortiamoli alla frequenza della Congregazione e Comunione con dolcezza di San Francesco di Sales, con l’affabilità di San Filippo, con le viscere di paterna carità del Divino Maestro. E facciamo questo con l’Esempio e con quell’arte che tutta una mostra. Istruiamo con pazienza quelli che non sanno confessarsi o non si fossero confessati mai, e prepariamo con diligenza particolarissima i giovanetti alla I Comunione; solenizzandola in modo particolare affinché lasci indelebile memoria e sia il punto più luminoso il giorno più bello della vita (Scr. 56,97).
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Qual è la missione del Sacerdote? Attenti: Gesù ha dato 7 Sacramenti: alcuni sono ordinati direttamente al bene degli individui, altri riguardano più direttamente la società: i sacramenti che si riferiscono più direttamente alla società sono il Sacramento dell’Ordine e il Sacramento del Matrimonio: l’Ordine e il Matrimonio sono due Sacramenti sociali Il giorno in cui si benedicono le nozze, si pongono le basi d’una nuova famiglia, si sogna e si spera una famiglia da educare (Scr. 56,122).
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Capo della Chiesa e Pastore unico divino, eterno è Cristo: sposo unico, divino eterno della Chiesa è Cristo, che nella Chiesa opera i Sacramenti: battezza e rimette i peccati: Cristo è il Sacerdote eterno, che si offre quotidianamente per noi per tutti sull’altare della Croce. Ma Cristo non doveva restare con noi con la sua presenza visibile corporale, e designò e chi doveva prendere la cura della Sua Chiesa universale, e chi doveva pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle e i Ministri che dovevano dispensare i Suoi Sacramenti, canali della Sua divina grazia (Scr. 74,30).
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I Sacramenti sono canali di grazia, anzi mezzi infallibili della grazia. La parola Sacramento, per sé stessa, significa ora giuramento, ora cosa sacra, ed ora dottrina arcana e misteriosa contenuta nelle parole, o nascosta in simboli o in riti religiosi. Nel linguaggio usitato e rigoroso, Sacramento vuol dire: cosa sensibile, la quale, così avendo stabilito Dio, significa e conferisce per se medesima la grazia. È punto capitale della nostra fede cattolica che Gesù Cristo nella nuova Legge ha istituito dei Sacramenti, mediante i quali non solo si adombrano le cose sante, e si significa la grazia, ma veramente si conferisce la grazia di Dio a chi debitamente li riceve. Questo ci insegnano i Concili ecumenici e i catechismi; questo insegnano i Padri e i Teologi, e la Chiesa tutta quanta esplicitamente riconosce e professa. È verità definita che i Sacramenti della nuova Legge, sono sette, e si chiamano: Battesimo, Cresima, ovvero Confermazione, Eucaristia, Penitenza ovvero Confessione, Ordine, Estrema Unzione e Matrimonio. Anche le Chiese greche scismatiche, separatesi dalla Chiesa Cattolica nell’undicesimo, nell’ottavo, nel sesto, nel quinto e nel quarto secolo: tutte queste Chiese professano con noi e come noi la dottrina dei sette Sacramenti, istituiti da Gesù Cristo (Scr. 81,284).
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Se noi frequenteremo i Santi Sacramenti, se noi pregheremo, se noi terremo sempre caldo il petto di amore di Dio, il Signore farà quello che noi oggi non possiamo immaginare, perché, dove finirà la mano nostra, comincerà la mano del Signore e forse, in tempi di una luce troppo tenue di fede, si vedrà che le Case del Piccolo Cottolengo dovranno fare da parafulmine verso il Cielo e daranno un giorno splendore di fede per tutta la cittadinanza (Par. II,120–121).
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Quindi, in primo luogo la frequenza ai Sacramenti. Fate ogni giorno la Santa Comunione e ogni settimana accostatevi al Sacramento della Penitenza e anche più volte alla settimana, se ve ne sentite il bisogno. Questo volevo dirvi stamattina, e ricordatevi, se volete mantenervi buoni e accrescere in voi la fede e l’amore di Dio, che dovete frequentare i Santi Sacramenti, perché qui sta il segreto della vostra riuscita (Par. IV,278).
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Non facciamo delle cose di Chiesa un mercato e della Chiesa una bottega. Vedrete che il popolo, quando osserverà che in chiesa non si vuole mercanteggiare, sarà più generoso nelle offerte. Voi dovrete crescere con questo spirito. Lasciate libertà di offerta a coloro che faranno celebrare le SS.me Messe. Non fissate delle tariffe per amministrare i Sacramenti. I Sacramenti sono i più grandi doni che Gesù Cristo ha fatto ai fedeli, dispensiamoli con la carità di Cristo. Non vendiamo i Sacramenti! Dobbiamo tornare allo stato primitivo della Chiesa. Così, il Battesimo gratuitamente, la Cresima gratuitamente Io parlo per voi, per i figli della nostra Congregazione (Par. IV,468).
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Tutti siamo miseri e deboli e peccatori. Ma Gesù Cristo ci diede il mezzo per toglierci il fardello delle nostre miserie. Gesù istituì i sacramenti che sono i canali della grazia di Dio. Come il canale porta l’acqua, così i sacramenti portano la pace. Il battesimo è un canale di grazia, il matrimonio è un canale di grazia, l’Ordine sacro è un canale di grazia, la Comunione non è solo canale di grazia, ma ci dà l’autore della grazia, che è Gesù Cristo. Vi è un altro sacramento che si chiama la Penitenza. Ma che cos’è la Penitenza? È un canale di grazia (Par. VII,17).
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Il Signore viene a noi non solo in spirito ma con il suo stesso corpo, con il corredo della sua stessa grazia, con i santi Sacramenti. Noi viviamo in mezzo a tanti pericoli; noi, tante volte cediamo e siamo caduti nelle tentazioni; noi viviamo in mezzo a tanti nemici esterni, nel mondo, nelle lusinghe del mondo e dei beni terreni; nemici nostri sono il demonio e quelli che fanno le parti del demonio – possono essere i compagni e i libri cattivi – e portiamo i nemici anche dentro di noi – e sono le nostre passioni, le inclinazioni che ci portano al male –; e allora il Signore, che tanto ci amò, istituì i Sacramenti che sono i canali della grazia e dell’aiuto soprannaturale, che danno il mezzo all’uomo di purificarsi se è macchiato, di risorgere spiritualmente, se è caduto. Abbiamo i Sacramenti dei vivi e i Sacramenti dei morti; ma il Signore ha voluto, nella sua misericordia, dare agli uomini questi Sacramenti, non solo ci dà con essi la grazia sua, ma ci dà il vero autore di questa grazia, ci dona, ed è egli stesso, l’autore della grazia nel Sacramento dell’Eucaristia. Egli non viene così solamente con lo spirito, ma anche realmente come duemila anni fa quando è nato e viene nell’Eucaristia, nella santa Comunione. Ma, carissimi miei figliuoli, chi sono quelli che ci conferiscono, ci danno, ci amministrano i Santi Sacramenti? Chi è che conserva il Sangue incorruttibile di Cristo, che custodisce i santi Sacramenti? È la Chiesa di Dio. Ma la Chiesa di Dio si vale e si serve dei ministri, dei suoi sacerdoti. E noi oggi esultiamo, cari i miei figliuoli, perché oggi il Signore, nella sua bontà, ha dato alla sua Chiesa, e in particolare alla nostra Congregazione, undici sacerdoti novelli, i quali diffonderanno, per il tramite dei Sacramenti, le grazie del Signore nelle anime e nei cuori degli uomini. Guai se mancassero i sacerdoti! Diceva il Curato d’Ars: “Lasciate venti anni un popolo o una città senza sacerdoti e quella città diventerà quasi barbara, selvaggia, da cui ogni ordine morale sarà bandito. ” Ecco perché dobbiamo oggi, nella comune esultanza, gioire cristianamente e consolarci come figli della Piccola Opera della Divina provvidenza, perché i Sacerdoti sono nella Chiesa e nel mondo, quelli che porteranno le grazie e quelli che le diffonderanno e perpetueranno coi Santi Sacramenti. Di essi si servono Dio e la Chiesa per dare alle anime la pace e il conforto interiore e spirituale: e, per mezzo della grazia, danno alle anime l’Autore stesso della grazia, con il Sacramento dell’Eucaristia (Par. IX,487–498).
Vedi anche: Battesimo, Catechismo, Eucaristia, Penitenza (sacramento), Santità.
Sacramentine non vedenti
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Abbiamo aperto la Casa delle Sacramentine Cieche al Groppo nel palazzo dei Sig.ri Marchese, stabile che è passato a noi (Scr. 1,134).
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Domani canto messa nella casa di S. Bernardino e vesto 4 cieche Sacramentine, poi alle 10 vado per Torino Bandito (Scr. 16,143).
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Per motivi facili a comprendersi, è urgente, urgentissimo che le suore abbiano le Regole stampate. Voi prendete lo scopo nostro, primo capitolo come è nelle nostre costituzioni, poi, o prendete le stesse nostre costituzioni (adattandole per le donne) o quelle della Michel, e le aggiungete al I capitolo sul fine della Congregazione cambiando nome: le missionarie della carità. Ormai, eccettuata la diversità dello scopo o fine, tutte le costituzioni sono le stesse e devono essere fatte sulla falsariga che fu data dalla Santa Sede: sono tutte le stesse. È bene che il nuovo Vescovo trovi le costituzioni. Per le sacramentine idem (vedete di farvi dare le regole dalla Maria Gambaro delle sacramentine di Genova fondate da sua zia materna (Scr. 18,45).
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Il giorno dei Santi si è aperto in Tortona al Groppo, tra la città e San Bernardino, nel palazzo dei sig.ri Marchese (ora passato alla Congregazione), un Istituto per le Suore Sacramentine Cieche (Scr. 21,163).
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La Mano di Dio mi ha portato a far acquisto di una Casa per le suore presso S. Bernardino, con annesso 10 pertiche di terreno: vorrei metterci le suore cieche Sacramentine – Fate pregare che Gesù mi aiuti! (Scr. 27,84).
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Vedi che il cappellano del «Conte Grande» porta un pacco di circolari dirette ai religiosi e religiose della Piccola Opera della Div.na Provv.za pel Natale e capo d’Anno: bisogna andarle a ritirare subito, e subito spedirle un po’ da per tutto. Quanto alla distribuzione, regolatevi voi, ma ciò che conta, è di farla subito, perché arrivino almeno tra Natale e capo d’Anno. Ai sacerdoti (meno che a Varallo e a qualcuno, che mi sarà sfuggito) l’ho già spedita io di qui, direttamente, con lo stesso Conte Grande. Bisogna mandarne una trentina ai chierici di Roma, (via Sette Sale, 22) e mandare possibilmente anche agli altri chierici più alti di Tortona quelli che portano la firma a mano. Poi distribuirle ai chierici di Genova, Tortona, Montebello e alle suore, comprese le Sacramentine e quelle della Guardia di S. Sebastiano Curone. Alle varie case di suore ci penseranno le suore di Tortona a mandarle (Scr. 27,250).
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Io domani vado alla Moffa: vi giungerò alle 14½, perché domattina ho la vestizione delle Sacramentine cieche qui (Scr. 28,220).
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Gli eremiti ciechi avranno un altro abito, che sarà tutto bianco, come è bianco l’abito delle cieche Sacramentine, che abbiamo qui in Tortona; e i ciechi eremiti avranno anche di speciale alcune ore di adorazione ogni giorno davanti al SS.mo Sacramento, e dovranno fuggire l’ozio e fare certi lavori (Scr. 30,209).
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E la vostra Mamma come sta? Ditele che aspetto essa per aprire in Tortona la Casa o Monastero delle Sacramentine; dove sono andate le figlie sarebbe bella e santa cosa che andasse a finire anche la madre. Che posto più bello? (Scr. 31,145).
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Portate la benedizione alle suore, alle Novizie, alle Sacramentine ai vecchi, agli orfanelli di Villa Caritas, e a questi portateci i confetti e ai vecchi un bicchier di vino, poveri vecchi! (Scr. 31,164).
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Ho ricevuto la gradita sua, dopo Santa Caterina: sappia che qui lei è sempre particolarmente ricordata nelle preghiere della comunità, e nel suo onomastico hanno fatto più di 300 Sante Comunioni, comprese le Suore Cieche Sacramentine. Perché non viene a vedere le opere della Provvidenza a Tortona? Venga, Signora, venga! (Scr. 38,63).
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I fiori li manderò a quella cappelletta di San Bernardino, e lei anche ci vada con santa semplicità quando passa a Tortona, o quando crederà. Per San Pietro manderò lassù un’altra buona figliuola cieca, e poi alcune altre, e così se piacerà al Signore, la prima famiglia religiosa che ne uscirà sarà delle suore cieche e queste che sono cieche vestiranno, e serviranno Gesù in Sacramento e per le altre cieche. Poi si farà quello che Dio vorrà, con la sua grazia (Scr. 39,27).
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Ora voi pregate tanto, perché desidero, col divino aiuto, servirmi di voi per dare principio alla famiglia religiosa delle Suore Cieche, come vi ho sempre promesso. Però per qualche giorno fermatevi a S. Sebastiano per avviare le nuove venute a prendere pratica della casa (Scr. 39,92).
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Oggi ho accettato, nel nome di Dio, la buona figliuola Nespoli Candida, che vi presento, perché, nella carità di n. Signore, la ammettiate subito, pregandovi di aggregarla tosto alle Suore Sacramentine Cieche, perché ivi faccia il suo probandato. E Deo gratias! (Scr. 39,138).
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Domattina alle 5½ canterò la santa Messa nell’umile casetta di S. Bernardino e poi darò l’abito di adoratrici perpetue di Gesù Sacramentato a quattro cieche, che già sono con me da anni. Vi è anche quella suor Maria Sebastiana, che loro hanno conosciuto a S. Sebastiano. Le farò pregare per la loro famiglia. Hanno clausura, e tre giorni alla settimana che non potranno parlare, per parlare solo con Gesù (Scr. 41,51).
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Voi avete accesa una lampada che non si estinguerà. Dio non vi ha dati figlioli, ma la vostra figlia è la Piccola Opera della Divina Provvidenza, e vostri figli sono i sacerdoti, i cari chierici della nascente Congregazione, sono gli eremiti, le suore Missionarie della carità, le suore cieche sacramentine, sono gli orfani, sono i nostri cari poveri! (Scr. 41,159).
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Nei passati giorni venne la Superiora delle F. d. C. di questo ospedale a parlarmi delle sordomute di Carignano con una lettera di quella Superiora, che chiedeva informazioni di questa povera baracca della Div. Provvidenza. Ho sordomute, e ne ho accettata una anche stamattina, ma non ancora sono unite in comunità; se piacerà alla mano della Divina Provvidenza di fare anche quest’altro pasticcio, sia tutto come a Dio piace e a sua gloria in eterno. Ora vado raccogliendo le pietre, poi Gesù faccia quello che gli piace. Abbiamo, invece, già le suore cieche–adoratrici, e così accetto per suore, anche siano difettose (Scr. 43,257).
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Molto rev.do signore e fratello nel Signore, ho ricevuto lettera da una cieca dell’Istituto del Bologna; mi dice di sentire la celeste vocazione di farsi suora; e aggiunge che; avendo udito avere il sottoscritto iniziato un Istituto di suore cieche, chieda a vostra signoria, indicazioni di essa al fine di essere ricevuta nel povero nascente Istituto. Più che chiedere informazioni su la scrivente dirò in breve a v. signoria che io, finora, non ho iniziato, propriamente parlando un vero Istituto di suore cieche. Ne tengo alcune in noviziato e altre (tre o quattro) che sarebbero già state accettate, se ci fosse posto. Anche queste ultime anelano alla vita religiosa. Finito il 1° anno di noviziato, esse ne avrebbero un 2do proprio per esse cieche, e solo allora, se piacerà al Signore, si inizierebbe la famiglia delle suore cieche. Di quelle che già ho, sono molto contento nel Signore. Esse fanno vita poverissima, vita di preghiera, di adorazione e di lavoro, e di istruzione, e prego Dio, se così gli piace che possano aprire Istituti appositi per le povere cieche: le cieche per le cieche; si capisce che qualcuna che ci veda, ci vorrà; ma saranno altre suore, che professerebbero la stessa regola (Scr. 44,166).
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Del Groppo se volete lasciarmi quella parte, (a sinistra di chi va verso Genova), dove sono le mie povere suore cieche, mi farete una grande carità, e non finirò di ringraziare. Le suore cieche sono quelle che sempre pregano per me, e sono le uniche suore adoratrici della diocesi, allontanano i castighi e ci ottengono tanti aiuti dal Signore; se no, pazienza! Sia per l’amore di Dio (Scr. 49,135).
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Sarò a Roma lunedì alle 7.30, alle 8.30 devo fare un matrimonio in S. Pietro. Mi fermerò qualche giorno poi vado dove essi saranno. Pel 15 agosto devo essere qui per vestire le Adoratrici Cieche e alla Moffa alla notte, per la consueta funzione delle vestizioni (Scr. 54,251).
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Se la Signoria Vostra mi mandasse buone vocazioni per Suore, Le sarei assai tenuto. Vi e pure una sezione di suore per le vedove. Ho poi anche le cieche Suore, sono Sacramentine. E poi... e poi se la Divina Provvidenza continuerà a giocare, vedrete, tra pochi anni, cosa andrà a saltar fuori dalle mani del Signore (Scr. 62,32).
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Ho accettato in questi giorni due altre cieche, che, spero, faranno bene. Ce ne sono altre qui e altrove, perché, non so come, si è sparsa per gli Istituti delle Cieche che ora avranno le suore anche loro. Ci sono pure parecchie domande qui e altrove, di quelle che non sono cieche, ma non so se a San Bernardino ci sarà poi il posto (Scr. 65,120).
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A Tortona pare sia di nuovo rimessa in vendita quella Casa con giardino che sta tra il Collegio Dante e la Chiesa del Crocifisso. Doveva già essere acquistata da noi, qualche anno fa, Voi altre avete le 60.000 lire in cartelle dell’Asilo di Montale Celli, e forse qualche altra cosa potrà aversi ancora da qualcuna di quelle due Sorelle Boeri sempre di Montale Celli. Credete conveniente, se detta Casa viene a buon prezzo, che la si acquisti per voi altri? Una volta si pensava di mettervi le Cieche Adoratrici al Crocifisso attiguo. Che ne dice? (Scr. 65,279).
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La pace e la Carità del Cuore Sacratissimo di Gesù siano sempre con noi! Ero fuori e ricevo solo ora la gradita Sua del 2/2 Oggi stesso qui al Santuario della Guardia e dalle Suore Sacramentine cieche si comincia a pregare per l’amico di Padre Gemelli, Professor Ranzoni. Non ho nulla da dire al caro Padre, eccetto che anch’io, pur da povero peccatore, voglio pregare e che sarei tanto contento che egli ne andasse consolato (Scr. 66,102).
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Dopo domani, insieme con i miei cari Sacerdoti e Chierici, con gli orfani e i miei poveri cari vecchi, che sono a Tortona, all’ombra del Santuario alla Madonna della Guardia, che sorge là dove era l’ortone, grande bello e devoto – faremo l’Ufficio di Trigesima alla buona Signore Angiolina. Pregheranno con noi tutte le nostre Suore e anche le Cieche Suore Sacramentine, che abitano la Casa Marchese al Groppo, benché di clausura, saranno trasportate al Santuario, in via eccezionalissima, e prenderanno parte ai cristiani pietosi suffragi (Scr. 66,110).
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Il giorno dei Santi abbiamo aperto nella Casa Marchese, al Groppo, il Monastero delle Suore Cieche Sacramentine. Abbiamo tanti aspiranti! (Scr. 67,105).
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Si degni la Vergine Maria, di cui oggi si celebra la festa della presentazione al Tempio benedirle durante la traversata dell’Oceano e per tutta la vita. Ora esse si raccoglieranno in Esercizi Spirituali nella nuova Casa aperta il I novembre 1930 in Tortona, al Groppo, dove sono le Sacramentine Cieche, e voi tutte tre giorni prima della loro partenza e poi sino a Natale reciterete o canterete ogni giorno il Veni Creator Spiritus (Scr. 72,34).
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Quelle di voi, o buone figlie di Dio, che sono nelle vicinanze di Tortona, si troveranno possibilmente qui pel pomeriggio del 2 dicembre, per dare l’addio, e cantare insieme con le Missionarie il cantico della unione e carità fraterna. Esse si raccoglieranno in questi giorni in Esercizi Spirituali nella nuova Casa aperta al Groppo, (Tortona), dove sono le Sacramentine Cieche – e voi poi dal 5 al 20 dicembre reciterete la terza parte del Santo Rosario; e il 5 dicembre poi farete un’ora di adorazione davanti al SS.mo Sacramento, possibilmente dalle 11 (ora della partenza dal porto di Genova) alle 12 (Scr. 72,35).
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La novena di preparazione ebbe nella festa una degna corona. La mattina vi fu messa cantata dalle Cieche dell’Istituto di San Bernardino, insieme con un gruppo di pie giovanette di quel Sobborgo, che appartiene alla parrocchia: le cieche con i loro canti soavi pareva volessero onorare Gesù, luce spirituale dell’anime, che dà forza di sopportare la tremenda sventura (Scr. 73,5).
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Alla Superiora Suor Maria Pazienza, perché veda, e, se crede che si possa accontentare, ne parli con Don Sterpi e col Canonico Perduca. Solo che questa è una veggente, e vorrei che, nell’abito, ci fosse qualche cosa di diverso dalle Cieche, e fossero come un ramo o famiglia a parte, Sacramentine, ma addette alle Cieche. C’è da pregarci e da pensarci. Poi nascerà il prurito a molte di passare Sacramentine, e alcune per vero buono spirito – altre per la velleità di cambiare e di fare vita quieta (Scr. 73,64).
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Il 26 febbraio, in Tortona, lasciava questa terra per il Cielo la compianta Signora Teresa Marchese insigne nostra Benefattrice. A Lei, in unione con i Suoi, si deve gran parte di quanto, coll’aiuto della Divina Provvidenza, poté sorgere attorno al Santuario della Madonna della Guardia. Tra l’altro si deve alla generosità sua e della Sorella Sig.ra Angiolina il terreno su cui si eleva il Santuario, l’Ospizio delle povere vecchierelle che è dietro il Santuario stesso e la Casa dove sono le Sacramentine Cieche al Groppo, che fu la casa natale della pia Defunta (Scr. 79,253).
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Ai Figli della Divina Provvidenza Sacerdoti, Chierici, Eremiti e Alle Suore Missionarie della Carità, Alle Sacramentine Cieche la grazia di Nostro Signore, e la Sua pace siano sempre con noi! Cari miei figli e buone Suore, vado in America e vi mando col mio più dolce saluto, la più grande paterna benedizione che è mai uscita dal mio cuore (Scr. 79,318).
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La casa del Signor Tommaso Canepa in Quezzi accoglie da pochi giorni una nascente Comunità di Monache cieche. Fra di esse se ne conta una che è Genovese. La Casa madre è a Tortona; esse fanno l’adorazione, pregano e lavorano: Laus et labor, il programma di San Benedetto. L’Istituto è diretto da Don Orione di Tortona. La nuova Casa è sotto la paterna protezione dell’Immacolata. Noi preghiamo di cuore la SS.ma Vergine di prendere sotto la sua speciale protezione quest’Opera, che ci par destinata ad attrarre, su molte anime e su Genova, che la ospita, la celeste benedizioni di cui abbisogniamo (Scr. 97,64).
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Del Noviziato e della Santa Professione. 1) Il locale del Noviziato sarà in una parte più remota del Monastero onde con maggiore ritiratezza possano le Novizie attendere a loro stesse; e vi sarà ancora annessa una Cappella dedicata al Santissimo Crocifisso, per farvi le private Novene ed esercitare altre opere di loro devozione. 2) Si disporranno con virtuosa abitudine alla vita di Comunità, e alle costumanze particolari della loro Religiosa Famiglia per rendersi istrumenti utili alla medesima e trovarsi pronte, e formate alle diverse occupazioni, che aver debbono le Adoratrici: e perciò siano docili pienamente alla Madre Maestra, lasciandosi giudicare senza resistere nella via che hanno a percorrere. 3) Ricevano sempre con grato animo, e impegno di approfittare gli avvisi salutevoli e le mortificazioni: e quando sono corrette di qualche difetto, mostrino ogni sommissione, stando volentieri genuflesse, finché sia dato loro il permesso di alzarsi. 4) Custodiscano il cuore sgombro da ogni affetto disordinato e da ogni altra cosa terrena, per ritrovare in Dio solo ogni bene, e il perfetto appagamento dei loro desideri; e si guardino di mandar lettere ai Congiunti o ad altri, e di riceverle senza espresso permesso. 5) Siano penetrate della grazia specialissima fatta loro da Dio, col presceglierle allo stato religioso, e della strettissima obbligazione di corrispondere con l’esercizio delle sode virtù: e però preghino sempre Gesù Sacramentato perché conceda loro la perseveranza nel Santo loro Istituto, e confermi ciò che ha operato in loro per sua misericordia. 6) Si faranno i soliti scrutinii segreti sulla loro condotta; nel penultimo mese del Noviziato si terrà Capitolo per decidere sulla Professione; e restando la Novizia inclusa previa l’esplorazione per parte del Superiore, la medesima si applicherà per otto giorni ai Santi Esercizi, che le dirà il P. Direttore o altri, come si costuma per la giovane che prende il S. Abito. 7) Se per qualche ragionevole motivo si dovesse ritardare la professione, e trasportarla oltre il termine ordinario di un anno, non perciò dovrà considerarsi la Notizia come professa, ma finché giunga il tempo da poter pronunziare i suoi voti solenni, continuerà a vivere il Noviziato, impiegandosi secondo l’obbedienza in qualche ufficio dei più adatti alle giovani, dal quale però sarà libera qualche mese avanti alla Professione, onde possa con più quiete attendere a sé stessa e disporsi al suo solenne sacrificio. 8) Si costituirà per scritture legali la dote, e a tenore dei Sacri Canoni: non sarà la sua rinunzia, e rassegnerà in favore del Monastero nelle mani della Superiora non solo la proprietà, ma anche l’uso di tutto quello che a di lei contemplazione si assegnasse al Monastero: quale rinuncia sarà fatta nel modo seguente: “Molto Rev.da Madre Superiora. Io sono ai Suoi piedi per puramente e semplicemente rassegnare nelle di Lei mani, a favore di questo Venerabile Monastero, non solo la proprietà, ma anche l’uso di tutto quello che a mia contemplazione volontariamente e gratuitamente senza contrarre obbligo venisse rimesso a detto Ven.do Monastero; protestandomi di non voler altro di proprio che Dio, il quale si degna di chiamarmi ad adorarLo, persino che ho vita, in questa Santa Religione, rinchiuso nel Divin Sacramento dell’Altare.” 9) Allorché tutto sarà disposto, seguirà la benedizione del velo nero da farsi dal Superiore in quel modo che è espresso nel libretto di vestizione e professione: e la Novizia reciterà la forma seguente: “Io Suor N. N. innanzi a Dio Onnipotente, alla Beata sempre Vergine Maria, ed a tutti i Santi, ed a Voi, Suor N. N. Superiora di questo Venerabile Monastero intendo e dichiaro di fare la mia solenne professione in mano di Vostra Eminenza Rev.ma (se sarà Cardinale) o di Vostra Signoria Ill.ma e Rev.ma (se sarà Prelato): e perciò faccio voto a Dio benedetto per tutta la mia vita di povertà, castità ed obbedienza, secondo la Regola di questo S. Istituto dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento: e prometto di osservare la vita comune perfetta, e la Clausura secondo le Leggi di Santa Chiesa: così Dio mi aiuti per i meriti di Gesù Cristo.” 10) Di questa professione si conserverà memoria nell’Archivio del Monastero, sottoscritta dalla Madre Superiora, Maestra e dall’istessa Professa. 11) Continuerà poi anche Professa per lo spazio di un anno, a dimorare nel Noviziato, sotto la Direzione della Maestra: potrà per altro essere impiegata negli Uffici del Monastero, e compiuto l’anno sarà ammessa a dare il voto nei Capitoli. 12) In ciascun anno nella terza Domenica di settembre, in cui ricorre la solenne commemorazione dei dolori di Maria Vergine Amorosissima Madre e particolare Protettrice, si rinnoverà la Professione in mano del Padre Direttore nel modo seguente: “Io Suor N. N. innanzi a Dio benedetto, alla Beata sempre Vergine Maria Santissima, ed a tutti i Santi prometto e rinnovo le mie promesse fatte nella mia solenne professione di vivere in questo S. Istituto dell’Adorazione perpetua del SS.mo Sacramento in povertà, castità e obbedienza. Propongo inoltre di osservare la Regola di detto Istituto, la perfetta vita comune, come pure la Clausura per sino che avrò vita. E se per lo passato ho in ciò mancato, faccio ora proponimento di nuovo di essere più cauta ed esatta nell’avvenire. Frattanto di tutti i miei trascorsi e mancanze ne chiedo umilmente perdono a Gesù Sacramento, di cui sono indegna Sposa e perpetua Adoratrice, ed a Maria Vergine Addolorata, mia carissima Madre e particolare Protettrice. Amen. Del voto di povertà 1) Avendo le Religiose rinunziato ad ogni dominio delle cose temporali, per non possedere che Dio solo per sua eredità, soffra volentieri quelle privazioni di comodità che sono la conseguenza del voto da lei fatto: mentre tutto quello che le mancherà nella vita presente, le sarà reso con grande misura nell’altra. Si contenti perciò di quello che le dà la povertà della Santa Religione, aborrendo ogni superfluità e delicatezza. 2) Dovendo tendere ad un distacco di tutto il creato per amore del Creatore, veglierà sopra sé stessa per recidere ogni affezione che potesse sorgere in cuore sopra alcuna cosa terrena. E per indicare lo sproprio che è sinceramente nell’animo, si guarderà anche da proferire quel termine “mio” e “tuo”; ma semplicemente dirà: “nostra”: e sarà disposta e pronta ad ogni cenno della Madre Superiora di lasciare la sua cella, utensili, e altre cose che sono di suo uso. 3) Tutto quello che tiene presso di sé l’Adoratrice Religiosa, dev’essere con l’intelligenza e dipendenza della Superiora: e ogni sei mesi dovrà chiedere licenza alla medesima di poter ritenere e far uso di quelle cose delle quali avrà necessità. 4) Non ardisca mai alcuna di ricevere dalle altre Consorelle né di fare ad esse regalo di alcuna sorte senza l’espresso permesso della Superiora: che se da parenti o da altri fuori del Monastero le sarà mandata in dono alcuna cosa, passerà immediatamente in mano della suddetta, perché ne disponga come crede nel Signore. 5) Mentre ogni Adoratrice deve contentarsi di tutto per amore della Evangelica Povertà, la Superiora dal canto suo dovrà avere carità e discrezione, affinché nulla manchi alle sue figlie del necessario o di utile alla sanità delle individue. 6) Per maggiore esattezza della professata Povertà, e per serbare lo stesso ordine di vita comune, saranno tutte le Religiose nei piccoli comodi concessi per loro uso nelle Celle. Ciascheduna vi terrà un Crocifisso con alcune immagini in carta, con cornici di legno color rubino uniforme, quali immagini saranno di Maria Vergine Addolorata, di San Giuseppe, e dei Santi Avvocati, con vasetto dell’Acqua Santa, tutto uniforme, tre sedie ed un tavolino di noce liscio tutto uniforme, un cassetto avanti senza chiave, una disciplina, una catenella, dei quali strumenti di penitenza non si dovrà fare uso se non si abbia licenza dal P. Confessore oppure dalla Madre Superiora. Per lavarsi si terrà una brocchetta di terra bianca o di rame, con una conca di terra bianca o di rame, così ancora una lucerna di stagno o di altro, e una scopa per spazzare la cella quando occorra. 7) Il letticciolo sarà alto da terra un palmo e mezzo, largo cinque, e lungo otto, a proporzione della Religiosa che deve riposarvi. I banchi saranno di ferro, e le tavole inverniciate di colore, o di granoturco, ed il materasso con fodera bianca. Si faccia uso di due guanciali di lana, o più secondo il bisogno, con fodera di lino, o di canapa e di due simili lenzuoli. Le coperte siano tre per i tre tempi diversi sempre tutte conformi; e la imbottita sia di un colore modesto, e secondo la povertà per tutti simili. In camere poi, se ne tengono 2 o una secondo la stagione e temperamento della Religiosa. Essa benché sia inferma, non avrà a levarsi la tonacella di sopra ordinata, se non ne abbia l’ordine dai Professori che la curano, o almeno dalla Superiora. 8) Si vieta dormire in un medesimo letticciolo, ancorché‚ le Religiose fossero due sorelle carnali; come anche è proibito dormire accompagnate le Novizie, avendo così disposto la Sacra Congregazione dei Vescovi Regolari alli 22 di maggio 1825. Anzi senza licenza della Madre Superiora, niuna avrà ordine di entrare nella cella dell’altra. Del voto di Castità 1) Chi custodisce su questa terra un fiore così pregevole, si rende abile alla beata visione ed unione con Dio che è la istessa purità; onde ogni Religiosa sia molto attenta a gelosamente conservare la propria purità, tenendo la mente sgombra da ogni pensiero cattivo e vano, e la volontà alienissima da ogni attacco terreno. 2) Per custodire questo bel giglio di purità, che tra le spine della vera mortificazione dei sensi nasce e si conserva, si guardi ciascuna di rimirare oggetti pericolosi, legger libri profani, ed ascoltare ragionamenti non del tutto conformi alla cristiana modestia. 3) Si astenga inoltre da confidenze troppo tenere verso le altre Consorelle, e dalle amicizie particolari, dovendo la Religiosa bramare di unicamente piacere a Gesù Cristo suo Sposo e per lei Crocifisso. Con Lui godrà di passare il tempo, sacrificandogli ogni vogliarella che avesse di trattenersi in discorsi oziosi, e vane curiosità; poiché il candore verginale è simile ad un cristallo, che ad ogni legger fiato si appanna. Del voto della Santa Obbedienza 1) La Religiosa in virtù della sua Professione, avendo offerto la sua volontà in sacrificio a Dio, deve spogliarsi di ogni suo proprio volere; per seguire soltanto quello di Dio medesimo, che le viene espresso per mezzo di chi tiene il suo luogo. 2) Sia dunque pronta e disposta ad eseguire quegli ordini che le verranno dati dal legittimo Superiore, e dalla Madre Superiora, senza fare resistenza, né frapporre indugi. Sia cauta a non eludere segretamente il comando riguardo a sé stessa, e a non essere causa, né cooperare che ciò si faccia da altra Monaca, né tampoco palesemente proibisca o impedisca la esecuzione di esso, come anche si guardi bene dal mormorare degli ordini dati cagionando questo sollevamento e perturbazione. 3) Niuna abbia ardire di fingere pretesti, o di mentire altra indisposizione per esimersi dall’obbedire, perché si farebbe rea di colpa davanti a Dio, e potrebbe essere alle Sorelle di cattivo esempio; né sotto ombra di bene si alieni da questa santa virtù col darsi a credere essere miglior cosa lo esercizio di qualche mortificazione o di altra opera di pietà volontaria, che l’adempiere a qualche obbedienza impostale: poiché il trascurare questa per tal titolo, sarebbe un rovescio di ordine, ed un manifesto inganno dell’inimico. 4) Si rammenti la Religiosa che coll’Obbedienza praticata per amor di Dio, le più piccole pratiche della regola, o prescrizioni adempiute dei Superiori, ed anche le opere che si considerano in sé di niun valore, come il mangiare, il bere, dormire e simili, acquistano il più alto grato di merito per l’eterna vita, essendo animate dalla carità. 5) Ognuna rifletta che la perfezione dell’obbedienza consiste non solo in eseguire l’opera, quanto all’esterno, ma anche nel sottomettere il proprio giudizio, e però si studi di troncare le importune riflessioni che si affacciano alla mente contro l’Obbedienza, nelle cose riguardanti ciò che può contrariare la sua inclinazione: ma conservi la pace del cuore, offrendo un sacrificio volontario con ilarità. Ciò non impedisce, per altro, che trovandosi nella vera impotenza di pratiche e circostanze, non abbia umilmente a esprimerle, e che nella chiara imprevisione della Superiora di alcuna cosa necessaria a conoscersi, non abbia a renderLa informata. 6) Siccome poi si deve dalle Religiose servire per amore il loro Sposo Gesù Cristo, così quella che avrà mancato in alcuna cosa esterna delle Regole e Costituzioni, dovrà emendare il commesso difetto con la pronta penitenza, chiedendola con umiltà e genuflessa alla Madre Superiora, e, non presentandosi volontaria, la stessa Madre penserà a correggerla in quel modo che le suggerirà la carità e prudenza, secondo la qualità della trasgressione (Scr. 98,95–101).
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La grazia del Signore sia sempre con noi e l’abbondanza della Sua pace! Ho ricevuto la Vostra lettera dopo Vostro ritorno dalla Polonia. Va bene tutto – Deo gratias! Mando a Voi, a tutte le Suore professe, alle Novizie e nuove vestite la più consolante benedizione del Santo Natale: portatela anche alle Sacramentine, e la estendo alle Suore e Opere di tutte le Case (Scr. 105,83).
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Grazia e pace da Nostro Signore Gesù Cristo! Vi mando il modello colorato dell’abito delle Sacramentine. Tenetelo d’acconto: è l’immagine della fondatrice, e lo devo subito restituire. I Il velo nero, che è nella figura, e che va dal capo fino ai piedi è lungo quanto è la veste. Ma le nostre quattro, invece del velo nero, porteranno il velo bianco, uguale lunghezza, anzi due o tre dita più corto del vestito: sarà velo bianco di mussolina. II L’abito sia tutto bianco, e il mantello tutto bianco. Il mantello non si mette che nelle solennità. Sul mantello, a sinistra, l’immagine in rosso del Cuore di Gesù, con sopra piccola croce, in rosso giallo fuoco, circondata da fiamme. Nel centro del Cuore un’Ostia di seta bianca (non col raggio od ostensorio) un’Ostia raggiante: i raggi in bianco o in argento o in oro, come vedete che va meglio, purché non anneriscano. Vedete quelle sue ostie che sono sul conopeo dell’Altare maggiore di San Michele. Ma i raggi siano così (vedi disegno dell’ostia raggiante all’originale) voglio dire uguali, uno sì uno no, non come quelle del conopeo di S. Michele che sono invece (vedere disegno all’originale), NO così. Sulla pazienza rossa, a sinistra sempre sola l’Ostia di seta bianca, ma raggiante, non l’ostensorio. La fascia sia bianca, non rossa, ma lungo di essa, le due bende (che finiranno con frangia rossa, invece degli emblemi della passione), si mettano tante croci rosse, croci tutte uguali, e siano 7 per ognuna delle due strisce pendenti. Così: (vedere disegno all’originale). Scarpe e calze bianche. Il mantello bianco è con lo strascico piuttosto lungo, due palmi. La tonaca dev’essere di scotto bianco fatta colla vita e veste attaccata, chiusa cogli uncinelli davanti, ben unita ed assestata nel busto, con le maniche lunghe sino al polso, chiuse in fine con due bottoncini rossi, e con altra sopramanica larga circa due palmi, e lunga circa sino al gomito, increspata davanti. La fascia sarà di lana bianca e larga quattro dita, lunga sino a tutto l’abito compresa la frangia rossa. Nella lunghezza delle due bende vi saranno apposte 7 croci rosse scarlatte di lana da ogni striscia, da una sola parte. Sia crocettata dove si unisce. La Tonaca resti alta due dita da terra: la pazienza o scapolare sia rossa scarlatta, di lana; lunga un dito circa meno del vestito o tonaca. L’Ostia sia ricamata in seta bianca, tanto quella della pazienza che quella del mantello: i raggi sino possibilmente di argento o d’oro, ma se si vede che poi annerirebbero, allora siano di seta bianca e gialla. Il velo sia bianco di mussolina con una piega ben grande che, gettandoselo poi anche davanti sulla faccia, vada fino a metà il petto. Il soggolo non sarà colle pieghe tirate come è nella figura, ma invece sarà al tutto simile a quello delle nostre Suore, ma un pochino più ristretto. Il sopra capo sarà di bianca tela inamidata, coperto poi dal velo bianco, ma scenderà sulla schiena, fino a un palmo di più che metà schiena. Il Mantello sarà di scotto bianco, con due buoni palmi di strascico. Si mantenga questa forma e metodo di vestire con inalterabile uniformità, e Gesù Sacramentato Vi benedica (Scr. 105,8485).
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Domani verrà su il Can.co D. Perduca, perché io non posso, dovendo stasera andare a Venezia. Ora voi pregate tanto, perché desidero, col divino aiuto, servirmi di voi per dare principio alla famiglia religiosa delle Suore Cieche, come vi ho sempre promesso. Però per qualche giorno fermatevi a S. Sebastiano per avviare le nuove venute a prendere pratica della Casa (Scr. 115,205).
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Ai carissimi Figli della Divina Provvidenza: Sacerdoti, Chierici, Eremiti ciechi e veggenti, agli Aspiranti, detti Carissimi e ai probandi. Alle Suore: “Missionarie della Carità”, alle cieche “Adoratrici del SS.mo Sacramento” e alle “Figlie della Madonna della Guardia”. Agli indimenticabili miei Benefattori e Benefattrici, nonché ai cari miei orfani: ai nostri buoni Vecchi e Vecchierelle, a tutti i Ricoverati, sani o infermi; ai Giovani, che vengono educati negli Istituti e Scuole della Piccola Opera, e a quanti vivono nelle case della Congregazione, sotto lo sguardo materno della Divina Provvidenza. A tutti e a ciascuno mando in Domino il mio saluto più cordiale e il saluto fraterno di questi nostri Sacerdoti, Chierici, Eremiti e Suore “Missionarie della Carità”, che lavorano nella vigna del Signore in Brasile, nell’Uruguay e nell’Argentina (Scr. 119,89).
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Quando avremo qualche altra Casa, ovvero, con l’aiuto della Divina Provvidenza, questa Piccola Casa stenderà i suoi rami che stendono le braccia verso il Cielo, – allora forse vi sarà una Casa anche per lei. Se piacerà a Dio, il vostro Istituto si estenderà; da esso si partiranno altri rami che, professando le stesse regole fondamentali comuni alla Piccola Casa, avranno poi, per ciascuno di essi, regole adatte, secondo quello scopo e quel fine a cui li destinerà la Divina Provvidenza. Così vi saranno “Le Adoratrici del Santissimo Sacramento”, le Suore di Clausura; vi saranno le “vittime del Sacro Cuore”, vi saranno le ammalate, che entreranno ammalate, in piedi e a letto, e faranno il loro Noviziato, professeranno, sempre ammalate (Par. I,105–106).
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La carità del Signore si estende a tutti; quindi, non vi meravigliate se vedete tra voi tante cieche; verranno pure delle sordomute; forse il Signore vorrà qualche cos’altro ancora. E perché queste povere anime non possono essere spose di Gesù Cristo, dal momento che, da anni e anni, vivono sperando di poter proferire i santi voti? Anche cogli occhi e con le orecchie chiuse si può amare tanto nostro Signore, sacrificarsi per lui, ed essere sue spose. Se vi avessi predicato che voglio in Congregazione nobili principesse, o ragazze ricche, dovreste piangere; ma vi ho detto che ne verranno di povere, miserabili; perciò siate allegre e consolate! (Par. I,237).
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Venerdì scorso – non questo, ma l’altro –, mi trovavo ai piedi del Papa Benedetto XV, per chiedere la benedizione per la Piccola Opera della Divina Provvidenza, specialmente per il nuovo Collegio, che si deve aprire in questi giorni, il Dante; e ho ricordato al Santo Padre tutti gli Eremiti, che lavorano nelle Colonie, i Missionari del Brasile, i giovani, gli studenti, i lavoratori, gli orfani, e poi ho detto: “Santità, ho anche le Suore”. Ed egli rispose: “Sì, vero; mi ricordo d’aver dato una volta qualche piccola cosa a delle cieche, che venivano a farsi Suore. E come vanno le Suore?”. “Benissimo, Santo Padre, son tutte pronte a lavorare e far del bene e dare anche la vita. Di questi giorni darò l’abito a tre o quattro di quelle buone figliuole”. Ed egli mi disse: “No, tre o quattro, ma tre o quattrocento. E come si chiamano?”. “Missionarie della Carità”. “Bene, mandatele, spargetele nel mondo a seminare la Carità, che ve ne è tanto di bisogno”. “Ho anche le cieche e faremo una Comunità speciale per loro, così avremo anche le Suore Cieche”. “Sì, dite che le benedico anche loro, che preghino per il Papa, per la Chiesa, e benedico tutte le Suore, dalla Superiora alla più piccola, tutte, dalla prima in ordine gerarchico fino all’ultima” (Par. I,246).
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Vengo a darvi una grande notizia: con la grazia di Dio e l’aiuto della Madonna, spero di poter dare presto una Casa alle Suore Sacramentine, poco distante da qui, quasi all’ombra del Santuario. Sono venuto ieri apposta da Roma per firmare l’atto; ma è sorta una difficoltà. Gliela avevo promessa una Casa per loro: hanno avuto pazienza, sono state fiduciose nella parola dei Superiori, ed ecco che è venuto il momento di effettuare questo desiderio. Avranno la Casa con la loro Cappella apposita, e un bell’orto, grande tre o quattro volte questo vostro. E intorno al Santuario vi sarà una corona di Case di beneficenza. Ci saranno per adesso qui davanti, e poi, mano mano, anche nella parte retrostante, e sorgeranno tutte all’ombra del Santuario, sotto la protezione della Madonna. Ieri si doveva fare l’atto d’acquisto della Casa delle Sacramentine: non si è ancora potuto, perché è sorta una grave difficoltà; però, pregate; che quasi si può dire che sia fatto, perché c’erano anche altre difficoltà, ed esse si sono appianate. E così speriamo anche per questa. Nella Casa delle Sacramentine, poi, ci saranno anche le bambine cieche, a cui insegnerete ad amare il Signore. Voi pregate. Pregate e tacete e adorate la Santa Volontà di Dio. Non ho piacere che se ne parli fuori. La cosa si può dire che sia fatta, ma non conviene parlarne. Si capisce, le Sacramentine saranno messe in una Casa da loro, come avevo promesso. Avranno l’adorazione, e l’esposizione del Santissimo ci sarà, quando saranno in maggior numero; e avranno le bambine cieche. E così il Signore farà nascere attorno alla Madre Celeste le opere della pietà e della carità e così da tutte queste Case deve salire la preghiera, il sacrificio, la lode, il ringraziamento al Signore. Preghiamo che tutto si compia con il solo scopo di glorificare il Signore (Par. II,156–156b).
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Coraggio, buone figliuole, proprio alla vigilia di questa festa, e nella antivigilia dell’anniversario della apertura del primo Oratorio in Tortona, avvenuto nel cortile del Vescovo (il 3 luglio 1892), vengo da visitare la Casa di cui già vi avevo parlato, e della quale allora non sapevo ancora come si sarebbe deciso l’affare. Le nostre buone Suore Cieche, le Suore Sacramentine, sapevo che avrebbero avuto anch’esse la loro Casa; ma non sapevo ancora in che maniera il Signore avrebbe potuto risolvere la situazione. Il Signore l’ha, invece, ora risolta; e la proprietaria della Casa, dopo aver pregato con me, – e sapevo che anche voi, proprio in quest’ora, eravate riunite in adorazione, è venuta qui a prendere la benedizione e io sono andato ai piedi della Madonna della Guardia, ma ero unito a voi in spirito. Adesso ho pregato e la Casa c’è; io non la conoscevo tutta, c’ero stato qualche volta da piccolo, con mia madre, perché là abitava la nostra padrona di casa di Pontecurone; è una casa grande e bella (Par. III,156c).
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E voglia Dio concedermi la gioia di dare presto il santo abito a voi che ancora non l’avete; affrettate così con la vostra preghiera e con la vostra buona condotta, da Missionarie della Carità, e da Figlie della Madonna della Guardia, e da vere Sacramentine, il mio voto di potervi dare l’abito religioso. E voi che spogliate l’abito secolare, ricordatevi che non è l’abito che fa il monaco. Deponendo gli abiti civili dovete spogliarvi di tutte le usanze secolari; quelle cose, anche buone nel secolo, non sono più consentanee a chi veste l’abito religioso (Par. II,160).
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Domani, a Dio piacendo, verrò a dirvi la Santa Messa presto, e subito o più tardi si farà anche la vestizione delle Sacramentine Cieche. È una funzione un po’ lunga, ma è come la vostra; la vostra è un po’ apostolica, come quando Sant’Ambrogio diede il velo, a sua sorella Marcellina, e San Benedetto Abate a sua sorella Scolastica. Presero un velo, glielo misero testa, e, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sanctus, Amen, e la vestizione è fatta... Le Sacramentine, perché non vedono, hanno un abito smagliante! Se lo avessi dato a voi, invece di 300 sareste 3000, perché si dice che tante delle vocazioni sono per l’abito. Eh, qualche volta è cosa buona anche quello... Invece io vi ho vestite il peggio possibile, perché possiate in tutto santificarvi e fare penitenza. Ne sarete contente in punto di morte. Ricordatevelo: tutto quello che in punto di morte vi potrà dare consolazione, abbracciatelo pure con amore: tutto quello che in punto di morte vi potrà dar pena, mettetelo da parte anche da vive, anche da sane. Sicuro; la vostra vestizione è ancora un po’ come ai tempi primitivi; quella delle Sacramentine invece è già un po’ più perfetta; ma quello non conta niente; l’importante è la sostanza, è lo spirito (Par. II,186–187).
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S. Francesco d’Assisi metteva in guardia Sant’Antonio, che era a Vercelli a spiegare la Sacra Scrittura, e gli diceva: Sta’ attento che lo studio non ti distolga lo spirito dall’unione con Dio. E notate che Sant’Antonio spiegava la Sacra Scrittura! Le ammonizioni che vi ho date siano per tutte, per le Missionarie, per le Sacramentine, per le Figlie della Guardia (Par. II,227).
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Mentre voi chiuderete gli Esercizi io, con l’aiuto del Signore, andrò ad aprire una nuova Casa, dove si alzeranno canti di gloria a Dio e si adorerà perpetuamente Gesù Sacramentato. Vado ad aprire la Casa delle Sacramentine, nella festa di tutti i Santi e dirò a quelle buone Religiose che si ricordino di questa Casa e di voi perché possiate crescere a gloria del Signore e attendere agli studi per santificarvi (Par. IV,384).
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Immagino che tutti sarete stati a San Bernardino: chi non c’è ancora stato, ci andrà poi. Ebbene, prima di arrivare a San Bernardino, prima del ponte, di fronte a San Bernardino, domani, festa di tutti i Santi si aprirà una nuova Casa sotto gli auspici di tutti i Santi e in quella Casa si raccoglieranno attorno alla nuova Cappella, che verrà benedetta, le umili nostre Suore Cieche. Quelle buone Suore Cieche si sono offerte, consacrate ala Signore, desiderose di stare possibilmente dì e notte davanti al SS.mo Sacramento e si chiameranno Sacramentine Cieche. Forse su tutta la terra sono le uniche Suore Cieche consacrate al SS.mo Sacramento. Così domani dirò la Messa e poi esporrò la SS.ma ma Eucaristia; poi sempre, tutti i giorni, le Sacramentine, se non proprio tutte le ore del giorno, buona parte di esso le passeranno davanti al SS.mo Sacramento. Pregheranno per sé e per tutti noi. È la prima Casa nostra, e l’unica di tutta Tortona, dove ogni giorno si farà l’adorazione a Gesù. Dobbiamo ringraziare il Signore e deve essere domani una festa per tutti. Povere Suore Cieche! Troveranno in Gesù la vera e unica consolazione, imploreranno da Gesù benedizioni e misericordie per sé stesse e per noi. Quanto deve farvi piacere di avere questa bella notizia! Passeranno gli anni e queste Suore Cieche cresceranno e voi vi ricorderete come nella vostra gioventù assisteste all’inizio di questa istituzione (Par. IV,386).
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Per suffragare i defunti della famiglia che donò non solamente il terreno del Santuario, ma la Casa che sta dietro al Santuario, dove un giorno visse San Bernardino, e non solo questo, ma anche la Casa dove ora sono le Sacramentine Cieche e dopo, altro e altro ancora, desidero e voglio che ogni anno, sempre, in perpetuo, si celebri l’Ufficio e la Messa a suffragare le anime dei morti di questa famiglia che ci ha aiutato tanto, fin dai primi passi della nostra Congregazione (Par. VII,27).
Vedi anche: Piccole Suore Missionarie della Carità.
Sacrificio
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Vi raccomando lo spirito di orazione, la umiltà e carità, l’amore ai poveri, lo spirito di sacrificio, della disciplina e vita religiosa: grande devozione alla Madonna e attaccamento alla Santa Chiesa e al Papa (Scr. 1,88).
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Se viviamo da veri e buoni Religiosi, umili, diligenti e fervorosi, si è allora sempre di buon umore, si è contenti, si gode una grande pace, non si sente la fatica, si ama il sacrificio, si ama l’unione dei cuori: si vive e si fa vivere la carità fraterna, si cerca Gesù e non noi stessi, si ama la virtù vera e si prende tutto in buona parte Così sia di noi tutti (Scr. 1,161).
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Però noi dobbiamo anzi tutto, umiliarci e ringraziare il Signore, e poi dobbiamo prontamente metterci nelle sue mani con umiltà e generosità; dobbiamo ravvivare in noi la grazia e lo spirito della nostra vocazione: dobbiamo, con il divino aiuto, fare santi propositi, che vengano dal profondo del cuore: dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi. E così unirci di più a Dio, e specialmente con l’orazione, con più profondo spirito di pietà e di disciplina religiosa prepararci, in umiltà e cuore grande e magnanimo, ai sacrifici che la Div. Provv.za e la nostra Congregazione richiedessero da noi. Umiltà, preghiera, mortificazione, purezza, povertà, obbedienza, lavoro e sacrificio nella osservanza piena della Santa Regola! Raccomandiamoci alla SS.ma Vergine; continuamente: rinnoviamo voti e promesse a Dio nelle mani purissime di Maria SS.ma, e avanti sempre, senza voltarci indietro! (Scr. 1,167).
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Molto aspettiamo e dobbiamo tutti aspettarci dalla Moffa. Anche a costo di tenerne uno o due soli, allontana tutti quelli che non volessero comprendere che codesta Casa deve essere scuola di virtù religiose: di fervida pietà, di rinnegamento di sé, di lavoro, di sacrificio. O così, o via! Devono uscire dal Noviziato con il cuore ignito, pronti a dare la vita, a morire per la Congregazione O pronti alla morte con il divino aiuto e della Madonna, per la Chiesa e per la Congregazione, o via! Questa lettera sia letta e poi conservata, e riletta, occorrendo, altre due volte (Scr. 3,398).
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Come tu ben sai, i Novizi, quando entrano, portano con sé della scoria, e quindi hanno bisogno di esserne liberati; purificati e di venire rimpastati allo spirito di rinnegamento di sé, di umiltà, «all’abneget»: allo spirito di obbedienza, di semplicità, di orazione, di sacrificio e delle altre virtù così necessarie alla formazione della vita religiosa. Ecco perché la Santa Chiesa vuole che lo studio principale anzi unico del Noviziato sia di attendere alla propria perfezione (Scr. 3,491),
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Sto facendo una forte potatura, ma la Madonna ci manda elementi migliori e più dati alla pietà e al sacrificio. È inutile; in nessun altro tempo come in questi suoi inizi la nostra Congregazione ha bisogno di giovani e di religiosi di sacrificio. Anche a te, mio caro Don Adaglio, non rincrescano i sacrifici che, con la grazia del Signore hai fatto o devi fare, poiché questo spirito di sacrificarci per l’amore di Dio e delle anime, e poi magari vedere o che non si conclude agli occhi degli uomini, o che non si hanno quei risultati, o anche che tutto va in fumo, non ci deve turbare né fermare nella via di Dio. Se il Signore ha stabilito e ci ha chiamati a fare qualche cosa per Lui, dobbiamo ben capire che dobbiamo cominciare coi sacrifici, e con il morire a noi stessi come il seme che cade in terra, e che se non muore non germoglia, siccome dice il Santo Vangelo (Scr. 4,284).
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La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo. E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù: che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio: che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata, una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna (Scr. 6,150e).
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Quanto al ch.co Curia, è un difetto comune ai due fratelli Curia di mirare più agli studi che alla vita e formazione religiosa e al lavoro per le anime. Converrà che voi bene lo cresciate a questo spirito di sacrificio e di santificazione – Vale più a formare l’uomo religioso un’oncia di spirito di sacrificio per il prossimo che mille anni di studi per sé. Curatene quanto più potrete anche lo studio, ma evitino che si pensi che essi siano venuti in Congregazione più per studiare che per consacrarsi al Signore e rinnegare sé stessi, e così portare la loro croce e farsi santi (Scr. 24,51).
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Il vero spirito di Gesù Cristo è spirito di sacrificio: è quello che ci vuole per noi: quella carità sacrificata che vede molte cose da fare e sa farne un’offerta a Dio, quando per ragioni diverse non le può fare; quella umile carità che non va mai disgiunta dalla prudenza dello spirito e dal tatto, spirito di bene, che andrà lento e adagio, ma che arriva a suo tempo, ma che va avanti, evitando di volere troppo o di fare qualche atto che, per zelo poco illuminato e riflessivo, date le delicatissime circostanze, può impedire poi molto bene, se non finisce con il ruinare ciò che con grande fatica e con stento si era ottenuto già, e che era tutto ciò che – date le presenti circostanze, e di persone e di governo – era tutto ciò che era possibile ottenere. Quanta pazienza, caro mio, quanta fatica ci vuole per fare un po’ di bene! (Scr. 25,185).
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Ma chi si donò alla carità di Cristo senza limite alcuno nella vita e disciplina religiosa, sa che vita boni religiosi crux est et sacrificium. Niente possiamo fare, o caro don Casa, che agli occhi di Dio sia più meritorio e più eccellente che fare di tutti noi un’offerta a Dio, anzi un olocausto di sacrificio. Se il Signore ha stabilito che facciamo qualche cosa per lui e per le anime, dobbiamo cominciare coi sacrifici. Senza forza d’animo, senza rinnegamento di noi stessi, senza sacrificio non c’è virtù, né vita religiosa né santità verace. Ma i sacrifici che facciamo per il Signore, per la sua Chiesa, per la Congregazione, o figlio mio, non ci devono parer gravi; giacché a chi si ama, si dà volentieri, e il patire qualche cosa per Gesù Cristo, per la santa Chiesa di Dio, per la nostra Congregazione e per il suo sviluppo, è sempre dilettosa e santa cosa. E quando, con la grazia di Dio, si fa un sacrificio per l’amore di Dio stesso benedetto, si prova sempre gioia nell’animo, e grande interiore e spirituale soddisfazione. E quando poi al sacrificio si unisce l’obbedienza (melior est oboedientia quam victima), allora l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo, e alla sua Chiesa, ed è inaprezzabile il tesoro che noi ci prepariamo per la vita presente e per la eternità (Scr. 29,171).
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Amare Dio, le anime e la Chiesa, questo è tutto: e poi ogni sacrificio, e tutto per l’amore di Dio, e niente per forza. Il noviziato non fu ancora aperto: per ora il loro non è che un continuo probandato, e un primitivo lavoro di unificazione e di edificazione nello spirito di sacrificio, di rinnegamento di sé e di carità in Gesù Cristo (Scr. 39,142).
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Scuotetevi, o miei cari figlioli, e datevi ad amare Gesù e la vostra anima: la Chiesa e la vostra Congregazione, pregando, vegliando, operando virilmente, nella umiltà e nel fervore; nel lavoro manuale e nel lavoro mentale: nel sacrificio del cuore, nel sacrificio della intelligenza, nel sacrificio delle volontà e delle membra. Sentite, o miei figli, tutta la responsabilità che vi incombe: sopra tutto sentite la Carità di Cristo che c’incalza e ci preme: Charitas Christi urget nos! Chi questa non sente esca di Congregazione: non fa per noi! Che i vostri occhi si aprano alla luce di Dio e della vostra vocazione! (Scr. 52,148).
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Bisogna insomma combattere sé stesso, perseverare nel quotidiano sacrificio delle nostre passioni, patire per essere virtuosi. Colui che nella vita cerca godimenti non avrà mai che un cuore stupidamente egoista. Ed ecco la segreta ragione per cui l’educazione di tanti giovani riesce oggidì sbagliata. Si fanno fare ad essi dei corsi di fisica, di lettere, di aritmetica, ecc., non si fa fare ad essi un corso di virtù, abituandoli al sacrificio della propria virtù. Si accarezzano, si accontentano, si procurano ad essi tutti i piaceri. Come faranno così abituati, a sostenere un giorno con dignità i colpi del dolore? Lontani dalla santa scuola della Croce, cresceranno egoisti, sensuali, incontentabili, crudeli (Scr. 61,66).
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La pace non è nell’inerzia, ma nella carità operosa e nel sacrificio. Se la Congregazione non sarà educata a questo spirito di pieno sacrificio e di piena morte di noi stessi per la vita delle anime e per la causa della Chiesa Santa di Dio, la nostra Congregazione rimarrà sempre bambina, e non raggiungerà il suo scopo. E noi dobbiamo volere che anche il lavoro e la scienza si facciano virtù: che la vita nostra si immoli e si faccia sacrificio: che il sentimento di Dio, la fede in Dio, l’amore di Gesù Cristo, della sua Chiesa, del suo Vicario in terra diventino per noi, come per la gioventù che ci è affidata, una vera opera di redenzione sociale e di vita eterna (Scr. 62,120a).
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Ma il Signore chiede a me ed a voi questo piccolo sacrificio, e i sacrifici che facciamo per il Signore non ci devono parere gravi. Il mortificarsi e patire qualche cosa per il Signore deve anzi esserci dilettevole: e questo è il momento per voi di mostrare la vostra virtù e il vostro buono spirito religioso. Più avanti e più cresciuti farete di più, (con la divina grazia): ma fin d’ora dovete educarvi e crescere allo spirito di sacrificio, poiché in nessun altro tempo come nel presente, la Chiesa e la Congregazione nostra ha bisogno di uomini di sacrificio. Sia tutto per il Signore dunque, avanti per la via del Signore (Scr. 69,191).
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Sii santo coi tuoi giovani. Sacrificarsi per le anime vale sacrificarsi per Gesù Cristo. Egli si è santificato. Sacrifichiamoci adunque, o caro fratello, per Gesù e saremo santi. Viva il Papa! questo grido suscitò le speranze che mi confortano... Consola le lacrime di chi sospira... Amali d’amore fraterno! (Scr. 80,250).
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C’è bisogno di religiosi di vero spirito di sacrificio. Il Signore, cari miei figli, ha stabilito che facciamo qualche cosa per Lui e dobbiamo cominciare con il lavorare, con l’essere stracci, ma in realtà, e non a chiacchiere, gli stracci di Dio; gli stracci della Madonna SS.ma: gli stracci della Divina Provvidenza. Non ci deve parere grave il lavoro e i sacrifici che facciamo per il Signore e per i giovani che ci ha affidati (Scr. 91,14).
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Desidero che nelle rinunce si vada sino al possibile e quasi all’impossibile, sino al sacrificio, perché senza sacrificio non c’è vera virtù, ne spirito di carità. Gesù e la Chiesa: il Papa, i Vescovi e i parroci si amano e si servono in croce, in croce; e se n. S. Gesù Cristo e la Santa Chiesa non si ameranno da me e dai miei in croce, sento che non li ameremo e serviremo affatto (Scr. 116,134).
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Dio dispose, invece, che quest’anno io sia qui, ancora lontano, e dopo quasi un anno dalla partenza! Sia fatta la volontà di Dio! Sono lontano di persona, sì, ma – e voi, certo, non ne dubiterete – vi sono e mi sento a voi e alla cara nostra Congregazione tanto, ma tanto vicino e di spirito e di cuore. Non vi nascondo che è un sacrificio, e che lo sento, ma senza sacrifici non saremo mai veri e buoni religiosi, non ci faremo santi, né. la Congregazione sarà tale da piacere a Nostro Signore e da meritare la benedizione del Signore. Offriamo, dunque, questo, anche questo così sentito sacrificio, sull’altare, ai piedi di Lui, che si è tutto sacrificato per noi, e a Lui chiediamo grazia di trasformare tutto in santo amore: ogni pena, ogni dolore, ogni sacrificio (Lett. II,244).
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Siete Missionarie della Carità. e nella carità troverete lo spirito di sacrificio, lo spirito che vi condurrà a fare della vostra vita un’offerta totale a Dio, come un tempo si offrivano gli olocausti. Ed anche oggi noi continuiamo ad offrire sull’altare il Divino olocausto: quindi, non c’è che un sacrificio, e quello che offrono i sacerdoti non è che lo stesso sacrificio della croce che continua. Gesù si è dato tutto per noi, noi dobbiamo darci tutti a lui (Par. II,121r).
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Uno dei fini della pedagogia cristiana è quello di formare il carattere. Per formare un carattere leale, retto, deciso, ci vuole ci vuole spirito di sacrificio. Nostro Signore Gesù Cristo ha detto: qui vult venire post me, abneget semetipsum. Sacrificio, dunque occorre. Il rinnegamento di noi stessi è il più grande sacrificio. Vi sono dei ragazzi che sanno vincere sé stessi; altri invece fuggono lo spirito di sacrificio (Par. III,108).
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Chi vuol militare sotto la nostra bandiera deve usare il sacrificio, la preghiera, e avere lo spirito pronto a tutto. La bandiera dei Figli della Divina Provvidenza è bianca con una croce rossa in mezzo. Il bianco è simbolo della purezza, del candore. La croce è il nostro sangue. La nostra bandiera esprime le due virtù tanto care a Gesù Cristo e al Beato Don Bosco: Purezza e sacrificio, candore e sangue. Vivere solo di purezza e dare il sangue: ecco l’ideale di chi vuol vivere sotto questa bandiera, di chi vuol praticare queste virtù. Siamo quasi alla vigilia della Immacolata. Chiediamo a Dio questa grazia, per intercessione della Madonna tutta pura, tutta bianca, di praticare queste virtù; poiché la Vergine fu tanto pura che avrebbe rinunziato ad essere Madre di Dio per conservare la sua verginità. Quando c’è questa virtù, germoglia e cresce lo spirito di carità e di sacrificio! (Par. V,324).
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Vedete, o cari miei chierici, che l’obbedienza che si fa senza sacrificio, ha un valore molto relativo. Come senza sacrificio non c’è vera virtù, così senza sacrificio non c’è vita religiosa. Sta appunto qui la parte meritoria. Diceva Don Bosco: – È più difficile ma più meritorio obbedire ad un assistente o ad un compagno, che a Don Bosco (Par. IX,445).
Vedi anche: Croce, Distacco (virtù), Penitenza (virtù), Privazioni, Santità, Sette “effe”.
Sacro Cuore
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Ho il piacere di dirvi che sono quasi senza voce, ma ora comincia a risorgere. Evviva! Ho pure il piacere di avere qualche bella spina, regalatami dal Sacro Cuore; ma essa è per me, e non è per voi, et sit Nomen Domini benedictum! (Scr. 13,191).
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Lo stare sul calvario servirà all’Opera a non farle perdere lo spirito onde è nata, a non dimenticare che Gesù non patisce solo sul calvario, e a crescere in essa quella carità del cuore sacratissimo di Gesù che vorrebbe soavemente stretti tutti gli uomini in un sol corpo, qualunque siano le differenze loro d’ogni maniera. Non perché io non avessi tutta la fiducia in voi e non vi amassi tenerissimamente nel Signore ho tardato per tanti anni a farvi questa supplica; ma perché non aveva fiducia di me, e anche perché, volendo essere cosa tutta del s. Padre, mi pareva anzi tutto necessario interpellare e conoscere in proposito il giudizio del s. Padre stesso (Scr. 45,30f).
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Se in qualche cosa avessi trascorso, vostra Eccellenza Rev.ma mi voglia paternamente perdonare, non era nella mia intenzione. Che le fiamme del Sacro Cuore di Gesù abbrucino tutto il male che qui e nella mia vita ho fatto, e la divina Misericordia sia sopra di me sempre (Scr. 49,138).
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Comincia il bel mese del Cuore SS.mo di Gesù: facciamolo con impegno e fervore, segnatamente con l’esatto adempimento dei nostri doveri. Onorando il Sacro Cuore, aumentiamo la confidenza in Dio, il quale ha impegnato la sua parola di aiutare quelli che il Lui confidano: «I cieli e la terra passeranno, le mie parole non passeranno». E stiamo sempre di buon animo, ricorrendo di frequente al Cuore di Gesù con umiltà, fervore, confidenza e perseveranza: Egli ci darà forza, lumi e aiuto, e sarà il sovrano rimedio alla nostra debolezza e il conforto delle nostre tribolazioni. Nulla piace più al Signore, che noi facciamo il Suo Cuore depositario di tutte le nostre pene, e che mettiamo ogni nostra confidenza in Lui. Purifichiamo il nostro cuore con il distaccarlo da tutto ciò che non è onesto, che non è cristiano, che non è Dio. Più il cuore saprà distaccarsi da ogni vanità, più sarà pieno dello spirito del Signore, avrà la pace e la libertà santa dei figli di Dio? e sarà pieno di Dio. Alziamo frequente gli sguardi al Cuore di Gesù, ed Egli guarderà noi: Egli, che sa tutto, vede tutto, può tutto, e ci ama con infinito amore! E promoviamo, quanto più potremo, la devozione al Sacro Cuore! Che il Cuore SS.mo di Gesù disponga i nostri cuori a suo modo, e vi stabilisca il suo santo regno, a gloria sua e a salvezza nostra (Scr. 56,87).
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Oh divina Bontà! Oh Dio! mi hai creato, mi hai dato un cuore perché possa gustare le delizie del tuo amore, e poi te ne stai ancora qui, o cuore sacratissimo di Gesù, qui vittima d’amore e di sacrificio, aspettando un palpito, un sospiro, una parola di amore! «Sitio! ho sete...» Ma dunque mi ami tanto da aver sete anche dell’anima mia e del mio amore? O cuore adorabile del mio Gesù, ma io ti amo anch’io, sì voglio essere tutto tuo, voglio partire di qui... per andare lontano... ma la forza sei tu che me la devi dare... qui... ai tuoi piedi, mi voglio prima consacrare al tuo cuore, o Gesù! O patire o morire! E chi a te può resistere, o fornace di amore? Amore per amore! E come non amarti, se tu langui e muori per amor mio? Ah voglio struggermi d’amore nell’amor tuo! (Scr. 61,9).
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Il Sacro Cuore di Gesù nella Eucaristia è il solo mezzo di scemare la corruttela, di dileguare i pregiudizi, di ravvivare la favilla della fede e di far amare Dio, la Chiesa ed il Clero verso il quale si mina e si congiura (Scr. 65,345).
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Gesù viva, regni, trionfi. È il Sacro cuore, che dispose l’apostolato cattolico e la fiamma della redenzione alimento vivo attraverso i secoli e alle generazioni: è il Sacro Cuore di Gesù Cristo che animò i grandi eroi della Croce e suscitò D. Bosco ed i suoi mille collegi vedi o fratello volgi la testa e per l’amore di Lui, di Gesù, verso gli uomini tutto parla dell’amore del Signore che danzan le stelle nel firmamento e la terra va roteando in giro al sole. Il Suo Cuore è ardente, è spirante amore. E chi non lo amerà Gesù Cristo? Tu, amalo, o mio caro Bassi, amalo sempre il Sacro Cuore di Gesù: Egli ti ha tanto amato, tanto, e tu amalo tanto! Quando sarai afflitto ricordati, o fratello, il Cuore che fu tanto afflitto per te, e sarai consolato nei tuoi studi, ricordalo ed amalo sempre. Ama, benedici esalta il Sacro Cuore. Gesù viva! Gesù trionfi! Il Cuore di Gesù! Ti scrivo piangendo di consolazione con le lacrime agli occhi, o caro il mio Vigi, mentre la carità e la misericordia del Signore inonda l’anima e in questo giorno sacro al Cuore di Gesù è pur bello vorrei che un raggio di luce scenda nell’anima tua onde abbellirla ed infocarla d’amore di Dio. È la festa del Sacro Cuore. Mentre la carità e la misericordia del Signore, inondano oggi l’anima dei Santi, vorrei che un raggio di luce scendesse ad abbellire il tuo cuore ed a infiammarlo di Dio. Viva il Cuore di Gesù Cristo. È dal Suo Cuore trafitto che sgorga il Sacerdozio ed il Papato a salvezza del mondo; dal costato di Dio esce la carità a che educò ai primari e santi affetti, e la carità è balsamo dell’anima e l’anima dei santi. Viva il Sacro Cuore! È l’amore suo che vinse il mondo e che rasserena e imbalsama i cieli e fa splendere il sole in questa valle di pianto. La Sua carità è l’ala sublime che ci solleva alle belle sfere del cielo. L’amore a Gesù fa che ci chiamiamo tutti fratelli e che volgendo all’alto lo sguardo preghiamo tutti un Padre comune che ci guarda dal Paradiso (Scr. 71,1–2).
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Caro il mio Vigi, Oggi è la festa del Sacro Cuore. Vorrei che un raggio di celeste luce scendesse ad abbellire l’anima tua e ad infiammarla di Dio. Caro fratello, ecco il cuore di Gesù. Egli che creò l’Eucaristia, è dal Cuore e suscitò il Papato a salvezza delle nazioni! Gesù Gesù! E dal cuore trafitto di Gesù n’escì la Chiesa candida e bella come l’Eva dal costato di Adamo; dal trafitto suo Cuore scese il (...) della carità cristiana che trasformò gli uomini, abolì l’avvilimento e la schiavitù e svegliò i santi affetti e die’ pace ai popoli. Viva Gesù Cristo! È l’amore di questo cuore che vinse il mondo, rasserenò i cieli e fece splendere il sole della grazia in questa valle di pianto. È la sua carità del cuore che ci chiamò tutti fratelli e fa sì che volgendo lo sguardo all’alto preghiamo tutti un Padre comune che ci conforta e ci sorride dal Paradiso Viva il cuore di Gesù! Caro cuore bandì la vendetta e c’insegnò ad amare chi ci odia a benedire mille volte chi ci maledice: egli che c’insegnò a perdonare sempre ed a morire per il crocifisso. Oh Gesù viva! Gesù trionfi! (Scr. 71,15).
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Nella nostra Casa di Tortona si fanno tre giorni di ritiro, predicati da un santo sacerdote. È un ottimo parroco di un vicino paese, molto fervoroso, di buonissimo spirito, e io l’ho pregato di venire qui da voi per farvi qualche predica, onde aiutarvi a chiudere bene il mese di maggio e cominciare meglio il mese di giugno, il mese del Sacro Cuore di Gesù. Vorrei che ciascuna di voi si ritirasse in sé stessa e ai piedi di nostro Signore, chiedesse con grande istanza il dono del santo amor di Dio. Quando c’è questo, c’è tutto; le gambe storte si raddrizzano, i sordi odono e i ciechi vedono; i fervorosi s’infervorano maggiormente, si scuotono i tiepidi e i freddi s’accendono di sacro fuoco. Ed in questo santo mese, che cosa vuol dirvi il Cuor di Gesù se non l’amor suo che Egli venne a portare dal Cielo in Terra? Il vostro cuore deve spogliarsi di tutto ciò che è tenebre per ricevere la luce, deve essere la lampada ardente ha brucia e si consuma per lui (Par. I,30).
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Noi in questo mese dobbiamo andare alla scuola del Sacro Cuore, scuola di umiltà, e di mitezza: infatti Gesù ci ha detto: Discite a me quia mitis sum et humilis corde. Imparate da me che sono mite e umile di cuore. Vedete, se non fosse nostro Signore che parla, ma un maestro qualunque, si potrebbe accusare d’orgoglio, di superbia. Ma Gesù non era uomo soltanto, era anche Dio: ed ha usato questo modo di esprimersi per farci ben capire il nostro dovere di andare a lui. E non soltanto con le parole Gesù ci dice: imparate da me, ma con l’esempio di tutta la sua vita, scuola per noi di dolcezza, di mitezza, di umiltà (Par. I,38).
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Oggi è giorno di gran festa per le nostre Case; ma voi oltre la festa di San Pietro, e dell’Immacolata, dovete averne una speciale per la vostra piccola Casa: la Festa del Sacro Cuore di Gesù; festa che ricorderà l’atto solenne di consacrazione che oggi facciamo. Che questa consacrazione non si compia solamente per voi che siete presenti, ma si estenda anche alle assenti, per quelle che tornarono al loro paese; per quelle che furono fra voi e ora sono morte; si compia per quelle ancora che dovranno venire. A quest’atto solenne di Consacrazione associamo tutte quelle anime che spiritualmente appartengono, appartennero, e apparteranno al piccolo Istituto. Consacrate al Sacro Cuore di Gesù tutte voi stesse, la vostra mente, il vostro cuore, l’anima vostra, tutta la vostra vita: quanto avete di più caro, i vostri piaceri, i vostri dolori, anche i vostri peccati: consacrate al Cuor di Gesù la vostra piccola Casa, tutto quanto appartiene ad essa, perfino i vostri stracci, tutto, tutto a Gesù per le mani di Maria e di Giuseppe, che, davanti all’Altare, fanno guardia di onore a nostro Signore, quando voi siete assenti dalla Cappella (Par. I,46).
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Oggi è il primo giorno del mese e capita in venerdì, in uno di quei venerdì che la chiesa consacra alla devozione del sacro cuore di Gesù. Per comprendere bene che cosa vuole insegnarci la chiesa con questa devozione bisogna comprendere ciò che significa il cuore di Gesù. Gesù disse: Imparate da ne che sono mite e umile di cuore. Ma non è tutto qui. Il cuore è l’organo dell’amore e più della dolcezza e dell’umiltà. Benché quest’ultime siano virtù importantissime, egli sopra tutto ci insegna la carità. Quando l’apostolo san Giovanni volle definire che cosa è Dio non seppe definirlo con altre parole che con queste: Deus charitas est. Dio è carità. Dunque è l’amore che dobbiamo imparare dal cuore di Gesù. Ancora nel vangelo di san Giovanni si legge che Gesù rispondendo a chi desiderava sapere quali fossero le virtù principali e più necessarie, rispose: La fede, la speranza e la carità, ma la maggiore Dio queste è la carità. Infatti la fede e la speranza cessano on la nostra vita. La fede è necessaria per salvarci credendo nelle verità rivelate, la speranza ci aiuta a conseguire il nostro ultimo fine, sperando nelle promesse di Dio, ma quando saremo in paradiso non avremo più bisogno di credere e di sperare perché possederemo ciò che abbiamo creduto e operato. La carità non cesserà, anzi lassù sarà il suo trionfo perché il cielo essendo il regno di Dio è regno di amore. Ivi vivremo d’amore, di carità. Ma non solo il cuore di Gesù studiato come organo d’amore ci dà questa grande lezione della carità. Gesù che prima aveva detto: Imparate da me che sono umile e mansueto, apparendo a santa Margherita Alacoque ci dava ancora questa sublime lezione, chiedendo amore: Ecco il cuore che ha tanto amato gli uomini e che non è amato. Anzi è ripagato con gratitudine particolarmente dalle persone a me consacrate. E chi sono le persone consacrate in modo particolare al signore? sono i religiosi, siamo noi. Non sono neppure i preti secolari perché essi non sono, direi, consacrati in modo particolare al signore. Tutti sanno che i religiosi sono tenuti in modo speciale a dar buon esempio e a pregare. Difatti molti si raccomandano alle nostre preghiere e non si riceve una lettera che in fondo non ci sia questa raccomandazione. Tocca a noi consolare il cuore di Gesù, riparare a tanto male che si commette in questi tempi, pregare e cercare di salvare tante anime con il fuoco della carità. Il cuore di Gesù che si degnò di apparire in questo luogo e disse: Di qui partiranno molte misericordie. Questo cuore divino ci deve confortare e accrescere il nostro zelo per salvare le anime (Par. I,243).
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Vi ho radunato qui per dirvi qualche parola sulla festa del Sacro Cuore: Siamo quasi alla vigilia di questa soavissima festa. La festa non l’ha determinata il Papa o il Vescovo: è proprio il Sacro Cuore che ha voluto un giorno per sé. La vostra Casa è consacrata al Sacro Cuore. Il Sacro Cuore apparve in questa Casa, su quell’arco che c’è nell’entrata; lì c’era un po’ nero, e ora ci avete messo una piccola statuetta. Apparve il Sacro Cuore tutto sfolgorante e attorno aveva scritto queste parole: Di qui partirà la mia Misericordia e la mia gloria. Capite?! Da questa povera Casa si diffonderà la misericordia e la gloria di Dio. Ecco perché fu messa la piccola statua nell’entrata: ecco perché fu messo sull’altare il Sacro Cuore. Il Cuore di Gesù apparve sfolgorante, e attorno apparve la scritta; e non solo apparve, ma le proferì anche queste parole. Il Sacro Cuore disse che da questa Casa si sarebbe diffusa la misericordia e la gloria di Dio in tutto il mondo. Il Signore si serve degli stracci per fare cose grandi; il Signore si serve del niente per confondere il molto (Par. II,156a).
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Guardate quel Crocifisso che portate sul cuore e unite i vostri palpiti ai palpiti del Cuore Sacratissimo di Gesù. E quando venissero anche per voi dei momenti di stanchezza, di debolezza, ah, premete sul vostro cuore il Cuore di Gesù, pensate che breve è il patire ed eterno il godimento. Pensate a quelle belle parole, pure di Sant’Agostino: Tu hai salvato un’anima, tu hai predestinata l’anima tua. Andate, o povere figlie del Signore, e la benedizione che fra poco discenderà da Gesù Sacramentato su di voi, vi conforti, vi aiuti, illumini tutti i vostri passi e getti raggi di amore su tutte le vostre debolezze; che la Vergine Santa vi prenda per mano e, come una madre terrena con il suo sviscerato amore materno veglia sui propri figli, la Vergine Santa asciughi i vostri sudori, le vostre lacrime, non vi abbandoni mai (Par. II,183).
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È il primo venerdì del mese. È per me doveroso raccomandarvi la devozione al Sacro Cuore di Gesù perché la nostra Congregazione ha tre devozioni principali verso Gesù: la prima a Gesù Crocifisso poiché dovete sapere che la nostra Congregazione è sorta in un umile Oratorio chiamato del Crocifisso e ai piedi del Crocifisso sorse la nostra Congregazione. La seconda devozione è al Santissimo Sacramento; e la terza è al Sacro Cuore di Gesù che tanto vi esorto ad amare e venerare in modo speciale ogni primo Venerdì del mese (Par. III,226).
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Tutta la nostra speranza di salvezza è fondata sulla Croce; la nostra fede, la nostra redenzione è nella Croce che è piantata nel Cuore Santissimo di Gesù Cristo. Le fiamme che avvolgono il Cuore di Gesù, simboleggiano il suo amore per noi. Tutte le nostre speranze riponiamole in quel Cuore. Pio IX disse che la Chiesa e la società tutta quanta non hanno altra speranza che nel Cuore di Gesù Cristo (Par. V,43).
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Siamo devote anche del Cuore Sacratissimo di Gesù. Cerchiamo di diffondere nelle anime questa devozione. La devozione a Gesù Crocifisso alla Santa Eucaristia, è amore a Gesù, nostro Dio, nostro Redentore, nostro Re dalla Croce. “Regnavit a ligno Deus”, l’amore alla Santa Eucaristia, al Cuore Sacratissimo di Gesù sia il primo e il più grande amore dei nostri cuori (Par. VI,191).
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Ed ora vi dirò una breve parola sul Sacro Cuore Non so se sia sogno o visione. Ogni qualvolta leggo quel brano di San Paolo quando parla delle sue visioni, e che dice: Sive in corpore sive extra corpus nescio. Deus scit... penso a questo che sto per dirvi. Quando voi entrate nella Casa delle Suore a San Bernardino, vedete là – in alto, nel piccolo atrio di ingresso – una piccola statua del Sacro Cuore, davanti ad essa le buone Suore ci tengono sempre i fiori. Quella Casa ha preso nome dal Sacro Cuore e oggi le Suore hanno fatto una grande festa. Doveva andarci Don Sterpi, ma fu a Vercelli per aprire una Casa proprio per le Suore. Ma perché c’è quella piccola statua del Sacro Cuore e perché ce n’è un’altra anche sull’altare della Cappella, statua questa nerissima, bruttissima che invece di innalzare lo spirito repelle, e bisogna fare un atto di fede e di amore a Gesù per eccitarci alla devozione? Perché dalle Suore ci sono quelle due statue del Sacro Cuore? Ecco: In un’ora di gravi dolori per la Congregazione nascente, apparve, apparve, – ed era a metà busto – il Cuore Santissimo di Gesù dove vi è quella piccola statua e disse: Da questo posto partirà la mia gloria. Ecco perché quella Casa è dedicata al Sacro Cuore; ecco perché vi è quella piccola statua del Sacro Cuore (Par. X,240).
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Preghiamo oggi il Sacro Cuore di Gesù, che per le fiamme del suo amore, accenda anche nei nostri petti una vivida fiamma di amore a Dio e alle anime, e in questo amore viva la nostra vita, e lo infonda alle anime di tutti quelli che la Provvidenza di Dio porrà sui nostri passi (Par. XII,89).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Spirito Santo.
Salve Regina
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Prima di chiudere il S. Tabernacolo reciterete 5 Pater Ave Gloria alle 5 Piaghe di Gesù Crocifisso per domandare perdono al Signore dei peccati e mancamenti da me e da noi tutti fatti durante questi anni: poi tre Salve Regina per i Benefattori e per tutti i ragazzi che hanno frequentato l’Oratorio: poi un De Profundis per tutti i Benefattori o giovanetti defunti e per le S. Anime del Purgatorio. Chiuderete con un Pater Ave e Gloria in onore di San Giuseppe e con il Dio sia benedetto (Scr. 2,39).
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Non sono stato a Roma, ma ho pregato quanto ho potuto, dico così perché comincio sempre e non finisco mai le mie Salve Regina (Scr. 25,256).
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Mando due immagini del venerabile Cottolengo – una la metterete sotto il cuscino del malato, l’altra la metterete in una stanza della casa con un lumino davanti dì e notte e cominciate una novena insieme tutte di tre «Salve Regina” al giorno, con un Pater, Ave e Regina per i poveri morti. Mettetevi insieme con il malato nelle mani della Madonna SS.ma Consolatrice e ottenuta la grazia promettete di andare insieme con l’avvocato a Torino, dove farete il vostro bene e i vostri ringraziamenti alla Madonna Santissima (Scr. 39,1).
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Ieri sono partito da Torino con il rimorso di non essere passato a trovare la Madonna né il beato Cottolengo. Ho cercato di dire qualche salve Regina in tram, ma quante ne ho finite, non so. Spero che il mio buon angelo custode le avrà finite lui (Scr. 41,30).
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La notizia che mi date mi ha fatto molta pena, stasera dai ragazzi, dopo il solito Rosario, diranno una Salve Regina e domani mattina nella Messa e nella Santa Comunione pregheremo per la povera inferma (Scr. 67,57).
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Di tutti ci siamo ricordati dinanzi all’Altare Santo del Signore, affinché vi dia forza di volontà, forza di membra, forza di parole, ma e più specialmente, forza di spirito per tirare e convertire a Lui tante e tante anime. La prima “Salve Regina” che abbiamo recitata appena ci siamo trovati tutti insieme nella nostra Chiesuola, fu per Voi; e l’ultima che reciteremo prima di separarci e ritornare ciascuno alla propria residenza, sarà pure per Voi. Nelle orazioni del mattino e della sera, quando si giungeva al punto in cui si deve recitare una “Salve Regina” per i nostri Missionari, oh! con quale slancio di affetto e con quale santa invidia la recitavamo! (Scr. 67,154).
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Mi raccomandi alla Madonna: io non faccio che rifugiarmi nella Salve Regina. Cara Madonna mia, non c’è più che Essa (Scr. 88,143).
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Salve Regina, Mater misericordiae: vita, dulcedo, et spes nostra, salve! Non avrei mai pensato che in quelle parole sì semplici, tante volte pronunziate e udite, si nascondesse un tesoro di armonie e di affetti sì puri e sì santi, come quello che allora mi si svelava e sentiva gustando ora il suono, ora il canto, or l’uno or l’altro insieme (Scr. 104,132).
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Se l’interesse di Genova si riprende, dica una Salve Regina alla Santa Madonna della Guardia, se poi andasse a monte, o volessero cambiare i patti, non se ne affligga, ma dica due Salve Regina. E stia lietamente (Scr. 119,49).
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Prego per il caro Riccardo, che io amo più che un fratello, prego per la Loro Mamma e per Lei, Sig.ra Maria. E, quando sono stanco o in pena, penso alla Loro Casa tanto ospitale e mi vo confortando in Domino alla speranza di presto venire. E prego, prego, solo che comincio tante Ave Maria, tante Salve Regina e poi la fantasia o il pensiero vanno a tante cose, a tante preoccupazioni e molte ne comincio e poche ne finisco (Scr. 119,156).
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Senza dubbio torna meglio per ciascuno di noi e per la nostra cara Congregazione essere esercitati nelle sofferenze e avversità, che se tutto ci andasse a seconda. Per questo, prima di partire per l’America, quando già infuriava la tempesta, ordinai quella tal Salve Regina, ad aumento di prove e di tribolazioni; oggi poi, che sto per tornare a voi, vi prego di continuarla a dire ancora, invocando l’assistenza della SS.ma Vergine. Come l’oro si prova al fuoco e l’amore con i fatti, così la Fede si prova con le opere di misericordia, si prova nei cimenti e immolazioni interne, personali: si prova nei cimenti e combattimenti esterni e pure nei vilipendi e persecuzioni (Lett. II,458).
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Appena sarete chiamate a Tortona, quelle che la superiora crederà, verranno subito, anzi sarà bene che venga Essa stessa, per vedere come starete: prima di partire, qui davanti all’altare, reciterete una Salve Regina, ma alla svelta, per mettervi nelle mani della Madonna. Vi porrete poi nel Cuore di Gesù e di trotto a Tortona fiere di andare a servire i vostri poveri fratelli (Par. I,117).
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La nostra vita è tutto un tessuto di dolori e anche la “Salve Regina” ci ricorda che camminiamo in una valle di lacrime. Per questo anche il canto dello “Stabat Mater” ci aiuterà a sopportare con cristiana rassegnazione tanto i dolori fisici che i morali e a considerare la nostra vita come un sentiero, un cammino per arrivare a Dio (Par. IV,342).
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La mano di Dio mi ha condotto qui a celebrare il S. Sacrificio dell’Altare e a benedire voi: c’inginocchieremo quindi e reciteremo tre Salve Regina alla SS.ma Vergine, Madre di Dio, Madonna delle Grazie. Se piacerà al Signore ci tornerò altre volte qui. Voi intanto tornateci spesso a pregare la Madonna perché sempre ci aiuti e perché così si sappia che alla Madonna delle Grazie noi vogliamo bene (Par. IV,418).
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Ringraziamo il Signore: più ci manderà delle tribolazioni e più dobbiamo amare il Signore. Ricordiamoci che fino adesso io dubito che il Signore voglia la Congregazione, perché non abbiamo avuto ancora da patire quelle prove con cui il Signore è solito provare le opere sue. Siamo andati avanti troppo trionfalmente. Quindi tutti i giorni direte una Salve Regina perché il Signore si degni di mandarci qualche tribolazione. Più soffriamo e più ringraziamo il Signore che si degna di farci soffrire (Par. VI,196).
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In Italia ho messo l’ordinanza di recitare una Salve Regina tutti i giorni perché il Signore mandi delle tribolazioni alla Congregazione; giacché poveri noi, se ci mancano le tribolazioni e le croci. Benedette le croci, benedette le croci e consideriamo perduto il giorno che non ci dà qualche tribolazione (Par. VII,1b).
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Monsignore Costamagna era anche musico ed ha musicato parecchie cose belle. lui e don Cagliero erano musici... Ha musicato anche una Salve Regina e in Argentina, quando si trovava in fin di vita, nel corridoio, sotto alla sua camera, gli cantavano la sua Salve Regina; verso la fine della Salve Regina morì (Par. X,3).
Vedi anche: Preghiera, Madonna.
San Francesco d’Assisi
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Noi dobbiamo aspettare ogni nostro bene, ogni nostra soddisfazione, ogni ricompensa dalla Mano di Dio: «Tanto è il bene che m’aspetto che ogni pena m’è diletto», diceva San Francesco d’Assisi; e in tutto ciò che più ripugna al nostro amor proprio e in tutto che ci è di rinnegamento di noi e di umiliazione preghiamo la Madonna che ci faccia sentire la perfetta letizia nel santo amore di Dio! (Scr. 5,422).
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Sono stato ad Assisi e questo vorrei almeno avere imparato da San Francesco: uno spirito di illimitata obbedienza e di grandissimo amore e devozione verso l’autorità della Chiesa e gli ecclesiastici; con San Francesco voglio ripetere sino alla morte e pur in morte e dopo la morte il mio dolcissimo e affocato amore alla santa Chiesa, al Papa, ai Vescovi e ai sacerdoti: Domini mei sunt: sono i miei padroni, diceva San Francesco. Se non fosse superbia, vorrei dire, umilissimamente e con il capo chinato sino a terra: «non tantum domini, sed Patres mei estis». Voi, o Beatissimo Padre, voi, venerabili Vescovi, voi, o sacerdoti tutti, voglio amarvi, obbedirvi e venerarvi tutti perché, più che padroni, siete i Padri della mia fede e dell’anima mia (Scr. 20,300).
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Noi dobbiamo essere di Dio totalmente: Dio ci vuol tutti e non per metà e ogni cosa che sapesse di carne e di sangue, scemerebbe, tu bene lo comprendi, o figlio mio, scemerebbe il nostro amore a Dio e non ci farebbe più essere tutti di Dio. «Deus meus et omnia!». «Mio Dio e mio tutto», diceva San Francesco d’Assisi; queste parole esprimono un gran sentimento e tutto il distacco che un figlio della Divina provvidenza deve avere dal mondo e anche dai parenti. «Deus meus et omnia!»: questo grido dell’anima di quel santo che fu «tutto serafico in ardore» portino tutta l’anima nostra in Dio solo! (Scr. 26,146).
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Senza la virtù, senza l’umiltà, la scienza vale nulla! Dirai anche a Fra Antonio che meglio è essere ignorante che peccatore. Cerchi e studi la scienza dei Santi; e spiegagli bene la preziosa sentenza di San Francesco d’Assisi: «Tantum scimus quantum in humilitate et in caritate pro Christo operamur». Pietà e lavoro! Preghiera e lavoro! (Scr. 34,118).
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Ho disposto da più anni che una bella immagine di San Francesco [d’Assisi] fosse posta nel piccolo nostro Noviziato e desidererei che tutti i miei figlioli in Gesù Cristo siano terziari, come sono io e abbiano devozione al serafico Patriarca nostro. E invito fin d’ora vostra paternità a venire a farmeli terziari quando ci troveremo tutti riuniti nei santi Esercizi Spirituali. Preghi per me, M. Rev.do P. Provinciale che sia primo a dare l’esempio ai miei confratelli di amare e di imitare San Francesco (Scr. 42,227).
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Noi dobbiamo imitare San Francesco d’Assisi, distaccarci dai nostri e dire e poter dire come lui: «Deus meus et omnia». Chi vuol essere discepolo di Gesù Cristo, si stacchi santamente dalla famiglia, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù Cristo stesso (Scr. 42,234).
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L’abito dovrebbe essere pronto per la sera del 3 corr; così lo benedirò la mattina del 4, che è San Francesco d’Assisi: non essendoci prima alcuna festa in onore di Maria SS.ma, lo vestiranno il 4, festa di San Francesco, che fu tanto devoto di Maria SS.ma e della santa povertà e ricorda anche il giorno in cui fui ricevuto dal Venerabile Don Bosco (Scr. 65,142).
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Ho pure un gran bisogno di avere un confessore che mi capisca e vorrei che avesse il cuore grande grande come San Francesco d’Assisi o come San Vincenzo de’ Paoli e mi pare che sarebbe ancor poco. Ma forse è superbia questa e Lei me lo dica e preghi per me (Scr. 110,150).
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Sapete perché nelle Chiese si vede il braccio di San Francesco abbracciato ad un braccio nudo? Voi avrete certo creduto che fosse il braccio di Gesù Cristo! No, è il braccio della povertà, a cui San Francesco si era sposato: si dice infatti “povertà francescana” perché, nei conventi di San Francesco, si osserva rigorosamente la povertà. I suoi seguaci sono amati dal popolo, perché capisce che son poveri come lui, che non si arricchiscono nel loro ministero. Il popolo vede di mala voglia i sacerdoti far la vita dei signori (Par. I,199).
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San Francesco d’Assisi è chiamato il Poverello d’Assisi. Giotto fece l’affresco di San Francesco nelle cui mano ci sono le stigmate, che abbraccia la povertà. Avete visto i due bracci incrociati? Un braccio è di San Francesco; e l’altro braccio è il braccio della povertà. E i suoi frati sono venerati dal popolo per la loro povertà. Padre Fedele, quello che venne qui ieri, era il rettore del seminario di Vigevano, una delle prime personalità di Vigevano; ora è cappuccino. Impariamo da San Francesco a imparare la santa povertà; il frate cappuccino è il frate popolare per la sua povertà; allora i frati andavano a piedi, oggi si è un po’ modificato, secondo il bisogno (Par. II,107).
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Io fui condotto a Torino il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi. Ero andato a Voghera il 1° settembre del 1885. Cosa volete, certe date non si possono dimenticare. Quando dunque mi trovai a Torino mi si aprirono gli occhi e il cervello, capii la grazia grande che avevo ricevuto nell’essere stato malato, dopo sette mesi, a Voghera, perché quella malattia mi aveva condotto da Don Bosco. A Voghera, dopo la convalescenza, tutti mi guardavano, perché tutti mi vedevano dimagrito. Dopo i mesi di malattia, il dottore che mi visitò mi trovò la palpitazione di cuore. Capii poi a Torino che San Francesco mi aveva consegnato a Don Bosco (Par. III,7).
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Quanto bene ha fatto San Francesco, il poverello d’Assisi. Ha trasformato, si può dire, la faccia del mondo intero. Fu lui, povero, lui, vestito di stracci, lui che era stato cacciato dal patriarcato lateranense, dalla corte pontificia perché non vestito bene, lui fu visto a sorreggere la Chiesa Santa di Dio; il pezzente, il poverello teneva in piedi da solo la Chiesa lateranense, Capo e Madre di tutte le Chiese. San Francesco cominciò l’edificio della sua perfezione svestendosi dell’abito di cavaliere per vestire l’abito dei mendicanti. La povertà dev’essere il saldo muro di difesa della Congregazione. Là dove essa è coltivata, là fiorisce lo spirito di Dio; là dove è dimenticata, entra la dissoluzione e cadono i cenobi più celebri (Par. IV,290).
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Leggendo la vita di San Francesco si trova che, quando il Santo consegnò ai suoi frati la Regola, disse loro che desiderava che la Regola fosse «sine glossa» e senza commento, senza coda, senza aggiunte; che cioè si prendesse nella sua semplicità della quale doveva risplendere agli occhi di quelli che volevano vivere la vita francescana. Più di una volta mi passarono nella mente queste parole di San Francesco e le raccomandazioni di quel Santo che fu tutto serafico in ardore, che illustrò la Santa Chiesa e che rese visibile nelle proprie stigmate la immagine di nostro Signore Gesù Cristo. Più di una volta mi passarono nella mente le parole di San Francesco e ho detto: «Se la Regola francescana fosse stata vissuta “sine glossa”, non avremmo avuto tante divisioni nel nome stesso di San Francesco» (Par. V,83–84).
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San Francesco d’Assisi è chiamato il Poverello d’Assisi e Dante dice che Madonna Povertà era vedova da mille anni: egli la trovò derelitta e la sposò. San Francesco fu il Santo che più imitò da vicino nostro Signore Gesù Cristo nella virtù della povertà. La virtù della povertà consiste nel rallegrarci quando siamo privi di ciò che ci abbisogna e dobbiamo restarne contenti pensando di essere più vicini a Gesù nella povertà (Par. VI,258).
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Ho sempre ritenuto – ripeto – che l’essere entrato da Don Bosco nella festa di San Francesco sia stata una grazia concessami dal Santo, in vista delle lacrime sparse per restar fedele alla vocazione francescana. E, quando andavo a casa, da Don Bosco a Pontecurone, in vacanza e anche da seminarista, non mancavo di far visita ai miei Frati ed essi correvano a vedermi e si meravigliavano che fossi ancora vivo, come si corre a vedere una bestia rara. (si ride) Ed il Convento di Voghera, venuto poi a noi in modo veramente mirabile, è ancora intestato ai Frati; e quest’anno, essendo venuto a mancare uno dei tre Frati a cui è intestato abbiamo dovuto pagare la successione. Non abbiamo ancora fatto il trapasso e ritengo, almeno per ora, di dover fare così... Ripeto: attribuisco a San Francesco la grazia di essere andato da Don Bosco. San Francesco! Che grande Santo San Francesco! Il nostro Dante parla di lui al capo XXVII dell’Inferno; non già che lo metta all’inferno; ma ad un certo punto, c’entra San Francesco, là dove accenna a Costantino e San Silvestro e dove dice che “assolver non si può chi non si pente”...; poi ne parla più propriamente, anzi lo canta, al capo undicesimo del Paradiso... Forse di nessun santo Dante parla con tanta vena di entusiasmo! Lo dice “tutto serafico in ardore” e “la cui vita meglio in gloria del ciel si canterebbe”... Dante, che sentì mirabilmente lo spirito francescano, celebra le stimmate di San Francesco che il Santo portò nelle sue membra vive per due anni (Par. IX,391).
Vedi anche: Santi.
San Francesco di Sales
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Quando la casa va a fuoco, diceva San Francesco di Sales e va a fuoco d’amor di Dio, quante cose che sembravano necessarie e sono sciocchezze, quante ragioni sottili che sembravano grandi motivi e diritti da conservare, da difendere, si buttano dalla finestra, ma quando la casa d’amor di Dio va a fuoco; e si capisce allora che erano, certe grandi ragioni e diritti, erano poco o tanto sciocchezze da femminucce, se pur non erano amor proprio e altro! Fuoco! Fuoco! Amiamo il Signore! Amiamo il Signore! e non perdiamo un tempo così breve, così prezioso (Scr. 5,482).
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Questa deve essere la tua orazione di tutti i giorni, o mio caro figlio e prendi le cose sempre dalle mani di Dio e si dolce più che puoi, ricordando quel detto di San Francesco di Sales: «che si piglian più mosche con un cucchiaio di miele che con un barile di aceto». Se si ha da cadere in un estremo sia quello della dolcezza per noi sacerdoti e religiosi (Scr. 29,125).
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Se non potete prefiggervi S. Carlo per modello, prefiggetevi San Francesco di Sales, usando anche verso voi stesso della dolcezza di questo gran santo e non esigendo troppo dalla vostra debolezza: anche questa è carità e umiltà e attività di spirito degna di un Vescovo – essere dolce verso sé stesso – né turbarci per il nostro far nulla, ma stare con Gesù in croce e non dubitare di salvare meno anime che quando si stava con Gesù nella vita attiva (Scr. 45.32).
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Tu devi prenderti per protettore speciale San Francesco di Sales che è il santo della dolcezza e della mansuetudine e ricordare che Gesù ha voluto essere indicato sotto la figura di agnello mite e dolce. E quando ha detto che noi dobbiamo imitarlo e imparare da Lui, non disse di imparare da Lui e fare il mondo o cose straordinarie, ma discite a me quia mitis sum et humilis corde. E così imparerai la affabilità: caccerai da te la collera e avrai dolcezza e carità (Scr. 46,96).
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La Divina Provvidenza vuole condurvi e mi pare voglia servirsi di voi per altro a gloria di Dio e a bene delle anime Prendete la vita di San Francesco di Sales e bevete a quello spirito là lasciatevi condurre senza sollecitudine, ché Dio sa quello che è meglio per voi e per codesto popolo e vi vuole molto bene (Scr. 64,124).
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I Santi della gioventù hanno creata e diffusa un’atmosfera sana d’allegria intorno a sé. San Francesco di Sales, studente, era l’anima della ricreazione fra i condiscepoli; e anche dopo che era Vescovo di Ginevra, non mutò umore; una volta, per divertire i suoi fratelli, fece anche da attore in una rappresentazione sacra; si capisce, quando non era ancora Vescovo (Scr. 104,239).
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Quando Bertoni mi venne a parlare, stava leggendo lo Spirito di San Francesco di Sales ed ho sentito tanto sapore che quantunque da qualche tempo prenda ogni tanto in mano quel santo libro, mai ne ho provato tanto spirituale beneficio. e mi ricordava i primi anni di Seminario quando Ella era la guida dell’anima mia e per le Sue mani riceveva il Signore Nostro e le sue parole mi suonavano sacre (Scr. 106,4).
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San Francesco di Sales, parlando della Croce di nostro Signore, diceva che non si sa di che legno fosse, se di legno duro o di legno dolce; non si sa, perché la Croce di nostro Signore era tutto di puro amor di Dio e quindi bisogna che quelli che intendono servire Dio abbraccino la croce con entusiasmo, decisi di vivere con essa e morire su di essa (Par. I,83).
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Che cos’è la pietà? Io ve ne parlo come ne parla San Francesco di Sales, il Santo della dolcezza, di cui è stato detto che, dopo Gesù, San Francesco era il santo più dolce che sia mai esistito sopra la terra. E sì che era un temperamento bilioso, irascibile... San Francesco di Sales, dunque, definisce la pietà un culto devoto che è radice di ogni virtù sincera; è linguaggio d’amore tra l’anima e Dio, è un cumulo di soavità (Par. II,30).
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San Vincenzo de’ Paoli, quando voleva rappresentarsi al vivo la mitezza di Gesù Cristo, si metteva dinanzi la figura del vescovo di Ginevra, San Francesco di Sales, il santo della mitezza. Doveva essere giunto a ricopiare molto perfettamente Cristo nella mitezza, se diventò così dolce e più con la dolcezza, con la sua umiltà e dolcezza, che con la sua scienza, convertì gli eretici nello Sciablese (Par. VII,72).
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San Francesco di Sales seppe talmente vincersi, correggersi, modificare il proprio carattere che divenne il santo più dolce e San Vincenzo de’ Paoli diceva che, quando voleva figurarsi la dolcezza e amabilità di Cristo, pensava a Monsignore di Ginevra. Dopo morte gli trovarono il fegato pieno di sassolini (Par. IX,451).
Vedi anche: Santi.
San Giovanni Bosco
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Sono molto, molto, moltissimo contento, che lunedì, 31 corr., Festa di S. Giov. Bosco, e giorno della sua santa morte, facciate il primo pane della Div. Provvidenza. Ne manderete un chilo al Rev.mo Don Pietro Ricaldone, Sup.re Generale dei Salesiani, Successore di Don Bosco, Via Cottolengo, 32 – Torino, in devoto ossequio al Santo e alla Congregazione Salesiana; un chilo al Visitatore Apostolico Don Em.le Caronti, Abate Gen.le dei Benedettini Sublacensi – a S.ta Scolastica in Subiaco (Roma) per devoto ossequio: primo pane del Noviziato della Divina Provvidenza, e un pane mandatelo anche a Don Sterpi e a Don Orione, uno per tutti e due: la stessa fede, lo stesso spirito di carità, di vocazione, di sacrificio, e uno stesso pane (Scr. 3,503).
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Tutto è grazia di Dio: il pane, la biancheria, gli utensili di casa, gli strumenti del lavoro, e la vita e la salute che Dio ci dà, perché colle opere ci guadagniamo il Paradiso. Io ho conosciuto il Ven.le Don Bosco, e Don Bosco diceva che aveva fondata la compagnia di toch perché andava a cercare per gli angoli della Casa tutti i toch di pane, e perché negli abiti vestiva poveramente a toch: puliti sì, ma poveri con pezze aggiunte. Ed io una delle ragioni per cui non mi sono fatto Salesiano fu perché ho veduto Don Carlo Viglietti vestito troppo elegantemente, con un abito che pareva che lucesse, e poi l’ho visto anche con un sigaro in bocca. Ero ragazzo allora, ma bastò quello, ed ho detto: se è per farmi santo, non voglio andare dove ci sono preti e, peggio religiosi vanitosi e vestiti di seta e che vanno pompeggiandosi (Scr. 4,266).
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Da qualche tempo io non so più scrivere senza metterci in mezzo il nome della SS.ma nostra Madre, e sono sempre tanto ma tanto confortato ogni volta che posso pregare o invocare o almeno guardare a qualche immagine della Madonna! Questa devozione la devo al venerabile Don Bosco e così il mio grande amore al Papa e alla SS.ma Eucaristia. La nostra piccola Congregazione deve con me essere sempre tenuta ai Salesiani per questo insigne beneficio. Le nostre idee sono una eredità avuta da Don Bosco. Vi raccomando i Chierici e probandi: fate che crescano con lo spirito di amore di Dio e della Madonna SS.ma e della Santa Sede (Scr. 12,124).
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Vorrei che si leggesse la Vita del Ven.le Don Bosco e se non ci fosse, quella di Savio Domenico o del B. Cottolengo. Quella di Savio Domenico può leggersi nel refettorio dei piccoli (Scr. 13,53).
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Forse noi educhiamo i nostri chierici più col timore che con la carità, press’a poco come era – una volta – l’educazione che noi chierici ricevevamo nel seminario, dove c’era un certo rigidismo, un certo freddo fra i chierici e i superiori, che ci teneva a troppa distanza, a troppa separazione, a troppo distacco – si sentiva l’alto e il basso troppo marcato. Don Bosco e i salesiani non facevano così noi si era di Don Bosco, perché Don Bosco era nostro, vivevamo della bontà del suo cuore, e la sua vita era la nostra vita! Ecco perché eravamo tanto affezionati a Lui! E non si poteva più dimenticare e si rimaneva suoi anche da lontano. Bisogna che facciamo così anche noi, caro don Bruno, facciamoci amare in Domino, come faceva Don Bosco, che era un Angelo ed educava degli angeli, ma facciamoci amare più che temere (Scr. 23,185).
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Non dimenticherò mai che, dopo Dio e la Madonna devo al Ven.le Don Bosco e ai salesiani la grazia di essere Sacerdote e di avere avuto una scuola di grandi virtù (Scr. 38,209).
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Mentre scrivo è l’ora in cui forse si tiene in Vaticano la seconda Congregazione preparatoria sulle virtù del Ven.le Don Bosco. Ho pregato e fatto pregare per il buon esito di essa, e non dubito che fra non molto il Ven.le sarà beatificato; e confido che la misericordia di n. Signore mi concederà la grazia di celebrare sul suo corpo benedetto, come mi pareva che mi dicesse una voce circa 38 anni fa, mentre pregavo presso la tomba del Venerabile a Valsalice. Però non l’ho mai detto, perché ho sempre temuto di sbagliare, o che ci avesse parte la fantasia o che ci potesse entrare della superbia. Ho allora sentito in me una grandissima consolazione e serenità e ancor mi pare fosse una di quelle briciole che cadono dalla Mensa del Signore. Confido questo a lei in questo giorno, mentre in Vaticano si tratta delle virtù del nostro caro Padre e oso scriverlo unicamente per dare gloria a Dio e a lui e a conforto di lei che mi vide ragazzo all’oratorio, però resti a lei. Vedo che scrivendomi ella mi dà del lei; ma perché? No, caro signor don Trione, mi dia ancora e mi dia sempre del tu: sono e voglio essere sempre quel vostro povero ragazzo, che venne accolto da Don Bosco, e cresciuto per tre anni sotto il manto di Maria Ausiliatrice, visse del pane dei salesiani alla scuola di pietà di sacrificio, di lavoro di quella schiera salesiana di uomini di Dio, il cui ricordo dopo circa quarant’anni è ancora tanta luce che illumina e viene confortando la mia vita. Dopo Dio e la SS.ma Vergine tutto io devo alla carità del Venerabile e dei salesiani, se ho potuto avviarmi al sacerdozio (Scr. 38,235).
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Don Bosco! Uomo d’idee grandi come grande la carità di Gesù che infiammava l’anima sua di educatore e di apostolo, dalla meditazione e dal crocifisso trasse e la vita e la forza per sé e pe’ suoi. Il più umile e il più attivo degli uomini che abbia conosciuto: semplice e affettuoso: gagliardo nel volere: ardente di pietà: esperto nel saper valersi di tutti per fare del bene e di tutti i rami dello scibile per educare, fu veramente il sacerdote di Dio, il sacerdote dal cuor vasto senza confini! In lui lo spirito di Vincenzo de’ Paoli e di Francesco, il poverello d’Assisi: la carità che animava e accendeva l’anima di Paolo: Charitas Cristi! Di fede incrollabile in quella Divina Provvidenza che veste di piume gli augelli del cielo: fu salutato apostolo della gioventù e avuto come mandato dal Signore. Prete altrettanto modesto quanto santamente straordinario, anima fervente e piena dell’amore di Cristo verso tutti, senza distinzione di classe, ma specialmente verso i figli poveri e abbandonati! sul suo cuore ogni anima trovava un conforto, ogni lacrima una consolazione, ogni orfano un padre, una madre e qualche cosa di più! E lo sa bene chi scrive, o figlioli della Provvidenza! Non si può pensare a Don Bosco senza vederci innanzi un mondo di cose e di istituzioni. Lui per Torino a raccogliere monelli di Porta Palazzo, e ne’ ritiri della benefica Marchesa di Barolo a confessare: lui nelle carceri con don Cafasso, e negli oratori festivi, dove i suoi birichini gli rompono tutto, e vanno crescendo a dismisura, e irrompono come fiumana per gli orti di Valdocco e per le strade (Scr. 61,10).
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Don Bosco non aveva redditi di sorta, eppure non una volta gli è venuto meno il coraggio, non una volta si è perduto di fede: lavorava come se Dio non avesse dovuto pensare a lui, ma lui fidava tutto in Dio. La fede e la fiducia che aveva nella Divina Provvidenza era illimitate, erano tutto. Quando ci andavamo a confessare si veniva via che si aveva il cuore più buono, più grande, dilatato... eravamo piccoli, e la sua carità ci trasformava, ci faceva giganti: e chi non si sarebbe sentito pronto a qualsiasi sacrificio e a dare mille volte la vita per Don Bosco? Ah erano pur giorni beati! Allora la fede era vita, la carità era fiamma del cuore! Oh Don Bosco... come ti sento ancora! Come ti ho sentito l’altro ieri quando la mano del tuo successore si posava sulla mia povera testa! . nella sua voce ho sentito la voce tua; nella sua parola la parola tua, dolce, amorevolissima! Là, davanti alla tua tomba m’è parso d’aver veduto la tua figura veneranda, la tua santità affabile, attraente, tutta tenerezza tutta ardore di carità divina! Don Bosco! Oh quelle sere in cui parlavi ai tuoi figlioli, o Don Bosco, e la serenità del tuo spirito illuminava l’anima mia! O giorni santi, giorni belli della mia vita, o giorni dell’innocenza, perché non tornate ancora? Allora non si sognava che mari da solcare e anime da salvare..., si pregava e si pregava tanto..., si supplicava a Gesù che ci avesse fatti crescere presto per presto poter lavorare, e correre a salvare su arene lontane i lontani fratelli! Ora finalmente i mari sono venuti... e un angelo ne chiama a salvare anime nel nome del Signore! Ma in quei giorni in cui, benedetta dal santo Vescovo ai cui piedi è nata, l’Opera della Divina Provvidenza porterà le sue tende pacifiche anche nella lontana Sicilia là, a Castelnuovo d’Asti, a centinaia e a migliaia accorreranno i tuoi antichi Allievi, o Don Bosco! si allieteranno attorno al vecchio casolare, e, nel monumento che l’amore dei figli ti ha innalzato, saluteranno le venerate sembianze del padre! (Scr. 61,12–13).
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È noto che Don Orione venne accolto giovanetto, all’oratorio salesiano di Torino, dalla carità di Don Bosco e avviato al santuario. Fu egli fu tra gli ultimi penitenti del Beato Don Bosco, anzi il più giovane, e l’unico che facesse ancora il ginnasio inferiore. Fu tra i pochissimi scelti a far toccare al corpo del Beato gli oggetti che la moltitudine dei visitatori portava quando la venerata salma di Don Bosco, rivestita degli indumenti sacri da Messa violacei, venne esposta, seduta su d’un seggiolone nella chiesa di S. Francesco di Sales dell’oratorio di Valdocco. Il nuovo santo fu poi sempre largo di conforti e di benedizioni verso la Piccola Opera della Divina Provvidenza (Scr. 64,230).
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Il Venerabile Don Bosco, che ho avuto la grazia di conoscere, ho avuto per confessore quando studiavo a Torino, aveva tanto lavoro, eppure a vederlo, era sempre così sereno, così calmo e così tranquillo, che pareva non avesse nulla da fare, ma lavorava sempre. Dunque, coraggio, fede e pazienza, o buona Madre Cherubina, e buone Figlie della Divina Provvidenza: il sacrificio col quale aspettiamo il tempo e il momento del Signore, non va perduto davanti al Signore, ma vale anzi molto agli occhi suoi (Scr. 68,62).
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Continua nella visita a Sant’Anna e falla pel tuo fratello... Quell’altare sai, oh se mi è caro! Sovra quella sacra mensa, due anni or sono, alcuni amatissimi miei condiscepoli sacrificavano la loro vita pel moribondo D. Bosco, ed io aveva la consolazione di servire a quella S. Messa in cui si offriva a Dio la vita pel più caro dei padri (Scr. 70,194).
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Ho sempre pregato per te, caro Nicodemo, e per la tua perseveranza nella vocazione, e ti ho sempre portato nel cuore. Ricordo di aver letto io stesso una lettera che il Venerabile Don Bosco scriveva ad uno dei suoi cari figliuoli in Gesù Cristo, al quale venivano, come ora a te, dei dubbi che Don Bosco non gli volesse più bene. Era il demonio che cercava, anche con quel mezzo, strappargli la vocazione e di allontanarlo dal padre della sua anima. Ebbene, Don Bosco gli scriveva dunque così: “tu sei sempre il padrone del cuore di Don Bosco”. Se si pensa quanto quel Santo era delicato, bisogna pur dire che ben deve aver fatto il suo sforzo supremo per usare una simile frase; ma si trattava di un’anima e d’un suo figlio in X.sto! Ebbene, mio carissimo figliuolo nel Signore, io vengo a confortarti con affetto più che di padre, benché non ti potrò scrivere lunghe cose: sii devoto della SS.ma Vergine e fa bene ogni pratica di vita religiosa, vincendoti e tenendo caldo il tuo cuore di pietà; frequenta la S. Confessione e fa la Comunione ogni giorno; mortificati negli occhi, nella gola, nella fantasia, nei sensi; lascia ogni lettura morbosa, pericolosa o semplicemente vana e fuggi l’oziosità. Prega di più e apri il tu cuore con la semplicità d’un bambino a Don Mario. Quanto a questo povero peccatore, che ora ti scrive, prega per lui e non dubitare mai di tutto il suo affetto per te (Scr. 81,26).
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Don Bosco è dunque Venerabile. È pure per noi una grande consolazione Fu Don Bosco che mi accolse ragazzo al suo Oratorio di Torino che prese in mano la mia anima e l’amò di dolcissimo affetto. Io e tutti i figli che la Divina Provvidenza mi ha dato siamo tutta roba di D. Bosco e quindi vengo per me e per tutti a passare due giorni di ringraziamento con Lui ed essendo la prima volta che ora vengo a Lui Sacerdote spero potere celebrare presso, la sua Tomba e per lui (Scr. 92,105).
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Don Bosco è stato Sacerdote devotissimo alla Chiesa: e figlio del popolo, fu educatore dei figli del popolo, forse senza pari in Italia: volle la gioventù cresciuta a fede operosa, a pietà eucaristica fervente e lieta: all’amore della famiglia e della Patria. Fu lavoratore intelligente e indefesso e al lavoro e a vita onesta, laboriosa, temperante educò i suoi giovani. Don Bosco credeva che l’Italia avesse da Dio una grande e santa Missione di fede e di civiltà, da compiere nel mondo, e vi cooperò quanto poté da buon italiano, mandando i suoi in tutti gli stati d’Europa, in Africa, Asia, Nord e Sud – America, oggi sono in Oceania. Giovani, leviamo il cuore e la fronte, e camminiamo alla luce di tanto Maestro! Le devozioni di Don Bosco: Gesù Sacramentato Maria SS.ma il Papa (Scr. 94,235).
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Don Bosco studiava l’indole, il carattere di ciascuno, le tendenze, eccetera, con più amore che una madre. – Li preparava con qualche parola, con qualche incarico di fiducia, col fascino del suo affetto paterno; cosicché, quand’era giunto il momento, diceva all’orecchio: – Non ti piacerebbe consacrarti al Signore per salvare anime? – E il fortunato vedeva già con luminosa chiarezza la propria vocazione. – Egli, Don Bosco, aveva coltivato il germe celeste fino al suo pieno sviluppo (Scr. 99,114).
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A Tortona entrando avrete veduto i due busti del Cottolengo e di D. Bosco. Questo vi dica, cari figlioli, quale è lo spirito che la congregazione deve avere: abbracciare i più poveri, gli ammalati, come li abbracciava il Cottolengo, educare i fanciulli poveri come li educava D. Bosco. Questo è lo spirito della Congregazione, ed è per me quasi una spina e temo tanto per quei sacerdoti dedicati in alcuni istituti all’educazione non di poveri, ma di ricchi. Il nostro scopo è di intensificare l’amore a Cristo e al suo vicario, esercitare sui più poveri ed abbandonati le opere di misericordia spirituali o corporali. Se qualche cosa mancava alla parentela nostra col Cottolengo e con D. Bosco, questa venne attuata nel giorno delle loro canonizzazioni, quando ebbi la consolazione di sedermi tra i loro parenti che parlavano il piemontese e vivevano in questi paesi. Noi siamo i parenti del Cottolengo e di D. Bosco! Cerchiamo dunque di avvicinarci a loro nello spirito – avvicinarci al Cottolengo con lo spirito di fede... ma di quella... per cui il Signore benedice la Piccola Casa della Divina Provvidenza – avvicinarci a D. Bosco con grande spirito di sacrificio, di attaccamento alla santa Chiesa, al Papa, ai Vescovi (Scr. 117,85).
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Io, che ebbi la fortuna di essere allievo di don Bosco e posso assicurare che non una parola di quanto ho sentito dalla sua bocca trent’anni or sono, di quelle sue previsioni, che egli chiamava sogni, è finora caduta invano. Tutto si va verificando. Non vi dico ciò per mettervi spavento, ma per impegnarvi a pregare e a confidare nel Signore (Par. I,149).
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Guai ai disonesti, guai agli scandalosi, guai a coloro che tirano le anime alla perdizione. Piuttosto che dar scandalo, legatevi una macina al collo e gettatevi in mare. Il Venerabile Don Bosco, che è stato il mio confessore, – anzi, quando egli morì, io ero il più giovane dei suoi penitenti, – amava molto la santa virtù, era molto puro, molto puro! Mi direte che parlo sempre di Don Bosco... Che Dio inaridisca la mia lingua, prima che io cessi di benedire quel Santo Uomo. Don Bosco era robustissimo; ma essendo molto vecchio, aveva 72 anni, soffriva molto a camminare per le gambe che gli si gonfiavano. Come poi mi disse il suo Segretario, che era con lui da oltre 26 anni, e che vi ho nominato in principio, Don Bosco aveva camminato tanto, si era tanto strapazzato, che le gambe gli si sfasciavano e bisognava sorreggerlo sotto le ascelle per aiutarlo a camminare. Una volta, non era come adesso che anche i Preti vanno in bicicletta; allora si andava a piedi, oppure in baroccio; di treni non ce n’erano ancora. Ebbene, quel Santo Uomo aveva camminato tanto che le gambe non lo servivano più, non si poteva più reggere, e mi ricordo di un fatto che vi racconto, anche per farvi vedere come i ragazzi capiscono tutto, anche quando non sembra. Un giorno Don Bosco doveva scendere a dire la Messa in Maria Ausiliatrice; lo avevano fatto scendere dalla sua camera, sorreggendolo molto modestamente, e tutta la gente si alzava per vederlo passare. Dopo la Messa lo lasciavano sempre camminare un pochino da solo. Quel giorno, allora, io che ero presente, ho assistito ad un fatto che non si è mai più cancellato dalla mia mente; e ragazzo come ero, ne ho capito tutto il significato. Una grande signora di Torino, benefattrice insigne di Don Orione, vecchia anch’essa di 60, o 65 anni, la contessa di Robilante, vedendo che faceva fatica a camminare, si avvicinò a lui e gli disse: Signor Don Bosco, si appoggi al mio braccio! E Don Bosco, pronto, in santa semplicità senza mortificarla, finse come di guardarla e disse sorridendo: Sarebbe bella che un maestro di ginnastica avesse bisogno di appoggiarsi al braccio di una grande Signora! Non disse di sì, non disse di no, ma in modo santamente delicato fece ben capire che non voleva appoggiarsi. Vedete come ci insegnano i Santi! (Scr. 1,214–215).
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Don Bosco a fin d’anno dava vacanza ai suoi scolari, dal 16 agosto al 1 ottobre. Un anno vado a chiedere il permesso di andarmene un poco a casa, in vacanza, anch’io, e lui: E chi ci hai a casa? Mia madre, rispondo, e un fratello che ha 13 anni più di me, ed è mio padrino... E nessun altro? No... Sorelle? No, nessuna... Vai pure, ma per otto giorni soli! Notate che io allora non ero mica un chierico! Ebbene, invece di 8 giorni, mi son fermato 10, e rientrai il 26 agosto. Al mio ritorno Don Bosco non c’era. Quando venne, tutti i ragazzi gli corsero incontro facendogli gran festa. Io pure ero nel numero, felice di rivederlo, tanto più che a me pareva di essere il suo beniamino, il più benvoluto! Cosa volete, avevo quell’idea lì, a me pareva che mi portasse un interesse speciale di dilezione. Anch’io, dunque, spinsi tanto che arrivai vicino a lui, e riuscii a prendergli un dito. Ma solo che Don Bosco parlava con tutti, scherzava con tutti, e quando arrivava a me saltava, senza dirmi una parola, senza nemmeno guardarmi. E mi tenne così in castigo sino alla vigilia della sua morte. Che avevo poi fatto? Per grazia del Signore mi ero comportato proprio da buon ragazzo: al mio paese andavo sempre in Chiesa, col mio libro di preghiere, e non conoscevo altra strada che quella che mena ad una cappelletta della Madonna e al Cimitero. Don Bosco non mi riconobbe più, non mi guardò più fino alla vigilia della sua morte. “Vi assicuro che non sono mai più andato in vacanza e, quando ero in Seminario, nemmeno allora andavo a casa, ma stavo per tre mesi, solo, in seminario”. Dicevano: ma quello lì è matto! Ed io lo facevo per deferenza verso Don Bosco, ricordandomi che era contrario a lasciarci andare a casa (Par. I,218).
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Il venerabile Don Bosco diceva: due perle devono risplendere sulla vostra fronte: Lavoro e temperanza. Don Bosco si potrebbe chiamare il Santo del lavoro... Nella Chiesa ci sono i santi per i vari casi: per i casi impossibili, c’è Santa Rita e Sant’Espedito, che è il Santo dei casi disperati; e cosi in altri casi si invocano altri santi. Vi dico che il venerabile Don Bosco arriva a confessare anche sedici ore di fila senza prendere fiato (Par. II,79).
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Quando dunque mi trovai a Torino mi si aprirono gli occhi e il cervello, capii la grazia grande che avevo ricevuto nell’essere stato malato, dopo 7 mesi, a Voghera, perché quella malattia mi aveva condotto da Don Bosco. A Voghera, dopo la convalescenza, tutti mi guardavano, perché tutti mi vedevano dimagrito. Dopo i mesi di malattia, il Dottore che mi visitò mi trovò la palpitazione di cuore. Capii poi a Torino che San Francesco mi aveva consegnato a Don Bosco (Par. III,7).
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Don Bosco fu il mio confessore, il vero padre dell’anima mia, colui a cui dopo Dio e la Santa Madonna devo se oggi sono Sacerdote di Cristo. Egli mi accolse dai campi. E quando venni a Tortona nel Seminario per farmi Chierico, la notte della vigilia del mio ingresso feci questo sogno: Mi pareva di vedere il grande cortile del collegio di Torino, dove i ragazzi si divertono a centinaia, trasformato in un immenso giardino, coperto di fiori, e vi erano in maggior abbondanza, fiori di biancospino... In mezzo a questo giardino si alzava un piccolo colle e io mi trovavo sopra di questo. Ad un tratto il Cielo si aprì e discese Don Bosco tenendo una veste talare tra le mani, me la indossò, vestendomi da Chierico. Mi svegliai profondamente commosso e piangevo e mi asciugavo le lagrime con le lenzuola... Son passati quarant’anni circa da quel giorno e fu tanta la mia impressione che mi pare quello un sogno fatto in questa notte (Par. III,130).
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Io fui presente al miracolo della moltiplicazione delle nocciole operato da Don Bosco. Tornava il venerabile Don Bosco da Lanzo. E noi appena si sentì che arrivava Don Bosco gli corremmo tutti incontro. Egli ci ricevette con il suo sorriso e ci portava un sacchetto di nocciole che sarà stato alto sessanta centimetri e largo venti. Aprì il prezioso sacchetto e incominciò a distribuire nocciole a manciate. Già altre volte aveva moltiplicato caramelle; ma il venerabile Don Bosco era il Santo delle nocciole. Noi eravamo mille e cento; il Venerabile ne diede a tutti e ne avanzò quasi pieno il sacchetto, che poi rovesciò dal balcone. Il Venerabile Don Bosco mi fece molto bene; e quando morì, e un anno dopo la sua morte, avevo quindici anni, mentre pregavo sulla sua tomba, sentii che avrei assistito alla sua beatificazione (Par. III,189).
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Per grazia del Signore non mi sono mai pentito di aver messo l’abito da Chierico, anzi l’avrei messo mille volte al giorno se non l’avessi ancor messo. Era il giorno 16 ottobre; poiché in quell’anno l’apertura del Seminario si era un po’ ritardata; io ne ero dispiacente; avevo tanto desiderio di mettere l’abito chiericale il 15 ottobre, giorno dedicato a Santa Teresa, verso la quale mi sembrava di avere un po’ di devozione. Inoltre dei dubbi, delle ansietà, dei timori rattristavano l’anima mia. Mi sembrava di aver mancato di riguardo a Don Bosco per non essermi fatto Salesiano. E il Signore, forse per consolarmi di questo santo timore verso il caro Padre Don Bosco, mi mandò un sogno. Sognai di trovarmi nel cortile dell’Oratorio Salesiano di Valdocco, in quel cortile dove mi ero tanto divertito, perché io ero tra i più ardenti giocatori, dove avevo passato l’ultimo e il penultimo anno del Ginnasio superiore. Or dunque mi trovavo in questo cortile; ma non era più cortile, tutto si era cambiato in grazioso giardino fiorito di fiori bianchissimi e purpurei. Questo giardino era bello; ben disposte e ben coltivate le aiuole, ma non era tutto piano. Vi era una piccola montagnola in mezzo e in questa mi trovavo io: e mentre estasiato guardavo ammirando tanta bellezza d’intorno, su nel cielo – cielo terso e di un azzurro bellissimo – appare una luce bianchissima che si avvicinava, si avvicinava... In mezzo stava Don Bosco, splendente come non lo avrei mai immaginato; Don Bosco mi consolò e mi mise lui stesso l’abito da Chierico. In questo punto io mi svegliai, ero tutto racconsolato. E così poi, senza timore ricevetti l’abito per le mani di Monsignor Daffra, sicuro che a questa strada il Signore mi aveva indirizzato e non ad altra, e mai ripeto, ho sentito rincrescimento di essermi messo in questa strada. E sono quarant’anni da che ho messo l’abito (Par. III,217–218).
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Dopo tutte le feste che ci sono state in Torino, e voi le avete viste, è ben giusto che vi dica qualche cosa di Don Bosco. Perché, come avete sentito, da quel Sacerdote, Don Ricaldone, i Salesiani ci considerano come fratelli cioè considerano me e voi come altrettanti figli di Don Bosco. Ebbene, questa sera voglio raccontarvi un sogno. Un sogno che ho fatto quando ero giovane come voi e stavo per mettere la veste da Chierico. Erano due anni dopo la morte di Don Bosco e io, che allora avevo 17 anni circa, dubitavo quale fosse la mia strada, tanto che, durante gli Esercizi, avendo passato parte della notte a Valsalice a pregare sulla tomba del Beato per sentire quale fosse la volontà del Signore in questa circostanza. Allora io stavo per entrare nel Seminario qui in Tortona e mettere la veste per mano del Rettore, poi Vescovo di Ventimiglia. Tuttavia, avvicinandosi l’ora di indossare la veste, sentivo una certa ripugnanza e timore di fare quel passo, e a questo dispiacere s’aggiungeva anche quello di non essere andato in Noviziato dai Salesiani. E mi ricordo che avrei voluto venire un giorno prima a Tortona, perché quel giorno era il 16 ottobre, festa di San Gallo abate e mi ricresceva di non poterla mettere il 15, festa di Santa Teresa di Gesù perché io ho sempre avuto speciale devozione a questa Santa, tanto che quando, anni dopo, ho aperto la prima Casa in San Bernardino, ho voluto che si aprisse il 15 ottobre festa di Santa Teresa. Vedendo dunque che non potevo mettere la veste quando mi sembrava meglio, e cioè il 15 di ottobre, avevo un altro dolore e mentre ero così mesto e alquanto abbattuto, ho avuto un sogno. Mi sembrava di essere a Torino nel Collegio di Don Bosco, ch’era morto due anni prima. Mi trovavo nel cortile e parte di questo era trasformato in un bel giardino con tante e tante belle piante di fiori e in mezzo al giardino c’era una montagnola, un piccolo rialzo di terra, alto all’incirca quanto queste acacie che vedete qui, una bella montagnola con dei bei vialetti, aiuole e bellissimi fiori e piante di ogni specie. Mi sembrava di avere sotto gli occhi gigli, violette, garofani e tanti altri fiori. Dite un po’, se foste stati voi che cosa avreste fatto? Sareste corsi là, certamente. Così feci anch’io e così su quella bella collinetta mi misi a girare per il vialetto e a guardare quei fiori ed ero tutto contento. Ma ecco che per caso alzai gli occhi e vidi che il cielo si era aperto ed era venuto giù Don Bosco il quale, giunto vicino a me, mi vestì da Chierico. Poi tutto scomparve, e io credo che con ciò Don Bosco abbia voluto consolarmi e mettermi sotto la sua protezione. Cari figlioli, alcuni di voi sono già vestiti da chierici, altri metteranno l’abito il giorno della Madonna della Guardia; dovete pregare Don Bosco che, come ha vestito me e tanti altri che poi si sono fatti ottimi Salesiani, degni Sacerdoti e santi Missionari, così possa vestire voi e darvi l’abito da Chierico per essere buoni figlioli, buoni chierici e buoni religiosi (Par. IV,297–298).
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Non è vero tutto ciò che i Salesiani fanno dire di me a Don Bosco; per esempio non è vera la frase che Don Bosco avrebbe detto a me: “Non sarai dei nostri ma padre di un’altra grande famiglia” Nulla di tutto questo mi disse mai Don Bosco. Io mi confessavo da Don Bosco e imparai tante belle cose da lui, di cui mi servo per il ministero sacerdotale. Don Bosco era delicatissimo trattandosi del 6 Comandamento. Io mi sono sempre attenuto alle sue norme (Par. IV,427).
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Don Bosco leggeva negli occhi dei suoi figli e molti non volevano andarsi a confessare da lui perché avevano paura. Io una volta appena arrivato all’Oratorio di Torino dal mio paese, volli confessarmi proprio da lui e feci una confessione generale. Alcuni giorni prima presi un quaderno ed ho incominciato a scrivere i miei peccati. Finito questo, ne presi un altro e quasi lo riempii tutto anche questo; e poi mi presentai a Don Bosco. In ginocchio dissi il “Confiteor” e arrivato al “Mea culpa”, poiché, come sapete, è qui che ci si deve fermare, tirai fuori un quaderno e mi misi a leggere con un senso di grande pentimento e intanto Don Bosco mi guardava, terminato questo tirai fuori l’altro. E Don Bosco continuava a guardarmi. Quando finii di leggere i miei peccati, prese i quaderni e li strappò sotto i miei occhi dicendomi: Questi sono tutti confessati: buttali dove vuoi e non pensarci più! (Par. V,143–144).
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Avete udito che oggi a Roma sono state lette le prove dei due miracoli di Don Bosco scelti per la Canonizzazione. Il Papa in quel discorso ricordò due virtù del Beato: purezza e carità. Voi sapete che ho conosciuto Don Bosco al suo tramonto. Il Signore mi ha dato la grazia di confessarmi da lui. E posso dirvi che nessuna virtù era così cara a Don Bosco come la purezza. E da Don Bosco ho imparato che la gioventù si sente attratta dal Sacerdote nel quale più splende questa virtù. Il popolo ha bisogno di vedere nel Sacerdote una vita esemplare sia di purezza, sia di carità. E questo si ha col sacrificio, e poi si è padroni del popolo (Par. V,324).
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La nostra Congregazione ci lega a Don Bosco per molte ragioni: voi stessi avete sentito la bontà dei Salesiani e del suo Successore Don Ricaldone quando siete venuti a Torino per la Santa Sindone. Sembra che ci sia pure la canonizzazione del Beato Cottolengo, che per la nostra Congregazione è il Padre. Lo spirito della nostra Congregazione risente dell’uno e dell’altro santo; dal Cottolengo si è tolto lo spirito di fiducia nella Divina Provvidenza; dal Beato Don Bosco lo spirito di assistenza alla gioventù abbandonata. Il Santo Giubileo non poteva chiudersi così bene come con la santificazione dell’Uomo della Provvidenza, Don Bosco, che sparse i suoi figli sino ai confini del mondo e che attualmente dà molte consolazioni alla Chiesa (Par. VI,37).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza, dopo la protezione di Dio, dopo la grazia del Signore, dopo la protezione celeste della Vergine Santa tutto deve a Don Bosco e ai Salesiani, a questi due santi, Don Bosco e il Cottolengo. Tra le altre grazie il Signore, nella mia gioventù, mi diede questa grazia, di aver potuto conoscere il Beato Don Bosco, di essermi potuto confessare dal Beato Don Bosco. Io desideravo tanto confessarmi da Don Bosco. Mi avevano detto che Don Bosco conosceva i peccati, leggeva nelle coscienze. Il suo segretario che per 26 anni fu sempre al suo fianco, Don Gioacchino Berto, e che io avevo come assaltato per comprendere un po’ chi era Don Bosco, mi aveva detto tante cose grandi di Don Bosco. Desideravo sempre, confessarmi dal Beato Don Bosco; ma Don Bosco non confessava più neanche i suoi, neppure se sacerdoti. Era vecchio, confessava solo quelli dell’ultimo anno di ginnasio, quei giovani, che dovevano decidere sulla via da prendere nella loro vita. Io facevo prima ginnasiale e non speravo più di potermi confessare da lui o di arrivare a Don Bosco. Il Signore mi diede questa grazia. Quando seppi che potevo andarmi a confessare, mi presi un quaderno e mi misi a scrivere (fa il gesto di scrivere) tutti i miei peccati che trovavo nei libri; e dopo un quaderno un altro e un altro... prendendo dai libri, dove credevo e speravo che vi fossero tutti i miei peccati. E andai da Don Bosco. Inginocchiato ai piedi di Don Bosco tirai fuori il primo quaderno e timidamente incominciai a sfogliare. Don Bosco se lo prese. Lesse la prima facciata, poi la seconda. Quel santo aveva gli occhi da santo: chiuse il quaderno e mi disse: “Ne hai un altro?”. “Sì”. Pareva che lo sapesse che avevo ancora altri due quaderni. Li prese tutti, alzò gli occhi e mi disse: “Non ti confessare più di niente... Non ti voltare più indietro...”. Mi alzai con l’anima inondata di una gioia così grande, che poi non so se nella mia vita ne abbia provata una eguale (Par. VI,67–68).
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È tempo che andiamo a dire le “Tre Ave Maria della Mamma”, come le chiamava Don Bosco. Vorrei che tutte le usanze di Don Bosco si tramandassero presso di noi... Le Tre Ave Maria ai piedi del letto è una usanza presa da Don Bosco. Queste usanze in Congregazione non si sono introdotte senza aver prima pregato molto o aver sentito un impulso interiore che veniva certo, da parte di Dio... E così la lettura a tavola! Don Bosco voleva che tenessimo lo spirito occupato, sia pure con liete letture, mentre il corpo prendeva il cibo. Ricordo che si lesse all’Oratorio Salesiano “La campana di Don Ciccio” e “La scoperta dell’America” scritta da Don Lemoine... E si leggevano quei racconti in una forma atta ad attirare la nostra attenzione... Trovai in una Casa nostra, che a tavola si facevano leggere le domande del Catechismo... Ogni cosa al suo posto! Don Bosco voleva che la lettura da farsi alla sera, in camerata, fosse la vita di un santo. Mi ricordo che da Don Bosco ero lettore in camerata. Lessi la vita di Sant’Alfonso (Par. VII,144).
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Vi dirò che cosa penso di Don Bosco. Ecco. Ho sempre pensato che Don Bosco si sia fatto santo perché ha nutrita la sua vita di Dio, perché ha nutrito la nostra vita di Dio. Alla scuola di Don Bosco ho imparato che quel Santo non ci ha riempito la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, dello spirito di Dio. Era pieno dello spirito di Dio e nutriva sé stesso di Dio e nutriva noi di Dio. Come la madre nutre sé stessa, per poi nutrire il proprio figliuolo, così Don Bosco ha nutrito sé stesso di Dio per nutrire di Dio anche noi. Per questo quelli che hanno avvicinato il Santo e che hanno avuto la grazia insigne di crescere vicino a lui, di sentire la sua parola, di avvicinarlo, di vivere in qualche modo la vita del Santo, hanno riportato da quel contatto qualche cosa che non è terreno, che non è umano, qualche cosa che nutriva la sua vita di santo. Ed Egli poi tutto volgeva al cielo, tutto volgeva a Dio, e da tutto traeva motivo per elevare noi, i nostri animi, verso il cielo, per indirizzare i nostri passi verso il cielo. L’altro ieri entrando in refettorio sentivo leggere quel libro aneddotico su Don Bosco, scritto dal Chiavarino, che fu il mio primo assistente. Non era un gran che..., ma mi piace che pur non essendosi fatto salesiano, abbia mantenuto lo spirito salesiano e abbia scritto su Don Bosco (Par. X,50).
Vedi anche: Santi.
San Giuseppe
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Dopo aver pregato la SS.ma Vergine ed essermi raccomandato al Signore e a San Giuseppe, ho deciso che ci ritiriamo da Lonigo. Quindi ricevuta la presente voi altri andrete in Chiesa, e reciterete la terza parte del S. Rosario da voi, e canterete le Litanie e darete la S. Benedizione, senza dare nessun segno esterno. Se però ci fossero in casa ragazzi, li farete venire in Chiesa con voi, ma non dite nulla a nessuno. Prima di chiudere il S. Tabernacolo reciterete 5 Pater Ave Gloria alle 5 Piaghe di Gesù Crocifisso per domandare perdono al Signore dei peccati e mancamenti da me e da noi tutti fatti durante questi anni: poi tre Salve Regina pei Benefattori e per tutti i ragazzi che hanno frequentato l’Oratorio: poi un De Profundis per tutti i Benefattori o giovanetti defunti e per le S. Anime del Purgatorio. Chiuderete con un Pater Ave e Gloria in onore di San Giuseppe e col Dio sia benedetto (Scr. 2,39).
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Fa’ pregare San Giuseppe che quella Casa, che vide il Beato Colombini e S. Gerolamo Emiliani, possa continuare ad essere una Casa di carità, per noi o per altri. 5/ L’Avv.to di Manello ha scritto al fratello di Don Sterpi: la questione sarà studiata da buoni avvocati. Poi vedremo. Ma il nostro migliore Avvocato dev’essere San Giuseppe (Scr. 2,251).
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Il Signore, caro mio, ti umilia perché ti ama. Non ti lasciare turbare, ma getta te e tutta la Casa nel Cuore del Signore e tra le mani della Madonna e di San Giuseppe. San Giuseppe non si prega mai invano, dice S. Teresa. Fa’ che tutti i tuoi siano api spirituali e che vivano del miele dell’amore di Dio (Scr. 2,252).
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Ho un momento di tempo, e vi mando una parola di conforto e di augurio per San Giuseppe – Pregherò specialmente per voi nella Messa del 19, che il Signore per la intercessione di San Giuseppe vi dia ogni celeste consolazione e vi prepari una bella corona in Paradiso (Scr. 4,21).
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Pregate tutti per me – Nella festa di San Giuseppe farò i voti perpetui ai piedi della Madonna della Catena perché mi voglia con San Giuseppe incatenare per sempre il cuore al Signore e alla S. Chiesa Dunque arrivederci (Scr. 4,40).
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Pregate che Dio ci purifichi e faccia suoi davvero. Io vi restituirò quel denaro per la fine del mese, perché lo possiate mandare a Mons. Valerga. San Giuseppe mi aiuterà di sicuro: noi qui facciamo il suo mese, anche con la esposizione per un’ora ogni sera del SS.mo Sacramento (Scr. 6,27).
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Sento veramente compassione del vostro stato: noi qui teniamo esposto un’ora al giorno il SS.mo Sacramento e confidiamo che San Giuseppe o in un modo o in un altro ci aiuterà, e aiuterà anche voi: fate pregare e inculcate la frequenza ai SS.mi Sacramenti (Scr. 11,62).
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Ho fatto dieci giorni di S. Esercizi e mi trovo tanto contento Deo gratias! Ora mi fermo qui sino alla sera di San Giuseppe perché desidero fare i voti perpetui della Congregazione qui ai piedi della SS.ma Vergine della Catena e nella festa di San Giuseppe, sperando che la Madonna SS.ma e San Giuseppe non guardando ai miei demeriti mi vorranno incatenare il cuore a Nostro Signore e alla S. Chiesa affinché non abbia mai più da peccare, ma vivere solo d’Amore di Dio e del prossimo (Scr. 11,158).
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Quanto al personale per i due Istituti non mi spaventa: ho messo i due Istituti in mano a San Giuseppe, uno in una mano e l’altro nell’altra. E la Casa del Conte l’ho già offerta a San Giuseppe, per le mani della Madonna, essendo questo il mese della Madonna: vorrei che ce ne fosse un po’ anche per la Madonna: avrei già pensato di fare così: la Casa consacrarla e denominarla da San Giuseppe, ma sull’altare dentro metterci una bella e devotissima Madonna, perché nella Casa di San Giuseppe ci sta la Madonna. Adesso, se San Giuseppe la vorrà, dovrà sbrigarsela Lui: dopo tutto, tocca al padrone sbrigare le cose che riguardano e toccano la proprietà, noi non siamo che dei servitori (Scr. 13,188).
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Ma noi ora dobbiamo pregare San Giuseppe: ho fatto una promessa a San Giuseppe, anzi un voto, di fare, con l’aiuto di Dio, un’opera di carità tutta per Lui. Ordinate preghiere secondo la mia intenzione (Scr. 18,18).
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Vi do la bella notizia che prestissimo sarò libero da Messina in modo definitivo: cominciate una novena a San Giuseppe, perché possa togliere ancora un impedimento che potrebbe differire l’esonero dalla Curia, e dite agli orfani che preghino a questo scopo, e fate pregare le anime devote di San Giuseppe (Scr. 22,10).
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Comprendo che ti troverai in gravi imbarazzi pel pagamento, ma ti raccomanderò a San Giuseppe, che è il nostro Provveditore Celeste (Scr. 29,164).
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Ora mi è assai dolce in questa solennità di San Giuseppe il quale non solo è Patrono Universale della S. Chiesa, ma è anche speciale Patrono della minima nostra Congregazione, di nominare, come nomino, a Superiore, dei Figli della Div. Provvidenza, sia dell’Argentina che del Brasile, il vostro fratello in Cristo sac. Giuseppe Zanocchi, il quale farà le veci mie, o di chi mi succederà nel governo della Congregazione, sino a che non sia da me o dal mio successore disposto diversamente (Scr. 29,197).
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Ti raccomando dunque di cominciare con la novena di San Giuseppe che fu umilissimo da vivo, e più anco da morto, e per molti secoli (Scr. 32,200).
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Non potei subito rispondervi, e voi vorrete bene compatirmi per il molto lavoro che ho, ma ho sentito una grande consolazione nel cuore di questa bella grazia che la SS.ma Vergine e San Giuseppe ci hanno fatto – Sia di tutto e sia sempre benedetta la bontà del Signore! Dite a Carlicello che come io ho ringraziato di questo favore celeste il Signore, e così lui voglia dire per un mese la terza parte del S. Rosario a suffragio delle sante anime del Purgatorio, specialmente le più devote della passione e morte di N. Signore: di Maria SS.ma e di San Giuseppe sposo purissimo della nostra dolce Madre del Paradiso (Scr. 35,247).
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Siamo nella novena di San Giuseppe, il grande provveditore della Sacra Famiglia, si rivolga con umile fede a Gesù, alla SS.ma Vergine e a San Giuseppe (Scr. 42,69).
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Siamo al principio della novena di San Giuseppe, e così l’asilo si aprirà entro marzo e sotto gli auspici del caro santo, che ha vegliato sulla infanzia di Gesù (Scr. 44,90).
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Oggi, al cominciare della novena di San Giuseppe, scriverei a Mons. Vescovo di Piacenza che sono disposto ad accettare: San Giuseppe mi aiuterà! Anche vostra Eccellenza si degni dare la sua benedizione; è un’opera alle porte della diocesi, che potrà accogliere anche qualche ragazzo della diocesi. È un momento che, veramente, non potrei addossarmi altri debiti, ne ho già tanti, tanti! ma, per San Giuseppe, bisogna ben fare qualche cosa, e confido che non mi abbandonerà (Scr. 45,292).
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Continuo a pregare San Giuseppe, e sento come una gran fiducia che San Giuseppe, nel suo mese, mi porterà la grazia e metterà tutto a posto. Gli ho promesso di essere più buono, più umile, più sacerdote, di pregare di più, tutto come vuole lui. Adesso ho impegnato San Giuseppe in un’opera nuova qui: con la più ampia approvazione e benedizione del Nunzio e di sua Eccell.za l’Arcivescovo Mons. Copello, comincio una casa di Carità, sotto gli auspici di San Giuseppe e di San Giuseppe Cottolengo, per tutti i rifiuti della società, una specie di Cottolengo Argentino: questa città ha grandi ricchi e grandi poveri (Scr. 48,118).
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Vorrei, se possibile, iniziare silenziosamente la cosa per San Giuseppe; e così gli metterei in braccio, insieme con Gesù, quei bambini, perché se li prenda, e faccia Lui da padre e da tutto (Scr. 48,184).
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Ed ora, miei cari fratelli e figli in Gesù Cristo, vi raccomando di pregare. Siate devotissimi di Gesù sacramentato, di Gesù Cristo crocifisso, del cuore SS.mo di Gesù: siate devotissimi della Madonna SS.ma nostra dolcissima madre: siate particolarmente devoti del Patriarca San Giuseppe patrono della santa chiesa e della piccola Congregazione, e dei beati apostoli Pietro e Paolo e di S. Benedetto Abate, e delle anime sante del Purgatorio (Scr. 52,23).
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Dopo la SS.ma Vergine Immacolata, protettori di questi Santi Esercizi sono: San Giuseppe, padre putativo di n. Signore S. Michele Arcangelo: i beati apostoli Pietro e Paolo: S. Luigi Gonzaga, S. Stanislao Kostka e S. Giovanni Berchmans; il venerabile Cottolengo, il ven.le Cafasso il ven.le Don Bosco e Savio Domenico: di più invochiamo i nostri santi e amati fratelli che già sono andati al Signore, e che piamente crediamo siano in Paradiso (Scr. 52,168).
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Nella festa e sotto gli auspici di San Giuseppe si è aperto in Genova il Piccolo Cottolengo, e San Giuseppe non è solo il celeste Provveditore de’ nostri poveri, ma anche il santo del Cottolengo, il quale da tutti era chiamato don Giuseppe: Giuseppe Benedetto Cottolengo (Scr. 52,214).
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Che cosa si sa si San Giuseppe. Si sa che egli era della Tribù di Giuda e discendeva dalla famiglia reale, che aveva temuto lo scettro da Davide sino alla schiavitù in Babilonia, ma la sua gloria principale la trae dalle sue virtù e specialmente dalla sua umiltà. S’ignora dov’è nato, ma si sa che sua ordinaria dimora è stata Nazaret. San Giuseppe era artigiano, ciò che San Matteo spiega col nome di faber. Viveva dunque col lavoro delle sue mani e secondo l’opinione più comune, esercitava il mestiere di falegname. San Giustino ed altri dicono che lavorasse anche in opere di ferro: Giuseppe e Gesù diceva questo Padre della Chiesa, faceva aratri e gioghi da buoi. Era vergine quando sposò Maria e la sposò per essere il protettore e custode della verginità di Lei; San Giuseppe fu sempre vergine. L’Evangelo fu, con una sola parola, l’elogio più bello delle virtù di San Giuseppe, dicendo che egli era "vir iustus" uomo giusto, poiché la giustizia comprende tutte le virtù (Matt. c.I, V;19) Un Angelo rivelò in sogno il mistero della Incarnazione del Figlio di Dio nel seno purissimo di Maria. e sgombrò dalla sua mente ogni nube. Alquanti mesi dopo S. Giuseppe fu obbligato a recarsi a Betlemme con la SS.ma Vergine e là nacque, in una grotta, all’aperta campagna il Salvatore del genere umano e fu posto in una mangiatoia o presepio. Giuseppe di tutti gli uomini fu il primo ad adorarlo. Agli occhi della gente Egli venne reputato padre di Gesù. Giuseppe fu il servo fedele che il Padre celeste pose sopra la sua Famiglia per essere il difensore, il sostegno, il consolatore, il nutritore di Gesù, il cooperatore dei disegni misericordiosi di Dio sulla terra. Porta Gesù a Gerusalemme la città sacra, e lo offre nel tempio. Un Angelo appare a Giuseppe e gli ordina di fuggire tosto, Erode crudele e sospettoso vuol dare la morte al celeste Bambino. Un così subitaneo ordine di fuga non sgomenta il Santo. Seguendo l’ordine dell’Angelo, prende Gesù e Maria, e con essi fuggì in Egitto. Morto Erode, Dio avvertì Giuseppe, con una visione di tornare in Giudea, con Gesù e Maria, ed Egli obbedì con l’usata sua prontezza. Ma, avendo inteso, al suo arrivo, che ad Erode era succeduto Archelao, e avendo ragione di temere che qual figlio avesse ereditata la gelosia e crudeltà del Padre, non volle fermarsi nel suo regno, ma secondo l’ordine avuto in sogno da Dio, si ritirò invece nella Galilea che era sotto il dominio di Antipa, fratello di Archelao. E scelse a dimora della Sacra Famiglia la città di Nazareth, dove la nascita di Gesù aveva menato meno rumore. Esatto nell’adempimento delle prescrizioni della legge mosaica, S. Giuseppe non mancava ogni anno dal fare un viaggio a Gerusalemme per celebrarvi la Pasqua. Egli non aveva più nulla a temere da Archelao che Augusto aveva cacciato in bando, dopo aver ridotto la Giudea a Provincia dell’Impero Romano. E, insieme, con la Vergine Sposa, vi condusse anche Gesù, quando il Divino Fanciullo raggiunse il suo dodicesimo anno. Passata la festa, nel far ritorno a Nazareth, Maria e Giuseppe, pensando che Gesù stesse in compagnia di parenti e di amici, per tutto un giorno, non s’avvidero che Egli mancava (Scr. 56,226–227).
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Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; così disse Dio quando volle creare il primo padre dell’uman genere. Queste parole dovette pur dirle, ma con maggior effusione di carità, quando volle formare Colui che doveva far da padre al salvatore degli uomini. Difatti S. Giuseppe era chiamato a vivere in una particolare intimità colla Trinità augustissima. L’Eterno Padre volea confidargli i suoi tesori: il divin Verbo lo destinava depositario dei suoi misteri: lo Spirito Santo lo avea eletto a custode della privilegiata suo Sposa. Allorché Dio perdonava alla terra sommersa dal diluvio, mandava nunzia di pace agli uomini una colomba che recava un ramo di ulivo, e Noè sporgendo dall’arca il suo braccio, vi riceveva quel messaggero celeste. Più tardi Dio mandava alla terrà un’altra colomba e un altro olivo; la colomba novella era Maria, e l’olivo Gesù, che, al dir di San Paolo, “è la nostra pace”. Ma a chi affidava la protezione di Gesù e di Maria? al braccio fedele di San Giuseppe. Da quel giorno, simile a Noè, ma di lui più grande, San Giuseppe diventava il patrono della Chiesa universale, che è l’arca felice dove trovano la loro salvezza tutti i predestinati. Giuseppe e Maria, puri come due gigli, che si alzano dal seno della terra per confondere soltanto nel Cielo i loro profumi, vissero insieme; portando umili e silenziosi sulle loro braccia la salute dell’universo (Scr. 56,228).
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San Giuseppe fu dei virtuosi il principe, e lo Spirito Santo ne fece il massimo elogio chiamandolo giusto. San Giuseppe conservò intatta la sua giustizia per mezzo della umiltà. E` l’umiltà la virtù che ci salva dalle bassezze a cui trascinano lo orgoglio e la smania di comparire e di piacere agli altri. V’ha forse anima più vile di un uomo il quale sia dominato dalla passione di ingrandirsi e che voglia ad ogni costo essere applaudito? Non v’ha cristiano che non trovi spesso dei motivi di riccorrere al patrocino di San Giuseppe. Questo Santo ha conosciuto le pene di tutte, ma in premio della sua rassegnazione egli ha ottenuto di essere in particolare protettore di tutti i moribondi. Venga adunque la morte, e sia quella che Dio vuole, naturale o violenta, di sfinimento o di crepacuore, purché, come i giusti, possian dire: Gesù, Giuseppe, Maria, spiri in pace con Voi l’anima mia! (Scr. 56,229).
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Nel mese di San Giuseppe domandare a Dio, per la intercessione del caro Santo, la grazia di un grande amore a Gesù Cr.: chi ama N. Signore è umile, è casto, è obbediente, è portato a sacrificarsi è mortificato: cercherà di evitare ogni peccato, e farà di tutto per piacere a Dio. E invocare di frequente San Giuseppe (Scr. 57,76).
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Io ho fatto dieci giorni di Esercizi, e ne sono tanto contento; ora mi fermo qui come in ritiro sino alla festa di San Giuseppe, per passare San Giuseppe con gli orfani del terremoto, ma specialmente perché desidero fare ai piedi della Madonna della Catena i miei voti religiosi perpetui in quella bella festa del Santo che è pure Santo della Divina Provvidenza – sperando che la SS.ma Vergine e San Giuseppe, non guardando ai miei demeriti, vorranno incatenarmi il cuore a Gesù Signor Nostro e alla S. Chiesa, affinché non abbia mai più da peccare ma vivere e consumare tutta la mia vita nell’amare il Signore. Come l’ho fatto con Nostro Signore, così, con la sua grazia, vorrei avere la possibilità di domandare perdono a tutti del male fatto e scandali dati, come pure lo domando a te di cuore, avendo passato tanto tempo insieme. Io pregherò sempre per te e ti ringrazio del bene che mi hai sempre fatto, e che hai fatto ai figliuoli della Provvidenza. Il Signore e la Beata Vergine e San Giuseppe ti ricompensino di tutto, caro Don Albera. La sera di San Giuseppe, quei di Reggio ho detto che si riuniscano a S. Prospero per dire il Te Deum e prendersi insieme la Benedizione col Santissimo; se tu puoi, va tu a dare loro la Santa Benedizione in vece mia: da parte mia li benedirò di qui nell’atto che davanti al Santissimo Sacramento mi consacrerò tutto e per sempre al Signore nella piccola Congregazione (Scr. 68,25).
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Sia lodato Gesù Cristo Sia benedetta la Gran Madre di Dio Maria SS.ma Immacolata e Addolorata, Madre della Divina Provvidenza e della Catena e di questa piccola Congregazione della Divina Provvidenza Festa del glorioso San Giuseppe. Oggi 19 marzo 1912 io Sac. Giov. Luigi Orione della Div. Provvidenza colla divina grazia e per speciale misericordia di N. Signore Gesù Cristo e di Maria SS.ma, qui al Santuario della SS.ma Vergine della Catena presso Cassano Jonio ho fatto i S. Voti perpetui di castità, povertà e obbedienza nella Congr. l’Opera della Divina Provvidenza, e il voto e giuramento di obbedienza, fedeltà, amore e difesa del S. Padre il Papa, Vicario di N. Sig.re Vescovo di Roma e Suoi Successori in tutto e per tutto per tutta la vita coram Sanctissimo et ante Missam. Deo gratias et Mariae. In fede Sac. Giov. Luigi Orione della Div. Provv.za fecero da testimoni i Sacerdoti: Sac. Enrico Contardi dell’Opera Divina Provvidenza Sac. Riccardo Gil dell’Opera Divina Provv. Cremaschi Frate Gaetano della Divina Provvidenza (Scr. 71,70).
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La Casa l’ho già dedicata a San Giuseppe, per tanti motivi; ma anche perché, essendo in un vasto quartiere di povera gente e di lavoratori, Egli ci deve pure pensare un poco; e poi volendo farvi opere educative per la gioventù, San Giuseppe fu il custode della divina infanzia di Gesù Signor Nostro (Scr. 75,287).
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I Siri, i Copti e, in genere, le Chiese Orientali fanno la festa di San Giuseppe ai 20 di luglio, ma tutte le Chiese d’Occidente la celebrano ai 19 marzo. San Bernardo scrisse sublimemente di San Giuseppe. Il pio Gersone compose una vita di San Giuseppe, in dodici poemetti, detta «Iosephina», ricavandone meditazioni e affetti devotissimi. Santa Teresa scelse questo Santo a protettore principale del suo Ordine, e nel VI Cap.lo della sua vita ne parla così: «Ho scelto a mio patrono San Giuseppe, e mi raccomando a lui in ogni mia cosa. Non mi ricordo d’aver mai domandato a Dio nulla per sua intercessione, che non l’abbia ottenuto; né mai conobbi alcuno che lo abbia invocato, senza far notabili progressi nelle virtù». Santa Teresa si può ben chiamare l’Apostola di San Giuseppe. Dal 1500 la devozione a questo caro Santo andò sempre più propagandosi. San Francesco di Sales ha tutto un trattato su San Giuseppe: ne raccomanda la devozione, loda le sue virtù, sopra tutto la sua verginità, l’umiltà, il lavoro, la costanza, il coraggio. Il Beato Cottolengo e il Beato Don Bosco erano devotissimi di San Giuseppe.. L’angelico Pio IX lo proclamò Patrono universale della Chiesa: Leone XIII ne diffuse caldamente la devozione. Il pio e dotto Card. Vives y Tuto ci diede la «Summula Iosephina». Quante religiose istituzioni in questi ultimi tempi presero nome e spirito da San Giuseppe! Quanti altari, quante chiese e Santuari si innalzarono in suo onore! È la voce della Chiesa che grida ai popoli: Ite ad Ioseph! rivolgetevi a San Giuseppe! (Scr. 77,162).
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«Ho scelto a mio patrono il glorioso Giuseppe, e mi raccomando a Lui in ogni mia cosa. Non mi ricordo d’aver mai domandato a Dio nulla per sua intercessione, che non l’abbia ottenuto» Anche il Card. Vives scrisse meravigliosamente di San Giuseppe. Pio IX lo proclamò Patrono universale della Chiesa. Ella è cosa agevole ad immaginarsi quanto dovesse soffrire nell’attraversare vasti deserti e paesi sconosciuti con un bambino e una tenera vergine. Troviamo nei Padri che, all’entrare di Gesù Cristo nell’Egitto, gli oracoli divennero muti e le statue degli dei falsi e bugiardi tremarono e in più luoghi caddero rovesciate, conforme a quel passo d’Isaia: «Gli idoli dell’Egitto crolleranno davanti al suo cospetto». Non vi ha luogo a dubitare ch’egli non spirasse nelle braccia di Gesù e di Maria, e perciò s’invoca San Giuseppe per ottenere la grazia d’una buona morte. S. Francesco di Sales ha tutto un trattato per raccomandare la devozione a San Giuseppe: lodare le sue virtù, soprattutto la sua verginità, l’umiltà, il lavoro, la costanza, il coraggio. I Siri e gli altri Orientali fanno la festa di San Giuseppe ai 20 di luglio, ma in tutte le Chiese d’Occidente essa si celebra ai 19 marzo (Scr. 77,164).
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Il Signore, caro Santo Padre, ci dà un grande aiuto. Le notizie che ho gli orfani pregano e fanno S. Comunioni: il fine di queste speciali e preghiere indette per tutte le Case sono questi: per metterci sempre più nelle mani di San Giuseppe affinché ci custodisca e ci faccia tutti secondo il cuore di Dio e della Chiesa. 2 Perché San Giuseppe consoli voi, o beatissimo padre. 3 Perché in quest’anno specialmente faccia sentire la sua protezione sulla Santa Chiesa. Qui si fanno delle prime S. Comunioni e ci sarà la S. Cresima e avremo nientemeno che Mons. Arcivescovo che verrà a Reggio nella Festa di San Giuseppe a fare la prima Comunione (Scr. 84,190).
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Nel mese di San Giuseppe Nel mese di San Giuseppe domandare a Dio, per la intercessione del caro Santo, la grazia d’un grande amore a Gesù Cristo. Chi ama nostro Signore è umile, è casto, è obbediente, è portato a sacrificarsi, è mortificato. Cercherai di evitare ogni peccato e farai di tutto per piacere a Dio. È invocare di frequente San Giuseppe (Scr. 108,265).
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Il recente terremoto ha recato qualche danno pure alla Colonia Agricola di Monte Mario, è rotta, tra l’altro, la statua di San Giuseppe che era in una delle camerate degli Orfanelli. Se qualche anima pia e generosa (si sentisse di) volesse provvederci una bella statuetta di San Giuseppe farebbe una gradita carità (Scr. 109,68).
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Il nome di San Giuseppe si trova in antichissimi Martirologi al 19 marzo. Il pio Gersone compose una vita di San Giuseppe, detta “Iosephina”, ricavandone meditazioni e affetti devotissimi. Santa Teresa di Gesù lo scelse a protettore del suo Ordine diceva di non aver mai ricorso a San Giuseppe senza esserne esaudita. Ite ad Ioseph! Rivolgiamoci, o fratelli, con fiducia a San Giuseppe, e avremo grazie! (Scr. 113,218b).
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Nella fuga in Egitto abbiamo un esempio d’obbedienza perfetta. Accipe Puerum et Matrem Eius, dice un Angelo in sogno a Giuseppe; ed egli non sta in forse e obbedisce. Io, per esempio, buone figliole del Signore, e forse anche voi, certamente avrei detto: Ma vediamo un po’, aspettiamo domattina... allora sarà chiaro, ci si vedrà meglio, dopo tutto è un sogno! E mi sarei bravamente voltato dall’altra parte... magari con la scusa che non bisogna credere ai sogni. Invece S. Giuseppe si alza all’istante, prende il fanciullo e la Madre, e fugge in Egitto. Non è stato a pensare: Ma dove devo andare adesso? Con un bambino così piccolo? Fare un lungo viaggio in terra idolatra... come fare? Come fare? Egli non pensò tanto, ma pensò a tante cose, obbedì subito e partì. Avevano pane? Avevano vesti? Avevano almeno un po’ di fieno per l’asinello? Credo di no. Grande esempio! Esempio di obbedienza e di abbandono alla Divina Provvidenza! Giuseppe non disse mica all’Angelo: ma, senti un po’... dove andremo? Dove staremo? Ma perché Dio non fa scomparire Erode, invece di costringerci a fuggire davanti a lui? No, no, non disse tante cose, ma obbedì ciecamente, perfettamente. Gesù obbedì sempre: cominciò ad obbedire al suo Padre Celeste, scendendo in terra e prendendo carne umana, umana natura, piangendo sulla paglia a Betlemme... Gesù obbedisce nella presentazione al Tempio, nella fuga in Egitto: obbedisce sempre. Dice il Vangelo: “Et erat subditus illis”. Gesù cresceva ed era sottomesso a S. Giuseppe, suo Padre agli occhi del mondo; era obbediente alla Santissima Vergine, sua vera madre; era docile, obbediente, sottomesso (Par. I,180–181).
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San Giuseppe che tante volte ha posato la sua testa sul Cuore di Gesù Bambino; San Giuseppe ci ottenga questa grazia, che ci distacchi i cuori da tutti i beni fallaci del mondo e ci ottenga un po’ di santo amore di Dio, che noi possiamo incominciare una vita nuova. Le case del Piccolo Cottolengo, finora, non sono che baracche: dobbiamo incominciare ancora: bisogna dire che siamo servi inutili, abbiamo fatto niente, quasi niente; molte volte credendo anche di fare del bene, forse volendo mettere il nostro genio nelle cose di Dio, avremo anche storpiato l’opera del Signore. Vorrei dire che il frutto di questa giornata, che ci ricorda l’inizio del Piccolo Cottolengo Genovese, fosse questo: non avvilirci per essere peccatori, ma umiliarci sempre e dire a Gesù: In che nome cominceremo? Nel nome Gesù! Ciascuno dica così: O Signore, ora comincio, comincio una vita nuova nel tuo santo Nome, sperando, confidando nel Tuo santo aiuto, amando e seguendo Te! Invochiamo oggi l’aiuto di San Giuseppe, perché fino ad oggi non si è fatto niente (Par. II,119).
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Ma il Signore, in questa felice circostanza della festa di San Giuseppe, che è il Santo più amato nel Vangelo, l’uomo giusto – volendo con questa dolce espressione dire tutta la grandezza di questo Santo, che sulla terra ha rappresentato il Padre Celeste nei rapporti familiari, e agli occhi della gente, verso Gesù – il Signore ha voluto che fosse adorna anche d’una sua statua. Domani è la festa di San Giuseppe, vero Sposo, ma Sposo illibatissimo, castissimo di Maria Vergine. Il Signore ha voluto dare a me e a voi questa gioia, in questa felice coincidenza, poiché coincide, proprio domani, il sesto anno dacché si è aperto in Genova il Piccolo Cottolengo (Par. II,150).
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Cari bambini, (si trovano nel banco davanti due bimbi) voi che siete ancora piccoli, venendo qui, vi raccomanderete a San Giuseppe perché vi liberi da ogni male come ha liberato dalla morte il Bambino Gesù quando era insidiato dal crudele Erode. Egli, San Giuseppe, ha lavorato, ha sudato per guadagnare il pane, ma si vedeva crescere Gesù, sotto i suoi occhi, buono e obbediente. Ah! Che Gesù, per intercessione di San Giuseppe, venga anche nei nostri cuori, nelle nostre anime; Che noi possiamo abbandonarci, riposare nella Divina Provvidenza e così riposare sul cuore di Gesù, su quello di San Giuseppe, il Provveditore di tutti i poveri del Piccolo Cottolengo; e faccia da Padre a noi, come ha fatto da Padre a Gesù stesso. Adesso ci raccogliamo per la benedizione della statua di San Giuseppe, poi canteremo le sue litanie: subito dopo la benedizione, reciteremo una preghiera a San Giuseppe per i donatori della statua. Che la prima benedizione vada sulla testa, sullo spirito di quelli che ci hanno fatto questo insigne e graditissimo dono: e vada ad essi la mia parola, la promessa che faccio per me e per tutti voi, che mai ci dimenticheremo di pregare per quelli che oggi ci fanno gustare questa gioia spirituale così dolce, così soave, così santa! Possano le benedizioni di San Giuseppe scendere su tutti e scendere copiose sui benefattori che hanno donato la bella statua! (Par. II,152).
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E ieri nel nome di San Giuseppe, perché bisogna sempre metterci nelle mani di San Giuseppe e sotto il suo patrocinio, si è aperta un’altra Piccola Casa per i nostri fratelli poveri, che sono tanto cari al Signore, come la pupilla degli occhi del Signore. Ed oggi, Gesù, ci ha raccolti qui, in questo caro convitto di grazie e di gioie spirituali e celesti, e dà a me la grande consolazione di dare la Prima Comunione ad un bambino, raccolto qui da parecchi anni. Vedi, che grazia grande, o caro fanciullo, sta per farti il Signore? Egli viene a te per le mie mani, per le mani di un Sacerdote; ma tu, o caro figliolo, non guardare né a queste mani, né a questo Prete; pensa che Gesù te lo dà San Giuseppe, quel caro Santo che ha portato fra le sue braccia Gesù Bambino, che ha vegliato sull’infanzia di Gesù. Per le mani di Maria Santissima e di San Giuseppe si dà a te il Signore, Gesù che ha voluto tanto bene ai bambini e che vuole tanto bene a te, che viene per formare un Tabernacolo vivo di amore, per formare come un trono dove Egli si viene a sedere per essere sempre in te con le sue grazie celesti. Io ti affido a San Giuseppe perché voglia esserti guida per tutta la tua vita, ti voglia assistere, ti voglia confortare nei passi della tua vita, quando sarai più grande, quando sarai adulto, quando sarai vecchio e voglia poi assisterti nei dolori dell’ultima ora tua; poiché San Giuseppe non è solamente il Patrono della chiesa universale, ma Egli è anche il Patrono dei moribondi; non è solo il Provveditore della Sacra Famiglia e di tutti i poveri, ma è anche Colui che noi, dopo averlo invocato da vivi e sani, invocheremo negli estremi aneliti della nostra vita (Par. III,133).
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Tutti i Santi che vissero sempre puri e si distinsero per questa speciale virtù, la Chiesa li presenta col candido giglio in mano. La Santa Chiesa ci presenta San Giuseppe col Bambino su un braccio e il giglio nell’altro, simbolo della purezza. Ci presenta altresì Sant’Antonio di Padova che evangelizzò l’Italia e la Francia, col giglio della purezza a fianco; San Luigi Gonzaga, lo stesso; e così moltissimi Santi e Sante. Il Signore ama molto quelli che sono puri e casti; tanto che si scelse una Madre tutta pura, tutta santa e mandò prima di Sé un Precursore, il quale fu sempre puro, si mantenne sempre illibato, San Giovanni Battista; e un giorno vedendo che veniva Gesù, disse al popolo che lo ascoltava: Ecco l’Agnello di Dio, Colui che toglie i peccati del mondo. (L’agnello è simbolo di purezza) Così Gesù si scelse a custode San Giuseppe che era un uomo che si mantenne sempre puro. Anche noi dobbiamo seguire questi esempi e così dobbiamo fare se vogliamo andare a cantare l’inno dei vergini a Gesù nel Cielo e a fare corona lassù insieme con gli Angeli all’Agnello Immacolato, là nel Paradiso (Par. III,227).
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Santa Teresa di Gesù era devotissima di San Giuseppe, tanto che diceva che non aveva mai chiesto grazia a San Giuseppe che le fosse stata negata. Essa fu inoltre la riformatrice dell’Ordine Carmelitano e consacrò i conventi a San Giuseppe. Alle porte di Roma noi abbiamo una chiesa dedicata a San Giuseppe (Poggio Tulliano). Di San Giuseppe il beato Don Bosco era stato devoto che, appena eretta la chiesa a Maria Ausiliatrice, il primo altare a destra fu dedicato a San Giuseppe. Con un giglio San Giuseppe è dipinto là all’Oratorio Salesiano, dove anch’io sono stato tre anni: cadono dalle mani di Gesù Bambino fra le braccia di San Giuseppe, le rose sull’Oratorio simbolo delle grazie che San Giuseppe fa. Quindi San Giuseppe è stato onorato prima da Santa Teresa che da Don Bosco; non c’è paese e chiesa insomma – si può dire – che non abbia un altare o un quadro di San Giuseppe. Questa devozione è molto diffusa ora nel mondo cattolico. Il Vangelo dice poco di lui; ma è abbastanza per dir tutto: Joseph autem cum esset iustus! Era un giusto, un dritto, un’anima tutta d’un pezzo, solida (Par. V,38).
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La giustizia è una virtù cardinale che abbraccia tutte le virtù. Dobbiamo pregare San Giuseppe per essere anche noi iusti, Chierici retti, onesti, probi, giusti. San Giuseppe è operaio e perciò è stato proclamato patrono degli operai. Molti operai francesi portarono a Leone XIII un monumento con alla base San Giuseppe, dichiarandolo loro patrono. Pio IX nei tempi più furiosi della lotta che tentava di sradicare perfino la cristianità nella stessa Roma, pensando a San Giuseppe che fu assistito da Gesù e da Maria, lo nominò Patrono dei moribondi. Quando voi sarete sacerdoti e avrete avanti a voi un grande campo su cui svolgere il vostro apostolato, pensate che il Sacerdote diventa tanto più stimato quanto più sarà povero, come era povero San Giuseppe (Par. V,39).
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Pregate San Giuseppe che vi aiuti a far bene in studio, a far bene in ricreazione, a far bene ogni vostro dovere. Fate bene la Novena di San Giuseppe, che fu custode di Nostro Signor Gesù cristo, che lo salvò, con la fuga in Egitto, dalla strage di Erode, che lo custodì e gli diede il pane guadagnandolo col sudore della sua fronte. Così, voi pure, fate bene affinché San Giuseppe sia anche vostro custode, lui che fu custode della Sacra Famiglia. E questo lo comprendiamo nel recitare la bella preghiera: “A te, o beato Giuseppe”, composta dal gran Papa Leone XIII. Che cosa dice poi questa orazione un po’ più avanti? Definisce San Giuseppe “Provvido custode della Divina Famiglia” In realtà San Giuseppe non solo la provvide del necessario, ma la difese anche, la custodì, le diede il pane. Anche noi facciamo bene, affinché San Giuseppe sia custode di ciascuno di noi, della nostra famiglia, della nostra Congregazione, e ci ottenga grazie spirituali e corporali (Par. V,155).
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San Giuseppe si mostrò sempre tanto buono, tanto buono! Un giorno, tanti anni fa, ci trovavamo senza niente in casa. Allora abitavamo a Tortona, in un ex convento, dinanzi al Paterno... Eravamo allora nel mese di marzo e in casa non avevamo denaro, denaro neppure per comprare il sale, il riso e altre cose strettamente necessarie. Faceva allora da portinaio un borghese che ora è Sacerdote e Direttore delle Case dell’Argentina, un certo Don Zanocchi... Dunque, come vi dicevo, avevamo niente in casa... quando venne un signore che chiese di me. Il portinaio venne a chiamarmi; scesi a basso, condussi il forestiero in una stanzetta che serviva da parlatorio. Giunti là, mi disse: – lei è Don Orione? – Io risposi: Si, precisamente! Senza dir altro quel signore mi diede una busta che, appena avuta fra le mani, capii che conteneva dei biglietti di banca. Subito gli chiesi: Sono per Messe? Rispose: – No! no! – Gli chiesi allora: vuol favorirmi il suo nome? – Oh, no, no, non occorre, mi rispose, – dica solo ai suoi Figli e orfanelli di ricordarsi di pregare San Giuseppe sempre! – Così dicendo se ne andò. Io curioso di sapere un po’ dove egli andava e chi fosse, dissi al portinaio di seguirlo perché volevo insomma, sapere qualche cosa; ma non si poté più vederlo, perché arrivato sul gradino della porta di strada, non andò né a destra né a sinistra, ma scomparve. Andammo allora subito a prendere consiglio dal confessore, che era un Canonico, Professore in Seminario. Questo Canonico (Novelli) ci chiese i connotati di quel forestiero e gli si disse che aveva la barba un po’ bionda, non tanto lunga; non era neppure tanto vecchio. Quel Canonico, allora, affermò che quello era certamente San Giuseppe (Par. V,156–157).
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San Giuseppe ogni anno ci fa una grazia. L’anno scorso ha fatto quella di ammalarmi, sicuro, perché pensassi un po’ ai conti dell’anima mia. Quest’anno ci ha già fatto la grazia, ci ha fatto comprare il Manicomio di Genova... Domani andrò a pagare un milione... Volete sapere come ho trovato il milione? Ecco: mandai un telegramma ad una signora di Genova (Queirolo), dicendole: “Lunedì vengo a far colazione da Lei: me ne prepari molti, tanti. ” (ilarità) Domani quindi vado a far colazione là. Sapete che la colazione per la signora corrisponde al pranzo qui da noi.; ma i signori, siccome si alzano tardi, fanno colazione a mezzogiorno e pranzo la sera. Quindi domani mattina andrò a colazione a Genova e poi me la farò pagare. (si ride). Quella signora, sebbene avessi scritto in latino, capì che volevo dire e mi rispose al telefono: – Pochi o tanti? –. Tanti, tanti, le risposi. Domandò ancora: – Mezzo? – E voleva dire mezzo milione. – Di più, di più, soggiunsi. Allora mi pregò di lasciarla un po’ riflettere. Dopo un po’ di tempo, un Chierico venne a chiamarmi e mi disse di correre subito al telefono per cose urgenti. Molto lesto andai alla centrale, misi dentro la moneta nella buca, che voi sapete ci occorre per telefonare al pubblico, e alla parola “pronti” della Signora capii che era Lei: – Senta, Don Orione, mi disse, ci ho pensato, glielo do tutto, glielo do intero –. San Giuseppe le ha messo lo scrupolo di coscienza, ho pensato tra me.; avete capito? (ilarità). Ed io risposi con un Deo gratias! E le dissi di ascoltar sempre i consigli di San Giuseppe. – Viene solo? – mi domandò poi. Risposi di sì. Soggiunse: – Ebbene, venga pure, ma manderò io mio nipote ad accompagnarla! Aveva paura, capite, che mi venisse uno svenimento oppure mi assaltassero con quei soldi addosso, o mi capitassero mille altri incidenti e mi voleva mandare per sentinella suo nipote. Come vedete, San Giuseppe non fa mai le cose a metà, ma per intero. Così pure il Signore e la Madonna fanno le cose intere; sono gli uomini che le fanno solo a metà. Bisogna però far bene, far bene, mantenersi in grazia di Dio, tener lontano il peccato, tenerci puri... puri! La morte, ma non peccati! Ricordate? Diceva il giovinetto discepolo di Don Bosco. Allora il Signore ci aiuterà, ci verrà sempre incontro (Par. V,157–158).
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Cari bambini, oggi, nella ricorrenza della bella festività di San Giuseppe, voi siete qui per fare la vostra Prima Comunione, per ricevere cioè per la prima volta Gesù sotto i veli Eucaristici, nell’Ostia Consacrata: Voi due cari bambini, state oggi per albergare nel vostro cuore, per la prima volta, il Figliolo di Dio. Oggi la Chiesa solennizza la festività di San Giuseppe: il Santo che cullò nelle sue braccia il Divino Bambino, il Santo che fu il Custode di Gesù. Dinanzi agli occhi della gente, Egli passava come il vero Padre di Gesù; ma del Padre celeste egli, San Giuseppe, faceva solo le veci, perché come un padre egli amava Gesù, Lo custodiva e Lo proteggeva, come un padre egli seppe salvarlo dalla feroce crudeltà di Erode, portandolo nella lontana terra di Egitto. E come un padre San Giuseppe lavorò, materialmente e faticosamente lavorò, per alimentare e crescere Gesù, per dargli il pane quotidiano, quello stesso pane di cui noi tutti ci nutriamo, al mattino, a pranzo, a sera. Oggi però, voi, diletti figlioli, – e tu, piccolo e caro ragazzo, e tu buona fanciulla – state per ricevere il pane che è venuto dal Cielo; il pane degli Angeli! Voi, nella particella Eucaristica, state per ricevere Gesù, quello stesso Gesù che San Giuseppe portò sulle braccia; quello stesso Gesù che Maria Santissima, la nostra cara Mamma del Paradiso, stringeva al suo cuore di Madre; quello stesso Gesù che amò tutti, ma che, in modo speciale, volle ancora, e vuole sempre tanto bene ai bimbi (Par. V,165).
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È già trascorso più di metà il vostro anno di noviziato e bisogna quindi che vi mettiate con maggior spirito di pietà e con fervore speciale. Siamo, si può dire, alla vigilia di San Giuseppe, il Santo protettore della nostra Congregazione. A San Giuseppe si sono erette statue e quadri in ogni nostra Casa; anche nel nuovo Santuario della Guardia in Tortona si erigerà una sua statua, e a lui sarà consacrato un altare (Par. VI,37).
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Il mese sacro a San Giuseppe, Sposo purissimo di Maria Vergine, fu sempre fatto e celebrato con particolare devozione nelle nostre Case. Voi che siete qui per il primo anno dovete entrare nello spirito della Congregazione, e dovete anche voi, con molto fervore, cominciando da domani, cominciare il mese in onore di San Giuseppe. Io ho avuto parecchie e parecchie grazie da San Giuseppe e ne ho viste fare parecchie (Par. VI,41).
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Qualcuno che sa di cadere di frequente in qualche difetto, in qualche mancanza, domandi a San Giuseppe la grazia di guardarsi da quel difetto, da quella mancanza, da quel peccato; qualcuno avrà qualche malato in casa, preghi per ottenere la guarigione; chi ha bisogno delle grazie di ordine spirituale, chi di ordine materiale; chi di ordine morale. Chieda a San Giuseppe con grande fede; domandare senza avere fiducia, vuol dire domandare senza ottenere; bisogna domandare con fede; bisogna avere uno spirito di purità; fare bene il mese di San Giuseppe; bisogna mantenere una condotta irreprensibile; fare quella data pratica per santificare il mese in onore di San Giuseppe. E San Giuseppe, che fece da padre a Gesù, che provvide alla Sacra Famiglia del pane, e in tutti i momenti più pericolosi salvò la vita a Gesù Cristo, e lo trafugò, lo sottrasse come sapete dalle insidie di Erode, così farà anche per noi (Par. VI,44).
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Il Piccolo Cottolengo genovese è sotto gli auspici di San Giuseppe; la prima malata che si ricevette, fu ricevuta nel giorno di San Giuseppe; non mi ricordo più quanti anni sono, ma è proprio stato nel giorno di San Giuseppe e l’abbiamo incominciato il Piccolo Cottolengo con l’aprire la Casa di Marassi. Giuseppe, Benedetto Agostino Cottolengo, viene elevato alla gloria degli altari, proprio nel giorno di San Giuseppe. Il Beato Cottolengo, vedete, era devotissimo di San Giuseppe, e confidava tutto in lui. Così noi dobbiamo mettere nelle mani di lui, di San Giuseppe, tutti i nostri difetti, pensieri, tentazioni, male inclinazioni, la nostra purezza e pregare San Giuseppe perché come ha sottratto dalle mani di Erode, Gesù, così ci difenda dalle inclinazioni che portano al basso, da tutto quello che conduce a sensualità e a male. Cari figlioli, mettiamoci nelle mani di San Giuseppe, sul cuore di San Giuseppe dove ha poggiato la testa il Bambino Gesù, e cerchiamo di essere tali che Egli non abbia da avere sulle braccia un peso con le nostre debolezze... Mettiamo la nostra anima nelle sue mani (Par. VI,61).
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San Giuseppe è il Patrono Universale della Chiesa, ma anche in modo particolare il patriarca dei poveri Figli della Divina Provvidenza e ne è stato, fin dalla prima ora il celeste Protettore. A lui la Congregazione ha consacrato le prime macchine tipografiche, ha dedicato alcune chiese, e intitolato alcuni Istituti e in tutte le nostre Case Egli ha un posto particolare d’onore. Mi ha fatto tanto bene l’aver trovato qui troneggiante la statua di San Giuseppe. San Giuseppe, che fu provveditore della Sacra Famiglia, il custode di Gesù, sì, non ci ha mai abbandonato. Nei momenti e nelle ore più critiche, San Giuseppe, in modo visibile e tangibile, ci venne incontro e ci fece da padre – come fece da padre a nostro Signore Gesù Cristo – quando non si sapeva dove andasse a finire la baracca (Par. VI,66).
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San Giuseppe è chiamato dalla Sacra Scrittura “Vir iustus”. Doveva vivere una profonda fede; se non fosse stato così, come avrebbe potuto credere davanti alla debolezza di un Bambino, alla sua povertà, alla persecuzione cui era esposto. Egli credeva che quello era il Verbo di Dio. Quanto viveva la fede di San Giuseppe, nella prontezza con cui compiva la volontà del Padre Celeste! (Par. VI,79).
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Prepariamoci dunque, con grande slancio e fervore di spirito, tutto special, n questa novena, alla festa di San Giuseppe. Se il Papa lo ha dato Patrono universale di tutta la Chiesa, scegliamolo ognuno a patrono particolare di ciascuno di noi. Sarà il nome di San Giuseppe che io e voi speriamo di invocare in punto di morte – con le giaculatorie così note, dove si sente come la voce dell’uomo che sta per partire da questa vita, – l’aiuto di San Giuseppe, il conforto di San Giuseppe e l’assistenza di San Giuseppe, che ebbe il gran privilegio di essere assistito in morte da Gesù e da Maria Santissima. Già vi ho accennato la grande grazia straordinaria, che da giovane ho ottenuto per la intercessione di San Giuseppe. Non lascerò, nei giorni che verranno, di parlarvi ancora di lui e non lascerò di venire, di ritornare su questo caro Santo, di parlarvi ancora di lui e di infiammare la devozione verso questo Santo che ha custodito Gesù, che ha salvato Gesù e che deve grandeggiare non solo nell’orizzonte della Chiesa, ma che deve anche grandeggiare nell’orizzonte della nostra piccola Congregazione (Par. VIII,194).
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La Chiesa, questa grande Madre, ci fa invocare San Giuseppe Patrono e Protettore degli agonizzanti. E verrà per tutti, per me prima, per voi dopo, l’ora della nostra morte e in quella estrema agonia, in quell’estremo momento, in quella suprema lotta o noi, o quelli i quali, per la bontà del Signore, verranno ad assisterci, diremo giaculatorie e invocheremo per noi Maria e Gesù e invocheremo anche San Giuseppe, che fu dato protettore dei morenti. San Giuseppe, secondo una veneranda tradizione, spirò la sua anima santa assistito da Gesù e da Maria. E Gesù, Maria, Giuseppe in quella giaculatoria tanto nota, tanto espressiva, in quelle tre giaculatorie tanto note, vengono invocate dai morenti... Vi dono il cuore e l’anima mia... assistetemi nell’ultima agonia... Spiri in pace con voi, o Gesù, con voi, o Maria, con voi, o Giuseppe, l’anima mia. La morte dei Santi è sempre preziosa: “Praetiosa mors Sanctorum eius”. Santa e preziosa è la morte dei giusti. Quanto fu mai santa, quanto dovette mai essere preziosa la morte di San Giuseppe! Noi dovremo, in questo ultimo giorno del mese di marzo domandare a San Giuseppe tutte le grazie di cui abbiamo bisogno, ma specialmente dobbiamo pregare che il caro Santo voglia assisterci negli estremi momenti di nostra vita (Par. VIII,225).
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Una, direi, delle virtù che deve avere il Figlio della Divina Provvidenza, è quella di essere devoto di San Giuseppe, e devoto specialmente perché voglia ottenerci quello spirito di sacrificio che informò la sua vita, vita santa, che fu piena di giustizia e di fede, per cui è celebrato dalla Sacra Scrittura come vir iustus. E dobbiamo confortarci nel nostro cammino con la speranza che anche noi faremo la morte del giusto se faremo una vita di carità, se vivremo per Dio e per il prossimo! (Par. X,123).
Vedi anche: Santi.
San Giuseppe Benedetto Cottolengo
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Siamo noi che custodiamo e abbiamo in mano il Pane di vita, quindi è compito nostro. Bisogna fin da principio, e non tardare più oltre, mettere come fondamento di codeste Case di Genova la S. Comunione quotidiana. Così fece il Beato Benedetto Giuseppe Cottolengo. Il Piccolo Cottolengo deve rappresentare o, meglio, continuare nella frequenza alla Comunione la santa usanza anzi la pietà ignita dei primitivi fervorosi cristiani i quali ogni giorno partecipavano del Corpo del Signore (Scr. 5,340).
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Lei però, se avesse ancora da disporre qualche cosa, disponga tutto nel Signore, e come il Signore La ispira; ed abbia piena fiducia in Don Sterpi e nel Canonico Don Perduca, che sono due birbe uso Cottolengo: io in Paradiso andrò, ma dietro la porta; ma quei due lì andranno su su. Poi lasceranno giù una corda, ed io mi arrampicherò, e poi tirerò su con me tutti i benefattori e benefattrici e i poveri del Cottolengo, quelli di Genova, di Milano e di qui, e faremo un regno in Paradiso, con San Giuseppe Cottolengo in trono, e anche Lei, nostra buona madre, avrà un bel trono, tutta circondata dai suoi cari di famiglia e dai suoi poveri. È contenta? (Scr. 9,81).
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La vigilia del 40° anniversario di messa, ho benedetto una devota statuetta di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, e la mattina del 13 sono partito da Victoria in auto col chierico Fogliarino al volante e due novizi, italiani, uno di 27 anni, marchigiano, l’altro di 17 veneto, e siamo andati al celebre al santuario di Luján, e la messa la ho detta ai piedi di quella miracolosa Madonna, che è alta proprio come quella che tenevo lì nella mia camera, è una piccola devotissima statua della Immacolata, con le mani giunte (Scr. 18,86).
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Le parole di bontà che v. Emin.za ha voluto scrivermi mi sono di molto conforto, e vengo a ringraziarla di cuore. Quel po’ di bene, che qui va svolgendosi, è tutta opera della Divina Provvidenza e di San Giuseppe Cottolengo: per la verità, io poco o nulla faccio, se pur non sono di impedimento a maggior bene coi miei difetti e peccati (Scr. 18,105).
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Sua Eminenza Rev.ma il Sig.r. Cardinale Fossati, e il Rev.mo Padre Riberi, Superiore della Piccola Casa della Divina Provv.za di Torino, inviarono due Reliquie «ex ossibus» di San Giuseppe Cottolengo. Oltre alla benedizione della Nuova Chiesa, dedicata al Santo dei più infelici, e dei Padiglioni, il Nunzio Ap.co benedisse la Iª pietra dei due nuovi Padiglioni. Tutti rimasero soddisfattissimi, e Deo gratias! Deo gratias! (Scr. 19,69).
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Vita di fede! spirito di fede! Opere di fede! Oh la fede del Beato Cottolengo! Ne aveva più che tutta Torino, diceva il filippino suo confessore. «Fede, fede, ma di quella!», diceva il Cottolengo. Coraggio, figlio mio, ravviviamo in noi la fede! (Scr. 31,217).
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Fate bene la novena. Vi mando su l’immagine del Beato Giuseppe Benedetto Cottolengo, che porterete con festa in quella Casa, e don Perduca vi darà qualche altra santa immagine, e avanti con molta molta carità (Scr. 39,77).
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Quel Dio che ci è Padre celeste e provvidentissimo, che ci ha sorretti e aiutati pel passato, non lascerà di assisterci anche nell’avvenire. Le ricompenserà largamente, distinte mie benefattrici, dei sacrifici fatti pei suoi poveri, e il Cottolengo, San Giuseppe Cottolengo vedrete che vi pagherà bene! (Scr. 38,182).
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Riflettendo alla singolare bontà incontrata e alla mia assoluta miseria, penso quanto e quanto ho da imparare da tutti e come tutto debbasi riferire alla Divina Provvidenza in primis e alla pia memoria del caro don Candido, al quale, dopo Dio, la SS.ma Vergine e San Giuseppe e San Giuseppe Cottolengo, si deve ogni buona disposizione incontrata (Scr. 47,244).
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Adesso ho impegnato San Giuseppe in un’opera nuova qui: con la più ampia approvazione e benedizione del Nunzio e di sua Eccell.za l’Arcivescovo Mons. Copello, comincio una casa di Carità, sotto gli auspici di San Giuseppe e di San Giuseppe Cottolengo, per tutti i rifiuti della società, una specie di Cottolengo Argentino: questa città ha grandi ricchi e grandi poveri (Scr. 48,118).
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In questo giorno sacro a San Giuseppe, sposo di Maria SS.ma, mi è caro di umiliare alla Eminenza vostra la supplica, già fatta a voce, di voler benevolmente concedere che, lasciando l’«Apostolato del Mare», di sua iniziativa, la chiesa con l’annesso locale di S. Marcellino, per avere trovato di meglio, l’umile sottoscritto possa far ufficiare detta chiesa da un sacerdote genovese dei piccoli figli della Divina Provvidenza, don Enrico Sciaccaluga, o chi per esso; di unire al nome di chiesa di S. Marcellino quello di San Giuseppe Cottolengo. E, poiché, il 30 di aprile sarebbe la festa di questo Santo dei poveri più abbandonati, poter fare un po’ di festa in onore del Santo, ma con molta semplicità (Scr. 48,222).
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Non ho mai chiesto denaro a nessuno, e non ci è mai mancato nulla. Non ci sono debiti; è tutto il Signore che fa, è tutto la S. Madonna e San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Con questo non Le dico che mi manchino pene, no... la più grande è di vedermi così cattivo e freddo col il Signore, che sempre prometto, e poi... faccio soffrire il cuor di Gesù con tante mie magagne (Scr. 50,11).
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I santi non rissano fra di loro né con gli altri, ma son sempre grandi amici di tutti, accomodano tutto da fratelli nella carità dolcissima di Gesù Cristo. E San Giuseppe Cottolengo, il quale ha posto la sua Casa della Divina Provvidenza in Torino sotto gli auspici di S. Vicente de Paul e ne fu devotissimo, di S. Vincente, ben si sarebbe tenuto onorato di cedere il passo al maestro cioè al grande apostolo della Carità S. Vicente. Quindi per quanto so e posso, prego umilmente di non guardare se il Consultorio prende nome dal Cottolengo o da S. Vincenzo, ma di guardare alla sostanza e che la buona istituzione continui nel suo apostolato di bene del bene a favore alla classe operaia umile che ne ha bisogno (Scr. 51,256).
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Il Cottolengo genovese non è opera mia, ma è opera del Signore: che va avanti, e anzi meglio, me assente e lontano per anni interi, perché è sostenuto dalla mano di Dio, dalla protezione celeste di Maria SS.ma di San Giuseppe, e di San Giuseppe Benedetto Cottolengo il Santo degli infelici e abbandonati. Ed anche è validamente confortato ed aiutato dalla vostra benevolenza e carità, o miei buoni, indimenticabili genovesi, che avrete un fare talora un po’ fiero, ma avete poi un cuor d’oro, un cuore grande, più grande che il vostro mare (Scr. 52,215).
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Confesso con la testa per terra, che più d’una volta ho avuto la sensazione che i Piccoli Cottolengo, nei quali la misericordia del Signore mi ha portato a Servire Gesù Cristo nei suoi poveri, siano confortati e assistiti, in mirabile modo, dalle visite dello stesso San Giuseppe Cottolengo, nostro celeste Patrono (Scr. 59,210).
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La Divina Provvidenza mandò tutto, senza bisogno di fare nessun prestito, né con banche ne con privati, perché chi fa tutto è la Divina Provv.za e San Giuseppe Cottolengo (Scr. 59,212).
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Nel maggio del 1915 passava piamente a miglior vita la Contessa Teresa Agazzini, zia del General Fara, lasciando a lui, a Don Orione, la sua casa nel Novarese, onde ne facesse un asilo di carità per poveri vecchi. Fu appunto quella casa che diede modo al povero prete, già tanto portato verso San Giuseppe Cottolengo, di aprire a sé e ai suoi sacerdoti e suore un nuovo campo di apostolato a sollievo di poveri e malati d’ogni specie, sul modello della grande Opera di Torino, fondata dal Cottolengo stesso. Invero, Don Orione, pel desiderio di vivere un po’ lo spirito di questo gran padre dei nostri fratelli più abbandonati, si era portato, e più d’una volta, appositamente a Torino, per studiare dappresso la Piccola Casa della Divina Provvidenza; e poi, dalle rovine di Messina, dove era accorso dopo il terremoto Calabro–Siculo, era anche andato a Bra. E in quel di Bra, patria del Cottolengo, con denaro avuto in mirabile modo, in parte pure a prestito grazioso dal can.co Maria Annibale Di Francia, vero San Vincenzo de’ Paoli della Sicilia, Fondatore dei Rogazionisti, morto in concetto di santità, acquistò dai Marchesi Venosta la Villa già dei Conti Moffa di Lisio, dove il Cottolengo era solito andare per visitarvi i suoi cugini, Agenti dei Conti Moffa. E in quella Villa volle si aprisse, sotto gli auspici del Santo il primo Noviziato della Piccola Opera della Divina Provvidenza, oggi fiorentissimo. E ciò fece, dopo aver peregrinato alla Casa dove il Santo era nato, alla chiesa dove ebbe il battesimo e fece la I Comunione, dove poi celebrò la sua I Messa, nonché al celebre Santuario della Madonna dei fiori, dove s’infervorava di tenerissima devozione a Maria, e quindi ancora alla tomba del Santo, in Torino (Scr. 61,151).
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Del resto pare consti che lo stesso San Gius. Benedetto Cottolengo accennasse che sarebbe venuto un tempo nel quale vi sarebbero state delle Case di carità chiamate dal suo nome. E quando il Santo si esprimeva così, nella sua umiltà, se ne stupiva. Oh come sono mirabili le vie di Dio! (Scr. 61,154).
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In ogni cosa ed evento il Cottolengo vedeva il Signore, amava il Signore, cantava il Signore – Il Cottolengo aveva molto somiglianza con quel S. Francesco d’Assisi tutto serafico in ardore: e fratelli e sorelle salutava il sole, le stelle, l’acqua, gli uccelli, il lupo di Gubbio, sorella morte e Madre terra (Scr. 61,172).
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L’anno stesso in cui usciva alle stampe la prima edizione dei Promessi sposi – 1827 – un povero prete a Torino era commosso dal triste caso di una famiglia forestiera abbandonata sul lastrico e risolveva di dar principio ad un’opera di carità di cui il suo nome sarebbe divenuto un simbolo e un’espressione: San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Ecco il santo della Provvidenza. Senza conoscersi, per una divina intuizione di carità, il poeta e il santo sono legati da un medesimo vincolo, consacrati ad un medesimo ideale: la Divina Provvidenza. Entrambi ne celebrano i portenti. Con l’arte e con la vita. Reciprocamente. Perché per entrambi l’arte non separabile dalla vita e la vita di carità è l’inno più bello che lo spirito dell’uomo possa cantare. Il genio della carità e il genio dell’arte si danno la mano: Possiamo ripete per essi i versi di Dante: La Provvidenza che governa il mondo Due principi ordinò in suo favore. L’un fu tutto serafico in ardore, l’altro per sapienza in terra fue di cherubica luce uno splendore (Scr. 61,235).
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Nel settembre del 1827, aveva il beato Giuseppe Cottolengo assistito all’agonia e morte d’una povera donna francese, madre di tre bambini, che non era stata ricevuta negli ospedali di Torino. Grandemente commosso e ispirato dalla santa Madonna, concepì allora il pensiero di aprire una Casa dove fossero raccolti gli infermi e infelici d’ogni maniera, d’ogni parte, d’ogni religione: ciechi, storpi, epilettici, sordomuti, deficienti etc., gli abbandonati, in una parola, da tutti, i rifiuti della società. E al Deposito della Volta Rossa, con due camere e quattro letti, diede poi principio alla Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino. Ora, a ricordo di questo fausto centenario, si inaugurerà Lunedì 20 corr. al Piccolo Cottolengo di Quarto la prima statua che Genova alza al Santo dei poveri più derelitti. Essa verrà benedetta per le mani di Mons. Arcivescovo. È un bel gruppo, simile a quello che sorge sulla Piccola Casa di Torino viene da Torino, ma è dono di un nobile Genovese. Genova, che vide più volte tra le sue mura il beato, ed ebbe il padre Alberto, fratello del Cottolengo, per tanti anni a parroco venerato di Santa Maria di Castello, era ben giusto che alzasse al beato una statua, in questo primo centenario della carità, e che il monumento sorgesse tra i poveri d’ogni sorta raccolti al Piccolo Cottolengo in Quarto dei Mille. Miei cari benefattori, tutto per Dio, tutto per le anime, tutto e sempre tutto in Domino! (Scr. 62,2–3).
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Dal novembre del 1933, da quando cioè il Signore ha voluto che la Piccola Opera portasse le sue tende anche in Milano e desse principio, nel nome di Dio e sotto gli auspici di San Giuseppe Cottolengo, a questa istituzione, a conforto dei fratelli nostri più abbondanti, una vera gara di carità si è accesa intorno al nascente Piccolo Cottolengo Milanese. Da vicino e da lontano, fin dai primissimi giorni, ci è venuto incontro l’aiuto dei buoni Ambrosiani: da chi non ci conosceva, da ricchi e da poveri lavoratori, da bimbi che hanno fatto sacrificio dei loro balocchi e offerto i loro risparmi, da malati di Ospedali, con spontanee sottoscrizioni: soccorsi in denaro, soccorsi in generi d’ogni specie: pane, riso, zucchero, verdure: offerte di carta, mobili vecchi, legna, carbone... E il miracolo, iniziatosi in quel lontano novembre, andò via via crescendo, e apparve più manifesto ogni qual volta la porta del Piccolo Cottolengo si aprì ad accogliere un povero fratello infelice (Scr. 62,45–46).
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Il Piccolo Cottolengo di Milano, fratello minore, per ora, degli altri Piccoli Cottolengo sparsi nel mondo, fiorirà, ed in breve tempo gli spazi del bene si amplieranno ad abbracciare tante sventure, ad asciugare tante lacrime. E mente la Casa si farà grande, conserverà sempre il carattere affettuoso della famiglia, dove i poveretti non sono ricoverati né ospiti ma gli unici veri padroni: e i più malati, i più sofferenti, i deformi, i fatui, i padronissimi, come diceva San Giuseppe Cottolengo. Che se, anche in avvenire, una preferenza si farà al Piccolo Cottolengo Milanese, sarà proprio per chi avrà più dolori e sarà più abbandonato (Scr. 62,49).
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Nel Santuario campestre della Madonna dei fiori, presso Bra, il Cottolengo, fanciullo ancora, aveva consacrata alla SS.ma Vergine la sua verginità e tutta la sua vita. E la bella e angelica virtù fin dai primi anni splendeva tanto in Lui, che tutti lo chiamavano: «l’Angelo». A chi entra nel Cottolengo la prima cosa che si presenta è l’immagine della Consolata. Il primo sguardo e il primo pensiero di chi va in quella grande casa dei poveri e derelitti, volle il Cottolengo che fosse per la Madre del Signore. E i ricoverati la chiamano famigliarmente col nome di Madonna Portinaia. Quella immagine, infatti, sta a custodire la porta della città della Provvidenza. Davanti ad essa il Cottolengo accettava i poveri e insieme con essi si inginocchiava a recitare un’Ave. Poi li benediceva, ed entravano così nella Casa come sudditi della Madonna (Scr. 62,127).
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Così pregava il Cottolengo la Madonna. «Chi, o cara Madonna, Vi amerà più di me? Sono il vostro straccio, ma sono anche il vostro figlio, il vostro caro figliuolo. Deh! Maria, prendetemi sotto il vostro manto. Sono troppo peccatore, ma sono sempre il vostro figliuolo, o Madre! Oh Santa Madonna, fateci Santi! Per me, per tutti, Ve ne prego: Oh Santa Madonna, fateci Santi! » Udite. Mentre un giorno si lavorava alle fondamenta dell’altare in onore di Maria Santissima, apparve a un tratto nel sottosuolo un vuoto che nessuno sospettava. Il Beato Cottolengo che non a caso era presente disse lietamente ad un tratto allora al suo fedele capo mastro muratore: «Quando sarò morto mi metterai qui, e il mio capo riposerà sotto i piedi della Madonna». Fu quello, per riguardo alla Madonna, il suo vero testamento. Ai piedi di Maria, della sua Mamma diletta, Egli volle dormire, come fanciullo in grembo alla madre, il sonno delle sue membra stanche nel lavoro e nell’apostolato della carità, per ridestarsi in grembo alla Madonna, alla sua Mamma, in Paradiso. Oh Lui beato! (Scr. 62,128).
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Sono giunto alle 22 di sabato, e ieri mattina ho potuto assistere alla canonizzazione del Cottolengo in un posto bellissimo, nella stessa tribuna dei suoi parenti e presso un fanciullo che miracolato Beata Redi. Non ebbi mai né mai più mi lusingo di avere posto migliore. San Giuseppe Benedetto Cottolengo mi ha trattato proprio da re – ora a me tocca corrispondere a tante grazie (Scr. 64,53).
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E qui, di dove le scrivo, caro Lolli, è come la sede centrale, il quartiere della Divina Provvidenza, dove, ogni giorno e a tutte le ore, si accettano, ai piedi della Immagine della Santa Madonna e di San Giuseppe Cottolengo, i poveri più derelitti, che non hanno potuto trovar posto presso altre istituzioni di beneficenza, di qualunque nazionalità essi siano e di qualunque religione (Scr. 66,203).
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Mi onoro significare alla Signoria Vostra, che i nostri cari poveri, raccolti sotto gli auspici del Santo dei derelitti, San Giuseppe Cottolengo, Martedì, 21 corr. alle ore 9.30 faranno una funzione a suffragio del Santo Padre Pio XI. Celebrerà la Messa e dirà parole di fede e di cristiano conforto Don Orione (Scr. 66,317).
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Mi reputo ad alto onore portare a conoscenza di V. Eccell.za che in Claypole (F. C. S.), nella villa della Signora Pombo de Barilari generosamente donata, si alzerà una Casa di Carità che prenderà nome e spirito dal Santo italiano Giuseppe Cottolengo, padre degli infelici! (Scr. 67,1).
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Mi sono giunte in questi giorni alcune immagini di San Giuseppe Cottolengo, immagini modeste e semplici come era Lui. M’è parso che V. Eccellenza Rev.ma abbia verso questo caro Santo singolare attrattiva e devozione per la sua fede grande nella Divina Provvidenza e il suo grande spirito di carità verso i più abbandonati. Penso che oggi è la festa dei Re, e, poiché già volevo offrire a Vostra Eccellenza un’immagine del Santo vengo ad umiliarne alcune e Le chiedo venia della libertà (Scr. 67,288).
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Dopo che la Divina Provvidenza mi diede di poter aprire il Noviziato in Italia a Bra, patria di San Giuseppe Cottolengo, il Signore mi portò di più verso i poveri. Fin da quando facevo il ginnasio in Torino, ogni qual volta passavo davanti alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata da San Giuseppe Benedetto Cottolengo, sentivo uno speciale attraimento verso quell’Opera di fede e di carità e vivo desiderio di fare qualche cosa col Divino aiuto, per i nostri fratelli più poveri e più abbandonati. Quando sono tornato in Italia dall’Argentina nel 1922 e passato ad ossequiare l’Eccell.mo Arcivescovo di Genova. Egli mi disse di fare qualche cosa come il Cottolengo, per quelli che sono come il rifiuto della Società. San Giuseppe ha cominciato l’Opera, che si chiamò a principio, Casa di Carità sotto gli auspici del Beato Cottolengo, ma presto il popolo chiamò quell’Opera il Piccolo Cottolengo Genovese: ora sono cinque case in Genova e una casa di convalescenza vicino al monte della Madonna della Guardia (Scr. 67,300).
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La Divina Provvidenza, per la carità di donna Carolina Pombo de Barilari, eleverebbe nel Piccolo Cottolengo Argentino in Claypole; a gloria di Dio e a nome del Santo degli infelici più abbandonati. Sarebbe, Eccell.mo, la prima chiesa che viene innalzata in onore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo; questo caro Santo ha altari, ma nessun tempio finora. So che l’Eminentissimo Cardinal Fossati, Arcivescovo di Torino, pensa di edificargli una Chiesa parrocchiale. Se piacerà a Dio, il sacro edificio di cui si presentano i piani, verrà ultimato, e potrà essere benedetto, insieme con i primi Padiglioni il 29 del prossimo aprile Anniversario della benedizione della 1.a pietra (Scr. 67,304).
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Non voglio tardare un momento, nobilissima Sig.ra Marchesa a ringraziarLa de todo corazon del Suo atto profondamente cristiano e benefico. San Giuseppe Cottolengo La benedica dal Cielo come La benediranno sempre i poveri del Pequeño Cottolengo Argentino (Scr. 67,340).
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Questa Opera è posto sotto i celesti auspici di San Giuseppe Cottolengo che fu Padre e Apostolo dei poveri più infelici, da Lui prende spirito e prende nome di Piccolo Cottolengo Argentino. Quante benedizioni avranno da Dio e dai nostri fratelli più derelitti quei generosi che ci vorranno aiutare a sollevare tante miserie di tanti nostri fratelli! (Scr. 73,90).
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Noi tutti amiamo e benediciamo tutte le istituzioni, tutte le forme, tutte le opere che si propongono e anelano al bene; solo, proponendoci il bene, cerchiamo sull’esempio del B. Cottolengo che fu Maestro e grande Apostolo di carità, di impararne sempre meglio la strada (Scr. 78,215).
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Io, tanto, devo trattenermi perché con la piena approvazione e benedizione dell’Eccell.mo Nunzio, che vedo con qualche frequenza – e di questo Eccellentissimo Arcivescovo vorrei, se a N. Signore piacerà, dar inizio qui ad una Casa di Carità sotto gli Auspici di San Giuseppe Sposo purissimo di Maria e di San Giuseppe Cottolengo: una Casa che accolga quelli che non possono essere ricevuti dagli altri Istituti di beneficenza, uso Cottolengo di Torino (Scr. 79,191).
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Il Beato Giuseppe Cottolengo È nato a Bra, la città della Madonna dei fiori, il 3 maggio 1786. I suoi genitori si distinguevano per la bontà della vita e per la pratica della religione. Un fratello del Cottolengo si fece Domenicano, e per più anni fu parroco di Santa Maria di Castello in Genova. Sua madre fu vero modello di donna e di madre cristiana. Appena vide il suo Giuseppe capace d’intender qualche cosa, cominciò a parlargli di Dio, della Madonna: gli ripeteva che i fanciulli devono essere buoni come Gesù, obbedienti come Gesù e gli insegnava le orazioni animandolo con dirgli che i bambini che voglion bene alla mamma le imparano presto e le dicono sempre. E se qualche povero veniva alla porta, essa gli dava un pane o una moneta e “Va, gli diceva, dà questa poca grazia di Dio a quel poverello, perché i poveri sono nostri fratelli, e bisogna aiutarli”. Un giorno, tuttoché di 5 anni girava tutto solo per le stanze della casa con un bastoncino fra le mani a misurarne la capacità. “Ma Giuseppe, gli disse la mamma, cosa fai che ti vedo prendere tante misure?” E il bambino rispose: Vedi, mamma, vorrei sapere quanti letti potrebbero stare in questa casa, perché, quando sarò grande, voglio riempirla tutta, tutta di poveri ammalati. “Voglio farmi santo”. Chiunque avesse osservato con quanta pietà il Cottolengo, ancora fanciullo, attendeva alle cose di religione, avrebbe detto: “Questo giovanetto sarà sacerdote”. E infatti, confortato dal suo parroco, egli decise di essere tutto di Dio, e disse con volontà risoluta “Voglio farmi santo.” Fu chierico modello, e poi sacerdote e canonico secondo il cuore di Cristo. Aveva un fare cordiale, allegro, scherzevole: era il padre dei poveri (Scr. 83,6).
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Quanti circondano di benevolenza il “Piccolo Cottolengo Genovese” sono invitati alla riunione annuale che avrà luogo nel salone delle opere cattoliche Vico S. Matteo n. 12 (g. c.) alle ore 15.30 di sabato prossimo, vigilia di San Giuseppe. Il Rev.do Don Orione parlerà dello spirito del Beato Giuseppe Cottolengo, e brevemente dirà poi quanto coll’aiuto di Dio e dei buoni, è stato possibile di fare a pro di tanti infelici accolti al “Piccolo Cottolengo Genovese” e quanto si ripromette di fare, ora che si è acquistato “Paverano” (Scr. 83,89).
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L’esperienza fatta durante quattordici anni ha dimostrato come sia riuscita pratica ed efficace l’assistenza prestata ai poveri più abbandonati presso il Piccolo Cottolengo Genovese dalle Suore della Piccola Opera della Divina Provvidenza e dai Sacerdoti della stessa Congregazione, dal sottoscritto fondata e diretta. Analoga esperienza, la quale dura ormai da un secolo, è stata fatta a Torino nella Piccola Casa fondata da Don Giuseppe Cottolengo. Questa esperienza dimostra la saldezza della disciplina e lo spirito di sacrificio a favore dei ricoverati che anima coloro che li assistono, e che a loro danno, sino all’olocausto di se, sostentamento e ogni cura (Scr. 84,28).
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I Santi sono i miracoli della divina grazia. (Pregate Rivolgetevi) Rivolgetevi a Dio per la intercessione di San Giuseppe Cottolengo e sarete consolati: il nostro Santo è il grande consolatore degli afflitti: Egli ebbe dal Signore abbondanza e, si direbbe, pienezza di spirito da infondere fede e vigore sovrumano alle anime. Mentre riconosciamo dalla Divina Provvidenza tutti i benefizi che riceviamo, veniamo ad essere anche più grati verso coloro dei quali il Signore si serve per beneficarci (Scr. 94,5).
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W Viva la Divina Provvidenza! Viva San Giuseppe Cottolengo Deo gratias! Charitas! Charitas! Charitas! Charitas Christi urget nos! Tutto in Domino Viva l’Argentina Viva il Papa. Viva l’Ecc.mo Sr. Presidente de la Repùblica Gral Agustin P. Justo! Viva l’Eccell.mo Sigr Nunzio Mons. Filipe Cortesi. Viva l’Eccell.mo, Mons. Alberti, Arcivescovo di La Plata. Viva l’Eccell.mo Mons. Copello, Arcivescovo di Buenos Aires. Viva la bandiera Argentina (Scr. 94,234).
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Pregherò e farò pregare i nostri poveri per Lei e Suoi Cari, e Le sarò e se piacerà al Signore che io ritorni la verrò a ringraziare. Parli di quello che vuole, come Dio La ispira. generalmente di San Giuseppe, Provveditore della Sacra Famiglia e dei poveri: o di San Giuseppe Cottolengo, qualche anno della carità o della fede e abbandono alla Divina Provvidenza. Le mie erano povere chiacchiere. Parli Ella, caro Avvocato, come Dio la ispira – e stia lieta in Domino. Solo La prego d’una cosa: non parli di me (Scr. 94,286).
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A Te, o Divina Provvidenza che, scegliendo per tuo ministro fedele il Beato Giuseppe Cottolengo ha voluto trarre a te il secolo traviato con una grande opera di fede e di carità che è un miracolo perenne, e ha dato alla Santa Chiesa nostra Madre e alla nostra Italia un pegno di affetto immenso. A Te, o Divina Provvidenza, che ugualmente vegli e sul fiore del capo e sui poverelli come sul trono del Re, e consacrata questa unica Casa di Carità che sorta in Genova sotto lo sguardo di San Giuseppe è consacrata con nome di Piccolo Cottolengo perché vuole vivere animata dal suo spirito e fede (Scr. 96,131).
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Sono 40 anni noi invece, non tristi, non stracchi non per un cammino arido e selvatico ci sediamo anche noi all’ombra non di un bell’albero, ma di S. Giuseppe, del Beato Giuseppe Cottolengo, l’albero del Vangelo vicino alla fonte d’acqua viva, la fonte della carità di Gesù Cristo e riprendiamo energia e bontà è un grande della fede e della carità ristoriamo le anime (Scr. 96,348).
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Dopo la Madonna, il Piccolo Cottolengo sarà il parafulmine della Città; sarà la salute e la prosperità di Genova e della Liguria. Chi dà ai poveri, dà a Dio. Laus perennis: preghiera perenne. Viva San Giuseppe Cottolengo! Viva i Benefattori! Deo gratias e sempre Deo gratias! (Scr. 97,278).
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L’omaggio più bello a San Giuseppe Cottolengo nell’anno della sua Canonizzazione è quello di largheggiare d’elemosine verso i poveri più bisognosi. San Giuseppe Cottolengo dal Paradiso sarà riconoscente verso i nostri Benefattori e Benefattrici. Il Piccolo Cottolengo sarà grande monumento della carità genovese. Onorate Dominum de substantiis vestris: onorate il Signore con le vostre sostanze, concorrendo volentieri con generosità a dar pane ai poveri del Piccolo Cottolengo Genovese (Scr. 97,280).
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Il Beato Cottolengo fu uomo dotato di tanta fede, che il P. Fontana, suo confessore, era solito dire: “Si trova più fede nel solo Can. Cottolengo che in tutta Torino”. Aveva il Cottolengo una grande fede e un illimitato abbandono nella Divina Provvidenza; ma aveva pure una grande prudenza e previdenza. Sotto il velo della semplicità e di una carità somma, si vedeva in lui una prudenza consumata (Scr. 98,69).
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E là hanno voluto che parlassi di San Giuseppe Cottolengo, nella sala de actos di Stella Maris presenti due Vescovi. Ho sentito veramente l’aiuto del Signore (Scr. 100,205).
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Ogni nostro connazionale conosce quanto grande e luminosa sia l’azione svolta nel nostro Paese da quel Giuseppe Cottolengo che la Chiesa ha innalzato alla dignità degli Altari e che l’Italia considera come uno dei Suoi figli migliori. Vedere sorgere un’opera similare in Argentina, la di cui terra è stata fecondata dal lavoro di migliaia di Italiani, è, oltre che cosa utilissima sotto il punto di vista spirituale, testimonianza di gratitudine da parte dell’Italia che ha visto aprire generosamente le braccia della Repubblica cavalleresca ed amica, alle moltitudini dei nostri fratelli accorsi sulle rive del Plata (Scr. 103,258).
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E mentre la Casa si farà grande, conserverà sempre il carattere affettuoso della famiglia, dove i poveri non sono ricoverati, né ospiti, ma gli unici veri padroni: e i più malati, i più sofferenti, i deformi, i fatui, i padronissimi, come diceva San Giuseppe Cottolengo. Che se, anche in avvenire, una preferenza si farà al Piccolo Cottolengo Milanese, sarà proprio per chi avrà più dolori e sarà più abbandonato. I poveri che non hanno un soldo, quelli ai quali nessun’altra porta si fosse aperta, vengano fidenti al Piccolo Cottolengo Milenese! (Scr. 108,39).
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Dalla storia appare che qualche sordomuto, non si sa come ha appreso a parlare, vari santi, miracolosamente restituirono l’udito ai sordomuti (S. Beda, S. Alfonso, il Santo Curato d’Ars, S. Giovanni Bosco): fra loro, S. Francesco di Sales, per mezzo di segni educò il sordomuto Martin e lo prese fra i suoi servi: e San Giuseppe Cottolengo, personalmente fondò due istituti per entrambi i sessi: imparò con il metodo a comunicare con loro. Voleva loro molto bene e fu da loro amato (Scr. 110,70).
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Preghiera O Beato Giuseppe Cottolengo, ottenete a noi tutti, che ci gloriamo d’essere vostri figli: di vivere sacrificandoci, per l’amore di Gesù a bene dei nostri fratelli i poveri, disprezzando la terra e sospirando il Cielo. Così sia (Scr. 110,192).
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Come sempre, così anche oggi, per dovere e debito di lealtà, ci teniamo a pubblicamente dichiarare che questa minima Opera è ben distinta da quella grande istituzione che è la Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondata in Torino da San Giuseppe Benedetto Cottolengo, come pure da ogni e qualunque altra opera del genere (Scr. 114,285).
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Santuario della Madonna dei Fiori Bra 23/7/1934 Figliuoli carissimi in Cristo, Tutti gli anni i novizi, prima di terminare il loro anno e di incominciare i santi esercizi, vengono in questo santuario a salutare la Madonna, a prendere da Lei luce, consiglio, conforto. Quante volte miei cari figlioli, San Giuseppe Cottolengo venne in questo santuario! Qui egli ancora bambino era condotto dalla sua mamma; la buona Benedetta a pregare, dalla sua mamma che l’aveva consacrato al Signore prima ancora di nascere. Mons. Gastaldi, in quella mirabile vita di S. G. Cottolengo, narra come egli ai piedi della Madonna cominciò la sua santificazione, ai piedi di questa Madonna già sacerdote sentì forte il desiderio di apostolato, quell’apostolato che poi continuerà a Torino fondando ospedali ed accogliendo poveri. Qui, dunque, vengono ogni anno i novizi, e quest’anno ho avuto io la grazia di celebrarvi la messa, a me è toccata questa gioia prima di partire e di visitare in un luogo più lontano, nell’Uruguay, un altro santuario dedicato alla Madonna dei Fiori nelle plaghe della Floresta. A me stamane la gioia di mettermi sotto il manto della Madonna, a voi la consolazione di pregarla, di prender luce, conforto, e secondo l’esempio del Cottolengo prender motivo di aumentare in noi la devozione alla Madonna. Egli ne fu tanto devoto! anche noi, suoi parenti dobbiamo seguirne l’esempio. Di lui noi eravamo già parenti in spirito – la nostra più intima parentela fu stretta nel giorno della canonizzazione, quando mi trovai in mezzo ai parenti del Cottolengo e di D. Bosco (Scr. 117,85).
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A Tortona entrando avrete veduto i due busti del Cottolengo e di D. Bosco. Questo vi dica, cari figlioli, quale è lo spirito che la congregazione deve avere: abbracciare i più poveri, gli ammalati, come li abbracciava il Cottolengo, educare i fanciulli poveri come li educava D. Bosco. Questo è lo spirito della Congregazione, ed è per me quasi una spina e temo tanto per quei sacerdoti dedicati in alcuni istituti all’educazione non di poveri, ma di ricchi. Il nostro scopo è di intensificare l’amore a Cristo e al suo vicario, esercitare sui più poveri ed abbandonati le opere di misericordia spirituali o corporali. Se qualche cosa mancava alla parentela nostra col Cottolengo e con D. Bosco, questa venne attuata nel giorno delle loro canonizzazioni, quando ebbi la consolazione di sedermi tra i loro parenti che parlavano il piemontese e vivevano in questi paesi. Noi siamo i parenti del Cottolengo e di D. Bosco! Cerchiamo dunque di avvicinarci a loro nello spirito – avvicinarci al Cottolengo con lo spirito di fede... ma di quella... per cui il Signore benedice la Piccola Casa della Divina Provvidenza – avvicinarci a D. Bosco con grande spirito di sacrificio, di attaccamento alla santa Chiesa, al Papa, ai Vescovi che il Signore: “posuit regere Ecclesiam” (Scr. 117,85).
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Chiediamo al Cottolengo grande devozione alla Madonna. Egli tutto fece incominciare dalla Madonna e tutto a lei rivolgere. Ornò la sua piccola casa di tanti santuari della Madonna, li decorò con titoli, pose i cantori di Maria: gli uccelli – e quando gli fu regalata la statua della Madonna, volle fare una processione solenne; ordinò infine al Capasso di seppellirlo ai piedi della Madonna. –Andò a morire a Chieri, lontano da chi amava, ma volle esser sepolto ai piedi della Madonna: ivi vivo, ivi pure morto. Se gli si dovesse dare un titolo, dopo il titolo di santo, bisognerebbe chiamarlo il santo della Madonna. Oh! Impariamo da lui e da Don Bosco ad amare e venerare la santa Madonna! Ho assistito alla canonizzazione del Cottolengo: cosa mirabile, stupenda, che strappava le lacrime: sfilava in S. Pietro la processione con gli stendardi del santo, e tutti cantavano; cantavano Maria. Cantavano Maria ed i fedeli ed i pellegrini – italiani e stranieri cantavano il Magnificat, l’Ave Maris Stella – tutti cantavano Maria. Cosa bella! Mi faceva piangere. Inginocchiatevi anche voi, pregate, invocate questa mattina la Santa Madonna! Preghiamola che ci sostenga in questi momenti difficili, che ci assista affinché siamo quali la Provvidenza ci vuole (Scr. 117,86).
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Qui poi il 30 aprile, festa di San Giuseppe Cottolengo, presenti tutte le autorità, si inaugureranno sei padiglioni del Piccolo Cottolengo Argentino e la prima chiesa, dedicata al Cottolengo: non ce n’è altra, finora, che io sappia, in tutto il mondo. Mi direte: ha dei debiti? Non ho nessun debito: sono i miracoli della Divina Provvidenza ed è del Cottolengo! Diamo gloria a Dio! (Scr. 117,103).
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Abbeverandosi alle divine fonti del Vangelo, agli esempi dei Santi; quali Don Bosco e il Cottolengo, apriva, sospinta dalla Carità di Cristo, ospizi caritativi, ammettendovi i più bisognosi, senza riserva per l’età, per la condizione, e per il genere di malattia, per la nazionalità e per la religione. In queste case, ordinate secondo lo spirito di San Giuseppe Cottolengo, palesamene assistite da Dio, lavorano le umili Suore Missionarie della Carità, ramo iniziato il 29 luglio 1915 (Scr. 117,167).
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Affidati alla Divina Provvidenza, al gran cuore degli Argentini, e di ogni persona di buona volontà, si inizia in Buenos Aires, nel Nome di Dio e con la benedizione della Chiesa, un’umilissima Opera di fede e di carità, che ha suo scopo di dare asilo, pane e conforto a “los desamparados”, che non hanno potuto trovare aiuto e ricovero presso altre Istituzioni di beneficenza.
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Essa trae sua vita e spirito dalla carità di Cristo, e suo nome da San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che fu Apostolo e Padre dei poveri più infelici (Scr. 121,63).
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Oh che anche a me e a voi si degni, Gesù Sacramentato, di dare un po’ di quello spirito che animava e ardeva nell’anima del Beato Giuseppe Cottolengo! Oh gettiamoci anche noi ad adorare Gesù, per quanto a noi è possibile, come lo adorava la sua Santissima Madre, la Santa Madonna, come lo amava il Beato Cottolengo (Par. III,70).
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Caro Sciaccaluga, non ha che da alzare gli occhi e vedrai il modello da seguire, il sacerdote da imitare, il santo della grande fede, carità e fiducia illimitata in Dio: il beato Giuseppe Benedetto Cottolengo (Par. V,176).
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San Giuseppe Benedetto Cottolengo spesso diceva: – Brutta terra, bel Paradiso” Oh, quanto bene si verifica in questo caso! (Scr. 6,103).
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L’opera del Cottolengo è l’unica al mondo. È un’opera grandiosa, meravigliosa, miracolosa. Il Cottolengo era tanto rigido con le sue suore che non possono neppure andare a visitare le Chiese. Hanno la loro cappella in casa; e, dove non l’hanno, vanno alla parrocchia vicina a sentire la messa; ma poi basta, non vanno a girare le chiese (Par. II,63).
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Il beato Don Bosco e il Beato Cottolengo quest’anno il Papa li farà santi tutti e due: il Beato Don Bosco il 1 di aprile, – a Pasqua che questo anno è il 1 di aprile –, e il Beato Cottolengo 12 giorni prima, nella festa di San Giuseppe. Don Bosco si chiamava Giovanni, e il Beato Cottolengo si chiamava Giuseppe. Questo è il primo nome; poi sapete che al battesimo mettono due o tre nomi, ed egli aveva tre nomi: Giuseppe, Benedetto, Agostino; sono i nomi del battesimo del Beato Cottolengo. Ma i genitori lo chiamavano col primo nome, e quindi la gente lo chiamava Don Giuseppe oppure, più tardi, il Canonico; era Canonico a Torino; e lo chiamavano il Canonico Giuseppe Cottolengo. E, proprio nella festa del suo Santo, San Giuseppe, ecco che il Papa lo solleverà alla gloria dei Santi (Par. VI,40).
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Ecco che il 19 marzo 1934, avremo un altro San Giuseppe, San Giuseppe Cottolengo; come il 1 aprile avremo un altro San Giovanni; San Giovanni Bosco. E questi sono figli di terra piemontese: il Cottolengo a Bra; Don Bosco a Castelnuovo d’Asti, che ora da lui prese il nome di Castelnuovo Don Bosco. E sino dal primo giorno che è incominciata la Piccola Opera, essi sono stati presi come Protettori dei Figli della Divina Provvidenza.; Don Bosco da una parte, il Beato Cottolengo dall’altra. Faremo grande festa per la canonizzazione dell’uno e dell’altro (Par. VI,41).
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Ma torniamo al Cottolengo. In un certo tempo tutti lo perseguitavano come fosse un pazzo. Questo è un punto di somiglianza dei due Santi. Tutti e due furono reputati pazzi. Pazzo il Cottolengo, ritenuto tale dall’Autorità Ecclesiastica, deriso dai Canonici. Da piccolo la gente lo chiamava l’Angelo; fatto Sacerdote e Canonico, la gente lo chiamava il “Canonico buono”, e i preti lo chiamavano pazzo... Quando al Cottolengo si è chiusa la Casa della Volta Rossa, la prima Casa di Carità, i Canonici dissero: – L’abbiamo sempre detto che è un matto – Quando si fece l’adunanza capitolare e si decise di dire al Cottolengo di non disonorare la cappa canonicale del Capitolo, la sua risposta, se si vuole – bisogna essere discreti in certe occasioni – fu da uomo santamente pazzo; dopo che tutti ebbero finito di parlare, fece un salto su sé stesso e disse: “Me lo hanno sempre detto i miei vecchi che i cavoli, per diventare grossi, hanno bisogno di essere trapiantati (Par. VI,79).
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Vi avevo promesso domenica mattina, che avrei pregato per voi; ed ho pregato. In questi giorni il Signore mi ha dato qualche lume particolare che mi ha fatto conoscere lo stato d’animo di alcuni di voi, ma specialmente di qualcuno... Quante grazie ci ha fatte San Giuseppe Cottolengo, quante grazie, quante consolazioni, con le quali ha condite le nostre amarezze in questi tempi... Quando piacerà al Signore le saprete (Par. VI,87).
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Avete udito molte volte ripetere che a San Giuseppe Cottolengo fioriva spesso sulle labbra e sgorgava dal cuore il “Deo Gratias! ” Quando il Santo Padre, nel giorno che si festeggiava San Giuseppe, innalzò agli onori degli altari il Padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, incominciò l’atto della canonizzazione con un bel “Deo Gratias! ” Oggi noi siamo qui per festeggiare San Giuseppe, sposo purissimo di Maria Vergine, assieme a San Giuseppe Cottolengo, e ringraziamo il Signore che mi ha concesso la grande grazia di essere stato, nel giorno della sua Canonizzazione in San Pietro, nella tribuna dei parenti del Santo. Vi dico che là mi feci piccolo, piccolo, e pregai col cuore il Signore di poter essere anche legato a San Giuseppe Cottolengo con i vincoli di parentela spirituale nelle opere della Carità (Par. VI,93).
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Il nostro Piccolo Cottolengo procederà come il Signore vorrà, sotto la mano del provvido San Giuseppe e sotto la guida di San Giuseppe Cottolengo. Guidati da loro giungeremo in porto sicuro e saremo grati in eterno a tutti coloro che ci beneficano (Par. VI,94).
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Anche il nostro caro San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il grande Santo della Carità, da cui le opere genovesi hanno preso il nome e lo spirito, era riconoscentissimo verso i Benefattori e le Benefattrici. Era sua cura precipua procurare, per amore di Dio, pane ai poveri, ai più poveri fra i poveri, ai rifiuti degli altri istituti, ai bisognosi, ai reietti per poca carità cristiana, ai rottami della società; in una parola, a quelli che a Torino chiamano “roba da Cottolengo”. Bisogna lenire tante miserie, aiutare tante persone afflitte, forse ancor più che da dolori fisici, da quelli morali: creature di Dio, sole, senza una mano che asciughi le loro lacrime. Io parlo di santi del nostro tempo: non solo di Don Bosco, Don Rua e del Canonico Cottolengo, ma anche di tanti altri santi Sacerdoti, fra i quali, in Genova, Don Montebruno, Don Fassicomo e altri (Par. VI,199).
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Vergine Madre, tutta santa, dammi luce, luce, dolore del mio passato e concedimi il tuo sguardo amoroso che mi conforti, che mi ecciti ad un sincero pentimento, e ad un santo proposito: quello di farmi tutto del Vostro Gesù e di Voi e di San Giuseppe, e di San Giuseppe Cottolengo; deponendo ai Vostri piedi questi Esercizi, perché mi siate consigliera e protettrice (Scr. 6,204).
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Desidero che si faccia da noi quello che si fa da Don Bosco. In tutte le disposizioni prese, in tutte le cose, mi sono sempre messo davanti Don Bosco e il Cottolengo. I busti all’entrata furono posti prima che essi fossero beatificati. Questo significa che la nostra piccola Congregazione si è sempre ispirata a questi due Santi e deve sempre vivere dello spirito e dell’uno e dell’altro. La Piccola Opera deve avere la fede e la carità del Cottolengo; e l’apostolato e lo zelo di Don Bosco (Par. VII,139).
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La Congregazione vuole essere una famiglia religiosa e noi, nei nostri Piccoli Cottolengo, ad imitazione del grande San Giuseppe Cottolengo, nei vari ricoveri (abbiamo varie famiglie, vari padiglioni) e ogni famiglia generalmente prende il nome si un santo (Par. VIII,2).
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miei amici, quanto il Manzoni con il suo canto altissimo ha celebrato, il Cottolengo ha tradotto nella pratica della vita cristiana, con un petto infuocato di carità verso tutti, ma specialmente verso i miseri e i più abbandonati, onde io (perdonate questo io), non mi accosto mai al grande nostro Poeta che trasse un’ispirazione cristiana così alta senza la stessa venerazione con cui mi accosto al Santo della Divina Provvidenza (Par. VIII,40).
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In questa settimana si celebra la festa di Maria Santissima Addolorata; preghiamola, tanto più che questa Casa è dedicata e consacrata alla Vergine Immacolata, Madre di Dio. Essa è pure sotto il patrocinio di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che venne tante volte in questi siti. Raccomandiamoci a lui, vero sale della terra e vera luce del mondo; grande e santo, perché anche noi, amanti di Maria e di Gesù, possiamo essere vero sale e luce del mondo (Par. VIII,187).
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Abbiamo sentito il racconto di due conversioni che si sono operate alla Piccola Casa di Torino perché il Cottolengo, come avete sentito, accettava i ricoverati di qualsiasi religione o anche di nessuna religione... Egli allora passava forse per modernista. Certo, quando i malati si presentano alla porta del Piccolo Cottolengo, non si può loro chiedere di che religione o nazione siano, ma se hanno un dolore da lenire... Vedete come i Santi avevano il cuore largo! Così dovremo fare noi, sempre! Tenetele a mente queste cose; questo è lo spirito dei Santi! (Par. VIII,195).
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È conveniente esortarvi a fare un triduo a San Giuseppe Cottolengo perché il 30 seguente è l’anniversario della morte del Santo. Nella festa di Sant’Anselmo egli aveva dato l’addio ai suoi poveri e andò anche a trovare e salutare i suoi monaci di San Romualdo. Se ne partiva sfinito per andare a Chieri a morire. Aveva mandato avanti, alcuni anni prima, la lettiera asserendo che su quella povera lettiera avrebbe preso il volo per il Paradiso. Vi esorto a fare il triduo ciascuno per conto suo, perché nelle Case dove ci sono i poveri si fa la novena. Come abbiamo letto tante volte, il Cottolengo, prima di morire, per tre giorni non volle vedere nessuno. Disse al fratello suo Domenicano: Per tre giorni non venga nessuno tu solo mi assisterai e mi farai da infermiere. Dopo i tre giorni solamente giunsero i parenti e anime buone da Torino. Anche nel delirio sempre parlava dei suoi poveri, della Madonna, del Signore e l’ultima delle sue parole fu il versetto del Salmo: Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi, in domum Domini ibimus. È tanti anni che si legge la vita del Cottolengo. Vorrei che si leggesse almeno per venticinque anni e più, dopo la mia morte. E spero che quello che verrà dopo di me vorrà continuare a far leggere la vita del Cottolengo (Par. VIII,262).
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Il Noviziato è posto sotto gli auspici di Maria SS.ma ma e di San Giuseppe Cottolengo: in questo terreno è nato il Santo Apostolo dei Poveri; nato a Bra egli visse molti anni tra i suoi paesani e veniva anche qui a passeggio a trovare i suoi cugini che erano i fattori del Conte Moffa (Par. IX,330).
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Andare adagio nelle preghiere e nella recita dell’Ufficio della Madonna; venire frequentemente innanzi a Gesù nel Santo Tabernacolo e pregare nostro Signore Gesù Cristo e Maria SS.ma e rivolgersi con tutta la pienezza del cuore alla Gran Madre di Dio e Madre nostra a cui è consacrata questa Casa, e rivolgersi a San Giuseppe Cottolengo, che nei giorni di ritiro era di vero esempio (Par. IX,332).
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Secondo i tempi e i bisogni, Dio suscita degli uomini straordinari che, in mezzo alla popolazione cristiana, hanno saputo incarnare il Vangelo e sono passati sulla terra, come Gesù Cristo, facendo del bene. Così fu di San Vincenzo de’ Paoli, di San Giovanni Bosco, di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Quest’ultimo poi si distinse per l’amore ai poveri. Nella Piccola Casa di Torino raccolse ogni miseria e ogni dolore. Ma il Cottolengo non è limitato a Torino. Io sono un po’ come l’ebreo errante: ho visto nelle mie continue e lunghe peregrinazioni tante miserie. Madri sacrificatesi per i figli, che si sono cavato il pane di bocca e, purtroppo, diventate vecchie, restano abbandonate dai figli nella miseria. Non ovunque si trova tanta fede come qui a Torriglia, dove le famiglie sono sane e i figli sentono sacro il dovere di amare e aiutare i genitori. Vedendo tante miserie, tanti casi pietosi, è venuta anche a me l’ispirazione, mentre mi trovavo in Chiesa a pregare la Madonna, di fare qualche cosa per lenire queste sofferenze... Il Signore ha benedetto quest’opera e sono sorti i Piccoli Cottolengo a Genova, a Milano, in Polonia, in Argentina, nel Brasile, ove sono raccolti individui di ogni nazionalità e di ogni religione: basta essere ammalati per esservi accolti! (Par. IX,346).
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Come mai San Giuseppe Benedetto Cottolengo quando celebrava la Messa piangeva ed era un serafino? Perché, fin da fanciullo, era un angelo di preghiera (Par. IX,395).
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Devotissimo della Madonna di Oropa fu il Santo Giuseppe Benedetto Cottolengo. Vi andò più volte in pellegrinaggio, a piedi, si capisce, da Torino. Devotissimo fu Don Bosco che, prima di formare il primo nucleo dei Salesiani, andò a gettarsi ai piedi della Madonna di Oropa. Riguardo al Cottolengo, rimase talmente legato dalla devozione verso la Madonna di Oropa, che volle fare una statua, e quelli di voi che sono stati a Torino avranno visto la cappella delle reliquie – che la pietà del Cottolengo raccolse – e là volle che vi fossero, su piccoli quadretti, le immagini mariane dei Santuari più rinomati di tutto il mondo; e volle mettere sull’altare la Statua della Madonna di Oropa. Ed è in quel santuarietto che tutti i giorni, nella Piccola Casa, una delle Famiglie – sarà la famiglia dei ciechi, dei vecchi cadenti, eccetera, si porta in processione a croce levata, cantando le litanie, fanno atto di devozione a quella Statua. E tutti i giorni portano il loro dono: sarà una candela, un mazzo di fiori, o altro. È questa una costumanza che risale ai tempi di San Giuseppe Benedetto Cottolengo (Par. IX,475).
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Il vostro coraggio riponetelo nell’aiuto del Signore; cercatelo nella fede, in Gesù Crocifisso. Avete il vostro cilicio, non avete bisogno di altro cilicio; il nostro cilicio deve essere la pazienza. Sapete che coi malati ci vuole grande pazienza... San Giuseppe Benedetto Cottolengo, il Santo degli infelici, era sempre sereno e lieto tra i suoi poveri (Par. X,6).
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Io oggi pensavo: Chissà che domenica, festa di San Giuseppe Cottolengo non voglia, il nostro caro Santo, che quei chierici abbiano a ricevere le Ordinazioni proprio nel giorno della sua festa. E poiché io penso che domani non potrò, o difficilmente potrò essere a casa, giacché il pensiero è andato al Cottolengo, vorrei raccomandarvi di prepararvi bene alla sua festa. Ho cercato quest’anno di imbevervi dello spirito di carità e di fiducia nella Provvidenza del Signore che aveva questo grande Santo della Carità e dei Poveri. In questi anni, dopo che sono tornato dall’America, e specialmente in questi mesi, l’aiuto della Provvidenza, specialmente per intercessione della beata Vergine e del Cottolengo, è stato qualche cosa di tangibile, di straordinario e di visibile (Par. X,159).
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Avevamo una vertenza molto incresciosa che durava da più di un anno; molto incresciosa, perché partiva da persone ecclesiastiche; e il nostro Santo, San Giuseppe Benedetto Cottolengo sciolse tutto in suo favore e dove i nostri avversari pensavano sarebbe stata la nostra tomba è stato invece il nostro trionfo (Par. X,160).
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Quella Chiesa è venuta a noi, in un modo piuttosto segreto, perché, se l’avessimo dovuta acquistare dalla Curia Vescovile, avremmo trovato gravi difficoltà, ma la cosa è avvenuta in modo che chi ce l’ha venduta non sapeva di venderla a noi. Si è pagato subito, e bene, tutto quello che hanno chiesto. Sull’Altare si è collocato subito l’immagine di San Giuseppe Benedetto Cottolengo e nel giorno della sua festa, domenica, dirò la prima Messa. Prima non avremmo potuto fare questo: ma, cambiati gli uomini e cambiato il governo ecclesiastico, nel giorno di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, si aprirà la nuova Chiesa di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Così abbiamo due Chiese nella Congregazione in onore di questo Caro Santo: una in America – la prima in ordine di tempo, benedetta dal Nunzio Apostolico di là – e ora una a Genova con l’approvazione di Sua Eminenza il Cardinale (Par. X,161).
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Dovrei parlarvi del Cottolengo: è la nostra festa oggi, il Cottolengo è il nostro Padre. Questa Casa è dedicata a San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Del Cottolengo vi ho gli detto: lo sapete come è nata la sua opera. Che cosa dunque vi dirò del Cottolengo? Qualche cosa che esprima anche la carità di questo Santo, che è chiamato il Padre dei poveri. Ricordo i miei anni giovanili, quando studiavo a Torino, presso Don Bosco. Un giorno ci condussero fuori a passeggio. Viveva ancora Don Bosco: erano proprio quegli anni in cui il gran Santo morì. Ci davano un passeggio alla settimana, al giovedì, lungo il Viale Regina Margherita, che era allora ai margini della Città e divideva Torino da quella regione che si chiama Valdocco, dove ci sono i grandi monumenti della carità: le costruzioni del Cottolengo, di Don Bosco e della Marchesa Barolo. Si camminava lungo il viale ed ecco (li incontravamo spesso) una fila di gente che non finiva più, sembrava interminabile. Andavano quattro per quattro e si tenevano alle mani due per due. Andavano come a catena. E chi sbandava di qua, e chi sbandava di là. Erano storpi, ciechi, sciancati, giovani e vecchi. Chi li guidava era uno di loro, un po’ meglio riuscito, ma si reggeva appena sui piedi e sbandava forte anche lui. Il sole li investiva. Quegli alberi vedevano passare quella colonna (chiamiamoli così), di poveri infelici. E la primavera cadeva, su quei poveri infelici, che si reggevano con sforzo, come il polline sui fiori. Di estate camminavano sotto la larga ombra che scendeva dalle foglie ampie e qualcuno talvolta scivolava sopra quelle foglie rossicce. D’inverno i rami scheletriti parevano piangere su quella colonna di infelici. Ogni volta che mi portavano a passeggio volevo, nel cuore, vedere quei poverelli. La gente li guardava: i passanti sostavano stupiti e poi tentennavano il capo e proseguivano mormorando: “Sono quelli del Cottolengo”... Roba da Cottolengo”. Io li guardavo, desideravo incontrarli, li sentivo fratelli, li amavo. Non conoscevo la loro patria d’origine, non sapevo come si chiamassero. Che cosa mi importava? Uscivano da una grande Casa (voi qui a Milano chiamate “grande casa” l’Ospedale), ma il Cottolengo volle chiamarla Piccola Casa, perché la casa della Divina Provvidenza è l’universo (Par. X,222).
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A Bra c’è uno dei nostri novizi gravemente ammalato, ammalato di meningite, tanto grave che i medici – è stato ricoverato all’ospedale di Bra – hanno detto che solamente un miracolo potrà salvarlo. Raccomandiamo questo nostro confratello al Signore, a Maria Santissima, ma anche a San Giuseppe Cottolengo, perché, se è bene per l’anima sua, voglia il Signore ritornarcelo sano (Par. XII,39).
Vedi anche: Santi.
San Luigi Gonzaga
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Domani devo andare a Roma dove spero, anche quest’anno di poter celebrare sull’altare dove è il Corpo di San Luigi [Gonzaga]; ricorderò tutti, ma in modo speciale voi della Moffa. E voi continuate a pregare, ché grande è il bisogno che ne ho (Scr. 3,347).
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Io parto stanotte, alle 22, per Roma, e come negli altri anni, domani alle 12.30, dirò la Messa sul Corpo di S. Luigi Gonzaga; vado là perché ho un voto, finché posso (Scr. 9,44).
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Ora domanderei a V. Eccellenza un favore, ed è che mi volesse donare quel quadro di S. Luigi [Gonzaga] davanti al quale la misericordia di Dio mi ha dato grazia di raccogliere i primi figliuoli; esso è ancora là dove sorse il primo Oratorio Festivo, nelle stanze delle Cucine Economiche; io ce ne farei mettere un altro (Scr. 11,42).
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Ieri sono stato a Messina, e vi tornerò il giorno 20, rimanendovi dal mattino, prestissimo ore 6.15, sino a sera. Alle ore 18 parto da Messina per Villa San Giovanni – Roma, e sarò a Roma alle 10 del 21, così a mezzogiorno dirò la S. Messa sul corpo di S. Luigi [Gonzaga], come di solito (Scr. 17,191).
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All’ora solita (cioè ultima messa) fate celebrare il 21 a S. Ignazio a uno dei nostri sacerdoti di Roma all’altare di S. Luigi [Gonzaga] (Scr. 18,109).
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Ho pensato di non andare a Roma per S. Luigi [Gonzaga], come avevo ideato, siccome così facevo anche gli altri anni, e lo desideravo quest’anno celebrare sul corpo di S. Luigi, tanto più che è il centenario. Andrò, invece, a passarlo con don Sterpi, da poveri vecchi, a confortarci in Domino. Sento di fare cosa più bella e più santa, che la soddisfazione di andare da S. Luigi. A Roma ci andrò poi, appena potrò (Scr. 20,188),
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Il giorno di S. Luigi [Gonzaga] ho celebrato a Roma, sul corpo stesso del mio Santo, a mezzogiorno, come l’anno passato, e vi ho ricordati tutti, specialmente voi altri della Terra Santa, nominatim. Dio sempre vi assista! (Scr. 23,32).
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Ricevo la tua gradita lettera e quella di tutti voi, vi ringrazio delle preghiere e auguri, e vi ricorderò in modo al tutto speciale nella S. Messa di S. Luigi [Gonzaga] che celebrerò a Roma sul corpo del Santo (Scr. 23,131).
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I mezzi per coltivare praticamente e seriamente con risultati sicuri le vocazioni, sono: 1. Amore della bella virtù, la virtù della Madonna e di S. Luigi [Gonzaga], la virtù degli angeli (Scr. 23,149).
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Vado a Roma: pregate per me. Ho ricevuto i vostri auguri: Vi ringrazio tutti: domani pregherò per Voi tutti e per codesto caro Istituto specialmente nella S. Messa che celebrerò sul corpo benedetto di S. Luigi [Gonzaga] (Scr. 23,158).
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Vi ho particolarmente ricordati tutti nella messa che ho celebrato l’altro ieri sul corpo benedetto di S. Luigi [Gonzaga], ed ho pregato per la vita e prosperità sia del collegio che dell’Istituto (Scr. 26,260).
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A Suor Maria Stanislaa Sorella Minore al Cottolengo di Quarto. Grazia e pace dal Signore! Nel Nome di Dio e di S. Luigi [Gonzaga] vi prego di accettare il povero uomo che sarà presentato dalla nipote della signora Queirolo (Scr. 27,72).
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Chi viene deve ben sapere e capire che viene per vivere come San Luigi [Gonzaga], come San Gerardo, come i Padri: cioè per amare, seguire e servire sempre il Signore e la Madonna SS.ma, e fare quello che ora vedono fare da noi (Scr. 29,47).
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Vi manderò la reliquia di S. Luigi [Gonzaga]: credo di averla, ma ora devo partire per Milano (Scr. 33,212).
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Io spero di partire da Genova la notte di lunedì, e di potere ancora a Roma dire la S. Messa sul corpo di San Luigi [Gonzaga], a mezzogiorno di martedì. Però nessuno lo deve sapere, perché desidero passare quel giorno nel ritiro e nella preghiera. Non venite neanche voi, ve ne prego: lasciatemi con Dio (Scr. 41,86).
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Il dì di San Luigi [Gonzaga] ho celebrato all’altare stesso del Santo e sul suo corpo benedetto, e anch’io ho pregato per lei, signora, per il suo angelo, che è in paradiso, e per suo marito. Ho pregato per l’Istituto di Magreta e pei bambini che vi staranno come nella loro casa. Penso che Gesù abbia accolta quella mia orazione che gli ho offerto per le mani angeliche di San Luigi, e là dal suo stesso altare (Scr. 41,216b).
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Molto Rev.do Padre Rettore della Chiesa di S. Ignazio in Roma. Il Signore sia sempre con noi! Amerei di poter celebrare, anche quest’anno, all’altare di S. Luigi [Gonzaga], il 21 c. m.; e la pregherei del favore di volermi segnare per l’ultima S. Messa (Scr. 44,83c).
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Ero per S. Luigi [Gonzaga] a Roma, ed ho potuto dir Messa sull’altare stesso dove riposa il corpo benedetto del mio santo; e in quei momenti mi sono particolarmente ricordato di pregare per lei e per i suoi figli, che Dio conservi al suo affetto di madre cristiana (Scr. 47,49).
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Da alcuni, anni la bontà di Dio e del Superiore di codesta Chiesa di S. Ignazio mi danno la il grande conforto di poter celebrare all’altare di S. Luigi [Gonzaga] nella festa del santo. Sono a chiederle tale favore anche per quest’anno, e la pregherei di volermi segnare per l’ultima S. Messa, dopo le 12 (Scr. 47,203).
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Quando mai Don Bosco fece visita anche a buone Signore o ne ricevette visita per puro trattenimento? Ah! Egli temeva! Nella santa virtù: Beatus homo qui semper est pavidus. Impariamo da San Luigi Gonzaga: voi sapete come era anche con sua madre; ma Dio consolò poi sua Madre che lo vide e venerò già beatificato. Don Bosco aveva già imparato da S. Luigi, aveva imparato dal Ven.le Cafasso, suo confessore, aveva imparato dalla sua stessa mamma Margherita, vera madre cristiana e santa madre degna di tanto figliolo, che cioè: donna e sacerdote hanno da essere distanti l’uno dall’altra come i due poli, se non tanto di persona almeno di cuore e di volontà, che la Casa dove sta il sacerdote non è fatta per le donne, né la Casa delle donne è fatta per il sacerdote, e che in questa materia non basta che un sacerdote sia innocente, ma è necessario, è indispensabile che non dia il minimo sospetto, e che tolga ogni apparenza di male (Scr. 52,32–33).
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Dopo la SS.ma Vergine Immacolata, protettori di questi Santi Esercizi sono: San Giuseppe, padre putativo di n. Signore S. Michele Arcangelo, i beati apostoli Pietro e Paolo, S. Luigi Gonzaga, S. Stanislao Kostka e S. Giovanni Berchmans, il venerabile Cottolengo, il ven.le Cafasso, il ven.le Don Bosco e Savio Domenico: di più invochiamo i nostri santi e amati fratelli che già sono andati al Signore, e che piamente crediamo siano in Paradiso (Scr. 52,168).
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Sono vent’anni oggi, che si apriva nel giardino del nostro Ven.mo Vescovo quel piccolo e modestissimo Oratorio festivo S. Luigi [Gonzaga], da cui ebbe poi inizio per misericordiosa disposizione di Dio, la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Ricordo che erano presenti due Eccell.mi Vescovi: il nostro e Monsignor Daffra, Vescovo allora eletto di Ventimiglia. Vi erano pure Mons. Campi e Mons. Novelli, e parecchi altri signori canonici e sacerdoti. Monsignor Novelli era stato da Mons. Vescovo posto come Direttore, e lo coadiuvava il teol. Testone, ora arciprete di Casteggio. Vi era il caro maestro Giuseppe Perosi che suonava e i chierici del Seminario di Tortona che alternavano cantici in onore di S. Luigi [Gonzaga], e specialmente un inno che restò indimenticabile, musicato in occasione del centenario dell’angelo della gioventù (Scr. 52,257).
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Resistendo alle passioni si trova la pace, non servendole. I Martiri: S. Benedetto tra le spine, S. Bernardo in uno stagno di acqua ghiacciata, S. Tommaso d’Aquino, S. Francesco di Sales, S. Filippo Neri, S. Carlo Borromeo, S. Luigi Gonzaga, D. Bosco e mille altri che a qualunque costo si mantennero veri Angeli di castità. E con questi esempi: avanti! (Scr. 55,284).
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L’Oratorio è posto sotto la protezione di S. Luigi Gonzaga perché patrono della cristiana gioventù, ed anche perché coloro che intendono dedicarsi all’Oratorio festivo si propongano questo Santo per modello nella purezza e carità della vita e dei modi che sono le fonti onde derivano i frutti che si sperano dall’Oratorio (Scr. 57,273).
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Amerei poter celebrare anche quest’anno all’altare di San Luigi [Gonzaga], il 21 c. m. e La pregherei del favore, di segnarmi per l’ultima Santa Messa, come nel passato (Scr. 66,404).
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Nelle feste centenarie dell’angelico S. Luigi Gonzaga Pace e benedizione! Ecco i tre ricordi che ti formeranno campione di Cristo e ti stamperanno il vero carattere di fortezza, di abnegazione, di sacrificio e di santità. Ti do tre ricordi, conservali cari, scolpiscili nel tuo cuore e nell’anima. Sono tre ricordi che ti devono far santo: 1° Gesù. 2° Maria. 3° Il Papa! Ecco le tre parole d’ordine, ecco il programma della nostra vita! Gesù: dovunque sia dovrai essere un altro Cristo! Intendi bene: dovrai essere un altro Gesù Cristo nell’interno, non fingere mai. Ma, contro i cattivi pensieri, mortifica la tua volontà, soggioga le ribellanti passioni, trangugia i bocconi amari, segui sempre, in tutto la volontà del tuo confessore e dei tuoi superiori. Odia l’empietà, odia l’indifferenza, odia la viltà e la codardia dei buoni e sii un campione di Cristo. Ama con tutto il cuore Gesù e fatti santo, nascondendo, più che potrai, quel poco di bene che la grazia del Signore farà per tuo mezzo (Scr. 70,198–199).
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San Luigi Gonzaga e Tortona. Giovani miei figli, rammentate che San Luigi [Gonzaga] ha dei diritti speciali sopra di voi! San Luigi fu a Tortona nel l580, nell’antico castello che un dì sovrastava alla nostra Città, imponente e glorioso! Egli fu ospite di Tortona. Ai piedi del colle, su cui sorgeva il castello, esiste tuttora una bella chiesa Basilica, dedicata a N. Signora di Loreto ed è costante tradizione che San Luigi fosse solito raccogliersi là a pregare... E sappiamo dalla storia che varie miracolose guarigioni furono ottenute nella nostra Diocesi per l’intercessione di San Luigi. Tortonesi! I maestosi avanzi delle vostre avite grandezze ed i benefici ricevuti v’invitano dunque con eloquente linguaggio ad onorare il glorioso San Luigi! (Scr. 89,30).
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Nella seconda metà di febbraio con un concorso confortante di fanciulli, si è aperto, nel rione di San Bernardino, culla della Piccola Opera, un Oratorio Festivo per fanciulli intitolato, per desiderio di Don Orione, a San Luigi Gonzaga, a ricordo del primo Oratorio Festivo S. Luigi, apertosi in Tortona nel giardino del Vescovo, quando Don Orione era ancora Chierico e conduceva quei primi ragazzi nella Chiesa del Crocifisso, ancora oggi officiata dai Figli della Divina Provvidenza, per benigna concessione del Vescovo (Scr. 93,257).
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Sono due anni che ho la consolazione di celebrare nella festa di S. Luigi [Gonzaga] all’altare del Santo in codesta Ven. Chiesa, e sempre ho detto l’ultima Messa, a mezzogiorno o un po’ dopo. Sarei a pregare la Paternità Vostra di concedermi anche quest’anno uguale favore. Che se non fosse possibile dire l’ultima, sarei disposto a trovarmi per tempissimo, all’apertura della Chiesa, e direi la prima, o una delle prime Messe. Domenica, 20 corr., verrò a prendere la risposta (Scr. 99,131).
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L’Opera della Divina Provvidenza è cominciata una dozzina d’anni fa con un po’ di catechismo ad un ragazzo che piangeva, battuto e fuggito in chiesa. Quel fanciullo non era cattivo, no – raramente sono cattivi i fanciulli – era vivo, come si dice, molto vivo, ma aveva il cuore buono e diventò poi più buono e più cristiano: ora fatto giovane, in buona posizione in società, ricorda con piacere quel giorno tempestoso e, ad un tempo felice per lui e per tanti! Poi sorse l’Oratorio, l’antico e benedetto Oratorio festivo di S. Luigi Gonzaga a Tortona e il nostro buon Vescovo aperse le braccia (Scr. 102,130).
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Vi è una virtù, o buone figliole del Signore, che è essenziale nella vita religiosa, e che il mondo stesso, guasto e corrotto, critica e ride quando non c’è, coprendo di fango i sacerdoti e le persone di Chiesa che ne sono privi. Virtù grande, virtù santa, virtù angelica, che si ha quasi timore di profanare nominandola, noi peccatori miserabili. Si chiama la virtù degli angeli, e si dicono “angelici” quei santi in cui questa virtù risplendette maggiormente. Per esempio si dice “angelico” San Luigi [Gonzaga], perché sempre in lui risplendette pura, radiosa questa virtù e, vedendolo, la gente esclamava: quel giovane è un angelo (Par. I,209).
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Sono rari, molto rari i parenti che capiscono la grazia della vocazione religiosa: ci son troppi pregiudizi. E non soltanto i secolari non la capiscono, ma vi sono dei preti, dei sacerdoti che, quando una ragazza dice loro di volersi fare religiosa, rispondono: va là, va là, hai tua madre, le tue sorelle, c’è tempo per questo... Ed intanto la poveretta perde la vocazione. E quante vocazioni si perdono così! Perché non capiscono quanto grande sia la grazia che il Signore fa a coloro a cui dà la vocazione religiosa. San Luigi Gonzaga è un grande esempio di vita religiosa perfetta (Par. I,223).
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Don Bosco diceva che l’obbedienza è la via più breve per raggiungere la santità. Impariamo dai Santi, impariamo dai Santi! San Luigi Gonzaga amava tanto Gesù Sacramentato, faceva lo sforzo di allontanarsi dalla Cappella per andare a girare. Ed un suo superiore gli disse un giorno: Senti, se in questo momento ti venisse data la nuova della prossima tua morte, che faresti tu? Continuerei a giocare, rispose Luigi. Continuerei a giocare! Capite! E sapete perché? Perché egli giocando era certo di fare la santa volontà di Dio. Egli obbediva, obbediva, e quindi sapeva che il Signore ne era contento (Par. II,74).
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Piuttosto che la Congregazione cresca di nuovo e non cresca di carità, meglio resti come è. Quando san Luigi Gonzaga seppe che la Compagnia di Gesù aveva ventiduemila membri, pianse pensando che, con tanto numero, non ci poteva essere più lo spirito primitivo (Par. II,114).
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La Santa Chiesa ci presenta San Giuseppe col Bambino su un braccio e il giglio nell’altro, simbolo della purezza. Ci presenta altresì Sant’Antonio di Padova che evangelizzò l’Italia e la Francia, col giglio della purezza a fianco; San Luigi Gonzaga, lo stesso; e così moltissimi Santi e Sante. Il Signore ama molto quelli che sono puri e casti, tanto che si scelse una Madre tutta pura, tutta santa e mandò prima di sé un Precursore, il quale fu sempre puro, si mantenne sempre illibato, San Giovanni Battista (Par. III,227).
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Oggi è Sant’Agnese. Aveva 13 anni, era ricchissima, era di famiglia patrizia romana ed era cristiana. Questa soave, angelica fanciulla era cristiana. A 13 anni si era consacrata a Gesù, come quelle anime che non vogliono essere del mondo, ma cristiane, cioè tutte di Gesù Cristo, come San Luigi Gonzaga che, a 13 anni, a Firenze, si consacrò alla Madonna Santissima nella Chiesa dell’Annunziata (Par. IV,261).
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Una grande dama, nata a Chieri, che aveva parenti anche a Tortona, ebbe due figli, uno di nome Luigi [Gonzaga], il secondo di nome Rodolfo. Costei era veramente una santa donna e un’ottima madre e soleva raccomandare ai suoi figli di guardarsi non solo dal peccato, ma appunto anche dalla sua ombra. I ragazzi erano già in grado di capire quello che la madre insegnava loro. Avvenne un giorno che in compagnia di altri parenti si giocasse a non so qual gioco, nel quale chi perdeva doveva fare una penitenza, o altrimenti uscire dal circolo; Luigi perdette e siccome tra i parenti vi era una giovane, l’ombra della cui faccia si proiettava contro il muro, gli fu imposto per penitenza di andare a baciare quell’ombra. Ma il ragazzo si rifiutò, preferendo uscire dal gioco. Successivamente perdette anche il fratello Rodolfo, al quale venne proposta la stessa penitenza; ma questi, protestando di non avere vani scrupoli, si assoggettò a baciare quell’ombra. Crebbero ambedue i fratelli, e l’uno, virtuoso e santo, diventò celebre; egli si fece volontariamente povero e si diede a Roma, al servigio degli appestati, morendo da santo e meritevole di statue e onori; l’altro, quello che aveva detto di non avere vani scrupoli, visse oziosamente, visse viziosamente, visse male e – come ricordo di aver letto, se non erro – morì scomunicato, in seguito ad una fucilata, per il fatto che batteva moneta falsa. Il primo è San Luigi Gonzaga, il secondo Rodolfo Gonzaga; il primo, santo e virtuoso, il secondo, vizioso; il primo era puro come un angelo, fuggiva il male, e aveva paura anche dell’ombra del male, morì santamente, lasciando di sé fama imperitura in tutto il mondo e in tutti i ceti; del secondo si ricordano solo gli studiosi di storia, per dire che era un vizioso, un falsario, uno scomunicato odiato da tutti. Ecco dove va a finire colui che non fugge le occasioni pericolose, che non fugge l’ombra del male (Par. IV,353).
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Vi furono Chierici, Sacerdoti nostri, santi. Noi non abbiamo avuto tempo di scrivere la loro vita altrimenti si poteva scrivere come si scrive la vita di San Luigi [Gonzaga]. Abbiamo avuto dei giovani tanto puri che potevano giocare con San Luigi, i quali ottennero da Dio grazie insigni per la cara Congregazione (Par. IV,388).
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Sant’Alessio, San Luigi Gonzaga, Don Bosco, come erano umili! Quando leggo le pagine della Storia Ecclesiastica e vedo che alcuni Cardinali facevano di tutto per essere eletti Papa mi consolo col pensare che ci sono stati anche di quelli che hanno rinunciato ed hanno pianto! E Pio X come pianse! Per due giorni non fece altro che piangere! Una novizia aveva una superiora che nel parlare soleva dire: “Io Superiora indegna...”. Un giorno la novizia, parlando con lei, esclamò: “O Superiora indegna!”. Allora essa si irritò e incominciò a smaniare. Altro che umiltà! (Par. VI,255).
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L’altro ieri sono stato a Torino, a trovare due nostri chierici: uno polacco, l’altro italiano... Il Chierico polacco ha la tisi alla gola. Si trova in Ospedale dove si ricevono solo quelli che hanno quel male, e prende il nome da San Luigi Gonzaga, perché San Luigi è morto tubercolotico per gli strapazzi fatti a Roma, durante la peste, nell’esercizio della carità verso dei colerosi. Ai lati dell’ingresso dell’Ospedale della Consolazione in Roma sta una lapide bellissima che dice come, in quell’Ospedale, San Luigi compisse atti di grande carità ed eroismi verso gli infermi. Aveva ottenuto dai Superiori di andare ad elemosinare presso le famiglie nobili. Egli apparteneva a famiglia alta e i signori, i principi e i nobili romani erano larghi con lui di elemosine. Suo padre era un piccolo Principe, aveva cannoni e batteva moneta... Luigi portava gli appestati sulle spalle... Oh, quante volte, vedendo San Luigi ben vestito e vellutato, con quel pizzo attorno al collo come un damerino, ho pensato tra me: perché non sono pittore che dipingerei San Luigi con un appestato sulle spalle; sarebbe un San Luigi più completo e sarebbe anche più compreso. Invece, di questo aspetto della vita di San Luigi ne parlano poco. Si sono dette di lui tante belle cose... Ma la santità fiorisce nella carità... È necessaria l’umiltà, la penitenza, ma tutto fiorisce nella carità, radice e madre di tutte le virtù (Par. VII,147–148).
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Tutti gli anni, nella festa di San Luigi Gonzaga, prima che io andassi in America, andavo a celebrare la Messa sul corpo di San Luigi a Roma. Quelli di voi che già erano là, lo sanno bene. La Messa che io celebro quel giorno è sempre l’ultima e sempre dopo mezzogiorno (Par. VIII,115).
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Come si fa presto a morire! Prepariamoci! Tutte le vie conducono al Paradiso... Tutte le vie e tutti i sentieri conducono alla tomba... Stiamo preparati, a dare conto tutti i giorni della nostra vita al Signore. Il Signore dice: Verrò tamquam fur! Sempre pronti, dunque come San Luigi Gonzaga. “Che cosa fareste se vi fosse annunziato di dover morire subito?”, gli chiesero. I Gesuiti si danno del voi, come non dubito che ci daremo e continueremo a darci, del voi anche tra noi Figli della Divina Provvidenza. “Continuerei a giocare”, rispose il santo... Era preparato! Se il Signore chiamasse me e voi? Se fra poco Dio ci chiamasse, potremmo rispondere: “Continuerei a giocare”? Come ci troviamo in questo momento, come ci troveremo fra un’ora, se la voce del padrone battesse alla porta della nostra anima? Ci sentiremmo contenti d’aver abbracciata questa via? Abbiamo corrisposto alla voce, alla grazia di Dio, alla grazia della divina chiamata ad una vita di perfezione? Come ci troveremmo io e voi? (Par. IX,272).
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In quel tempo, per disposizione penso del Signore, durante il mio tirocinio in Cattedrale, cominciavano a raccogliersi alcuni ragazzi e si formò il primo Oratorio festivo in Tortona che prese nome dall’angelo della gioventù San Luigi Gonzaga (Par. IX,283).
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Ci andiamo moltiplicando che quasi non ci conosciamo più tutti; ebbene, stiamo spiritualmente uniti insieme, che il numero non abbia mai a dividerci. Un nostro Sacerdote disse: vedo che cresciamo di numero e temo che diminuisca l’unione stretta e l’amore che fa di noi un cuor solo e un’anima sola. Facciamo di essere come l’anima di Gionata e di Davide che erano conglutinate assieme. Vedeva le ondate dei Chierici e quel Sacerdote faceva un po’ quello che faceva San Luigi Gonzaga. San Luigi pianse quando venne a sapere che i Gesuiti erano giunti a 22 mila. Quello che gli dava questa notizia vedeva il volto di quell’angelico giovane come rannuvolarsi e gli chiese il motivo. E San Luigi rispose: Mi spaventa il numero! Ricordavo questo quando leggevo il discorso del Santo Padre ai Vescovi in cui insisteva di non badare al numero, ma alla qualità. Meglio pochi uniti, che molti slegati, disuniti (Par. IX,360).
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Come mai San Filippo neri convertì Roma? Perché, da giovane, passava le nottate in preghiera alle Catacombe di San Sebastiano. Come mai quel giovane che si chiamava Luigi Gonzaga, predicando in Castiglione dello Stiviere commoveva fino alle lacrime? Perché fin da fanciullo era molto radicato in lui lo spirito di preghiera. E quando passava davanti a Gesù Sacramentato, si sentiva talmente attirato come da una celeste calamita, che diceva al Signore: Basta, o Signore, lasciatemi andare! (Par. IX,395).
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I figli di Dio devono muovere i passi verso il loro Padre celeste con quei sentimenti di amore di Dio con cui i Santi muovono i loro passi verso il cielo. Sant’Ambrogio diceva: “Non ho vissuto in maniera d’aver vergogna di vivere ancora; non temo di morire perché ho servito ad un buon padrone”. San Luigi Gonzaga in punto di morte ripeteva: “Laetantes imus...”. Lieti, sereni, pieni di gioia, di umiltà, di fiducia in Dio ci incamminiamo verso la patria celeste (Par. IX,509).
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I Gesuiti hanno grandi santi! Basterebbe la grande figura di San Francesco Saverio. Fra i loro Santi ne hanno tre che chiamano gli angeli della Compagnia di Gesù: San Luigi Gonzaga, un italiano di famiglia nobile, San Stanislao Kostka, un polacco, anche egli di famiglia nobile, San Giovanni Berchmans, un belga. Sono i tre angeli della Compagnia di Gesù, morti giovanissimi, qualcuno scolastico, qualcuno ancora novizio (Par. XI,267).
Vedi anche: Santi.
San Tommaso d’Aquino
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Ieri fu qui con sua madre quel nostro chierico di S. Giorgio Lomellina – Gli ho detto che suo dovere è d’imitare i Santi: S. Tommaso d’Aquino, S. Stanislao Kostka – etc – Finora pare resista, e facilmente verrà qui (Scr. 16,59).
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Essa, la Piccola Opera deve portare tra le mani e sul cuore i santi evangeli e San Tommaso, né la sana dottrina nuocerà alla fede, ma la sosterrà, non nuocerà alla carità, ma la alimenterà, renderà più efficace e fruttuoso l’apostolato per le anime. Ora tutti sanno, sapranno male, ma sanno, è di suprema necessità essere forti e ben corazzati a difesa della fede e della Chiesa. Non sarà l’ignoranza che ci farà santi, ma molto gioverà a portarci a Dio non solo la virtù dell’umiltà, e della carità, ma la scienza di Dio (Scr. 18,177).
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Tu sai ciò che dice S. Tommaso: che n. Signore, in vista del nostro sacrificio di distaccarci dai parenti, salva le loro anime, perché possiamo trovarci con loro in cielo, dacché non siamo stati con essi, per servire fedelmente a Dio, su questa terra fugace (Scr. 26,146).
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Qui a Tortona saprete che abbiamo nel seminario l’accademia di S. Tommaso: all’anno tiene tre tornate, e vengono invitati alcuni a dimostrare alcune verità di cui ordinariamente si parla nella Somma di S. Tommaso, ora ieri siete stato proposto a Mons. Vescovo da Perosi e Campiglio siccome uno di quelli che dovranno tenere discorso in una di dette tornate. Il can. Campiglio mi ha pregato di scrivervi di accettare, e di volere dimostrare: Utrum veritas sit immutabilis – che troverete nella Somma – con largo accenno al relativismo e agli errori moderni al riguardo. Detta tesi sarebbe pel prossimo gennaio, non dovrebbe essere più di venti pagine da protocollo. Io vi direi di accettare in Domino, e di fare che sia un lavoro che faccia realmente del bene (Scr. 30,18).
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A ricordo di questa S. Pasqua vi mando i 12 gradi della umiltà che S. Benedetto raccomandò tanto fortemente ai suoi discepoli, e che è la base del Cristianesimo e della vera vita religiosa. S. Tommaso d’Aquino dice che detti gradi dell’umiltà non saranno mai abbastanza raccomandati (Scr. 30,221).
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Il Crocifisso è cattedra, la più alta cattedra: è libro, il più gran libro! E Bonaventura chiederà a S. Tommaso dove ha imparato, e S. Tommaso gli additerà il Crocifisso! (Scr. 31,225).
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Ieri, che era S. Tommaso d’Aquino, ti ho particolarmente ricordato al grande Dottore, che è, in qualche modo, tuo compaesano, almeno pel tempo che venne tenuto in carcere, e fu per più di un anno, e da sua madre! E dunque, caro segretario mio, come la va? Su, animo! (Scr. 33,60).
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Per eleggere lo stato religioso non fa bisogno di chiedere consiglio, come bene insegna San Tommaso, perché il consiglio è già stato dato da Gesù Cristo: basta che Dio ti parli interiormente per la via della mente e del cuore. La vocazione religiosa è cosa evidentemente buona, che non ha bisogno né di lume né di consiglio (Scr. 42,57).
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Il desiderio che tu mostravi della vita perfetta non può venire che da Dio. E la vocazione alla religione è grazia grande, tanto che S. Tommaso dice che è il più grande benefizio di Dio, dopo il S. Battesimo (Scr. 44,51).
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Amerei che tu rileggessi quell’Opuscolo sulla Vocazione che riferisce le opinioni di San Tommaso d’Aquino e di S. Alfonso, e che ne facessi come uno studio particolare e un pascolo per la tua anima. Anche perché dovrai fra non molto essermi di valido aiuto per fare del bene nella vita religiosa ad altre anime (Scr. 46,144).
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Il desiderio della vita perfetta non può che venire da Dio, ed è una somma grazia che Egli ci fa; né farebbe bisogno, per sé, di chiedere consiglio, perché, come insegna S. Tommaso, il consiglio è già dato da Gesù Cristo. Se voi desiderate sinceramente di uscire dalle vostre imperfezioni, di amare Dio senza misura e di consacrarvi tutto a lui, è segno che siamo chiamati alla vita religiosa (Scr. 47,119).
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Per eleggere lo stato religioso, poi, non fa bisogno che tu chieda consiglio a questi o a quell’altro; San Tommaso dice che sarebbe un tranello del diavolo; non occorre chiedere consiglio agli uomini, quando il consiglio è già dato da Gesù Cristo. L’andar in Religione è cosa evidentemente buona, che non ha bisogno né di lume né di consiglio; né è necessario un miracolo, basta che Dio ti parli interiormente per la via della mente e del cuore (Scr. 47,137).
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Nulla più desidero che di imbevere i miei della dottrina sana, purissima della s. Chiesa, maestro e Duce S. Tommaso. Uno dei maggiori bisogni dei nostri tempi mi pare quello di risanare le menti (Scr. 48,206).
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Faccio voti che, fra non molto, in quella magnifica chiesa di Ognissanti, degna opera papale, si faccia un’altra Consacrazione Vescovile o Arcivescovile... E da questo voto lo sa Dio che esula qualunque sentimento che sa di umano, ma te lo auguro, perché lo stato del Vescovo è il più perfetto di tutti, anche dello stato religioso, secondo S. Tommaso, e per la gloria di Dio e per il bene della chiesa (Scr. 48,254).
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Chi si offre a Dio illimitatamente con umile e sincero desiderio di seguire i consigli evangelici, questi fa il maggiore bene che possa fare, prima a sé, poi anche per la S. Chiesa di Dio. È sentenza ritenuta da S. Tommaso, come da S. Alfonso, che la vocazione alla religione sia il più grande benefizio di Dio, dopo il S. battesimo (Scr. 49,261).
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Il giovane deve avere l’animo sempre altamente occupato, e provare diletto nelle alte cose onde non si diletti nelle cose basse e volgari. E qui ricorderò la grande frase del grande S. Tommaso d’Aquino: Nullus diu potest esse sine delectatione: ideo carens delectationibus, transit ad carnales. Non temete di appassionare troppo i giovani secolari a sentire vivo il desiderio di sapere, di studiare, di darsi alle lettere, alle scienze, alle arti: cercate di dare ad essi il desiderio di formarsi uomini, di progredire, di sentirsi migliorati e sempre più istruiti, di ambire di onorare in sé Dio, che li ha creati e di cui siamo l’immagine: di onorare la famiglia, la città natia, e il Brasile, che molto aspetta dai giovani: unite sempre questi due più grandi e più sacri amori: Dio e Patria, e infiammateli di essi: farete dei prodigi! Non dividete mai questi due grandi sentimenti: sarà, per i giovani una luce che durerà e si stenderà su tutta la vita (Scr. 51,25).
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Sono lietissimo di potervi scrivere, cari miei figlioli in Gesù Cr., per la prima volta, dopo la mia malattia, nella festa del nostro San Marziano, e vorrei che queste righe vi giungessero ancora entro domani, festa di S. Tommaso d’Aquino, dal quale codesto Istituto vuol prendere spirito e dottrina, come ne ha preso il nome. San Tommaso d’Aquino, l’angelo delle scuole e della teologia cattolica, il nostro maestro e principe! Con sommo rispetto e con la più grande venerazione la Piccola Opera della Divina Provvidenza accetta la enciclica «Aeterni Patris» ed aderisce, toto corde, ai principi in essa esposti dal sapientissimo Papa Leone XIII, ed a quanto specialmente in frutto di studi filosofici e teologici, hanno ordinato o proposto o consigliato i sommi pontefici, prima e dopo Papa Leone XIII, e la sacra Congregazione degli studi. Perciò, cari miei figli, nelle questioni, vuoi filosofiche, vuoi teologiche, ci atterremo fedelmente alla dottrina del grande dottore S. Tommaso d’Aquino e ai suoi più fedeli commentatori. Il corso filosofico sarà di tre anni, non meno, e per quelli designati all’insegnamento della filosofia alcuni anni in più; il corso teologico poi sarà almeno quattro anni, e, per i designati alla laurea, qualche anno in più. Come altra volta ho detto, un grande e grave bisogno dei nostri tempi, o miei figli, è quello di risanare le menti coll’infondere in esse idee giuste, una filosofia sana, veramente cristiana, teorica e pratica, quale ci è data dalla chiesa, duce San Tommaso d’Aquino (Scr. 52,158).
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Ogni scienza umana, e anche la filosofia, diventerebbe insulsa, se pur non gonfierebbe, se l’amore di Dio non le dà il giusto sapere spirituale, e non la dirige a retto fine che San Tommaso venga a confortarci su questo cammino, su questa diritta via, e aumenti in noi, o miei figli, questo spirito tradizionale della chiesa, nostra madre. Bene scrisse l’Emint.mo Card. Schuster Arcivescovo di Milano, nel «Liber Sacramentorum» che «gloria particolare di S. Tommaso d’Aquino e virtù sua più eminente fu il profondo amore che egli nutrì per la sacra tradizione della chiesa. Egli quasi vi si trasforma, così che ne è diventato il più autorevole rappresentante. È difficile infatti, di ritrovare negli annali del cristianesimo una mente più illuminata, e che meglio ritragga le perfezioni degli spiriti angelici più dell’Aquinate, il quale, fondandosi sui padri antichi, con una precisione mirabile, diede forma definitiva alla nostra scienza di Dio». La chiesa, per tanto, considera l’angelico dottore siccome l’esponente più autorevole ed ufficiale della propria dottrina e della sua scienza di Dio. E nella festa del Santo, ci fa’ pregare così: «Oh Dio, che, mentre illustrasti la tua chiesa colla meravigliosa sapienza del tuo beato confessore Tommaso, e hai voluto rendere questa dottrina anche feconda di sante virtù, concedi a noi, di grazia, non solo di penetrare con la mente nei suoi insegnamenti, ma di imitarne altresì le opere». Desidero che nello studio e nelle aule scolastiche di codesto Istituto filosofico nostro vi sia una bella immagine di S. Tommaso; e che il 7 marzo, giorno nel quale il grande dottore si addormentò nel Signore, dopo avere fatta la più ampia professione di fede e di amore verso la s. chiesa romana, e ricevuto gli ultimi sacramenti disteso umilmente a terra sulla cenere, desidero, dico, che il 7 marzo in codesto caro Istituto si faccia grande e devotissima festa al nostro maestro. Vorrei dirvi di più, o cari miei figli, ma oggi sono stanco, e domani dovrò mettermi in viaggio. Conchiuderò col raccomandarvi che allo studio vada sempre unito lo spirito di umiltà, di orazione, la retta intenzione e la semplicità del cuore – Tenetevi sempre alla presenza di Dio, e ricordiamoci quanto disse lo stesso San Tommaso «che si impara più ai piedi di un crocifisso, di quello che dai libri» (Scr. 52,159–160).
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L’Obbedienza è virtù basilare Non possiamo dare a Dio niente di più grande della volontà perché, dice S. Tommaso, è quella per cui usiamo e godiamo di tutti i beni (Scr. 55,264).
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Certi spiriti, istruiti per metà, dicono: come possiam credere che nel breve giro di un’ostia si trovi il corpo e il Sangue di Cristo? Ricordino costoro che San Tommaso, Cartesio e Leibnitz, i tre più grandi filosofi d’Italia, di Francia e di Germania dimostrarono che la scienza nulla ha da opporre al mistero dell’Eucaristia. E lo stesso fecero fisici e chimici insigni dei tempi nostri: i progressi della fisica rendono omaggio all’Eucaristia (Scr. 56,12–13).
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Certo non dirò – e sarebbe esagerazione – data la disciplina del secreto che vigeva nella Chiesa sin dai tempi degli Apostoli, e che si mantenne gelosamente oltre il III sec. dopo Cristo, non dirò che si debbano trovare sempre e in tutti i Padri e d’oriente e d’occidente quelle sviluppate formule e sempre tutti quei precisi concetti teologici che adoperò poi San Tommaso, nella sua Somma Teologica, e che si adoprarono in età posteriori, ma dai Padri citati ce n’è d’avanzo et ultra a dimostrare che la Chiesa dei primissimi tempi, e poi sempre, ebbe nell’Eucaristia la stessa fede che abbiamo noi (Scr. 56,22).
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Il secolo XIX butta fuori le sue fatali teorie e grida: per la scienza basta la solo osservazione. E Leone risponde «No! la scienza non deve scindersi dalla filosofia e sorge il saggio Pontefice e colla Enciclica Aeterni Patris richiama il mondo alla dialettica di S. Tommaso (Scr. 56,31).
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Ricordiamo con profonda commozione le parole proferite da S. Tommaso d’Aquino in fin di vita, quando fattosi stendere sulla cenere, vide la Santa Ostia il Viatico alzarsi nelle mani del Sacerdote «Vi adoro, mio Dio e mio Salvatore: Vi ricevo come prezzo della mia redenzione e viatico del mio pellegrinaggio, Voi siete Quegli per cui amore ho studiato, affaticato, predicato e insegnato (Scr. 56,101).
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Solo la filosofia cristiana può dare un fondamento scientifico alla sacra teologia Nostro donno e Maestro è San Tommaso d’Aquino Io Vi scrivo precipuamente nel desiderio di promuovere di più fra i nostri Chierici l’amore e lo studio della filosofia, e della teologia. Tale studio deve essere accresciuto, poiché si tratta di un punto tanto importante non solo per la purezza della Dottrina e l’istruzione necessaria allo stato sacerdotale, come per la stessa vocazione religiosa Nostro è S. Tommaso d’Aquino Tutti i nostri devono sapere bene e profondamente la teologia, e non solo la morale, ma anche la dogmatica (Scr. 56,102).
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Osservate l’Angelico Tommaso quegli che svolge la cristiana filosofia: ammiratene la enciclopedica mente che tanto lo elevò da sorgere e giganteggiare nel filosofico mondo. Né egli, né il Bonaventura condannarono tutto; ma corressero, non dispersero; unirono non disgiunsero, recando così non la distinzione; ma la perfezione ed il compimento della filosofia. La missione del Cristianesimo nel filosofico campo iniziata dal Filosofo per eccellenza, sublimata dagli Anselmi dagli Agostini, si compie nell’Aquinate (Scr. 57,292).
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Tommaso d’Aquino muore a quaranta nove anni, e lega alla scienza XVII volumi in foglio che faranno stupire i più alti intelletti (Scr. 62,92).
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È noto il racconto che troviamo presso Mariano e Galesini. Tommaso d’Aquino fece visita al suo amico Bonaventura da Bagnorea, e lo pregò che gli mostrasse la sua biblioteca. San Bonaventura gli mostrò il Crocifisso, e gli disse: “da Questo ho imparato tutto” (Scr. 68,81b).
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In ogni Casa ci siano almeno due copie della Sacra Bibbia in latino, ma non sia alla mano che dei Sacerdoti, eccetto che per qualche consultazione agli studenti di Teologia. Via sia la Somma di San Tommaso e Dante (Scr. 86,54).
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Bisogna dire con S. Tommaso “La scienza di Cristo non distrugge punto la scienza umana, ma la illumina, ci fa vedere il mondo ammalato, accasciato nelle tenebre e nelle sofferenze; gli dà lo sguardo di Gesù per scrutarne le piaghe e qualche cosa del Cuore di Gesù per comprenderle, Signore, accresceteci la fede” (Scr. 87,164).
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Sant’Alfonso M. de’ Liguori, il Dottor della Chiesa San Tommaso esortano le anime a secondare con diligenza anche la più piccola chiamata ad uno stato di maggior perfezione. Chi può dire se queste anime che restano in mezzo al mondo, non abbiano a cedere alle sue lusinghe, perdendo così la grande grazia della vacazione! (Par. I,11).
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Quando il Signore chiama, dà anche il desiderio e la cognizione della Comunità in cui ci vuole. San Luigi sarebbe entrato nei Gesuiti, se non fossero stati osservanti e di grande spirito? San Tommaso d’Aquino era entrato nei Benedettini, ma, in quei tempi, essi erano in decadenza, se la scialavano, andavano in cocchio; Tommaso non vi ci si fermò; si fece domenicano (Par. I,240).
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Noi per farci un’idea del gran male che è il peccato seguiremo la regola che ci dà San Tommaso d’Aquino. Nelle sue opere San Tommaso d’Aquino parla del peccato e cerca di dar un’idea del grande male che è il peccato. Dice: Se un contadino batte un altro contadino fa male, ma se il contadino alza la mano contro il suo padrone, a colui che gli dà il lavoro e il pane, fa ancora più male, cioè questa colpa ha più gravità, cambia già specie, si fa più male (Par. II,36).
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Colui che prega, può tutto; colui che prega ottiene tutto, riceve tutto da Dio. San Tommaso definisce l’orazione: (latino) Elevatio mentis in Iesum: l’elevazione della mente e del cuore a Dio. Perché la preghiera non sta solo nel pronunziare quelle date formule a Dio, ma sta nell’elevazione del cuore a Dio (Par. II,47).
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Non si è mai troppo delicati su questo riguardo; bisogna fuggire le occasioni; vince chi fugge! San Tommaso d’Aquino per mantenere questa bella virtù voleva farsi domenicano. Fuggì da casa; i suoi fratelli gli corsero dietro, lo chiusero nella torre del castello e gli mandarono dentro una donna, perché gli facesse perdere l’onestà. San Tommaso, però, mostrò ad essa un tizzone ardente e quella fuggì e Dio mandò un angelo a cingergli i fianchi di un cordoncino angelico; e da allora il santo non sentì più nessuna tentazione (Par. II,60).
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Obbedienza, obbedienza! Dopo le virtù teologali San Tommaso d’Aquino mette la virtù dell’obbedienza. Il fondamento della religione, o buone suore, è la fede, è il vedere che nella volontà dei superiori c’è la voce e la volontà di Dio (Par. II,75).
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Raccomandatevi alla Santa Madonna, a San Tommaso e a quegli altri Santi che sono gli Angeli della scuola, o anche a quei Santi che, con la loro dottrina, illuminarono la Santa Chiesa (Par. IV,289).
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Il 7 marzo è invece San Tommaso d’Aquino; “l’Angelo della Scuola”, domenicano, religioso che lottò per la sua vocazione, che vinse prove anche intime, che seppe mantenere il cuore immacolato; quanto grande, altrettanto umile (Par. IV,405).
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San Tommaso visse in mezzo a tanti e tanti pericoli e fu molto tentato per quanto riguarda la vocazione. Raccomandatevi dunque a San Tommaso per essere fedeli alla Santa Vocazione e seguite la sua dottrina. Il Signore diede San Tommaso alla Chiesa, perché essa trovasse, nella sua vasta opera filosofica e teologica, gli argomenti scientifici – validi per coloro che non credono agli argomenti scritturali – per difendersi. Quanto questo Santo ha patito per essere fedele alla vocazione! Si scatenò una lotta che durò più anni! Gli fu poi ordinato di insegnare a Parigi. Dobbiamo essere pronti a soffrire qualche cosa per la fedeltà alla Chiesa. È accertato – secondo alcuni – che egli fu fatto avvelenare dal Re di Napoli, perché domandandogli che cosa avrebbe detto di lui al Concilio di Lione, Tommaso rispose che avrebbe detto la verità! Il veleno gli gonfiò solamente la gola e non poteva ricevere il Santissimo Sacramento. Si legge in qualche vita, che per miracolo allora gli si aperse il cuore e Gesù gli andò nel cuore. Quanto fu mai umile San Tommaso! Egli ricco, nobile, parente di re, diede addio a tutte le vanità di questa terra per andare a servire il Signore. È la più grande gloria dell’Ordine Domenicano e una delle più grandi colonne culturali della Chiesa. Noi miseri dobbiamo anelare di essere sale per noi e per i nostri fratelli. Veramente San Tommaso fu sale della terra e luce del mondo! Preghiamo San Tommaso che voglia infondere in noi tanto amore a Dio da dare a lui la nostra vita e di farne olocausto a sua gloria. Ci ottenga il caro Santo la purezza in modo che in Paradiso possiamo cantare anche noi quell’inno che solamente quelli che si sono conservati casti possono cantare! (Par. V,1–2).
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Voi dovete dare la pietà, la carità al mondo! Sal terrae è la pietà! E dopo, dovete essere la lux mundi! La scienza che illumina l’uomo, la scienza di Dio. Seguite la filosofia e la teologia di San Tommaso. Monsignor Daffra disse: “Non si potrà essere mai grande teologo se non si è fatto prima grande filosofo! (Par. VI,248).
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San Francesco di Sales diceva che ci sono otto sacramenti e l’ottavo è per gli ecclesiastici, ed è la scienza. Guai ai preti ignoranti che sono condottieri ciechi, che portano a rovina molti. Studiare San Tommaso perché è una cima, è il nostro maestro e la sua filosofia è buona (Par. VI,274).
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In osservanza a quanto scrive il Santo padre sulla filosofia di San Tommaso, ogni casa procuri di avere una bella immagine grande di questo santo e metterla in vista. Ogni sacerdote deve cercare di farlo conoscere e quanto lo odiano i nemici della Chiesa, altrettanto dobbiamo amarlo e venerarlo noi. Possibilmente se ne legga la vita nei probandati. Don Zanocchi ha la facoltà di mettere i cingoli di San Tommaso, procuri di usarne il più possibile e faccia molti ascritti a questa pia unione (Riun. 18 agosto 1914).
Vedi anche: Accademia, Santi, Summa Theologiae.
Santi
Sono circa cinquecento (459) i nomi dei santi (canonizzati, beati e venerabili) che ricorrono negli Scritti e nella Parola di san Luigi Orione. Si tratta di un impressionante elenco che testimonia quanto grande fosse la conoscenza agiografica di san Luigi Orione, in grado di citare e, molto spesso, riferire particolari storici e aneddotici riguardo a centinaia e centinaia di santi. Lo stesso don Luigi Orione, vivente, ebbe modo di conoscere personalmente alcuni di questi campioni della fede e della carità, come, ad esempio, san Giovanni Bosco, san Pio X, sant’Annibale Maria di Francia, il beato Michele Rua, la beata Teresa Grillo Michel, ecc. Ecco l’elenco, in ordine alfabetico, dei santi, beati e venerabili menzionati negli Scritti e nella Parola di san Luigi Orione.
Santi: Achille, Vescovo; Afraate di Adiabene; Agapito, martire; Agata, martire; Agnese, martire; Agostino d’Ippona; Albano d’Inghilterra; Alberto, abate; Alberto Magno; Albino di Angers; Alderico, Vescovo; Alessandro, martire; Alessandro Sauli; Alessio d’Aspromonte; Alessio di Roma; Alfonso Maria de’ Liguori; Ambrogio, Vescovo; Ammone di Alessandria; Anastasia, martire; Anatolia, martire; Andrea, apostolo; Andrea Avellino; Andrea Bobola; Angela da Foligno; Angela Merici; Anna, madre della B.V. Maria; Annibale Maria di Francia; Ansberto di Rouen; Anselmo d’Aosta; Antonino, Vescovo; Antonio, abate; Antonio da Chador; Antonio di Padova; Antonio Maria Claret; Antonio Maria Gianelli; Antonio Maria Zaccaria; Apollinare di Ravenna; Apollonia di Alessandria; Arsenio, abate; Atanasio di Alessandria; Attala, abate; Aurelio, martire; Avventore, martire; Barnaba, apostolo; Bartolomeo, apostolo; Basilio di Cesarea; Beda il Venerabile; Benedetto da Norcia; Benedetto Labre; Benigna, martire; Benigno, Vescovo; Bernadette Soubirous; Bernardino da Siena; Bernardo, abate; Bernardo Tolomei; Biagio, martire; Bonaventura da Bagnoregio; Bonifacio, martire; Bovo di Voghera; Brigida di Svezia; Brizio di Tours; Bruno (Brunone) di Colonia; Callisto I, Papa; Calogero, eremita; Camillo de Lellis; Candido, martire; Carlo Borromeo; Caterina d’Alessandria; Caterina da Genova; Caterina da Siena; Caterina dei Fieschi; Cecilia, martire; Celestino I, Papa; Celestino V, Papa; Celso, martire; Cesario di Nazianzo; Chiara d’Assisi; Cipriano, martire; Ciriaca, martire; Cirillo di Alessandria; Cirillo, monaco; Clemente I, Papa; Clemente Maria Hofbauer; Clotilde, regina; Coletta Boylet; Colombano, abate; Contardo d’Este; Cornelio I, Papa; Cornelio, centurione; Corrado Confalonieri; Cosimo (Cosma), martire; Costanzo, mansionario; Crispino da Viterbo; Cristina, martire; Cristoforo, martire; Dalmazio (Dalmazzo) di Pedona; Damaso I, Papa; Damiano, martire; Daniele, profeta; Daniele Comboni; Desiderio, Vescovo; Dionigi di Alessandria; Dionisio I, Papa; Domenico di Guzmán; Domenico Loricato; Domenico Savio; Domitilla, martire; Domiziano, Vescovo; Donato, martire; Dorotea, martire; Doroteo, eremita; Dositeo, monaco; Edoardo il Confessore; Efrem il Siro; Elena, imperatrice; Elia, profeta; Eliana, martire; Elisabetta, madre di Giovanni Battista; Elisabetta Viani; Emerenziana, martire; Enrico, re d’Italia; Epifanio di Salamina; Espedito di Melitene; Ettore, martire; Eucherio di Lione; Eufemia di Calcedonia; Eugenio, martire; Eusanio, martire; Eusebio di Vercelli; Eustachio, martire; Eustochia Calafato; Eustochio, Vescovo; Eustorgio, Vescovo; Evodio di Antiochia; Fabiano I, Papa; Fedele, martire; Felice, Vescovo; Felice da Cantalice; Felice di Nicosia; Felicissimo, martire; Felicita, martire; Ferdinando di Castiglia; Fermo, martire; Filippo, apostolo; Filippo Benizi; Filippo Neri; Filomena di Roma; Fortunato, martire; Francesca Romana; Francesco Borgia; Francesco d’Assisi; Francesco da Cordoba; Francesco di Paola; Francesco di Sales; Francesco Maria da Camporosso; Francesco Saverio; Francesco Solano; Fulberto, Vescovo; Fulgenzio di Ruspe; Gabriele, arcangelo; Gabriele dell’Addolorata; Gaetano Catanoso; Gaetano da Thiene; Galgano, eremita; Gallo, eremita; Gaspare del Bufalo; Gaudenzio, martire; Gemma Galgani; Gennaro, martire; Genoveffa di Parigi; Geraldo, abate; Gerardo Maiella; Geremia, profeta; Gertrude di Helfta; Gervasio, martire; Getulio, martire; Giacinta Marescotti; Giacinto, martire; Giacomo, apostolo; Giacomo della Marca; Giacomo di Nisibi; Giacomo il Minore; Gioacchino, padre della B.V. Maria; Giobbe, patriarca; Giorgio, martire; Giosafat Kuncewycz; Giovanna d’Arco; Giovanna Francesca di Chantal; Giovanni, apostolo; Giovanni, eremita; Giovanni, martire; Giovanni Berchmans; Giovanni Bertrando; Giovanni Bosco; Giovanni Calabria; Giovanni Crisostomo; Giovanni d’Avila, Giovanni da Capestrano; Giovanni da Montecorvino; Giovanni Damasceno; Giovanni de Matha; Giovanni della Croce; Giovanni di Dio; Giovanni Eudes; Giovanni Gualberto; Giovanni Maria Vianney; Giovanni Nepomuceno; Giovanni Battista de La Salle; Giovanni Battista, precursore; Giovita, martire; Girolamo, monaco; Girolamo Emiliani; Giuda Taddeo, apostolo; Giuda, apostolo; Giuliana Falconieri; Giuliano di Cuenca; Giulio, martire; Giuseppe Benedetto Cottolengo; Giuseppe Benedetto Labre; Giuseppe, Sposo della B.V. Maria; Giuseppe Cafasso; Giuseppe Calasanzio; Giuseppe da Copertino; Giuseppe da Leonessa; Giustino, martire; Giustino de Jacobis; Giusto, martire; Gonzalo Mercador; Gregorio di Nazianzo; Gregorio di Nissa; Gregorio di Tours; Gregorio Magno; Gregorio Taumaturgo; Ifigenia di Etiopia; Igino I, Papa; Ignazio, martire; Ignazio di Antiochia; Ignazio di Loyola; Ilario di Poitiers; Ilarione, eremita; Ildegarda di Bingen; Innocenzo, Vescovo; Ippolito, martire; Ireneo di Lione; Isidoro di Siviglia; Lazzaro di Betania; Leonardo da Porto Maurizio; Leone IX, Papa; Leone Magno; Leucio, martire; Lino I, Papa; Lorenzo, martire; Lorenzo da Brindisi; Lorenzo Giustiniani; Luca, evangelista; Lucia, martire; Luciano di Antiochia; Ludovico da Casoria; Luigi, Vescovo; Luigi IX, re di Francia; Luigi Bertrando; Luigi Gonzaga; Luigi Guanella; Luigi Maria Grignion de Montfort; Luigi Orione; Lupo di Troyes; Macario, martire; Maddalena Sofia Barat; Malachia, profeta; Marcellino, martire; Marco, evangelista; Margherita da Cortona; Margherita Maria Alacoque; Maria Maddalena de’ Pazzi; Mario, martire; Marta di Betania; Martino di Tours; Marziano, Vescovo; Massimo, Vescovo; Matilde di Ackeborn; Matteo, apostolo; Mattia, apostolo; Maurizio, martire; Mauro, abate; Melania la Giovane; Metodio, Vescovo; Michele, arcangelo; Miniato, martire; Monica, madre di Sant’Agostino; Mosè, profeta; Nabore, martire; Nicodemo, discepolo di Gesù; Nicola da Tolentino; Nicola di Bari; Nilo da Rossano; Nonno, Vescovo; Nonnoso, abate; Odorico da Pordenone; Onofrio, anacoreta; Orsola, martire; Osvaldo, martire; Ottavio, martire; Paciano di Barcellona; Pacifico da San Severino Marche; Pacomio, abate; Pafnuzio: eremita; Pancrazio, martire; Panteno di Alessandria; Paola Frassinetti; Paola romana; Paolino da Nola; Paolo, apostolo; Paolo, eremita; Paolo, martire; Paolo della Croce; Paolo VI, Papa; Paolo Semplice; Pasquale Baylón; Patrizio, Vescovo; Pelagia di Antiochia; Petronilla, martire; Pier Crisologo; Pier Damiani; Pier Niceto; Pietro, apostolo; Pietro Canisio; Pietro Casasco; Pietro Claver; Pietro d’Alcantara; Pietro Favre; Pietro Nolasco; Pietro Orseolo; Pio da Pietrelcina; Pio V, Papa; Pio X, Papa; Placido, abate; Policarpo, martire; Ponziano I, Papa; Ponzo, martire; Prospero di Aquitania; Protaso, Vescovo di Milano; Pudenziana, martire; Quirico, martire; Raffaele, arcangelo; Remigio di Reims; Riccardo di Chichester; Rita da Cascia; Roberto Bellarmino; Roberto di Newminster; Rocco, pellegrino; Romano, martire; Romolo di Genova; Romualdo, abate; Rosa da Lima; Rosa da Viterbo; Rufina, martire; Rufino di Assisi; Sabina, martire; Scolastica da Norcia; Sebastiano, martire; Secondiano, martire; Secondo, martire; Serapione di Alessandria; Severino, abate; Severino Boezio; Severo, Vescovo; Sigismondo, martire; Silvestro I, Papa; Silvia di Roma; Silvio, martire; Simeone il Vecchio; Simone Stock; Simone, apostolo; Sireno, martire; Siricio I, Papa; Sisto II, Papa; Sofia di Roma; Solutore, martire; Stanislao Kostka; Stefano, martire; Sulpizio, Vescovo; Susanna di Roma; Tarcisio, martire; Tecla di Iconio; Teodoro di Amasea; Teresa di Gesù; Teresa di Gesù Bambino; Teresa Margherita Redi; Tito, martire; Tommaso, apostolo; Tommaso d’Aquino; Tommaso da Canterbury; Tommaso da Villanova; Toribio de Mogrovejo; Torpete, martire; Ulrico di Augusta; Valentino, martire; Venceslao di Boemia; Veronica Giuliani; Vigilio di Trento; Vincenzo de’ Paoli; Vincenzo diacono; Vincenzo Ferreri; Vincenzo Maria Strambi; Vitale, martire; Vito, martire; Vittore, martire; Vittorio di Cesarea; Zeno di Verona; Zita di Lucca.
Beati: Amedeo IX di Savoia; Andrea Caccioli; Andrea Giacinto Longhin; Anna Rosa Gattorno; Antonio Baldinucci; Antonio Rosmini; Augusto Czartoryski; Bartolo Longo; Benedetto Pareto; Bernardino da Feltre; Carlo Spinola; Cherubino Testa; Contardo Ferrini; Cosma da Carboniano; Enrico Suso; Eustochio Bellini; Francesco Drzewiecki; Giordano da Pisa; Giovanni Battista Scalabrini; Giovanni Colombini; Giovanni da Fiesole [Beato Angelico]; Giovanni Giovenale Ancina; Giovanni Lantrua; Giovannino Costa; Giuseppe Allamano; Ildefonso Schuster; Imelda Lambertini; Jacopone da Todi; José de Anchieta; Luigi Maria Palazzolo; Luigi Suarez; Maria Benedetta Frey; Maria Vittoria de Fornari Strata; Matilde di Canossa; Michele Rua; Paolo Giustiniani; Pio IX, Papa; Ricardo Gil Barcelón; Sebastiano Valfrè; Stefano Bandelli; Teresa Grillo Michel.
Venerabili: Andrea Beltrami; Carlo Sterpi; Cosimo Dossena; Fra Ave Maria; Guglielmo Massaia; Ludovico da Ponte; Maria Plautilla; Paolo Pio Perazzo.
Santità
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Chi comprende di non essere a posto, vinca sé stesso e le illusioni del demonio, e preghi la SS.ma Madre nostra del Paradiso, e cominci sul serio a corrispondere alle divine misericordie e alle insigni grazie che Dio gli ha fatto. Con la preghiera: con la umiltà: con il candore semplice e la confidenza piena di figli: così e non altrimenti giungerete alla perfezione e alla vera santità, e saremo i figli veri della Divina Provvidenza, e cresceremo cari a Dio, e faremo un bene immenso (Scr. 2,77).
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Ho bisogno di santi! Poco mi importerebbe che siate piccoli: anzi così imparereste subito la lingua, e tra due anni potreste fare scuola in portoghese; ma ho bisogno che chi va, porti là la santità. Chi si sente di voi? Dalla vostra virtù e santità dipende tutto l’avvenire della Congregazione e la salvezza di tante e tante anime per le quali Gesù è morto! (Scr. 2,77).
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La giustizia perfetta insegnata da Gesù Cristo consiste primieramente nello studio di purificare la propria coscienza e nella pratica della servitù universale secondo la celeste chiamata, ed essa è il principio di tutta la nostra ascetica; la santità consiste nel praticare quelle virtù che Gesù Cristo ha mostrate in sé stesso, massimo olocausto, pendente dalla croce e nella totale umiliazione e abnegazione di noi, nella perfetta obbedienza ai superiori. Essa è completa consacrazione all’amore di Nostro Signore, e in Lui, all’amore del prossimo, sino alla consumazione di noi, per l’amore di Cristo Benedetto. Essa non si perde in sottigliezze e non cerca le cose proprie, ma cammina con semplicità cercando Dio e il prossimo. Ora Dio stesso, nostro Padre, e il Signor nostro Gesù Cristo, Dio e Uomo e Salvatore nostro, e la SS.ma Vergine Madre dolce nostra, ci appianano, o miei figliuoli, la via, onde possiamo, e nella giustizia e nella santità, camminare tutti i giorni della vita nostra, e il Signore ci faccia abbondare e sovrabbondare in amore gli uni verso gli altri e verso tutti (Scr. 26,143).
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Senza forza d’animo, senza rinnegamento di noi stessi, senza sacrificio non c’è virtù, né vita religiosa né santità verace. Ma i sacrifici che facciamo per il Signore, per la sua Chiesa, per la Congregazione, o figlio mio, non ci devono parer gravi; giacché a chi si ama, si dà volentieri, e il patire qualche cosa per Gesù Cristo, per la santa Chiesa di Dio, per la nostra Congregazione e per il suo sviluppo, è sempre dilettosa e santa cosa. E quando, con la grazia di Dio, si fa un sacrificio per l’amore di Dio stesso benedetto, si prova sempre gioia nell’animo, e grande interiore e spirituale soddisfazione (Scr. 29,171).
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Lascia tutto ciò che non è secondo la santità né secondo lo spirito di umile, santo e mortificato eremita: ricordati che ti sei consacrato a Gesù Cristo per vivere la vita della povertà e da povero figlio della Divina Provvidenza. Se anche non puoi lavorare tanto, fa niente, ma cerca almeno di dare buon esempio da buon religioso in casa a tutti e fuori di casa alla gente. Tu non puoi predicare con la voce, ma la predica cerca di farla sempre con il tuo buon esempio (Scr. 32,201).
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Per te e per gli altri prego continuamente, onde possiate formarvi un buono spirito religioso e a grande virtù, perché senza di questa poco vi servirà la scienza, se pure non vi nuocerà. Tutta la possibile scienza umana, non val nulla per l’eternità, se non è diretta a Dio e al bene del prossimo; prima la santità e la carità, poi la scienza; giacché questa destruetur, ma la santità non scade mai! (Scr. 33,3).
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Ricordiamo, o miei cari, che lo dobbiamo fare per il Signore, e che Dio non benedice né può gradire le opere fatte negligentemente. Cari miei piccoli fratelli, cerchiamo la santità, ma subito non aspettiamo più: non tardiamo! La santità! il desiderio della santità! tutto verrà dietro a questo: i disegni di Dio si compiranno sopra di me e sopra di voi tutti. La s. chiesa: il Papa: il popolo credente e il popolo ancora selvaggio: i non battezzati come i battezzati; i giusti come i poveri peccatori non hanno da sperare altro che dalla santità Ora la chiesa ha bisogno di un gruppo di santi (Scr. 52,194).
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Poco onore, se non risplenderà in noi la virtù di Maria, specialmente la bella, la Santa virtù. Estote sancti – purezza è santità; e santità è sinonimo di purezza, diceva D. Bosco – plenitudo legis dilexio, plenitudo castitatis sanctitas. È vero, la santità consiste propriamente ed essenzialmente nella carità, nella perfezione della carità, e si attua con l’adempimento perfetto del dovere verso Dio e verso gli uomini, facendo sempre e in ogni cosa la volontà di Dio. L’uniformità al volere di Dio, l’unione della nostra vita alla volontà di Dio, dicono unanimemente i Maestri di spirito, è la pienezza della santità (Scr. 55,280).
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Fratello mio, ci vuole santità e santità di opere, ed il raggiungere la santità senza aver il cuore infiammato di amore divino e senza camminare sulle orme di Cristo: è assolutamente impossibile. Né questo ti sgomenti; la santità non vive solo nei deserti né solo si acquista con grandi penitenze. Tu pure sarai santo qualora il voglia e con ben poco. Sforzati di fare con perfezione anche i più minimi tuoi doveri e non di sembrar singolare, ma di esserlo: di fare cioè per Dio e con ogni perfezione ciò che suol farsi per abitudine; di far poco, ma di farlo bene (Scr. 70,195).
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La vita religiosa, o figliuol mio, come, del resto, la santità, consiste nell’annegazione del nostro proprio giudizio e nella perfetta obbedienza ai Superiori, nel gusto di essere contraddetti e umiliati per l’amore di Gesù Cristo. Credi, non c’è altra virtù né altra santità che nell’annegazione e dell’umiliazione e nella carità. Et quod sanctum non est, nihil est (Scr. 71,101).
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I Santi ci hanno lasciato il più mirabile esempio di avere saputo trafficare, e come bene, tutti i loro talenti. Oh la si finisca dunque di rappresentarci una pietà, una santità poltrona o selvatica: sono queste monete false di santità. No, fratelli, i santi non erano così. Sempre dolci, ma sempre attivi: inerti o retrogradi mai e poi mai! Studiamoli bene, e vedremo che essi furono i più grandi, i più veri progressisti, perché vissero di Dio, che è vita e non morte. Niente inerzia nei santi e niente melanconia. Si sa che dicesse in proposito San Filippo Neri: si sa che Francesco di Sales lasciò scritto: “Santo ignavo, niente santo: santo triste, tristo santo! ” In questa vita non c’è il riposo per chi ama Dio, e i Santi, i grandi amatori di Dio, sono sempre in attività di servizio per Dio, per la Chiesa, per le anime, per la Patria; per tutto che è bene! (Scr. 82,46a–46b).
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Vedete quanto poco ci vuole a farci santi: non altro che abituarsi a volere in ogni occasione ciò che vuole Dio. La santità non s’acquista con il tenere le braccia in croce. Lavoriamo e lavoriamo a domare noi stessi, a ridurci a vivere, non secondo le inclinazioni e le passioni, ma secondo la ragione, la regola e la volontà del Signore. Tutta la scienza dei Santi si riduce a fare e soffrire per amore di Cristo. Chi meglio ha fatto queste due cose, si è fatto più santo. Fare e soffrire per Gesù: Pregare e studiare di più, studiare e pregare, e se sapete fare, avete mille atti di virtù al giorno da compiere (Scr. 86,141).
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Voi specialmente, o Novizi, pensate che foste prescelti e siete costà amorosamente custoditi e indirizzati a vita di santità e di carità: di santità per voi e di carità tra di voi e verso i più poveri nostri fratelli, nei quali vi dovete onorare di servire Gesù Cristo: amare i poveri è amare Gesù: servire i poveri è servire Gesù. E così giungerete alla perfezione nella carità che è santità, la carità che è amore di Dio e del prossimo, e dei più bisognosi. Oh, se io potessi farvi vedere Gesù Cristo nei poveri! Nessuno di voi si rifiuterebbe di correre a fare i servizi anche più umili ai nostri poverelli, sapendo di servire Gesù Cristo stesso! (Scr. 105,390).
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Ricordati sempre che Nostro Signore Gesù Cristo altro non cercò se non d’insegnare la santità, ed è di questa che Egli a me, a te e a tutti, ma specialmente a quelli che Dio ha chiamati al suo servizio, chiederà conto principalmente. Ama dunque di più il Signore e tutti nella carità del Signore: che altro è la santità, che amore di Dio e del prossimo? Sii umile, sii buono con tutti: sii devoto, modesto, pio, mortificato, docile, e Dio sarà con te. Ora noi, vedi, dobbiamo accenderci di questo fuoco, vivere e risplendere di questa luce di santità, guai se saremo opachi od oscuri, noi non saremmo quelli che Dio vuole da noi! (Scr. 117,204).
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La santità non consiste né in abiti, né in case, ma unicamente nel rinnegare noi stessi e far proprio tutto il contrario di quel che vorremmo. Siate felici di fare soltanto la santa volontà di Dio, e fatevi sante per andarlo a godere in Paradiso coi suoi Santi, per tutta l’eternità (Par. I,19).
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I primi cristiani sono chiamati santi... gens sancta... Dovremmo essere più fervorosi anche noi nello spirito del Signore, se i cristiani primitivi camminarono con tanto fervore nella via della santità che ne facevano come una professione; professavano la santità e venivano chiamati santi. Dovremmo anche noi poterci, in tutti i giorni della nostra vita, chiamarci santi (Par. IX,415).
Vedi anche: Direzione spirituale, Esercizi spirituali, Perfezione (virtù), Propositi, Unione con Dio.
Santuariani
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Desidero che chiamiate don Martino e a nome mio vi farete dire se sta vero che egli intende abbandonare l’Istituto, poiché da Tignale sembra che sia io che impedisca allo stesso di andare là. È vero che avendomi egli interrogato io ricordo di avergli telegrafato mesi fa che non lasciasse l’Opera della Divina Provvidenza, ma gli farete conoscere che se egli vuole andare, io non mi opporrò mai, poiché altro è opporsi e altro è dargli un consiglio, consiglio che anche oggi, se fossi richiesto od egli desiderasse conoscerlo, gli direte che, allo stato delle cose sue e dei Santuariani, è sempre lo stesso, poiché non credo per ora né utile né conveniente che egli si sbalestri, però con questo non intendo affatto oppormi (Scr. 2,21).
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Eravamo rimasti che il Bendandi venisse a Tortona a fare la sua prova, tanto che lo dissi mi pare anche a Mons. Felici, quando da principio gli esposi certi miei dubbi. Ciò che poi sia passato tra il Boccali e Bendandi, non ne so più nulla. 2/ Quanto ad accettarlo ora, non lo credo conveniente: a) ne ebbi cattive informazioni da Mons. Pinchetti, che è l’attuale superiore dei santuariani e ciò in via confidenziale; b) potrebbe parere che lo tolga di là e non è corretto; c) se egli, come lei scrive, ha trascorso tanto a mio riguardo mentre io non sapeva più nulla di lui, eccetto che voleva farsi santuariano, come mi aveva assicurato Boccoli, non mi pare bene, non affatto per me, ma per altri riguardi che si connettono a quanto da più parti mi venne riferito di lui (Scr. 35,48).
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Destinatario Santuariani Montecastello Tignale sul Garda. Dominus sit in medio vestrum et benedicat et multiplicet vos numero, pietate et devotione erga Apostolicam Sedem et Mater Divinae Providentiae vos ab omni malo defendat et omnes et venturos vestros ad vitam perducat aeternam (Scr. 60,384).
Vedi anche: Chiesa.
Savonarola Girolamo
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E quando Raffaello vorrà dipingere la disputa del Sacramento, tra gli adoratori di Gesù, ben distinti porrà Dante e Savonarola, il cantore del dogma cristiano e il fierissimo frate (Scr. 56,14).
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Tra le figure che campeggiano in quell’eccelso poema eucaristico ch’è la disputa del Sacramento, accanto ai santi dell’antico e del nuovo Testamento, tra i dottori Magni della chiesa come S. Tommaso, tra Dante e Savonarola, l’artista avrebbe certamente collocato Pio X (Scr. 61,144).
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Se c’è la carità, anche quando la ingiuria degli anni o la degradazione del vizio hanno fatto dell’uomo un oggetto di disgusto intollerabile si dà la vita, e si dice con il grande monaco con il fierissimo e santo Savonarola: fratello, sei uno sventurato, ma io ti amo: o come il Cottolengo che abbracciandoli: voi siete le gemme della mia Casa (Scr. 61,171).
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Ho in grande venerazione Girolamo Savonarola, frate fierissimo. Di austere e sante virtù. Ai miei cari del collegio San Giorgio di Novi dono questa fotografia ad accrescimento di amore a Dio, alla croce, alla santa chiesa e all’Italia. Conforto i miei figli e fratelli in Cristo a leggere le Opere del Savonarola e ad imitarlo, evitando lo scoglio della politica (Scr. 63,235b).
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So la bontà di Vostra Eminenza Rev.ma [Alfonso Capecelatro], e mi permetto pregarla d’un favore a nome pure di alcuni ottimi amici. È nata discussione se il Savonarola debba ritenersi come ribelle o meno. Si disse che Vostra Eminenza, nella edizione ultima della vita del Padre Ludovico ritenga che egli non si sia un ribelle. Io ho letto la vita del P. Ludovico quando uscì, ma non conosco ciò che V. Eminenza possa averne scritto dopo. Hanno citato il Pastor, il Villari, ma si vorrebbe, in merito, conoscere chiaramente quale sia oggi il pensiero di V. Eminenza Rev.ma, e quali le fonti che farebbero ritenere che il fiero frate non debba dirsi ribelle. Vorrebbe Vostra Eminenza, nella Sua carità risponderci? Le bacio, anche a nome degli altri, con profonda venerazione la Sacra Porpora, e La prego della Sua Benedizione (Scr. 85,54).
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Conforto i miei figli e fratelli in Cristo a leggere le Opere del Savonarola e ad imitarlo, evitando lo scoglio della politica. Ho in grande venerazione Girolamo Savonarola, fratel fierissimo. Di austere e sante virtù (Scr. 99,181).
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La fede che ha cantato con Dante e Tasso: che dipinse con Raffaello, con l’Angelico, con Leonardo: la fede che scolpì con Michelangelo, con il Canova, con Dupré: che ha tuonato con Segneri e Savonarola: che ha rapito agli Angeli le armonie dell’arte del nostro Perosi. La nostra fede cattolica fu la grande, sovente, l’unica consolatrice dei nostri eroi: delle madri, delle spose, degli orfani (Scr. 113,283).
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[San Pio V] fu forte, e difese fortemente il fierissimo Savonarola, di cui io spero vedrete che avverrà, mi auguro, come avvenne di Santa Giovanna d’Arco che fu bruciata, e un cardinale voleva gettarne le ceneri al vento; così mi auguro avvenga di Savonarola che fu bruciato sulla piazza della Signoria a Firenze. Egli però fu difeso dal Cardinale Alessandrino – così, sapete, chiamavano Pio V, perché nato vicino ad Alessandria – il quale lo difese soprattutto pregando (Par. X,172).
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Quando leggerete la vita che il Cardinale Capecelatro scrisse di San Filippo Neri, troverete un capitolo in cui si parla del Savonarola. E là appunto si dice di Pio V, che mentre si cercava di proscrivere le opere del Savonarola, egli vi si oppose, e così non riuscirono. Alcune di queste opere del Savonarola furono deplorate; nessuna però venne posta all’indice. Quanto sarei contento che leggeste tutti le opere del Savonarola; ma vanno lette d’inginocchio ai piedi della Chiesa di Gesù Cristo. San Filippo Neri teneva sul letto un’immagine del Savonarola; Santa Caterina Ricci pure teneva sul letto un’immagine del Savonarola, il fierissimo frate di grande e santa vita. (sta con la mano destra sul petto e con gli occhi bassi pieno di unzione e di convinzione) (Par. X,173).
Vedi anche: Predicazione.
Scandalo
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Fate fare una visita, una buona e fonda visita nelle case: non si tolleri il vizio né lo scandalo, né i tiepidi e non si guardi in faccia a nessuno: si vigili e si vada e si faccia tutto con vera coscienza. Io qui ho allontanato monache, chierici e altri e ora Dio visibilmente ci aiuta (Scr. 18,95).
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Al vostro Patronato od oratorio festivo, appena si potrà, unirete le scuole esterne; ed ammetterete tutti i giovanetti, dai 7 anni in su, che abbiano buona volontà di istruirsi nella religione, di divertirsi e di compiere insieme i loro doveri cristiani. Solo siano allontanati quelli che fossero di scandalo e contagiosi moralmente, gli insubordinati non saltuariamente, ma sistematicamente, i bestemmiatori sistematici: per tutti gli altri molta tolleranza (Scr. 32,241).
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Amiamo Gesù, figlioli. Amiamolo tra di noi vivendo in carità fraterna: amiamolo nel Santissimo Sacramento, amiamolo formando di noi un olocausto continuo di amore! Vi saluto tanto, vi benedico. Vado e pregherò per voi tanto. Vi domando perdono di tutti gli scandali e mali esempi che vi ho dato: pregherò per risarcirvene (Scr. 36,37).
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Imparzialità e tutti siano trattati ugualmente, con uguale e santo affetto in Gesù Cristo, con lo stesso impegno, con la stessa discrezione, con una buona dose anzi di discrezione anche nel rigore. Ai giovani parlate e pensate con il cuore. Da qui passo ad un punto delicato. Non si tollerino discorsi, gesti, od atti scandalosi, se non volete che la maledizione di Dio cada su di voi e sul nostro Istituto (Scr. 51,30).
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Avete sentito quella parola forte detta a tavola una volta, nei primi giorni del primo ritorno dall’Argentina, quando mi parve che ci fosse stato un preferito e che stava al mio lato. La più perfetta imparzialità ci vuole, o cari miei figli e sempre una buona dose di discrezione anche nel rigore. Non si tollerino discorso o atti scandalosi e guardate l’Istituto da quelli che fossero precocemente maliziosi o viziosi. Il Manzoni dice d’essere stato rovinato in collegio da un compagno precocemente malizioso e corruttore (Scr. 64,235).
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Come l’ho fatto con Nostro Signore, così, con la sua grazia, vorrei avere la possibilità di domandare perdono a tutti del male fatto e scandali dati, come pure lo domando a te di cuore, avendo passato tanto tempo insieme. Io pregherò sempre per te e ti ringrazio del bene che mi hai sempre fatto e che hai fatto ai figlioli della Provvidenza (Scr. 68,25).
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Attento bene al grande passo che sarai per fare. Se non ti sentissi chiamato, per carità! non farti prete: meglio la morte, che sacerdote scandaloso (Scr. 70,194).
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Non posso, al presente, mandare il Sacerdote a Cafarnao, perché finora non ci sono patti chiari e poi sarà necessario che abbiamo una Casa da noi e non stare lassù nella stessa Casa delle Suore: non voglio poi far parlare il mondo o che ne venga scandalo. Non basta non fare il male, ma anche bisogna evitare le apparenze del male (Scr. 103,170).
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In questa stanza, ove ora regna Gesù, si riunivano i Socialisti a complottare contro la religione, si divertivano, bestemmiavano e ballavano tutta notte. Il Canonico Ratti ricorda di aver visto, passando il mattino per andare a celebrare la Santa Messa, uscire di qui le persone che avevano passato la notte in chiassi e balli. Come se questo non bastasse, un cattivo prete di qui ha dato scandalo, ha apostatato: insomma, chi in un modo, chi in un altro, tutti hanno lavorato a distruggere il bene che si era fatto: ed ecco perché oggi San Bernardino è il sito peggiore di Tortona, il quartiere della teppa! C’è un proverbio che dice così: “corruptio optimi, pessima” ed è proprio così; quando chi è buono diventa cattivo, lo diventa davvero (Par. I,62).
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Gesù ama i puri e scaglia maledizioni contro coloro che portano al male questi innocenti che sono costati il sangue suo. Guai ai disonesti, guai agli scandalosi, guai a coloro che tirano le anime alla perdizione. Piuttosto che dar scandalo, legatevi una macina al collo e gettatevi in mare. Il Venerabile don Bosco, che è stato il mio confessore, – anzi, quando egli morì, io ero il più giovane dei suoi penitenti, – amava molto la santa virtù, era molto puro, molto puro! (Par. I,214).
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Animare i ragazzi, non avvilirli mai; non castigarne mai più di tre o quattro insieme. Si può perdonare qualche scappatina, qualche uscita inosservata dal Collegio; non mai ai contagiosi e scandalosi (Par. III,74).
Vedi anche: Castità (virtù, voto), Peccato.
Scienza
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Non è la scienza che fa, ma l’amore di Dio soprattutto. San Paolo dice: “Anche quando avessi tutto il sapere e parlassi tutte le lingue, se non ho la carità non sono nulla” (Scr. 2,247).
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La bandiera della Divina Provvidenza deve sventolare all’avanguardia! La scienza per la verità, la scienza per la fede, la scienza per le anime, la scienza per la Chiesa, la scienza per la gloria di Dio! Soli Deo honor et gloria! Ma noi dobbiamo essere una forza nelle mani e ai piedi della Chiesa di Gesù Cristo! E una grande e invincibile forza! L’armata della fede! (Scr. 8,86).
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Ricordate sempre che tutta la scienza e la stessa teologia, non vale nulla, senza la virtù, senza l’umiltà. Santificate lo studio con l’orazione e con una vita edificante di umili e pii religiosi, se volete che davvero la mano e la benedizione di Dio siano sopra di voi e sull’Istituto (Scr. 8,192).
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La dottrina di Gesù Cristo vale più che tutte le dottrine e l’orazione è di tutte le filosofie la più sublime e di tutte le scienze la più istruttiva, è la scienza delle scienze, e la sola che fa l’uomo contento e beato. Il sapere senza il timor di Dio che fa? Nulla vale per l’eterna salvezza senza la virtù, senza l’umiltà; e l’uomo, per quante cognizioni abbia, è sempre un povero ignorante. Questo solo riflesso dovrebbe bastare a non lasciarci esaltare la mente e a non lasciarci invanire. Ma lo studio e la scienza non rendono superbi quando si acquistano con retta e pura intenzione di dar gloria a Dio, da Cui vengono tutti i doni e tutti i lumi: Deus scientiarum Dominus e allo scopo di fare un maggior bene ai nostri fratelli (Scr. 8,193).
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Non dobbiamo fermarci coll’istruzione né alla letteratura, né alle arti, né alla filosofia, né allo studio delle scienze fisiche o metafisiche o in altra scienza sacra o profana – per quanto siano belle e profittevoli e fin divine, per quanto ci vadano a genio, ma dobbiamo dalle scienze salire al Dio e Signore delle Scienze: dobbiamo pervenire al Vangelo. E attendere di proposito allo studio più importante che è quello della virtù. È troppo fredda e inefficace la cognizione della mente, senza lo studio della orazione, senza la scienza dell’umiltà, dell’obbedienza, della povertà, della carità: ogni scienza è insulsa e per la vita della perfezione e della salute diventa un pericolo, quando l’amor di Dio e del prossimo non lo animi. Oh beata la scienza esperimentale che fu quella dei Santi e di Gesù Cristo, e che faceva esclamare a San Francesco d’Assisi: Tamtum scimus, quantum operamur. Ubi non est scientia animae, non est bonum (Prov. XI). Prima vivere bene e poi sapere (Scr. 8,184).
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Raccomando lo studio, ma, sopra tutto, raccomando lo studio di Gesù Cristo Crocifisso, raccomando il santo amore di Dio, la carità: prima la carità e poi la scienza, giacché questa destruetur, e quella non iscade mai. Questo già Vi ho scritto altra volta: ogni scienza diventa insulsa e un pericolo, se la pietà soda, se la carità che è dolcissimo e fortissimo amore di Dio e delle anime, non la condisce (Scr. 8,199).
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Vedete, cari miei, che si può e si dev’essere modernissimi, senz’affatto esser modernisti. E così dobbiamo essere: valerci di tutti i trovati della scienza per diffondere la parola di Dio e il bene (Scr. 18,133).
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La scienza potrà giovarvi, ma potrà anche gonfiarvi e nuocervi senza la carità di Gesù. Io credo proprio che dando al mondo venti o trenta uomini pieni di carità, gli daremo la leva e rinnoveremo la società tutta ma specialmente vinceremo e guadagneremo la gioventù che vive più con il cuore e con il sentimento che con la mente (Scr. 30,4).
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E per te e per gli altri prego continuamente, onde possiate formarvi un buono spirito religioso e a grande virtù, perché senza di questa poco vi servirà la scienza, se pure non vi nuocerà. Tutta la possibile scienza umana, non val nulla per l’eternità, se non è diretta a Dio e al bene del prossimo; prima la santità e la carità, poi la scienza; giacché questa destruetur, ma la santità non scade mai! Tuttavia vi raccomando anche e molto lo studio: lo studio e le cognizioni non rendono superbi e non gonfiano, quando si acquistano con umiltà di spirito, con retta e pura intenzione di dare gloria a Dio e di servire la Chiesa e salvare la gioventù e le anime (Scr. 33,3).
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Ti prego di stare alle prescrizioni del medico: la scienza è figlia di Dio (Scr. 33,99).
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Gli studi e la scienza facilmente esaltano la mente e inaridiscono il cuore. La, così detta, scienza, spesso invanisce: scientia inflat! Tutta la possibile scienza umana non vale nulla, proprio nulla per l’eterna salute: senza la virtù, senza l’umiltà, la scienza vale nulla! (Scr. 34,117–118).
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Ricorda che la scienza, sia pure la teologia, vale poco, ben poco, se nel sacerdote manca lo spirito, se non è sal terrae et lux mundi (Scr. 36,58).
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La scienza del sacerdote è l’ottavo sacramento della Chiesa, diceva già San Francesco di Sales. E le più grandi sciagure sono venute alla Chiesa quando l’arca santa del sapere s’è trovata in altre mani che quelle dei leviti. Ma non gettate in studi vani quel tempo che si deve impiegare nell’acquisto della virtù. Io voglio più uomini di orazione che di dottrina: uomini umili, attivi e bene crocifissi in Domino a servire la Santa Chiesa e le anime. Non datevi quindi allo studio per desiderio di sapere, ma studiate alacremente e intensissimamente per meglio compiere la v/ vocazione: per meglio servire a Dio, alla Santa Chiesa e illuminare e salvare la gioventù e il prossimo (Scr. 43,94).
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Io non ho potuto studiare, e sento tutta la mia deficienza, ma voglio che i nostri con umile, retta e pura intenzione della gloria di Dio e della carità del prossimo, studino; e perché sento che tutte le scienze, e massime le teologiche, hanno bisogno d’una sana filosofia (Scr. 50,51).
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Perché la scienza umana, o miei figli, e la cultura nelle lettere valgono nulla, senza la virtù. Ma lo studio e le buone cognizioni, quando si apprendono per elevare la mente al creatore, per conoscere meglio Dio e amarlo di più, per meglio servire Dio nel prossimo (come dobbiamo fare noi), allora lo studio non invanisce, non rende superbi, perché si acquistano le cognizioni e la scienza con umile e retta e santa intenzione, e diventa una necessità (Scr. 52,147).
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S. Paolo Apost. dice che la scienza, che è luce di Dio, è necessaria ai Ministri di Dio. Non parla, certo, della scienza umana, che invanisce e gonfia, non di quella cultura letteraria e scientifica che non vale nulla, perché non è accompagnata dalla virtù, e non eleva lo spirito a Dio, ma di quel sapere che è diretto ad alto e santo fine, alla santificazione propria e alla altrui salvezza, e che è per noi uno dei primi doveri e una vera necessità, se vogliamo compiere la nostra missione (Scr. 52,151).
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Non crediate che io non stimi la scienza, e non l’abbia cara; ma la scienza senza lo spirito di Dio, vi inaridirà l’anima, vi gonfierà e vi perderete, come è capitato di altri (Scr. 52,197).
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La scienza dei campi e dell’agricoltura vi porti alla scienza di Gesù crocifisso nostro Dio, della quale noi dobbiamo vivere, e senza di cui tutto è nulla, come già scriveva San Paolo: Existimo omnia detrimentum esse propter eminentem scientiam Jesu Christi Domini mei, propter quem omnia detrimenti feci et arbitro ut stercora (Scr. 54,72).
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Ogni scienza naturale, filosofica o teologica, deve basarsi su principi certissimi, da cui traggonsi tutti gli argomenti e si deducono tutte le conseguenze relative ad ogni scienza particolare, così anche nella scienza di tutte le scienze, la scienza di salvar la nostra anima, la scienza di Gesù Cristo, il principio o fondamento (Scr. 55,6).
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La pietà senza la scienza, può far il religioso inetto – la scienza, senza la pietà, fanno il religioso gonfio, orgoglioso, superbo. Chi studia la letteratura senza la pietà, farà più danno che profitto, vuoto, leggero. La pietà può supplire in gran parte la scienza, ma la scienza, compresa l’ecclesiastica, non potrà mai supplire la pietà (Scr. 55,195).
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Noi poi nelle scuole ci dimentichiamo troppo che dobbiamo coltivare le scienze umane specialmente per aver modo d’insegnar la scienza divina che forma i credenti e soprattutto, suscita, con l’aiuto di Dio, numerose e fervide vocazioni nell’immenso campo giovanile che Dio, ci ha aperto avanti a coltivare (Scr. 56,156).
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Sotto la bassa apparenza di scienza, il naturalismo, il materialismo e il razionalismo insorgono, fiancheggiati dalla più assurda filosofia e dopo ferventi tenzoni il Cristianesimo ne esce invulnerabile. L’uomo superbo si propone di distruggere la religione del Dio vivente, ed in un con la Chiesa lo stesso Cristo (Scr. 57,290).
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La scienza è per il Sacerdote un dovere, un ornamento, una forza: ministro di G. Cr. il Sacerdote è luce del mondo, angelo del Dio degli eserciti, i popoli attingono dal suo labbro l’intelligenza del giusto e del vero siano diretti nella via della salute e della pace è necessario che abbracci la scienza con intenso desiderio del cuore e forte adesione dell’animo così l’Angelo delle Scuole. L’uomo ha bisogno di essere stimolato dalla necessità, svegliato dalla emulazione, infiammato dal contrasto uscirai potente ad esortare nella sana dottrina ed a convincere i contradditori la calda energia di sentire (Scr. 71,10).
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San Carlo esigeva virtù e scienza: non solo ebbe il merito di secondare l’entusiasmo che il Concilio di Trento aveva suscitato per la vera e soda dottrina e cultura del Clero, ma si dedicò egli stesso e promosse nei Chierico un grande amore agli studi e alla scienza (Scr. 79,241).
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Deus charitas est! Oh ci mandi la provvidenza gli uomini della scienza, ma ci mandi insieme gli uomini dal gran cuore, gli uomini della carità che solo potranno calmare l’affannata umanità (Scr. 80,139).
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Presso certi popoli, che hanno giovato, anche solo all’onesto vivere civile, le scienze, le arti e la cultura, tutte rivolte a materiale grandezza, senza la luce sovrannaturale, senza la virtù? No, non la scienza, non le arti, non la cultura ci rendono onesti, buoni, giusti, amici di Dio e veri fratelli dei nostri fratelli; ma la fede, ma le virtù cristiane, ma la carità, che è amore di Dio e degli uomini e scienza di Gesù Cristo. San Paolo dichiara (1Cor 2,2) di non avere altra scienza, di non voler saper altro, che Gesù Cristo e Lui Crocifisso. Imitiamo dunque la vita di Gesù Cristo e la nostra vita sarà trasfigurata in Lui, perché ne vivremo lo spirito e la dottrina, e da Lui “veramente illuminati” attenderemo con piena libertà a noi stessi, fatti liberi “della libertà, onde Cristo ci ha liberati” (Gal 4,31) (Scr. 82,13).
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Non temete di appassionare troppo i giovani secolari a sentire vivo il desiderio di sapere, di studiare, di darsi alle letture, alle scienze, alle arti: cercate di dare ad essi il desiderio di formarsi uomini, di progredire, di sentirsi migliorati e sempre più istruiti, di ambire di onorare in sé Dio, che li ha creati, e di cui siamo l’immagine: di onorare la famiglia, la città nativa e la Patria che molto aspetta dai giovani: unite sempre questi due più grandi amori: Dio e Patria, e infiammateli dì essi: farete dei prodigi! (Scr. 82,136).
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Per la fede voi dovete amare lo studio e la scienza, amare la cultura e la scienza di un amore santo, appassionato, generoso: amare la scienza per ragione della nostra fede, amarla per valervene alla causa della verità, della fede e della salvezza degli uomini; amarla per sé stessa, per Dio, Deus scientiarum Dominus, per il bene che la scienza avviata dalla fede, da Dio, illuminata da Dio, può recare al mondo per mezzo nostro. La scienza per noi ha una potenza, una bellezza immortale: è l’insegnamento di Dio, è la spiegazione dell’opera di Dio: è come una luce divina che brilla attraverso le nubi, ma che conserva anche nei più lontani riflessi qualche cosa della chiarezza, della bellezza e della sapienza di Dio. Bacone: la molta scienza conduce a Dio, la poca scienza allontana da Dio. Leibniz scrisse: Io amo la scienza perché mi da di ritto di essere ascoltato, quando parlo di Dio. Nessuna incompatibilità tra la scienza e la fede, che sono raggi dello stesso Dio raggi che splendono su la fronte di Dio a bene, a guida, a salvezza della umanità (Scr. 85,199–200).
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La scienza non è insulsa, quando l’amore di Dio, della Chiesa e delle Anime la anima, e lo studio diventa bello, consolante, profittevole: allora la scienza diventa carità e vita (Scr. 86,51).
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Noi poi, nelle scuole, ci dimentichiamo troppo che dobbiamo coltivare le scienze umane, specialmente per aver modo d’insegnare la scienza divina, che forma i credenti, e soprattutto suscita, coll’aiuto di Dio, numerose e fervide vocazioni nell’immenso campo giovanile che Dio ci ha aperto avanti da coltivare (Scr. 99,113).
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Che le lettere, la scienza, la virtù, insieme pure con l’educazione dello Sport, sanamente fatto e cristianamente inteso, tornino nel vostro foglietto ad apparire quelle indissolubili sorelle che troppi si adoprano stoltamente a separare. Ricordate sempre che ogni sorgente di bene, e di forze ardenti e luminose è Dio! (Scr. 110,133).
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Se sapessimo tutte le scienze umane e tutte le scienze divine, ma non avessimo la carità del Signore, che ci gioverebbe mai davanti al Signore? Dio ci premierà secondo le opere (Scr. 111,32).
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La scienza senza Dio è quella che ha rovinato il mondo, ha insegnato a macellarsi, ha costruito mitragliatrici, cannoni ed aeroplani, che bombardano le nostre città. L’uomo scienziato, quando credeva di far costruire una torre, come quella di Babele, e d’esser giunto a dar la scalata al Cielo, allora cadde in rovina, facendo scorrere il sangue a rivi, seminando la desolazione su tutta la terra. La scienza con Dio è un raggio della Sua faccia (Par. I,245).
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Vedete, nelle scienze, quante deduzioni, quante nuove applicazioni sono state fatte dopo Alessandro Volta, dopo la pila: e, per parlare del grande più vicino a noi, quante applicazioni dopo Marconi... Ecco, vedete come dobbiamo fare tesoro di tutto, dei passi, del progresso del sapere umano nella scienza, nelle arti e dottrine, della sapienza, del lavoro, delle ricerche fatte in tutti i rami dello scibile. Che fonte, che sorgente di soddisfazioni intellettuali, di gioie intellettuali è lo studio! Sono scomparsi tanti grandi, ma rimangono le loro opere; il loro pensiero dura e dura la luce che emana dalle loro scoperte (Par. IX,459–460).
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La scienza è riuscita a misurare la grandezza degli astri, l’altezza dei monti, l’ampiezza dei mari, ma, o cari miei fanciulli, la scienza non è riuscita ancora, non riuscirà mai a misurare la grandezza dell’amore di vostra madre (Par. X,219).
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La scienza, l’ho già detto più volte, è un raggio che splende sulla fronte di Dio, che traluce su noi dalla fronte di Dio! Dio è il Signore delle Scienze: Deus scientiarum Dominus. Però la scienza va acquistata, va cercata solo come un mezzo, non come un fine, solo come uno strumento di bene e di salvezza per le anime. Nostro precipuo impegno deve essere di tenere affocato il petto e impregnato il cuore di amor di Dio; preferire la scienza, e cercare nella scienza stessa, di elevare lo spirito a Dio. Preferire l’amor di Dio e stare attenti che la scienza non ci gonfi; scientia enim saepe inflat! Spesso la scienza gonfia! (Par. XI,185).
Vedi anche: Filosofia, Scuola, Studio.
Scuola
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Mi pare che alla Moffa ci dovrebb’essere quella che un giorno noi chiamavamo la scuola di fuoco: c’è troppa fiacca, se non mi sbaglio, e un po’ in tutto. La gioventù dev’essere fervida di bene, di volontà buona, di pietà, di lavoro, o non stia con noi. Don Barberis diceva che bisognava desiderare che fosse sempre “attivamente occupata o a pregare o a studiare o a lavorare” Egli non era un fossilizzato né un atrofizzato, e noi dobbiamo volere una Congregazione viva di carità, e sarà attiva e viva in tutto che è amore di Dio e del prossimo (Scr. 3,398–399).
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Io, caro Don Cremaschi, trovo da far scuole da per tutto: è una grazia di Dio, e voi non ne trovate! E che male c’è, dato il nostro bisogno e i momenti che attraversiamo, che male c’è di far scuola in una Cappella? Per chi studiamo, se non per servire Gesù Cristo e la Chiesa anche con la scienza? Non è Dio il Signore delle scienze? Su, caro Don Cremaschi, non perderti nella nebbia, più iniziativa, più ardore di volontà e tutti i problemi si risolvono. Metti tre stufe nelle tre aule dietro la Cappella. Una stufa nello studio grande. Una stufa nell’aula pavimentata in legno che è di fianco alla Cappella vecchia, se non vuoi metterne una anche nella Cappella vecchia. Sopra l’atrio della Cappella vecchia, non ci stanno in 16? E nel vecchio refettorio non si può metterci una squadra per quell’ora di scuola? Io vedo tante tante aule, come mai tu, caro Don Giulio, non le vedi? (Scr. 3,352).
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Gli Insegnanti devono prepararsi per fare bene la Scuola; non devono farsi aspettare, ma dar esempio di diligenza e di puntualità e avere zelo per il profitto degli Alunni. E nell’insegnamento non gridino, ma seguano nel modo e nel tratto le nozioni d’una buona pedagogia. La scuola è vasto campo da esercitare la carità, da guadagnarsi molti meriti. Siano pazienti, sereni, attivi: la scuola debb’essere viva, piacevole: si deve possedere bene la materia, avere chiarezza di idee: mai leggerezze, ma gravità, non pedante e non pesante: impegno, serietà bontà, ma non indulgenza né connivenza. Imparziali con tutti (Scr. 3,534).
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Bisogna quindi, abolire tutte le vacanze, e cominciare una scuola a gran carriera, una vera scuola di fuoco. Tolto il giorno di Natale e una parte – (il minimum necessario per le pratiche di pietà) – delle altre Feste e Domeniche, si faccia scuola intensamente, per poter fare a tempo, voi mi capirete. Se poi si avanzerà un po’ di tempo, meglio, ma ne temo assai. Domando agli Insegnanti, come agli Alunni questo sacrificio, per il bene di tutta la Congregazione /Scr. 3,546).
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Io spero che la guerra farà rinsavire molti, e metterà a posto molte cose, e porterà Dio al suo posto che gli compete anche nella educazione e nella scuola. Che cosa ha mai fatto chi ha bandito Dio dal cuore della gioventù e dalle cattedre della Scuola! Non così volevano la scuola i grandi pedagogisti italiani da Vittorino da Feltre a Tommaseo e a Rosmini, benché non scevri, specialmente questi ultimi, da errori in fatto di purezza di dottrina cattolica. Ma erano cristiani, e mettevano tutti Gesù Cristo a base della vita civile (Scr. 8,1).
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La scuola dev’essere una famiglia, ma famiglia morale bene disciplinata, e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura. Ogni tanto vogliate fare vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore, elevandovi poi fino a Dio, voi e i vostri alunni: così si educa! Un Istituto di educazione è sempre una grande opera di carità, e dice la Sacra Scrittura: qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae fulgebunt in perpetuas aeternitates! E specialmente fatta da noi, e nel Brasile, che è così insidiato nella sua Fede, la nostra scuola debba essere un vero apostolato, e una vera scuola di formazione cattolica di tutti i giovanetti che a noi vengono (Scr. 51,21).
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Viviamo in un mondo che va ridiventando pagano in fatto di Fede, ed è la Fede, soprattutto, e la Carità di Gesù Cristo che devono ricostruire il mondo. E chi voglia veramente educare ed edificare Gesù Cristo nell’anima dei giovani e della società, deve viverla la Fede e la Carità di Gesù Cristo: deve farle risplendere nella sua vita; si devono vedere risplendere fin sul suo volto, nelle sue parole, in tutto il suo insegnamento! Allora la scuola riuscirà al suo fine cristiano e civile: riuscirà di molto merito a chi la fa e di efficacia veramente consolante per gli alunni, perché infonderà in essi il santo timor di Dio, che è base e principio di ogni verace sapienza, e le massime di una vita intemerata e cristiana. Per cui gli insegnanti non devono essere solo forniti di virtù per essi, ma devono avere nella loro lampada olio per sé e olio per gli alunni, onde illuminarli, condurli: comunicare loro la moralità e la religione, tutte cose che non devono esser l’opera di una lezione o di una mezz’ora alla settimana, come si fa con altri insegnanti, ma deve essere la sollecitudine di tutte le ore dell’anno scolastico e di tutta la nostra impresa e della vita stessa. E dove qualche estraneo venisse a fare scuola da noi, non potendo noi da essi esigere tutto questo, suppliremo noi a ciò che a loro mancasse, soprattutto con il buon esempio, che è di tanta forza sullo spirito dei giovani. Vedano questo in noi: tutto il nostro desiderio del loro vero bene, del loro miglior avvenire: vedano in noi puntualità e imparino così ad essere puntuali: vedano diligenza, bontà di modi, molta educazione, serietà (mai mai leggerezze), attività e zelo misto a dolcezza: fattività, lavoro; vedano studiare noi per farli studiare essi. Oh quanto impareranno dalla nostra pietà, ad essere a loro volta religiosi e pii! Se il professore non si farà mai aspettare, darà agli scolari esempio di esatta diligenza! Se vedranno che il Professore si prepara a far scuola, ed è sempre ben preparato, anch’essi non perderanno più tempo – Chi è che fa, che crea la scuola? È il maestro! Chi è che fa gli scolari? L’esempio del maestro! Da chi dipende il risultato della scuola? in gran parte dal maestro! (Scr. 51,23).
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Finché non si darà a Dio il suo posto di sovrano nell’educazione, nulla si potrà sperare di buono da essa. A questo solo patto, la scuola, l’Istituto raggiungeranno il loro sublimissimo scopo di veramente e sodamente educare. A quanti desiderassero affidare a noi i loro figli assicuriamo ogni nostra sollecitudine per tutto che riguarda religione, morale, sanità e profitto negli studi così scientifici come letterari. Possiamo accettare, pei nostri vari Istituti, giovani delle classi elementari; ginnasiali, tecniche e liceali. Quest’anno abbiamo comprato a Tortona la Casa oblatizia, vi abbiamo fatto un altro piano, trasformandola in uno splendido collegio, facendovi spese non indifferenti. «La scuola, diceva il Tommaseo, se non è tempio, è tana». I nemici di Dio non dormono: dormiremo noi, figli della luce e della verità? Amici, all’opera! per la gloria di Dio, per la salute di tanta gioventù (Scr. 61,36).
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E che la scuola sia lieta, come un divertimento, come una ricreazione: far amare la scuola, far amare la scuola; tenerla viva e vivace, anche con qualche parola di sollievo, con qualche barzelletta: da non stancarli, ma da affezionarli allo studio e alla vocazione. Non sgridarli, non mortificarli, mai incoraggiarli sempre, sempre! Curare la loro pietà e la vita religiosa ma con semplicità, senza esagerazioni, senza pesare: la religione non deve mai pesare: non deve essere una campana di piombo, opprimente ma un raggio sereno di cielo che conforti ed elevi lo spirito. E tieni questo come regola generale. Funzioni brevi. Prendi in mano il cuore dei tuoi giovani, e fa loro da padre in X.sto e da Madre in X.sto (Scr. 70,102).
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La Scuola Secondaria, che ora, con il divino aiuto, si riapre in codesta città, penso riuscirà di molto merito a voi che la fate, o cari miei figli in Gesù Cristo, e penso darà certamente buoni ed efficaci risultati per quei giovanetti che la frequentano (siano essi del I che del II anno) se, come già disse il Tommaseo, la scuola sarà tempio di vera educazione cristiana e civile e di soda istruzione, irradiata dalla fede. La scuola nostra dovrà essere rispettata come una chiesa e da noi trasformata in una cattedra di ministero sublime, in una palestra di vero apostolato. Essa deve essere amata da noi, e deve farsi amare dagli alunni, anzi chi insegna deve farla amare così che essa dovrà diventare come la casa sacra al sapere e alla virtù dei nostri alunni: essi non devono quasi avere altro pensiero, altro desiderio che di trovarsi con i loro maestri e nella loro Scuola. E chi insegna otterrà questo se renderà amabile (non mai pesante) e attraente l’insegnamento, conducendo avanti i suoi scolari come fa la mamma, che conduce a mano i suoi bambini. Per rendere meno faticoso lo studio, il maestro dopo aver studiato lui, ed essersi ben preparato per conto proprio, studierà quasi insieme con la scolaresca. La scuola dev’essere una famiglia, una famiglia morale bene disciplinata, e condotta avanti con molto affetto nel Signore e con molta cura. Ogni tanto vogliate far vibrare nella scuola la corda del sentimento e del cuore, elevandovi poi fino a Dio, voi e i vostri alunni: così si educa! Un Istituto di educazione è sempre una grand’opera di carità, e dice la Sacra Scrittura: “Qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae fulgebunt in perpetuas aeternitates”! E specialmente fatta da noi, e nel Brasile, che è così insidiato nella sua fede, la nostra scuola deve essere un vero apostolato, e una vera scuola di formazione cattolica di tutti i giovanetti che a noi vengono (Scr. 82,126–127).
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Fateli camminare, fateli camminare, i vostri alunni, ma in tutto, veh! in tutto: nella pietà, nella virtù come nel sapere: guai a chi non mettesse Dio davanti ai giovani, a guida dei giovani Allora la scuola sarà così amata e desiderata, e gli alunni proveranno tale gioia spirituale, tale felicità che quasi non desidereranno più andare a casa loro, ma sempre vorranno stare in Istituto, e stare con noi, onde, affezionati altamente a noi e avendo piena fiducia e alta stima della nostra parola, crederanno più facilmente a quanto noi diremo: comprenderanno che ciò che noi consigliamo è il loro vero bene, e così ci sarà facile condurli a Dio, e occuparli nel coltivare la virtù e il sapere, acciò non vadano a cercare diletti nelle cose frivole, o, peggio, nelle basse e indegne (Scr. 82,136).
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Chi fa la scuola è il Maestro: la scuola si deve fare bene e, per farla bene, perché sia una vera e buona scuola, bisogna prepararsi e prepararvisi bene e a fondo. Gli Insegnanti non si facciano aspettare: se vogliono avere una scolaresca diligente, diano essi esempio di puntualità e di diligenza. Non si gridi nell’insegnare, ma, nei modi, nella voce, nei tratti si seguano le nozioni d’una buona pedagogia. L’Insegnante prenda cura di tutti, non solamente di alcuni; e interroghi sovente. Nel dare spiegazioni si abbia sempre di mira che intendano quelli che sono più indietro di tutti e di non facile ingegno. Non si diano castighi gravi, non mai modi od espressioni violenti o mortificanti: non si umigli mai nessuno con termini di disprezzo. Non si diano castighi generali: si può e talora conviene dare qualche lode a tutti, non a singoli; invece mai castighi a tutti. Si miri sempre ad emendare il colpevole, mai a sfogare la collera. Se si vuole che gli allievi facciano molto progresso, si correggano le pagine a tutti, si facciano molte correzioni di lavori, molte, e fate conoscere gli errori commessi. Quanto più sovente ciò farete, tanto più grande sarà il profitto. Non credano gli Insegnanti di abbassarsi o perder tempo – perché Insegnanti nei corsi di filosofia – coll’interrogare gli alunni per assicurarsi che tutti abbiano inteso, e con il farsi recitare la lezione per accertarsi che abbiano studiato. Il buon Insegnante, il valente Insegnante, fa studiare, fa imparare e s’ingegna, in molte maniere, di tener desta e viva la scuola e la emulazione nei suoi allievi (Scr. 99,271–272).
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La scuola sia intensa non vacua: dovete possedere bene la materia, e fate uno studio per esporre con chiarezza di parole e di idee. Fatta così, la scuola sarà vasto campo per esercitare la vostra virtù di buoni Religiosi e la carità: vi guadagnerete molti meriti: renderete alla Chiesa e alla nostra cara Congregazione il più grande servigio. Codesto triennio di studio ho voluto di proposito chiamarlo “Institutum Philosophicum”, non solo perché tutte le scienze, e massime le teologiche, hanno bisogno di una sana filosofia, ma perché la nostra Congregazione ha supremamente bisogno di una base ferma, granitica, dottrinale nella filosofia cristiana, che ha, Maestro e Duce, San Tommaso d’Aquino, che nomino Patronato principe dell’Istituto nostro filosofico, come è Principe della Scuola Cattolica (Scr. 99,273).
Vedi anche: Filosofia, Scienza, Università popolare.
Segno della croce
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Per la tipografia, fatevi il segno della croce e dite un’Ave Maria: raccomandatevi ai nostri morti e poi fate in Domino quanto reputate veramente e praticamente vantaggioso al bene delle anime (Scr. 13,227).
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In quest’ora, stare più oltre tristemente guardandoci, non si può: dobbiamo farci il segno di croce e gettarci nel fuoco dei tempi nuovi, per l’amore a Gesù Cristo, al popolo, che invoca un rimedio ai suoi mali, e, per cercarlo si getta in braccio al Socialismo, disertando le chiese e rinunciando alla fede e alla vita cristiana e anche per l’amore al Paese (Scr. 31,21).
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Io prego, mi getto ai piedi di Gesù Cristo, perché credo di nulla poter fare senza di Dio: mi getto ai piedi della Madonna e poi mi faccio il segno della croce e vado avanti! (Scr. 40,160).
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Particolarmente consacrati a Gesù Crocifisso, i Figli della Divina Provvidenza faranno il segno della croce sopra tutto quello che servirà al loro uso, prima di porvi la mano (Scr. 56,191).
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Facciamoci il segno della croce e gettiamoci fidenti nel fuoco dei tempi nuovi per il bene del popolo: la causa del popolo è la causa della Chiesa e di Cristo stesso... Non attendiamo il dopo – guerra: Caritas Christi urget nos: preveniamo le difficoltà e i pericoli (Scr. 75,242).
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Tutti siamo deboli, ma non dobbiamo fare pace coi nostri difetti, non dobbiamo covarci la cattiva abitudine! Bisogna adunque, farsi il segno della croce, e, chi si sente di seguire Gesù Cristo, lo segua toto corde! (Par. VII,78).
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Voi, o cari chierici, vogliate mostrare la vostra pietà, la vostra fede, sempre, non solo nei grandi atti, ma anche nelle cose più piccole, più semplici, più umili e più frequenti, come farsi bene il segno della croce, inchinare il capo quando si pronunciano certe parole, quando si dice il Gloria Patri, quando si pronuncia il nome di Gesù Cristo. Fare bene e tutto bene! (Par. VIII,167).
Vedi anche: Cristianesimo, Croce.
Sette “effe”
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Don Guanella usava dire che si va innanzi a Dio con cinque F: fede, fame, freddo, fastidi e fumo! Davanti agli uomini poi, magari, tutto va in fumo, ma non così allo sguardo di Dio, che vede tutto, pesa tutto, tiene conto e ci pagherà di tutto. Se non di qui, certo di là, in Paradiso: di qui patire ed essere umiliati con Gesù Cristo, e poi il Paradiso pure con Gesù Cristo e con la Madonna SS.ma Madre nostra! (Scr. 4,284).
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Io non ti prometto nulla di ciò che il mondo promette: ti prometto il paradiso e una corona sterminata di anime salvate dall’olocausto della tua vita; ti prometto: fame freddo fatiche, fastidi, povertà, croci, umiliazioni, fischi, facchinaggi, fiaschi, filze di debiti (Scr. 44,107).
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Nulla io ti prometto di ciò che il mondo suole promettere; ecco che ti prometto, o mio caro, fame, freddo, fatiche, fastidi, fiaschi, fischi, filze di debiti, facchinaggi, frustate, frecce, frizzi: insomma: umiliazioni, annegazioni, tribolazioni, avversità persecuzioni, croci, perché penso che il nostro Calvario non sia ancora cominciato. Ma poi il paradiso! (Scr. 44,109).
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Voi non conoscete ancora bene il mio grande segreto. Se sapeste il mio segreto non parlereste mica così. Il segreto mio sta in cinque “f”, vedete? e con questo segreto si paga poi tutto e tutto finisce a meraviglia. Evvia dunque! Non siate profeti di sventure; non fate ancora cattivi pronostici, non è ancor tempo di fare fallimento, e nei cinque “f” il verbo fallire non c’è (Scr. 57,253).
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I sette F dei Figli della Divina Provvidenza: 1 Fede, 2 Fatiche, 3 Fastidi, 4 Fame, 5 Freddo, 6 Fumo, 7 Fiat voluntas Dei (Scr. 81,31).
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Il Beato Cottolengo diceva sempre che per camminare bene ci vogliono cinque effe: fede, freddo, fame, fatica, e fumo... Sì, sì, fumo, proprio fumo; cioè essere contenti, battere le mani, ringraziare il Signore, quando tutto ci va in contrario; quando, dopo aver tanto sudato, lavorato, stentato, vediamo andare in fumo tutte le nostre fatiche. Bisogna vivere staccati da tutto, anche dai mattoni, sicuro, anche dai mattoni, per avvicinarci di più a Nostro Signore; questo è l’importante; il resto è niente (Par. I,28).
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Una volta chiesi a Don Luigi Guanella: “Don Luigi, come ha fatto a far tanto bene?”. Mi rispose: “Con l’aiuto di Dio, e con cinque effe”. “Cinque effe? Mi dica il segreto di questi 5 effe!”. “Fede: perché non si può far del bene senza fede. Freddo: sapete che vuol dire tremare dal freddo? Fame: patire la fame per amore di Dio. Fatica: che vuol dire sacrificarsi, lavorare, faticare, metter giù l’osso del collo”. Dunque 5 effe: Fede, freddo, fame, fatica e fumo. L’anno venturo vi spiegherò che vuol dire fumo (Par. I,194–195).
Vedi anche: Croce, Distacco (virtù), Mortificazione, Penitenza (virtù), Perfezione (virtù), Privazioni, Rinnegamento di sé, Sacrificio, Sofferenza, Straccio (spiritualità dello).
Siesta
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Non introducete il riposo al dopo pranzo, o il riposo sul letto. Guai a noi, guai a quella nostra Casa dove la siesta vi pianta le sue tende! Sono trappole del demonio! Sono tende di disgrazia e di morte! «Non amare il dormire, se non vuoi essere oppresso dalla povertà. Apri gli occhi e mangia il pane che ti sarai guadagnato», dice la Santa Scrittura nel Libro dei Proverbi. E altrove, nel Libro della Sapienza sta scritto: «Operiamo il bene, mentre siamo in tempo» E tutto questo, o miei figliuoli, che vi esorto di fare, non vogliate farlo per timore servile, né per timore dei castighi di Dio e dell’inferno, ma per l’amore di Dio e per affetto di carità (Scr. 4,264).
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Se in una Comunità s’incomincia ad introdurre l’ozio, è bell’e finita! Se al contrario lavoreremo molto, il lavoro grande remedium concupiscentiae et arma potens contra omnes insidias diaboli – La siesta – in Sicilia – D. Aliffi e in America. Guai a noi se la siesta pianta le sue tende – È nella siesta che sta appiattato il diavolo. È stato nella siesta (hora sexta) che G. venne crocifisso e innalzato nella siesta sexta Cruce nectiti? – quante volte nelle Case religiose in questa invece di un Tabor un Calvario! Con Gesù [strappo nel foglio]: Pater noster… sum in domo eorum qui diligebant me! Come si può dormire – D. Bosco – verbo et exemplo – Cave a demonio meridiano – Guai a noi se la siesta pianta le sue tende – È nella siesta che sta appiattato il diavolo (Scr. 55,243).
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La siesta – cioè il riposo dopo pranzo – la siesta è il demonio meridiano – è la tenda del diavolo, è la trappola del demonio. È nella ora sesta (hora sexta) che Gesù v. crocif. Sexsta cruci nectit – non sul letto – cave a demonio meridiano. La mortificazione della gola è l’abbiccì della vita spirituale (Scr. 55,248).
Vedi anche: Lavoro, Ozio, Riposo.
Silenzio
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Non rispondere alle loro critiche e denigrazioni: pregare, tacere perdonare e lavorare silenziosamente e attivamente (Scr. 1,193).
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Daranno buon esempio agli altri nella pietà, ubbidienza, silenzio, serietà, studio, e sopra tutto nello spirito religioso (Scr. 2,109).
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Raccomandate molto il silenzio, la preghiera, il lavoro in questi giorni prima degli Esercizi, e la disciplina la puntualità, il buono spirito come buona presentazione agli Esercizi (Scr. 2,148).
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In Noviziato vedi di abolire le eccezioni, di non permettere le irregolarità, ma esigi la perfetta osservanza: il silenzio, l’orazione e lo spirito di pietà, il raccoglimento, le virtù proprie dei buoni Religiosi (Scr. 3,396).
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Disponi tutto in modo che gli Esercizi si facciano bene, non come l’anno scorso. Più silenzio, assoluto silenzio, raccoglimento e preghiera. Fare ogni sera le più vive raccomandazioni vigilare e avvertire chi disturbasse e distrasse (Scr. 3,485).
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Vedi che, se i Chierici non si mettono subito, non si metteranno a posto più: fa che siano diligenti in tutti i loro doveri, che preghino molto, che studino molto, che mantengano il silenzio, tempo di silenzio, e tutto facciano non ad oculos servientes, ma per coscienza, per fare la volontà di Dio, per piacere a Dio! (Scr. 8,88).
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Or dunque, mio caro, sia questo il primo e massimo nostro impegno: annichilire noi stessi, rinnegare noi stessi, e formarci su Gesù Cristo, e su Cristo Crocifisso per misterium Crucis. E a questa scuola formare e plasmare i nostri Chierici: non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce. Vivere la povertà di Cristo, il silenzio e la mortificazione di Cristo, la umiltà e obbedienza di Cristo nella illibatezza e santità della vita: pazienti e mansueti, perseveranti nella orazione tutti uniti di mente e di cuore in Cristo, in una parola, vivere Cristo (Scr. 8,209).
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Ho sete di silenzio, ho bisogno di passare ignorato (Scr. 19,252).
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Ho bisogno di stare tranquillo qualche giorno almeno, di morire a me stesso e di vivere tutto a Gesù Cristo e alla Sua Chiesa ma silenziosamente (Scr. 25,260).
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Consiglia Balma a ritirarsi un poco a Sanremo, dove nella preghiera e nel raccoglimento e nel silenzio di quella casetta nostro Signore Gesù Sacramento gli parlerà al cuore: il Signore nella solitudine gli parlerà, specialmente dopo tutti i rumori in cui è stato (Scr. 30,141).
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L’anima, che ama e vuole amare il Signore, nella solitudine, nel lavoro e nel silenzio fa grande profitto e v’impara i sensi arcani delle sante Scritture (Scr. 30,155).
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Serriamo dietro di noi la nostra porta, e viviamo nella solitudine dell’eremo e del cuore, dando tutta la vita ad amare e a servire umilmente Gesù, e seguiamolo nella orazione, nel silenzio, nella unione (Scr. 30,155).
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Non deve essere Sant’Alberto tenuto come una casa qualunque ma vi deve regnare spirito di carità di pace, di preghiera, di lavoro, di silenzio, di concordia fraterna (Scr. 30,180).
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Vorrei togliermi anch’io, almeno per qualche giorno, dalle troppe esterne occupazioni e raccogliermi nel silenzio e nella pace di quell’umile casetta per sentire meglio la voce di Dio e parlare con Cristo quasi cuore a cuore (Scr. 32,144).
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Il portar pazienza e il sostenere in silenzio, umiltà e carità il Signore, e servire e amare così la santa Chiesa, è uno studiare continuo, meglio assai che sui libri (Scr. 32,207).
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Vogliamo maturare in noi i frutti della Redenzione di Cristo, immolandoci in umiltà silenziosa, ma grande, in carità senza confine per Dio e per gli uomini (Scr. 35,133).
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Ricordatevi che siamo nati per il Signore, e non per le cose vane e caduche di questa misera terra. Intisichirebbe ogni virtù dell’anima se vi mancasse il desiderio e la volontà di fare tutto per piacere al Signore: ubbidire, far silenzio quand’è tempo di far silenzio, studiare, pregare: tutto per far piacere al Signore (Scr. 35,259).
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Ti raccomando tanto, ma tanto il silenzio: orecchie sempre aperte, ma bocca sempre chiusa, eccetto per pregare e per quel po’ di vitto (Scr. 36,100).
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La lettera del signor Marchese Ricci va nel Tabernacolo con Gesù: se lui vuole, tutto si farà; se tace, adoreremo in silenzio la disposizione del Signore (Scr. 41,41).
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Tu ti raccoglierai nel silenzio e nella orazione ai piedi di Gesù, la tua anima si raccoglierà intera, e lo splendore di Dio sarà sopra di te e ti illuminerà e rischiarerà la strada. Dio parla nella solitudine. Dio vivifica, Dio rischiara, Dio conforta! Io non ho alcun dubbio, vedi, su ciò che Dio ti dirà, ma Egli parlerà al tuo cuore direttamente, e ti libererà da ogni angoscia interiore, e ti infonderà una grande pace e una virtù sovrumana. Vieni. Coraggio, mio caro Bertacchi! Vieni, che Dio ti aspetta. Nel silenzio, nella solitudine, nella preghiera Dio ara e lavora le anime, parla all’uomo, e si fa Maestro e luce che illumina (Scr. 42,17).
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Ho sete di silenzio, di preghiera, di penitenza; non ho bisogno di chiasso, io che sono già tanto inclinato a vita divagata, che sono così arido nella vita dello spirito e così scioccamente pieno di me stesso. Altro che festeggiare il passato! Ho bisogno di piangerlo e di riparare, cominciando una vita umile, di carità verace di Dio e del prossimo e di amore sostanziale alla Chiesa e non di chiacchiere e di apparenza, come confesso che purtroppo sono stato fin qui. Da me so bene che nulla nulla potrò, ma la misericordia del Signore è grande, è grande, e un po’ ce ne sarà anche per l’anima mia e poi confido nella Madonna che mi aiuterà da madre, povera Madonna, che tante volte ho fatto piangere con i miei vizi e peccati! (Scr. 45,160).
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Dobbiamo fare una solitudine attorno a noi e dare allo spirito il mattino e alla preghiera la parte più pura del nostro tempo: nel silenzio. Stabilire un po’ di silenzio attorno, questo è assolutamente necessario. È necessario per poter ascoltare e intendere Gesù, formarci a vita veramente religiosa e raccolta. Per riuscire buoni religiosi bisogna ascoltare Dio: bisogna far silenzio per poterlo intendere. Ma non basta far tacere la lingua, bisogna far tacere la fantasia, far tacere i vani pensieri, i desideri inquieti, fare tacere i libri e tutto ciò che potesse turbarci o agitarci. E se anche attorno a noi ci fosse il più alto frastuono o la guerra, arrivare ad avere dentro di noi come un silenzio sacro di Santuario, una pace grande per ascoltare Dio solo e dare a Dio la prima parte della giornata. È nel mattino, infatti, prima di qualsivoglia distrazione e di ogni comunicazione con la gente, che bisogna ascoltare Dio. E nostro Signore non cessa mai di parlarci nella purezza e umiltà dello spirito e nella solitudine del silenzio. Allora noi ci sentiamo come il cuore vivificato da Dio e l’anima purificata e sublimata dallo spirito del Signore (Scr. 55,19).
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Nel silenzio noi cerchiamo la nostra anima, noi ridestiamo noi stessi e ci ritroviamo noi e nostro Signore, la nostra anima intera si trova e si forma alla presenza di Dio e lo splendore di Dio sta sopra di noi e noi sentiamo allora di non essere più soli. E nel silenzio e nella solitudine del silenzio noi sentiremo l’Ospite interiore, il Maestro che risiede nel nostro interno, come dice Sant’Agostino nel De Magistro, e una luce celeste che ci rischiara e le gioie e le bellezze della vita interiore e le emozioni di una più intima e più alta vita spirituale. E sembra che anche il nostro corpo diventi semplice e luminoso, penetrato nella via dello spirito e si fa docile all’ispirazione interiore, onde dice il Vangelo: “Se il vostro occhio è semplice, tutto il vostro corpo sarà rischiarato, e vi illuminerà come una lampada ardente”. Allora l’anima diventa poetica e musicale: Symphonialis est anima; così parlava una santa del medioevo. Lo dice anche il libro l’Imitazione di Cristo. Quando l’anima si raccoglie nel silenzio, comincia a percepire qualche cosa di Dio, la pace, una gran pace e grande gioia l’inondano e avviene ciò che dice Gerson: “Si das pacem, si gaudium sanctum infundis, erit anima servi tui plena modulatione” (Scr. 55,20).
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Il Signore predilesse sempre il ritiro e rese spesso la solitudine teatro delle sue meraviglie e prodigi – Egli suole dispensare le sue grazie e parlare alle anime nella solitudine, nella preghiera, nel silenzio, nella meditazione (Scr. 55,34).
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Bisogna sapere stabilire il Silenzio in noi, il silenzio vero, esteriore e interno. Meditate tacendo. una sollecita e severa custodia dei sensi, principalmente degli occhi, non fissandoli in alcuna persona: dell’udito, escludendo qualunque novità: della lingua, osservando silenzio scrupoloso assoluto. Della fantasia, non ammettendo pensieri di cosa che non sia a proposito e rigettando persino quei pii pensieri che sanno di altri o che dissipassero la mente in progetti che sapessero di noi, o ci mettessero in umana sollecitudine. Tanto più l’anima si troverà segregata e solitaria, tanto più nel silenzio troverà il suo Dio, ed emenderà sé stessa e getterà buoni propositi nel fondo del cuore. Tempus loquendi et tempus tacendi. Vi è un tempo di parlare, vi deve essere un tempo per tacere – non potete immaginare che forza e coraggio morale dà il silenzio. L’uomo resterà sempre una povera cosa, salvo che non sappia innalzarsi al di sopra di sé stesso. Il silenzio rafforza l’energia della volontà che è l’anima di ogni grande carattere – il silenzio ci forma alla scuola del divino servizio – dobbiamo nel silenzio nascondere la nostra vita in Cristo, secondo San Paolo. Chi non intende il silenzio e, più, chi non intende i silenzi non intende neppure le parole. Ad un’anima che ami ardentemente Dio, le parole sono il non forte e non necessario dei linguaggi – il silenzio ci fa più pensosi dell’altrui bene, più atti a cristianamente e nobilmente patire fin qui ai mali umani (Scr. 55,59–60).
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Io credo il silenzio schiude le sorgenti dell’anima, il silenzio fa lavorare in noi il nostro spirito più che degli anni di lettura: mette in azione tutto il nostro interno e rischiara e l’anima e il corpo. Le ore di silenzio sono ore feconde; il silenzio è in gran parte una preghiera: una preghiera che dà a queste ore e alla vita intera una grande forza morale e tutta la loro fecondità. Quanti germi del nostro spirito fa fruttificare il silenzio! Quante verità fa brillare nell’animo in uno splendore soave e vivissimo insieme. L’impiego della sera! il silenzio della sera! Le ore della sera! Ah io ricordo certi anni passati da Don Bosco e i silenzi del mattino e della sera! E certe ore di silenzio passate a Sant’Alberto venti anni fa e poi l’anno scorso! O beata solitudo, o sola beatitudo! Quanta pace, quanta vita, quanto Dio in quella pace, in quei silenzi, in quella beata solitudine! Il silenzio lavora! Bisogna dunque farlo lavorare, preparandogli anche alla sera il suo lavoro. Che importante questione pratica per la vera vita religiosa è mai questa! Ho parlato di quello che si può chiamare la consacrazione del primo mattino a Dio nella preghiera e nel silenzio: parlo ora della consacrazione della sera. Alla sera bisogna raccogliere il corpo, lo spirito, il cuore, consumati, dissipati, fuori di sé stessi: raccogliere la nostra vita dispersa e ritemprare le forze tutte alle loro vere sorgenti del riposo, del silenzio, della preghiera (Scr. 55,217).
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Il silenzio è il riposo morale: onde la Sacra Scrittura arriva a dire: Il saggio acquisterà saggezza durante il riposo. Certamente è necessario il riposo, e voi, o mie buone Suore, in verità difettate oggi di riposo ben più che di lavoro. Ma il riposo è fratello del silenzio: voi difettate di riposo, ma lasciate che ve lo dica, non vorrei che in alcune Case si difettasse anche un po’ di silenzio. Riposo morale è silenzio e silenzio religioso è per lo spirito preghiera, adorazione unione con Dio. La preghiera è la vita dell’anima, e riposo per lo spirito e per l’anima è la preghiera. La preghiera è la vita dell’anima, vita spirituale, vita intellettuale e buona, che si raccoglie e si ritempra alla sorgente che è Dio. Il riposo, morale e intellettuale, è un tempo di comunione con Dio e con le anime, e di gioia in questa comunione. Noi alla sera siamo naturalmente portati a levare lo sguardo e lo spirito verso il cielo. Noi dobbiamo far parlare il silenzio. Consacriamo altamente a Dio la sera, come il mattino. Consacriamo il riposo, il silenzio della sera alla conoscenza di noi, all’amore di Dio e delle anime con la preghiera: mettiamo la nostra anima in comunione con Dio: sia un silenzio riparatore che risarcisca Dio e raddoppi la forza e la fecondità del lavoro per la giornata che viene. Noi raccogliamo e portiamo ai piedi di Dio quello che nel giorno abbiamo seminato. Silenzio, solitudine severa, tutti soli in faccia a Dio. La sera ci apre il cuore alla speranza del cielo, e ci va naturalmente a raccogliere in Dio, e ci porta alla sera della vita (Scr. 55,218).
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Portiamo con noi, e ben dentro di noi, la divina fiamma di quella Carità che è Dio; e, pur dovendo andare tra la gente, serbiamo in cuore quel celeste silenzio che nessun rumore del mondo può rompere: serbiamo inviolata la cella dell’umile conoscimento di noi medesimi, dove l’anima parla con gli Angeli e con Cristo Signore! (Scr. 66,242).
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Conservate il più assoluto silenzio: più serberete voi il silenzio, e più Dio vi parlerà e più sentirete la voce e le ispirazioni del Signore (Scr. 70,18).
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Il nostro spirito si forma nel silenzio, nella meditazione, ai piedi di Gesù; ma è necessario ascoltarlo per intenderlo, e far silenzio per ascoltarlo. Nel silenzio e nella solitudine Dio ara e lavora l’anima nostra: Dio parla all’uomo e si fa Maestro e luce che illumina. Bisogna assolutamente disporre di una mezz’ora di silenzio al giorno, e di mattino. Quando il libro dell’Apocalisse dice: “E si fece nel cielo un silenzio di mezz’ora” io credo che il testo sacro riveli un fatto ben raro e significante nel cielo delle anime. È necessario fin dal mattino, summo mane, aver detto ai piedi di Cristo: io sono tuo, questa giornata sarà tutta amore di Dio e degli uomini! e, al torrente delle passioni del giorno: tu non mi trascinerai! Bisogna dirigere a Dio la vita per la virtù e nel nome di Dio! (Scr. 90,350).
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Orazione! Orazione! Orazione! E silenzio! Silenzio assoluto, assoluto, assoluto. Se durante gli Esercizi Spirituali parliamo, non parlerà a noi Dio! E raccoglimento, modestia; attenzione alla parola di Dio, che viene a noi dal labbro dei predicatori. Raccoglimento non solo esteriore, ma interno, e silenzio non solo esterno, ma interno (Lett. II, xxx).
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Pregate, state raccolte, in silenzio, pensate che Maria fu annunziata Madre di Gesù, mentre stava nel silenzio e nella preghiera. E fate tutto con gran pace, con gran tranquillità, senza affannarvi, senza turbarvi. Il Signore vuole che andiamo a Lui con grande pace di spirito; non dobbiamo nemmeno affannarci per avere l’amarezza dei nostri peccati: pace in tutto, spirito di pace, serenità d’animo e tutto andrà bene (Par. I,88).
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Vi raccomando tanto il silenzio. Ogni anno, allorché i Figli della Divina Provvidenza si riuniscono per i Santi Esercizi, la prima esortazione che si fa è sempre per il silenzio, perché è nel silenzio che Dio si farà sentire al nostro cuore, che ci dirà quello che vuole da noi e quello che dobbiamo essere: Ducam te in solitudime. Pregate nel silenzio e nella solitudine: Intra in cubiculum tuum et clauso horto ora patrem tuum in abscondito... Vi raccomando: fate silenzio, silenzio! Fuori ogni strepito mondano, fuori ogni pensiero, ogni preoccupazione anche per il bene (Par. I,162).
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Il silenzio è la bellezza morale delle Case Religiose, è una delle note alle quali si bada dagli uomini di Dio per riconoscere se in una data Casa, in un Istituto, in una Congregazione, sia alto lo spirito religioso oppure se si vive un tanto al metro la vita religiosa... Ricordo di essere entrato una volta in un convento di Padri Redentoristi, quelli che furono fondati da Sant’Alfonso; ed entrai che pareva ci fosse nessuno, tanto c’era silenzio in quella Casa religiosa... Ricordo che, anche quando ero da Don Bosco, anche là c’era il “silenzio sacro”, e raccomandavano sempre il silenzio fuori della ricreazione e del tempo di libertà, ma specialmente raccomandavano il silenzio sacro della sera e del mattino... Pone, Domine, custodiam ori meo... Osserviamo il silenzio, nel silenzio si trova Dio (Par. VII,121).
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Il silenzio, meglio la disciplina del silenzio, è assai confacente, o cari miei chierici, a conservare il buon spirito religioso; guida assai alla osservanza delle regole il mantenere il silenzio, e più che il silenzio, la disciplina del silenzio, la disciplina della lingua. Il Signore ha posto la lingua tra due muri: i denti e le labbra; come non bastassero i denti, mise anche le labbra. È di Sant’Agostino il detto: Sii veloce al silenzio e sii tardo al parlare; e lo Spirito Santo per mezzo di San Giacomo aggiunge: Chi non pecca con la lingua è uomo perfetto. Giova moltissimo il silenzio. Mi raccomando tanto! Nelle ore del silenzio osservate il silenzio. Non è molto che vi ho detto che c’è il silenzio sacro che va dalle orazioni della sera e dopo la meditazione del mattino. Il buon spirito d’una Congregazione o di una Casa si rivela soprattutto quando, entrando in tempo di silenzio, si sente che in quella Casa tutto è tranquillo, silenzioso. Nella vita di Gesù Cristo e dei Santi ci sono i tempi del raccoglimento, del silenzio. Non sa ben parlare chi non sa tacere. Educatevi alla disciplina del silenzio! (Par. XI,260).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Disciplina (religiosa), Eremiti, Esercizi spirituali.
Sincerità
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A Bra manderò quindi tutto elemento nuovo, che metto nelle tue mani, supplicandoti per le viscere di Gesù Cristo Signor Nostro di voler preparare in essi degli umili religiosi alla Piccola Congregazione, pieni di spirito di orazione, di abnegazione, di lavoro su sé stessi, di fede, di carità, di sincerità, di santa attività, di sacrificio. Vorrei in te, come più di una volta ti ho detto, una bontà materna, spiritualmente materna, ma più oculata, più vigilante, più energica: alla semplicità della colomba vedi di unire quella che il Vangelo chiama la prudenza del serpente (Scr. 3,413).
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Credo tuttavia opportuno raccomandarvi la sincerità nelle vostre cose, poiché il Signore è coi semplici e retti di cuore, et cum simplicibus sermocinatio Eius. Non sono affatto alieno, dopo, dall’accordarvi il perdono generoso che nella vostra lettera invocate. Ma prima di concedervi di entrare in qualcuna delle nostre Case, voglio vedere come ora vi regolerete con me dopo una lettera come questa che è per voi così chiara. Poiché non devo nascondervi che per disposizione del Signore, sono a perfetta conoscenza di tante cose di tante vostre vie tortuose, e ben lontane da quella rettitudine che deve animare un Sacerdote di Gesù Cristo (Scr. 12,3).
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Dovessero andarsene anche tutti, se ne vadano, e chi non va, lo si mandi via da noi, con carità, ma senza titubanze. E così i non sinceri, i golosi, i mormoratori, i non pii, i non fervidi nella vocazione e pietà – qualunque età abbiano – si dimettano, si dimettano, siano irremissibilmente allontanati (Scr. 19,66).
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Molte volte non si ottiene che poco o nulla, perché oltre i pregiudizi che i giovani già hanno sul conto nostro, hanno pure, talora, dei veri motivi di diffidare: noi siamo poco sinceri coi giovani, pecchiamo spesso di insincerità, ed è grave sbaglio. Vigiliamoli poi i giovani, vigiliamoli sempre, ma ricordiamoci che la nostra vigilanza non deve pesare, non deve opprimere né soffocare né dobbiamo tenere i giovani come sotto uno strettoio, come sotto una campana di piombo. No! Questo non è sistema preventivo, ma repressivo e odioso. Noi siamo religiosi, e non dobbiamo fare né le guardie di pubblica sicurezza, né gli aguzzini, né gli sbirri coi giovani. La nostra vigilanza deve essere come la luce, che penetra per tutto, ma che non pesa: illumina, rischiara il cammino, ma non pesa (Scr. 20,92).
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Nelle difficoltà non bisogna avvilirsi, ma confidare nella Divina Provvidenza. Va’ sempre con una grande dirittura morale e lealtà e sincerità con tutti. Semplice come la colomba, ma prudente con tutti come il serpente Sopporta con pazienza le pene e le sollecitudini annesse al tuo posto. Abbi vigilanza e pazienza con i tuoi confratelli; amali come tuoi fratelli, e fa del bene alla loro anima. Fa’ che essi capiscano che tu li ami nel Signore, e che vuoi il loro vero bene: fa che si sentano confortati dal tuo cuore Nostro Signore premia le fatiche del superiore, anche quando esse non ottengono né presto né mai il frutto desiderato (Scr. 23,24).
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Tu sai con quale schiettezza e dirittura io ho sempre trattato con te domando, nel nome di Dio, uguale confidenza e sincerità. Mi viene riferito da Gerace di certe lettere amorose fra te e signorine. Dimmi la verità, tutta la verità. Non avere timore di me, ma non mi ingannare, non nascondermi nulla. Io ti amo in X.sto tanto quanto la tua madre; ma tu parla a me con l’umiltà e confidenza come al tuo confessore, e di più, perché io sento di essere per te ancora qualche cosa di più. Sono qui per aiutarti, non per avvilirti e abbandonarti (Scr. 26,240).
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Qui ho bisogno di sincerità, di lealtà, di aperture di cuori: di gente che non venga qui per ingannarmi, per arrivare a carpire i Sacri Ordini, e poi andarsene, diventando apostati della Congregazione, venendo meno ai voti religiosi e al giuramento di permanenza. Va bene che qualcuno che ha lasciato la Congregazione se ne mostri grato a parole, (come ad es. don Lighenza) ma, se tutti avessero fatto così, la Congregazione non esisterebbe, e avremmo non dei figli, ma degli spergiuri (Scr. 32,53).
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Tanto le suore come i chierici che proponi per venire in Italia devono essere assolutamente sani e avere passata costì una rigorosa visita medica e avere un certificato di piena robustezza e salute. 2/ Devono essere di pietà; sinceri e leali e non finti né doppi: devono essere di provata vocazione. Alcuni sono sempre dietro a farsi le bizze a vicenda e a creare pettegolezzi e a dire di questo e di quello, tanto che tra loro polacchi c’è scissione e non cor unum et anima una, da buoni aspiranti religiosi. Su questo della umiltà e sincerità di vocazione mi raccomando in modo particolare (Scr. 32,96).
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L’indifferenza e prontezza non toglie che, in certi casi non si possa sottomettere al Superiore rispettosamente le nostre riflessioni. Obbedire con sincerità e rettitudine senza furberie e nascondigli. Il nostro intelletto deve tacere: non giudicare, non censurare, ma obbedire interamente, prontamente, umilmente. La nostra ragione individuale inganna sempre ed indubbiamente ogni qualvolta non vuole obbedire ciecamente alla volontà di Dio manifestata per mezzo del Superiore. Rendiamoci perfetti annientandoci per l’amore di Cristo. E la dipendenza dai Superiori sia umile, spontanea e di tutto amore. L’obbedienza vera non vuole titubanze né languore, ma fervore (Scr. 55,258).
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Vadano schiette e candide in tutto: non abbiano timore di coltivare fino allo scrupolo la piena sincerità e lealtà: questa è parte di quella perfezione a cui Dio ci ha chiamati: che la sincerità, l’umiltà e la schiettezza sia uno dei punti fondamentali del vostro Istituto (Scr. 65,299).
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Più di ogni cosa mi importa che vengano osservate da tutti i miei sacerdoti le tassative disposizioni, sempre loro date, di procedere in tutto conformemente alle leggi della Chiesa, in piena armonia e dipendenza coi R. R. Vescovi, ai cui piedi voglio che si viva in umiltà, sincerità, fedeltà e amore di figli (Scr. 76,195).
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Confessiamoci con sincerità. Molte confessioni lasciano il tempo che trovano, perché sono troppo superficiali. Bisogna che la confessione abbia sincerità di dolore, e chiarezza, che il confessore capisca bene, se avete qualche peccato che vi pesa sulla coscienza deve essere il primo a dirsi in confessione, perché, se si tarda, il demonio vi mette in soggezione e può farvelo tacere. Il confessore non perde la stima su chi si confessa dei peccati più umilianti. Anzi prende più stima con chi sa umiliarsi nel manifestarsi fin nell’intimo del cuore. Dobbiamo confessarci con sincerità, con dolore, e anche con coraggio, perché la nostra vita spirituale non deve esser pia in forma apparente, ma deve essere pia davanti a Dio (Par. II,25).
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Per me non c’è peggior cosa che la falsità! Sinceri! Sinceri! Non doppi, non falsi! L’educazione seminaristica su questo punto non va bene! È una schifezza! Est, est, non, non. Se questo è il Paradiso, ci rinuncio; perché so che questo non è il Paradiso! Se questo è il Cristianesimo, ci rinuncio, perché so che questo non è il Cristianesimo! La verità si deve, molte volte, tacere; ma non si deve mai dissimulare. Noi insorgiamo contro questo metodo. (B. 26, p. 88) La sincerità vuol essere tenuta in conto nell’infliggere ad alcuno punizione di sorta... La doppiezza sia smascherata, né mai, mai tollerata! Il Signore è un poco più largo di noi su certe cose; su certe altre, invece, è più stretto. Per esempio, nel precetto della carità verso Dio e verso il prossimo. Quanto a questo bisogna tornare e stare strettamente al Vangelo. In questo non ammette restrizioni di sorta. Così nella sincerità e falsità. Ricordiamo le parole acerrime di Gesù contro i Farisei falsi e ipocriti (Par. V,358).
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Cari miei chierici, formiamoci alla schiettezza, alla sincerità, alla verità! Distinguiamoci in Congregazione anche per questo, come tante volte vi ho inculcato e suggerito... Chi dice la verità confessa Dio; e Dio si costruisce in noi e nel cuore degli altri soprattutto con una pietà umile, calda, senza infingimenti di linguaggio, senza sotterfugi di intenzioni: sì, no; è, non è... L’umiltà nostra, come fu quella di Giovanni Battista, sia fondata sulla verità, di cui sono testimoni Dio e la nostra coscienza. Educhiamo noi stessi ed educhiamo gli altri a queste virtù indispensabili al ministro di Dio, al servo del Signore, al religioso, all’uomo di chiesa: umiltà sempre e con tutti, verità sempre e con tutti. Siano due ali del nostro spirito, del nostro umile e sincero amore a Dio! (Par. VII,138).
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E, per essere breve, mi par di potere applicare questa frase al dovere che abbiamo di essere aperti, essere sinceri, essere nemici di ogni doppiezza, nemici di ogni astuzia, schietti, franchi, semplici. Questa è e deve essere, una delle note, delle prerogative, una delle caratteristiche del religioso figlio della Divina Provvidenza: la franchezza, la lealtà, l’apertura di spirito, la sincerità, la verità, fuggendo qualunque finzione, qualunque astuzia, qualunque cosa che sappia di falsità e di doppiezza, di tortuosità, nelle parole e nei modi di fare. Et erunt prava in directa... Quando voi agirete, quando voi parlerete e opererete, sia il vostro agire, sia il vostro parlare “Est est, non non, disse Gesù nel Santo Evangelo: è così, è così, non è così, non è così”... E siate sempre veritieri, aperti, leali, sinceri, sempre! (Par. IX,500).
Vedi anche: Calunnie, Carattere, Sistema paterno–cristiano, Superiori.
Sindone
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Spero starete tutti bene in Domino Saluto, conforto e benedico in Gesù Cristo Domani pregherò davanti alla Santa Sindone per voi tutti (Scr. 8,98).
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Sono tornato un po’ fa da Torino dove, davanti alla S. Sindone, ho pregato particolarmente per te e per voi tutti (Scr. 8,99).
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Oggi spero avere la consolazione di andare a venerare la Santa Sindone: porterò con me, in spirito, tutti i miei in Domino e pregherò in modo speciale per Lei e secondo le sue pie intenzioni (Scr. 9,40).
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Davanti alla Santa Sindone oggi ho detto la Messa, ed ho pregato in modo tutto particolare per Lei e per tutti i suoi cari, vivi e defunti. Le mando 1000 benedizioni di qui (Scr. 9,65).
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Parto domani sera e mi fermerò mercoledì ad Ortonovo; giovedì a Genova, giovedì sera e venerdì a Tortona; sabato dirò Messa alla Sindone alle 8, ora già combinata con il Card. Fossati, domenica, SS.mo Rosario, vorrei passarla al noviziato (Scr. 17,211).
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Sono giunto stamattina e parto alle 12 di posdomani, per giungere alle 24 a Torino, dove all’una e mezza dirò la Messa davanti alla S. Sindone (Scr. 24,219b).
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A voi, a tutte le suore e ricoverati del Piccolo Cottolengo Genovese assicurazione che vi ho ricordati tutti come ho pregato davanti alla S. Sindone pei nostri benefattori (Scr. 27,112).
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Se invece di tre, ne vuoi mandare quattro o anche cinque per me sono ben contento, solo non vorrei che tu restassi senza aiuto per i lavori: chi non viene questa volta, verrà poi per metà maggio, quando si esporrà il facsimile della S. Sindone. Così tutti saranno contenti nel Signore (Scr. 30,227).
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A Torino visitate possibilmente la Consolata, il Cottolengo, Maria Ausiliatrice, le camere di Don Bosco, Valsalice e la cappella della S. Sindone che è a S. Giovanni, cioè al Duomo (Scr. 32,55).
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Carissimo, ho particolarmente pregato per te e tuoi cari nella Messa di stamattina davanti alla S. Sindone. Ti conforti Dio di ogni benedizione! (Scr. 32,250).
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Devo, in questi giorni, venire in alta Italia perché sabato, 30 corr., per la bontà di Sua Emin.za il Card. Fossati, avrò la consolazione di dire la Messa davanti alla S. Sindone; facilmente riceverò anche i voti religiosi di alcuni chierici che hanno finito il loro noviziato a Bra (Scr. 33,202).
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Bisognerà fare sì qualche cosa, ma si combinerà alla mia venuta Parto da Roma posdomani alle 12, sarò a Torino alle 24 e dirò la Santa Messa all’una e mezza di Giovedì, davanti alla Santa Sindone: pregherò per te e per l’Istituto Artigianelli, particolarmente (Scr. 36,38).
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Parto domani; posdomani sarò al Santuario di Ortonovo, giovedì a Genova, venerdì a Tortona, sabato alle 8 dirò la Messa davanti alla Santa Sindone, per benigna concessione del Card. Fossati – Pregherò per te, per tutti voi (Scr. 36,139).
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La ricordo sempre, ma la ho particolarmente ricordata oggi nella Messa davanti alla S. Sindone (Scr. 37,30).
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Sono lieto di ogni altra buona notizia, Deo gratias! Sarò a Roma, ma per due giorni non interi; mercoledì devo partire per Torino, all’una e mezza di notte di giovedì, 21 corr., ho segnata la Messa davanti alla S.ta Sindone. Pregherò anche per lei e secondo le sue intenzioni: Dio la conforti! (Scr. 38,155).
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Voglia gradire vivissimi ringraziamenti per tutte quelle sue delicate premure del giorno che si venne a Torino per la Santa Sindone. Non ce ne dimenticheremo più, né io né i miei: Dio e la Vergine celeste la ricompensino, come umilmente li prego (Scr. 38,228).
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Ricordando con infinita riconoscenza le accoglienze e la generosa ospitalità che io e tutti i miei abbiamo avuto all’indimenticabile oratorio del Beato Don Bosco in occasione della visita alla Santa Sindone, invio a lei, sig. Direttore, e, per la bontà sua, al Rev.mo Rettor maggiore sig. don Ricaldone, nonché a tutti i venerati Superiori che, in quel giorno non obliabile, ho avuto il piacere di rivedere, la espressione del mio ringraziamento più sentito; il più devoto ossequio e reverente saluto in Domino (Scr. 38,241).
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Le ho particolarmente ricordate nella Messa detta davanti alla S. Sindone. Dio le conforti di ogni benedizione! (Scr. 40,150).
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Per la benignità di Sua Eminenza Rev.ma il sig. Cardinale Fossati, il 30 corr. alle ore 8, avrò la grande consolazione di poter celebrare davanti alla santa Sindone. Farò uno speciale memento e per l’anima di suo padre e perché Gesù vegli sempre su di loro e li conforti di molte grazie e aiuti (Scr. 44,76).
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Avvicinandosi il 40mo anniversario dell’apertura di San Bernardino, ho particolarmente ricordato v. Eccellenza Rev.ma nella Messa di stamattina davanti alla S. Sindone (Scr. 49,67).
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Stanotte parto per Roma, dove mi fermerò solo fino a mezzodì di mercoledì, 20 corr., poi parto per Torino, dove all’una e mezza di giovedì notte ho fissata la Messa davanti alla S. Sindone. Pregherò particolarmente per te e per voi tutti (Scr. 63,41).
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Dietro al gruppo più grande del naturale, si alza la croce da cui pende la sindone bianca che poi, nel Santo Sepolcro, avrebbe avvolto il Corpo di Gesù (Scr. 64,303).
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Quando l’anno passato lo vidi là in adorazione davanti alla Santa Sindone, mi pareva che egli piangesse lacrime silenziose. Gli andai vicino e voleva dirgli: sono qui, vedete, dopo tanti anni, pregate forse per me, o buon prete? Sono uno di quelli che avete amato tanto! (Scr. 69,4).
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Sarò al Santuario di Ortonovo (Spezia) il 27 corr. mercoledì; sarò a Genova giovedì 28 mattino; a Tortona giovedì sera e venerdì 29; a Torino il 30, sabato, dirò la S. Messa alle ore 8 davanti alla S. Sindone; Domenica 1 ottobre a Villa Moffa, Bra, tutto con il divino aiuto (Scr. 70,335).
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Il nostro Santuario, nei giorni 14, 15, 16 maggio, ha visto uno straordinario affollamento. La Divina Provvidenza a mezzo del Ven.do Monastero delle Carmelitane Scalze di Moncalieri, ci mandò una copia fedelissima della S. Sindone venerata in Torino. Don Orione pensò di esporla al pubblico, con il permesso della competente Autorità, non certo come oggetto di diretta venerazione o di culto, ma come simbolo atto a suscitare nei cuori, in quei giorni, commemorativi della S. Croce un nuovo palpito d’amore e di devozione verso Gesù Cristo Crocifisso. Venne esposta sull’altare la reliquia insigne della S. Croce in prezioso reliquiario. La esposizione si fece nella vasta Cripta del Santuario. Una mistica luce, temperata da cortine si diffondeva dappertutto, dando agli spiriti un senso di intimo raccoglimento che invitava alla preghiera e meditazione. L’altare dell’esposizione, illuminato da riflettori e da lampadine nascose, presentava un colpo d’occhio stupendo. Dall’arco pendevano 12 bellissime lampade dorate dono al Santuario dalla nobile casa dei Baroni Garofoli Cavalchini. Esse furono mantenute accese dalla pietà degli abitanti del borgo S. Bernardino e Groppo. Dalla balaustra all’altare, fiori e piante di sempreverdi per terra, sui gradini, ai lati, un vero tappeto di fiori. Ricco pure e artistico l’addobbo. L’altare era occupato dalla S. Sindone che, come abbiamo detto, è una riproduzione fedelissima di quella di Torino, fedelissima sia nelle dimensioni che nella riproduzione della sacra effige di Cristo morto (Scr. 76,187).
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Provvedere un po’ di cera adatta e almeno 4 torce grosse per i lati del carro...i due Armeni a Bra, Via Torino, vedrebbero così la Santa Sindone (Scr. 80,306).
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La Sig.ra Sili mi ha fatto la lieta comunicazione che il 30 corr. alle ore otto, per la grande bontà di Vostra Eminenza Rev.ma avrò l’ineffabile conforto di poter celebrare davanti alla Sacra Sindone. Vengo vivamente a ringraziare Vostra Eminenza e, per quanto senta tutta la mia miserabilità, Le assicuro che farò uno speciale memento secondo le pie intenzioni della Eminenza Vostra Rev.ma (Scr. 81,21).
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Vedete la fede e la pietà cristiana in che pregio tiene quel lino in cui impresse l’effige del suo volto, quella Sindone, quel legno su cui Gesù agonizzò e morì per noi (Scr. 87,188).
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Dopo essersi fortificati del Pane degli Angeli, i cari fanciulli a due a due si spinsero fin su ai piedi della Vergine per riceverne la materna benedizione, cantando ogni schiera i canti della propria Parrocchia. Poi visitarono la Cripta e il facsimile della Santa Sindone (Scr. 91,174).
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Santuario Madonna della Guardia in Tortona Ostensione “Facsimile” della Santa Sindone La Santa Sindone di Torino, insigne Reliquia della Passione di Cristo verrà solennemente esposta nel suo naturale più identico interessante facsimile al Santuario della Madonna della Guardia, pei soli tre giorni delle Feste Patronali di S. Croce, 14 – 15 – 16 maggio A Tortona Ostensione “facsimile” della Santa Sindone Nel nuovo Santuario della Madonna della Guardia di Tortona sarà esposta solennemente una copia in tutto precisa, identica della Santa Sindone, ottenuta da Don Orione per benevole e alta concessione. L’ostensione di detta Sindone sarà fatta per soli tre giorni, per le Feste Patronali di S. Croce, che saranno a Pentecoste (15 maggio) (Scr. 91,196).
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Prega molto il Signore ed entrando negli studi superiori fa’ di tutto te stesso una nuova offerta alla Chiesa di Gesù Cristo e rinnova davanti alla Santa Sindone l’offerta a Gesù della tua vita per la gloria sua e per la salute dei popoli (Scr. 96,23b).
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Avvicinandoci il 40.mo Anniversario dell’Apertura di S. Bernardino ho particolarmente ricordato V. Eccell. Rev.ma nella Messa di stamattina davanti alla S. Sindone (Scr. 101,234).
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Cristo è risorto! Dalla passione al gaudio, dalla morte alla vita! Morì per sua volontà, per sua degnazione: risorge per una virtù per suo potere: Cristo è Dio! Deposte le sindoni e le bende funeree Gesù è risorto: oh beatissimo Corpo, quanta luce quanta gloria lo circonda! (Scr. 111,46).
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Davanti alla S. Sindone ho ricordato, con un affetto che non è terreno, il mio Dr. Riccardo e tutti i suoi cari, che benedico tanto! (Scr. 117,39).
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Devo ringraziarvi per la generosità con cui avete contribuito a comperare l’olio per accendere le lampade davanti alla Santa Sindone in questi tre giorni in cui sarà esposta al pubblico e vi dico un grazie di cuore. Questa sera è venuto anche Sua Eccellenza Monsignor Vescovo a vedere la Sindone. La Sindone di Torino è un dono della Casa Sabauda, ed essa si espone ogni qualvolta si sposa un Principe di Casa Savoia che è destinato al trono. La Santa Sindone, che è qui esposta da questa sera e per tutti i tre giorni delle Feste di Santa Croce, è simile a quella di Torino. Stasera sono venuti anche i Seminaristi a vedere la Santa Sindone; ma i primi fedeli che dovranno vedere la Santa Sindone, siete voi di San Bernardino e del Groppo, perché avete contribuito con il vostro obolo alle spese per accendere le lampade. E chi vuole andare a vedere la Sindone questa sera, può scendere in cripta: ma mi raccomando di non passare dall’altra parte della balaustra per non guastare la roba. Poi farò baciare il legno della Santa Croce. Fate il favore di spargere la voce per Tortona e ai vostri parenti e amici, che chi vuol vedere la Sindone non paga nulla, perché sono state sparse alcune voci maligne, che io faccio questo per cavare di tasca alla buona gente un po’ di soldi. (si ride) e vi prego invece, di spargere la voce che la Santa Sindone si vede da tutti e gratis; e chi vuol fare elemosina è libero, perché le cose sacre non si mercanteggiano (Par. V,45).
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Io mi trovavo in sacrestia e mi si presentò così, una persona, una povera donna, e, vedendola tutta impolverata le ho domandato da dove venisse e mi rispose: – Vengo da un paese al di là di Voghera... e son venuta a piedi per vedere la Santa Sindone e chiedere grazie alla Madonna della Guardia che, mi hanno detto, fa anche miracoli. – Oh, povera donna, volete prendere un po’ di caffè? – No, no – mi rispose – porto qui nel fazzoletto, pane e salame per mangiare e, dopo aver riposato ancora un po’, pian piano tornerò a casa. –. Aspettate, buona donna, che vi pagherò io il treno per il ritorno, altrimenti è troppo lunga la strada. No, no, faccio io e lei: – “criccu” (perdinci) la mia offerta... – e mi mise nelle mani l’obolo, che raggiungeva la somma giusta che la ferrovia avrebbe chiesto per il trasporto di quella povera vecchietta. Vedete che amore a Dio, che spirito di sacrificio? Si priva del treno per portare il suo obolo qui nel Santuario. Ecco, o miei cari figlioli nel Signore, io davanti a quella persona sono divenuto piccino piccino, considerando in lei tanto spirito di fede e di religione. Impariamo anche noi e preghiamo affinché quelle impronte impresse sul lino della Sindone siano scolpite anche nel nostro cuore e così possiamo amare sempre più quel Gesù che molto ci amò e morì per noi! (Par. V,46).
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Ho avuto la consolazione di dire la Santa Messa davanti alla Santa Sindone. Vi fui già qualche anno fa; ma, di notte e non potei neanche celebrare. Questa volta sì, ed ero assistito dai Novizi, Don Cremaschi e Don Zanatta. Alla Sindone ho rivolto preghiere per tutti. Poco mi sono fermato; ma spero, prima che si chiuda l’ostensione, di tornarci presto. Ricordo che ci andai molti anni fa e ci passai l’intera notte. C’era a Torino allora Don Gioacchino Berto, segretario di Don Bosco, che egli assunse a 16 anni, perché aveva una bella calligrafia e stette per circa 26 anni ai fianchi di Don Bosco in quell’ufficio. Io ero per Don Berto come il cane di San Rocco, per sapere qualche cosa di Don Bosco e sempre mi accompagnavo a Don Berto Gioacchino. Lì, alla Sindone, vi ho ricordato e ho portato a tutti il ricordo che vi darò domani o dopo (Par. V,227).
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Tutto in Gesù parla di purezza, tutto! La Sindone candida in cui fu avvolto; i lini candidi che servono per la celebrazione del Santo Sacrificio. Facciamo pure a questo riguardo la considerazione che Gesù accusato e perseguitato sempre come sobillatore del popolo, non permise mai che la più piccola accusa, la minima ombra del sospetto venisse a offuscare la divina purezza di cui sempre era effusa la sua divina persona (Par. V,294).
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La nostra Congregazione ci lega a Don Bosco per molte ragioni: voi stessi avete sentito la bontà dei Salesiani e del suo Successore Don Ricaldone quando siete venuti a Torino per la Santa Sindone. Sembra che ci sia pure la canonizzazione del Beato Cottolengo, che per la nostra Congregazione è il Padre (Par. VI,37).
Vedi anche: Giubileo, Pellegrinaggi, Reliquie.
Sistema paterno–cristiano
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Con ogni pia e santa e fraterna industria dobbiamo avvicinare il cuore dei giovani e farci come ragazzi con essi, e, raccomandandoci a Dio, prendere in mano, con grande riverenza, l’anima dei giovanetti a noi affidati, come farebbe un buon fratello maggiore con i fratelli più piccoli. Bandire i castighi troppo lunghi, penosi e umilianti, evitando, ad ogni costo, di battere i giovani; ma, invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l’anima piena di affetto sincero, dobbiamo cercare, o cari figli miei, di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare il loro cuore a Dio! (Scr. 20,90).
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E a questo, di portare a Dio i giovani arriveremo pregando e mortificandoci e adottando il sistema di educazione cristiana usato e con esito tanto felice dal Ven.le Don Bosco, mio confessore e mio padre in X.sto, metodo savio, detto «sistema preventivo». Sistema che vuol essere da noi praticato scrupolosamente, perché è l’unico mezzo che noi abbiamo per esercitare una efficace influenza sul cuore dei nostri alunni, ed è l’unico metodo che convenga a religiosi, e che sia in perfetta armonia con le leggi che attualmente vigono in Italia. Avviciniamo i giovani come piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso, (ma non abitualmente severo), che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro vero bene e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati tali da essere di onore a sé, alla famiglia e alla loro città: giovani credenti, onesti laboriosi, e professionalmente capaci di essere un giorno bravi operai, capaci di farsi largo nel mondo, perché sapranno guadagnarsi onorevolmente la vita, e potranno aiutare le loro famiglie. «Il giovane, diceva Lacordaire, è sempre di chi lo illumina e di chi lo ama» Ed è così. Il giovane ha bisogno di persuadersi che siamo interessati a fargli del bene, e che viviamo non per noi, ma per lui: che gli vogliamo bene sinceramente, e non per interesse, ma perché questa è la nostra vita, e perché lui è tanta parte della nostra stessa vita, e il suo bene costituisce la nostra missione ed è il nostro intento e affetto in Cristo. Egli deve comprendere che viviamo per lui: che il suo bene è il nostro bene, che le sue gioie sono le nostre gioie, e le sue pene, i suoi dolori sono pene nostre, e nostri sono i suoi dolori. Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui dei sacrifici, e a veramente sacrificarci per la sua felicità, e per la sua salvezza. Il giovane deve sentire questo: deve sentire attorno a sé un’atmosfera buona, un soffio caldo di affetto, puro, illibato e santo, e di fede e di carità cristiana e allora egli sarà nostro. Se non c’è questo soffio caldo di Dio e di affetto; se egli non sentirà amore sincero per lui, se non ci stimerà, non ne faremo nulla. Se, invece, ci amerà, se ci stimerà, lo condurremo a Dio, alla chiesa: e lo condurremo dove vorremo. Ma egli deve leggerci nel cuore: deve avere fiducia di noi, deve sentirci Egli sentirà Dio sentirà la chiesa attraverso noi. Noi dobbiamo pensare bene a questo, e farci capaci di esercitare questo santo apostolato di luce spirituale che dobbiamo trasfondere in lui (Scr. 20,91).
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Non sono contento che i chierici usino con i ragazzi, siano piccoli o siano grandi, dei sistemi di educazione o, meglio, di correzione che non sono affatto educativi, sono anzi contrari a tutto quello che sempre ho comandato, come pure sono contrari ad ogni sistema di educazione cristiana e civile. Gli assistenti non devono battere: non possono battere per nessun motivo, né mettere le mani addosso né per punire né per dare segni di affetto, mai, mai, mai. Questa lettera deve essere letta presente tutti, e conservata. I giovani devono obbedire, rispettare, amare i superiori, ma i superiori si ricordino che chi vuole rispetto deve guadagnarselo e deve prima rispettare (Scr. 28,185).
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Noi pecchiamo spesso di insincerità coi giovani: è un grave sbaglio. Il giovane deve sentire affetto e stima dei suoi superiori e poi si conduce dove si vuole. E il giovane deve anche sapere e sentire di essere amato e stimato e vigilato con affetto, ma vigilato sempre e non avvilito mai: non mortificato davanti agli altri, se non in casi eccezionalissimi e per togliere il mal esempio (Scr. 32,9).
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So che codesti figliuoli non sono tutti ben disposti verso di voi, ed io vi esorto di non toccarli mai, di non batterli né irritarli: i giovani non si devono toccare né per carezzarli né per castigarli; ogni altro sistema che non sia la ragione la persuasione e la religione dovete scartarlo. E, più che con le parole, educateli al bene con l’esempio della vostra vita, della vostra condotta regolare, veramente religiosa, esemplare. Amateli nel Signore come fratelli vostri, prendetevi cura della loro salute, della loro istruzione e d’ogni loro bene: sentano che voi altri vi interessate per crescerli giovani onesti, laboriosi, onorati! Raccomandateli al Signore sempre; alla santa Madonna: siate voi chierici di buono spirito, devoti, pii, e anche essi diventeranno più malleabili, più pii e virtuosi. Non dite mai ad essi male parole, mai, mai! Siate educati voi, ed educherete loro: siate garbati voi, gentili voi, e diventeranno gentili anche loro. Abbiate sempre per tutti e per ciascuno delle belle parole, delle parole buone. Giocate con essi, lavorate con essi, pregate con essi! Molti rinsaviranno. Non vi è terreno ingrato e sterile che per mezzo di una lunga pazienza non si possa finalmente ridurre a frutto; così è dell’uomo (Scr. 32,258).
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Noi dobbiamo avere e formarci ad un sistema tutto nostro di educare, un sistema che completi quanto già di buono abbiamo negli antichi e anche nei moderni sistemi di educazione, un sistema che reagisca contro la educazione cristiana data all’acqua di rosa, di apparenza più che di sostanza, di formule più che di virtù. Noi vogliamo e dobbiamo educare profondamente l’animo e cattolicamente la vita, senza reticenze e senza equivoci: educare ad una vita cattolica non alla francese, cioè di nome e non di fatto, ma a vita cristiana cattolica di preghiera e di pietà vera, vissuta e ignita, di virtù. Cari miei, noi non avremo però mai fatto niente finché non rifaremo cristiana nella sua anima di Fede e nella vita privata e pubblica la gioventù: finché non avremo fatte cristiane le coscienze ed il carattere dei nostri allievi. La Fede cattolica ed il carattere saldamente cristiano formato sul Vangelo e sugli insegnamenti della Chiesa, sono le forze più potenti del mondo morale, e i giovani poi, quando vi sanno unire il loro ardore giovanile, si impongono allo spontaneo omaggio di tutti, e trascinano! Ma per trasfondere questo carattere bisogna avere noi il cuore pieno di Dio e saper educare a Dio il cuore dei giovani, perché è il cuore che governa la vita, e non l’ingegno, onde già i latini dicevano: «Corculum quod facit homines»; un po’ di cuore: è il cuore che fa l’uomo, cioè è il cuore che fa la grandezza morale dell’uomo, ma quando il cuore è, quale dev’essere, un altare sacro a Dio! (Scr. 51,22).
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Lo stesso sistema, così detto preventivo, non dice tutto, per me non mi soddisfa pienamente, non mi pare completo. Mi pare che oggi non sia più sufficiente o da tutti non così sufficientemente battezzato. Finché esso è in mano di Don Bosco e dei salesiani, praticamente è completato dalla religione onde essi lo animano, ma quando è in mano di educatori borghesi, è quello che è, e fa quello che fa! Fondamento del sistema non solo deve essere la ragione e l’amorevolezza, ma la Fede e la religione cattolica praticata, e il soffio di un’anima e di un cuore di educatore che ami veramente Dio e lo faccia amare, dolcemente, insegnando ai giovani le vie del Signore. L’educatore deve sempre parlare il linguaggio della verità con la ragione, con il cuore, con la Fede! L’educatore cerchi di farsi altamente e santamente amare più che temere, e si faccia stimare e amare nel Signore, se vuol farsi temere. Viviamo in un mondo che va ridiventando pagano in fatto di Fede, ed è la Fede, soprattutto, e la Carità di Gesù Cristo che devono ricostruire il mondo. E chi voglia veramente educare ed edificare Gesù Cristo nell’anima dei giovani e della società, deve viverla la Fede e la Carità di Gesù Cristo: deve farle risplendere nella sua vita; si devono vedere risplendere fin sul suo volto, nelle sue parole, in tutto il suo insegnamento! Allora la scuola riuscirà al suo fine cristiano e civile: riuscirà di molto merito a chi la fa e di efficacia veramente consolante per gli alunni, perché infonderà in essi il santo timor di Dio, che è base e principio di ogni verace sapienza, e le massime di una vita intemerata e cristiana. Per cui gli insegnanti non devono essere solo forniti di virtù per essi, ma devono avere nella loro lampada olio per sé e olio per gli alunni, onde illuminarli, condurli: comunicare loro la moralità e la religione, tutte cose che non devono esser l’opera di una lezione o di una mezz’ora alla settimana, come si fa con altri insegnanti, ma deve essere la sollecitudine di tutte le ore dell’anno scolastico e di tutta la nostra impresa e della vita stessa. E dove qualche estraneo venisse a fare scuola da noi, non potendo noi da essi esigere tutto questo, suppliremo noi a ciò che a loro mancasse, soprattutto con il buon esempio, che è di tanta forza sullo spirito dei giovani. Vedano questo in noi: tutto il nostro desiderio del loro vero bene, del loro miglior avvenire: vedano in noi puntualità e imparino così ad essere puntuali: vedano diligenza, bontà di modi, molta educazione, serietà (mai mai leggerezze), attività e zelo misto a dolcezza: fattività, lavoro; vedano studiare noi per farli studiare essi. Oh quanto impareranno dalla nostra pietà, ad essere a loro volta religiosi e pii! Se il professore non si farà mai aspettare, darà agli scolari esempio di esatta diligenza! Se vedranno che il Professore si prepara a far scuola, ed è sempre ben preparato, anch’essi non perderanno più tempo – Chi è che fa, che crea la scuola? È il maestro! Chi è che fa gli scolari? L’esempio del maestro! Da chi dipende il risultato della scuola? in gran parte dal maestro! (Scr. 51,23).
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I giovani guardano il professore: vivono più del suo esempio che delle sue parole: verba movunt sed exemple trahunt! è sempre vero. Anche Seneca – e cito un pagano, mentre potrei citare cento Padri della Chiesa, diceva: Hunc elige praeceptorem quem mireris cum videris quam cum audieris. E il grande Severino Boezio morto in carcere per la Fede e sepolto a Pavia, sulla cui tomba da chierico prima e poi da sacerdote, andai per attingere forza e per ispirarmi in momenti che erano decisivi e difficili, Severino Boezio, santificato ora dalla Chiesa (scrisse egli in carcere il celebre trattato De Consolatione) al Cap. VI, de dis., scrive: «Magister sit in sermone verax, (la verità sempre), in judicio justus, pius in affatu, virtute insignis bonitate laudabilis, mansuetus... ita ut discipulis seipsum bonorum operum praebeat exemplum. Esempio, esempio! esempio! I giovani non ragionano tanto: seguono e fanno ciò che vedono fare. E oltre al buon esempio, i Figli della Div. Provvidenza dovranno avere, qualche nota speciale del loro insegnamento, di far risplendere Dio dappertutto e la Provvidenza di Dio «che l’universo penetra e governa» come direbbe Dante, farla risplendere la Div. Provvidenza e vedere dappertutto. E cogliere ogni occasione perché l’istruzione serva all’educazione e al perfezionamento morale, e formi il giovane a salda coscienza cattolica, educandolo e rafforzandolo nella parte migliore dell’uomo, la volontà, sede della virtù. Niente di più commovente su questo punto di quanto poi leggerete nel Trattato De Ordine di Sant’Agostino, specialmente al Cap. IX. Bisogna i nostri ragazzi portarli alla bontà e alla formazione non solo, ma alla perfezione e grandezza morale, che, come già dissi, sta soprattutto nella volontà e nel cuore. Ed essa deve servire di scala per salire in alto, excelsior! per salire a Dio e all’amore della Santa Chiesa di Dio, che è il nostro grande e sacro amore. Non vi dirò, anzi, vi dirò di guardarvi dal far prediche tutti i giorni, né si dovrà trasformare la scuola in una chiesa, né la cattedra in pulpito, no, ma tutto deve essere atto e santo, nella scuola come nella chiesa, però mai prediche nelle scuole; ma tutto in voi dovrà predicare Dio, e di tutto servirvi per infondere e diffondere la Fede e l’amore di Dio benedetto: sarà oggi una parola a metà spiegazione, sarà domani un riflesso; sarà bollare d’infamia una mala azione di un personaggio storico: oh quando si ama Dio, tutto vibra di Dio! E si ha sempre un gesto, una parola che fa di più di una predica intera! Fate ben comprendere che mai la virtù nuoce all’uomo: gli nuoce sempre il vizio. E fate, o miei cari, di tener sempre occupato l’animo dei giovani, e dirò anche con diletto, non mai pesantemente (Scr. 51,24).
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Per salvaguardare i nostri alunni dai lupi, e crescerli a vita onesta e veramente cristiana, ricordo che una delle nostre regole principali e proprie del nostro sistema di educazione è quella di tenere i giovani sempre sott’occhio, e di non lasciarli mai e poi mai soli né dì né notte, ma questa vigilanza dovrà essere esercitata quasi in modo che essi non se ne accorgano, onde ogni buon assistente dovrà fare suo, per quanto si riferisce alla vigilanza assidua, questo canone dato per l’arte: «l’arte che tutto fa, nulla si mostra»: vigilare, pedinare, seguire sempre e dovunque i giovani senza mostrarsi, senza farlo intendere. Essi non devono mai pensare che noi abbiamo diffidenza, ma che li amiamo, che li stimiamo. Ora il cuore di un padre che ama, teme, e perché ama, teme; non è diffidenza, è amore in Gesù Cristo Ma come ho detto il modo di regolarvi nei castighi e lo spirito che si ha da portare nel castigare, così ora dico che si devono fuggire i due eccessi, egualmente riprovevoli. Si bandiscano quei castighi che sono condannati dalla carità cristiana, dalla sana pedagogia e dalle leggi vigenti, e ogni altra severa ed umiliante o troppo lunga punizione che disdica a sacerdoti e Religiosi e ad educatori del cuore e a salvatori di anime (Scr. 51,30).
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Il nostro sistema, che chiameremo «paterno–cristiano», non solo bandisce assolutamente tutti i castighi troppo lunghi, penosi e umilianti, ma, per nessun motivo, ci permette di trascorrere più a battere i giovanetti siano studenti od artigiani, piccoli o alti, poveri orfani o figli di famiglie distinte. Non si batta mai, per nessun motivo. Chi eccede, cede, ed è finito: ha finito di poter far bene. Il rigore non si usi se non come medicina, nei casi rari, rarissimi, e sempre senza passione e senz’ira, ma nella tranquillità dell’animo, nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, tenendo lo spirito ben alto, in Dio! In una parola: non infliggere castighi, se proprio non ci si è costretti, e sia il rigore superato dall’amorevolezza: farsi più amare che temere; farsi amare in Gesù Cristo e «ottenere tutto per amore e niente per forza», come diceva San Francesco di Sales: farsi amare in Gesù Cristo per farsi temere! Anche qui so di ripetermi, sed, in hoc, repetita juvant: farsi amare in Gesù Cristo per farsi temere. Ma, come ho detto di bandire i castighi antipedagogici e anticristiani, e di usare e instaurare un nuovo sistema nostro di educazione «il sistema cristiano–paterno», così debbo vietare l’altro eccesso, che cioè si accarezzino i ragazzi: Niente battere e niente accarezzare! Chi fa carezze, vive male e fa del male. Si vieti perciò ai nostri alunni di tenersi l’uno l’altro per mano e di passeggiare tenendosi a braccetto, o di mettersi, in qualunque modo, anche nei giuochi, le mani addosso: e si dia noi l’esempio! Quest’avviso sia dato, sia ripetuto tante volte quanto basti, e ne sarà avvantaggiata la moralità e l’educazione cristiana e civile, seriamente intesa. Niente effemminatezze, niente sdolcinature, niente mollezza, tra i ragazzi o coi ragazzi, mai! Nessuno di noi usi tale familiarità coi giovanetti, e ricordiamo la nostra fragilità e la necessità di mortificare il senso del tatto e anche gli sguardi, guardando i ragazzi. Gli occhi, diceva bene San Filippo, sono bene spesso le finestre per cui il demonio entra nel cuore. Si bandiscano i più gravi e disdicevoli castighi, ma anche si bandiscano le più leggere e quasi insignificanti carezze. Niente carezze! A tutti sia vietato l’accarezzare i fanciulli, di stringere loro le mani, di passeggiare avvincolati con loro, di toccare loro le guance o il mento e ogni altro atto di sentimentalismo e di affettività che va poi a finire nella passione e fin nella morbosità: «Videtur esse caritas, et est carnalitas», dice l’Imitazione di Cristo. A principio il diavolo si veste di luce, e insinua nel nostro animo che si debba usare famigliarità per tirare al bene quel giovane, ma latet anguis: ma, sotto la bella apparenza del bene, ci sta la passione e il demonio! Questi e altri atti, che possono condurre a gravi disordini contro la moralità, e dare pretesto ai nostri nemici di calunniarci e di attribuirci intenzioni che non avevamo, non si devono fare, e non si devono in alcun modo tollerare nelle Case della Divina Provvidenza, come negli Istituti che da noi dipendono (Scr. 51,31).
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Più velenoso d’ogni odio, è sui giovani l’esempio del male. Quindi via le carezze, via le leggerezze, le scempiaggini, le smancerie che sono sempre suggerite dal disgraziato sentimentalismo, grande piaga di certi Collegi ed Istituti: via ogni affezione che in carne desinit. Via i regalucci dati più a questi che a quello: via le preferenze a quelli ben vestiti, ben puliti e dal volto più rotondo: via quelle affannose cure, quelle sollecitudini che vengono già da passione sregolata, quegli sguardi, quelle parolette: «donariola, dice San Girolamo, quae sanctus amor nescit». Guerra al beniaminismo! guerra senza tregua alle amicizie particolari, vera peste degli Istituti di educazione e anche di certe Case di formazione religiosa e di Religiosi già fatti. Le porte dell’amore spirituale e dell’amore sensuale, dice San Basilio, sono molte vicine l’una all’altra, ed è assai facile scambiare la prima con la seconda: già ve l’ho detto con il Gerson: videtur esse caritas, et est carnalitas! In guardia dunque, o miei cari: preghiamo e vigiliamo e raccomandiamoci alla Madonna sempre! In guardia dal beniaminismo e da ogni amicizia particolare che soppianterebbero la virtù più bella, e manderebbero a fallire le più belle vocazioni. Ogni soave affetto è severo. L’austerità è necessaria nell’amare i giovani. Pregare dunque, e in guardia sempre: la nostra anima anzi tutto! Chi amò la gioventù più santamente di San Filippo Neri? Chi quanto San Giuseppe Calasanzio? Chi potrà assomigliarsi al cuore grande in Gesù Cristo per la salvezza della gioventù quanto Don Bosco? O miei cari, nessuno di questi apostoli della gioventù si crederebbe però mai lecito di attirare a se i giovanetti con tali mezzi, e rimproveravano con molto zelo e allontanavano da sé quelli che facevano diversamente. Ebbene, ciascuno di noi faccia altrettanto, e Dio benedirà il nostro lavoro, e Dio sarà con noi! (Scr. 51,32).
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Ebbene i giovani oggi non sono chiamati a testimoniare la nostra, la loro fede con il martirio del sangue; ma c’è un martirio morale, terribile martirio perché dura quanto la gioventù dura quanto la nostra vita: i nostri giovani hanno bisogno di resistere alle seduzioni del male e del mondo: se sono lavoratori, bisogna resistino nelle officine alle derisioni agli insulti dei compagni molte volte spregiudicati e viziosi, già militanti nelle giovani guardie socialiste, devono resistere talora capi d’arte, o nei circoli giovanili rossi sé studenti bisogna restino forti ad una guerra ingenerosa mossa da un nemico strapotente che si incontra nella scuola stessa pubblica a base di laicismo ove spesso di proposito anche dalla cattedra cerca di sradicare dall’anima degli alunni ogni sentimento Cristiano (Scr. 56,97).
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Noi parlando ai giovani dobbiamo evitare qualunque parola che possa indicare una qualsiasi e benché menoma imposizione o coercizione sia da parte di Dio che delle circostanze individuali, famigliari e sociali: i giovani, anche quando è evidente la chiamata di Dio, noi possiamo e dobbiamo consigliarli, ma devono essere del tutto liberi! Però al di sopra di tutto noi dobbiamo porre ad essi il problema della esistenza il problema della salvezza dell’anima e il dovere che tutti abbiamo di seguire le ispirazioni e la voce di Dio: di vedere le cose alla luce dell’al di là e come le vedremo in punto di morte alla luce di quella candela Noi dobbiamo aiutarli i nostri giovani, non costringerli ma dire però loro chiara la verità: che cioè fuori della vita per cui Dio chiama un’anima essa corre grave pericolo di non avere le grazie necessarie per salvarsi ma di perdersi in eterno (Scr. 56,174).
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Il nostro sistema di educazione è quello tanto sostenuto e diffuso dai più grandi educatori della scuola italiana a Don Bosco l’Apostolo moderno della gioventù. Fu detto sistema preventivo; a noi piace invece chiamarlo sistema paterno, perché così dice meglio e più: il sistema paterno è invero qualcosa di assai più e meglio del sistema puramente preventivo. Anzi diremo che non è più un sistema; ma è già un ministero sublime e una grand’opera di carità, assai gradita a Dio, perché il Signore riceve come fatto a sé quel bene che si fa ai fanciulli e il giovare alle loro anime è da Lui considerato come la prova dell’amore che l’educatore gli ha, poiché l’educatore cristiano, secondo il nostro sistema, vede ed ama nel fanciullo che gli è affidato il suo stesso Dio. Il nostro sistema paterno porta nell’educazione non solo le cognizioni, non solo la morale e la fede cristiana, ma un grande e divino amore, che innalza l’educatore sino al sacrificio di sé per il suo alunno (Scr. 57,147).
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Il sistema di vita e di educazione delle nostre Colonie è molto semplice: cerchiamo di fare vita comune, coi giovanetti che la Provvidenza ci manda. La Colonia deve avere non l’aria d’un Istituto, ma d’una santa e laboriosa famiglia cristiana. Si vive tra i ragazzi in guisa da metterli quasi nell’impossibilità di commettere mancanze, si è in mezzo di loro, anzi si precedono, per quanto è possibile, in qualunque luogo devono trovarsi: nella chiesa, sul campo, nella scuola, nella ricreazione, e si sorvegliano non già con una presenza autoritativa e minacciosa ma con volto amabile e sforzandoci di vestire un po’ di quello spirito soave di santa letizia e familiarità di San Filippo e che fa di noi quasi unus ex illis. E così, diportandoci tra di loro come padri e fratelli e amici affezionatissimi, si fa che torni loro spiacevole la nostra assenza, e che nulla torni loro di maggior contento che lo stare con noi, correre, parlare con noi, manifestarci i sentimenti del loro animo; con noi ricrearsi e persino saltare, correre e giuocare con noi in Domino, in Domino, in Domino. Così essi vivono della nostra vita, con noi e noi della loro, nella carità dolcissima del Signore: il nostro sistema di educazione è molto semplice! Il ragazzo è di chi lo illumina e lo ama (Scr. 57,222).
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Nessuna forza è più efficace della religione e del lavoro quando è illuminato dalla fede e dal sistema paterno per salvare o redimere la gioventù. Quando la gioventù vede che si viene e che si muore per essa, disinteressatamente, ma per un Bene che non è terreno, e perché vediamo in essa e serviamo in essa a Gesù Cristo, la gioventù cede e si lascia condurre e la si la si può formare e plasmare come si vuole, e nel suo cuore si può seminare e arare Gesù Cristo e l’amore alla sua Chiesa, sicuri che resterà. Perché la gioventù quando vede la vita di sacrificio e il disinteresse, crede e ci segue, perché essa è sempre di chi la illumina e la ama elevatamente (Scr. 64,106).
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L’educazione che mettesse ogni sua confidenza nei mezzi negativi esterni e puramente dispositivi, e trascurasse poi i mezzi immediati e formali, produrrebbe negli animi giovanili dei funestissimi effetti, produrrebbe una bontà apparente, posticcia, che si può dire una bontà da collegio, una pietà, che è una inverniciatura, che non va all’anima, ma che presto presto scompare. Nostro proprio sistema è di educare cattolicamente reagendo contro questa formazione cristiana apparente. Cari miei figli in X.sto, noi non avremo fatto niente finché non avremo formate le coscienze veramente cristiane, finché non avremo formato a forte carattere cattolico gli animi e la vita dei nostri alunni... La Confessione sia consigliata settimanale e la Santa Comunione, possibilmente, quotidiana: ogni giorno sente bisogno del suo cibo il corpo, diamo all’anima quel Pane vivo disceso dal cielo che è il suo più naturale e necessario nutrimento per la sua vita spirituale. Però nelle altre pratiche di pietà usate discrezione e sobrietà: non stancate in esse i ragazzi, non rendetele pesanti e fin uggiose: le pratiche di pietà sono mezzo, non fine: tutto, nell’educazione dei giovanetti, le pratiche di pietà, la disciplina e lo studio dev’essere subordinato alla pietà solida, cioè all’amore di Dio, alla vera virtù cristiana, alla vera santità, che non consiste nel dire: Domine, Domine; ma in fare, disse Gesù Cristo voluntatem Patris miei. E poi unire alla dolcezza la fermezza e una somma ragionevolezza; e sempre infondere negli animi dei giovani un pensare elevato, nobile generoso, spirituale, e insistere sulla sincerità, sulla rettitudine sulla purità d’intenzione, sulla presenza di Dio, sull’agire per coscienza, sul buon uso del tempo, sulla fuga dell’ozio e delle cattive letture come dei compagni cattivi: tutto questo gioverà molto a mantenerli nella santa virtù (Scr. 64,237–238).
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Non usate il rigore, se non come una medicina, nei casi rari e straordinari, cercando sempre più di farvi amare che di farvi temere, e anche quando si è proprio costretti ad infliggere castighi, siano dati con grande amorevolezza senza passione, senz’ira, ma nella tranquillità della luce, nella pacatezza della ragione, tenendo bene lo spirito alto e in Dio. E pregare Dio e la SS.ma Vergine per i vostri alunni, perché il giovanetto non viene corretto e fatto migliorare che dalla grazia del Signore. Ma come ho detto di bandire possibilmente i castighi, e di usare il sistema così detto preventivo, o, meglio, un sistema e tutto e proprio nostro, che io chiamerò cristianamente paterno, come paterna fu la prima Casa di Tortona, apertasi in San Bernardino, così si bandiranno assolutamente tutti i castighi troppo lunghi, penosi e umilianti, e mai e poi mai si trascorrerà a battere i giovanetti siano studenti o artigiani, piccoli o alti, orfani e non orfani, mai più nelle nostre Case si batteranno i ragazzi, per nessun motivo. E quando qualcuno di essi mancasse nelle materie più delicate e pericolose di tutti, io voglio e ordino in qualità di Superiore che si tenga assolutamente e a tutto rigore questa massima: «quando siasi trovato un solo fatto d’un giovane che induce o tenta un altro al peccato d’impurità, si licenzi subito.» Che se poi vi avessero solo indizi, senza poterne avere una prova, è dovere con ogni assiduità vigilare su di esso in tutti i momenti, e, alla più lunga al nuovo anno non accettarlo più, bastando per non accettarlo avere solo un grave indizio (Scr. 64,239).
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Una delle nostre principali regole, nel sistema paterno di educare la gioventù a vita onesta e cattolica, è di tenere i giovani sempre sott’occhio, e di non lasciarli mai e poi mai soli né dì né notte, ma senza mostrare di essi alcuna diffidenza: invigiliamoli come fa il cuore di un padre (anche per questo ho detto: sistema non solo preventivo (mi pare che ci mancasse qualche cosa a dire solo preventivo) ma cristianamente paterno) che cristianamente ami, il quale padre, perché ama, teme, o, meglio, anche teme. Ma, come ho detto, di bandire tutti quei castighi che sono condannati e dalla pedagogia moderna e dalle leggi vigenti, e ogni altra severa punizione che disdica a sacerdoti e Religiosi, così si vieti ai nostri alunni di mettersi le mani addosso, di tenersi l’un l’altro per mano o di passeggiare tenendosi a braccetto. Quest’avviso sia dato, e poi ripetuto fin che basti, e ne sarà avvantaggiata la moralità e l’educazione seriamente intesa. Ma ciò non basta. Nessuno di noi usi tale famigliarità coi giovanetti, e ricordiamo la nostra fragilità e la necessità di mortificare il senso del tatto. Si bandiscano i più gravi castighi, ma si bandiscano anche le più leggere e quasi insignificanti – a tutta prima, almeno – carezze. Niente carezze. È a tutti vietato d’accarezzare i fanciulli di stringere loro le mani, di passeggiare avvincolati con loro, di toccare le guance o il mento; e ogni altro atto di sentimentalità o di morbosità. Questi e altri atti che possono condurre a gravi disordini contro la moralità, e dare pretesto ai nostri nemici di calunniarci ed attribuirci intenzioni che non avevamo, non si devono fare e non si devono mai permettere né in alcun modo tollerare nelle nostre Case. Chi amò la gioventù più di San Filippo Neri? Chi quanto San Giuseppe Calasanzio? Chi più assomigliarsi a Don Bosco? Ebbene, nessuno di questi si credette mai lecito di attirare a sé i giovanetti con tali mezzi e rimproveravano con molto zelo quelli che facevano diversamente. Ebbene, ciascuno di noi faccia altrettanto. Via le carezze, via le moine, via le scempiaggini via le smancerie che sono sempre suggerita dal disgraziato sentimentalismo grande piaga di certi collegi: via ogni affetto che in carne desinit. Via quei regalucci, quelle affannose cure, quegli sguardi quelle parolette, donariola quae sanctus amor nescit, dice San Girolamo. Quindi guerra al beniaminismo, guerra alle amicizie particolari vera peste dei collegi, che soppianta la virtù più bella e manda a fallire le vocazioni (Scr. 64,240).
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Le porte dell’amore spirituale e dell’amore sensuale, dice San Basilio, sono molto vicine l’una all’altra, ed è assai facile scambiare la prima con la seconda: quindi, in guardia sempre: la nostra anima anzi tutto! Noi dobbiamo portare alle anime dei fanciulli un grande amore in Gesù Cristo, ma come a nostri fratellini, amiamoli tutti, senza eccezione alcuna, ameremo anche, e molto gli ingrati, i cattivi: li ameremo i fanciulli non per le doti che hanno, non per il loro ingegno non per la loro memoria o perspicacia, non perché vestano bene o sono di famiglia amica o di civile condizione: non per i bei modi, per la bella voce, per il sembiante incantevole, no! no! Allora «videtur esse caritas et est carnalitas» dice l’Imitazione di Cristo. No, o figli miei, noi ameremo nei fanciulli Gesù Cristo. Tutti li ameremo e tutti egualmente, e daremo anzi la preferenza ai più poveri ai più abbandonati, ai più brutti ai più infelici per l’Amore di Gesù Cristo. E noi in essi vediamo e amiamo Gesù Cristo molto rispetto porteremo ai fanciulli poiché maxima debetur puero reverentia, credo sia di Quintiliano questa sentenza certo è di un pagano pensate dunque se dobbiamo praticarla noi che siamo cristiani. Don Bosco aveva pei giovani una specie di venerazione. E si capisce: sono l’immagine di Dio!, sono i piccoli di Dio! Sono i più cari al cuore di Dio! (Scr. 64,241).
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Con ogni pia e santa e fraterna industria dobbiamo avvicinare il cuore dei giovani e farci come ragazzi con essi e, raccomandandoci a Dio, prendere in mano con grande riverenza l’anima dei giovanetti a noi affidati, come farebbe un buon fratello maggiore con i fratelli più piccoli. Bandire i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti evitando ad ogni costo di battere i giovani; ma invece, con vigilanza non interrotta, con esortazioni paterne, con l’anima piena di sincero affetto, dobbiamo cercare, o cari figliuoli miei di prendere sempre più in mano il cuore dei nostri cari alunni per portare i loro cuori a Dio. Badate bene; dico per portare il loro cuore a Dio, perché guai se lo teneste per voi! Sareste perduti voi, i giovani e la Congregazione nostra insieme con voi. E a questo di portare a Dio i giovani arriveremo pregando e mortificandoci e mortificandoci e adottando il sistema di educazione cristiana usato e con tanto felice esito dal Santo Don Bosco mio Confessore e mio Padre in Cristo; metodo savio, detto “Sistema Preventivo”. Sistema che vuol essere da noi praticato scrupolosamente perché per esercitare una efficace influenza sul cuore dei nostri alunni è l’unico metodo che convenga a Religiosi, e che sia in perfetta armonia con le leggi che attualmente vigono in Italia (Scr. 82,63).
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Avviciniamo i giovani come piccoli fratelli nostri, unendo al dolce, alla mitezza e bontà anche quel contegno dignitoso (ma non abitualmente severo), che valga a conciliarci la loro benevolenza. In tutto facciamo loro comprendere che vogliamo il loro verace bene, e che li vogliamo morali, cristiani, educati, civili e formati tali da essere di onore a sé, alla famiglia, alla loro città e alla Patria; giovani educati, onesti laboriosi e professionalmente capaci di essere un giorno bravi operai capaci di farsi largo nel mondo, perché sapranno guadagnarsi onorevolmente la vita e potranno aiutare le loro famiglie. Il giovane, diceva Lacordaire, è sempre di chi lo illumina e di chi lo ama. Ed è così. Il giovane ha bisogno di persuadersi che siamo interessati a fargli del bene, e che viviamo non per noi, ma per lui: che gli vogliamo bene sinceramente, e non per interesse, ma perché questa è la nostra vita, perché lui è tanta parte della nostra stessa vita, e il suo bene costituisce la nostra missione ed è il nostro intento e affetto in Cristo. Egli deve comprendere che viviamo per lui: che il suo bene è il nostro bene; che le sue gioie sono le nostre gioie, e le sue pene, i suoi dolori sono pene nostre e nostri sono i suoi dolori. Egli deve anche sentire che siamo pronti a fare per lui dei sacrifici, e a veramente sacrificarci per la sua felicità e per la sua salvezza. Il giovane deve sentire questo: deve sentire attorno a sé un’atmosfera buona, un soffio caldo d’affetto puro, illibato e santo, e di fede, di carità cristiana ed allora sarà nostro. Se non c’è questo soffio caldo di Dio, se egli non sentirà amore sincero per lui, se non ci stimerà per questo, non ne faremo nulla. Se invece ci amerà e ci stimerà lo condurremo a Dio, alla Chiesa, lo condurremo dove vorremo. Ma egli deve leggere nel cuore! deve aver fiducia di noi, deve sentirci. Egli sentirà Dio, sentirà la Chiesa, la Patria attraverso noi. Noi dobbiamo pensare bene a questo, e farci capaci di esercitare questo santo apostolato di luce spirituale che dobbiamo trasfondere in lui (Scr. 82,64–65).
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Molte volte non si ottiene che poco o nulla perché oltre i pregiudizi che i giovani hanno sul conto nostro, hanno pure talora dei veri motivi di diffidare: noi siamo poco sinceri coi giovani, pecchiamo spesso di insincerità, ed è grave sbaglio. Vigiliamo poi i giovani, vigiliamo, sempre, ma ricordandoci che la nostra vigilanza non deve pesare, non deve opprimere: né dobbiamo tenere i giovani come sotto uno strettoio, come sotto una campana di piombo. No! questo non è sistema preventivo ma repressivo e odioso. Noi siamo Religiosi e non dobbiamo fare le guardie di pubblica sicurezza, sicurezza, né gli aguzzini, né gli sbirri con i giovani a noi affidati. La nostra vigilanza deve essere come la luce che penetra per tutto, ma che non pesa; illumina, rischiara il cammino, ma non pesa. Non avvilite mai nessuno nelle correzioni e punizioni, quando di queste non si potesse proprio fare a meno; no, no, non avvilite mai, ed evitate di correggere davanti ad altri, si lodino tutti insieme, e si correggano e puniscano da soli possibilmente. Solo eccezionalmente, e per togliere qualche male esempio pubblico, si usino castighi pubblici e pubblici rimproveri (Scr. 82,66).
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Il sistema di educazione di questa Colonia – Scuola Agricola è il preventivo o, meglio, il sistema paterno, quale si conviene a ben ordinata famiglia, in cui le esigenze dell’ordine e della disciplina non si separano mai dalle amorevoli cure e sollecitudini proprie della carità. II. – L’insegnamento e la pratica della vita schiettamente cristiana costituiscono l’anima, e tanta parte della educazione che diano ai nostri cari giovani. Essi però con l’insegnamento cattolico ricevono anche tutta la possibile educazione civile, e quella istruzione professionale atta a formare degli onesti e intelligenti lavoratori del campo, capaci di condurre i terreni razionalmente: uomini onorati, utili a sé e alla Patria (Scr. 110,212).
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La Congregazione deve avere il suo sistema educativo. Il nostro sistema educativo deve essere “paterno”. Il sistema preventivo è bello, efficacissimo; ma dice molto di più il sistema paterno. Dobbiamo diportarci con i giovani come si diporta un padre di famiglia che sa unire l’amore con il dovere. Dobbiamo essere pronti a sacrificarci come un padre si sacrifica per i figli. È necessaria pertanto, in noi soprattutto, l’illibatezza di vita. Inoltre i ragazzi devono vederci molto uniti tra noi. Quando i ragazzi si accorgono che gli assistenti non sono uniti, che bisticciano nei cortili o si battono tra loro, prendono mal esempio e non hanno più fiducia in loro. A Lucca, in un Istituto, i Superiori si sono battuti in cortile, alla presenza dei ragazzi, e il Superiore generale ha chiuso quell’Istituto. Sarà un gran buon esempio che daremo ai ragazzi se saremo uniti. Se saremo uniti centuplicheremo le forze! Spirito di unione! Uniti! Concordia parvae res crescunt discordia maximae delabuntur. Dobbiamo dare alla Chiesa dei religiosi con sentimenti dolci e buoni. Compatirci, coprirci, tollerarci! Non pretendere che gli altri siano perfetti mentre noi siamo tanto imperfetti! (Par. V,56).
Vedi anche: Castighi, Ex allievi, Pedagogia, Scuola, Società.
Sobrietà
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Pietà umile, pietà solida: pietà diritta, pietà che non ha attaccamento materiale agli esercizi di pietà, perché non è bigotta e non li riguarda come fine ma come mezzo: pietà che sa essere discreta e sobria e che non stanca, non è pesante, non è intollerante, non è gretta, non è irritante, non è mesta, non ha il collo torto, non sospira sempre, non maledice tutto, non esclude tutti, non è amara, non allontana da Dio né dalla Chiesa; ma invece è ignita e non fredda: è soda e non leggera: è pura, modesta, dolce ed ha una santa libertà: è fervorosa, ma di un fervore spirituale e non di solo sentimento: è una pietà che conforta dove arriva e addolcisce ogni dolore, ogni amarezza, ed è sempre lieta e piena di letizia e sparge felicità e gioia spirituale, alle anime dove va o dove arriva e arriva a tutto con il suo alito: è una pietà sublime e umile: una pietà devota che prega, che tiene il cuore caldo e unito con Dio, anche negli affari più di calcolo e più umani (Scr. 26,9).
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Badate però, o miei figlioli, che altro è la pietà, altro le pratiche di pietà; rispetto a queste conviene usare discrezione e sobrietà, perché esse non facciano ai giovani diventare pesante la religione e non rendano la vera pietà antipatica ed odiosa: nelle pratiche di pietà discrezione e sobrietà ci vuole, essendo esse mezzo e non fine (Scr. 26,145).
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Voglio che, con tutte le suore, ma specialmente con chi viene al vostro Istituto – com’è la Nava – si usi discrezione grande e sobrietà e che si vada con grande amabilità e dolcezza e che neanche si stia attaccati agli esercizi di pietà: Alla pietà sì, agli esercizi di pietà, non sempre: altro è la pietà solida, ignita, altro le pratiche di pietà, che, talora, conviene anzi lasciare, avvezzandosi a conservare il cuore caldo e ben unito con Dio, anche negli affari e nelle varie occupazioni del nostro ufficio (Scr. 31,51).
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Alla domenica fateli venire a Messa, anche gli esterni, ma non puniteli, se non venissero: sempre confortateli a venire e tenete conto, per un altro anno, di chi non viene: vedremo poi insieme i provvedimenti da prendersi. Però nelle altre pratiche di pietà usate discrezione e sobrietà e non stancate i ragazzi e non si facciano dire due Rosari dai ragazzi: le pratiche di pietà non bisogna renderle pesanti e uggiose: deve la religione essere come un alto raggio di luce che illumina, che riscalda, che fa bene, che è desiderata e che dà vita: così dev’essere la pietà (Scr. 51,36).
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In codesta Casa si curi in modo speciale la mortificazione dei sensi e della volontà e ciascuno cresca nella mortificazione della gola e viva in sobrietà; ma nel vitto non vi deve essere mancanza del necessario e si deve usare prudenza da ciascuno da non mortificarsi talmente da indebolirsi di soverchio le forze (Scr. 84,169).
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Siate sobri, temperanti nel mangiare; chi mangia fin qui, chi beve fin qui, non si mantiene morale, non saprebbe conservare la bella virtù. Fuggite l’ozio: chi non tesoreggia il tempo, chi si abbandona all’ozio, non si manterrà puro, non manterrà la bella virtù, la santa virtù (Par. X,179).
Vedi anche: Poveri, Temperanza.
Socialismo
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Non posso dirvi quanto sono contento che la Divina Provvidenza mi abbia condotto ad aprire una casa di carità e di rinnovazione sociale cristiana nel cuore del socialismo e del comunismo argentino. Adesso capisco perché Dio mi ha fatto fare il noviziato a San Bernardino (Scr. 18,114).
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Noi non vogliamo distruggere la società come i socialisti; vogliamo curarla con una grande effusione di carità sopra tutto di Gesù Cristo con la fede e l’onesto vivere cristiano e civile, vogliamo curare il popolo per mezzo della giustizia e della organizzazione (Scr. 52,221).
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È necessario, oggi più che mai, andare al popolo, afflitto da molti dolori e insidiato nella fede da socialisti e settari. Necessità che noi preti ci volgiamo con particolare carità agli uomini del popolo per raffermarli nella fede dissipandone i contrari pregiudizi e confortarli alla pratica della vita cristiana, e di promuovere nel popolo quelle istituzioni che in ogni parrocchia più si riconosce efficace al miglioramento morale e materiale del popolo (Scr. 52,222).
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La società invoca un rimedio ai suoi mali, e, per cercarlo si getta in braccio al socialismo, il quale è dottrina materialistica che nega la religione e la morale, e va a distruggere la famiglia e la società. Si rideva 30 anni fa dell’utopia del socialismo, ma esso è divenuto una triste realtà. Molti uomini disertano le chiese, e per il socialismo rinunciano alla fede e alla vita cristiana. Si deliberò nel Signore di non stare più tristemente guardando, o fors’anco criticandoci tra noi, e di gettarci nel fuoco dei tempi nuovi per l’amore di Gesù Cristo, del popolo e del Paese. L’umanità, afflitta da tanti mali, ha bisogno di ristorarsi nella fede: ha bisogno del cuore di Gesù Cristo. Andiamo al popolo, e portiamogli Gesù Cristo (Scr. 52,222a).
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Liberali, massoni, socialisti, lavorate, lavorate, vi scaverete il sepolcro a vicenda. I popoli si stancheranno di voi che li pascete di tenebre, di terra, e di odio; i popoli hanno bisogno di amore, di luce, e anche di un bene che non è terreno. Il popolo si stancherà tanto di voi che basterà alzare un crocifisso perché cada in ginocchio ai piedi del suo Dio, e torni ravveduto a mirare la Croce segnacolo vittorioso di giustizia, di pace, di redenzione morale, economica e civile (Scr. 53,3).
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Che sarebbe dell’uomo e della civiltà, quando, dominate da egoismo, da basse cupidigie, avvelenate da deleterie teorie comuniste, le masse popolari rompessero ogni legge, ogni freno di onesto vivere cristiano e civile? Quando, perduta la fede, rinnegheranno Dio, esse rinnegheranno anche la Patria, e, assetate di odio e da voluttà di sangue, usciranno ossessionate con la scure, con le falci, con la dinamite! (Scr. 53,9).
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Il partito socialista organizza la irreligione e lavora per l’avvento d’una vita civile che nega i principi fondamentali del cristianesimo (Scr. 69,225).
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La filosofia cristiana, veneranda per autorità e per ragione, è la sola capace di stare a petto alle furibonde insanie del socialismo che altro non sa darvi che una fede e una religione vaga dell’avvenire, desolatrice (Scr. 77,151).
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Lavoratori e lavoratrici delle risaie, guardatevi dai socialisti e dalle socialiste, non fidatevi di chi non ha religione: chi non ha religione non avrà coscienza: non ve ne fidate mai! (Scr. 81,70).
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Conflitto è il tuo sospiro, o socialismo, e non fratellanza. Io ti combatto e ti combatterò sino agli estremi, perché tu vai innanzi al povero popolo con la maschera in volto e con la voce della misericordia, e tanto più ti combatterò perché porti in faccia il marchio dell’impostura e ti circondi del prestigio della seduzione (Scr. 83,249).
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Di fronte alle ultime squadriglie del liberalismo, e di fronte alle turbe socialiste, che si apprestassero a sbarrarvi la strada, agitate, o giovani, la fiaccola della fede e gridate: Avanti, avanti, che Dio è con noi!, mostrate che veramente voi siete i cavalieri del sacrificio, dell’onore e del bene (Scr. 87,4).
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Alla propaganda demolitrice del socialismo opponiamo un lavoro alacre e rigeneratore tra la popolazione tutta della Diocesi. Un soffio più gagliardo di fede e di azione cattolica chiami i popoli ai piedi di Gesù Sacramentato, corra dalle balze dei nostri Appennini alle sponde del Po e ci unisca in una massa sola, in una lega cristiana di resistenza e di salute popolare. O Gesù, o dolce e forte Gesù, noi veniamo a te, perché tu sei la nostra speranza e la nostra fortezza, trionfa della rivoluzione politica e della rivoluzione sociale o Signore, tu puoi bene salvarci e darci forza di salvare i fratelli, piantando il vessillo del tuo regno sulle ruine dell’una e dell’altra (Scr. 94,176).
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Al fremito del comunista e dei senza Dio che vogliono tutto sovvertire e abbattere la società: noi, o fratelli adoperiamoci a far rifiorire la divina carità di Cristo: fra i dolori i tradimenti e le viltà del secolo, manteniamoci degni di quel Dio che nell’amore ci ha creati, degni dei fratelli che ci ha dati: conserviamo inviolabile l’amore di Cristo e l’amore della povera umanità (Scr. 94,228–229).
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E perché le classi agiate non hanno ascoltato la Chiesa, Dio manda o permette il Socialismo, che otterrà con la forza, ciò che non si e voluto dare ai poveri di Gesù Cristo per amore (Scr. 111,9).
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Per dirvi che cosa era il posto ove siamo adesso, dovrei ricordarvi cose veramente vergognose. L’unico prete che era tollerato, ero io perché dicevano che ero socialista favorendo quelli che si raccomandavano: venivano a me i poveri e davo loro da mangiare, tanto che io ho dovuto vendere persino il cancello di ferro (Par. IX,276).
Vedi anche: Anticlericalismo, Azione cattolica, Chiesa, Liberalismo, Massoneria, Politica, Società.
Società
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Cristo solo è la fonte viva di fede e di carità che può ristorare e rinnovare l’uomo e la società: Cristo solo potrà formare di tutti i popoli un cuor solo ed un’anima sola, unirli tutti in un solo Ovile sotto la guida di un solo Pastore. Or dunque, mio caro, sia questo il primo e massimo nostro impegno: annichilire noi stessi, rinnegare noi stessi, e formarci su Gesù Cristo, e su Cristo Crocifisso per misterium Crucis. E a questa scuola formare e plasmare i nostri Chierici: non vi è altra scuola per noi, né altro Maestro, né altra cattedra che la Croce (Scr. 8,209).
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La causa di Dio e della Sua chiesa non si serve che con una grande carità di vita, e di opere: non penetreremo le coscienze, non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla chiesa, senza una grande carità, e un vero sacrificio di noi, nella carità di Cristo. V’è una corruzione nella società spaventosa; vi è una ignoranza di Dio spaventosa: vi è un materialismo, un odio spaventoso: sola la carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle. Ma ogni moto non giova, o poco giova se non ci impadroniremo della gioventù, delle scuole e della stampa: bisogna prepararci con grande amore di Dio e riempirci il petto e le vene della carità di Gesù Cristo; diversamente faremo nulla: apriremo un solco profondo se avremo una profonda carità (Scr. 20,77).
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Cari miei sacerdoti e chierici, voi dovete essere i veri soldati e i propagandisti di Dio: quelli su cui la Chiesa e il Papa maggiormente contano per le vittorie di Dio sulla anime e sulla società. Quanto noi fin qui abbiamo fatto, è nulla, è nulla è nulla: il Papa, lo avrete sentito ciò che ora mi ha scritto: dice che, a guerra finita, ora è tempo per noi di lavorare con la carità: è tempo di aprire le braccia nel nome di Gesù Cristo e di seminare Gesù Cristo nel mondo (Scr. 32,15).
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Vieni e diamoci la mano per camminare insieme alla luce che piove dalla fronte di Dio; non è bello confortarsi vicendevolmente e aiutarci per aprire vie nuove di bene ai fratelli, ai piccoli, ai poveri, ai rottami della società? Educarli alla bontà al lavoro, alla virtù? allevarli nobilmente nei sacri amori di Dio, della famiglia, della Patria? Che ideale più bello, che apostolato più necessario, più utile per la società? Ho tanto bisogno di anime che mi comprendano, che mi coadiuvano, che mi sostengano (Scr. 37,148).
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La chiesa e la società tu ben vedi che hanno oggi bisogno più che di alte intelligenze di cuori e di anime grandi e di santi: di uomini che amino Dio e il prossimo senza misura, e che non cerchino sé stessi ma gli altri, consacrandosi come vittime alla carità, che è ancora quella che ritornerà gli uomini a Dio Ma, per divenire noi tali, bisognerà che chiediamo grazia a Dio e che vinciamo tutti non nelle dignità, ma nella virtù, e che ci prendiamo su una vera e sincera umiltà, vincendo l’ambizione e amor proprio che tormenta l’anima, e ci toglie la pace interiore (Scr. 44,108).
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Abbiamo dato molti Sacerdoti alla Chiesa, figli devoti della Chiesa, e sentinelle e araldi della Fede: abbiamo dati molti buoni elementi alla Società, perché si rinnovi cristianamente e cattolicamente. Ma non siamo che alla prima ora della nostra giornata, non parlo di me ormai vecchio, ma della vita dell’Istituto nostro, che Dio misericordioso si degni coltivare, benedire e prosperare per la sua gloria e per la sua Chiesa. E noi faremo ancora molto, e molto molto molto di più, se terremo e metteremo sempre a base di tutto Dio: se cammineremo alla presenza di Dio, come tanto ci ha raccomandato il Santo Padre Pio X, nell’udienza a cui ci ammise tutti, dopo la benedizione della prima pietra della Chiesa di Ognissanti: se lavoreremo non per noi, ma per Gesù Cristo non cercando quae nostra sunt, sed quae Jesus Christi: se penseremo di consumare così in Gesù Cristo la nostra vocazione e la nostra vita, per l’amor suo! (Scr. 51,34).
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Noi non vogliamo distruggere la società come i socialisti; vogliamo curarla con una grande effusione di carità sopra tutto di Gesù Cristo con la fede e l’onesto vivere cristiano e civile, vogliamo curare il popolo per mezzo della giustizia e della organizzazione e soprattutto non trascurare i resti Ragioni per cui si sente in giro un’aria d’indifferenza, se non una sorda ostilità. Si sono raffinate tanto le armi degli avversari e noi non raffineremo le armi della fede? La società si va sempre più allontanando dallo spirito cristiano. Ebbene Gesù venne a quaerere et salvum facere quod perierat (Luc. XIX, 10) Il mondo prima veniva a noi nelle chiese, ora bisognerà cercarlo per vicos et plateas. Se il popolo non è con noi, non sarà contro di noi? Bisogna farcela salutarmente con il popolo Escludere ogni senso politico dalla nostra propaganda, appunto perché dev’essere cattolica.? Non eccitare le passioni popolari sotto colore di riforme morali e cristiane, principale nostro scopo è la conservazione della religione nei paesi della diocesi. Cercare che il popolo ritorni alla chiesa, dove egli se ne fosse alquanto allontanato, mantenga le sue pratiche religiose, frequenti la chiesa e i sacramenti, e senta ancora il suo parroco (Scr. 52,221).
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La società invoca un rimedio ai suoi mali, e, per cercarlo si getta in braccio al socialismo, il quale è dottrina materialistica che nega la religione e la morale, e va a distruggere la famiglia e la società. Si rideva 30 anni fa dell’utopia del socialismo, ma esso è divenuto una triste realtà. Molti uomini disertano le chiese, e per il socialismo rinunciano alla fede e alla vita cristiana. Si deliberò nel Signore di non stare più tristemente guardando, o fors’anco criticandoci tra noi, e di gettarci nel fuoco dei tempi nuovi per l’amore di Gesù Cristo, del popolo e del Paese. L’umanità, afflitta da tanti mali, ha bisogno di ristorarsi nella fede: ha bisogno del cuore di Gesù Cristo. Andiamo al popolo, e portiamogli Gesù Cristo (Scr. 52,222).
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Voi vivete in mezzo ad una società inferma come era quella dell’impero romano, una società languente che reclama la sua guarigione dalla Croce; la cazzuola del massone verrà infranta dal piccone del socialista. Piccone e martello sono pur, con la cazzuola e la squadra, nel verde grembiule del massone; ma, se il massone, umile in atto, il sorriso sul labbro e la maschera agli occhi, li nasconde coll’ipocrisia del cospiratore, il socialista, ritto in piedi, fremente in volto, le braccia alzate, brandisce minaccioso piccone e martello coll’audacia indomita del ribelle. E se il socialista, nella sua sfida feroce, qualche servizio pur rende, alla società sbigottita, è quello appunto di smascherare il maestro, il liberale massone. Sotto al fango dei suoi scherni e delle sue calunnie, il liberale massone ha preteso con la cazzuola seppellire la Croce e sulla tomba del cristianesimo innalzare la famiglia atea, la scuola atea, l’edificio della società senza Dio. Stolto! non ha previsto il piccone vendicatore del socialista, che fa di quell’edificio un cumulo di macerie; mentre la Croce, nella sua virtù immortale, converte quelle macerie e quel fango in un piedistallo di gloria. Senza Dio si tenta invano edificare (Scr. 53,3).
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Oggi poi è questione di vita o di morte per tante e tante anime, e per la società stessa «che, ad ogni costo, dev’essere salvata», disse il Papa; ma la società non potrà essere restaurata che in Cristo, né senza l’opera della Chiesa e dei sacri Ministri della fede e della carità. Certo, sono tempi questi che fare il prete vuol dire salire il calvario di ogni sacrificio; ma i padri e le madri veramente cristiane non devono paventare di dirigere lo sguardo dei loro figli verso gli splendori radiosi del Santuario e della Croce di Gesù Cristo, onde abbiamo i loro figli a rispondere alla grazia d’una celeste vocazione; e il nostro zelo, o caro fratello, non sarà mai impiegato più santamente che se lo volgeremo a scoprire e a coltivare nei giovani le predisposizioni al Sacerdozio (Scr. 56,130).
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La nostra età ha sognato per le vie del progresso un’era di felicità. Forte di questo miraggio la nostra società ha rigettato il Crocifisso, ha rigettato la Chiesa. Ma la nostra società, (tutti lo) sentiamo, continuando così, va (galoppando in completa) ruina. E tanto l’ha ridotta la sua superbia, la sua apostasia dalla fede. Ritorniamo a Dio! Rifacciamo il cammino. Bisogna riedificare quanto si è atterrato, ricostruire quanto si è distrutto, rimettere in onore gli ideali e le eterne verità su cui posano la felicità dei popoli; la pace e la grandezza della società. Bisogna ritornare a Dio, fonte e principio di ogni benessere, di ogni ordine, di ogni morale e civile grandezza (Scr. 56,224).
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La società è in pericolo perché l’oro non è pure una forza, è un idolo che ormai tiene luogo di tutto: di fede, di religione, di onore. La società è in pericolo perché la disonestà allaga, spegne le intelligenze, infiacchisce la gioventù. La società è in pericolo; vuole indipendenza da ogni autorità: omai regna l’orgoglio, l’insubordinazione, la ribellione negli spiriti. Per allontanare questo triplice pericolo il mondo ha bisogno di vedersi innanzi le virtù opposte. Ebbene, eccovi gli eremiti! Quale predica e quanto efficace non faranno ogni giorno questi servi di Dio, mostrandosi nei loro costumi e nella pratica della vita così diversi dagli altri! (Scr. 61,20).
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Avanti che la croce sorgesse nel mondo, regnava la barbarie e la schiavitù: abbattetela questa croce benedetta, calpestatela, fatela scomparire dalla faccia della terra e sapete, il ragazzo d’oggi, che sarà domani? Sarà la belva della foresta sociale! Ma, o Signori, se le scene di sangue di ieri e l’avvenire fosco e trepidante di domani rabbrividisce e spaventa, consolatevi o redenti di Cristo a salvarvi, dalla società dell’odio sorge nei vostri figli la società dell’amore. La gioventù è l’avvenire della società; i vostri figli fra vent’anni saranno gli uomini saranno la società. Salviamo la gioventù, educhiamola e salveremo la società (Scr. 64,269).
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Non siamo di quei catastrofici che credono il mondo finisca domani; la corruzione e il male morale sono grandi, è vero, ma ritengo, e fermamente credo, che l’ultimo a vincere sarà Dio, e Dio vincerà in una infinita misericordia. Dio ha sempre vinto così! Avremo novos coelos et novam terram. La società, restaurata in Cristo, ricomparirà più giovane, più brillante, ricomparirà rianimata, rinnovata e guidata dalla Chiesa. Il Cattolicesimo, pieno di divina verità, di carità, di giovinezza, di forza sovrannaturale, si leverà nel mondo, e si metterà alla testa del secolo rinascente, per condurlo all’onestà, alla fede, alla civiltà, alla felicità, alla salvezza. Una grande epoca sta per venire! Ciò per la misericordia di Gesù Cristo Signor Nostro e per la celeste materna intercessione di Maria Santissima (Scr. 70,3d).
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Bisogna lavorare con fede, con entusiasmo, con ardimento e perseverante tenacia. Sradichiamo con un lavoro indefesso, non dirò no la zizzania, ma la diffidenza: la società presente è afflitta da tanti mali, come non correremo a salvarla, a confortarla dandole Gesù Cristo, giacché la società futura sarà di chi avrà più lavorato per il popolo? Cras, cras, corvinam vocem, diceva Sant’Agostino: facciamo subito, che urge. Nuova tattica pei nuovi bisogni: preghiera, forma popolare, azione pronta (Scr. 89,276).
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Perché non rinnoviamo sempre la società, perché non abbiamo sempre la forza di trascinare? Manca la vita spirituale che ha insita tutta l’aspirazione al vero e al progresso sociale, manca la fede. Ecco la piaga. Bisogna rinascere a nuova vita, a vita di fede divina, vera e profonda e lavorare secondo lo spirito della Chiesa per un umanità migliore alla luce alta e consolante della fede. La preghiera che è necessario fare è questa: «Signore, accresceteci la fede! » Noi solo potremo ancora rinnovare l’umanità e restaurare in Cristo e l’Italia e il mondo se avremo più fede, se di fede respireremo e vivremo (Scr. 80,184).
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Tutto era stato da Cristo stabilito in sentenze chiarissime: la libertà dell’uomo, la sua responsabilità, l’immortalità dell’anima, la risurrezione dei corpi, la retribuzione, la pena ai malvagi ostinati: tutte le verità che noi chiamiamo dogmatiche. E tutto l’insegnamento delle verità morali che reggono la società è la sapienza divina di Cristo che ce l’ha dato, sicché la società nostra a questo riguardo, è cristiana, talora a sua insaputa e fin suo malgrado. Basta leggere il discorso della montagna, esso è come lo statuto di tutto il cristianesimo. Non dico che alcune verità insegnate da Gesù non fossero nello spirito umano o nelle tradizioni religiose dei popoli, specialmente nella legge e rivelazione degli Ebrei, ma guai se Cristo non vi avesse gettato sopra la sua luce! (Scr. 86,94).
Vedi anche: Cristianesimo, Ex allievi, Famiglia, Instaurare omnia in Christo.
Società Libraria Editrice
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Colla festa di San Giuseppe si apre in Tortona, presso la piazzetta di S. Michele e in prossimità della edicola dei giornali cattolici, una Libreria Editrice. Essa assume il nome di Società Libraria Editrice, perché impiantata e amministrata da una società di ottimi signori, della quale mi onoro far parte. I componenti la Società si propongono: a) di offrire, specialmente al nostro rev.do clero, nel centro della diocesi, comodità di trovare tutte le novità librarie che offre giornalmente la stampa religiosa, e anche quegli articoli religiosi che spesso occorrono al sacerdote per la sua chiesa e per il bene del popolo a lui affidato, come arredi sacri palme di fiori, statue religiose, medaglie, corone, ecc.; b) fare del bene nella diffusione, a modico prezzo, di libri morali e di sicura dottrina, e agevolare così la propaganda della buona stampa; c) dare lavoro e pane onorato a poveri fanciulli e ad orfani raccolti, coll’aiuto del Signore, nella Casa della Divina Provvidenza. Io so bene, e non lo dimenticherò mai, quanto i buoni e specialmente il ven.do clero mi furono sempre larghi di generosa bontà. È per questo che, piena l’anima di gratitudine e di fiducia, mi rivolgo anche oggi a tutti, perché vogliano aiutare la nuova libreria, sicuro che essa farà del bene: che accontenterà e per la produzione libraria, e per la mitezza dei prezzi, e pel sollecito servizio. La Società Libraria Editrice, nella speranza di essere onorata di suoi ambiti comandi, mi dà il gradito incarico di riverirla (Scr. 61,75).
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Gent.mo Signore, Abbiamo pubblicato l’opuscolo Le alte classi sociali ed il Sacerdozio del Rev.mo Padre Le–Floch – Superiore del Seminario Francese di Roma. È la prima traduzione italiana di questo forte lavoro che venne onorato con lettera autografa di Sua Santità Benedetto XV e da lettere degli Eminentissimi Signori Cardinali Billot e Ferrari di Milano. Inviamo copia di questo nostro lavoro in omaggio e Vi saremo grati se vorrete farne cenno sul vostro stim.mo Giornale. Il prezzo è di £. l. Se codesta Spett. Libreria credesse di averne un dato numero di copie in deposito, per il prezzo è di L. 1 e su questo Vi facciamo lo sconto del 25%. Con ossequio per la Società Libraria Editrice di Tortona (Alessandria) (Scr. 100,176).
Vedi anche: Propaganda, Tipografia San Giuseppe, Ufficio stampa.
Società San Vincenzo de’ Paoli
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Prego vostra Eccellenza di degnarsi darmi il permesso e la benedizione per ricostituire in Tortona, con l’aiuto che spero dal Signore, la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli. Saremo in pochi, per ora, in quattro o cinque, e forse non di più, ma confido che Dio ci assisterà quanto più l’opera nascerà umile e il bene resterà nascosto. Quando la cosa sia un po’ avviata, verremo ai piedi di vostra Eccellenza ed ella ci conforterà della sua parola e benedizione. La Conferenza di San Vincenzo fece già tanto bene a Tortona, sino a una decina di anni fa. Che Dio ci aiuti a farne ancora del bene, e a farne tanto! Seguendo lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli, cercheremo di assistere materialmente e moralmente i poveri, constatandone i più bisognosi e nascosti, e dando alla carità il suo alto e illuminato compito sociale e cristiano (Scr. 45,118).
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La Conferenza di san Vincenzo, di recente ricostituita in Tortona da Sua Eccellenza Rev.ma Monsignor Vescovo che si degnò di accettarne la Presidenza ad honorem, sarebbe lieta se Vostra Signoria volesse farvi parte, almeno quale Socio onorario. Come Ella conoscerà, la Conferenza di San Vincenzo ha specialmente per scopo la visita alle famiglie più bisognose della Città, e la carità morale e materiale alla povertà vergognosa. Essa non è una Confraternita né una Congregazione pia; ma una Associazione che desidera dare alla beneficenza un compito cristiano e sociale, aiutando i nostri poveri a rendersi migliori e come credenti e come cittadini. La carità che la Conferenza vuole esercitare non è che il grande precetto del Signore, è quella divina carità che non vede partito. ma che solo cerca di unificare e di edificare in Gesù Cristo (Scr. 83,2).
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L’orizzonte della nostra società non ha confine... abbraccia il giovane ed il vecchio... il nuovo e l’antico emisfero. Niuna opera fu mai estranea alla Società di San Vincenzo e ciò fu perché essa è cattolica, è solamente cattolica, è francamente ed intransigentemente cattolica... ciò fu perché si mantenne cattolica, di quel cattolicesimo che non è sterile ed unilaterale nel bene ma infinitamente molteplice quante sono le sventure della vita, di quel cattolicesimo che è dottrina universale del mondo. Non è quindi a meravigliare se dalla Società di San Vincenzo sorsero i campioni di saggezza cattolica che onorarono la Patria nostra, non è a meravigliare se ella fu quella scintilla che suscita il santo incendio dell’azione cattolica. Dai poveri si passò agli ammalati, agli infermi, al patronato dei giovani... e dalla stampa alla fondazione di biblioteche. Guidati dall’esperienza e benedetti dal nostro pastore ogni anno, vegga nascere fra noi una nuova idea, vegga attuarsi una opera nuova a salvezza delle anime e in aiuto a quell’apostolato che non si appaga facilmente di quanto ha fatto. Carattere inerente alla nostra Associazione è la semplicità (Scr. 88,2).
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Oh, quanto è grande la santa fede, che distacca dalle cose della terra, destinate tutte alla morte e fa vivere nel Dio di tutte le consolazioni! Io, ogni volta che vado tra me ricordando la fede così viva di Suo marito, fede che ci si vedeva sempre, ma specialmente in quella benedetta Conferenza di San Vincenzo che per me, chierico allora, fu una grande scuola ed esempio di carità e di fede vera, mi sento come ristorare l’anima; e non posso lasciare di benedirlo, perché mi ha fatto del bene, e mi ha fatto del bene perché fu uomo di fede. Consoliamoci dunque oggi in questa fede, e per essa Dio sia da noi benedetto senza fine! (Scr. 111,167–168).
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Quando ero chierico frequentavo la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli che si teneva in una piccola stanza, che è all’ingresso del cortile della Parrocchia di Santa Maria Canale. Ora forse non esiste più. Il Presidente di allora era il padre dei Perosi. Egli proprio in questo mese di dicembre, leggeva al principio della Conferenza, un grande e ammirabile discorso sulla Immacolata, che fu come una grande luce alla mia mente. E mi fece un grande bene! Inoculò nel mio petto un grande amore per la Immacolata (Par. IX,469).
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Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli Domenica 20 gennaio 1918. Nella sala soprastante l’atrio dell’oratorio di San Rocco in Tortona, gentilmente concessa, si è riunita oggi alle ore 5 pom. la Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, di recente ricostituita in Tortona da Sua Eccell. Rev.ma Mons. Vescovo. Erano presenti: il Rev.mo sig. Can.co D. Lorenzo Ratti, il sig. Lorenzo Anfossi, sig. Inglese Raffaele, sig. D. Quan, sig. Stassano Domenico, sig. Francesco Bajardi, sig. Giovanni Musso, Farmacisti, sig. Giovanni Rognoni, sig. Giuseppe Ghisolfi, sig. Manassa Giovanni, sig. Egidio Vezzulli, Signor Giovanni? nonché il Sac. Orione Luigi. Recitata la preghiera dal Rev.mo sig. Can.co Don Ratti, Assistente Ecclesiastico, vengono nominati per acclamazione a Presidente il sig. Anfossi Lorenzo, a Vice Presidente il sig. Farmacista Francesco Bajardi, a Tesoriere il sig. Giuseppe Ghisolfi ed a Segretario Giovanni Manazza, che accettano. Si è fatta la consueta lettura che determinò chiaramente lo scopo della Conferenza di San Vincenzo. Si stabilisce poi d’inviare lettera con preghiera di iscriversi a membri onorari della Conferenza alle persone di Tortona più distinte per sentimenti di religione e di carità. Indi il Rev.mo Canonico Ratti disse la preghiera finale, e la Conferenza si sciolse (Scr. 74,57).
Vedi anche: Anticlericalismo, Carità, Divina Provvidenza, Poveri.
Sofferenza
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Mi sembri nel tuo spirito tribolato e tentato, io voglio invocare su di te uno speciale conforto e una speciale benedizione da Dio. E paternamente ti esorto a ricorrere a Lui, che è il Dio di ogni consolazione, in ogni tua tribolazione, perché Egli ti dia aiuto e te la rivolga in bene. Abbiamo nei Salmi tante e tante sante espressioni che ci aprono il cuore a Dio nelle ore delle prove e del nostro travaglio: «Adiuva me, Domine Deus meus» «Complaceat tibi, Domine, ut eruas me» – Sono dai Salmi Ma il Santo Vangelo ci ricorda le divine parole del Signore al Padre celeste nell’ora più dolorosa dell’abbandono e del sacrificio: «Nunc anima mea turbata est. Et quid dicam? Pater, salvifica me!... Pater, clarifica Nomen tuum!». Ma la più alta e divina parola di conforto e insieme di totale abbandono e invocazione sta nel Pater Noster. Meritiamo, pur troppo d’essere e tribolati ed afflitti, ma Fiat voluntas tua! Si sa e si sente che la mano onnipotente di Dio, che ci è Padre non ci abbandonerà nella Sua paterna e divina bontà e Provvidenza, e basterà a levarci dalla tentazione e a mitigarne l’impeto, se noi umilmente Lo invochiamo, e a consolarci nelle ore grigie, nei turbamenti dello spirito, nel giorno della tribolazione: Bonus Dominus et confortans in die tribulationis (Scr. 4,238).
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Coraggio! caro Don Adaglio, siamo quaggiù per espiare, per farci dei meriti, uniformandoci specialmente nelle sofferenze, alla volontà di Dio, che sa il nostro meglio. Cerchiamo il regno di Dio, e Dio, che ci è Padre, penserà a noi. Egli ci ama e ci ha dato e ci dà nella sua grazia una consolazione eterna! (Scr. 5,330).
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Ti conforto a portare la tua croce, poiché è attraverso molte tribolazioni che ci bisogna entrare nel Regno di Dio. Con la divina grazia e per la divina grazia non solo crediamo a Gesù Cristo, ma anche soffriamo per Lui e con Lui. Tutto potremo in Lui, che ci conforta. Ti consolino, caro D. Adaglio, le parole di Gesù: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e sotto un grave peso, e io vi darò riposo!” Io prego per la tua guarigione, ma perché anche la malattia ti valga a merito ti consiglio a metterti nelle mani del Signore e della Madonna e a prendere tutto per la santificazione della tua anima (Scr. 5,400).
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Le tribolazioni, le mortificazioni, le croci, che ci manda il Signore o che il Signore permette sono prove infallibili del suo amore. Noi saremo come Gesù ci vuole, e veri seguaci di Gesù Cristo solo se porteremo la croce come Lui e con Lui. Anche le mortificazioni che ti tocca sopportare, caro Don Adaglio, da codesta Superiora, prendile dalle mani di Dio, pensa che sono vere grazie di Dio e che possono e devono fare un grande bene alla tua anima. Bisogna avere sempre dinanzi agli occhi l’esempio dei Santi, ma specialmente di Gesù Cristo; le mortificazioni che ci tocca di patire ce le manda Dio in bene e a santificazione vera delle anime nostre; convieni quindi baciare la mano che ci percuote, e baciarla nell’atto che ci percuote e che sentiamo più vivo il dolore. E la mortificazione nel nostro spirito è proprio la più importante, la più cara a Gesù (Scr. 5,451).
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Io prego ugualmente il Signore di farti sentire in queste pagine che ti scrivo tutto l’amore, tutto l’affetto, tutta tutta la bontà che sento per te, tutta la pena che sento per te, per quello che hai sofferto e per quello, o figlio mio, che soffri; io prendo parte alle tue pene, alle tue tribolazioni interiori ed esterne tanto, tanto, tanto: molto molto più di quanto tu non pensi, di quanto tu non credi (Scr. 5,455).
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Aspetto altri morti e molti altri dolori, a purificare la mia vita: prega che queste prove e altre sofferenze e ostilità tutto serva ad umiliarmi e farmi amare N. Signore e la Santa Chiesa, tanto più che certi dolori vengono da persone di Chiesa e da quali persone! (Scr. 5,538).
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Non ci spaventino le prove, non le tribolazioni e, non i dolori: alle anime e alle opere che Dio ama, moltiplica tribolazioni e dolori. Le opere del Signore tutte, o quasi, nascono tra il dolore e si fortificano nel dolore; e i dolori più profondi fanno le gioie più alte e più sante. Solo dobbiamo saper nascondere le nostre lacrime nel Cuore aperto di Gesù Crocifisso, e cercare di cavarne emendazione sincera ed umile di vita, e utilità con virtù religiose; e specialmente da questi segni, da queste morti, da queste chiamate di Dio vediamo di comprendere bene e interiormente ciò che Dio vuole da noi e dalla nostra umile Congregazione (Scr. 6,150f).
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Dio ti benedica in eterno, o figlio mio, e la SS.ma Vergine ti faccia sempre più amare le tribolazioni e i patimenti, perché il patire è la via che ci conduce al Paradiso, quella per cui vi sono andati i Santi (Scr. 8,12).
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Pregate e abbiate fede! La fede ravviva, anche nel dolore e nelle infermità, la bontà di Dio. Il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene infinitamente maggiore della sanità e della vita. Siate rassegnati e uniformati alla volontà di Dio: sia il Signore la vostra speranza e il vostro divino conforto! E la SS.ma Vergine assista come Madre celeste, e aiuti spiritualmente la povera inferma (Scr. 9,163).
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Le tribolazioni dobbiamo sostenerle con pari rassegnazione, forza e costanza: non scoraggiarci, non sbigottirci, molto meno avvilirci o cadere in accasciamenti e languidezza: la fiducia in Dio è il balsamo di tutti i mali, e la nostra fede è la nostra vita e la nostra vittoria. Facciamo tutto quello che si può, e poi avanti in Domino! ricordiamo che il Signore patisce egli stesso con noi, ci trarrà fuori da ogni fossa di leoni, da ogni patimento, e ci glorificherà. Non ha don Pensa la corona del Rosario? Non ha il Tabernacolo? Non ha il Breviario ed i Santi Evangeli? Non ha Gesù, e Gesù Crocifisso? Oh bella, adesso, che proprio un don Pensa non pensi che con le tribolazioni Dio ci fa prendere sperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui e in Lui interamente ci abbandoniamo? Confortatemelo, ditegli che prego per lui sempre, Gesù ci ama e vuole farci più suoi e della Santa Chiesa, perciò Gesù ci prova (Scr. 19,219).
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Il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene infinitamente maggiore della sanità. Nessun miglior tempo, o mio caro Bartoli, per esercitare la pazienza e l’umiltà, che quello nel quale siamo infermi. L’aurea indifferenza e l’abbandono alla santa volontà di Dio è la più gran prova d’amore che si può dare al Signore. L’unico sollievo ad ogni nostro male è il pensare ai patimenti sofferti da Gesù Cristo. L’amore di Gesù cristo e l’amore a Gesù Cristo sono, credilo, o figlio mio, le due vene della consolazione nostra in ogni pena, in ogni dolore fisico o morale della vita. La SS.ma Vergine, che divenne nostra Madre in mezzo alle pene e alle agonie del Calvario, ci conforti nel nostro patire, e santifichi ogni nostro dolore (Scr. 22,221).
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Del resto tu sai, caro don Fiori, che la maggior grazia che il Signore ci possa fare, è di farci patire qualche cosa per amor suo. Nei patimenti Egli vuole che ci riconosciamo il suo amore: sono essi che purificano e santificano le anime nostre. Non dobbiamo ingrandire coll’immaginazione le nostre sofferenze, ma pensare che moltissime persone soffrono, in ogni momento, più di noi, e nelle diverse parti del mondo, e senza i conforti morali che noi abbiamo, e allora vedremo che il Signore tratta noi assai dolcemente, al paragone (Scr. 24,271).
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Coraggio, caro don Serra, permettetemi di dirvi di voler ravvisare negli incomodi di salute e della vecchiaia un regalo del Signore. Nelle sofferenze corporali e nei disagi propri di chi fa vita povera e religiosa, troveremo un bene infinitamente maggiore della sanità e di ogni comodità che il mondo ci poteva offrire (Scr. 33,169).
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Ravvisiamo, anche nel dolore e nella tribolazione temporale, l’amorosissima bontà di Dio: ché il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene infinitamente maggiore della sanità; e permette dolori morali oggi, per impedire disinganni profondi e fatali per il domani della vita (Scr. 38,189).
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Sento che v. signoria è tutt’ora sofferente: oh la bontà di Dio nelle sofferenze e nelle tribolazioni! Nessun miglior tempo per esercitare la pazienza e l’umiltà che quello nel quale siamo infermi. Tuttavia voglio dire alla Madonna che non guardi a me misero, ma che dia a vostra signoria un po’ di sollievo. Il più grande sollievo però ai nostri mali o così detti mali, è sempre il pensare ai patimenti sofferti da nostro Signore Gesù Cristo crocifisso (Scr. 41,36).
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E lei perché si affligge, mentre il suo bambino è tanto felice, e se ne sta con la Madonna? Sarebbe più felice su la terra? No! Che è la vita? Domani saremo anche noi con il nostro Dio, e lei riabbraccerà per sempre e vivrà con il suo bambino, per sempre; e la felicità sarà piena perché vi sarà anche lui, il suo sposo. Gesù è buono, e non fa le cose a metà. Forse ci voleva questo dolore, cristianamente sofferto, per elevare lui sino al figlio, e anche per lei. Dunque si conforti nel Signore, che ci chiama sempre nell’ora più opportuna per la nostra felicità eterna e ai fini della sua gloria (Scr. 41,216b).
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Nei dolori la sua fede non veda che un decreto di bontà. A chi il Signore vuol dare più segni d’amore manda delle tribolazioni che li stacchino a forza dalle cose loro più care. Ma coraggio, o figliola di Gesù Cristo, sempre avanti con coraggio: tutto, e gli acquisti e le perdite sono grazie e doni, se per lume di fede conosciamo la mano onde vengono (Scr. 41,199).
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I Santi amavano le afflizioni e anelavano di patire di qui con N. Sig.re Gesù crocifisso, trasformando i dolori in amore di Dio – per la grazia di Dio benedetto – sapendo che l’afflizione alla luce del Signore produce umiltà e abbandono nel Signore: produce speranza e confidenza tenerissima in Dio, distacca sempre più dalle cose ingannevoli di questo mondo e ci fa tutti e solamente di Dio. Dobbiamo considerarli come il trofeo della gloria e della misericordia di Gesù Cristo Signor nostro (Scr. 47,20).
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Le sofferenze ci fanno conoscere il nostro nulla; e senza il patire saremmo sempre dei miseri. Nei patimenti il Signore vuole che riconosciamo il suo amore: con essi egli viene a purificare e santificare le anime nostre. Oh il tesoro che è nascosto nel travaglio, nel dolore, nel patimento! è tesoro di merito infinito (Scr. 47,46).
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Miei cari, anche l’umana sapienza ci insegna che i dolori più fondi ci danno le grazie interiori più alte, e, come senz’acqua non fiorisce la terra, così l’anima senza lacrime non fiorisce agli occhi di Dio. Senza forza d’animo e senza sacrificio e senza soffrire, senza croce, non c’è virtù. La croce in algebra, in politica e in religione è il segno del positivo. Dio e il prossimo si amano in croce! Dio e il prossimo si amano e si servono in croce! grande verità! E sappiate nascondere le vostre lacrime nel seno della Vergine Addolorata, e versatele quale balsamo sulle piaghe di Gesù crocifisso: sarà un balsamo ben più prezioso e più gradito di quello che gli portava al sepolcro la Maddalena. Chi cela il dolore è migliore di chi nasconde la gioia! Chi ama veramente Dio, ama patire per l’amore di Dio: Santa Teresa non diceva: aut pati aut mori? E chi è uso a patire è uso a tacere. Chi poco sa tacere, poco ha patito, poco sa patire, poco sa amare Dio e gli uomini (Scr. 51,26).
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Caro Monsignore, ella bene m’insegna che nelle tribolazioni, che il Signore ci manda o permette, Egli vuole che ci rendiamo più buoni e simili al suo divin figliuolo Gesù Cristo: vuol provare la nostra fedeltà, vuole esercitare la nostra virtù, purgando insieme, quasi con il fuoco, le nostre imperfezioni e le anime nostre. Ci fa prendere esperimento di noi stessi, della nostra miseria e nullità, perché, persuasi di ciò, ci rivolgiamo a Lui, e in Lui interamente ci abbandoniamo (Scr. 51,187).
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Confidate nel Signore e nei dolori e non vi disperate, che il Signore vi sta vicino come una madre e conta tutte le vostre pene e sofferenze e, per mezzo dei dolori e della tribolazione vuole purificare la vostra vita e darvi il santo Paradiso. Quanto l’uomo con pazienza soffre, e sostiene le malattie pazientemente per l’amore di Dio, tanto è grande presso Dio, e non più; e quanto l’uomo è più debole a sostenere i dolori e le avversità, tanto è minore presso Dio (Scr. 59,226).
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Dio certo si vuole servire di questa grave tribolazione per provare la sua fedeltà a lui e per esercitare la sua virtù, purgando con il fuoco di codesta lunga tribolazione le sue imperfezioni. Il Signore fa sempre così: si serve dei mali della vita e delle affiliazioni della natura per purificare le nostre anime dai loro difetti. Serviamo il Signore anche nel dolore! Ella non lasci di raccomandarsi sempre al Signore: frequenti i Sacramenti per averne forza e rassegnazione, e metta la sua causa nelle mani di Dio: la confidenza in Dio è il balsamo di tutti i mali. Solo in Gesù troverà conforto, tranquillità di spirito e pace al cuore (Scr. 63,183).
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Beate le afflizioni e le molte tribolazioni se per esse ci sarà dato di entrare più sicuramente e più innanzi nel bel Paradiso! Voglio dire che se queste Sue tribolazioni La distaccano di più dalla terra per farle desiderare di più il Cielo: se Le fanno amare di più Gesù Amor Nostro, le abbracci e le tenga care, e ne benedica ad ogni ora la bontà di Dio. Preghiamo e lavoriamo umilmente e silenziosamente la nostra santificazione, soffriamo per amore di Gesù e della Chiesa, e lavoriamo lo stesso, tacendo e amando chi ci fa tribolare (Scr. 67,95).
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Sentiamo di camminare su spine, e su spine dolorosissime, ma guardiamo in alto, e andiamo avanti: anche le spine e tra le più gravi tribolazioni, silenziosamente e pregando, per ignem et aquam sempre avanti in Domino, sempre avanti! Non abbiamo di mira che la gloria di Dio e il bene delle anime (Scr. 72,44).
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Ho avuto dei grandi dolori, dei grandi dolori, in questi giorni, pareva che mi si strappasse il cuore, ma sono ben lieto dacché capisco che non su tutte le fimbrie della mia anima vi era impresso Gesù Cristo Crocifisso. Il Signore mi va così convertendo dolcemente a sé, e distaccandomi da tutte le creature, che io ritenevo di amare in Lui e di crescere per Lui, mentre invece comprendo che non dovevano essere tutto oro puro (Scr. 72,62).
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Tutti stiamo pregando per la tua salute, e si prega in tutte le case, pieni di fede e di fiducia, e aspettiamo la grazia della Madonna SS.ma Tu non potrai pregare, ma offrirai al Signore le tue sofferenze, e ponile insieme a quanto Gesù ha sofferto per noi, e ne avrai grande merito: nessun miglior tempo per esercitare la pazienza che quello nel quale siamo infermi. Quando non si sta bene, non si può lavorare, ma basta rassegnarci alla volontà di Dio, e acquisteremo ugual merito e forse anche più che non ci è dato di raccogliere con la fatica, un merito sovente più prezioso e anche più sicuro, perché ci mantiene nella umiltà e nella fede (Scr. 74,128).
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La maggiore tribolazione di un figlio della Divina Provvidenza sarebbe il non avere tribolazioni. Le tribolazioni che il Signore permette, o manda, sono sempre una grande misericordia, che ci usa per limarci e per farci maggiormente suoi (Scr.75,59).
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I dolori più fondi fanno le gioie più alte e più sante. Più azioni generose e caritatevoli ha ispirato il dolore che la gioia. Senz’acqua non fiorisce la terra, né l’umile Congregazione nostra senza lacrime. Io da più giorni non posso pregare, ma gemo, ma confido nel Signore, che questo gemito, voltato in su, sia preghiera potente (Scr, 79,276).
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Tribolazione e nei dolori per espiare il male, per stimolarci al bene, per rinascere e moltiplicarci nella carità umile, per vivere e fare la carità caritativamente. La croce del dovere e del sacrificio Teneri e ardenti nella pietà (Scr. 84,223).
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Noi non vediamo che una parte della nostra esistenza, quella che si distende dalla vita presente, ma essa si distende ben di più nella eternità. Il Signore ora pota me, ora pota lei, ora pota un altro. Le tribolazioni e le malattie sono le potature di Dio. Dio ci ama e tutto fa per amore, ci viene purificando per la vita eterna (Scr. 102,113).
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Ah! sì, ecco il segreto di “sovrabbondare di gaudio” in mezzo alle tribolazioni più amare, sotto il peso delle croci più grevi e spinose –: l’essere persuasi che tutto, tutto è rivolto da Dio al bene di coloro che si abbandonano fiduciosi al suo beneplacito – che la sofferenza, di qualunque specie ella sia, è sempre proporzionale alle forze nostre, al grado di distacco, di riparazione e d’espiazione necessario a ciascun anima. Questa persuasione che è una delle più pure e durevoli gioie della terra, formerà uno dei più inebrianti nostri rapimenti nella seconda vita, allorché nella luce della visione beatifica scopriremo quali furono i moventi segreti della misteriosa azione di Dio sull’anima nostra e nel mondo (Scr. 104,173).
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Se verranno tribolazioni e persecuzioni, benediciamone il Signore: esse vengono a noi come a servi del Signore, per nostra emendazione e purificazione, e non per nostra perdizione. Noi cerchiamo di stare con Dio e con la Chiesa, umilissimi sempre; riposiamo nelle braccia della Divina Provvidenza, come il bambino sul seno di sua madre. Resistete alle tentazioni ed allo scoraggiamento: non sono da Dio: state perseveranti e fedeli alla vostra vocazione, alla vostra Congregazione. Vi prevengo che non abbiamo ancora incominciato a patire: il buono viene adesso, ma Gesù e la Madonna saranno con noi (Lett. II,239).
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I dolori della vita ci sono dati per far penitenza, sono richiami ad una vita più buona. Guai se l’uomo non avesse da soffrire! Le malattie, le avversità, i dolori servano ad umiliare il suo orgoglio; se non ci fossero, egli si solleverebbe contro Dio. Quante anime orgogliose, superbe, sono tornate a Dio dopo un grande dolore, dopo una grave malattia! Facciamo penitenza, e ringraziamo Dio dei dolori e dei mali che ci manda (Par. I,160).
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Cercate di avere un cuore pieno d’amor di Dio, e così porterete una pietà vera anche nei vostri uffici, una pietà con cui non ha spine il dolore, ma che vi consola nelle vostre pene, nei vostri dolori, nelle vostre spine; la pietà farà venir dolce ciò che è amaro (Par. II,31).
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Il rinnegamento di noi è nel fare continuo sacrificio, fare della nostra vita un olocausto di amore, felici di offrire le nostre pene, i nostri dolori al Signore, in espiazione dei nostri peccati e per dar gloria a Dio e salvare le anime, se il Signore ci destina a fare un po’ di bene con la sua santa grazia (Par. II,121s).
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Da qualche anno, fin dagli ultimi giorni prima della mia andata in America, in questa Casa e nelle altre Case della Congregazione, si recita una Salve Regina perché il Signore ci voglia far partecipi delle sue sofferenze, perché ci renda partecipi dei suoi dolori e, nello stesso tempo, ci voglia dare la grazia della pazienza, della rassegnazione e della uniformità alla sua volontà: e più che pazienza e rassegnazione, ci dia uniformità al suo divino volere (Par. XI,306).
Vedi anche: Croce, Disciplina (religiosa), Fortezza (virtù), Mortificazione, Privazioni, Sacrificio, Sette “effe”, Straccio (spiritualità dello).
Solari Stanislao (sistema agronomico)
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Quando in Italia si diffuse il Sistema Solari, uno di noi ne fu così preso, così infatuato che ritenne che ogni altra cosa fosse da abbandonarsi e credette che il Sistema Solari fosse il toccasana della società: una specie di nuova e divina rivelazione fatta da Dio agli uomini: non esagero: si diceva e si stampava proprio così. Quel nostro tanto caro e amato fratello riteneva anche che in pochi anni il Sistema Solari avrebbe trasformato addirittura il mercato del mondo; e, migliorate le condizioni materiali, tirati gli uomini a migliore vita morale e cristiana. Egli aveva il fervore di un neofita e correva correva con l’entusiasmo d’un fanciullo. I libri solariani dicevano quello quindi doveva essere così. Senza dirmi una parola, comprò una cascina, Buffalora su tante cambiali in bianco, ritenendo, in qualche anno, di pagare quella e di comprarne altre e di moltiplicare il bene e creare istituzioni benefiche per la gioventù povera. Il fine era rettissimo e lo spirito infervorato, sino però a non ragionare più, in certe cose. Dio mio! che pena per me in quegli anni! Io visitai Solari, avvicinai ripetutamente don Baratta e presi i suoi libri: andai a Remedello a visitare la Colonia Agricola di Bonsignori – altro grande solariano e presi i suoi libri: senti altri: mi parve che ci fosse dell’esagerazione e, in qualcuno fin un po’ di fissazione e di mania. Ciò che Solari diceva in una data formula, molto già si praticava al mio paese, fin da quando io andavo a lavorare in campagna, per cognizioni già diffuse e per l’esperienza di secoli. Basta: il Sistema Solari portò quel nostro confratello a dividersi per prendere due altre cascine una a Godiasco e l’altra a Brignano Curone, oltre la prima. Tutte finirono e Dio sa che figura moralmente si è fatto e i debiti che si dovettero pagare! Cosa fanno mai le fissazioni! allora tutto doveva essere a Sistema Solari e si spregiava tutto ciò che non era o in cui non c’entrava almeno un po’ del Sistema Solari. In seminario di Tortona si giunse al punto che, alla vigilia dell’Immacolata, per preparare i chierici a quella dolce solennità, si fece ai chierici una conferenza sulla coltivazione a Sistema Solari e sui concimi! E, quasi ciò non bastasse, se ne parlò fino nel panegirico della Madonna! Ora sembrano cose incredibili, ma, a quei tempi, non si sarebbe stati buoni sacerdoti, se non si fosse solariani. Quanti di quei chierici sono ora solariani? Che ne è di quel Sistema? Esso ha, certo, la sua parte buona, molto buona, ma siamo sereni, ma non ha cambiato – e tutti lo vediamo – la faccia del mondo (Scr. 29,43).
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Quanto al resurrexit per i poveri contadini di Sicilia per mezzo del Sistema Solari, assicuro pure che don Albera si troverà costà a suo posto per i momenti dell’attuazione del progetto. Ringrazio v. Eccellenza del cenno che ha voluto farne nella sua lettera pastorale, Gesù benedetto la ricompensi di tanta benemerenza (Scr. 48,146).
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Se Lei è amico con il Sig. Prefetto gli dica che promuova più che può le Colonie Agricole a sistema solari per la gioventù abbandonata e sarà un gran bene per il popolo e per la Religione (Scr. 79,238).
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Opera della Divina Provvidenza Colonia Agricola a Sistema Solari con Scuola Pratica di Agricoltura e allevamento di bestiame diretta dagli Eremiti dell’Opera. Il 1° settembre di quest’anno l’Opera della Divina Provvidenza assume d’impiantare una Colonia Agricola con Scuola Pratica a sistema Solari per allievi interni ed esterni, nei terreni proposti da Monsignor Vescovo di Orvieto [Domenico Bucchi Accica]. 1° – L’Opera della Divina Provvidenza dovrà provvedere: a) Un direttore religioso capo; b) un numero adeguato di coadiutori, i quali siano bastanti per dare un’istruzione razionale agraria, secondo il Sistema Solari, ai giovinetti affidati (Scr. 84,21).
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Io sono ben lieto che a Monte Mario venga attuato il Sistema Solari–Bonsignori: si fa già in altre nostre Colonie anche al Brasile e da noi quasi da per tutto, benché io vi dissenta in qualche cosa e non sia un feticista del Solari che conobbi personalmente e del quale visitai le terre; come fui amico grande di don Baratta e visitai pure Bonsignori a Remedello (Scr. 101,99).
Vedi anche: Colonie agricole.
Sordomuti
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Più i poveri crescono e più Gesù ci pensa. Vedessi quante miserie e insieme quanta felicità! I re nei loro palazzi non sono più felici dei nostri storpi, ciechi, epilettici, sordomuti e delle nostre povere deficienti e vecchie malate. Domenica fui a Genova in mezzo a tanti bambini e bambine, orfanelle e derelitte, tolte dalla strada e peggio. Se avessi veduto che felicità e quanta gioia in quei piccoli innocenti. Nessun figlio o figlia di re poteva essere più contenta! (Scr. 7,327).
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Nei passati giorni venne la Superiora delle Figlie della Carità di questo ospedale a parlarmi delle sordomute di Carignano con una lettera di quella Superiora, che chiedeva informazioni di questa povera baracca della Div. Provvidenza. Ho sordomute e ne ho accettata una anche stamattina, ma non ancora sono unite in comunità; se piacerà alla mano della Divina Provvidenza di fare anche quest’altro pasticcio, sia tutto come a Dio piace e a sua gloria in eterno. Ora vado raccogliendo le pietre, poi Gesù faccia quello che gli piace. Abbiamo, invece, già le suore cieche–adoratrici e così accetto per suore, anche siano difettose (Scr. 43,257).
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L’Opera della Divina Provvidenza vive di carità pubblica, raccoglie bambine orfanelle, poveri vecchi abbandonati, donne inferme prive di sostentamento, orfanelli, epilettici, sordomuti e tanti altri infelici, per cui si raccomanda di sua natura alla carità di tutti i buoni (Scr. 50,93).
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Non posso ancora dirLe che cosa, in effetto, potrò fare per i due sordomuti che Ella mi raccomanda. Se guardassi al cuore, subito vorrei abbracciarli nel Signore e fare una famiglia di agricoltori sordomuti. E chissà che il Signore non lo faccia? Dovrò presto venire da codeste parti e ne parlerò ai miei Confratelli e vedrò se a Cuneo è possibile alloggiarli. Ora tutto il personale mi va in guerra e essi rimarrebbero sen za quella vigilanza e direzione delle quali particolarmente abbisognano. Né inclino a lasciargli con gli orfani, siano anche lavoratori, perché i sordomuti hanno bisogno di essere molto aiutati nella vita spirituale, diversamente preparano dispiaceri (Scr. 65,75).
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La carità è il precetto del Signore, è la nota distintiva dei discepoli di Gesù Cristo. La carità ripone la sua felicità nel poter fare ogni bene agli altri. Essa opera prodigi di abnegazione e di amore alla culla degli orfanelli, nelle suole dei sordomuti, al letto dei poveri infermi, nelle camerate dei deficienti e idioti, nel sorreggere i vecchi. A tutte le umane miserie, dall’infanzia alla decrepitezza, essa accorre, ministra di Dio, paziente e benigna, soave e dolce, forte, umile e costante. Così è la carità di Gesù Cristo: sempre lieta, sempre infaticata, sempre silenziosa, sempre affocata; è la carità che si fa tutta a tutti e tutti edifica e tutti conforta e tutti vivifica in Gesù Cristo (Scr. 83,69).
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Non poniamo alcun limite nell’accettare quelli che sono veramente miseri: è la Provvidenza che ce li manda e sono nostri fratelli: la Provvidenza non mancherà di venirci incontro. Le preferenze siano per le poverette e per i poveri più bisognosi e derelitti: e le maggiori preferenze poi per gli ammalati più abbandonati, che sono pieni di dolori, di piaghe, di vecchiaia, per gli epilettici, per gli scrofolosi, per i sordomuti, per i scemi: essi sono i nostri tesori e i nostri padroni; teneteveli cari: li riceverete alla porta, scoprendovi il capo e li accoglierete con i segni più affettuosi della carità di Gesù Cristo e d’in ginocchio bacerete loro le mani e i piedi (Scr. 97,251).
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Chi si riceve al Piccolo Cottolengo? Il Piccolo Cottolengo terrà la porta sempre aperta a qualunque specie di miseria morale o materiale. Ai disingannati, agli afflitti della vita darà conforto e luce di fede. Distinti poi in tante diverse famiglie, accoglierà, come fratelli, i ciechi, i sordomuti, i deficienti, gli ebeti; storpi, epilettici, vecchi cadenti o inabili al lavoro, ragazzi scrofolosi, malati cronici, bambini e bambine da pochi anni in su; fanciulle nell’età dei pericoli: tutti quelli, insomma, che, per uno o altro motivo, hanno bisogno di assistenza di aiuto ma che non possono essere ricevuti negli ospedali o ricoveri e che siano veramente abbandonati: di qualunque nazionalità siano, di qualunque religione siano, anche se fossero senza religione: Dio è Padre di tutti! (Lett. II,225).
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Un solo Sacerdote dirige tre case, dove vi sono più di 200 orfani e 25 sordomuti, ragazzi cattivi, educati dai socialisti, che odiavano i Sacerdoti, ed hanno fin rotte le ampolline della Messa, per far dispetto. Ebbene, ora là v’è pure don Sterpi, ma poi verrà via e tirerà avanti un altro e solo sacerdote. Orbene chi fa la nostra forza, che ci dà tanto coraggio? La nostra unione! Ci amiamo tutti in Cristo, ci sentiamo fratelli; è la nostra unione, è la nostra forza! (Par. I,204).
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La carità del Signore si estende a tutti; quindi, non vi meravigliate se vedete tra voi tante cieche; verranno pure delle sordomute; forse il Signore vorrà qualche cos’altro ancora. E perché queste povere anime non possono essere spose di Gesù Cristo, dal momento che, da anni e anni, vivono sperando di poter proferire i santi voti? Anche cogli occhi e con le orecchie chiuse si può amare tanto nostro Signore, sacrificarsi per lui, ed essere sue spose. Se vi avessi predicato che voglio in Congregazione nobili principesse, o ragazze ricche, dovreste piangere; ma vi ho detto che ne verranno di povere, miserabili; perciò siate allegre e consolate! (Par. I,237).
Vedi anche: Malati, Piccolo Cottolengo.
Speranza (virtù)
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Vedi, il Signore fa con noi come l’aquila con gli aquilotti, che dopo averli portati sulle spalle in mezzo all’aria, li lascia poi cadere perché volino. E anche noi, se non sappiamo ancora volare, verrà sotto di noi la mano di Dio a tenerci su nei nostri uffici e mansioni, verrà la Madonna SS., se saremo umilmente, confidentemente e filialmente sempre attaccati alla Madonna, e senza mai abbatterai, e, senza mai avvilirci, con la speranza della Divina grazia, non pretendendo di diventare mai uomini, ma restando sempre fanciulli coi Superiori e con la Chiesa, andremo avanti un giorno dopo l’altro (Scr. 4,149).
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La sua agonia fu lunga e penosissima per lui, sempre presente a sé stesso, e fu penosissima anche per noi, impotenti a recargli sollievo, eccetto quello veramente grande e inestimabile che viene dalla nostra santa Fede, e dalla immortale speranza della felicità ineffabile che presto aspetta quelli che quaggiù soffrono con Cristo, e sanno confondere le loro lacrime col Sangue di Gesù Crocifisso (Scr. 6,150b).
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Ebbene, figliuol mio, molto hai amato la Congregazione e molto sarai pianto da essa, ma il pianto che facciamo sopra di te e la mestizia che lo accompagna riescono soavi per la grazia che il Signore ci dà, e perché l’uno e l’altra sono abbelliti e confortati dalla speranza del Paradiso. Ah Paradiso! Paradiso! «Brutta terra e bel Paradiso» diceva il Cottolengo, brutta terra e bel Paradiso! Va, va dunque contento, o figliuol mio, mentre sulla terra corre un soffio che sa di bufera. Va’ a raccogliere ciò che hai seminato! Va’ avanti con gli altri nostri, che già sono in Paradiso (Scr. 6,150h).
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Desidero che la teniate per tutta l’annata per esprimervi il desiderio che tu educhi i nostri cari Chierici alla vera scienza dei Santi, alla Croce: la Croce di Gesù è il nostro tesoro, è il vero centro d’unione, la nostra speranza, la nostra àncora, il nostro vero libro, il nostro vessillo (Scr. 8,199).
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Non c’è nulla di più caro al Signore che la piena fiducia e confidenza nella Sua paterna bontà e misericordia. Abbandoniamoci tra le braccia e sul Cuore aperto di Gesù Cristo Crocifisso, Signore e Salvatore nostro. Bisogna avere una speranza, fiducia tanto grande quanto grande è il Crocifisso e il Cuore di Gesù (Scr. 9,107).
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Offra tutto il suo male al Signore per le mani materne della Santa Madonna. Ricordiamoci sempre che i nostri dolori, uniti a quelli di Gesù e di Maria, acquistano un grande valore e merito agli occhi di Dio: e ricordiamoci che chi confida in Dio non perirà in eterno. In Gesù e in Maria SS.ma lei troverà la tranquillità al suo spirito e la più grande fede, speranza, amore di Dio e piena fiducia (Scr. 9,108).
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Il Signore vuole che nelle sofferenze corporali troviamo un bene infinitamente maggiore della sanità e della vita. Siate rassegnati e uniformati alla volontà di Dio: sia il Signore la vostra speranza e il vostro divino conforto! E la SS.ma Vergine assista come Madre celeste, e aiuti spiritualmente la povera inferma (Scr. 9,163).
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«I doni della natura, dice il Santo abate di Vercelli, Giov. Gersenio, al cap. 45 del III libro dell’Imitazione di Cristo, sono comuni ai buoni ed ai malvagi; ma dono proprio degli eletti è la grazia, ossia la carità» e, più sotto, dice ancora: «tanto gran cosa ell’è questa grazia, che dono di profezia, né far miracoli, né qualsiasi più sublime contemplazione, non valgono punto senza di lei. E neppur la fede, la speranza, e le altre virtù sono accette a Dio, se scompagnate dalla carità». Non vale dono né virtù, sine charitate et gratia: la grazia è il dono dei doni, la carità è delle virtù la regina (Scr. 20,75).
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Il Signore, o cari miei figlioli, sia la vostra speranza e la vostra fiducia: Egli il nostro consolatore e la fiamma inestinguibile della nostra carità. In Lui riponete tutta la vostra speranza e il vostro cuore per le mani della SS.ma Vergine, nel cui nome benedetto avete fatto il vostro passo entro il vestibolo sacro della chiesa. Vi è nella Imitazione di Cristo, al Lib. III – Cap. LIX una preghiera di meravigliosa dolcezza, diciamola insieme in spirito e poi imparatevela e ripetetevela a conforto vostro durante la vostra vita: In Te ergo, Domine Deus, pono totam spem meam et refugium, in Te omnem tribulationem et angustiam meam constituo, quia totum infirmum et instabile invenio quidquid extra Te conspicio. In Te dunque, o Signore Dio mio, io ripongo tutta la mia speranza e il rifugio dell’anima mia e della vita mia: in Te, o Signore Dio mio, depongo ogni mia tribolazione ed angustia, perché trovo tutto infermo ed instabile quanto veggo fuori di Te! (Scr. 20,81).
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Metti te e il tuo cuore e il tuo dolore nella mano di Dio, e benedicilo pure nel pianto, e le tue lacrime non spengano lo spirito, ma lo ravvivino in Cristo Signor nostro. La preghiera ti sia di sollievo e di conforto ad un tempo: essa rianima la nostra speranza ed è di suffragio cristiano ai nostri cari che passarono in Dio (Scr. 22,7).
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Hanno ragione di piangere e di temere, per dopo la morte, coloro che, durante la vita, non hanno avuto vita cristiana, e non hanno amato il loro Dio; ma per quelli che vissero di fede e di viva speranza nella divina misericordia, la morte non è che un istante di merito, un sospiro prezioso, dopo il quale la salvezza è assicurata, e incomincia il gaudio eterno. Niente ci può consolare alla morte dei nostri cari che la Religione, e anche le orazioni di suffragio sono un grande conforto per essi come per noi (Scr. 25,184).
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Non ci sia quindi tra noi «che un corpo, che uno spirito, come non c’è che una speranza: quella che vi fu posta dinanzi agli occhi quando riceveste la vostra chiamata». Pregate, e state fermi nella vocazione, e fedeli a Dio e alla chiesa: umili, ma fortemente attaccati alla chiesa di Roma e alla Congregazione, la quale di questo latte di amore a Dio e al Suo Vicario in Terra vi ha nutriti: umili e fedeli sempre, finché sarete arrivati «alla piena conoscenza del Figliuolo di Dio, a una maturità virile, all’altezza della statura perfetta di Cristo», come dice l’Apostolo (Scr. 26,142).
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Gettiamo via il vecchio lievito, inveterato e rancido, per trasformarci nel nuovo lievito che è Gesù Cristo, e ricordiamo che buono è soltanto chi vive nella fraterna carità, e una sia la preghiera, una la domanda, uno lo spirito, una la speranza, animata da un soffio potente di divina carità in tutte le nostre parole, in tutte le nostre intenzioni, in tutte le nostre opere, e tutto guardiamo e il prossimo e i fratelli non con amore umano – il che facevano anche i pagani e potrebbe essere un grave pericolo per lo spirito ma la nostra scambievole carità sia in Gesù Cristo! (Scr. 26,159).
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La tristezza è propria di quelli qui spem non habent: la nostra fede è speranza ed è insieme conforto e sollievo. Questa morte di tuo papà fa, o figliuol mio, che sia proficua all’anima tua, facendoti riflettere sempre più che questa non è la nostra patria, che non siamo qui per godere, ma per patire e farci dei meriti per la vita eterna, e che, ad ogni giorno che passa, dobbiamo sempre più staccarci dalle cose e affezioni terrene e prepararci per la eternità (Scr. 29,174).
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Il buon spirito della nostra cara Congregazione dipende specialmente dai Direttori delle case: ogni Direttore deve risplendere omnibus qui in domo sunt. Buon esempio e spirito di fede, di speranza, di carità: puntualità puntualità puntualità nelle pratiche della vita religiosa: amore al lavoro, alla temperanza, alla santa virtù, alla mortificazione, alla povertà, alla obbedienza ai Superiori e alle regole: insomma ogni Direttore deve poter alzare la fronte davanti a tutti i suoi confratelli, e poter dire loro non a parole, ma a fatti: imitatores mei estote! (Scr, 29,201).
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Qualunque siano le prove, cui piacerà alla bontà grande di Dio sottometterci, se noi preghiamo, non potranno che portarci ai piedi della croce, e la croce ci porterà nelle braccia di Cristo. Miei buoni fratelli, Dio vuol provare la nostra fedeltà: Dio vuol provare la nostra fiducia e speranza: Dio vuol provare il nostro amore a Lui: e ci dà la croce! Stringiamoci alla croce! Oggi, domani, quando al Signore piacerà offrirvela, non la gettate per terra, ma stringetela al cuore, bagnatela del vostro pianto e del vostro sangue, o miei cari figliuoli: è il Signore che ci ama! (Scr. 30,2).
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Mi parve tanto bello, giusto e cristiano non dividerli, ma unirli in una stessa preghiera, voce della stessa fede, anelito della stessa speranza, che ha confortato essi e conforta noi: preghiera che è pure dolce vincolo di carità tra essi e noi! E che già ci fa sentire qualche cosa di quella che la Chiesa chiama la Comunione dei Santi. Che dogma consolante è mai, o figlio mio, la Comunione dei Santi! Hanno ragione di paventare la morte quelli che non hanno speranza, «qui spem non habent», dice San Paolo, ma chi crede e sente «la Comunione dei Santi», ma quelli che nell’amore di Dio vissero di fede e di speranza nella bontà del Signore, e che sanno che nulla si infrange di ciò che è buono, la morte, o figlio mio, non è che un istante di merito, un sospiro prezioso verso il Padre celeste, che ci aspetta, verso la Madre di Gesù e nostra, verso gli angeli e i beati, verso quei nostri cari, che da questa misera vita già passarono a vita beata: è un sospiro per essi la morte, dopo il quale la salvezza è assicurata e comincia il gaudio pieno della Comunione dei Santi (Scr. 31,218).
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Vedo che qui c’è ancora un po’ di bianco, e allora lasciami scrivere ancora. Sono stato ai piedi della Madonna della Guardia una notte, e là ho sentito che dobbiamo, o figlio mio, porre tutta la nostra speranza e fiducia nel Signore e nella Santa Madonna, diffidando di tutte le consolazioni del mondo. Lassù ho compreso che dobbiamo sciogliere ogni legame terreno, per legare completamente il nostro animo a Dio (Scr. 31,229).
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Pensate che niente può l’umana fragilità, ma affidatevi totalmente a nostro Signore e alla Santa Madonna; e dacché, con la divina grazia, avete abbandonato il mondo col corpo, così distacchiamo il cuore da ogni affetto che non sia Dio e la Sua Santa Croce, ponendo in Dio ogni speranza e fiducia: distacchiamoci anche da noi medesimi, abbracciamo la Santa Croce e seguiamo Gesù Cristo! (Scr. 34,15).
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Vi benedico dunque con tutta la soave carità che può dare nostro Signore misericordiosissimo al cuore di un suo povero sacerdote, e questa benedizione consoli le vostre lacrime e ravvivi la fede e la speranza nel cielo (Scr. 39,2).
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E la celeste e santa Madonna è, per questo, la nostra speranza più grande, dopo Dio, è la nostra consolazione più intima, poiché sappiamo bene che Ell’è la nostra più possente avvocata presso Dio, e che la sua materna intercessione è efficacissima, onde possiamo aspettarci ogni luce, ogni grazia, ogni conforto per la vita presente e per la vita eterna (Scr. 41,48).
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Mi prendo la libertà di citarle un passo dell’Apostolo Paolo, Egli veramente, lo dice dei morti, ma io lo rivolgo a lei, a suo conforto: «Non contristiamoci come fan quelli che non hanno speranza». Lei, buona figlia di Dio, continui a pregare e a confidare nel Signore, ché Dio va a consolarla; e quelli che oggi sono a lei causa di tanta afflizione, saranno un giorno sorgente di molta consolazione. Viva piena di fiducia nel Signore e non si abbandoni allo sconforto che lega male all’anima e anche alla salute (Scr. 41,65).
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Signor Conte, non perdiamoci d’animo a motivo delle prove e dispiaceri che Dio, per affinarci nel suo amore e servizio ritenesse che noi dovessimo avere: mettiamo in Dio ogni nostra speranza e fiducia e abbracciamo lieti la nostra croce: le afflizioni, sopportate per l’amore di Dio, saranno la nostra gloria (Scr. 41,99).
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Io ho sempre trovata così viva tra di loro la carità che è il dolce precetto di Gesù Cristo Signor Nostro, che mi conforto anche a pensarvi. Che Dio nella sua misericordia infinita ci edifichi e ci unifichi di qui nella Fede e nella Speranza e nella Carità e nella Carità ci unifichi in eterno (Scr. 42,224).
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Dio, vedete, chiama a sé i suoi servi fedeli in quel momento e nelle circostanze che più giovano alla loro eterna salute. E per quelli che lo amarono il Signore e che vissero di fede e di viva speranza nella divina misericordia, la morte non è che un istante di merito, un sospiro prezioso, dopo il quale la salvezza è assicurata, e incomincia il gaudio eterno (Scr. 43,194).
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Si, la fede è virtù basilare, è sostanziale fondamento, sul quale si basa la speranza della beatitudine, che è piena di immortalità. Fede è argomento, dimostrazione e lume onde l’intelletto è condotto a credere quelle verità che con le naturali sue forze non potrebbe comprendere. E che la nostra speranza in Dio, non abbia confine, tutto possiamo sperare da Dio, in umiltà, amore e fiducia grande. Dio è il Padre celeste che tutto può e tutto vuol darci, purché Lo preghiamo e Lo amiamo, in semplicità e abbandono come pargoli (Scr. 44,145–146).
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E dirò anzi, o mio buon padre che la ispirata espressione dell’apostolo, diventando aspirazione di fede e di religiosa speranza, arricchita di speciali tesori, mentre espone il più grande bisogno che ha il mondo – confido diventi quasi un’eco del cuore dei figli ai desideri del nostro S. Padre Pio X, e li unirà di più a lui, come appunto è negli intendimenti della Congregazione nostra. Instaurare omnia in Christo! esprimerà tutta la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore; sarà il saluto augurale dell’alba di Dio sopra di noi, alba di giorni migliori nei quali Cristo in tutti e per tutto viva e regni e trionfi! (Scr. 45,43).
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Se questi, per la loro disgrazia non potranno né lavorare come i fratelli né aspirare al Sacerdozio, potranno bene, con l’aiuto di Dio, spargersi per le ville a distribuire la luce di Gesù ai piccoli e al popolo, a consolare i malati e i vecchi, a gettare fede e speranza e carità per tutti i sentieri dove passeranno e dentro tutte le povere capanne della campagna (Scr. 46,25).
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E tu ricevi con rassegnazione questa prova et non contristemini sicuti et coeteri qui spem non habent – e tu e i tuoi non affliggetevi come quelli a cui non splende la speranza; tutto è fumo la vita ed è una giornata che fugge; la tua madre ora prega per te e pei tuoi e vi aspetta là dove ci aspetta il Signore per ricompensare quelli che lo hanno amato e servito (Scr. 46,59).
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Ond’è che i Santi amavano le afflizioni e anelavano di patire di qui con N. Sig.re Gesù crocifisso, trasformando i dolori in amore di Dio – per la grazia di Dio benedetto – sapendo che l’afflizione alla luce del Signore produce umiltà e abbandono nel Signore: produce speranza e confidenza tenerissima in Dio, distacca sempre più dalle cose ingannevoli di questo mondo e ci fa tutti e solamente di Dio (Scr. 47,20).
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Come si sono spezzati questi palazzi così vorrei spezzare la mia volontà e infrangermi ai piedi di nostro Signore di carità, ma dopo un minuto sono subito pieno di me stesso: preghi per me. Io spero tutto dal cuore adorabile di nostro Signore e dalla Madonna SS., ma ho poca fede, e poca speranza, e poca carità (Scr. 49,80).
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Ho sempre pregato per voi e per tutti. Né mai mi sono pentito d’avere amato anche quelli che furono poco memori e grati. Sempre ho pregato per voi, per tutti e per ciascuno di voi, pieno di fiducia e di speranza. Ed esorto ancor voi o figlioli dobbiamo credere perdute le fatiche e i sacrifici fatti per Dio e per le anime, ma aspettare con fede, con viva sicurissima fede e con infinita speranza in colui, che ha sperato in noi (Scr. 52,123).
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E prego lo Spirito Santo che, in questi giorni accettevoli e di grazie, ci purifichi e santifichi, e ci sia sempre più largo di fede, di speranza e di carità Sono queste, come voi ben sapete, le virtù fondamentali della vita nostra di cristiani e di religiosi (Scr. 52,179).
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La virtù della speranza ha per base Gesù Cristo, il sacrificio e le promesse di n. Sig.re Gesù Cristo – Che lo Spirito Santo in questi giorni accresca in noi questa confortante virtù: ci dia una speranza ferma, incrollabile, altissima, che vada sino a farci toccare le porte del Paradiso. Se non va fin là, non è la virtù teologale di cui abbiamo tanta necessità per salvarci e per essere religiosi non indegni. Sperare con fede: aspettare sperando con viva e sicurissima fede: in spe contra spem: in Deo spes nostra: Deus spes nostra! Questa speranza è la sola di buona lega: essa esige che confidiamo grandemente, che nella grazia e gli aiuti di Dio potremo vincere tutti i nostri nemici interni ed esterni, tutti i nostri difetti, con la preghiera, con la umiltà, con la obbedienza alla s. chiesa e ai Superiori, e facendo gli sforzi necessari. Che la nostra speranza in Dio, o miei cari sacerdoti, non abbia confine! Tutto possiamo e dobbiamo sperare da Dio, che tutto può e tutto vuol darci, ciò che è nostro bene, purché lo amiamo e lo preghiamo, stando in ginocchio ai suoi piedi e ai piedi della s. chiesa. Chi confida in Dio non perirà in eterno, diceva mia madre, buona anima, senza sapere che ripeteva una frase della S. Scrittura. E noi animiamoci di frequentare nel cammino del santo servizio col ripetere: «In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum!» (Scr. 52,180).
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Si provvede ad un bisogno universalmente sentito, a curare quella febbre di leggere, che vi è oggidì, con letture sane, che attraggono alla tentazione di dissetarsi a fonti inquinate: si diffonde, o concorrerà ad alimentare nei superstiti, la luce della fede che fortifica, la speranza cristiana che consola e la carità di Gesù Cristo che infiamma e ravviva (Scr. 52,217).
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Solo nella parola e nella dottrina celeste della Chiesa e del Vicario di Gesù Cristo è la pace, il gaudio e la gloria della mente umana, e la speranza dell’eterna felicità! (Scr. 54,86).
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È il Signore che deve benedire la tua gioventù e codesti altri tuoi studi. In Lui e tutto ciò che puoi e devi desiderare: il Signore è la tua salute e la redenzione, la speranza e la fortezza, la purezza e la gloria dell’anima (Scr. 54,166).
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Amiamo il prossimo come Cristo amò noi, non riguardando più nessun uomo siccome mezzo, ma tutti siccome fine: non discerniamo fra grande e piccolo, fra amico e persecutore, operiamo nell’interesse di tutti per la nuova virtù della Croce che Gesù Cristo ha portato pel primo e che ci ha lasciata come prova della fede, base della speranza, affinamento della carità – predicate quell’affettuosa eguaglianza che nel mondo non lascia vedere se non figli di un Dio (Scr. 55,63).
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La virtù teologale della speranza esige che confidiamo grandemente nel Signore. In Deo Spes mea (Scr. 55,249).
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Amatevi a vicenda, ma nessuno guardi il fratello o il prossimo con un amore puramente umano, ma la vostra scambievole carità sia in Gesù Cristo – siate uniti per mezzo di quella scambievole unità, ch’è immagine e dimostrazione della vita eterna – buono è soltanto ciò che si fa da voi in comune: una sia la preghiera, una la domanda, uno lo spirito, una la speranza animata dalla carità in una gioia immacolata (Scr. 55,322).
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Con fede grande e ferma speranza confidiamo e speriamo nella Divina Provvidenza. Ci guardi Dio dalle tenebre della superbia e dal sentire orgoglioso di noi e della nostra piccola Congregazione (Scr. 57,120).
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Vieni, e saziami, o gaudio sovra ogni gaudio, te salvatore Gesù Cristo, dell’anima mia! speranza mia dolce in ogni tribolazione, amore dell’anima mia! Vieni, Signore Gesù a visitarmi in pace, vieni e sarò salvo nel tuo nome dai pericoli dell’esilio (Scr. 61,5).
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Si provvede ad un bisogno universalmente sentito: a curare ciò la febbre di leggere, che vi è oggidì, con letture sane, che sottraggono alla tentazione di dissetarsi a fonti inquinate: si diffonde, o concorre ad alimentare nei superstiti, la luce della fede che fortifica, la speranza cristiana che consola e la carità di Gesù Cristo che infiamma e ravviva (Scr. 61,70).
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Toglierci Gesù Cristo è toglierci la parte più intima dell’essere, chiuderci al di sopra il Cielo, aprirci sotto i piedi l’abisso, è un rapirci il passato, velarci il futuro, isolarci in mezzo allo spazio ed al tempo, senza fede, senza speranza, senza amore (Scr. 65,344).
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Mi è dolce fare atto di fede, di amore e di adesione piena di mente, di cuore e di opere agli insegnamenti della Chiesa, perché solo nella dottrina celeste, insegnata dalla Santa Chiesa, è la pace, il gaudio e la gloria della mente umana, e la speranza dell’eterna felicità (Scr. 69,386).
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Ave, Maria! Oh cara Madonna, lascia che con amore di figli e piangendo di amore noi veniamo ai tuoi piedi a ripeterti il soave saluto! È un inno di fede, di gratitudine, di fiducia, di speranza e di tutto ciò che vi può essere di sacro e di grande nel cuore di poveri figli verso la loro madre: Ave, Maria! O Maria! Madre, cara Madre nostra, ricevi questo grido dei tuoi figliuoli ed abbi sempre misericordia di noi, o Madre grande delle divine misericordie! (Scr. 71,207).
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Gesù Bambino, Gesù dolce; Gesù amore! Noi ti vogliamo amare e servire in carità, grande e santa letizia, sempre contenti per la beata speranza, amando e vivendo delle cose umili e povere come tu, Gesù, ci hai insegnato. Vogliamo far del bene sempre, far del bene a tutti, o Gesù, benedicendo sempre e non maledicendo mai! (Scr. 73,24).
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Coraggio, fratelli, lavoriamo giorno e notte a salvarci l’anima e a salvare le anime dei fratelli; estirpiamo da noi le male erbe: gettiamo in noi e negli altri a larga mano il seme della virtù: combattiamo contro le nostre perverse passioni: crocifiggiamo la nostra carne: lottiamo senza posa contro i nostri nemici, sorretti e confortati dalla speranza del Paradiso! (Scr. 73,75).
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E tu confortati nel Signore, e non lasciarti dominare da quella tristezza, che non è cristiana, ma di quelli «qui spem non habent». «Spes nostra immortalitate plena est». Viviamo di fede e di viva speranza nel Signore, e nella morte dei nostri cari conformiamo la nostra volontà alla santa volontà di Dio. E riflettiamo, o caro don Pietro, che questa non è la nostra patria: che non siamo qui per godere, ma per patire e meritare il Paradiso; riflettiamo che dobbiamo distaccarci dalle cose terrene e prepararci per l’eternità (Scr. 77,40).
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La virtù della Speranza ha per base Gesù Cristo, il sacrificio e le promesse di Nostro Signore. E che lo Spirito Santo in noi questa virtù, e ci dia una speranza ferma, incrollabile, altissima, che vada sino a toccare le porte del Paradiso. Sperare con Fede! Aspettare con viva e sicurissima Fede. La virtù teologale della Speranza esige che confidiamo grandemente nella grazia di Dio, ché potremo vincere tutti i nostri difetti, con la preghiera, con la umiltà e facendo gli sforzi necessari. Cari miei Sacerdoti, la nostra speranza in Dio non deve aver confini. Tutto possiamo e dobbiamo sperare da Dio, che tutto può e tutto vuol darci, purché lo amiamo e lo preghiamo. Chi confida in Dio, non perirà in eterno. Ripetiamo frequente: in Te, Domine speravi, non confundar in aeternum (Scr. 79,348–349).
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Con Spartaco è un mondo che muore: con Paolo si inizia vigoroso alla vita un nuovo mondo, che si rigenera nel sacrificio ispirato alla fede, alla speranza, alla carità. La natura umana non ha forza intrinseca per rigenerare sé stessa: Catone si uccide tra le rovine della libertà; la virtù intima che deve rigenerare il mondo non è dagli uomini. Con Spartaco l’uomo è una forza, ma è una cosa; con Paolo l’uomo è una forza, ma è un libero, figlio ed erede (Scr. 79,357).
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Tre sono le virtù che hanno Dio per principio e per fine immediato onde si chiamano teologali: la fede, la speranza, la carità: la fede ci fa conoscere Dio: la speranza ci muove verso Dio: la carità ci fa possedere Dio: la fede è il principio, la speranza il mezzo, la carità è il fine (Scr. 81,90).
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Che la carità delle anime, anticipando sulla vita futura, assorbisca la fede, assorbisca la speranza, assorbisca ogni cosa: e fede e speranza e tutta la vita intera non sappiano estrinsecarsi che in un atto continuo e perpetuo di dolcissima carità; e, devo dirlo? in noi sacerdoti, e specialmente né pastori, che la carità del gregge assorbisca, oggi, in qualche guisa, la carità stessa di Dio! (Scr. 82,19).
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Erano pur grandi i doni che Dio ci aveva dati: la vita, la fede, la speranza, la carità, le virtù morali e poi tante grazie, sino a questo dì. Ma egli volle fare di più, oh molto di più! e ci ha dato sé stesso interamente nell’Eucaristia! Non solo dunque quanto Egli ha, ma quanto Egli è (Scr. 82,34b).
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Sarà un grande dolore per tutti, o figliuoli miei, sed consolamini in verbis istis: confortiamoci, dacché ben sappiamo che questo nostro fratello era di Dio, ed è giusto che Dio faccia del suo ciò che è a suo senno e a sua volontà, né affliggiamoci siccome quelli che non hanno speranza, ché non sarebbe da cristiani: noi lo rivedremo: spes nostra immortalitate plena est! (Scr. 82,166).
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Gesù Cristo insegna che il culto che Dio vuole e che lo onora è quello che viene dal cuore – il culto della fede, della speranza, della carità operosa. Non è la preghiera che suona sulle labbra che Dio possa gradire. No! Egli disdegna le pure formule: labiis me honorant, etc. e vuole quella preghiera che sale dal cuore (Scr. 86,95).
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In Dio ogni fiducia ogni speranza. In Deo omnis spes mea. In Te Domine speravi non confundar in aeternum. Tanta sarà la misericordia di Dio, quanto la nostra speranza. Fiat misericordia tua D.ne – Coraggio. nunc incipio esse Christi – voglio vincere tutte le difficoltà (Scr. 86,130).
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Con la preghiera noi esercitiamo la fede, la speranza, eleviamo il cuore e la mente a Dio, confessiamo la nostra miseria e l’onnipotenza del Signore: gli diamo la lode che gli spetta e impetriamo i favori di cui abbiamo bisogno (Scr. 89,29).
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Abbiate fede e coraggio nel vostro cuore: fede nell’aiuto che vi darà il Signore, e speranza forte in Dio; coraggio grande nella riforma di voi stessi e nel formarvi tutti per Dio, poiché il resto è nulla. Nel silenzio e nella preghiera troverete la forza per sopportarvi e per amarvi, o miei figli (Scr. 96,31).
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Oh mio caro Felice, quanto grande pace e quiete e felicità possederesti, se troncassi ogni vana ogni pensiero che ancora ti alletta la mondo, e pensassi solo alle cose salutevoli e divine, e tutta la tua speranza la riponessi in Dio e ti consacrassi totalmente al Signore! Il mondo passa, e i desideri del mondo passano ancora. Che è la vita dell’uomo su la terra? Fumo che passa (Scr. 102,135).
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Getti nel Cuore di Gesù ogni suo desiderio e tutta la Sua fiducia, e dica e preghi sempre così, ora e per tutta la vita: “Tu sei, o Signore, la mia speranza e la mia fiducia; Tu, o Gesù, sei e sarai sempre il mio Consolatore, la mia Luce e il Fedelissimo in tutto! (Scr. 106,70).
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Inoltre vi è stato cambiato il nome, che portavate in quello che ora portate e porterete, e così che d’ora innanzi vi firmerete: Fede, Speranza, Carità, le tre virtù teologali e fondamentali della nostra Santa Religione: Fede che illumina, la Speranza che conforta nel Signore, la Carità che guida e regola tutte le nostre azioni (Par. I,97).
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Ancora nel vangelo di san Giovanni si legge che Gesù rispondendo a chi desiderava sapere quali fossero le virtù principali e più necessarie, rispose: La fede, la speranza e la carità, ma la maggiore Dio queste è la carità. Infatti la fede e la speranza cessano on la nostra vita. La fede è necessaria per salvarci credendo nelle verità rivelate, la speranza ci aiuta a conseguire il nostro ultimo fine, sperando nelle promesse di Dio, ma quando saremo in paradiso non avremo più bisogno di credere e di sperare perché possederemo ciò che abbiamo creduto e operato (Par. I,243).
Vedi anche: Carità, Fede.
Spirito Santo
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Nel battesimo lo Spirito Santo è disceso in te perché tu, sorretto dalla Sua virtù, avessi a combattere nella milizia cristiana: oggi l’hai ricevuto per abilitarti a combattere nella milizia ecclesiastica. E perciò il Divino Spirito ti fu dato con una grazia nuova, e ti fu dato perché tu sia forte «ad robur», ha detto il Vescovo, ordinandoti, e perché tu resista al demonio e alle sue tentazioni: «ad resistendum diabolo et tentationibus eius». E, come i primi sette diaconi, l’hai ricevuto lo Spirito di grazia e di fortezza copiosamente: «plenos Spiritu Sancto», (Act. VI, 3), si dice di essi (Scr. 8,21).
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La terza Persona della SS.ma Trinità è discesa sopra gli uomini per riempirli, con immensa e divina liberalità, delle sue grazie più abbondanti e dei doni celesti! In questo giorno della Pentecoste nostro Signore dà l’ultima mano alla grand’opera alla quale egli mirava in tutti i suoi misteri. È in questo giorno di Pentecoste che Gesù si è formato un nuovo popolo di adoratori. Oggi Dio ha mandato il suo Santo Spirito sulla terra per rinovellare la faccia del mondo, per creare la sua Chiesa, «conservatrice eterna del suo sangue e Madre dei Santi», come la chiama il Manzoni proprio in quell’inno così sublime che egli sciolse alla «Pentecoste (Scr. 39,49).
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Lo Spirito Santo discese, visibilmente, sulla Chiesa nascente in un giorno di domenica, nella gran festa della Pentecoste degli ebrei; affinché, in quello stesso giorno in cui Dio aveva dato l’antica legge sul Sinai, essa fosse abolita dalla nuova. Sul Sinai la legge fu data fra tuoni e lampi, con apparato tremendo; e fu scritta su tavole di pietra per accennare alla durezza di cuore del popolo al quale veniva data. la nuova legge, invece, essendo legge di grazia e di amore, fu data dallo Spirito Santo, principio e fonte inesausta di carità, e da lui scolpita nelle anime con tutta la dolcezza e incisa nello spirito, cioè nei cuori degli uomini con segni tutti di santissimo e di divino amore. Oh! preghiamolo nostro Signore che voglia scrivere nello stesso modo la sua santa legge nei nostri cuori con il dito della sua destra, e di stamparvela si profondamente che non vi si cancelli mai più! (Scr. 39,50).
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Oh invochiamolo anche noi lo Spirito Santo! Venga egli sopra di noi, e dentro di noi, e, come fece con gli Apostoli, così trasformi anche noi, miserabili, per l’infusione dei suoi doni! E ci faccia umili e fervorosi servi e figli e missionari della carità! E come il mistero della Pentecoste continua sempre invisibilmente nella Chiesa, così discenda in noi e viva sempre in noi la carità abituale o la grazia santificante. È questo il primo e più necessario dono dello Spirito Consolatore che noi dobbiamo implorare oggi e sempre. Egli illumini la nostra mente con il dono della intelligenza: ci elevi con il dono della sapienza al conoscimento delle verità divine. La scienza, che viene dal divino Paracleto, ci porti a disprezzare i beni e le bassezze della terra per la cognizione di Dio, e ci dia «quel gusto interno come scrive San Bonaventura, che riempie l’anima di soavità per cui disse il salmista: Gustate e vedete, quant’è mai dolce il Signore». (Ps. XXXIII) Il dono del consiglio è la scienza sperimentale, e il piacere delle cose celesti. Il Signore ci mostri per il suo consiglio le sue vie, regga i nostri passi: ci guidi e preservi dai pericoli. Discenda in noi quel dono della fortezza che è virtù cardinale: la fortezza che rese invitti i martiri, e trasformò in eroine di Cristo tante deboli donzelle. Venga su di noi e dentro di noi quella pietà soprannaturale che fa docile lo spirito, e ignita di fervore santo l’anima: la pietà che l’Apostolo Paolo raccomandava tanto al discepolo suo Timoteo, dicendogli che essa « è utile per ogni rispetto, in quanto che ha la promessa della vita presente e della vita a venire» (Scr. 39,52).
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Lo Spirito Santo è fonte divina di verità, di carità, di umiltà, di consolazione, di beatitudine interiore! Oh venga dunque su di noi lo Spirito Santo! Spirito di verità, Spirito di orazione, Spirito di unione, Spirito di misericordiosissima e di divina carità! E la beatissima Vergine, che certamente si trovava in quella eletta adunanza di Gerusalemme, raccolta insieme con gli Apostoli e i discepoli e le pie donne in orazione, quando verso l’ora di terza (le nove del mattino) venne di repente dal cielo quel suono, quasi vento gagliardo, e riempì tutta la casa dove abitavano. La beatissima Vergine, madre nostra tenerissima, e capitana della nostra nascente Congregazione, ci ottenga da Gesù tutti e copiosissimi i doni e i frutti dello Spirito Santo, doni che ci dilatino di carità il cuore come lo dilatarono a San Filippo Neri, e ci ottenga di vivere affocati di carità e di infiammare di divina carità tutte le anime! (Scr. 39,53).
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Che la grazia dello Spirito Santo si diffonda sempre più copiosa nei nostri cuori, e ci faccia sentire quanto il Signore è vicino a noi, e ci avvezzi a sentirlo e ad esserne sempre consapevoli. E allora, quanta allegrezza santa, quanta santa gioia e letizia allora attendere e servire e ad amare Dio! Rallegrarci della santità e dei doni e grazie che Dio ci ha date e delle buone azioni che per sua grazia possiamo fare e siamo portati a fare, dandone sempre a lui ogni onore e gloria, è pure una allegrezza santa a cui esorta lo Spirito Santo, e mi fa tanto piacere, e ne prego Dio, che loro ne siano entrambi e scambievolmente lieti nel Signore (Scr. 41,150).
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A Dio rendo grazie insieme con voi, e vi ricordo in questi giorni con più frequenza e fervore, specie vi ricordo all’altare – E prego lo Spirito Santo che, in questi giorni accettevoli e di grazie, ci purifichi e santifichi, e ci sia sempre più largo di fede, di speranza e di carità Sono queste, come voi ben sapete, le virtù fondamentali della vita nostra di cristiani e di religiosi. Una fede viva, incontaminata, forte, operante dia a me e a ciascuno di voi lo Spirito Santo: quella fede che è un complesso di prodigi dell’amore di Dio verso di noi, e che è il primo passo dell’amore nostro a Dio e al prossimo (Scr. 52,179).
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Per lavorare con successo alla propria perfezione, noi religiosi dobbiamo applicarci ad acquistare, oltre le virtù cristiane, i doni dello Spirito Santo. Perché gli atti prodotti dalle semplici virtù cristiane sono buoni, è vero, ma ordinari, mentre i Doni dello Sp. Santo ci fanno operare atti di virtù perfetti. Per facilitare questo movimento dell’anima religiosa verso la santità è necessario studiare e praticare i Doni dello Spirito Santo. Fra i doni dello Spirito Santo vi è la pietà. Il dono della pietà ci dispone ad onorare Dio come nostro Padre che è nei cieli. Esso fa in modo che noi proviamo per Lui un amore tenero e filiale (Scr. 55,199).
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Oggi ho particolarmente pregato ed ho fatto pregare, perché il fuoco della santa carità dello Spirito Santo, che è il centro di ogni vera unione, ci edifichi e ci illumini con il suo divino splendore, e perché le piccole Suore della Divina Provvidenza, tutte unite di cuore indivisibilmente nell’osservanza della stessa Regola e carità, vedano le loro fatiche benedette dalla mano di Dio (Scr. 68,55).
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Solo lo Spirito Santo compirà questo gran miracolo: darà vita e bellezza nuova alla verità, la farà abbracciare con fermezza dall’intelletto e discendere confortatrice al cuore. Il Paraclito, che Gesù promette, vuol dire Consolatore; Egli è Dio, grande, potente, misericordioso, benefico: Dio al pari di Cristo: è Consolatore: li seguirà in ogni luogo ove saranno trasportati dal loro ministero, li animerà, li fortificherà, e, dopo di loro, continuerà ad assisterne i successori, che li perpetueranno. I discepoli non comprendevano che un altro potesse mai consolarli per la perdita del Maestro, ma lo comprenderanno perfettamente quando, dopo la risurrezione, Gesù Cristo svolgerà loro il piano della sua provvidenza e l’economia della religione. Lo Spirito Santo doveva venire a collocarsi in mezzo alla Chiesa per reggerla, come già aveva fatto Gesù, durante la sua vita, affinché in nessun tempo fosse priva della assistenza particolarissima del Signore. Il Paracleto avrebbe penetrato interiormente gli Apostoli dei suoi doni mirabili: doni esterni, da autorizzarne e accreditarne la missione divina: doni interni, da renderli capaci di adempirla. Doni interni: la sapienza, che, di distaccandoli dai pensieri e dagli affetti di terra, non lascerà altro gusto che delle cose di Dio; l’intelletto, che spandendo la luce nelle menti scopre le verità celesti; la scienza, che insegna la diritta via del Signore, il consiglio, che dirigendoci nei difficili sentieri della vita, ce ne fa evitare i pericoli; la fortezza, che ci rende superiori alle debolezze umane e agli errori, e ci fa affrontare e vincere i nemici di Cristo; la pietà, che animandoci al servizio di Dio, ci sostiene nelle tribolazioni; il timor di Dio, che, inspirando un santo rispetto, ci sorregge costanti nella virtù. Questi sette doni lo Spirito Santo comunicherà pure a quelli che lo riceveranno nel suo Sacramento, la Cresima. Ma agli Apostoli, nella Pentecoste, diede anche i doni esterni delle lingue e dei miracoli, perché tutte le generazioni li riconoscessero siccome i mandati da Dio. “Come la luce rapida etc...tal risonò molteplice la voce dello Spirito! ”. E ciò che Gesù Cristo aveva annunziato al suo secolo, lo Spirito Santo lo predicherà a tutti i secoli. E la Trinità stessa concorrerà alla nostra istruzione: lo stesso insegnamento disceso dal Padre, recato agli uomini dal Figlio, sarà perpetrato dallo Spirito Santo (Scr. 82,23–24).
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Gesù Cristo ha chiamato lo Spirito Santo “lo Spirito della verità”. Dio come il Padre, come il Figlio, lo Spirito Santo è l’Autore quindi di ogni verità, ed Egli la diffuse sì copiosa la verità celeste sugli Apostoli, che essi ne ebbero per sé e per noi, e la propagarono su tutta la terra, e lo Spirito Santo coronò la loro predicazione con quel sorprendente successo, che fu l’ammirazione di tutti i secoli. E l’Apostolo Paolo, che con la possanza della parola confondeva i saggi dell’Areopago, i filosofi della Grecia e gli oratori di Roma, sente così vivamente che è lo Spirito di Dio che opera in lui e per lui, che si sdegna perché vogliasi attribuire a lui o al dotto Apollo il frutto meraviglioso delle loro istruzioni e la conversione delle genti. E scrive “Io ho piantato, Apollo ha irrigato; ma Dio ha fatto crescere. Colui che pianta, colui che irriga non son nulla: Dio solo è tutto, poiché Egli è quello dà l’incremento”. (I Cor. III, 4–7). E lo Spirito Santo è ancora, è sempre tra noi, Spirito di verità. Egli assiste la Chiesa, comunica a lei e al suo Capo visibile, il Papa, l’infallibilità della dottrina. Egli dispone i fedeli a ricevere le sante verità della fede, e con la sua grazia, con la effusione dei suoi doni ammollisce i cuori più induriti e li rinnova, e trasforma in vasi d’elezione i peccatori più grandi (Scr. 82,28).
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Lo Spirito Santo è Fonte divina di verità, di carità, di umiltà, di consolazione, di beatitudine interiore! Oh venga su di noi lo Spirito Santo! Spirito di verità Spirito di orazione, Spirito di unione, Spirito di misericordiosissima e di divina carità! E la Beatissima Vergine, che certamente si trovava in quella eletta adunanza di Gerusalemme, raccolta insieme con gli Apostoli e i discepoli e le pie donne in orazione, quando, verso l’ora di terza (le nove del mattino) venne di recente dal cielo quel suono, quasi vento gagliardo, e riempie tutta la casa dove abitavano – la Beatissima Vergine, Madre nostra tenerissima e Capitana della nostra nascente Congregazione, ci ottenga da Gesù tutti e copiosissimi i doni e i frutti dello Spirito Santo, doni che ci dilatano di carità il cuore come lo dilatarono a San Filippo Neri, e ci ottenga di vivere affocati di carità e di infiammare di divina carità tutte le anime! (Scr. 101,157).
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Preghiamo lo Spirito Santo che ci ispiri ad un ideale santo e ci ponga nelle mani di Dio perché il Signore ci plasmi per essere strumenti meno indegni nelle mani della Chiesa. Abbiamo bisogno delle sue grazie, dei Suoi doni; ci infervori di santo amor divino e ci tenga umili con il timor di Dio; ci faccia sprezzare le cose terrene per elevarci vieppiù alle celesti (Par. III,188).
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Bisogna che invochiamo lo Spirito Santo. La Chiesa ci fa cantare il Veni Creator Spiritus, invocando lo Spirito Santo che venga a ricolmarci delle benedizioni celesti, a riempire le nostre anime dell’abbondanza dei suoi doni, ad infervorare le nostre anime. Ed è necessario e decoroso per me e per voi e per tutti, che venga dal profondo del cuore il proposito: anno nuovo, vita nuova! Anno nuovo e una vita secondo lo spirito del Signore, una vita da buon religioso, da buono e pio chierico, da buoni e pii religiosi e religiose. Domani la Chiesa ci dirà nella sua Liturgia: Nova sint omnia! Corda, voces et opera. Rinnoviamoci totalmente! Tutto sia nuovo! Nova sint omnia! Tutto si rinnovi in noi, nello spirito di Gesù Cristo. Et corda: innanzi tutto i cuori, e dobbiamo con il profeta Davide ripetere: cor mundum crea in me, Deus... Santificare gli affetti del cuore. Et voces: cioè la parola. Ci deve questo dono della loquela, servire a magnificare Dio e a ringraziarlo e a lodarlo e a benedirlo (Par. IX,511).
Vedi anche: Divina Provvidenza, Unione con Dio.
Sport
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Vedi che c’è quel Chierico G. Cremaschi che non va bene; mi spiacerebbe di dover prendere qualche provvedimento grave, è tutto portato per lo sport, compra i giornali dello sport e anche non di sport., quando va a scuola in Seminario, li dà a leggere a certi come lui, di poca, di poca pietà. Se puoi, scrivigli una parola buona, ma forte (Scr. 3,495).
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Don Ricaldone ha scritto una grave circolare dove si parla dei giochi del footbal, dello Sport, dei bagni etc – e si dà la linea da seguire. Non l’ho potuta avere: fatevene dare da d. Gusmano due copie: mandatemene una (Scr. 18,96).
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E così i golosi, i leggeri i mormoratori, i negligenti nei doveri, sia di pietà che di disciplina e di studio, gli avidi dello sport e di letture non permesse, non si dovranno ordinare, né ora né mai, se prima non c’è un lungo periodo di emenda, che seriamente affidi la Congregazione (Scr. 19,298).
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La conferenza su l’educazione fisica: «Mens sana in corpore sano» sarà tenuta oggi, giovedì 27 marzo, alle ore 20,30. Oratore sarà l’egr. avv. Rag. Giuseppe Cavazzana di Milano, membro del Consiglio Nazionale, promotore dell’educazione fisica ardente dello Sport e apostolo del calcio in Italia, di tutte le più alte espressioni dello sport. E non i giovani solamente, che tanto si appassionano alle gare e dello sport, ma particolarmente invitiamo quanti sono interessati ai problemi educativi moderni, e allo sviluppo dato all’educazione fisica, specialmente nella scuola media (Scr. 53,93).
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Si dà nelle nostre Case la preminenza ai giochi, allo sport, al teatrino, al cinematografo, alla musica, a tutte le altre pratiche esteriori, e alla pietà? e alle vocazioni? Ah se lo studio e la pratica della religione avranno d’ora innanzi nei nostri Collegi il posto d’onore, quale terreno propizio si avrà per svolgere e far fiorire in abbondanza le vocazioni religiose! (Scr. 56,157).
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Date ai giovani la visione della verità, e l’amore a Gesù Cristo e alla sua chiesa e alla sua Patria: fate che, ovunque il vostro giornalino arrivi, sia sempre come un raggio di Dio! Che le lettere, la scienza, la virtù, insieme pure con l’educazione dello sport, sanamente fatto e cristianamente inteso, tornino nel vostro foglietto, ad apparire quelle indissolubili sorelle, che troppi si adoperano stoltamente a separare. Ricordate bene che ogni sorgente di bene, e di forze ardenti e luminose, è Dio! (Scr. 59,179).
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Avranno scuola festiva e in alcune stagioni dell’anno scuola serale. Chi non ha il certificato di proscioglimento dovrà esservi abilitato per godere dei diritti civili. I più intelligenti potranno studiare le lingue moderne. Si coltiverà la musica, la ginnastica, lo sport. Saranno educati al culto della Patria, di cui ci sentiamo, viva il cielo, tutti indistintamente figli! (Scr. 84,313).
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Quanto allo Sport, bada che non sono del tutto d’accordo con te né con il D. Bariani, e poiché mi sono valso di due versi del Parini per dimostrare l’efficacia della educazione fisica, lo sport non è però sempre, né solo, educazione fisica, così vi ricordo che dobbiamo curare nei giovani assai più altro, che non è lo sviluppo del corpo, la sveltezza fisica etc. E pure nell’”Educazione” il Parini lo dice, e come chiaro! “Ma invan, se il resto oblio” “T’avrò possanza infuso”. Sappiti regolare quindi, caro D. Attilio (Scr. 103,228).
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I più alti frequentano le scuole Premilitari del paese con ottimo risultato e soddisfazione dei Signori Dirigenti. Le ore di lavoro, di studio, di ricreazione, di ginnastica di canto, di passeggio di sport ecc. sono distribuite secondo criterio e pratica (Scr. 107,230).
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Quando non si prega, si scivola poi a poco a poco nei vizi più bassi. Certi chierici hanno curato nei giovani più la vita sportiva che la vita della pietà... e anch’essi chissà quando e da chi andavano a confessarsi! (Par. III,65).
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Lo sport lasciatelo assolutamente da parte, né leggete giornali di sport, né giornali di politica. Non interessatevi dello sport. Don Bosco diceva così (Par. VI,156).
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Non bisogna educare i Chierici allo sport, ma bensì alla pietà e alla vita religiosa. Frenare anche nei giovani questa febbre sportiva, soprattutto nei riguardi del gioco del calcio. Da Don Bosco si usano ancor oggi antichi. Si astengano assolutamente i Chierici dal calcio. È avvenuto che un gruppo sportivo di un nostro Oratorio ha tenuto una partita durante le funzioni religiose, provocando le lamentele del parroco del paese (Riun. 21 luglio 1932).
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Prescrivere le funzioni festive per gli artigiani e per i seminari. Curare molto la pietà nei giovani, non seguire il mondo che santifica la domenica con lo sport. Curare di più la vita di comunità che alcuni nostri sacerdoti vanno sfasciando (Riun. 4 agosto 1934).
Vedi anche: Calcio (gioco).
Straccio (spiritualità dello)
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Ditegli che gli mando la benedizione e che prego per lui perché si getti ai piedi della Divina Provvidenza come lo straccio della Provvidenza. Egli persevererà se si umilierà e se si abbandonerà come un bambino nelle mani della Madonna SS.ma Faccia 10 giorni di Esercizi Spirituali cercando di purificare bene la sua coscienza e facendo pochi propositi, ma fermi e profondi che vadano sino alle radici dell’anima e propositi di vera santità e per tutta la vita di umiltà (Scr. 2,63).
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E ricordatevi che non siete divenuti Signori, perché siete gli amministratori del Rafat, dove oggi ci siete e domani non ci sarete forse più. Ricordatevi che siete sempre i poveri, gli umili, gli straccioni figli della Divina Provvidenza (Scr. 4,265).
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Fa’ le cose con spirito da buon Religioso, guardando in alto, felice di servire Dio sia da sano che da ammalato, con vita lunga o vita breve con debiti o senza debiti; onorato o disonorato: reputato o buttato là come uno straccio inutile, basta servire Dio, distaccato dal tuo te stesso, e solo anelante di servire e di amare Lui, in Croce (Scr. 5,376).
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Pel triduo faccio come vuole il Patriarca, ma se trova altri sento che farà meglio. Però mi ritenga come uno straccio a sua disposizione (Scr. 13,216).
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Metto me e tutti voi ai piedi della Santa Chiesa di G. Cristo e dei Vescovi; noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere, con il divino aiuto, figli, soldati e stracci della Santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi; senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla e non vogliamo essere nulla (Scr. 16,122).
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Bacio con devozione il s. anello e la prego di avermi con questi miei per tutta roba sua: è una robaccia logora e buona a nulla, ma se V. E. ci benedice e ci prende in mano anche dagli stracci uscirà un palpito un grido di altissima carità e la prego di volermi benedire con tutti questi nostri (Scr. 19,237).
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Lo dico specialmente ai Vescovi e alla Chiesa perché non si lascino imbrogliare da me, e ai nostri sacerdoti e chierici perché non si insuperbiscano se la Div.na Provv.za si serve dei nostri stracci per fare un po’ di bene, non perché vogliamo pasticciare le cose (Scr. 19,309).
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Non fossilizziamoci nelle forme domani io mi vestirò magari di rosso, e vi vestirò voi tutti di rosso, e vestirò di rosso anche le nostre straccione di monache, se così facendo vedrò che potrò fare più del bene (Scr. 20,97d).
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Tu hai da lavorare ma consolati, siamo tutti facchini di Dio tutti come stracci, tutti stracchi morti, che non se ne può più (Scr. 20,298).
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Il Papa e i Vescovi, e anche i sacerdoti secolari, sono i nostri padroni, ed io voglio essere e sempre mi onorerò di essere per divina grazia, il loro straccio, felice d’essere uno straccio nelle loro mani e ai loro piedi (Scr. 20,300).
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Il Papa e i Vescovi sono i nostri padroni, ed io mi onoro d’essere il loro straccio; onde quando si tratta non solo di Vescovi, ma pur di sacerdoti voglio con San Francesco d’Assisi ripetere sino alla morte e voglio cantare, anche dopo che sarò morte: Domini mei sunt: sono i miei padroni, e alla volontà del voglio umilmente chinare il capo e baciare la terra Anelo ad essere uno straccio e un’ostia nelle mani della s. Chiesa (Scr. 20,301).
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Io poi desidero che tu venga come uno straccio della Divina Provvidenza, o, meglio, come un buon figliuolo, pronto a lavorare qui come altrove, perché vorrei adoprarti anche per altro (Scr. 29,36).
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Ora noi, poveri stracci della Divina Provvidenza, guardando in alto, non desideriamo né mai abbiamo voluto togliere alla Diocesi né rendite né emolumenti: alla Diocesi da oltre 40 anni tutto abbiamo dato e nulla mai abbiamo chiesto (Scr. 31,159).
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Quanto a me, io non desidero altro, per divina grazia, che essere un figlio, senza limite devoto, alla Chiesa e ai Vescovi, e uno straccio ai loro piedi e nelle loro mani (Scr. 34,61).
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La Santa Madonna ci conforti, caro don Minetti, e ci stia sempre maternamente vicino: ci ottenga un grande amore di Dio e delle anime, e faccia di noi gli stracci più umili e più stracci della santa Chiesa, e poi ci dia un pezzetto di Paradiso (Scr. 37,197).
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A me sembra che il suo posto sia sempre tra quelle povere figlie, ad essere lo straccio di tutte per l’amore di Dio e della Santa Chiesa. Ma ella non badi a me, e stia in tutto a quello che le dirà il suo direttore di anima (Scr. 39,27).
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Prima desidero anche avere la benedizione del Vescovo piena; se no, non se ne fa nulla: il Vescovo qui è la Chiesa. Dobbiamo sospirare di essere gli stracci della santa Chiesa (Scr. 39,37).
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Notizie... su quelle povere figlie che stanno a San Bernardino. Si guadagnano il pane (per quanto è possibile) con il lavoro: cuciscono gli stracci dei figli della Div.na Provv.za, spidocchiano i bambini, lavano, cucinano e fanno da stracci nella piccola Opera della Divina Provv.za (Scr. 39,142).
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Allora è segno che sei chiamato a venire in questa piccola e poverissima congregazione la quale è lo straccio della Madonna e della Santa Chiesa di Roma. Tu dunque devi essere uno straccio, e riflettere bene che la nostra è la Congregazione degli straccioni di Dio. Sai che cosa si fa degli stracci? Con gli stracci si dà giù la polvere, si puliscono i pavimenti e si strofinano: si tolgono le ragnatele e si puliscono le scarpe, e poi si buttano sotto dei piedi, e se ne fanno gli uffici più umili e vili. Ebbene, caro mio antico figliuolo, se ti piace essere uno straccio di Dio, uno straccio sotto i piedi di Dio, sotto i piedi immacolati della Madonna SS.: se ti piace essere uno straccio sotto i piedi benedetti della Santa Madre Chiesa e nelle mani dei tuoi superiori: questo è il tuo posto: noi siamo e vogliamo essere nulla più che poveri stracci: si tratta, in una parola e uscendo di metafora, del sacrificio totale di te stesso e nell’esterno e nella vita interiore, sacrificio e d’intelletto e di raziocinio e di tutto te stesso. Va’ avanti alla Madonna: mettiti come uno straccio, di più, come un figlio, ma bambino nelle sue mani, e poi decidi come fossi in punto di morte, e avrai deciso bene (Scr. 42,58–59).
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Pregate, qualche volta, per questo povero straccio del Signore e della Madonna SS.: solo del Signore, della Madonna e della Santa Chiesa! (Scr. 42,201).
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Prego per te e ti conforto a vivere secondo Dio e ad umiliarti ai suoi Superiori; e, a costo di essere l’ultimo straccio della tua Congregazione a non abbandonarla; ma gettati ai piedi del Generale, ai piedi di tutti, e di’ che almeno ti ricevano, se non più per figlio, almeno come l’ultimo dei servi (Scr. 43,23).
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Noi preghiamo, e stiamo come stracci ai piedi e nelle mani della Chiesa: questo è quanto Dio vuole da me e da te, e che ce ne stiamo lieti in Domino (Scr. 43,116).
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Vostra Eccellenza non tema: disponga di noi oggi, domani e sempre, come di suoi stracci. È così bello essere stracci nelle mani e ai piedi della Chiesa! (Scr. 43,247).
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Non siamo per i ricchi, ma per i poveri. Molto attaccati ai Vescovi, dei quali nulla più desideriamo che d’esserne gli stracci, e molto attaccati al Papa: siamo i Gesuiti dei poveri (Scr. 43,264).
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Stasera parto per Roma – Napoli, né so quando tornerò – sto nelle mani del Signore come uno straccio (Scr. 44,7).
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Io dunque, prego il Signore che ti muova per l’unico desiderio di offrirti a Dio illimitatamente e per lasciarti adoprare come uno straccio dalla Provvidenza divina, per mezzo dei superiori, chiunque essi siano, indipendentemente da me che non sono che un povero ciabattino, e che nulla più desidero che di nascondermi nel cuore del Crocifisso (Scr. 44,108).
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Io ho creduto di vedere in te i segni della vocazione, malgrado qualche dolore che mi hai dato; ma il tuo superiore pare vada denotando con dispiacere che in te non ci sia quello sforzo di mortificazione sopra di te stesso e quello spirito di pietà e di umiltà che dovrebbero sempre risplendere in un giovane che davvero voglia essere tutto fervore di amore di Dio e della s. Chiesa, religioso vero in questa Congregazione degli straccioni (Scr. 44,159).
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Se Dio mi dà ancora un anno di vita e la sua santa grazia, e la Chiesa la Chiesa madre, la santa Chiesa di Roma, non vorrà patire scandalo dalla mia miseria, ma mi prenderà come uno straccio nella sua mano forte, e vostra Eccellenza, come un padre e una madre, mi aiuterà e conforterà, io voglio, confidando tutto nel Signore voglio piantare un corpo di Arditi nella santa Chiesa (Scr. 45,147).
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E benché senta tutto il peso del mio fango, e la debolezza di tutte le mie debolezze, e l’ignoranza di tutte le mie ignoranze, no che non mi voglio avvilire, ma mi getto quasi straccio e vero straccio sotto dei piedi della santa Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 45,178).
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Non vivo – per divina grazia – che per amare a servire Gesù e la s. Chiesa e per essere il loro straccio, sarà sempre una gioia ogni disposizione o desiderio che mi verrà dai sacri dicasteri della s. Sede (Scr. 45,314).
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Io prego per voi come per un fratello carissimo. Se venite figuratevi di essere uno straccio nelle mani della Divina Provvidenza (Scr. 46,92).
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Dio conosce il momento delle sue opere e noi non siamo che stracci nelle sue mani (Scr. 47,233).
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Eccoci, Padre santo, qui prostrati, sacerdoti e chierici: con noi sono qui in spirito anche tutti gli assenti: siamo qui con tutti i nostri cari piccoli, con tutti i cari poveri, raccolti sotto le ali della Divina Provvidenza: tutti siamo qui con le nostre miserie, con i nostri stracci e con il nostro amore, a vivere della vostra fede e del vostro paterno e santo amore (Scr. 48,41).
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Io sento tutta la mia vita e felicità in Domino nello stare ai piedi del santo Padre e di vostra Eminenza, come il più povero straccio della Divina Provvidenza (Scr. 48,80).
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Pongo tutto il mio cuore, la mia povera vita e la umile mia Congregazione ai piedi benedetti di sua Santità come uno straccio come l’ultimo straccio della Divina Provvidenza e della santa Chiesa: siamo i suoi figli più piccoli, ma, Deo adiuvante, vogliamo essere esserGli figli devotissimi, obbedientissimi, amantissimi usque ad mortem, e poi anche in Paradiso (Scr. 48,98).
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Noi siamo poveri sì e stracci ma vogliamo essere stracci e roba tutta della santa Chiesa e del Papa (Scr. 48,100).
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La mia piccola Congregazione è la Congregazione degli stracci: siamo straccia della Chiesa, e siamo per gli stracci; ma non abbia timore, Eccellenza: il Signore prepara a lei molti conforti e grazie e poi un bel posto in Paradiso (Scr. 48,119).
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Metto me e codesti cari figlioli nelle mani e ai piedi di vostra Eccellenza rev.ma come ai piedi di nostro Signore: noi siamo ai suoi ordini e nelle sue mani come figli e come stracci della Div. Provv.za (Scr. 48,174).
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Le sono sommamente grato della sua paterna bontà verso di quei poveri, miei fratelli carissimi, e la prego di averci come i suoi stracci (Scr. 48,179).
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Siamo degli stracci anzi peggio, siamo dei poveri peccatori, ma nulla più desideriamo che di amare e servire Gesù Cr. e la sua Chiesa nel Santo Padre e nei Vescovi, da figli, sì, proprio da figli senza limite obbedienti e devoti, in tutto e per tutto (Scr. 48,182).
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Vengo a mettere me, povero straccio della Divina Provvidenza, tutti i poveri del Piccolo Cottolengo di Genova ai piedi e nelle mani di v. Eminenza rev.ma come ai piedi della s. Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 48,202).
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Egli non avrà nessun obbligo di farsi di questa Piccola Opera, solo dovrà fare la nostra vita, fare le pratiche di pietà con noi e al nostro orario e lavorare per il Signore quanto più si può e per suo amore, ai piedi e nelle mani della s. Chiesa, come stracci e figli senza limiti devoti, in silenzio e carità grande (Scr. 48,216).
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Quanto è bello amare il Signore e lavorare uniti e concordi per il Signore, ai piedi e nelle mani della s. Chiesa come stracci, come figli senza limite devoti, in silenzio e carità grande, la carità che ci dà il cuore grande grande di n. Signore! (Scr. 48,216).
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Da Buenos Aires città si farebbe poi opera di penetrazione e di evangelizzazione per l’interiore, piantandoci anche nell’interno, ove piacerà alla mano della Divina Provvidenza di piantarci e di buttarci come stracci suoi (Scr. 48,256).
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Coraggio, Eccellenza, Ave Maria, e avanti! Il Signore e la Madonna la aiuteranno e saranno sempre con lei. E quando mai non trovasse da nessuna parte, ebbene, le dico fraternamente: mi scriva e tutto quello che potrò fare, lo farò con l’aiuto che mi darà il Signore, e lei si accontenterà degli stracci della Divina Provvidenza (Scr. 49,159–160).
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Prego umilmente sua Eccellenza Rev.ma di degnarsi benedirci e di averci quali stracci e quali figli; quel nulla che siamo, siamo, per divina grazia, per i Vescovo e per la Santa Sede, sempre (Scr. 49,173).
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Depongo me e i miei ai piedi di Mons. Vescovo, siccome ai piedi della Chiesa, come figli e come stracci; e abbraccio in osculo sancto tutti voi che con tanto spirito di carità avete condotto innanzi non solo, ma fatto felicemente progredire le istituzioni del compianto e indimenticabile Mons. Gentili (Scr. 49,175).
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Sento, ora più che mai, di essere un povero straccio inutile: confido nella misericordia del Signore e nelle preghiere, alle quali devo – né ho ferma convinzione – questa vita che Dio mi ha conservato. Per quel poco che il Signore vorrà da me, eccomi pronto (Scr. 49,189).
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Lei disponga di tutti noi come di suoi stracci, perché nessun più grande onore che di essere gli stracci della Santa Chiesa e dei Vescovi (Scr. 49,206).
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Questa piccola Congregazione dei figli della Divina Provvidenza, di cui, per divina grazia, fo’ parte, vuole stare umile e fedele ai piedi della Chiesa e dei Vescovi come uno straccio (Scr. 49,213).
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Io non vi posso certo dare né cattedre né onori né comodità di sorta; siamo poveri stracci e viviamo, per la divina grazia, per gli orfani, e per gli stracci, sed Spiritus Domini ubi vult spirat, e se Dio vi chiama a stare in basso. e a venirvi a nascondere tra gli straccioni della Divina Provvidenza, dite al vostro buon Vescovo e padre che se ne rallegri in Domino, perché sarà che voi di questo avete bisogno, e così il Signore vorrà provvedere al vero vostro bene (Scr. 49,261).
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Metto questo mio sacerdote nelle mani di vostra Eccellenza come un figlio, e ai piedi di vostra Eccellenza come uno straccio. Tale è, per divina grazia, e vuole essere la Piccola Opera della Divina Provvidenza ai piedi della santa Chiesa, dei Vescovi e del Vicario di n. Signore Gesù Cristo (Scr. 49,277).
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Voi siete l’inviato del Signore e del Papa: noi tutti siamo ai vostri ordini e come stracci nelle vostre mani: disponete di noi e di ogni cosa della Piccola Opera come meglio credete nel Signore: gettateci dove e come volete, saremo sempre felicissimi di compiere, con il divino aiuto, ogni vostro ordine o desiderio, e vi ameremo ogni dì più, come vero padre nel Signore (Scr. 50,13).
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Voi siete Vescovi, fate di me come uno straccio nelle vostre mani: la Divina Provvidenza mi aiuterà (Scr. 50,18).
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Ho accettato in Domino, e in Domino, con la stessa gioia, con la stessa prontezza e slancio, e con slancio e gioia, direi, ancor più grande sono pronto a ritirarmi, e in bel modo, basterà un suo cenno, e il Signore susciterà altri, che farà sempre più e meglio di noi, poveri stracci della Div.na Provv.za (Scr. 50,25).
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Se v. Eccellenza ci benedice e ci prende in mano, anche dagli stracci uscirà un palpito un grido di altissima carità (Scr. 50,34).
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Ubbidisci da buon figliuolo, e andrai o ti lascerai gettare come uno straccio, ti felice di essere un vero straccio o meglio un vero figlio della Divina Provvidenza. Così facendo Dio sarà con te, andrai per la diritta via del Signore e ti farai santo (Scr. 51,4).
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E penso che Nostro Signore nella sua infinita bontà, qualche volta avrà pur fatto sentire al cuore di Vostra Eccellenza Rev.ma che ella tiene qui nella lontana Italia, e in questo povero straccio della Divina Provvidenza, un servo umile e sincero (Scr. 51,149).
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Nostro Signore ci aiuti ad essere noi sempre con Vostra Eccellenza Rev.ma, e ci aiuti la Madonna nostra dolcissima Madre ad essere come gli stracci nelle mani dei Vescovi e della Santa Chiesa di Dio (Scr. 51,158).
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V. Eccellenza disponga di me e di essi come di suoi servitori fedeli, anzi come di altrettanti poveri figliuoli; poiché, grazie a Dio, questo e non altro è e deve restare lo spirito di questa Piccola Opera della Divina Provvidenza: di essere cioè sempre come il più umile straccio nelle mani e ai piedi dei Vescovi e della Santa Chiesa (Scr. 51,173).
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Mando anche le suore Figlie della Divina Provvidenza per Mare del Plata: confido faranno bene anche loro; ma tutte voglio che come stracci nelle mani di Vostra Eccellenza e che ne faccia in Domino quello che vuole: noi non siamo per noi, ma per la Chiesa e per i Vescovi; siamo stracci e per gli stracci cioè per i poveri e per ogni miseria...non è per sé, ma per il Vicario di N. Signore Gesù Cristo e per servire d’in ginocchio, in umiltà e carità grande e senza limite devota, la Chiesa e i Vescovi, e stare sotto i piedi di tutti come uno straccio, basta amare Gesù e fare la volontà di Gesù che si manifesta nella Chiesa e nei Vescovi (Scr. 51,191).
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Non ho altro desiderio, grazie a Dio: io voglio essere lo straccio di Gesù e della Santa Chiesa: sono un povero peccatore, ma almeno essere l’ultimo straccio, e uno straccio che gridi: amore, amore, amore a Gesù e alla Santa Chiesa! (Scr. 51,250).
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Io metto me, lui e voi tutti nelle mani della Madonna, nostra amabilissima madre e fondatrice. E metto me e tutti voi ai piedi della santa Chiesa di G. Cristo e dei Vescovi; noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere figli, soldati, stracci della santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi, senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla, e non vogliamo essere nulla (Scr. 52,97).
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Per benché minimo cenno o desiderio del Papa dobbiamo tutto dare, tutto sacrificare, tutti offrirci come ostie viventi: la Congregazione non potrà vivere, non dovrà vivere che per lui; dev’essere una forza nelle mani di lui, dev’essere uno straccio ai piedi di lui o sotto ai piedi di lui (Scr. 52,112).
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La M. Badessa di Cascia si metta come uno straccio ai piedi e nelle mani del Papa, come già fece Santa Rita quando andò a prendere il Giubileo. Et Deo gratias! (Scr. 53,251).
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Ho salito tante scale, ho battuto a tante porte! Dio, che mi portava avanti come un suo straccio, Dio solo lo sa (Scr. 56,135).
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Che tu, o mio amato figliuolo nella carità del Signore venga sempre alla Divina Provvidenza, o meglio si sempre della piccola Congregazione come uno straccio, o, meglio come un figliuolo, pronto a lavorare qui come altrove (Scr. 57,25).
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Il motivo precipuo che mi mosse a chiedere detta Chiesa, così vicina a San Pietro, è di dare, anche in questo, ai miei religiosi un segno dell’attaccamento che io e loro dobbiamo sempre avere alla s. sede, si che, con la divina grazia, abbiamo a starle ai piedi sempre da umili, fedeli e amatissimi figli, e come stracci (Scr. 58,78).
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Ci dia, nella carità di Gesù Cristo, quell’indirizzo, quel soffio vitale che è secondo lo spirito e la volontà di Dio e della sede apostolica, poiché noi siamo poveri sì e stracci, ma vogliamo essere stracci e roba tutta della santa Chiesa e del Papa (Scr. 58,109).
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Figliol mio, prega e pensa bene ai piedi di Gesù, e poi sii felice di essere lo straccio della Divina Provvidenza e magari lo straccio di tutti per l’amore di Gesù Cristo benedetto (Scr. 59,272).
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Miei cari benefattori, tutto per Dio, tutto per le anime, tutto e sempre tutto in Domino! Umili e fedeli ai piedi della s. Chiesa, del Papa, dei Vescovi dei parroci, dei sacerdoti e di ogni autorità: come figli, come servi, come stracci! (Scr. 62,3).
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Sono tanto misero e miserabile che, pur volendo essere solo e tutto di Dio, non so cominciare. Ond’è che supplico la misericordia di N. Signore e la carità di V. Eminenza ad aiutarmi, e di avermi come il loro straccio, e non fidarsi di me, che vi vado ingannando tutti ma sopra tutti inganno me, dicendo sempre che comincio, comincio, e son sempre al punto di prima se non peggio. Povero me! (Scr. 64,69).
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Lei cerchi solo di essere uno straccio nelle mani del Signore: uno straccione nelle mani di Gesù, e di Gesù Cristo Crocifisso e della Sua SS.ma Madre, e della Santa Madre Chiesa. Stia bene umile e attaccata ai piedi della Santa Chiesa. E poi serva a Dio con soavità, lasciandosi condurre in tutto da Chi la dirige (Scr. 65,114).
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Eviterete la comodità che producano il rilassamento dello spirito religioso e farete penitenza e cercherete di umiliare e rinnegare voi stesse e di diventare gli stracci della casa e di tutte le altre vostre consorelle (Scr. 65,222).
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Per l’aiuto che mi ha dato nostro Signore io sono sempre stato uno straccio ai piedi dei Vescovi e della Santa Chiesa, e così i miei Sacerdoti. Tutta la mia povera vita e la Piccola Congregazione è consacrata con voto a seguire in umiltà, fedeltà, obbedienza e amore i Vescovi e la Santa Sede (Scr. 67,200).
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Noi siamo, per Divina grazia, agli ordini dei Vescovi, e come stracci ai piedi e nelle mani dei Vescovi e della Santa Sede (Scr. 67,201).
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Pongo tutto il mio cuore, la mia povera vita, e l’umile Congregazione ai piedi benedetti di Sua Santità come uno straccio, come l’ultimo straccio della Divina Provvidenza e della Santa Chiesa: siamo i suoi figli più piccoli, ma, Deo adiuvante, vogliano esserGli figli devotissimi obbedientissimi, amatissimi usque ad mortem, e poi anche in Paradiso (Scr. 67,204).
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Noi siamo la Congregazione degli stracci e gli straccioni noi siamo della Divina Provvidenza. Ove finiscono i nostri stracci e la nostra miseria, là incomincia la ricchezza infinita della Provvidenza del nostro buon Padre celeste, del nostro Dio! (Scr. 69,320).
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La Piccola Opera della Divina Provvidenza debb’essere ora e sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della Santa Chiesa (Scr. 69,410).
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Io metto il sacerdote Marabotto nelle mani di Vostra Eccellenza come un figlio, e ci poniamo ai suoi piedi come uno straccio. Tale la Piccola Opera della Divina Provvidenza vuol essere, sempre umile e fedele ai piedi della Santa Chiesa, dei Vescovi e del Vicario di Nostro Signore Gesù Cristo (Scr. 70,238).
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Io e i miei poveri stracci siamo tutti nelle mani di Vostra Eccellenza! Padre amatissimo della mia fede e della mia anima, non ho altro di meglio da offrirti che rinnovare la consacrazione di me nelle tue mani (Scr. 72,251).
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Se si ritenesse che debba ancora intervenire, si ricordi che nulla mi sta più a cuore che di essere uno straccio nelle mani dei Superiori e degli Amici (Scr. 73,133).
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Metto tutto me stesso sotto i dolci piedi di Gesù Crocifisso, e voglio stare tutto sotto ai Suoi piedi, come uno straccio (Scr. 75,43).
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Noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere, con l’aiuto divino, figli, soldati e stracci della Santa Chiesa, del Papa, dei Vescovi, senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla e vogliamo essere nulla (Scr. 76,56).
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Prega la Madonna SS.ma e pensaci bene davanti al Signore, e poi, se vuoi essere uno straccio nelle mani della Divina Provvidenza, vieni pure (Scr. 80,54).
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In qualunque modo mi metto, a tutte le ore, a disposizione come uno straccio in Domino, pur di evitare dolori alla Santa Sede (Scr. 81,44).
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Non ho parole per esprimerLe, Eminenza, tutta la mia profonda gratitudine; e pongo la mia povera vita e tutta la povera mia Congregazione ai Piedi augusti di Sua Santità come uno straccio, come l’ultimo straccio della Divina Provvidenza (Scr. 81,239).
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Siamo poveri peccatori, e non desideriamo che di stare con la fronte nella polvere davanti a Dio e alla Chiesa, e d’essere i poveri stracci della Divina Provvidenza nelle mani e ai piedi della Santa Chiesa (Scr. 88,94).
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Il Signore, cari miei figli, ha stabilito che facciamo qualche cosa per Lui e dobbiamo cominciare con il lavorare, con l’essere stracci, ma in realtà, e non a chiacchiere, gli stracci di Dio; gli stracci della Madonna SS.: gli stracci della Divina Provvidenza. Non ci deve parere grave il lavoro e i sacrifici che facciamo per il Signore e per i giovani che ci ha affidati (Scr. 91,14).
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Non tema adunque, Sig. Direttore e Padre, che i suoi figli, anche se poveri stracci buoni a niente, vivono nelle sante mani del Signore e della Madonna Santissima e lavorano, lavorano per le anime! (Scr. 94,49).
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Mi metto ai piedi di Vostra Eminenza come il suo straccio ma anche come il suo figliuolo, e La supplico della più grande carità: non lasci di invocare la mia sincera e perseverante conversione alla carità e misericordia di Gesù Crocifisso e al suo santo amore (Scr. 94,239).
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Noi siamo gli stracci della Provvidenza Divina e della Santa Chiesa. Glorifichiamo il Signore e cantiamo le sue lodi d’in ginocchio nel Presepe, ai piedi di Gesù Bambino. Com’è sublime e bello diventare piccini piccini ai piedi di Gesù Bambino (Scr. 95,230).
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Questa e non altro è e deve restare lo spirito di questa Piccola Opera della Divina Provvidenza: di essere cioè come il più umile straccio nelle mani e ai piedi dei Vescovi e della Santa Chiesa (Scr. 97,165).
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Non voglio che amare Gesù e la Chiesa: non vivo che per essere lo straccio di Gesù e della Chiesa (Scr. 97,195).
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Voi siete l’inviato del Signore e del Papa: noi tutti siamo ai vostri ordini e come stracci nelle vostre mani: disponete di noi e di ogni cosa della Piccola Opera come meglio credete nel Signore; gettateci dove e come volete, saremo sempre felicissimi di compiere, con il divino aiuto, ogni Vostro ordine o desiderio, e Vi ameremo ogni di più, come vero Padre nel Signore (Scr. 101,250).
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Io ho qui la Madonna davanti, che mi pare che dica: Avanti! Avanti in Domino! Dunque Le diranno di andare avanti, e Lei non ci pensi: si getti come lo straccio della Divina Provvidenza ai piedi e nelle Mani della Santa Chiesa, e si lasci portare (Scr. 103,97).
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È segno che sei chiamato a venire in questa piccola e poverissima Congregazione la quale è lo straccio della Madonna e della Chiesa di Roma. Tu dunque devi essere uno straccio e riflettere bene che la nostra è la Congregazione degli straccioni di Dio. Sai che cosa si fa degli stracci? Con gli stracci si dà la polvere, si puliscono i pavimenti e si strofinano: si tolgono le ragnatele e si puliscono le scarpe, e poi si buttano sotto dei piedi e se ne fanno gli uffici più umili e vili. Ebbene, caro mio antico figliuolo, se ti piace essere uno straccio di Dio, uno straccio sotto i piedi di Dio sotto i piedi immacolati della Madonna SS.: se ti piace essere uno straccio sotto i piedi benedetti della Santa Madre Chiesa e nelle mani dei tuoi Superiori: questo è il tuo posto: noi siamo e vogliamo essere nulla più che poveri stracci, in una parola, e uscendo di metafora, nel sacrificio totale di te stesso e nell’esterno e nella vita interiore, sacrificio e d’intelletto e di raziocinio e di tutto te stesso. Va’ avanti alla Madonna: mettiti come uno straccio, di più, come un figlio, un bambino nelle sue mani, e poi decidi come fossi in punto di morte, e avrai deciso bene (Scr. 103,135–136).
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Nel nome di Dio e di Maria Santissima – Pregare, tacere, patire da straccio, adorare, da straccio, da straccio nelle mani e ai piedi della Santa Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 105,251).
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Siamo poveri peccatori, e non desideriamo che di stare con la fronte nella polvere davanti a Dio e alla Chiesa e d’essere i poveri stracci della Divina Provvidenza nelle mani e ai piedi della Santa Chiesa (Scr. 107,181).
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Per l’aiuto che mi ha dato Nostro Signore, io sono sempre stato uno straccio ai piedi dei Vescovi e della Santa Chiesa, e così i miei Sacerdoti. Tutta la mia povera vita e la piccola Congregazione è consacrata con voto a servire in umiltà; fedeltà obbedienza e amore i Vescovi e la Santa Sede (Scr. 107,190).
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Io vado molto alla buona, proprio da poveri stracci, come noi siamo, e non stenterò a farmi capire da tutti. Voglia pregare il Signore perché non disdegni di servirsi di questo poveretto per fare un po’ di bene (Scr. 109,145).
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La Piccola nostra Congregazione dev’essere come uno straccio ai piedi e sotto i piedi di tutti, per l’amore di Dio benedetto e per nostra santificazione (Scr. 117,103).
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Comprenderete anche che debbo abbandonarmi tutto nelle mani della Divina Provvidenza come uno straccio, senza cercarLe tante cose, né che sarà del domani. Il tempo della vita poi è così breve e sì prezioso, che sarebbe anche una lastima indugiarci dove lo straccio andrà a finire: il Signore lo getti di là, come vuole; si sta sempre bene, quando si sta dove vuole il Signore (Scr. 119,93).
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Viviamo da umili, da pii, da buoni Religiosi e la Divina Provvidenza si servirà di noi, suoi stracci e suoi figli, per la gloria di Dio e per dare grandi consolazioni al Papa e ai Vescovi e guadagnare Anime! (Lett. II,238).
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Con l’aiuto di Dio si fa tutto, ogni cosa riesce bene, ed ogni straccio serve per far del bene. Fatevi coraggio, andate avanti sempre e riceverete tante grazie: e questa di occuparsi dei bambini tanto amati da Gesù (Par. I,58).
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Abbandonatevi come stracci nelle mani della Divina Provvidenza! Pregate e vegliate! È l’avvertimento che Gesù diede ai suoi Apostoli. Pregate e vegliate! (Par. I,101).
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Andai a Viterbo un giorno e siccome abitava lì, andai da lei a celebrare la Santa Messa e le portai pure il Santo Bambino, quello che chiamano girandolone, perché lo portano dai malati. Quando stavo per venir via mi disse: «Quando Lei fonderà un monastero di monache dirà loro così: Che io lascio loro questo ricordo...». A dire il vero, io allora non ci pensavo nemmeno ed ho cominciato a pensarci da quel giorno. «Dirà loro che si lascino adoperare come veri stracci». Per questo vi ho chiamate straccione. Guardate, buone figliole del Signore, guardate come si adoperano gli stracci: un po’ si adoperano per pulire i mobili, un po’ per pulire in terra, si mettono sotto i piedi, si buttano in un canto: così si fa degli stracci! «Dica loro, mi disse quella monaca, che procurino di essere veramente come stracci e la benedizione di Dio sarà con loro». Guardiamo sempre i Superiori con gli occhi della fede! Noi non dobbiamo vedere, in chi ci comanda, il Superiore o la Consorella, ma Nostro Signore Gesù Cristo (Par. I,184).
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Grande povertà, grande povertà, grande carità, grande obbedienza, la santa virtù praticata come gli angeli, rinunzia completa di sé, della volontà propria, uno straccio in mano dei Superiori: ecco come deve essere una Missionaria della Carità (Par. I,238).
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Pietà soda, pietà soda, pietà soda, che è come la carità; con la pietà si mandan giù i bocconi amari come se fossero dolci; quella pietà, però che dice al Signore; fate di me come uno straccio; una pietà reale, non a chiacchiere (Par. II,32).
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Bisogna essere degli stracci nelle mani di Dio! Siate come gli stracci! Lo sapete, gli stracci si adoperano come si vuole; io per esempio mi pulisco le scarpe con lo straccio e anche poco fa, prima di venire qui, ho visto che le avevo tanto impolverate, ed ho preso uno straccio e le ho pulite. Voi poi, lo sapete meglio di me, che cosa si fa degli stracci; se li mettete sul tavolo stanno sul tavolo, se li buttate su una poltrona, stanno sulla poltrona; se li mettete sotto i piedi, ebbene si lasciano calpestare. Noi dobbiamo essere gli stracci della Divina Provvidenza. E poi dobbiamo governare la nostra volontà secondo l’ubbidienza (Par. II,73–74).
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Cercate i poveri; voi altre siete per la scopatura del mondo, per i poveri; siete povere, siete povere, vivete povere; e dovete essere per i poveri. Povere, povere, povere! Straccione, straccione, straccione per i poveri; pulite, pulite, sì, ma straccione, e per i poveri. Pensate, o buone Missionarie della Carità, che se Dio ha eletto voi, voi avete eletto Dio. Fra voi e Dio ci deve essere un anello di congiunzione: l’amore fra voi e Dio (Par. II,88).
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Ogni Congregazione ha uno scopo prossimo. Le Dorotee hanno lo scopo di istruire le figlie dei ricchi; i Gesuiti hanno lo scopo di difendere la fede di Gesù Cristo e sono gli educatori dei figli dei nobili; ma loro adoperano la penna perché hanno uno scopo loro. Noi, invece, abbiamo per scopo gli stracci, i miseri (Par. II,121t).
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Tesoreggiate il tempo, mettetevi nelle mani del vostro Superiore come stracci, con animo docile, sicché vi possa plasmare secondo che il Signore l’ispira (Par. IV,359).
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Voi dovete essere uno straccio nelle mani dei Superiori. Vedete questo fazzoletto? Se io lo metto sotto i piedi lui sta sotto i piedi; se lo metto là sul trono, egli sta sul trono; se lo metto qui sull’Altare, sta sull’Altare, e così dovete essere voialtri (Par. V,103).
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Vi raccomando tanto la preghiera, e di mettervi nelle mani di Don Cremaschi come uno straccio. Con uno straccio mi pulisco le scarpe; lo metto sotto i piedi, e sotto i piedi sta; lo metto sopra un trono e sta sopra il trono; insomma, la Congregazione deve essere uno straccio in mano della Chiesa e del Papa e dei Vescovi. E fin d’ora dovete essere nelle mani del maestro come stracci (Par. VI,149).
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Ma se saremo devoti di Lei, la Madonna dispiegherà il suo manto sull’Opera della Divina Provvidenza, e salveremo tante anime; e, se saremo come stracci nelle sue mani, diventeremo una vera forza per la Chiesa, e una luce vera di Dio (Par. VI,151).
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Dobbiamo essere come stracci in mano alla Chiesa, ma non soltanto come stracci, ma anche una forza, perché tutti convergenti in unum; una forza di fede, di carità e anche di dottrina, ora specialmente che in mille modi si trasmette l’errore (Par. VI,295).
Ma noi siamo stracci nelle mani del Signore, della Divina Provvidenza, nelle mani della Madonna che ci porta qua e là, senza che noi neanche sappiamo dove e come, ma sempre per il nostro bene e per il bene delle anime a noi affidate, giacché noi siamo stracci nelle mani della Chiesa, al cui servizio noi unicamente siamo, con devozione piena e perpetua... Il Signore faccia sempre di noi quello che più gli piace, quello che è il maggior bene delle nostre anime e della nostra piccola Congregazione... Ve l’ho detto tante volte che noi siamo stracci di Dio e della Madonna, e la grazia e fortuna è tutta nostra, se Egli si serve delle nostre miserie per fare qualche cosa di bene nella Santa Chiesa (Par. VII,5). -
Che consolazione per i vostri Superiori quando vedono che i loro religiosi si lasciano adoperare come degli stracci per una Casa o per l’altra, senza differenza di meridiano o di ufficio... Allora sì che è grande la letizia; allora sì che con quattro noci in un sacco si può muovere il mondo (Par. VIII,214).
Vedi anche: Croce, Distacco (virtù), Mortificazione, Penitenza (virtù), Privazioni, Rinnegamento di sé, Sacrificio, Sette “effe”, Umiltà.
Studio
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Lo studio sia fatto come un mezzo per conoscere meglio Dio, per meglio amarlo e servirlo nella Santa Chiesa: per conoscere meglio i bisogni del prossimo, e poterlo meglio assistere e portarlo al Signore, secondo il fine proprio della Congregazione. Cari Chierici, non invanite per trovarvi voi a studiare a Roma, ma date grazie a Dio e pensate ai doveri maggiori che avete, e alla vostra responsabilità di più corrispondere ai sacrifici che la Piccola Opera fa per voi. E ricordate sempre che tutta la scienza e la stessa teologia, non vale nulla, senza la virtù, senza l’umiltà. Santificate lo studio coll’orazione e con una vita edificante di umili e pii religiosi, se volete che davvero la mano e la benedizione di Dio siano sopra di voi e sull’Istituto (Scr. 8,192).
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Lo studio e la scienza non rendono superbi quando si acquistano con retta e pura intenzione di dar gloria a Dio, da Cui vengono tutti i doni e tutti i lumi: «Deus scientiarum Dominus» e allo scopo di fare un maggior bene ai nostri fratelli. Gli studi devono terminarsi in Dio e nella carità del prossimo. Da noi si deve unicamente studiare per conoscere meglio Dio e poterlo meglio amare: per poter avvicinare di più il prossimo per conoscerne i bisogni, per elevarlo a Dio, per meglio assisterlo e salvarlo. Gli studi in una parola, sono un mezzo per santificarci e per santificare, per servire più efficacemente la causa della Chiesa e servire al fine proprio della umile nostra Congregazione. Così si santifica lo studio, e lo studio santifica noi, e basati su questi principi, animati da tale spirito, lo studio diventa uno dei cardini di vita della Piccola Opera della Divina Provvidenza: noi si santifica lo studio e lo studio santifica noi (Scr. 8,193).
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Non dobbiamo quindi fermarci coll’istruzione né alla letteratura, né alle arti, né alla filosofia, né allo studio delle scienze fisiche o metafisiche o in altra scienza sacra o profana – per quanto siano belle e profittevoli e fin divine, per quanto ci vadano a genio, ma dobbiamo dalle scienze salire al Dio e Signore delle Scienze: dobbiamo pervenire al Vangelo. E attendere di proposito allo studio più importante che è quello della virtù. È troppo fredda e inefficace la cognizione della mente, senza lo studio della orazione, senza la scienza dell’umiltà, dell’obbedienza, della povertà, della carità: ogni scienza è insulsa e per la vita della perfezione e della salute diventa un pericolo, quando l’amor di Dio e del prossimo non lo animi (Scr. 8,194).
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Ora i Chierici avranno ripreso gli studi: raccomando lo studio, ma, sopra tutto, raccomando lo studio di Gesù Cristo Crocifisso, raccomando il santo amore di Dio, la carità: prima la carità e poi la scienza, giacché questa destruetur, e quella non iscade mai. Questo già Vi ho scritto altra volta: ogni scienza diventa insulsa e un pericolo, se la pietà soda, se la carità che è dolcissimo e fortissimo amore di Dio e delle anime, non la condisce. E non si esaltino codesti figliuoli, perché vanno alla Gregoriana: non quello che studia nelle grandi aule e da bravi maestri edifica la sua casa sulla pietra, ma quello che sta umile e fedele al Signore e fa di sé un intero olocausto nella carità, ai piedi di N. Signore Gesù Cr. e della sua Chiesa (Scr. 8,199).
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Vale più a formare l’uomo religioso un’oncia di spirito di sacrificio per il prossimo che mille anni di studi per sé. Curatene quanto più potrete anche lo studio, ma evitino che si pensi che essi siano venuti in Congregazione più per studiare che per consacrarsi al Signore e rinnegare sé stessi, e così portare la loro croce e farsi santi (Scr. 24,51).
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Uno dei cardini del genere di vita della nostra Congregazione è lo studio. Lo studio viene subito dopo la pietà, ma noi gli studi anche della letteratura e delle scienze profane, vogliamo e dobbiamo santificarli e con essi giovare spiritualmente a noi e ai nostri fratelli; per la gloria di Dio e a vantaggio della Chiesa, Madre nostra. Molto desidero regolarizzare gli studi dei nostri per poter mettere a disposizione di Gesù Cristo e della Chiesa la maggior forza possibile (Scr. 26,152).
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Tutto lo studio e la cultura rivolgila, o figlio mio, per l’eterna salute tua e altrui, per la tua e altrui santificazione, per la gloria di Dio e il servizio della Chiesa di Gesù Cristo. Lo studio e le cognizioni non rendono superbi, quando si acquistano con retta e pura intenzione della gloria di Dio e della carità del prossimo, deponendo la mente e le attitudini nostre come una forza ai piedi e al servizio della Chiesa. Il primo fine per cui ti ho indirizzato a Roma è stato perché tu potessi con lo studio della sana e purissima dottrina cattolica conoscere sempre meglio Dio e Lo potessi meglio amare: conoscere meglio la «columna veritatis», «columna et firmamentum veritatis» che è la Chiesa, come la chiama San Paolo, e potessi amarla ognora più e diventare una energia razionale a sua difesa e a suo servizio: conoscere meglio dal centro del Cristianesimo i bisogni delle anime e poterle meglio assistere, istruirle un giorno, illuminarle e salvarle, con il divino aiuto che non ti mancherà. Credilo, figliuol mio, lo studio inteso così, fatto così, giova immensamente ad esercitare con più frutto la carità; ma però ricordiamo sempre che il corso dello studio più importante è sempre quello della virtù, della perfezione, della santità, Deo adjuvante (Scr. 31,223).
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È troppo fredda ed inefficace la cognizione della mente, sia pure nello studio della sana filosofia e della teologia, senza la beata scienza esperimentale che fu quella dei Santi e quella di Cristo, ond’è preziosa, ben altamente preziosa la sentenza di San Francesco d’Assisi, di quell’«humilis et pauper Franciscus», che diceva: «Tantum scimus quantum in caritate operamur». Figliuol mio, ascolta e finisco: la scienza della umiltà, «radix et fundamentum virtutum omnium», la scienza della mansuetudine, della obbedienza e della povertà di cuore: la scienza della illibatezza e santità della vita è una scienza recondita, che non la insegna il mondo, e rarissimamente la si apprende dalle scuole pure nostre: è scienza che non ha aspetto pretenzioso né faccia baldanzosa, ma è la scienza santa, la scienza della salute! Questa, o figliuol mio, è la nostra scienza, e la si impara alla scuola divina di Gesù Cristo Crocifisso. E allora si capisce San Paolo, il tuo santo, che diceva: una cosa sola io so: Gesù Cristo e Gesù Crocifisso! Una cosa sola predico: Gesù Cristo e questo Crocifisso! Il Crocifisso è cattedra, la più alta cattedra: è libro, il più gran libro! E Bonaventura chiederà a San Tommaso dove ha imparato, e San Tommaso gli additerà il Crocifisso! (Scr. 31,225).
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Vi raccomando anche e molto lo studio: lo studio e le cognizioni non rendono superbi e non gonfiano, quando si acquistano con umiltà di spirito, con retta e pura intenzione di dare gloria a Dio e di servire la Chiesa e salvare la gioventù e le anime, come, o figlio mio, sono più che sicuro che vorrai fare tu e i tuoi compagni e fratelli di vocazione e di studio. Terminando in Dio tutti i vostri studi, ed elevando nel sapere, e nella ricerca del sapere, la mente al creatore, nel vivo desiderio di giovare al prossimo, vi farete santi e vi acquisterete onore e gloria immarcescibile. Ma vogliate unire allo studio molta orazione; l’unire lo studio all’orazione è un esercizio penoso a principio, ma in progresso diventa una gioia interiore, un’esaltazione umile, ma che consola lo spirito – ci dà anima di semplicità e diventa come un’immensa fonte di luce (Scr. 33,3).
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Non voglio dire che non dobbiate applicarvi allo studio, se i Superiori dispongono così. Fate servire i vostri talenti per la gloria di Dio e per il bene delle anime; ma state attente perché c’è un pericolo. San Francesco d’Assisi metteva in guardia Sant’Antonio, che era a Vercelli a spiegare la Sacra Scrittura, e gli diceva: Sta’ attento che lo studio non ti distolga lo spirito dall’unione con Dio. E notate che Sant’Antonio spiegava la Sacra Scrittura! (Par. II,227).
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Dobbiamo santificare la scuola e lo studio. San Girolamo diceva: Voglio vivere come se dovessi morire sempre e voglio studiare per Dio come se non dovessi morire mai. Voglio studiare! E quanto ha studiato! A lui si rivolgeva Sant’Agostino, l’aquila d’Ippona, come discepolo e maestro. Che grande frase: Voglio vivere come se dovessi morire sempre e voglio studiare come se dovessi morire mai! Ed un altro santo Dottore della Chiesa, San Francesco di Sales, diceva che, per gli ecclesiastici, lo studio è l’ottavo Sacramento. Se parte dell’Europa si è distaccata dalla fede cattolica e dal Papa, fu perché nel resto della cattolicità avevano abbandonata la scienza, e quando l’arca di Dio cadde nelle mani degli Amaleciti, il clero non seppe difenderla e salvarla (Par. III,26).
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Studiate, cari figlioli! Da Don Bosco, all’avvicinarsi degli esami finali, durante la ricreazione, si sentiva un silenzio e i giovani si ritiravano in gruppi di tre o quattro e passavano questo tempo a ripassare la lezione. Qui invece, da un pezzo vedo che saltate con più lena: si vede che siete ben preparati agli esami! Giocate pure e io non vi proibirò mai di saltare in ricreazione perché, mentre giocate, il diavolo se ne sta lontano. Ma ricordatevi però che se rimarrete bocciati, vi mando a casa! Mi rincresce di far questo, ma io non posso tenere qui della gente che mangia il pane della Divina Provvidenza a tradimento. Non perdetevi d’animo e ricorrete alla Madonna; cercate di occupare bene questi due ultimi giorni di studio in modo da ricuperare il tempo perduto durante l’anno, affinché possiate essere promossi (Par. V,64–65).
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Lo studio è il mezzo per una buona vita religiosa, non è il fine. Lo studio profondamente cristiano è davanti a Dio una continua preghiera (Par. V,219).
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Sia il vostro studio una oblazione, sia spiritualizzato, con il retto fine. Aut sint, aut non sint. Ma per quelli che sono stati bocciati agli esami di riparazione lascio tempo fino a Natale. Quelli che si sentissero in coscienza di non aver usato quella diligenza e quello studio, diligente e sufficiente per riparare, hanno tempo fino a Natale. Se allora non riparano, io sarò costretto ad allontanarli o a mandarli in una sezione a parte, che voi ben capite. Voglio che questa casa sia, non un ammasso di gente, ma invece una forza non solo spirituale, non tanto materiale, ma dottrinale (Par. V,257).
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Vengo stasera a ricordarvi il dovere di studiare, di occupare bene il tempo. Il Signore nel Vangelo dice che chiederà conto dei talenti dati a ciascuno di voi. Non vogliate imitare quello che seppellì il suo talento. Occupate tutto il tempo. Figlioli miei, cercate di studiare; l’ozio è il padre dei vizi. Se qualcuno non fa tesoro del tempo è segno che non ha vocazione. Uno dei segni della vocazione è l’impegno di studiare e di fare tutti i propri doveri, di conservare bene il tempo. Stasera vi raccomando questo dovere (Par. V,348).
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Coltiviamo lo studio per Dio, lo studio che conduce a Dio, lo studio che porta a Dio. Una forza di apostolato, di carità sotto tutte le forme senza nessuna eccezione. Studio umile che attinga alle sorgenti pure e fatto per lo scopo sublime della santificazione nostra e dei fratelli. Servirsi della sana scienza per portare Gesù Cristo alle anime (Par. V,358).
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Per fare del bene bisogna studiare! Studiate, studiate, studiate quanto c’è bisogno, non vedete che tutti studiano, leggono giornali, riviste, periodici, libri; avranno forse una infarinatura, ma studiano. Noi dobbiamo stare all’avanguardia: vedete i protestanti come spargono i libri corrompitori della nostra fede e loro lo fanno solo per interesse perché di fede non hanno che il semplice nome. Studiano, studiano... Dello studio vi farò una conferenza a parte. Studiate, non pensate che io non studi; tutti i giorni mi do da due o tre ore allo studio, se non studiassi non vi parlerei così (Par. VI,222).
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Studiare bene la teologia; se non si sa bene la filosofia, non si sa bene la teologia. Solo così si potranno fare dei buoni sacerdoti. Prima la pietà e l’amor di Dio, unica e vera base, e poi lo studio. Quanto bene può fare un sacerdote che sa, perché può sempre parlare e far rispettare l’abito, la Chiesa e Cristo! Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e la legge. Dopo i cinque anni di ginnasio si fanno i tre anni di liceo. Desidero che la Congregazione abbia sacerdoti degni, con testa sulle spalle, con spirito buono e studio scientifico. Studiare anche quelle cose a cui si ha tendenza; il prete deve avere cultura per entrare con il sapere, per valersene, per attrarre a sé la società (Par. VI,274).
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Bisogna stare attenti che lo studio vi debba servire come mezzo per amare e conoscere di più il Signore e per farlo amare e conoscere di più. Lo studio preso così e fatto così, non invanisce; e non fa diventare superbi, quando tutte le scienze si acquistano con l’intenzione di dare gloria a Dio e per il bene delle anime! Bisogna mettere questo fondamento di rettitudine, di pura intenzione e di umiltà come base a tutti gli studi! Dobbiamo terminare in Dio tutte le cose, ma, in modo particolare tutti gli studi e specialmente quelli speculativi. Molto aspetta da voi la Congregazione, che è ancora nella sua età eroica! Aspetta molto da voi la nostra Italia! Studiate, studiate con intenzione pura, alta e santa, di conoscere Dio, di amarlo, di farlo conoscere e farlo amare e di portare Dio nello spirito di carità, al popolo! Studiate molto, come uno dei vostri più grandi doveri e perché il mondo possa, per mezzo di voi, andare al Signore. Cercate di acquistare quella scienza che è necessaria per compiere la missione che Dio ci ha preparato nella Chiesa! Compresa anche la dogmatica, cari teologi, tutti gli studi non fatti per Dio, invaniscono, esaltano la mente e inaridiscono il cuore! Ricordiamoci che l’uomo, per quanto studi, per quante cognizioni egli abbia, l’uomo è sempre un povero ignorante dinanzi allo scibile umano; noi, per quanta scienza abbiamo, siamo sempre dei poveri ignoranti... Studiate, ma ricordatevi che, prima è la carità e poi la scienza. Diligite scientiam sed anteponite charitatem! Quella distrugge, ma questa edifica! La scienza e lo studio, se non sono fatti con umiltà, diventano la scienza che gonfia, di cui parla San Paolo. Vorrei avere la lingua di un’efficacia straordinaria per dirvi l’efficacia dello studio fatto per amore di Dio e reso così soprannaturale! Ogni scienza, quando non c’è l’amore di Dio, diventa insipida, come la minestra che, alle volte, c’è nelle vostre tarine, quando non c’è l’amore di Dio che la condisce, quando non c’è l’umiltà come base (Par. VII,92–93).
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Vi raccomando lo studio della filosofia! Tutte le scienze, massime le scienze teologiche, hanno bisogno di una soda filosofia. Diceva Monsignor Daffra, mio primo rettore del seminario di Tortona e troppo presto dimenticato, troppo presto dimenticato!: «Non si è mai buoni teologi, se non si è prima buoni filosofi!». Tutte le scienze hanno bisogno di una soda e sana filosofia. Vi raccomando lo studio della filosofia, perché avete anche un bravo insegnante. Ieri ho anche accennato allo studio di qualche lingua estera. È mio desiderio che si studi l’inglese; oggi più di mezzo miliardo di uomini parlano l’inglese. Però, se troverò un buon insegnante di francese, allora vorrò che lo studio delle lingue estere sia facoltativo, cioè sia scelta una delle due lingue, ma ciò che si potrà, perché non sempre si può ciò che si vuole e ciò anche per non togliere tempo allo studio delle altre materie. La disposizione data alle materie prelude ad un altro anno di liceo. Dai superiori si preferisce chiamare filosofia il liceo per far capire appunto, che si deve dare più importanza alla filosofia che a tutte le altre materie. Avrete notato che, nelle disposizioni delle materie, è stata messa un’ora di più di religione ed è stata tolta la pedagogia. La pedagogia, per i mesi che starò a casa io, ve la farò io, giacché la pedagogia si può fare in tutte le ore della giornata; la si fa dalla cattedra all’altare; si fa di giorno, si fa di sera, alla buona sera. Raccomandatevi a Dio, ricorrete a Maria, che è la sede della sapienza. Non vorrei che giungesse a nessuno come una parola di rimprovero quello che sto per dirvi. Chi non si sente di studiare lasci la Congregazione o passi nelle categorie dei fratelli coadiutori! Si potrà fare santo lo stesso, giacché quello che preme soprattutto è farsi santo. Se qualcheduno non studierà per mala voglia, non perché manca d’ingegno, sarà licenziato! (Par. VII,94).
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Bisogna studiare e far buoni studi! Viviamo, e state attenti a quello che sto per dirvi, viviamo in tempi nei quali gli uomini vanno presi anche dalla parte dell’intelletto; non basta più il cuore e neanche la fede, bisogna prenderli anche dall’intelligenza; gli uomini vanno presi dalla parte dell’intelletto, se no si va a pericolo di perderli e la religione perderebbe una grande partita! Tenete a mente questa cosa che è una grande verità che vi dico! Quindi bisogna studiare, studiare ed essere Sacerdoti preparati, preparati per la Società, nella quale Dio ci ha fatto nascere e viviamo. Bisogna essere uomini dei nostri tempi anche da questa parte, anche dal lato della cultura se no compromettiamo anche la fede, compromettiamo anche la Chiesa, se no generalizzano e dicono: Oh, come sono ignoranti i preti! Oh, come gli uomini di Chiesa sono tutti ignoranti! Vi raccomando molto lo studio, molto, molto, molto! (Par. VIII,157).
Vedi anche: Filosofia, Noviziato, Scienza, Scuola, Università popolare.
Summa Theologiae
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Certo non dirò – e sarebbe esagerazione, data la disciplina del segreto che vigeva nella Chiesa sin dai tempi degli Apostoli e che si mantenne gelosamente oltre il III sec. dopo Cristo – non dirò che si debbano trovare sempre e in tutti i Padri d’oriente e d’occidente quelle sviluppate formule e sempre tutti quei precisi concetti teologici che adoperò poi San Tommaso nella sua Somma Teologica e che si adoprarono in età posteriori, ma dai Padri citati ce n’è d’avanzo et ultra a dimostrare che la Chiesa dei primissimi tempi, e poi sempre, ebbe nell’Eucaristia la stessa fede che abbiamo noi (Scr. 56,22).
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Oh, come aveva ragione San Tommaso d’Aquino di indicare a San Bonaventura il Crocifisso, la forza, la sorgente della Somma Filosofica e della Somma Teologia. Di qui venne la scienza partecipata. Ma come potranno vivere la vita partecipata se non ricorrendo ai canali della confessione? (Scr. 6,229).
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Calvino la capiva bene che senza la scienza si faceva un buco nell’acqua, perciò esclamava: «Tolle Thomas et delebo Ecclesiam», prendi via, levami San Tommaso e distruggerò il Cristianesimo. San Paolo scriveva: «Attende tibi et doctrinae». Con la scienza – s’intende sempre anche con la carità, perché non devono essere disgiunte – salveremo noi stessi e gli altri. Il Signore dice nella Sacra Scrittura: «Quia repulisti scientiam; ego repellam te». Ogni Casa della Congregazione deve avere una copia intera della Bibbia, una copia della Somma Teologia, una copia della Somma Filosofia, per opporsi alle teorie di Gentile; moltissime copie dell’Imitazione di Cristo e dei Santi Evangeli (Scr. 6,249).
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In ogni Casa ci siano almeno due copie della Sacra Bibbia in latino, ma non sia alla mano che dei Sacerdoti, eccetto che per qualche consultazione agli studenti di Teologia. Via sia la Somma di San Tommaso e Dante (Scr. 86,54).
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La meditazione per quest’anno: Imitazione di Cristo, «il più sublime libro religioso del medio evo», l’ha definito il Carducci, benché in verità, sia tal libro che, come la Divina Commedia e la Somma di San Tommaso, «rompe i cancelli di quella età e corre e spazia pe’ secoli e gl’invade, ricco e forte di divina luce e di giovinezza sempre nuova» (Scr. 111,90).
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Vi faccio la proposta di fare un componimento scritto, in lingua italiana, intitolato, cioè che ha come argomento, come tema “Le campane di San Bernardino”. Chi vincerà la gara, chi farà meglio il suo lavoro, avrà in premio o un Dante rilegato o una Somma di San Tommaso e la pubblicazione del componimento sul bollettino della Guardia (Par. VII,167).
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Non vi meravigliate se una piccola sconosciuta Congregazione ha ordinato ai suoi figli, ai suoi seguaci che non si apra nessuna casa, nessun istituto di educazione e di carità se in quella casa non entra il Vangelo, con la Somma di San Tommaso, con l’Imitazione di Cristo e la Commedia di Dante e il nostro, il vostro Manzoni. Quando si leggono queste pagine, allora o miei amici, lo spirito si rifà (Par. VIII,41).
Vedi anche: Accademia, Scienza, Studio, Teologia, Tommaso d’Aquino.
Superiori
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Io aspetto da voi altri tutto, se sarete umili, e avrete sempre coi vostri Superiori quella bella sincera e semplice confidenza e obbedienza che hanno i bambini con la loro mamma. E se questa semplicità e umile apertura di cuore la avrete ogni giorno e se la alimenterete con la preghiera umile e incessante, vi farete santi. E quanto grande deve essere, e cercherete sia la confidenza e umiltà vostra verso Gesù Signor Nostro e coi Superiori, altrettanto sia grande, o miei cari figliuoli, la diffidenza che ciascuno deve avere di sé stesso. Diffidate sempre e poi sempre dei vostri giudizi. Egli è facilissimo, confidando nei propri ragionamenti, declinare e abbandonare la via sicura e santa della vera umiltà, della semplicità religiosa, della obbedienza figliale e cieca, come era la fede di quel cieco del Santo Evangelo di cui si parlava nella Messa la domenica prima del Mercoledì delle Ceneri, e al quale per la sua fede cieca, Gesù, Dio nostro, ha dato la vita. Cari i miei figli, sì, siate sempre candidi coi vostri Superiori. Non tutti lo siete ora candidi coi vostri Superiori, e questo porterà danno gravissimo ad alcuno di voi, che finirà con il lasciare la vocazione e la Congregazione e si darà al male. Purtroppo, si ruinerà chi non sarà candido con Dio e coi Superiori. E mi piange il cuore di dovervi scrivere questo; e non lo scrivo affatto per contristarvi, ma perché voglio con tutta l’anima mia guarire qualcuno che è malato su questo riguardo, e non lasciarlo perire. Nessuno si turbi; chi sa di essere a posto e di avere fatto quello che poté perché i Superiori potessero bene conoscerlo, e per dipendere da loro in tutto, senza tenere nascosto nessun pensiero: stia lieto in Domino (Scr. 2,76).
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Ravvisate nei vostri Superiori, come in immagine Dio stesso, e riteneteli quali vivi strumenti per i quali il nostro Istituto, sostenuto dalla divina grazia e dalla benedizione della Chiesa, va diventando santamente operativo, raggiungendo per ignem et aquam il suo fine. Amate i Superiori e siate loro grati delle sollecitudini che si prendono per il vostro bene, e, sopra tutto, raccomandateli al Signore ogni giorno. Ma, tornando particolarmente al nuovo Ispettore, non dubito, o miei cari, che riguarderete Don Pensa come già Don Sterpi, e Ve ne ringrazio! Abbiate con Lui cuore aperto e comunicazione frequente, sia per quanto riguarda le vostre persone, i vostri bisogni, che per rispetto a tutti gli affari. Nulla nascondete; nulla tacete mai. Non agite di vostra testa, ma camminate con docile obbedienza, con lealtà e semplicità. Bisogna avere confidenza con i Superiori; proporre umilmente ogni cosa che ci par buona, ma essere anche disposti ad una negativa. Questo è eccellente esercizio di sottomissione e di obbedienza: esercizio, ed è quello che è più, di vero buono spirito religioso e di umiltà. Con Don Pensa, come con i rispettivi vostri Superiori locali, siate sempre umili, uniti di spirito e concordi nella carità di G. Cristo: Unanimes idipsum sentientes (Ph. 2, 3) E Dio sarà con Voi, con tutti noi E le Case della Congregazione fioriranno! (Scr. 16,123).
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Ognuno cerchi di unire fratello con fratello, i fratelli con il Superiore e il Superiore con il padre. Ognuno cerchi di rimuovere qualunque anche minima cagione che possa diminuire questa unità d’anima e di cuore che dobbiamo avere in X.sto e in Ecclesia X.sti, a imitazione dei primi fedeli «qui erant cor unum et anima una». Siano tutti una corporazione, cioè un corpo mistico in X.sto. Ogni membro del proprio nostro corpo. Ognuno da parte sua studi di fare quello che può per la perfetta concordia e sanità e santità delle membra. Specialmente poi ognuno desideri di vedere i propri compagni andare avanti nelle solide virtù, e a tal fine aiuti i Superiori informandoli di quanto possono credere che sia utile loro a sapere per vantaggio dei singoli. Questa carità santa e questo impegno che ognuno prenderà per il bene spirituale e l’ordine e buon andamento della Congregazione al Brasile, vi mostrerà veri seguaci del divin Maestro che ha detto: «Gli uomini conosceranno che voi sarete i miei discepoli, se voi vi amerete l’un l’altro» (Scr. 29,22).
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Ciascuno ponga nel don Zanocchi ogni fiducia in Domino, che egli è tale che ben se la merita. «La confidenza verso i propri Superiori è una delle cose che maggiormente giovano al buon andamento di una Congregazione, ed alla pace e felicità dei singoli religiosi». Così scriveva il Ven le Don Bosco ai suoi. E San Francesco di Sales dice: «Ogni mese ognuno aprirà il suo cuore sommariamente e brevemente al Superiore, e con ogni sincerità e fedele confidenza gli aprirà tutti i segreti, con la medesima sincerità e candore con cui un figliuolo mostrerebbe a sua madre le graffiature, i livori e le punture che le vespe gli avessero fatto. Ed in questo modo, ciascuno darà conto, non tanto dell’acquisto e progresso suo, quanto delle perdite e mancamenti negli esercizi dell’orazione, della virtù e della vita spirituale; manifestando parimenti le tentazioni e pene interiori, non solo per consolarsi; ma anche, e più, per umiliarsi. Felici saranno quelli che praticheranno ingenuamente e devotamente questo articolo, il quale in sé ha una parte della sacra infanzia spirituale tanto raccomandata da nostro Signore, dalla quale proviene ed è conservata la vera tranquillità dello spirito». E il rendiconto si farà ogni mese; e chi poi è Superiore di qualche casa, insieme con il suo rendiconto personale, farà anche il rendiconto morale e materiale della casa che dirige, e del personale nostro addetto (Scr. 29,198).
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Eccoti i dieci comandamenti del buon superiore: I. Sii medico e non carnefice; sii padre e non padrone dei tuoi fratelli; cioè procura di porre rimedio ai loro falli con tutta la dolcezza di padre e se dovrai dare delle punizioni, non sentano punto della crudeltà d’un nemico, né la freddezza d’un cuore estraneo, ma sentano che il tuo cuore soffre e piange di dover punire. II. La perfezione del governare è compresa in queste cinque parole: vegliare, amare in Domino, sopportare, perdonare e pascere in Domino: pascere della soave e divina pastura della dottrina di Gesù Cristo, della carità di Gesù Cristo che dalle sante Scritture ci viene rappresentato sotto la immagine di Agnello. III. Il buono e perfetto superiore deve essere nemico dei vizi e medico dei viziosi: deve vigilare sopra di essi e cercare tutti i mezzi di ridonare all’anima loro una sanità morale e religiosa vigorosa. IV. Non essere corrivo a credere troppo agevolmente ai gran cianciatori e a chi viene a riferire su questo o quell’altro. Coloro che stanno di continuo sull’appuntare i difetti altrui, per rapportarli subito al superiore, sono (per l’ordinario) più viziosi degli altri che mai. È un tratto finissimo della loro scaltrezza il richiamare gli occhi dei superiori sopra i difetti dei compagni o confratelli, affinché non abbiano tempo d’osservare i loro, sovente ben più umilianti e vergognosi. V. Se anche ti venisse un rapporto da un santo, non condannerai mai chicchessia senza prima averlo ascoltato, poiché ti esporresti a trascorrere in qualche danno irreparabile. VI. Correggi, sovra tutto, con la forza del tuo esempio e con la dolcezza dei tuoi avvertimenti. E quand’anche fossi costretto a punire non punire mai, mai, mai con acerba severità. VII. Odia con tutto l’animo i vizi, ma ama con la più tenera carità quelli che hanno mancato, poiché con la tua amorevolezza giungerai a correggerli e, occorrendo, a convertirli. VIII. Quando taluno sarà caduto in qualche fallo, se amiamo teneramente il nostro Dio e aspiriamo come buoni figliuoli ad imitare nostro Signore Gesù Cristo, diciamogli, accontentiamoci di dirgli come già il divino Maestro: Vade in pace et noli amplius peccare. Figlio, tu hai mancato: non lo fare più! IX. Potrebbe avvenire che dinanzi a Dio noi fossimo in maggior colpa di colui che trattiamo con tanta durezza. Che se ciò non ci muove gran fatto, pensiamo che forse domani colui che abbiamo davanti sarà eletto nostro superiore e che ci mettiamo al rischio d’essere trattati da lui nella stessa guisa. X. È cosa veramente inesplicabile che quando uno è suddito vorrebbe il superiore sommamente dolce e poscia, se egli giunge al comando, si mette a fare l’altiero, comanda a bacchetta e fa il tirannello (Scr. 32,88–89).
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Chi è Superiore della casa prenda in mano il timone della casa e faccia da Superiore: dia prima buon esempio in tutto ed esiga con tatto ed amore in Cristo che tutti stiano a loro posto e compiano il loro dovere. Nomino don Mario Ghiglione Superiore della casa, e a lui obbedite tutti. Egli sia, più che Superiore, un padre e fratello, ma voi tutti abbiatelo quale vostro Superiore (Scr. 32,243).
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Tu non sarai il loro Superiore e meno che meno il loro padrone, ma il loro amico e fratello. Per qualche mese osserverai molto e tutti e parlerai pochissimo; ma sempre sarai di lieto animo e di lieto volto, nonché di liete e serene parole, che diano conforto e animo a tutta la Casa ed a ciascuno della Casa. Usa quella dolcezza e carità che San Bernardo usava con i suoi fratelli, e imita San Francesco di Sales. Non parlare mai di te; fuggi lo spirito di vanità, come lo spirito di padronanza e di amarezza. L’asprezza e inurbanità dei modi guasterebbe l’opera del Signore che ti affido. Nulla potrà resistere alla amabilità e alla tua umiltà. Non farla mai da maestro, ma sii delicato e discreto con tutti. La prudenza non sarà mai troppa, e chiedila al Signore in tutte le tue preghiere. Fa’ che abbiano comodità di confessarsi. Non pretendere troppo, e va adagio anche nel bene. Ricevuta questa mia, fai i tuoi rispetti alle persone che conosci, senza dire vado a fare da superiore, e senza troppe parole e commenti (Scr. 34,188).
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Voi più che Superiori siate padri, fratelli, amici – servus servorum – la dilezione e carità sopporta – consola – (mille modi una parolina). Dio ci chiederà conto non se ne avremo fatti dei dotti, delle celebrità, ma dei Santi – la carità non comanda, ma sa comandare – formateli poco a poco come una mamma fa, sappiate maneggiare l’obbedienza fatevi più amare che temere – quos dedisti mihi custodivi, et nemo ex eis periit – la carità sa vigilare – omnia videas, multa dissimulans, pauca corrigas – (S. Gregorio) – Vedi tutto – dissimula molte cose – correggi poco – non essere pedanti, non seccanti, non pesanti, non stancanti – Vae tibi quia tacuisti – inter te et ipsum solum – fortiter et suaviter (Scr. 55,181).
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Il fondamento dell’obbedienza religiosa è la fede che vede nel Superiore la stessa persona di Gesù Cristo, e non considera punto le qualità umane. Se i Sup. fossero per sé stessi dispregevoli si acquisterebbe un merito più grande e si sarebbe sicuri di obbedire a Dio. I difetti del Sup. rendono infinitamente più meritoria e cara a Dio l’obbedienza. In tutte le cose dove non si scorge peccato, la voce del Sup. è la voce di Gesù Cristo: la volontà del Sup. è la volontà di Gesù Cristo Nella mente dei Superiori vediamo il dito di Dio che ci vuol condurre alla salute per una perfetta obbedienza, facendoci deporre il nostro proprio giudizio, e operare talora anche in opposizione al giudizio comune degli uomini. Se quelle cose che dispone il Sup., le consideriamo in Dio, ci saranno tanto più care e amabili quanto più ci parrebbero altrimenti irragionevoli. Indifferenti a qualunque comando: sempre pronti. (I Gesuiti: il cappello in portineria). L’indifferenza e prontezza non toglie che, in certi casi non si possa sottomettere al Superiore rispettosamente le nostre riflessioni. Obbedire con sincerità e rettitudine senza furberie e nascondigli. Il nostro intelletto deve tacere: non giudicare, non censurare, ma obbedire interamente, prontamente, umilmente. La nostra ragione individuale inganna sempre ed indubbiamente ogni qualvolta non vuole obbedire ciecamente alla volontà di Dio manifestata per mezzo del Superiore. Rendiamoci perfetti annientandoci per l’amore di Cristo. E la dipendenza dai Superiori sia umile, spontanea e di tutto amore. L’obbedienza vera non vuole titubanze né languore, ma fervore (Scr. 55,257–258).
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San Paolo Apostolo, mentre raccomanda questa virtù, dice: Siate obbedienti ai Superiori: siate sottomessi ai loro ordini: i Superiori dovranno rendere conto a Dio: obbedite volentieri e prontamente, affinché possano compiere l’ufficio di Superiori con gaudio e non fra gemiti e sospiri. Perpetuus Crucifixus – dispiaceri, mormorazioni, maldicenze. Mettono sossopra tutta la Casa dentro e fuori – Baronio C. p. Il Superiore: da chi qualche sollievo? L’obbediente vede Dio nei Superiori: obbedisce alla v. dei Superiori come alla voce di Dio – San Paolo a Tito: increpa illos dure – Ne imitaris prudentiae tuae (non ti fidare) – il far le cose che piacciono non è vera obbedienza ma è secondare la propria volontà. Non secondo nostro genio e non di mala voglia. Bisogna fare di buon animo qualunque cosa sia comandata – essere arrendevoli anche nelle c. più difficili e contrarie al n. amor proprio, compierle coraggiosamente costi pur pena e sacrificio: costi quel che costi: questo è il merito: questo ci porta al Regno. Regnum coelorum vim patitur et... Santa Rita – I Superiori molte volte, lo fanno apposta a comandare certe cose: i cavoli con il gambo in su: cavar l’acqua con un cesto (Scr. 55,264).
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«Se noi obbediremo ai nostri Superiori, Dio obbedirà alle nostre orazioni» (S. Greg.) Ove regna l’obbedienza non può mancare veruna virtù. (S. Tommaso) Ama il Superiore come tuo padre, dice San Gerolamo. (Epist. IV) Un permesso estorto, non è permesso, ma una violenza. (Bern. in Epist.) « » Che se uno obbedisce quando gli vengon comandate cose ardue, difficili, la sua obbedienza tocca l’eroismo. Il fare le cose che ci piacciono e tornano di gradimento, è secondare la propria volontà. La vera obbedienza che ci rende cari a Dio ed ai Superiori, consiste nel fare di buon animo qualunque cosa ci sia comandata dalla Santa Sede, dalle nostre Costituzioni o dai nostri Superiori medesimi. Consiste altresì nel mostrarci più che arrendevoli anche nelle cose più difficili e contrarie al nostro amor proprio, e nel compierle coraggiosamente, ancorché ci costi pena e sacrificio (Scr. 55,267).
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Riguardando nel Superiore il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, si obbedisce sempre, e a tutti i Superiori, qualunque siano; e se i Superiori fossero anche, per sé stessi, di molto inferiori al loro posto, difettosi e tanto per esprimermi – pur dispregevoli, si acquisterebbe un merito più grande e si sarebbe più sicuri di obbedire a Dio. I difetti dei Superiori rendono infinitamente più meritoria e cara a Dio l’obbedienza dei sudditi. Il Superiore è l’interprete della volontà di Dio. E in tutte le cose dove non si scorge peccato Il voto di obbedienza ci assicura di fare in ogni cosa la santa volontà di Dio. Abbiate dunque ben radicati nel cuore sentimenti profondi di venerazione, amore e rispetto verso i Superiori, siccome quelli che vegliano al vostro bene, responsabili innanzi a Dio, alla Chiesa e alla Patria dell’anime vostre e della vostra vita. E quelli stessi che nelle Case esercitano qualche autorità si ricordino che devono mostrarsi loro obbedienti e rispettosi. Niuno si permetta mai di biasimare le disposizioni dei Superiori, o criticare le loro azioni,...i loro scritti, e simili... 14/ nostra dipendenza umile, spontanea e tutto amore: la vera obbedienza è fervorosa, non vuol languore (Scr. 55,269).
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La prudenza è virtù sommamente necessaria nei Superiori. I prescelti siano tali che affidino di nulla fare senza moderazione e prudenza; e siano di prudenza non umana, ma prudenza di spirito, mossi cioè dallo spirito di Gesù Cristo Crocifisso; animati e condotti da quello spirito interiore che sempre riflette e considera bene le cose davanti a Dio (Scr. 74,60).
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Obbedienza, rispetto ai Superiori. Amore al Vescovo e alla Chiesa. Al Superiore il discernimento, all’inferiore l’obbedienza; vedere Dio nei Superiori. L’obbedienza consiste nel sottomettere la propria volontà al Superiore. Nel Superiore vedere il padre. Exemplum dedi vobis, ut quaemadmodum ego feci, ita et vos faciatis. Cor unum et anima una. l’obbedienza è l’anello d’oro che ci unisce a Cristo e alla Chiesa. L’obbedienza è la pace dell’anima sine discussione, sine ex anime come diceva Cassiano. Quando si fa secondo la propria volontà cessa la pace. Obbedire senza alcuna resistenza né con il fatto, né con le parole né con il cuore. Doce me Domine, facere voluntatem tuam. L’organo sicuro, per il quale dobbiamo sentire la voce di Dio, è solo quello della voce dei Superiori (Scr. 79,312).
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E se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene, e si vedrà che ciò proviene della mancanza di obbedienza “. il Superiore è l’interprete della volontà di Dio, e nessuno è più saggio e prudente di chi eseguisce i voleri di Dio. Agli occhi di Dio l’alzare una paglia da terra per obbedienza, dice il Rodriguez, val più ed è di maggior merito che fare una predica, un digiuno, una disciplina a sangue od una lunga orazione di propria volontà (Scr. 118,105).
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Perché il vostro piccolo Istituto possa crescere, prosperare: obbedienza cieca e assoluta alla Superiora: a nessuna venga in mente di consultare altri, saltando la Superiora. In vent’anni, dacché per grazia di Dio esiste la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza, io non l’ho mai permesso, e non lo permetterò mai. Dalla sola Superiora dipenderà la sacrestana, la cuciniera, la lavandaia ecc., insomma tutte quelle che sono a capo di una carica, e da lei sola deve partire ogni ordine. Ciò non toglie che tutte possano talvolta consultare me, od altri Sacerdoti che abbiano occasione di venire nella casa. Questo è quanto vi dico chiaramente e semplicemente, senza intenzione di offendere nessuno. Ho parlato e parlo molto chiaramente, perché tutte possano capirmi bene: questi sono punti sui quali non si torna più e che non abbisognano di altre spiegazioni. Chi non mi avesse capito e volesse altre spiegazioni, esca! – non è fatta per la nostra comunità! Nessuna spiegazione, ho parlato abbastanza chiaramente... Per riuscire a mettere in pratica quanto vi ho detto, pregate molto la Santissima Vergine che vi ha fatta la grazia di avere con voi, nel bel mese di maggio, mese a lei consacrato, la vostra Superiora (Par. I,8).
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Tenetevi ben unite alla vostra Superiora, non le nascondete nulla; ma abbiate con lei la massima confidenza; e se talvolta vi fosse qualche urto, qualche scontro fra voi, non andare a confidarvi con questa o con quella ricoverata, che a sua volta andrà a raccontare le vostre miserie in tutte le botteghe del paese, dove poi nascono pettegolezzi e chiacchiere (Par. I,93).
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Guardiamo sempre i Superiori con gli occhi della fede! Noi non dobbiamo vedere, in chi ci comanda, il Superiore o la Consorella, ma N. S. Gesù Cristo. La nostra obbedienza sia: pronta, intera, allegra! “Ilarem, donatorem diligit Deus”. Il Signore non ama le cose date o fatte per forza. Non siate come l’asinello cocciuto che si fa battere per obbedire. La vostra obbedienza sia allegra, non solo esternamente, ma internamente: non dite dentro di voi: lo faccio proprio perché non posso farne a meno. No, no! Obbedienza interna ed esterna, di cuore, di mente e di giudizio (Par. I,184).
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Certune hanno un modo tutto speciale per indurre il Superiore a fare a modo loro, un certo modo di circuire i Superiori, una specie di raggiro, certe parole melliflue, melate, che finiscono sempre a far fare al Superiore la loro volontà. Questa non è obbedienza. Il diavolo è scaltro, è malizioso, farà di tutto per impedirvi d’obbedire bene. Il Superiore vi dirà: fate questo e questo... Ma qui... ma lì... ma lì... Guardatevi dai “ma”. Fate questo, fate quest’altro. “Superiora, se sapesse; se... se... “Guardatevi dai “se”. Dovete obbedire senza “ma” e senza “se”. Mi direte: Ma quando una si sente male ed è comandata per questo e quest’altro ufficio, è male il dirlo, avvisare i Superiori? No, non è male, è suo dovere, in questo caso, ma guardate bene di non essere di quelle che, quando fa male loro un’unghia, restano a letto, non ne possono più. Ricordatevi che Gesù Cristo fu flagellato a sangue, e andò sul Calvario, con la sua croce. Dite pure le vostre difficoltà, sinceramente, così e così, poi basta, lasciate fare ai Superiori (Par. I,186).
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Superiori e Sacerdoti, non siate superiori ma padri, non comandate ma aiutate, soccorrete i figli; e voi, o chierici, grande amore ai sacerdoti che avanti a voi vanno; siate umili, dipendenti dai vostri superiori, siate fratelli maggiori ai vostri dipendenti. Viva sempre in tutti noi la carità di cui parla l’Apostolo: Charitas benigna est; patiens est. Quella carità che ci edifica in Cristo (Par. VI,266).
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Chi darà consolazione ai superiori e chi darà loro sollievo, se non i religiosi buoni? Questi sono quelli che nel Superiore vedono il Padre, il fratello, Dio. Mai alzare la voce, se si hanno incarichi; ma essere padri, fratelli. Purtroppo il Superiore è spesso obbligato ad essere duro, specie con quelli che si fanno dire due o tre volte le cose. Io vorrei che qualcuno fosse al posto del Superiore in certi momenti, e vedrebbero come i dolori più acuti vengono dai religiosi della Casa. Santa Rita da Cascia innaffiò per tre anni, per obbedienza, un bastone; ma a capo dei tre anni, il bastone fiorì e diede uva e ancora fa uva. Attenti a non immonacarsi, e non essere direttori di monache! Le cose strambe spesso sono per provare l’obbedienza. Dei “cur” non devono esistere in Congregazione. Se, alle volte, si deve far osservare delle situazioni ai Superiori si faccia in bel modo; il ma è avversativo, il se particella, eccetera, ma non siano per noi... I Superiori non sono obbligati a dare ragione dei loro comandi; e nemmeno i sudditi devono darsi al proprio testolino; ma obbedendo alla cieca si obbedisce a Dio. Fare le cose di proprio genio porta poco merito. Se così si fanno, dov’è tutto il merito? Compiere l’obbedienza, anche quando costa pena e sacrificio; altrimenti non si ha merito! Regnum coelorum vim patitur. Rinnegare sé stessi per seguire Gesù, costi quello che costi. L’obbedienza bisogna comperarla, perché è come la pietra preziosa, – per essa si va in paradiso. Per essere stracci, non sporchi, ma obbedienti, si lascia fare quello che si vuole? Obbedire come un cadavere si lascia guidare; questo è il vero spirito dell’obbedienza religiosa. L’obbedienza deve essere cieca cioè non vedere con i nostri occhi, ma con quelli dei Superiori (Par. VI,269).
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Avere il cuore negli occhi e nella testa, per non mormorare per le cose disposte dai Superiori. Il trattamento della Congregazione deve essere come di una buona famiglia, e amarci come in famiglia. Quanto è bello stare in famiglia e non separati. Osservare la regola con il cuore rende dolce la vita e serena la convivenza, vedendo nei Superiori dei padri e nei Confratelli dei fratelli, essendo in noi l’amore soprannaturale della carità. Finché c’è questo vincolo di carità è bello vivere in religione, e, se manca, si è in galera (Par. VI,294).
Vedi anche: Costituzioni (dei Figli della Divina Provvidenza), Noviziato, Obbedienza, Sistema paterno–cristiano.
Talare
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Non si ammetta mai ai Voti né a rinnovare i Voti né si dia l’abito, se non a chi ha dato prova di pietà soda, di umiltà, di spirito di sacrificio e di orazione, e sia di vita illibata (Scr. 1,274).
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Chi non avesse abito ecclesiastico, cercate che si vesta provvisoriamente in borghese, ma sempre si obbedisca: l’ubbidienza vale più dell’abito (Scr. 2,91).
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Non è bene che la sottana del prete, specialmente se un il prete è giovane, stia nei cortei di sposi, né alle tavole, né imbarazzi la casa in quei momenti. Così desidero che faccia tu (Scr. 8,23).
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Una volta che avrà la veste o morire o esser prete senza più voltarsi indietro (Scr. 12,94).
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Figlio mio, che gioverebbe mai l’abito esterno, se poi mancasse la vita interiore e la vera pratica dell’abito religioso cioè le sante virtù? Io ti esorto con affetto di padre a cercare la sostanza della vita e non l’apparenza, sai cosa dice il proverbio: che non è l’abito che fa il monaco. Certo però che il buon monaco sa portare con onore, e fare amare e rispettare con la sua virtù il santo abito (Scr. 42,171).
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L’abito che porti indosso ti onora e tu devi onorare l’abito con le virtù e buon esempio (Scr. 56,143b).
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Il Sacerdote che funziona presenta al Romito il Santo abito dicendo: Ricevi Fra’ (tale) questo abito, che ti ricordi sempre dell’abbandono che hai fatto del mondo, e sia per te un rimedio a tutte le vanità e ambizioni della terra coll’innocenza e santità della tua condotta (Scr. 81,205).
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Come i sacerdoti e i frati vivono separati dal mondo e il loro abito li fa riconoscere come persone che non appartengono più ad esso, così deve essere per Voi. Però non dovete essere attaccate propriamente all’abito, ma allo spirito! (Par. I,96).
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L‘amore all’abito è un segno della vocazione. Io non cambierei il mio povero abito per tutto l’oro del mondo; non mi è venuto alla mente, mai, neppure un pensiero di rincrescimento d’aver messo il sacro abito; ma sono pronto a lasciarlo per fare del bene, per salvare i peccatori, per arrivare là dove non potrei farlo così (Par. I,233).
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Per grazia del Signore non mi sono mai pentito di aver messo l’abito da Chierico, anzi l’avrei messo mille volte al giorno se non l’avessi ancor messo. Era il giorno sedici ottobre; poiché in quell’anno l’apertura del Seminario si era un po’ ritardata; io ne ero dispiacente; avevo tanto desiderio di mettere l’abito chiericale il quindici ottobre, giorno dedicato a Santa Teresa, verso la quale mi sembrava di avere un po’ di devozione. Inoltre dei dubbi, delle ansietà, dei timori rattristavano l’anima mia. Mi sembrava di aver mancato di riguardo a Don Bosco per non essermi fatto Salesiano. E il Signore, forse per consolarmi di questo santo timore verso il caro Padre Don Bosco, mi mandò un sogno. Sognai di trovarmi nel cortile dell’Oratorio Salesiano di Valdocco, in quel cortile dove mi ero tanto divertito, perché io ero tra i più ardenti giocatori, dove avevo passato l’ultimo e il penultimo anno del Ginnasio superiore. Or dunque mi trovavo in questo cortile; ma non era più cortile, tutto si era cambiato in grazioso giardino fiorito di fiori bianchissimi e purpurei. Questo giardino era bello; ben disposte e ben coltivate le aiuole, ma non era tutto piano. Vi era una piccola montagnola in mezzo e in questa mi trovavo io: e mentre estasiato guardavo ammirando tanta bellezza d’intorno, su nel cielo – cielo terso e di un azzurro bellissimo – appare una luce bianchissima che si avvicinava, si avvicinava... In mezzo stava Don Bosco, splendente come non lo avrei mai immaginato; Don Bosco mi consolò e mi mise lui stesso l’abito da Chierico. In questo punto io mi svegliai, ero tutto racconsolato. E così poi, senza timore ricevetti l’abito per le mani di Monsignor Daffra, sicuro che a questa strada il Signore mi aveva indirizzato e non ad altra, e mai ripeto, ho sentito rincrescimento di essermi messo in questa strada. E sono quarant’anni da che ho messo l’abito. Quarant’anni di grazie e di favori; oh, quanto è mai buono il Signore, quanto è misericordioso. Che tesori infiniti di grazie ha Egli compartito a me così indegno, pieno di tante miserie, pieno di tanti mancamenti, pieno di tante tiepidezze, pieno di tanti peccati, sì, diciamola pure questa parola, pieno di tante iniquità (Par. III,217–218).
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La prima volta che entrai in Seminario, dopo due ore che avevo indossato l’abito da Chierico me ne passeggiavo sotto il portico, non avendo voluto andare a “paciare”, come essi dicevano. C’era in cortile un mucchio di patate marce: quegli sfacciati cominciarono a tirarmele tutte addosso in modo che mi sporcarono anche l’abito che avevo indossato poco prima e io assistetti a quello spettacolo. Io restai così male della condotta di quei chierici che ancora ora, dopo tanti anni, me lo ricordo ancora come fosse ieri. La sera, mentre eravamo in studio, mi assalì una grande tristezza onde, declinato il volto tra le mani, mi abbandonai al pianto. Figuratevi! Io che venivo da don Bosco, dove la vita era fiamma, ero pieno di disinganni del mondo, onde risolsi di deporre la veste dopo poche ore che l’avevo indossata e piantare il seminario e andarmene, tanta era la cattiva impressione del seminario. Allora, Rettore era Mons. Daffra l’attuale Vescovo di Ventimiglia. Venne per caso a fare una visita in studio e vedendomi così triste mi prese per un braccio e mi condusse in camera sua regalandomi alcuni biscottini che soleva dare ai più piccoli che entravano in seminario; con le sue parole mi consolò molto (Par. IV,273).
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Col vestire l’abito religioso intendiamo volgere le spalle alle vanità del mondo, intendiamo volgere le spalle ai piaceri per darci tutti al Signore, per servire la santa Chiesa nella pratica dei consigli evangelici, per menare una vita pura e santa. Preghiamo che questi cari giovani, che serviranno Dio nei loro fratelli, nei poveri, possano tutti un giorno essere consacrati sacerdoti del Signore, e servire nella Santa Chiesa i più miseri, i più abbandonati, e così guadagnarsi il paradiso, dilatando il regno di Cristo in terra. Cari figli, quando io ho ricevuto il santo Abito il Rettore del Seminario, che tuttora vive, ed è il Vescovo di Ventimiglia, mi disse: – Ti do la veste benedetta dalla Chiesa: recita tre Ave Maria, e così ti consacrerai alla Santa Chiesa per le mani di Maria Santissima. Lo stesso io ripeto a voi; e se camminerete sempre per questa via, quando il Signore vi chiamerà a Lui, ringrazierete la Santissima Vergine che fin da questo momento io costituisco sopra le vostre teste, Patrona ed Avvocata e Madre vostra (Par. IV,326).
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Quando io entrai in Seminario, il Rettore mi disse: “Hai la veste? Noi andremo avanti alla Madonna: ti metterò la veste e poi diremo un Ave Maria come mi ha fatto dire il mio Prevosto quando indossai l’abito da prete”. E mi condusse davanti alla Madonna, mi benedisse la veste, me la mise indosso e mi fece dire tre Ave Maria. “Adesso recitiamo tre Ave Maria – disse – perché la Madonna ti prenda nelle sue mani e faccia che tu sia il prete della Madonna!”. Quel Santo Vescovo è ancora il Vescovo più vecchio d’Italia. È benedetto da tutti. È il Vescovo della Madonna. Quello che disse a me quel Santo Vescovo, lo dico a voi: “Recitiamo tre Ave Maria, e poi vi metto tutti nelle mani della Madonna e siate i chierici e poi i preti della Madonna”. Anche voi avete avuto oggi la grazia di ricevere la santa veste chiericale, il santo abito religioso. Inginocchiamoci dunque, ai piedi della Madonna della Guardia, e recitiamo le tre Ave Maria. Ma ricordatevi che Monsignor Daffra, morente, all’età di 92 anni si ricordava di aver scritto a sua madre: “Piuttosto muoio che posare la veste, e, se ve la porteranno, non è che io me la sono levata: è segno che me l’hanno rubata mentre dormivo”. Cari miei figli quando indossai la veste recitai tre Ave Maria e la Madonna mi ha sempre protetto, mi ha sempre aiutato e mi ha condotto sotto la sua materna luce. Cari figli, voi questa sera avete avuto l’abito dei figli della Divina Provvidenza; ebbene, piuttosto la morte che abbandonare questa strada per la quale vi conduce Maria Santissima (Par. IV,439–440).
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L’abito che avete indossato nel suo colore nero dice mortificazione, rinuncia, sacrificio, spogliamento di tutte le abitudini secolaresche, e impegno per rivestirsi di Gesù Cristo. Siate chierici umili, puri, obbedienti e di grande sacrificio (Par. V,339).
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Quando vi spoglierete dell’abito secolare, intendete di dare un addio alle abitudini secolaresche e di fuggire tutte quelle cose che possono dispiacere al Signore. E quando riceverete il Santo Abito fate il proponimento di volere piuttosto morire che lasciare la santa divisa di Gesù Cristo; fate il proposito di volere ad ogni costo perseverare per la via intrapresa... Invocate la Santa Madonna che vi ottenga il dono della santa umiltà e specialmente il dono della pietà, perché non si può diventare un sacerdote e un religioso della Divina Provvidenza senza spirito di pietà, senza il dono della scienza, la scienza di Dio. Pregate il Signore affinché possiate conformare la vostra vita alla vita di Nostro Signore Gesù Cristo (Par. VII,8).
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Cari miei, adesso vi do l’abito; ricordatevi quello che vi ho detto; voi non siete piccoli. Questo abito deve essere il vostro ornamento, la vostra sacra divisa, vivi e morti mantenetelo puro, che mai una macchia indegna, parlo in senso morale, lo abbia a lordare; amate il vostro abito perché, come la bandiera non è uno straccio qualunque, così il vostro santo abito è la divisa di Gesù; e onorare il proprio abito è onorare la Chiesa e la nostra Congregazione. Piuttosto la morte, piuttosto la morte che lasciare il santo abito a deviare dalla santa vocazione (Par. XI,98).
Vedi anche: Noviziato, Perfezione (virtù), Voti (religiosi).
Tarsiciani
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Ebbi già a voce ad accennare a v. Eccellenza rev.ma come vorrei, con il divino aiuto, educare al culto e ad un dolcissimo amore alla santa Eucaristia specialmente quei giovani che, pur non avendo ancora l’abito da chierici, già sognano l’agnello e l’altare. E mi proporrei di raggiungere tale intento attraverso la frequente partecipazione, possibilmente quotidiana – del corpo del Signore; e mediante la intelligenza e partecipazione attiva, per quanto lo consente la disciplina, alla liturgia Eucaristica, soprattutto nella sua più alta espressione, la Messa. E vorrei ne risultasse un vero e proprio sodalizio un Collegium Tarsici, con sua sede nella cripta del Santuario, dove in onore del santo giovane accolito Tarsicio, protomartire del Sacramento augusto, penso di alzare una statua, possibilmente un altare. Dopo quel tirocinio che vostra Eccellenza riterrà conveniente, ottenuta la erezione canonica, amerei che il pio sodalizio fosse aggregato alla sede primaria di Roma, per la partecipazione alle molteplici indulgenze concesse dalla s. m. di Papa Benedetto XV. Onde umilmente vengo a chiedere a vostra Eccellenza rev.ma la autorizzazione richiesta; e, se non fosse ardir troppo, vorrei pure pregare la Eccellenza vostra di degnarsi benedire il distintivo, in quel giorno che meglio crederà (Scr. 45,306).
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Coltivare le pie Associazioni: il Piccolo Clero, i Tarsiciani di San Luigi, La Congregazione Mariana, la Pia Unione di San Giuseppe (Scr. 55,65).
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Presto avremo le statue devotissime e artistiche in legno, del Sacro Cuore di Gesù e di San Giuseppe, per gli altari laterali; e i cari Tarsiciani avranno la statua, pure in legno e bellissima, del loro San Tarcisio, il fanciullo Martire dell’Eucaristia (Scr. 62,85).
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Alle ore 8.1/2 entra la Santa Messa solenne, celebrata dal Rev.mo don Sterpi, assistito dai Sacri ministri, prestò servizio il nuovo drappello di tarsiciani. A tutte le Messe molto concorso di fedeli e facciamo voti che aumentino sempre più (Scr. 94,99).
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Per la seconda volta si svolsero in questo Santuario le sacre funzioni della settimana santa, a cominciare dalla Domenica delle Palme, con consolante concorso di fedeli. Il Giovedì Santo, giorno memorando fra i memorandi per i suoi misteri di amore, prima della santa Messa ci fu la vestizione di sedici giovanetti tarsiciani fatta da don Orione. Egli rivolse loro parole di ammaestramento e di spirituale conforto (Scr. 100,100).
Vedi anche: Adorazione eucaristica, Eucaristia.
Teatro
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Parlare del bene che fa il Ricreatorio Parrocchiale, ed esortare le famiglie ad inviarvi i figliuoli: far ben comprendere che ci è necessarissimo un salone per teatro e conferenze educative e religiose per la formazione cristiana della gioventù (Scr. 6,141).
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Sono lieto che anche le recite del teatrino abbiano giovato presso il Clero e la cittadinanza notinese a far amare l’Istituto. Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, diceva il poeta, e tanto più si ottiene lo scopo di migliorare il cuore con le recite del teatro, quando si dà un soggetto che tocca l’anima naturalmente cristiana, come ben ricordò cotesto Monsignore nella sua pastorale. E tale era il vostro dramma Colpa e Perdono, e per questo ha trovato favore presso coteste buone persone, che tanto sentono ancora in fatto di religione (Scr. 25,5).
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Vicino alla chiesa mi pare che la divina Provvidenza si degnerà far sorgere un ampio oratorio popolare a bene della gioventù tanto insidiata nella fede e nei buoni costumi; annesse vi saranno le opere parrocchiali specialmente pei padri di famiglia e per le organizzazioni operaie cristiane: si apriranno scuole serali e di religione: vi sarà la biblioteca del popolo: vi sarà il teatrino, poi un bel cinematografo e quanto occorre ai giorni nostri per fare un po’ di bene e per salvare le anime (Scr. 52,19–20).
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Sono stato contento che si faccia il teatrino in collegio: eh, vuol dire molto» (Scr. 89,173).
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Il San Giorgio è provvisto di teatro e salone per accademie, dove i giovani vengono esercitati a presentarsi con garbo e franchezza al pubblico. Havvi scuola di urbanità» (Scr. 94,18).
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I giovani avranno istruzioni morali e religiose e saranno trattenuti in buone letture, giochi ginnastici, teatrini, cinematografo e con divertimenti piacevoli ed onesti atti a imprimere quei principii di educazione cristiana e civile che valgano sempre più ad ingentilire il loro animo e a formare buoni cittadini utili a sé, alla famiglia e alla Patria» (Scr. 98,275).
Vedi anche: Arte, Presepio.
Temperanza
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Ed ora passo a raccomandarvi la temperanza ed il lavoro. Preghiera, lavoro e temperanza sono tre perle preziosissime che devono risplendere sulla fronte e nella vita di ogni Figlio della Divina Provvidenza. Preghiera, lavoro e temperanza: ecco ciò che farà fiorire davvero la nostra cara Congregazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire: pietà, sacrificio, mortificazione! Oratio, labor et temperantia! che vuol dire Unione con Dio – faticare per le Anime – mortificare il corpo con le sue passioni e mortificare la gola! Oratio – labor et temperantia: che vuol dire tutta la vita dei Figli della Divina Provvidenza! In queste tre virtù c’è tutta la nostra vita! Non c’è per noi altra vita: Non c’è altra via per farci santi. Non c’è altro modo né miglior modo per amare e servire Dio, per imitare Gesù Cristo: per servire davvero la Santa Chiesa e il Papa Non c’è altra né miglior via per imitare la Madonna, per esserle devoti sul serio – per amarla davvero! Non c’è altra via per servire e salvare le Anime! Non c’è altra via per essere veri e santi Religiosi (Scr. 4,261).
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E della temperanza che dirò? Che dirò di questa virtù che è saggia moderazione, che è giusto freno agli istinti, alla gola, ai desiderii non buoni? Il Ven.le Don Bosco la raccomandava tanto tanto, e fu sempre rigorosissimo e contro l’intemperanza del mangiare e del bere. Senza mortificazione della gola non c’è nessuna virtù, e non c’è, soprattutto, castità. Per questo San Filippo Neri diceva: «datemi una persona mortificata nella gola ed io ne farò un Santo»; ma chi non è mortificato nel bere e nel mangiare, chi vuole mangiare bene e vuole ungere la gola non avrà castità, non avrà virtù, non sarà mai un buon figlio della Divina Provvidenza, né buon Religioso. La Sacra Scrittura dice: «Il goloso sarà sempre povero. Chi ama il vino e i buoni bocconi non farà mai roba» (Proverbi) La nostra Congregazione si farà grande e farà gran bene, finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e nel bere, particolarmente saran circospetti nel permettersi bibite, vino, liquori e il fumare. Cari miei figli di Terra Santa, se il vizio della gola prendesse mai possesso di codesta vostra Casa, voi sareste bell’e perduti! Guai agli amatori del vino puro, delle buone bottiglie e dei buoni bocconi! (Scr. 4,264).
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Ah cari miei, carissimi miei figli, voglio proprio parlarvi chiaro. La poca voglia di lavorare: il poco spirito di umiltà e di sacrificio: la poca temperanza, anzi l’intemperanza nel bere vino e nel mangiare, cioè il vizio della gola: ecco i grandi nemici che dovete combattere in voi, se volete che Gesù Cristo viva in voi e vi benedica! E ricordatevi che non siete divenuti Signori, perché siete gli amministratori del Rafat, dove oggi ci siete e domani non ci sarete forse più. Ricordatevi che siete sempre i poveri, gli umili, gli straccioni figli della Divina Provvidenza (Scr. 4,265).
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L’occhio è come la finestra per la quale il demonio entra nel cuore. State attenti, o miei cari, quando uscite o nei passeggi. Temperanza poi, vi raccomando molto la temperanza: senza la mortificazione della gola non saremo buoni religiosi senza la mortificazione della gola non avremo la bella virtù della purezza. E pregate! La preghiera vi otterrà da Dio la grazia di mortificare i sensi e di mortificare il cuore (Scr. 29,91).
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Dio vi ha chiamati, con una vita esemplarmente pia, povera, sacrificata per l’amore di Cristo benedetto, con una vita veramente degna di figli della Div. Provvidenza. Umiltà vera e rinnegamento di noi stessi: pietà viva: obbedienza piena e allegra: esattezza nelle pratiche della vita religiosa: spirito di temperanza e di mortificazione: santità di vita: amore al lavoro e al sacrificio: carità, carità, carità tra di voi – devozione alla Madonna e al Papa: cura fraterna dei fanciulli: ah! così facendo, nessuno di voi avrà il rimorso di avere afflitto il cuore di Gesù e di avere fatto bagnare di lacrime i passi dei vostri Superiori e di questo buon servo di Dio che vi lascio per padre (Scr. 29,199–200).
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Buon esempio e spirito di fede, di speranza, di carità: puntualità puntualità puntualità nelle pratiche della vita religiosa: amore al lavoro, alla temperanza, alla santa virtù, alla mortificazione, alla povertà, alla obbedienza ai Superiori e alle regole: insomma ogni Direttore deve poter alzare la fronte davanti a tutti i suoi confratelli, e poter dire loro non a parole, ma a fatti: imitatores mei estote! (Scr. 29,201).
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Temperanza – niente formaggio grattugiato – minestra uguale – come faceva Don Bosco – diceva che la Società Salesiana sarà grande finché i suoi membri sapranno mortificarsi nel mangiare e nel bere – la temperanza dev’essere il nostro più forte sostegno – Via le merende straordinarie, via le bottiglie – via i buoni bocconi. La gola è la causa che le fraterie se n’andarono – Esempio ai tempi di D. Bosco – si perde lo spirito. Il nemico della nostra Congregazione è l’intemperanza nel bere e mangiare. Il primo grosso chiodo che configge e strazia la Congregazione è il vizio della gola – Intemperantia et castitas non possunt simul cohabitare – Si lignum tollimus, ignis extinguitur – dove c’è temperanza, c’è spirito: dove no, no. La temperanza allunga la vita (Scr. 55,284).
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Per essere temperanti, religiosi, amorevoli umili, casti, laboriosi, coscienziosi bisogna poter dire alla fine di ogni giornata: oggi ho vinto la carne con l’astinenza lo scoraggiamento con la fede, l’ira con il perdono, la falsa scienza con l’umiltà, la falsa parola con il silenzio, l’avarizia con il generoso distacco dai beni a cui non avevo sicuro diritto. Bisogna insomma combattere sé stesso, perseverare nel quotidiano sacrificio delle nostre passioni, patire per essere virtuosi. Colui che nella vita cerca godimenti non avrà mai che un cuore stupidamente egoista. Ed ecco la segreta ragione per cui l’educazione di tanti giovani riesce oggidì sbagliata. Si fanno far e dei corsi di fisica, di lettere, di aritmetica ecc. non si fa fare ad essi dei corsi di virtù, abituandoli al sacrificio della propria volontà (Scr. 57,35).
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Quando io ero ragazzo, a Don Bosco apparve la Santissima Vergine e gli parlò in latino. Io ricordo ancora il testo latino delle parole che la Madonna disse al Venerabile Don Bosco: Figliolini miei, volete voi mettere al sicuro questa bella virtù, angelica virtù? Siate mortificati e lavorate! Volete voi porre al sicuro questa bella virtù? Siate sobri, siate temperanti. Figliolini miei, volete voi mantenervi costanti e conservare questa angelica virtù? Siate sobri, siate temperanti, siate mortificati nella gola, siate mortificati nella gola! Don Bosco diceva di non ordinare sacerdoti quelli che sono golosi, quelli a cui piace unger la gola, quelli che amano l’ozio, quelli che non trovano mai nulla da fare, quelli che amano la cella e il cubiculum, che è il letto (Par. II,62).
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Bisogna lavorar sempre, bisogna lavorar molto, bisogna lavorare bene! Don Bosco diceva che la sua Congregazione si regge su due colonne: lavoro e temperanza. Quando cadesse una di esse, addio; e cade la Congregazione. Nell’accettare i novizi, Don Bosco scartava i pigri, scartava gli oziosi, scartava i golosi. E questo lo raccomando alla vostra superiora. Via le pigre, via le oziose, via le golose. Don Bosco ha lavorato tanto e passerà ai posteri come l’apostolo del lavoro (Par. II,82).
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Il Chierico deve adoperare tutto ciò che la religione offre per conseguire questo scopo: deve pregare; usare la pietà, il ben ricevere i Sacramenti che sono i canali della grazia, deve star lontano da tutto ciò che può dissiparlo, specialmente dalla mollezza, dal dolce comodo, dallo stare in ozio; deve fuggire, fuggire tutto ciò che accontenta la gola e i sensi; deve cercare di essere temperante, mortificato; temperanza che riguarda anche gli occhi, l’udito il riposo, sempre moderato e temperante. Tutto questo gli riuscirà più facile e anche dilettevole, se egli rifletterà che la sua vita l’ha offerta al Signore per salvare le anime altrui; deve anzi pensare spesso che egli è consacrato a Dio e questa consacrazione la deve sempre ripetere ogni giorno con rinnovata generosità e gioia nel servizio di Dio (Par. V,298).
Vedi anche: Castità (virtù, voto), Disciplina (religiosa), Distacco (virtù), Mortificazione, Penitenza (virtù).
Tentazioni
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Tutti i santi passarono per molte tribolazioni e tentazioni ma ricorsero al Signore, e ne profittarono. E così facciamo noi, o caro Piccinini. Di tutte le cose che sono sotto il cielo riflettiamo bene che non ve n’ha una che ci consoli veramente e ci riempisca il cuore – che è fatto per Dio–: che non ve n’ha una che ci possa rendere paghi e felici, tranne il Signore, celeste medico delle anime e pace dei cuori (Scr. 26,173).
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Anche nella solitudine di Sant’Alberto, badate che siete in mezzo ai pericoli, e il demonio con le sue tentazioni arriva fin lì, perché, permettendolo Dio, quel brutto nemico arriva dappertutto. Dovete dunque vigilare e fare orazione, e non fidarvi mai di voi: dovete erigere nel vostro cuore delle mura impenetrabili, delle mura di fuoco, dentro le quali non possa penetrare altro che le spirito di Dio che è santo fuoco di dolcissimo amore di Dio e delle anime (Scr. 30,154).
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Le tentazioni sono una ragione di umiliarci e di confidare in Dio di più. Le tentazioni non devono farci timore, non dobbiamo avvilirci: diffidiamo sì di noi, ma senza avvilimento, caro canonico, mai avvilirci! Nelle tentazioni dobbiamo aver fede e coraggio, e ravvivare la nostra confidenza in Dio. Dio ci sta vicino. Caro sig. canonico, e non sa lei che non si va in paradiso se non passando per molte tribolazioni e tentazioni? Ma Dio non manca di dare con la tentazione il provento, e di aggiungere forze a sostenerla, ed è per le tentazioni che Dio va perfezionando i suoi eletti. Lei non pensi alla nevrastenia né alla non nevrastenia, lei cerchi di amare il Signore e di amarlo tanto tanto tanto, e getti nel suo cuore ogni sua pena e nella santa Madre Addolorata. Avanti! Avanti! (Scr. 44,13–14).
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Come il Cibo alimenta e conserva – così le pratiche di pietà nutriscono l’anima e la rendono forte contro le tentazioni – fino a tanto che noi saremo zelanti nelle pratiche di pietà il nostro cuore sarà in buon’armonia con tutti, saremo allegri e contenti della nostra vocazione. Al contrario cominceremo a sentire forti tentazioni quando nel cuore comincerà a farsi strada la negligenza nelle pratiche di pietà. È la storia degli Ordini e Congreg. Religiose: fiorirono e promossero il bene della Chiesa e delle anime fino a tanto che si mantenne in vigore la pietà: cominciarono a decadere e a morire quando si rallentò lo spirito di pietà e ciascun membro si diede a pensare alle cose sue, non a quelle di Gesù Cristo (Scr. 55,166).
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La vita dell’uomo si aggira nelle tentazioni del senso, dello spirito proprio e del mondo esteriore, che sono le tre grandi concupiscenze di cui parla San Giovanni (Ep., 1, 2.16). Le tentazioni sofferte da Cristo rappresentano appunto la storia intima di quella lotta che ogni uomo sostiene con sé stesso. Ma, come Gesù ha combattuto non per sé ma per noi ed ha vinto, impariamo da Lui il modo di vincere. Egli deve essere il principio della nostra fiducia, come è il consumatore della nostra vittoria. Ma, alla battaglia contro le tentazioni, premise il digiuno. Con questo digiuno, o fratelli, Gesù ha aperto una novella era del mondo (Scr. 69,326).
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Chi è chiamato al servizio di Dio, deve prepararsi alle tentazioni e la vocazione per rassodarsi ha bisogno di essere affrontata e di vincere buone battaglie contro il demonio e contro noi stessi e l’umanità. Per vincere queste battaglie è necessario essere generoso con Gesù Cristo, e darsi a Lui interamente e, specialmente per chi incomincia come ora voi, mettere ogni confidenza nel Superiore, e aprire a lui con umiltà come di un bambino e con santa semplicità la vostra anima (Scr. 78,36–37).
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Vi sono delle anime che passano quasi tutta la loro vita sotto il bersaglio delle tentazioni. Con loro voi dovete usare molta carità o, per meglio dire, gran misericordia. E se le vedrete commettere molti difetti e non praticare quelle virtù proprie della vostra Regola, non scandalizzatevi, ma umiliatevi, pensando che se voi foste nello stato loro, commettereste non solo difetti, ma soccombereste nella tentazione. Di più, per codeste anime, dovrete avere grande stima, pensando che, agli occhi di Dio, saranno forse più sante di quello che voi non credete, e che voi non siete (Scr. 79,83).
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Vediamo come Gesù ha combattuto ed ha vinto le tentazioni, e impariamo da Lui il modo di superarle. Teniamo fisso lo sguardo in Gesù Cristo che ha lottato il primo per noi, e che è principio della nostra fiducia come il consumatore della nostra vittoria. La vita del Figliol di Dio sulla terra non fu che l’intreccio di tutte le prove, proprie dell’uomo di cui Gesù Cristo rivestì la natura, senza la colpa (Hebr. IV) Or come l’uomo è travagliato anche dalle tentazioni, così Gesù volle essere tentato dal demonio per mostrarsi non solo uomo ma ancora nostro fratello. Era giusto che Egli, che con la sua morte avrebbe vinto e dato a noi la vita, vincesse le nostre tentazioni con le sue. Per noi digiunò, per noi soffrì la fame per noi sostenne le tentazioni: siamo noi che in Lui vinciamo: Egli o fratelli non combatte se non per noi! Or ecco ciò che appunto accadde nel deserto. Gesù, ricevuto appena il battesimo esce dalle acque del Giordano (Luca I) e va a sostenere la tentazione. È Cristo, che, assunta la rappresentanza e il posto di tutti noi che siam tutti poveri peccatori, preso l’impegno di redimerci, a Spirito, dallo Spirito Santo, che in forma di colomba era visibilmente disceso sovra lui viene condotto nel deserto ad umiliare e ad abbattere la forza del demonio (Scr. 111,44).
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Buone figliole del Signore, io vorrei parlavi in modo da crearvi degli scrupoli. Non è mancanza che vi arrivino addosso dei pensieri, dei sospetti, delle tentazioni; ma è mancanza dar corpo a questi cattivi pensieri, a questi fantasmi, a queste cattive immaginazioni, e può essere mancanza grave; dirò di più; non è peccato, se permettendolo il Signore, avete dei disturbi, delle cattive tentazioni, s’intende senza il consenso della volontà. Anzi, come il soldato mostra il suo valore sul campo di battaglia, combattendo virilmente, così il tempo della tentazione è il tempo di mostrarci veri seguaci di Gesù Cristo. Diciamo al Signore: “Signore, subiamo violenza; sento nella mia carne una legge contraria alla vostra: io sono vostra, rispondete per me (Par. I,210).
Vedi anche: Castità (virtù, voto), Fortezza (virtù), Peccato, Preghiera, Santità, Unione con Dio.
Tiepidezza (spirituale)
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Quando è che si sta male? Quando si comincia a intiepidire e si fa di propria testa Se viviamo da veri e buoni Religiosi, umili, diligenti e fervorosi, si è allora sempre di buon umore, si è contenti, si gode una grande pace, non si sente la fatica, si ama il sacrificio, si ama l’unione dei cuori: si vive e si fa vivere la carità fraterna, si cerca Gesù e non noi stessi, si ama la virtù vera e si prende tutto in buona parte Così sia di noi tutti (Scr. 1,161).
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Su, o cari miei figli, destatevi dalla tiepidezza, e coraggio! Le vostre cose andranno bene se avrete più amore di Dio, più amore di Dio più amore di Dio più amore di Dio più amore di Dio più amore di Dio più amore di Dio, più amore di Dio! Permettete che io dica a ciascuno di voi tre: oh si scires donum Dei! Oh se sapessi il dono e la grazia che Dio ti fa nell’averti con la sua santa mano portato a servirlo, a vivere, a lavorare in Terra Santa, dove Gesù ha vissuto visibilmente, dove Gesù ha lavorato, dove Gesù si è sacrificato, dove Gesù ha patito ed è morto per noi, per salvarci! Oh! se conoscessi e se pensassi ai beni spirituali che te ne verranno, e che ne verranno alla nostra povera Congregazione! Voi, o cari miei figli, avete bisogno di pregare di più, e di fare meglio le pratiche di pietà e di coltivare di più lo spirito di pietà e di umiltà e di sacrificio! (Scr. 4,260).
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Continuate a pregare. Fate fare una visita, una buona e fonda visita nelle case: non si tolleri il vizio né lo scandalo, né i tiepidi, e non si guardi in faccia a nessuno: si vigili e si vada e si faccia tutto con vera coscienza. Io qui ho allontanato monache, chierici e altri, e ora Dio visibilmente ci aiuta (Scr. 18,95).
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Sarà un male relativo, se perderemo dei beni materiali, ma sarà tutta perduta la Congregazione se tollereremo la tiepidezza, e la poca disciplina o elementi non di vera pietà, né di buono spirito. Anche ci sbagliassimo a mandarne via quaranta, meglio sbagliarci su 40, che ritenerne uno solo che non va. Non importa che nulla consti contro la morale, deve constare positivamente che sono cioè che vivono da veri nostri Religiosi: non guardare in faccia a nessuno: chi non va bene, sia allontanato: non sarete mai esigente abbastanza: chi non fa, va (Scr. 19,62).
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Voi sapete quante volte Vi ho scritto e pregato di scrollare la pianta e far cadere le foglie non ben attaccate. Con parecchi, già troppo si è tollerato! fatemi la carità che Vi chiedo. Si capisce che ci soffriremo, ma dobbiamo salvare la Congregazione, e allontanare tutti che non vivono dello spirito di essa, o che languidamente la servono. Come nella Fede «dubius in fide, infidelis est», e così nella illibatezza dei costumi e nella vocazione. La tiepidezza nella vita religiosa poi è veramente un contagio nelle Case, è una lebbra che dà morte alla vita spirituale (Scr. 19,107).
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Che da codesta Casa esuli tutto ciò che fosse mondano, tutto che fosse tiepidezza o rilassatezza nella disciplina religiosa. Gli elementi dubbi, alcuni che la carità consigliasse di ritenerlo ancora in prova, non stiano nella Casa Madre, dove tutto deve essere fervore, tutto deve spirare edificazione, tutto deve essere viva sorgente di alta spiritualità: la Casa Madre sia come il 2do Noviziato, la continuazione del Noviziato, dove si praticano le virtù religiose delle quali il Noviziato è stato Scuola. Vedete che i sacerdoti e gli assistenti dei chierici siano tali da potercisi specchiare. Chi non fa via! con ogni tratto di carità, ma si dimettano. Vedete bene che chi non ama l’orazione, lascerà la Congregazione, e farà del male agli altri: non guardate all’abilità e all’ingegno, ma allo spirito di pietà senza affettazione, allo spirito di umiltà, di mortificazione di sacrificio, di rinnegamento (Scr. 19,130).
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Fino a tanto che saremo fervidi nella pietà e zelanti nella osservanza degli esercizi propri della vita religiosa, principalmente nella orazione e nel ricevere i SS.mi Sacramenti, il nostro cuore starà bene con il Signore: conserveremo il petto caldo e affocato d’amore a Dio, e vivremo uniti con Dio anche nelle varie occupazioni del nostro officio e, se siamo sacerdoti, nelle molteplici cure del nostro sacro ministero: avremo buona armonia con tutti, saremo lieti e contenti della nostra vocazione. Al contrario – cominceremo a dubitare della via che abbiamo preso, anzi proveremo forti tentazioni, e, Dio nol voglia, diventati languidi e negligenti, si finisce di diventare dei disgraziati disertori Fino a tanto che la pietà fiorisce, fiorisce l’anima e la soavità del profumo religioso si sparge attorno a noi, ma quando si diventa tiepidi, quando si decade dallo spirito di pietà anche i religiosi cadono e le Congregazioni più rispettabili diventano come atrofizzate, decadono e vanno a fracassare (Scr. 52,57).
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Guai ai tiepidi! saranno rigettati e vomitati dalla bocca del Signore! Guai a chi si abbandona all’indifferenza, e non sente orrore di quel tedio dello spirito, che è l’etisia dell’anima. Guai alle acque stagnanti, esse imputridiranno, non esaleranno che miasmi e microbi di morte. Via, l’ignavia, via! Scuotetevi, o miei cari figlioli, e datevi ad amare Gesù e la vostra anima: la chiesa e la vostra Congregazione, pregando, vegliando, operando virilmente, nella umiltà e nel fervore; nel lavoro manuale e nel lavoro mentale: nel sacrificio del cuore, nel sacrificio della intelligenza, nel sacrificio delle volontà e delle membra. Sentite, o miei figli, tutta la responsabilità che vi incombe: sopra tutto sentite la Carità di Cristo che c’incalza e ci preme: Charitas Christi urget nos! Chi questa non sente: esca di Congregazione: non fa per noi! (Scr. 52,148).
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Deh! che nessuno di noi abbia da rimproverarsi le parole che sono in un salmo: «Io dormi e mi assonnai» per quanto si riferisce all’adempimento dei nostri doveri. Guai ai tiepidi! e a chi non sente spavento dal tedio dello spirito, e si abbandona all’indifferenza, ed è da Dio trovato negativo, non positivo. Guai alle acque ferme e stagnanti, esse non esaleranno che miasmi e microbi di morte, perché imputridiranno! Se dunque alcuno di voi comprendesse di essersi alquanto atrofizzato nei suoi doveri, di essere vissuto nella indolenza e ignavia, veda ora di scuotersi e di darsi ad amare Dio e a servirlo con ardore, e con ardore da santi religiosi. Diamoci tutti ad amare davvero n. Signore Gesù che tanto ci ha amato, ad amare la santificazione nostra, la s. chiesa e la Congregazione nostra, e a prepararle in noi dei figli non indegni, ma degnissimi, e di cui si possa onorare (Scr. 52,151).
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Come si conosce il tiepido? Se fugge da quelli che cercano l’osservanza e la perfezione. 2/ Se prega in fretta: se abbrevia le orazioni o le dice abitualmente senza attenzione – lo stesso della meditazione. 3/ Se fa la Comunione con una certa malavoglia, senza prep., senza ringraziamento sufficiente – E se non parla mai cuore a cuore con Gesù. Se non cava frutto. 4/ Se si confessa solo per abitudine, quasi senza dolore, senza metter mano alla radice del male. 5/ Se tralascia le visite al SS.mo e le fa come un peso, senza rivolgere mai una parola, anzi non vedendo che il momento di uscire dalla presenza di Lui. 6/ Se non dice mai giaculatorie. 7/ Se sta in chiesa con un contegno poco devoto. 8/ Se fa le cose di pietà con fine storto – per passare come pio, per entrare nelle grazie dei Superiori. 9/ Se le funzioni sacre non gli vanno a genio o solo gli piacciono quando si fa musica o c’è qualche oratore geniale (Scr. 55,195).
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Non bisogna vivere languidi e quasi nella indifferenza. Via la tiepidezza nel servizio del Signore! Che dice il Vangelo?: “quia neque calidus neque frigidus es, incipiam te evomere de ore meo”. Pregate di più! Più spirito di pietà! più fervore e osservanza di vita religiosa! Via ogni abbattimento, via la pusillanimità! Siate forte e superiore alle difficoltà e siate felice di fare qualche sacrificio per Gesù Cristo. Confidiamo nel Signore e nella Madonna, e Dio e Maria SS.ma vi aiuteranno. Non dovete poi con la fantasia rendere grandi le difficoltà, ma dovete avere un pensare virile e da religioso! Via ogni pigrizia e viltà d’animo! (Scr. 74,127).
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I tiepidi sono quelli che fanno un passo avanti e uno indietro: quelli che si contentano di non fare peccati enormi, ma collere sì; orazioni mal fatte, e non ne sentono neanche il rimorso. E si credono fior di galantuomini; si vantano come il Fariseo non sono mica un ladro, né un bestemmiatore né un disonesto. Ecco la cecità dei tiepidi quia neque calidus Nomen habes quod vivas et mortus est (Scr. 85,189).
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Com’è bella e dolce cosa vivere insieme da veri Religiosi, da buoni fratelli, ferventi e devoti, umili, puri, laboriosi e osservanti della Regola! Com’è poi triste e penoso invece, vedere dei Religiosi negligenti quelli che vanno alla carlona, tiepidi e divagati dietro cose del mondo, trascurati nelle pratiche di pietà, che quasi rifuggono nell’esercitarsi in quello in cui sono chiamati, lontani dallo spirito di quello che riguarda la loro vocazione e la via per cui Dio li ha chiamati. Il Religioso che vive senza disciplina, rilassato nell’osservanza della Regola, vive inquieto e corre rischio di gravi cadute. “Dove non c’è regola, non c’è frati” dice un savio proverbio. Cari miei, curiamo, in noi sopra tutto, le osservanze della Regola: siamo in tutto alla Regola (Scr. 100,254).
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In America troverete qualcuno dei nostri che non vive più dello spirito nostro, ma si è rattiepidito nel servizio del Signore e nella santa vocazione a cui Dio lo aveva chiamato. Vedete che la tiepidezza di qualche fratello, deviato dal bene, non faccia del male al vostro spirito, ma lo ingagliardisca di più nella fedeltà e lo infiammi di zelo nella carità, che è amore di Dio e degli uomini. Siate di Gesù Cristo e tutti di Gesù Cristo e della Chiesa, rinnovandovi ogni giorno più in Cristo, ai piedi della Chiesa e della vostra cara Madre la Congregazione vostra. Portate anche nel vostro atteggiamento la espressione della vostra fede viva e quel senso virile, deciso, profondo di religiosità e di apostolato che trascina gli altri al bene e che fa praticare la virtù e amare la Congregazione (Scr. 119,128).
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Siamo a Pasqua! Oh perché, miei fratelli, non passeremo dalla tiepidezza al fervore di spirito? Perché, se mai qualcuno si sentisse lontano dalle divine sorgenti della grazia, non vorrà risorgere dalla morte del peccato alla vita in Cristo? e dare alla sua anima la pace, la piena serenità, la fede viva ed energica del bene? Cristo è risorto! Ora che rimane a noi, o fratelli, in questo tempo degli azzimi pasquali? Che con le risoluzioni più sante, con le intenzioni più pure, con il cuore più umile, andiamo a Gesù allo spuntare del sole, cioè dopo esserci spogliati, con una buona confessione, della veste tenebrosa dei nostri vizi. E portiamo a Lui i balsami e gli aromi: l’incenso delle nostre orazioni e delle nostre virtù. Non ci spaventi la pietra enorme, cioè la legge scritta sulle tavole di pietra: è pietra ormai rimossa, e fatta leggera. La risurrezione di Gesù ha reso facili tutte le leggi, ha illuminato tutti i misteri (Par. II,213).
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La vocazione non la vivono certo i tiepidi, non i trascurati, non i lontani dallo spirito e dalla vita mortificata, umile, attiva della Congregazione; non la vivrebbero i divagati da idee e sentimenti secolareschi, non degni di buoni religiosi, i rilassati o quelli che rifuggono dall’osservanza delle regole, che sfuggono dallo sguardo dei superiori. Dobbiamo viverla, la vocazione, da religiosi sul serio, da religiosi che vogliano davvero santificarsi e santificare le anime, da religiosi che sanno vincersi e abnegare sé stessi, da religiosi che intendano osservare le sacre promesse e i voti con cui si sono dati e consacra ti. al Signore. Ricordiamo, in questi giorni e sempre, che la vocazione va vissuta e attuata, e che questo è dovere di coscienza; ricordiamo che faremo tanto profitto quanto avremo saputo farci violenza e vincere la nostra tiepidezza; ricordiamo che, senza forza di animo, non c’è virtù. Gesù disse: «Regnum coelorum vim patitur»: il regno dei Cieli, dunque, lo conquista solo chi sa farsi violenza, chi s:ì vincersi e rinnegare sé stesso, con l’aiuto di Dio e pregando. Ricordiamo ancora che, chi fa orazione, mantiene la vocazione, va avanti e si perfeziona nella virtù e arriva a farsi santo, cioè ad un grande amore di Dio; ma chi non facesse orazione fallirà e tradirà la sua vocazione miseramente (Par. II,266–267).
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Quando in una Casa uno non tira bene, capita come quei carri che hanno una ruota che cigola. Tutta la Casa sente il disagio morale. Sicuro! Nessuno sente di più il disagio di quelle anime che non seguono generosamente Gesù Cristo. Una Congregazione languida, tiepida, rilassata è come un inferno. Dove c’è invece lo spirito di docilità, di obbedienza, di amor di Dio, in quella Casa si respira un’aria soave, come di paradiso. Nelle Case dove c’è la rilassatezza, entrando si sente il peso, e standoci, tutto diventa grave, si sente un malessere morale. L’unione dei cuori si ha quando tutti disciplinano lo spirito sotto il giogo soave di Cristo (Par. V,218–219).
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Alcuni credono di poter servire a due padroni, di poter andare avanti con una condotta molto equivoca, con un non so che di fumo e di tenebre, con un senso di tiepidezza, di una vera tiepidezza che poco è più morte. Invece avanti così non si può più andare! Alcuni altri sembra che vadano a cercare apposta le occasioni del male quasi non portassimo dentro di noi la radice di ogni male; alcuni accarezzano il vizio, non lo abbandonano, non pregano e quindi cadono; alcuni alla Madonna ci pensano per abitudine non con trasporto; e la Madonna va liberando la Casa, e, Dio non voglia, non ha ancora terminato (Par. VI,107).
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Quanto male fa lo spirito guasto delle Congregazioni tiepide. Parlo a voi, o miei fratelli sacerdoti, e a voi, cari chierici, che restate qui. Vi andrò tracciando le virtù proprie dello spirito della Congregazione affinché lo manteniate puro, profondamente puro, incorrotto, nell’allargare le tende della Congregazione qui nell’Argentina e altrove. Siate zelanti nello spirito, non lasciate che s’infiltri lo spirito di mollezza, di avarizia, di attacco al denaro, alla roba, al cambiamento delle regole, non lasciate che sia turbato minimamente (Par. VI,210).
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Un Sacerdote buono che è vero sale, santifica sé e santifica gli altri; e quando muore si tira dietro una turba di anime in Paradiso; ma un Sacerdote tiepido o cattivo, rovina sé e trascina dietro a sé una grande moltitudine di anime che andranno con lui alla perdizione. E se in qualche paese, c’è ancora un po’ di religione, un po’ di buono spirito è perché il Sacerdote fa il suo dovere, è perché il sale s’è mantenuto e continua la sua funzione: c’è un vero Sacerdote. E se, in qualche paese, non c’è più questo spirito, è perché il sale non è più sale ma si è scemato e non sala più; non edifica (Par. VIII,184).
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Se non si sta attenti, si cade in una specie di stanchezza spirituale, di fiacchezza, di tiepidezza, invece che di fervore. Oh! che malattia spirituale è mai la tiepidezza! Dio non voglia che da queste dolci solennità, qualcuno di noi sia uscito debilitato, indebolito nello spirito, invece che infervorato e stimolato a camminare con fervore le vie del bene. Bisogna evitare la tiepidezza e così ogni volontario indebolimento, ogni irrisolutezza. Non sonnecchiare! Nei primi giorni di quest’anno già vi ho detto che tutto in noi dev’essere nuovo, tutto dobbiamo rinnovare. Niente vi deve essere più in noi di vacillante, di languido, di indebolito, di irresoluto. Ma tutto dobbiamo riedificare con cuore grande: corde magno et animo volenti! Con cuore ardente, resoluto, con cuore magnanimo! Guai se ci lasciamo prendere dalla tiepidezza e non teniamo conto anche delle piccole regole, anche delle osservanze più piccole! (Par. XII,22).
Vedi anche: Direzione spirituale, Esercizi spirituali, Fede, Preghiera.
Tipografia San Giuseppe
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Io ho sempre fisso in testa che nella Casa di Tortona ci sia un pozzo di San Patrizio nella Tipografia e in qualche altra parte – Dopo tutti questi anni e il lavoro che vedo esserci in Tipografia e la mano d’opera gratuita di parecchi orfani già abbastanza capaci, non so capire come essa sia passiva: sempre passiva: sempre passiva. Gli altri tipografi–proprietari pagano i tipografi e i manuali e hanno guadagno: noi no! Perché questo? La Tipografia dovrebbe almeno rendere il 3 e ½ per cento del capitale e fare i lavori della Congregazione e di propaganda in più. L’anno scorso, con il ricavo di Viguzzolo si sono pagati i debiti di Tortona, ora vedo che ricominciamo ad affondare: e i sussidi che la Casa di Tortona riceve, non bastano! E la carità in elemosine non bastano! Desidero vederci chiaro: io non ebbi mai un rendiconto di certa parte di azienda della Casa. Ogni volta che ho fatto sentire un lamento, voi vi siete lamentato e mi avete promesso di darmi la situazione, ma poi della Tipografia non la ebbi mai. Questa mia lettera non è un lamento: è un desiderio. Io desidererei un rendiconto da vedere chiaro la nostra situazione, come se voi doveste morire e dare i conti di tutto (Scr. 12,47).
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Non sarebbe il caso di offrire la tipografia per stampare Il Popolo? Temo che al Vicario facciano poi l’accusa che ha lasciato cadere il giornale. Vedete un poco e poi scrivetemi subito se la tipografia può assumersi sul serio tale impegno (Scr. 12,134).
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Come sapete, ho sempre desiderato mettere un assistente in Tipografia e ci ho messo Bartoli 13/ Dal giorno di San Giuseppe ho dato le 8 ore di lavoro, il sabato inglese e una lira in più di paga al giorno. La sera i tipografi hanno un’ora di scuola e il sabato dopo pranzo pulizia della tipografia e della persona, catechismo e confessione (Scr. 13,180).
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Oggi don Gatti disse che la Tipografia non può più pagare i ragazzi e quindi di licenziarli, poiché non si possono pagare, perché ci sono gli uomini da pagare. Ecco, siamo proprio venuti al momento che mi aspettavo e prevedevo da tempo. Dunque, caro don Sterpi, è bene che, una volta per sempre, dica quello che sento in merito. Quando si iniziò la tipografia, si è fatto per dare soprattutto lavoro e pane a degli orfani o ragazzi poveri e non affatto per farne una tipografia comune, uso Peila o uso Rossi. Non era una speculazione che si intendeva farne, benché non si escludesse un onesto utile. La cosa ora cambia, ma io non cambio (Scr. 14,53).
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Andate da don Ravazzano e fatevi dare l’articolo di agraria scritto dal geom. Ivaldi – dite per fare stampare il giornaletto e mandatemelo subito. Lui dirà se si stampa lì – dite, sì, stampa la tipogr. di San Giuseppe. Infatti, per stavolta, stampiamo ancora qui, ma porterà scritto tip. San Giuseppe per fare la réclame alla nostra tipografia; ma silentium su questo (Scr. 30,52).
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Notifico alla sig. vostra ill.ma che la tipografia San Giuseppe di questo Istituto della Divina Provvidenza venne trasferita nella così detta Casa Oblatizia presso S. Michele, al piano terreno verso il giardino (Scr. 40,30).
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Questa tipografia, che fu istituita per la propaganda dei buoni principi, volendo con il fatto dimostrare all’operaio, che la Chiesa è sempre all’avanguardia del vero bene del popolo, spontaneamente ha concesso ai suoi compositori e tipografi le otto ore di lavoro, il sabato inglese e l’aumento di paga, precedendo così tutte le Ditte di Tortona e dei dintorni. E con intenzione volle ciò fare dalla festa di San Giuseppe Patrono degli operai cristiani. Questa nuova situazione, creando necessariamente nuove esigenze ci induce, per ragioni di equità, ad elevare i modesti prezzi praticati fin qui con la nostra ottima Clientela. Preghiamo pertanto Vostra Signoria ill.ma di volersi presentare alla Direzione della nostra Tipografia per concordare le nuove condizioni del lavoro che gentilmente Ella ci ha ordinato. Ci è gradita la circostanza per porgerle i nostri ossequi (Scr. 46,197).
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Ven.mo Monsignore, Le invio N. 400 libretti della Novena a S. Giuda Taddeo, stampati dalla nostra Tipografia San Giuseppe, ove lavorano tanti orfanelli, anche calabresi. Gradisca questo lavoro quale umile espressione della carità soavissima e gratitudine che lega a Lei, caro Monsignore, il Suo devoto Servitore e Amico in Gesù Signor Nostro Sac. Luigi Orione della Div. Provv.za (Scr. 67,271).
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Siamo lieti di poter annunciare che, quanto prima uscirà dalla nostra Tipografia di Tortona nella sua prima traduzione italiana, l’opera del Rev.mo Padre Le Floch, Superiore del Seminario Francese di Roma dal titolo: Le alte classi sociali e il sacerdozio. Di questo forte opuscolo i giornali di Francia e d’Italia già hanno fatto i più lusinghieri elogi, quando uscì la prima edizione francese; e il Santo Padre Benedetto XV onorò l’autore di una sua lettera autografa (Scr. 72,37).
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Abbiamo una fiorente Scuola per i Falegnami, da cui sono usciti molti lavori assai pregiati, ed anche parecchi lavori di intaglio molto lodati dagli intelligenti. Per la nostra Tipografia San Giuseppe, dove lavorano già una decina di ragazzi, i quali speriamo cresceranno fra breve di numero, si è acquistato una bella macchina, di grande formato, ultimo modello e assai celere, a motore elettrico; abbiamo acquistato molti caratteri moderni, per cui ci troviamo in grado di eseguire qualunque lavoro, dal biglietto da visita, alla stampa di libri. Ci raccomandiamo pertanto alla S. V. Gent.ma, perché voglia procurarci del lavoro, molto lavoro (Scr. 83,1).
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Un bravo di cuore alla Tipografia San Giuseppe Non toccherebbe a noi lodare le nostre opere ed additarle alla pubblica stima. Ma questa volta riportiamo ciò che due giornali molto accreditati dicono della nostra tip. San Giuseppe; per la pubblicazione del numero unico in omaggio di S. Ecc.za Rev.ma Mons. Ambrogio Daffra. “L’Armonia” di Sanremo in data 12 c. m. scrive: Il numero unico fu un capolavoro tipografico per la nitidezza dei caratteri; per le riuscitissime incisioni e per la tecnica con cui fu disposta la materia. Una sincera lode alla Tip, San Giuseppe di Tortona (Scr. 94,43).
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Il Sottoscritto, Sac. Giuseppe Zanocchi, dimorante presso l’Istituto della Divina Provvidenza in Tortona, domanda a Vostra Signoria Ill.ma di poter pubblicare un piccolo periodico quindicinale d’indole religiosa, dal titolo “L’Opera della Divina Provvidenza”. Esso verrà stampato in questa città dalla Tipografia San Giuseppe, che trovasi nei locali dell’Istituto della Divina Provvidenza; proprietario della Tipografia è il Sac. Orione Luigi e i tipografi dimorano presso l’Istituto stesso (Scr. 101,36).
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La Tipografia S.an Giuseppe, impiantata a Tortona da don Orione, è venuta nella determinazione di trasformarsi in legatoria nella Casa stessa della Divina Provvidenza e propriamente nel negozio che fa angolo tra Via Emilia e la Piazzetta di S. Michele, presso l’edicola dei giornali cattolici. Nostro fine è: a) dare onesto lavoro e pane a poveri orfani; b) diffondere la buona stampa; c) dare maggior lavoro ed incremento alla nostra Tipografia (Scr. 104,139).
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Il Sottoscritto chiede di poter pubblicare con i tipi della tipografia San Giuseppe, sita in Via Emilia 27, Tortona un Bollettino Mensile di indole morale religiosa, dal titolo “La Val Staffora”, del quale dichiara di essere che sarà Direttore Responsabile (Scr. 119,71).
Vedi anche: Libreria Emiliana Editrice, Propaganda.
Tirocinio
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I Chierici, che si mandano alle Sette Sale perché frequentino la Gregoriana, devono avere buona salute, particolare attitudine agli studi ed essere di ottimo spirito religioso. Possibilmente dovranno non solo avere i voti, ma aver anche fatto il tirocinio pratico, con piena soddisfazione dei Superiori delle Case dove furono, ed avere un buon carattere: questo è da tenersi sempre presente; più forte volontà, sia nella pratica della virtù e vita religiosa che nella applicazione allo studio (Scr. 8,206).
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Come sai, qui c’è il ch.co Sebastiano Cantoni di codesta tua parrocchia e di anni 35. Prima di fare il militare e durante il periodo di tempo che egli passò sotto le bandiere, si diportò sempre molto bene. L’ho provato in tutti i modi e sono forse ora 19 anni che lo vado provando. Nessun ordine religioso, per quanto severo, sottopone una vocazione ad un tirocinio sì lungo (Scr. 35,257).
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Da quest’autunno abbiamo posto anche noi il triennio di tirocinio pratico, dopo il liceo: in via eccezionale, potrò ridurlo, non toglierlo (Scr. 38,199).
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Cercate di prepararvi bene agli esami per poter poi trascorrere un po’ tranquillamente le vacanze e attendere all’anima vostra. Adesso abbiamo messo 2 anni di Noviziato; così: un anno di Noviziato e poi tre anni di filosofia; un anno di Noviziato e poi tre anni di tirocinio; poi teologia e Sacerdozio (Par. V,83).
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È desiderio dei Superiori che andiate a Genova, ma nessuno deve andare contro volontà! Chi non si sentisse, parli e lo manifesti ai Superiori. A Genova avrete mezza giornata di lavoro e mezza giornata di scuola. Vi sarà chi vi farà scuola. E, mentre per tutti i nostri, che non lavorano, vi sono tre anni di tirocinio, come dai Salesiani e dai Gesuiti – infatti voi vedete molti chierici nostri di Roma, anche laureati in filosofia, vostri compagni sparsi nei Collegi e nelle Case, chi a dirigere e chi a fare scuola, non studiano ma si preparano alla vita pratica – per voi che lavorate, non ci saranno, ma si conterà come tirocinio il lavoro che fate e avrete così un compenso delle mezze giornate di lavoro che fate (Par. V,367).
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Oggi il sacerdote ha il dovere di studiare più che in altri tempi, nei tempi remoti “chierico” significava scienziato, oggi purtroppo non più. Riguardo ai chierici possibilmente vi siano tre anni di ginnasio, prima si dia importanza al latino, lingua ufficiale della Chiesa, poi alla lingua del paese che abitiamo, poi del proprio paese, poi l’inglese, il francese, storia, geografia, scienze, matematica, ecc. Finito il ginnasio si farà il noviziato se si ha l’età; finitolo, tre anni di filosofia, poi tre anni di tirocinio, che consiste nel fare l’assistenza nelle nostre Case, o facendo scuola o assistenza e scuola insieme, infine i 4 anni di teologia (Par. VI,250).
Vedi anche: Noviziato, Vita religiosa.
Tre Ave Maria (devozione)
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Prego e faccio pregare per la figlia della Sig.ra Glori; sarebbe bene che cominciasse una Novena di tre Ave Maria al giorno a S. Bernardino da Siena e alla Madonna della Guardia (Scr. 8,69).
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La lettera a Continenza dagliela pure: gli dirai prima di andare davanti alla Madonna a dire tre Ave Maria 5/ Poi mi saprai dire qualche cosa, se viene da te a parlartene e lo conforterai nella vocazione (Scr. 21,17).
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Ti prego, entro non più di tre giorni dacché avrai ricevuta la presente, di riunire in Chiesa o nella cappella della Casa a cui presiedi, i confratelli sacerdoti, eremiti, chierici novizi e quei coadiutori che, anche senza voti, pure da anni lavorano insieme con noi come moralmente aggregati alla nostra Congregazione. Recitate tre Ave Maria, prima e dopo, con Pater, Ave e Requie in fine per i nostri confratelli già passati alla eternità, darai loro lettura della presente comunicazione e ciò farai senza alcun commento, solo raccomando a tutti la carità e la unione dei cuori nel Signore e che non se ne chiacchieri né si mandino rallegramenti (Scr. 24,59).
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Passò qualche ora e poi venne quello che era allora il rettore del seminario e oggi è il vescovo di Ventimiglia, monsignor Daffra; mi prese per le mani con atto paterno – quell’atto non me lo dimenticherò mai – e mi condusse nella cappella del seminario e là mi diede la veste da chierico, davanti alla statua della Madonna. Mi mise la veste da chierico e poi mi disse: Adesso preghiamo insieme e diciamo tre Ave Maria che la Madonna abbia a prenderti per mano, come ho fatto io conducendoti dal parlatorio fin qui, dinnanzi alla Madonna. Fin qui, fin all’Altare, ti ho condotto io; adesso lascia prenderti per le mani dalla Madonna: ti metto nelle mani della Madonna e tu sta attaccato alle mani della Madonna; se ti lascerai condurre dalla Madonna, la Madonna ti condurrà, ti guiderà, la Madonna sarà sempre la tua luce e farai del bene. E così dicendo, s’inginocchiò accanto a me e abbiamo detto tre Ave Maria. Mi lasciò poi lì e se ne andò (Par. II,173).
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Cari figli, quando io ho ricevuto il santo Abito il Rettore del Seminario, che tuttora vive, ed è il Vescovo di Ventimiglia, mi disse: – Ti do la veste benedetta dalla Chiesa: recita tre Ave Maria e così ti consacrerai alla Santa Chiesa per le mani di Maria Santissima. Lo stesso io ripeto a voi; e se camminerete sempre per questa via, quando il Signore vi chiamerà a lui, ringrazierete la Santissima Vergine che fin da questo momento io costituisco sopra le vostre teste, Patrona ed Avvocata e Madre vostra (Par. IV,326).
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Cari miei figli quando indossai la veste recitai tre Ave Maria e la Madonna mi ha sempre protetto, mi ha sempre aiutato e mi ha condotto sotto la sua materna luce. Cari figli, voi questa sera avete avuto l’abito dei figli della Divina Provvidenza; ebbene, piuttosto la morte che abbandonare questa strada per la quale vi conduce Maria Santissima. Abbiamo detto le tre Ave Maria e ora cantiamo: Solchiamo un mare infido (Par. IV,440).
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Voi, dunque, andate a Genova e prendete il posto dei vostri fratelli che sono venuti qui. I vostri compagni hanno lasciato un buon nome fra i genovesi. Voi dovete continuarlo questo buon nome, con una vita di lavoro e di buono spirito religioso. (1) Portate quindi a Genova un cuore forte e pronto a sacrificarsi. Mettetevi sotto la protezione della Vergine Santissima. Siate di esempio a tutti. E prima di lasciare questa Cappella, recitiamo tre Ave Maria affinché la Madonna ci protegga sempre. Inginocchiatevi che vi darò la santa benedizione (Par. V,370).
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Se ho potuto vincere tante passioni, se ho potuto resistere al diavolo, nemico d’ogni bene e agli uomini di mala volontà, suoi adepti, lo debbo alla Madonna. Ai piedi della Madonna Santissima ho desiderato che voi veniste, per essere ascritti alla milizia ecclesiastica; e come quel Santo Vescovo mi consacrò allora a Maria con la recita di tre Ave Maria, anche voi vi consacriate alla Vergine. Reciteremo le tre Ave Maria, che dirò storiche, a questo scopo. A tutti i chierici ho sempre fatto recitare le tre Ave Maria, ricordando la mia vestizione, ogni qualvolta ho compiuto questa cerimonia sacra, dal giorno della mia consacrazione alla Vergine fino a questo momento. Così vorrei che anche voi, recitando le tre Ave Maria, prima che vi spogli degli abiti del secolo e vi dia il santo abito, vorrei che anche voi vi consacraste alla Madonna Santissima e vi offriste a Dio per le mani della Madonna (Par. VII,10).
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Non è un obbligo, è un consiglio che vi do: mai passi un giorno senza che abbiate a recitare tre Ave Maria per la perseveranza nella vostra vocazione (Par. VII,11).
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Noi siamo qui alle “radici” del Santuario di Maria Santissima. E come ricordo vi lascio questo ricordo: Reciterete tre Ave Maria ogni giorno alla Madonna Santissima e io vi prometto a nome della Madonna, che nessuno di voi si perderà, se, ogni giorno reciterà tre Ave Maria alla Madonna! (Par. VII,114).
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Da quest’oggi comincerete anche voi a dire le tre Ave Maria, che non siano le tre Ave Maria della “Cara Madre” delle nostre preghiere, né di quelle del Rosario, o quelle di altre preghiere di obbligo. Non avete l’obbligo di confessarvi, se le lasciate qualche giorno. Vi lascio come ricordo, come pegno di vita eterna questo: Non lasciate di dire le tre Ave Maria. Quanti di voi forse, da grandi, andranno in guerra! Come siete venuti da tante parti, così andrete per tante parti; anche Figli della Divina provvidenza chissà dove andrete a sbattere e a morire. Dovunque andrete non dimenticate di dire ogni giorno le tre Ave Maria (Par. VII,115).
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È tempo che andiamo a dire le “Tre Ave Maria della Mamma”, come le chiamava don Bosco. Vorrei che tutte le usanze di don Bosco si tramandassero presso di noi... Le Tre Ave Maria ai piedi del letto è una usanza presa da don Bosco. Queste usanze in Congregazione non si sono introdotte senza aver prima pregato molto o aver sentito un impulso interiore che veniva certo, da parte di Dio (Par. VII,144).
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Quando io ricevetti il santo abito in Seminario a Tortona quel santo Sacerdote che me lo ha indossato mi fece recitare tre Ave Maria e mi disse: – Diciamo tre Ave Maria affinché tu possa diventare un buon Chierico, un Chierico devoto di Maria SS.ma – E sempre nei momenti difficili mi ricordai delle tre Ave Maria e sempre trionfai, in tanti momenti tremendi per la mia anima. Ed ora anche voi mettetevi nelle mani di Maria come suoi figlioli, affinché vi tenga sempre stretti nelle sue mani e al suo cuore di Madre; perché la Vergine, per sua bontà e intercessione potente, vi porti tutti nel Santo Paradiso (Par. IX,363).
Vedi anche: Devozioni, Madonna, Preghiera.
Ufficio stampa
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Porto a conoscenza tua, e, per te, a don Perciballi, al quale unicamente non iscrivo per brevità di tempo, ma che saluto carissimanente in Domino, che ho istituito qui un modesto ufficio stampa, con a capo don Luigi Orlandi. Egli, d’ora innanzi, come a voi, trasmetterà mensilmente, e tempestivamente, ai vari bollettini mensili che la Congr.ne pubblica quelle notizie che si vuole o si desidera che siano portate a conoscenza dei nostri lettori, amici e benefattori. Le notizie segnate in rosso, lapis o inchiostro, si devono pubblicare, e tali e quali, come i due telegrammi sopra. Le segnate in bleu, si desidera che siano pubblicate, ma, pubblicandole, si consiglia di darle, possibilmente, anch’esse tali e quali. Riceverete poi articoletti o notizie contrassegnate in nero, queste basterà che ne diate un sunto, ma sempre è un desiderio, e data la disponibilità dello spazio. Questo ufficio stampa non toglie affatto che, per far pubblicare qualche vostra cosa sul bollettino della Congr.ne «La Piccola Op. della Div. Provv.za» non possiate sempre rivolgervi a don Sparpaglione o direttamente a don Luigi Piccardo a Venezia. Come potrete rivolgervi al don Orlandi sia per il bollettino generale «La Piccola Opera» come sempre per qualunque altra notizia che desideraste uscisse anche sul «Giovine Italiano» e su altri bollettini sia d’Italia, che del Sud America e Polonia (Scr. 22,203).
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Ti comunico che da oggi, ho istituito un modestissimo ufficio stampa, qui, in una delle stanzette che danno sul ballatoio sopra la tipografia. E vi ho posto a capo te, don Franceschini, e don Orlandi, più due chierici, che mostrano una qualche tendenza all’apostolato della stampa, Venturelli e Rubinelli, di 3ª e 4ª teologia. Scopo è di raccogliere e trasmettere alla stampa della Congregazione, in Italia e anche ai bollettini che si hanno all’Estero, le notizie che si ritiene necessario o utile che vengano largamente diffuse; e anche di trasmetterle, per il tramite dei corrispondenti di giornali alla stampa quotidiana, non nostra, sia di spirito cattolico che non. La stampa è tra le prime forze, e non va trascurata, ma urge valercene a fini alti e santi. Mi riserbo di parlartene, appena potremo vederci (Scr. 33,19).
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Ho voluto scegliere, appunto, la festa di oggi miei cari, per istituire, nel nome santo di Dio, nella nostra piccola Congregazione il primo, per quanto modesto – ufficio della buona stampa, che pongo sotto gli auspici di Maria SS.ma e di San Francesco di Sales. Il Salesio fu dei primi a valersi della stampa a sostegno della fede e della morale cristiana e a difesa della Chiesa, e che la Santa Sede ha proclamato patrono della stampa cattolica. Un atto provvido e solenne di Papa Benedetto XV costituiva sin dal 1915 l’opera nazionale della buona stampa per opporre stampa a stampa, dato il dilagare, a quei giorni, di tanti giornali e periodici cattivi. Il nostro modestissimo ufficio non mira tant’alto, no! Per ora suo precipuo scopo è di occuparsi della stampa nostra, di ricevere e corrispondenze e notizie dalle varie nostre case e di trasmetterle con sollecitudine a tutti i nostri bollettini insieme con qualche breve articolo, e non solo ai nostri periodici ma a quei giornali che si offrissero di diffondere quanto del nostro lavoro potesse interessare il loro pubblico. Per ora, solo questo, non di più; poi quest’ufficio se a Dio piacerà dare incremento potrà anche diventare un’opera vera e propria in Congr.ne di apostolato della buona stampa: di una stampa pro populo, cioè molto popolare e a larga diffus. per i piccoli e gli umili, a salvezza del popolo mirando a portare Cristo al popolo e il popolo al Vicario di Cristo (Scr. 33,21)
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Oggi il più grande oratore è ancora la stampa: e la stampa parla bene o male, parla tutti i giorni e tutte le ore, parla di giorno e parla di notte chi crea l’opinione pubblica è ancora la stampa. È una grande forza la stampa: la nostra Congregazione non può disinteressarsene essa anzi deve mirare a valersene, ad impadronirsene quanto più potrà, a rivolgerla al bene, a servirsene, pei suoi fini santi, non per dominare ma a servizio di Dio, della Chiesa e ad elevaz.ne del popolo. Dobbiamo impadronircene quanto più si può, il modesto nostro ufficio stampa mira anche a formarci un personale. Ma, veniamo a noi: questo ufficio stampa già segna un momento, un tempo, un passo nella Congregazione: è un principio, e vuol essere un buon principio, il principio d’un lavoro nuovo, si entra sia pur timiducci timiducci in un nuovo campo di apostolato, e di che apostolato! Innanzi tutto che questo vostro lavoro, tutto permeato di amore di Dio, sia sempre ispirato alla verità e a servizio della verità e delle anime e poi nell’anima e nella forma sia vivificato dalla carità: facere veritatem in charitate. Vivere la verità, praticarla, volerla servire anche con la penna: farla vivere e risplendere agli occhi di quanti vi leggeranno! Operare e scrivere sempre secondo gli insegnamenti della fede e della Chiesa, che ci danno la verità rivelata e secondo quanto ci risulta vero, giusto, onesto e retto, ma sempre sotto l’impulso della carità: siate, o miei cari, ognora fedeli alla verità ma in una volontà e spirito di santo amore di mite e dolce carità. È l’apostolo Paolo che, nella Epistola ai primi cristiani della Chiesa di Efeso – (IV, 15) – dice: «Veritatem autem facientes in caritate, crescamus in illo per omnia, qui est caput, Christus» (Scr. 33,22).
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Noi dunque, personalmente, e la Congregazione, dobbiamo crescere e progredire in tutte le buone attività – crescamus per omnia, quindi anche con l’apostolato della stampa, in illo, in lui, che è il capo, Cristo; sempre veritatem facientes in caritate. E vi varrete di tutto che la Chiesa e la piccola Congregazione vi offriranno, sia di antico che di nuovo: «nova et vetera». Avvertendo di mettere il vino vecchio in otri nuovi, e il vino nuovo pure in otri nuovi; «altrimenti, disse Gesù (Matt. XI, 17) gli otri si rompono e il vino si versa, e gli otri vanno in malora». Era negli otri di pelle che, allora, si conservavano i liquidi. Voglio dirvi che, se volete piacere e farvi leggere, bisognerà che adattiate la dottrina antica di Cristo alle forme vive e nuove, usare i modi più graditi ai tempi nuovi, ai lettori di oggi: lingua viva, periodi brevi e scintillanti, notizie e articoli sempre brevi, brevissimi, con un buon pensiero che letifichi ed elevi lo spirito. Nello stile rifuggite da tutto ciò che sa di antiquato e di muffa, da tutto che può appesantire: che la giovanile vigoria del pastorello Davide non venga oppressa né soffocata dalla ingombrante armatura di Saulle. State fermi e saldi ai principi della fede, e non solo su ciò che è strettamente dottrinale ma siate precisi e chiari sempre, ma disinvolti sempre, e sempre tenendo alti, uniti e vibranti i più grandi e sacri amori: Dio e Chiesa, famiglia e patria. Non siate tardi ma alacri sempre e tempestivi: qui sta un gran segreto di riuscita (Scr. 33,23).
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Bisogna che facciamo qualche cosa in Congregazione per facilitare alle diverse Case d’Italia e anche delle Missioni, anche dell’estero, le notizie di quello che avviene in Congregazione... Tutte le Congregazioni che si rispettano, si fanno premura di mandare notizia di quello che succede, ai propri affiliati, ai congregati, ai membri della Congregazione... Finora noi siamo stati acerbi nelle cose della stampa; abbiamo molto cammino da fare... ma bisogna pure che facciamo qualche cosa. Tutte le Congregazioni moderne, che vogliono camminare coi tempi, hanno il loro Ufficio Stampa... Ha l’ufficio stampa il Re, il Governo, hanno l’ufficio stampa le grandi industrie, gli enti per trasmettere celermente le informazioni che li interessano e che hanno legati i loro interessi di denaro o di politica... Vedete ormai quante agenzie di stampa ci sono per far giungere, arrivare, nel tempo più breve possibile, le cronache ai giornali oltre i confini della patria... C’è il telefono, il telegrafo, ci sono i comunicati, c’è l’Ufficio Stampa che avverte, che avvisa, che preannuncia, che, molte volte, smentisce quello che ha mandato a dire prima (ilarità) ... Così va il mondo: si dice e si disdice... L’Ufficio Stampa della Santa Sede si può dire che l’ha in permanenza attraverso “L’Osservatore Romano”... Anche noi, quindi, dobbiamo fare qualcosa... I nostri foglietti, quelli delle nostre Case, a volte mettono cose che non c’entrano niente o poco, con la vita della Congregazione... Bisogna fare in modo di mandare loro celermente qualche notizia bella, qualche cronaca di avvenimenti, i piccoli avvenimenti della nostra famiglia religiosa... Non devono più arrivare tanto in ritardo le notizie ai nostri, che prima fanno a tempo a saperle da altri che dalle nostre stampe... Vi faccio, dunque, la proposta dell’Ufficio Stampa della Congregazione. Ve ne parlerò ancora... Adesso vi dico che chi si sentisse inclinato ai lavori di penna, chi vuol fare il giornalista (ilarità), il cronista, (con voce chioccia), lo scrittore, si faccia avanti, si presenti... Io farò poi la scelta, sentiti i vostri insegnanti, e tenendo conto del vostro tempo... L’Ufficio Stampa della Congregazione servirà per dare un’intonazione unica ai nostri vari bollettini, che, a volte, sembra parlino come al tempo della torre di Babele: i nostri periodici parleranno così, sostanzialmente, la stessa lingua, la stessa voce, lo stesso spirito, trasmetteranno le stesse idee... E ne verrà un grande bene! Faremo vedere che siamo tutti uniti in uno stesso pensiero, in un unico sentimento, allo stesso servizio di Dio, della Chiesa, del Papa... Una mens, unum cor, unus spiritus... Anche le nostre Suore vorrebbero avere qualche pagina, una o due, nella “Piccola Opera”; anch’esse hanno diritto di far sapere cosa fanno; sarà un richiamo per le vocazioni (Par. VIII,112–113).
Vedi anche: Apostolato, Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Umiltà
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Dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi. E così unirci di più a Dio, e specialmente con l’orazione, con più profondo spirito di pietà e di disciplina religiosa prepararci, in umiltà e cuore grande e magnanimo, ai sacrifici che la Div. Provv.za e la nostra Congregazione richiedessero da noi. Umiltà, preghiera, mortificazione, purezza, povertà, obbedienza, lavoro e sacrificio nella osservanza piena della Santa Regola! (Scr. 1,167).
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Io aspetto da voi altri tutto, se sarete umili, e avrete sempre coi vostri Superiori quella bella sincera e semplice confidenza e obbedienza che hanno i bambini con la loro mamma. E se questa semplicità e umile apertura di cuore la avrete ogni giorno e se la alimenterete con la preghiera umile e incessante, vi farete santi. E quanto grande deve essere, e cercherete sia la confidenza e umiltà vostra verso Gesù Signor Nostro e coi Superiori, altrettanto sia grande, o miei cari figliuoli, la diffidenza che ciascuno deve avere di sé stesso. Diffidate sempre e poi sempre dei vostri giudizi. Egli è facilissimo, confidando nei propri ragionamenti, declinare e abbandonare la via sicura e santa della vera umiltà, della semplicità religiosa, della obbedienza figliale e cieca, come era la fede di quel cieco del Santo Evangelo di cui si parlava nella Messa la domenica prima del Mercoledì delle Ceneri, e al quale per la sua fede cieca, Gesù, Dio nostro, ha dato la vita (Scr. 2,76).
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Con la preghiera: con la umiltà: con il candore semplice e la confidenza piena di figli: così e non altrimenti giungerete alla perfezione e alla vera santità, e saremo i figli veri della Divina Provvidenza, e cresceremo cari a Dio, e faremo un bene immenso. Oh quanta larga messe di sante fatiche, di santo lavoro e di anime ci prepara la bontà del Signore, o miei figli! Coraggio dunque! (Scr. 2,77).
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Coraggio, o carissimi miei figli! Ciascuno di voi si offra tutto al Signore per le mani della SS.ma Vergine, e, pieno di umiltà, di fede e di fiducia in Dio, dica: nunc coepi in Nomine Christi Jesu! Cominciamo dunque ad amare e a servire il Signore. e Lo ama chi pratica l’umiltà: poiché vale di più un grado di umiltà che cento di fervore. Nell’umiltà curate la pietà e anche il fervore. Vi benedico, caro Don Cremaschi, con tutti codesti carissimi figliuoli, e vi metto tutti nelle mani della Madonna SS.ma (Scr. 2,78).
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Preghiamo, caro Don Cremaschi, e raccomandiamoci di più alla Madonna, e umilmente raccomandiamoci! E vediamo di avanzarci nell’amore di Dio e di accendere di amore a Dio i nostri che ancora non hanno disertato. Se non c’è umiltà e amore di Gesù Cristo e purità di vita e d’intenzione e mortificazione di volontà e di gola e di sensi, e formazione profonda di conoscenze religiose convinte non edificheremo per Gesù Cristo, né per la Chiesa, né formeremo figli per la Congregazione (Scr. 2,256).
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La prima carità dobbiamo farla a noi stessi; dobbiamo pregare di più: lo dico a me, lo dico a voi, lo dico a tutti i nostri: dobbiamo pregare di più, coltivare di più la pietà, l’umiltà, la dipendenza, la docilità di spirito, e lo spirito religioso Vae nobis! si fons devotionis et humilitatis in nobis siccatus fuerit! Guai a noi, noi perduti, se la sorgente della pietà e della umiltà si sarà inaridita in noi, o andrà inaridendosi! (Scr. 4,261).
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Non avere paura di abbassarti troppo nel sottometterti, perché si fa più profitto con un grano di umiltà che con una montagna di superbia. Per l’amore di Dio benedetto niente ci deve sembrare vile o troppo disagevole, e dobbiamo disprezzare noi stessi ed essere reputati niente e gente buona a nulla, pur di amare e servire Dio, e guadagnarci il Paradiso. Ma, senza umiltà, in paradiso non si va; e i golosi in Paradiso non ci vanno e i fuggi fatica, i comodi, quelli cioè che amano le comodità e sono pigri, in Paradiso non vanno. I superbi, i pigri, i golosi e i disonesti ho dato ordine che non siano accettati mai e poi mai in Congregazione (Scr. 4,263).
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Pregate, e state fermi nella vocazione, e fedeli a Dio e alla chiesa: umili, ma fortemente attaccati alla chiesa di Roma e alla Congregazione, la quale di questo latte di amore a Dio e al Suo Vicario in Terra vi ha nutriti: umili e fedeli sempre, finché sarete arrivati «alla piena conoscenza del Figliuolo di Dio, a una maturità virile, all’altezza della statura perfetta di Cristo», come dice l’Apostolo (Scr. 26,142).
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Ah! vale più un grado di umiltà che cento di fervore; l’umiltà è la più preziosa di tutte le virtù, perché fondamento e base di tutte. Ma tu, figliol mio, bada bene, e sta in guardia, poiché vi ha un abbassamento cattivo, che nasce della poca fede in Dio, e produce un triste scoraggiamento: guardatevene! Vi ha invece, un abbassamento buono, che sa gloriarsi nel Signore, cioè considera la propria infermità come un trofeo della gloria di Gesù Cristo Crocifisso: questa sì è umiltà vera e sincera: seguila! Questa umiltà è sapienza veramente sublime, che ti formerà allo spirito di Gesù Cristo, e dal seno di questa umiltà sorge la confidenza in Dio, Padre nostro celeste, e da tale figliale confidenza ne viene un vigore infinito, onde le cose più spregevoli della terra diventano le più possenti, e gli umili vengono esaltati sopra degli orgogliosi e ad essi – e solo ad essi, come venne promesso, e così sarà dato il Regno dei Cieli. E allora si capisce perché stia scritto che l’humilis rusticus si leverà sul superbus philosophus: che cioè vale più un umile villanello che serve a Dio in humiltate, di un superbo filosofo che specula il corso delle stelle (Scr. 26,167).
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A ricordo di questa Santa Pasqua vi mando i 12 gradi della umiltà che San Benedetto raccomandò tanto fortemente ai suoi discepoli, e che è la base del Cristianesimo e della vera vita religiosa. San Tommaso d’Aquino dice che detti gradi dell’umiltà non saranno mai abbastanza raccomandati. I Eccitare sempre in noi stessi una viva compunzione di cuore: temere Dio e i suoi giudizi: camminare sempre umili alla sua divina presenza. II Rinunziare perfettamente alla propria volontà. III Obbedire prontamente e lietamente, senza riserva. IV Soffrire con pazienza tutti i patimenti e tutte le ingiurie. V Scoprire umilmente i propri più segreti pensieri al suo superiore o direttore. VI Provar contentezza e godimento nelle umiliazioni, compiacersi nell’esercitarsi nei più bassi uffizi e portare poveri panni ecc.: amare la semplicità e povertà, e ritenersi come un cattivo servo in tutto ciò che ci è imposto. VII Stimarsi il più miserabile, e la immonda spazzatura degli uomini, anzi il più grande peccatore. VIII – Fuggire le singolarità nelle parole e nelle azioni. IX Amare e osservare il silenzio. X Guardarsi da una vana gioia e da un riso smoderato. XI – Non parlar mai ad alta voce, e serbare la regola della modestia in tutte le parole. XII Essere umile anche in tutti gli atti esterni, tenere gli occhi chini a terra ad esempio di Manasse penitente e del pubblicano del vangelo. Ciascuno di noi si scriva questi 12 gradi, li studi a memoria e se li imprima nel cuore e nella vita (Scr. 30,221–222).
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Umiliamoci, figlio mio, ché non ci umilieremo mai abbastanza, dopo che abbiamo tanto offeso Dio! Umiliamoci per amore di colui che per noi prese forma di vilissima creatura, sebbene fosse il Signore di tutto, in cielo ed in terra. Consideriamo ogni uomo per nostro padrone, e noi stessi veramente come servi di tutti, e così, mio caro don Martinotti, vivremo del vero e genuino spirito religioso, e avremo con tutti tranquillità e pace. Non ti occupare, né ti affannare di cosa alcuna che non sia utile e profittevole all’anima tua: guarda e ascolta solo cioè che giova alla tua anima, al bene della Congregazione e della santa Chiesa, e lascia d’interessarti di cose vane, leggere, mondane (Scr. 34,100).
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Dove c’è umiltà non ci sono contese, c’è compatimento reciproco, c’è l’unione dei cuori, c’è carità fraterna; e si va avanti contenti, si lavora contenti, si prova una grande gioia e felicità interiore e spirituale. Tutti i doni celesti e le grazie e i conforti ad andare avanti vengono dalla umiltà; mentre tutti i malumori e le liti nascono dall’amor proprio e dalla superbia, che è una nostra grande miseria morale. L’umiltà, vedete, è tanto necessaria per poter far vera e buona vita religiosa e per acquistare la perfezione, che tra tutte le vie per poter giungere ad avere vero spirito religioso e la verace perfezione, la prima via, diceva sempre Sant’Agostino, è l’umiltà, la seconda via è l’umiltà, la terza via è l’umiltà. E diceva ancora: «E se cento volte fosse domandato qual è la via per diventare santo, qual è la via più breve, più sicura, anzi infallibile, altrettante volte io risponderei la stessa cosa: umiltà, umiltà, umiltà». E quanto più alto si vuol erigere l’edificio della santità, altrettanto più profondo si deve gettare il fondamento dell’umiltà. L’umiltà non è la prima virtù per eccellenza, che è la carità, ma però l’umiltà tiene il primo posto tra le virtù, perché è il fondamento e la base di tutte le altre. Come l’orgoglio, l’amor proprio, la superbia (che poi sono tutto una stessa cosa), come dunque l’orgoglio è il principio di tutti i peccati, così l’umiltà è la sorgente di tutte le virtù, perché sottomette l’anima a Dio e fa in tutto la volontà di Dio (Scr. 39,88).
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L’umiltà è la madre delle altre virtù, ed è quella che le custodisce tutte: le tiene, per così dire, serrate e unite, e impedisce che ce le rubino. È dunque di assoluta necessità, o buone figliuole di Dio, che desiderando voi di essere ammaestrate nella vita religiosa, sollecitamente procuriate di fondare nei vostri cuori la radice della santa umiltà. Poiché San Bernardo ha scritto che «siccome la cera non riceve alcuna forma se prima non diventa molle e, direi, liquida, così noi non ci adattiamo alla forma e allo spirito delle virtù cristiane e religiose, se prima non ci abbassiamo, se non ci sottomettiamo all’altrui parere e volontà, se non ci spogliamo del nostro amor proprio e orgoglio, se non deponiamo quei modi aspri, duri e pieni di arroganza». Quanto più ci abbassiamo, tanto più ci accostiamo alla verità, perché l’umiltà sapete in che cosa consiste, o buone figliuole di Dio? Consiste nel non attribuire a noi stessi quello che appartiene al solo Dio o agli altri; di modo che umiltà non è altro che giustizia e verità. E quindi la via dell’umiltà è la via della verità e della giustizia. E noi non ci abbasseremo mai troppo, non ci umilieremo mai di soverchio, dopo l’esempio di nostro Signore Gesù Cristo, «Qui humiliavit se metipsum usque ad mortem, mortem autem crucis!». Il Quale Signor nostro Gesù umiliò sé stesso fino alla morte e alla morte di croce. Gli atti di umiltà sono la maggior giustizia che noi povere creature possiamo rendere a Dio nostro creatore. Essere umile è credere alla verità, credere alla nostra imperfezione, credere alla potenza della grazia di Dio che ci perfeziona. Riconoscendo il nostro nulla, diamo gloria a Dio. Noi non siamo che cenere, un pugno di cenere che disperde ogni vento, e meno, meno ancora di cenere. Non solo siamo un nulla, ma peccatori. Ed essendo peccatori, e tanto peccatori, è giusto che desideriamo di essere disprezzati dagli uomini e tenuti a vile. Questi sentimenti devono essere inconcussi e profondamente scolpiti nell’animo di chi vuol essere tutto di Dio, di chi vuol essere vera suora, vera religiosa di Gesù Cristo e Missionaria della Carità. Non c’è carità senza umiltà. In questa dolce novena dell’Immacolata chiediamo alla Vergine SS.ma la grazia della santa umiltà (Scr. 39,89).
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Con l’umiltà non si perde mai, e l’umiltà non è mai troppa. E così se sapevate che desiderava assistere alle prove; credete, buona figlia di Dio, che è sempre meglio abbondare in atti di ossequio e di dipendenza. Intanto, oltre che vi sareste fatto qualche merito davanti a Dio, avreste evitata questa situazione che, se spiace a voi, fa pena anche a me, impedisce del bene e fa del male. Cosa si guadagna? San Francesco d’Assisi aveva tanta umiltà verso i sacerdoti: impariamo dai Santi! IV Non avrei dispiacere se sapessi che, insieme a qualche vostra consorella, foste andata a chiedergli scusa all’Arciprete, ma proprio con quella umiltà e devozione sincera, come si farebbe in punto di morte (Scr. 39,109).
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Ah io, servo e schiavo dei servi di Gesù Cristo e della s. chiesa di Dio, scrivo a tutte e a ciascuna di voi, o figlie della Divina Provvidenza, e scrivo a voi nel prezioso sangue di nostro Signore per supplicarvi ad avere più amore di carità verso l’anima vostra e verso la vostra Congregazione, e ad ardere di più di amore di Dio, e ad accendere la vostra lampada ogni dì più di divino fuoco di carità, alimentando la vostra vita di umiltà, di umiltà, di umiltà e di umile e sincera pietà, che non stia solo nelle formule materiali, buone anch’esse, ma che non sono la pietà; badate che altro è la pietà solida, altro le pratiche di pietà: queste sono mezzo, non fine Ma insisto, sopra tutto, sull’umiltà: l’umiltà è la prima lettera dell’alfabeto religioso e anzi cristiano, alfabeto che tutti dobbiamo imparare. L’umiltà è il fondamento e la base di tutto. L’umiltà non solo è la prima lettera dell’alfabeto della virtù e della perfezione, ma è tutto l’alfabeto: tutto sta lì. Senza umiltà non s’imparerà mai a leggere bene il libro delle virtù e della vera vita secondo Gesù Cristo. Bisogna che riteniamo bene a mente ciascuno di noi che noi siamo i maggiori peccatori e la più vile cosa del mondo, e che ciascuno ami veracemente di essere tenuto per roba da nulla e da tutti ignorato e tenuto in bassissima stima e disprezzato e avuto a vile. E questa sommissione d’animo dobbiamo avere in noi, e sempre desiderare d’essere reputato nulla. Ma quando in una Congregazione s’incomincia a fare delle questioni perché si è o non si è chiamata madre, e se ne fa da alcune un cavallo di sorda guerra e fin di divisione, allora ritenete bene, o figlie della Divina Provvidenza, che molto molto c’è da pregare e da piangere, perché in quelle che così operano non c’è nulla di quanto è di assoluta necessità per essere religiose non di velo, non di apparenza, ma di sostanza, di vita e di virtù. E di quella roba che si chiama Santità non c’è nulla proprio nulla, eccetto che un po’ di velo e di finzione (Scr. 50,159–160).
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Il mezzo più efficace di riuscire nelle nostre opere, di aiutarle e farle prosperare è sempre quello di pregare con umiltà e fervore, e di supplicare Dio a benedire le nostre fatiche. Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. La umiltà e obbedienza nel lavoro, la vita intemerata, la rettitudine d’intenzione e la preghiera fervorosa e costante saranno sempre i grandi mezzi per ottenere il sigillo di Dio sulle nostre fatiche. Che Gesù si degni di benedire tutti i vostri passi e renda santamente efficace e fruttuoso il vostro sacro ministero! (Scr. 52,114).
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Ci ritroveremo tutti in Paradiso se pregheremo molto: se saremo umili e puri; se rinnegheremo noi stessi e seguiremo Gesù Cristo crocifisso, ogni giorno portando la nostra croce: se vivremo nella santa povertà religiosa, e vivremo e morremo da figli umili e fedeli della s. chiesa di Roma e del Papa (Scr. 52,140).
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E poiché Gesù, anzi tutto, umiliò sé stesso nella povertà della sua nascita, della sua vita e della sua morte: semper humiliavit semetipsum, così il Noviziato deve essere, o miei cari, un esercizio continuo di umiliarci, incessantemente umiliarci in tutto, fino a rendere il nostro cuore dolce e maneggevole e atto a ogni bene. Dobbiamo rinnegare incessantemente noi stessi, il nostro amor proprio, come ha detto il Divino Maestro: qui vult venire post me, abneget semetipsum. Dobbiamo staccare l’anima nostra da tutto e da tutti, staccare l’anima fin da sé stessa, perché solo viva di Gesù Cristo. A questo desideratissimo stato, o miei cari Novizi, non si arriva se non passando per il fuoco della tentazione, quindi vi raccomando di pregare, e con il fervore più ardente, nella semplicità e nella pace, con grande confidenza e apertura di cuore con il maestro di Noviziato (Scr. 52,157).
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Eviterete le comodità che procurano il rilassamento dello spirito religioso, e farete penitenza, e cercherete di umiliare e rinnegare continuamente voi stesse, e di diventare gli stracci della casa, e di tutte le altre vostre consorelle. E vi amerete fra di voi senza eccezione, come fanno in Paradiso gli Angeli di Dio, e vi compatirete, e vi darete ogni buon esempio di fraterna carità in Gesù Cristo Crocifisso. E per tutto questo pregate il Signore, e statevene in pace in Domino, quanto piace a Lui e alla Santa Chiesa tutto sarà e sarà in Domino; ciò che preme ed è anzi necessario, è avere l’abito nuziale, di cui si parla nel Santo Vangelo, senza del quale non si può piacere a Dio, né avere parte nella vita eterna (Scr. 67,187).
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Noi siamo degli e per gli umili: noi fummo elevati dalla Chiesa di Cristo, e, Deo adiuvante, noi vogliamo elevare gli umili con la fede e l’amore a Cristo e alla sua Chiesa: noi pendiamo nel nostro indirizzo, nel nostro pensiero, nella nostra vita, noi pendiamo e penderemo dalle mani della Chiesa di Cristo, del Papa e dei Vescovi (Scr. 79,300).
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È sulla parola di Gesù e nella confidenza in Gesù, è nella preghiera umile, che ci unisce a Gesù, che noi dobbiamo gettare le nostre reti per la pesca delle anime. Il cuore dell’uomo sta nelle mani di Dio e il cuore di Dio sta nelle mani del Sacerdote che lo ama e lo prega. E poi andare con umiltà e santa semplicità. L’umiltà è quella che ci fa voler bene dai popoli, è quella che guadagna e tira i nostri cari fratelli peccatori, siano pure alteri e da molti anni che ci guardano per traverso – è la virtù che ci apre i cuori e ci fa disporre dei popoli a nostro grado. L’umiltà è tutto e Dio benedice i missionari che vanno nei paesi pregando e pieni di umile confidenza nel Signore (Scr. 89,155).
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Onoriamo Maria, deponendo l’orgoglio, e vivendo in umiltà grande: Maria fu tanto umile! Chi conosce bene sé stesso diventa vile agli occhi propri, né si compiace delle umane lodi. Onoriamo Maria! e stacchiamo il nostro cuore dai beni di questa misera terra, ché, quaggiù, ogni cosa è vanità, e le ricchezze caduche e il fumo degli onori e le voglie dei sensi: tutto è disinganno! (Scr. 106,98).
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Amare le anime, voler salvare le anime, aiutar Gesù a salvare le nostre anime e le anime dei nostri fratelli, con rinnegamento di noi, con ogni sacrificio, con tutto il sacrificio di no, come ostie pure di Gesù, come agnelli di Gesù, dietro a Gesù e tutto per Gesù. – E amare la Piccola Opera della divina Provvidenza, che non è mia, ma è misericordia di N. Signore e opera della nostra Congregazione con magnanimità, vivendo umili, poveri, sempre umili e sempre poveri e sempre piccoli ai piedi della Santa Chiesa, del Papa, dei Vescovi! Coraggio! E avanti così, cari miei figli: così si arriva al santo Paradiso. Domani, sapete: coraggio e avanti e domani c’è per me e per voi il santo Paradiso (Scr. 117,96).
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A Voi, miei figli, raccomando spirito grande di umiltà, di fede, di carità, di sacrificio: sia in tutti una gara a faticare, ad essere i facchini di Dio, i facchini della carità. Solo con la carità di Gesù Cristo si salverà il mondo! Col divino aiuto, dobbiamo riempire di carità e di pace i solchi che dividono gli uomini, pieni di egoismo e di odio. Lavoriamo e sacrifichiamoci in umiltà, a gloria di Dio! Soli Deo honor et gloria! Regni sempre tra di Voi la bella soavissima unione e concordia che ha fatto ognora di noi un cuor solo e un’anima sola, ai piedi della Chiesa (Scr. 119,94).
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Pur avendo un’anima sola, un’unità di governo e d’indirizzo, l’Opera svolge attività diverse secondo la diverse necessità degli umili e le nazioni diverse dove la mano della Div. Provvidenza la va trapiantando: essa attua in cento modi il suo apostolato pur di amare Cristo e la nostra civiltà negli strati più umili della società. Suo anelito è la diffusione evangelica d’un sempre più grande e alto spirito di fede e di carità, che salvi ed elevi sotto ogni riguardo le moltitudini degli umili, le edifichi ed unifichi in Cristo, ai piedi della Chiesa (Scr. 121,188).
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Nostra divisa sia la umiltà e la carità: è la divisa di Gesù Cristo, della SS.ma Vergine e della Santa Chiesa: sia la nostra divisa e sia quella umiltà verace, unica, vera, quella carità verace, unica, vera, che unificano sempre e sempre edificano in Gesù Cristo, e sul vero fondamento, cioè sul Cuore e sulla Croce di Gesù e ai piedi della Santa Madre Chiesa (Lett. II,235).
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La superbia, che troppo spesso si nasconde sotto il manto dell’umiltà, penetra dappertutto, s’infiltra e guasta ogni cosa. È questa una passione da combattere a viso aperto, facendoci umili. L’umiltà vince tutto; e, più ci umilieremo, più ci abbasseremo, più Gesù si avvicinerà a noi. La religiosa, specialmente, deve fare uno studio speciale per essere umile; perché la vita religiosa senza l’umiltà non è che finzione. La Santissima Vergine visse sempre nascosta, soprattutto quando il mettersi in mostra insieme con Gesù avrebbe potuto meritarle lodi e onori; e allorché nostro Signore faceva miracoli ed era portato in trionfo dalle turbe che lo acclamavano per Re. La Madonna invece si mostrò bene quando, segnata a dito, la chiamavano Madre di un impostore, di un malfattore, e, sul Calvario, Madre di un giustiziato. E Gesù, anche in quel terribile momento, provò la umiltà della Madonna, come fece altre volte; per esempio al Tempio fra i Dottori, quando Le disse: non sapevate che io devo interessarmi delle cose del mio Padre; e alle nozze di Cana, quando uscì in questa frase: “Donna, che ho io a fare con te?” Da Maria otterremo l’umiltà; Essa che fu l’umile fra gli umili (Par. I,5).
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Senza dolcezza, senza vera umiltà non ci può essere vera virtù ed è impossibile santificare l’anima nostra. Pregate la Madonna perché vi insegni ad essere umili, dolci, miti, ad essere veramente umili, umili; l’umiltà è la base, è il fondamento di ogni altra virtù. La Santa Vergine, nel sublime cantico del Magnificat, esaltando la grandezza, la magnificenza del Signore, dice pure: Quia respexit humilitatem ancillae suae...; per questo tutte le generazioni mi chiameranno beata! nostro Signore ama gli umili, e ad essi si manifesta. Egli guarda soltanto l’umiltà, non la scienza, la ricchezza, l’ingegno, l’abilità nel lavoro. Buone figliole del Signore, ve ne prego: chiedete questa virtù tanto necessaria alla vita religiosa: la dolcezza: l’umiltà negli atti, nelle parole, cercate di riparare, di addolcire qualche scatto, qualche frase che può sfuggirvi e addolorare gli altri (Par. I,40).
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Buone figliole del Signore, fate profitto di questi santi giorni, di questi giorni di salute, e convincetevi che, più farete silenzio, più pregherete semplicemente con spirito di umiltà – umiltà di cuore, – e più profitterete per l’anima vostra. Non vi mettete in angustia per i vostri peccati; pensateci con calma, con umiltà, ma in pace, e non state a pensare a quel che è o che non è; non vi imbrogliate la testa, a furia di pensare; non vi lambiccate il cervello, non vi stancate, ma con vero spirito di umiltà e di grande dolore, confessate i vostri peccati, gettandoli nel Cuore di nostro Signore. E che questi Santi Esercizi segnino il principio di una vita tutta di Dio (Par. I,163).
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Vivete nell’umiltà, vivete nella carità, vivete nell’umiltà, vivete nella carità, vivete nell’unione. Tutte quelle che tentano di inorgoglirvi, e di non farvi rimanere nella calma, nella pace, nella umiltà, ma ogni tanto sono sempre in tempesta o, se non l’hanno, la vanno a cercare, attente da costoro! Sono avvertimenti che vi do per vostra norma e non se ne parli, perché il parlarne può fare del male. Ve l’ho detto per mio dovere, ma non vi parlo per malanimo, ma con grande dolore. Non si poteva andare avanti così, e sono mesi e mesi che vado cercando qualche cambiamento nell’animo di qualcuna con il dire: umiltà, carità, umiltà, carità (Par. II,121h).
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Siate umili, siate umili, siate umili! L’umiltà, la pietà, la devozione, la povertà, la purezza sono le basi della vostra Congregazione. Umiltà, umiltà! E se avete l’umiltà avete anche l’obbedienza. Chi è che non è obbediente? È colei che è piena di amor proprio, è colei che vuol far prevalere il suo parere! Chi è umile è nella verità; io non ho niente; io parlo e la parola e dono di Dio; tutto quello che abbiamo e dono di Dio; doni naturali, doni di grazia, tutto di Dio; quindi l’umiltà, è verità. Tutto quello che hai, dice San Paolo, te l’ha dato Dio; e perché ti insuperbisci? L’umiltà è base di tutto, l’umiltà è base di tutto (Par. II,210–211).
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Figlioli, la santa umiltà: questa è necessaria e questa giova al vero onore e alla vera stima. Senza umiltà non si fanno passi verso Dio, né si piace a Dio, né tanto meno agli uomini. Dire di uno: È un superbo: che terribile parola! Bisogna rinunciare a sé stessi. L’umiltà deve essere sincera; dobbiamo comprendere, studiare la nostra pochezza; l’umiltà affettata invece è superbia più fine (Par. V,222).
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Quale è la base della santità? La base della santità è l’umiltà. La Vergine Santissima sciolse un inno di gloria quando, attraverso le montagne della Galilea, giunse alla casa di Santa Elisabetta e questa, stupita che la Madre di Dio fosse venuta a vederla, uscì nelle belle parole: “Donde a me tanta grazia che la Madre del mio Signore venga sotto il mio tetto?” È allora che la Madonna spiegò, nell’inno di lode, perché Dio la scelse: “Quia respexit humilitatem...”. E affinché nessuno avesse a sbagliare, volle scegliere uomini di umili condizioni per la conversione del mondo; uomini di cervello tardo, dalle mani incallite; non si circondò di dottori della Legge, di Filosofi. Ma tutto ci è di esempio di umiltà: umiltà nella nascita, umiltà nella vita, umiltà nella morte. Quanti esempi! Umiltà nello scegliersi la Madre, la scelse perché fu umile; umiltà nello scegliere i discepoli. Poteva nascere in una città grande come Roma o Ninive o Babilonia che allora erano in pieno splendore. Ma no! La migliore base della santità è l’umiltà. Sant’Agostino, lo sapete, dice: “Se vuoi alzare alto l’edificio della tua perfezione, pensa a gettar profondo il fondamento dell’umiltà”. Sant’Ambrogio dice: “Radix omnium malorum superbia”. San Carlo, il grande San Carlo, cancella dal blasone della famiglia patrizia, tutto ciò che sa di potenza e vi scrive: “Umiltà”. Oggi lo stemma ricorda l’umiltà grande di San Carlo; famiglia illustre, quella dei Borromeo, imparentata con quella di Pio IV. Sapete che Pio IV era zio di San Carlo. Come la superbia fu la fonte del primo peccato, così l’umiltà rimediò ad esso. Dio dà la sua grazia agli umili e resiste ai superbi. L’umiltà oggi è il trofeo della santità. Rifulge immortale e dà frutti grandiosi. L’umiltà non è solo virtù dei cristiani, ma, portata nella società civile, addolcisce e stringe in dolci vincoli gli uomini. L’umiltà non è altro che verità: la conoscenza del nostro niente. Conosciamo la nostra miseria e la grazia che il buon Dio ci dà (Par. V,272).
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L’obbedienza è figlia dell’umiltà; per questo Gesù si fece obbediente fino alla croce. La croce era a quei tempi, la morte più infame. Come è umile e obbediente Gesù che viene nell’Ostia, nelle mani dei Sacerdoti; e spesso nel sacrario resta solo, senza compagnia. La grande umiltà di nostro Signore Gesù Cristo! Sant’Agostino – lo sappiamo – dice che il fondamento della perfezione è l’umiltà. Se vuoi innalzare un edificio pensa a fare un fondamento di umiltà profondo perché sia in proporzione con l’edificio; la base granitica, inconcussa, è l’umiltà, e l’umiltà soda. Per carità non stare alla vernice, non stare all’apparenza, ma alla sostanza. L’umiltà abbia profonde radici! Altro è l’umiltà, altro è l’avvilimento: questo è frutto d’orgoglio. L’Arcivescovo alla benedizione del Cottolengo s’inginocchiò ai piedi di Don Orione perché lo benedicesse prima di benedire il Cottolengo. Gesù ci dice: imparate da me che sono mite e umile di cuore! Ecco dove dobbiamo attingere la virtù dell’umiltà; virtù basilare e granitica della vita religiosa. Tutta la vita di Gesù, dalla nascita alla morte di croce, è umiltà: “Ama nesciri et pro nihilo reputari”. I trenta anni della vita di Nazareth non sono che trent’anni di umiltà. E fu così umile fino ad essere sepolto poi in un sepolcro non suo. Povertà e umiltà! (Par. VI,276).
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Come la virtù dell’umiltà è la base e il fondamento della perfezione – e il grande San Carlo Borromeo, del quale si celebra ora il IV centenario cancellò nel suo stemma, nello stemma dei Borromei, tutto quello che poteva sapere di vanità e di grandezza e vi scrisse sopra Humilitas. e così noi, cari i miei chierici, dobbiamo dar lode a Dio e poi raccoglierci subito in un sentimento profondo di umiltà; e specialmente voi, o cari figlioli, pei quali oggi è suonata l’ora della letizia, dovete unirvi a me con un atto e un vivo sentimento di umiltà. Sappiamo, del resto, che tutto l’edificio della perfezione si edifica sulla umiltà; così le azioni vostre, e il vostro avvenire, devono fondarsi sulla umiltà. “Discite a me quia mitis sum et humilis corde. Se volete – come è certo – che la grazia del Signore, che lo Spirito Santo nella prossima ordinazione scenda copioso su voi, vogliate non inorgoglirvi, non gonfiarvi come vanesi, in senso di vanità e di vanagloria, ma diamo grazie a Dio, in una grande umiltà di cuore! Questo spirito di umiltà deve basarsi sulla conoscenza piena del nostro io (Par. IX,412).
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Quello che io e voi dobbiamo fare incessantemente, o cari chierici, è di cercare di avere la umiltà e di approfondirsi in questa virtù, che si può ben chiamare la virtù delle virtù, la virtù che conserva le altre e senza la quale le altre virtù non avrebbero base ond’è che Sant’Agostino, interrogato quale fosse la prima virtù, rispose: la umiltà; interrogato la seconda volta e la terza, rispose sempre: l’umiltà; e, se avessero continuato, avrebbe risposto ancora e sempre: l’umiltà, che è la base di tutte le virtù e oserei dire, la madre di tutte le virtù. Il demonio, nemico mortale delle anime, fa di tutto per gettare nei cuori la superbia, l’orgoglio; egli, che per l’orgoglio venne cacciato dal cielo al grido di Michele: Quis ut Deus? Quindi, giunti a metà mese di maggio mi è parso bene stasera, nel darvi la Buona Notte, fermare il mio e vostro pensiero sulla virtù dell’umiltà (Par. X,184).
Vedi anche: Mansuetudine, Modestia, Mortificazione, Sincerità, Straccio (spiritualità dello).
Unione con Dio
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E pregate umilmente il Signore che vi dia spirito di umiltà, di preghiera, di unione con Dio e di carità fraterna; e in questi giorni dite con me: «Cibami, o Signore, con il pane delle lacrime, e dammi bevanda di lacrime in mensura magna, in grande abbondanza (Scr. 39,47).
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Dio ci vuole tutti, e non per metà: e ogni cosa che sappia di carne e di sangue, vale per iscemare la nostra carità e unione con Dio. Tu, o figliuol mio, devi lasciare, per ora, ogni pensiero di andare a Sanremo, e anche ogni pensiero d’interesse temporale, per essere tutto di Dio. E devi convertire gli affetti naturali verso la tua mamma e fratelli in affetti soprannaturali e spirituali (Scr. 42,235).
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Ravvivatevi, o miei figlioli, nella pietà: ravviviamo la vita interiore delle anime nostre, e rendiamoci più intima, sempre più intima la nostra unione con Dio, nostro celeste padre, e con Gesù Cristo, Dio nostro e Salvatore nostro dolcissimo. Guai il giorno in cui ci lasciassimo svigorire per trascuratezza, per accidia, per dissipazione o anche solo per sregolata effusione di noi stessi nelle cose esteriori, guai, se ci lasciassimo svigorire nella pietà e nello spirito della vocazione. Che il Signore ci guardi da tanta rovina. Ma egli ravvivi in noi la vita del suo Spirito Santo, e veramente ci faccia oggi e sempre tutti un cuor solo, e un’anima sola con lui, tutti uniti nei pensieri negli affetti, nelle opere: tutti ferventi e affuocati nel suo santo amore come dice l’epistola della Messa di oggi,: in Charitate radicati et fundati. Eph. III Vivificati così nella carità, cioè nell’amore santo di Dio, dei fratelli di Congregazione e del prossimo, uniti nell’amore e nella unione con Gesù Cristo e con la sua santa chiesa, ci faccia Dio attenti e pronti a vedere con gli occhi illuminati del cuore tutto il bene che dobbiamo fare e che Dio vuole da noi e facciamolo (Scr. 52,108).
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I neque calidi neque frigidi Gesù disse che li vomita dalla sua bocca – lo spirito di pietà fa sì che mai sia interrotta la nostra unione con Dio – conformità a Gesù Cristo uniformità alla volontà di Dio – l’anima diviene realmente tutta cosa di Dio. Senza spirito di pietà – non si danno veri frutti di vita eterna né si fanno passi nella vita di perfezione cristiana – si vive con polvere mondana, si è esposti a mille tentazioni (Scr. 55,190).
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Riposo morale è silenzio e silenzio religioso è per lo spirito preghiera, adorazione unione con Dio. La preghiera è la vita dell’anima, e riposo per lo spirito e per l’anima è la preghiera. La preghiera è la vita dell’anima, vita spirituale, vita intellettuale e buona, che si raccoglie e si ritempra alla sorgente che è Dio. Il riposo, morale e intellettuale, è un tempo di comunione con Dio e con le anime, e di gioia in questa comunione. Noi alla sera siamo naturalmente portati a levare lo sguardo e lo spirito verso il cielo. Noi dobbiamo far parlare il silenzio. Consacriamo altamente a Dio la sera, come il mattino. Consacriamo il riposo, il silenzio della sera alla conoscenza di noi, all’amore di Dio e delle anime con la preghiera: mettiamo la nostra anima in comunione con Dio: sia un silenzio riparatore che risarcisca Dio e raddoppi la forza e la fecondità del lavoro per la giornata che viene. Noi raccogliamo e portiamo ai piedi di Dio quello che nel giorno abbiamo seminato (Scr. 55,218).
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Unione con Dio e lavoro indefesso. Il lavoro non deve essere che il risultato naturale dell’unione e dell’amore a Dio, secondo la nota sentenza: probatio amoris exhibitio est operis. L’unione si effettua per mezzo della carità che, secondo San Paolo, è il vincolo della perfezione: charitas vinculum perfectionis. Qui manet in charitate in Deo manet et Deus in illo (Scr. 79,316).
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Tutto il nostro sistema di vita religiosa si compendia in queste poche parole: unione con Dio e lavoro indefesso. La nostra vita deve essere una giornata di santa fatica, a gloria di Dio, e a santificazione nostra e a bene dei nostri fratelli, specialmente più abbandonati! Unione con Dio e lavoro indefesso, che devono essere la prova più tangibile più evidente del nostro amore a Dio (Par. V,304).
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Qual è il segreto per riuscire nell’apostolato dell’educazione cristiana, nel campo della carità cristiana? Ve lo insegnerò in queste sere il segreto. Questo segreto è: l’unione con Dio, vivere con Dio, in Dio, uniti a Dio, avere sempre lo spirito elevato a Dio. In altre parole, è l’orazione intensa secondo la definizione di San Tommaso: essa è il grande segreto! San Tommaso definisce l’orazione “elevatio mentis in Deum: l’orazione è elevazione della nostra mente a Dio. L’orazione è il grande mezzo per riuscire in tutto quel che spetta alla nostra vita religiosa; l’orazione è la grande forza che tutto vince, il grande mezzo per riuscire quoad nos et quoad alios, per perfezionare noi stessi e per diffondere il bene nelle anime altrui. L’unione della nostra anima, del nostro spirito a Dio è il grande mezzo per riuscire, per impreziosire tutte le nostre azioni! Tutto quello che si fa si trasforma così, in oro, perché tutto si fa per la gloria di Dio e tutto diventa orazione (Par. VII,57).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Esercizi spirituali, Fede, Preghiera.
Università popolare
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Chi sa portare per l’amore di Dio benedetto la croce che gli viene e le tribolazioni fraterne che il Signore permette a nostra purificazione e umiliazione da quest’ultima forma di bene, avrà pure scritto la sua opera buona in Cielo. Ora, cari miei, il bene dell’Università Popolare è questo o di quest’ultimo genere, caviamone alimento di vita spirituale per noi, per i nostri, e per questa e per la vita eterna (Scr. 31,82).
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Ho qui l’università popolare, da tre anni: va bene e si fa del bene. Avrei urgente bisogno di un conferenziere di nome, ma borghese. I due ultimi conferenzieri furono preti don Benedetto Galbiati e il prof. Berri, bravi tutti e due, ma per gli occhi di un certo pubblico ora mi ci vuole un secolare. Doveva venire Fradeletto, che conosco, ma si è ammalato, verrà Arcari, ma più in là, entro maggio. Avrei urgenza possibilmente entro sei o sette giorni. Sia chi vuole, svolga che tema vuole, purché non stoni né con la fede né con il governo nazionale (Scr. 38,211).
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Il Prof.r don Galbiati, dell’Opera Cardinal Ferrari di Milano giovedì, 21 corr., alle ore venti e trenta, terrà l’attesa conferenza su «Pascoli» e avrà così inizio l’Università Popolare in Tortona. Per la circostanza la Banda del Reggimento, gentilmente concessa dal sig. Colonnello Manenti, eseguirà pezzi della Passione di Cristo del nostro Lorenzo Perosi, poi la Rapsodia Ungherese di Litz e l’Inno al Sole di Mascagni. Iris sotto la direzione del maestro della Banda stessa. La settimana dopo, in giorno ed ora da stabilirsi, e che verrà pubblicato « sul nostro giornale, il Prof.r Vittorio Bozzola terrà una Conferenza su Paolo Giacometti, poeta di Novi–Ligure, autore di pregiatissime opere drammatiche. Ad impedire la ressa per l’inaugurazione occorre produrre uno speciale biglietto che potrà ritirarsi presso il sig. Basanetti, il negozio Giuseppe Riccardi, tipografia Salvatore Rossi. Possiamo assicurare che saranno ore di alto godimento intellettuale. I tortonesi che salutarono con entusiasmo il sorgere anche tra noi dell’Università Popolare, vogliano con slancio praticamente rendersi benemeriti della cultura cittadina iscrivendosi a soci o a promotori della moderna istituzione. Verrà considerato socio chi fa una offerta annua non inferiore a L.10; avrà poi il nome suo pubblicato sull’albo dei promotori dell’università Popolare chi concorrerà con maggior somma. Si iscrivono anche signore e signorine. Tanto i soci che i promotori riceveranno speciale invito ad ogni conferenza ed avranno diritto ad un posto assicurato e distinto. Come si usa in altre città si gradiscono offerte a sopperire le spese (Scr. 53,70).
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L’Università Popolare, che si onora di avere la signoria vostra nell’albo dei suoi soci benemeriti, è lieta oggi di portare a sua conoscenza che venerdì 12 corr., alle ore 20,30 ha promossa una speciale conferenza, consacrata a rendere omaggio al nostro Re, nel XXV Anniversario di assunzione al trono. Abbiamo sentito di interpretare il sentimento unanime dei soci dell’Università Popolare e della cittadinanza tortonese invitando padre Semeria. Presenzieranno le autorità: la stampa, i capi istituti e tutte le associazioni cittadine con vessilli. Prevedendo che, per la circostanza, l’aula del Collegio Dante sarebbe stata insufficiente, la conferenza sarà tenuta in teatro. L’ingresso sarà libero a tutti. Non cortigiani, ma cittadini liberi, uniamoci tutti in un libero omaggio di devozione al Capo dello Stato. Davanti a questa alta celebrazione cessi la confusione delle lingue: noi onoriamo nel Re l’unità vivente della Patria (Scr. 58,198).
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L’università Popolare di Tortona che si è proposta il compiti di modestamente concorrere a riedificare nel popolo, e sul vecchio mondo crollato manu militari, il mondo nuovo alle grandi visioni della fede, della civiltà, della libertà nel culto della Patria, celebra sabato 24 maggio (ore 21) l’Anniversaria dichiarazione della nostra Guerra Liberatrice. Il Profr. Riccardo Picozzi di Milano, l’incomparabile dicitore, leggerà alcune Liriche del nostro Poeta Vittorio Malpassuti, Patrizio Tortonese. Il Trattenimento non oltrepasserà l’ora di prammatica: le poesie sono quasi tutte brevi. Il giovane Conte Vittorio Malpassuti è poeta lirico d’indiscusso valore (Scr. 72,26).
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L’Università Popolare ha il nobile scopo di istruire ed elevare il popolo. Far risplendere alla mente del popolo la bellezza della verità della virtù, del sapere: e nel nome di Dio educare all’Italia dei cittadini di cui abbia onorarsi facciamo risplendere alla mente del popolo la bellezza della verità, della virtù, del sapere, e avremo fatto una buona azione e reso un buon servizio Università Popolare a Tortona Nel magnifico Salone dell’Istituto Dante, convenientemente prolungato e reso si apre a Tortona l’Università Popolare. Inizierà il ciclo delle Conferenze il Prof.r G Don Galbiati di Milano, che non ha bisogno d’essere presentato ai Tortonesi. La prima Conferenza è su Pascoli (Scr. 92,238).
Vedi anche: Apostolato, Filosofia, Scienza, Studio.
Urbanità
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Voi trattate coi parenti con urbanità, e quando dovete scrivere valetevi di Don Cribellati – anche questa non è un’offesa. Voi non avete avuto modo di studiare molto italiano e vi sfugge qualche farfallone che farebbe un po’ meraviglia in un V. Rettore di Collegio (Scr. 2,8).
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Cercate di dare voi buon esempio, e di risplendere per compitezza e per finezza di tatto e di urbanità e gentilezza di modi, e poi vedrete che i nostri Chierici si formeranno guardando a voi e sopra di voi. Codesta è la casa ed è l’ora della formazione in tutto (Scr. 2,140).
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La pietà vera non esclude affatto affatto la educazione e l’urbanità dei modi. Ci deve essere nei nostri una disciplina e un contegno religioso che, finora, non c’è. Perdonami, ma penso che tu stesso, in fondo alla tua anima, sentirai tutta questa verità: a noi mancano molte e molte cose, ma anche ci manca una maggiore formazione di coscienza religiosa, specialmente nei Chierici, e manca quel senso di disciplina e quel contegno religioso, quell’educazione necessaria che si vede, ad esempio, nei Chierici – borghesi del Seminario di Treviso, i quali poi sono cresciuti pel Clero secolare (Scr. 2,235).
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Vedi, noi siamo venuti su un po’ alla buona, siamo quasi tutti figli di umili famiglie, ma siamo chiamati a vivere in una società che in 25 anni ha fatto passi da gigante, come fu il trapasso dal governo Facta a Mussolini. Ricercatezze no, ma civiltà, urbanità educazione sì sì sì! Se giraste un po’ il mondo, vedreste! Si è già tollerati, tanto più quando si è ineducati. Mi raccomando dunque, ma tanto tanto! Fallo per l’amore di Dio. E poi noi siamo chiamati ad essere educatori; come faremo se non l’abbiamo noi l’educazione? (Scr. 2,243).
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Per essere buoni e santi Religiosi non si deve essere sporchi né grossolani, né, peggio, villani! Il Card. Newman, tra gli ostacoli al propagarsi in Inghilterra del Cattolicesimo, ha posto la inurbanità e poca pulizia del Clero cattolico (Scr. 2,266).
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Tutto ciò, vedete che può toccare la suscettibilità già sensibilissima dei veneziani o delle popolazioni tra cui si è, evitatelo ad ogni costo. Ve ne prego, e ve ne scongiuro per l’amore delle anime e per l’amore di Gesù Cristo, che ci ha mandati affinché non allontaniamo la gente da noi, ma perché noi la tiriamo per darla a Lui – Sono modi non atti a fare del bene, e niente secondo la santa politica dei Santi, sono anzi alquanto contro l’urbanità, se pur non contrari alla carità di N. Signore. Come volete che la gente ci si affezioni, se sente che critichiamo i loro usi o la loro città? (Scr. 20,93).
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Vedi, riservatamente, dico a te, figlio mio: se un nostro confratello, che è dei più anziani e sta a Roma, avesse più modi, altri modi più trattabili e urbani e sacerdotali, quanto bene ne verrebbe alle anime, e con quanto amore e slancio lavorerebbero di più i fratelli sacerdoti che devono stargli attorno! Invece chi cerca di andare di qua e chi di là perché non c’è quello spirito di fraterno aiuto e di conforto che leghi tutti in uno e che sappia animare tutti! Dio mio, che pena! (Scr. 22,121).
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Tu hai tante e tante belle doti, ma dovrai prendere modi più urbani, più civili, e parlare meno, meno, meno. Non ti offendere, perché è mio dovere avvertirti e sono il tuo aff.mo padre in G. Cristo, che ti amo assai assai assai in Domino (Scr. 23,64).
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Fraternamente non tralasciate mai di far capire ai nostri che usino sempre modi non solo urbani, ma sacerdotali, perché gira per Roma la voce che si è sgarbati, e ciò fa veramente del male al buon nome della Congregazione (Scr. 24,145).
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Usa quella dolcezza e carità che San Bernardo usava con i suoi fratelli, e imita S. Francesco di Sales. Non parlare mai di te; fuggi lo spirito di vanità, come lo spirito di padronanza e di amarezza. L’asprezza e inurbanità dei modi guasterebbe l’opera del Signore che ti affido. Nulla potrà resistere alla amabilità e alla tua umiltà. Non farla mai da maestro, ma sii delicato e discreto con tutti. La prudenza non sarà mai troppa, e chiedila al Signore in tutte le tue preghiere (Scr. 34,188).
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Quando dovrete pur dare qualche castigo il vostro animo sia sempre elevato, e non abbia niuna apparenza di perturbazione, ma fate vedere il dispiacere che avete di dovere, di essere obbligati – vostro malgrado – a dover castigare. E le punizioni siano date con parole e modi urbani, che vi acquistino l’affetto e la stima, e non vi alienino mai l’animo né di chi è punito, né dei suoi parenti, né di chi vi vede punire (Scr. 51,29).
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In modo speciale vi raccomando la mansuetudine e l’affabilità: quella mitiga l’impeto dell’ira, con la quale niuna cosa può farsi diretta e considerata: questa vi spoglia delle abitudini rozze, aspre, inurbane e vi riveste di maniere cortesi, dolci e, vorrei dire, signorili, senza affettazione. La mansuetudine non deve degenerare in debolezza, l’affabilità in cortigianeria. Medio tutissimus ibis la virtù rifugge dall’eccesso e dal difetto. Vi guarderete pertanto dal pronunziare parole villane o pungenti o derisorie o non bene ponderate: da modi frettolosi e duri: non userete p. e. nel collocare un fanciullo in questo o in quel luogo, anche nell’urgenza, modi che possono avere apparenza di violenza: non cedete alla tentazione di menare, su certi casi d’ostinazione di un fanciullo, le mani, differite il rimprovero e più il castigo in caso di mancanze, se voi siete adirati o è adirato il colpevole (Scr. 62,9).
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Dovete essere urbani; non essere così grossolani, ineducati. Ieri, ad esempio, mentre entravate in fila, usciva un Sacerdote che io avevo accompagnato in parlatorio, e non tutti vi siete levati il cappello. Alla fine dei conti era un Sacerdote e dovevate salutarlo. Come se l’urbanità non esistesse per quelli di umili natali! (Par. V,254).
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Non è vero che per essere educati non si è pii. Voi, al vostro Paese avrete conosciuto alcuni di vera pietà e anche bene educati. Dove non c’è pietà non c’è vera urbanità. Cari miei Chierici vi raccomando di coltivare di più l’educazione e la buona educazione (Par. V,255).
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Gli Inglesi si sono fermati, le conversioni degli Inglesi si sono fermate, perché i Preti cattolici sono poco educati, non sono così urbani; perché i Preti venuti dal Continente non sanno vivere all’inglese, vogliono restare italiani se italiani; francesi se francesi... Non sono sufficientemente gentili e non sanno prendere l’Inglese per il suo verso; portano forme grossolane, non sanno vivere all’inglese, accettare i costumi inglesi; perché non sanno farsi inglesi e perché sono poco educati, per questo gli Inglesi non si convertono... E poi va avanti e fa un alto elogio dei Pallottini e dei Rosminiani i quali si adattarono ai costumi inglesi e sanno il galateo e allora gli Inglesi si convertirono e accettarono il Cattolicesimo. Che dovere abbiamo di essere educati, di non essere rustici, rudi, di praticare l’urbanità... Ma prima di insegnarla agli altri dobbiamo praticarla noi stessi nei nostri modi di vivere, nelle nostre azioni e opere: Nemo dat quod non habet, lo sappiamo... Monsignor Della Casa scrisse – come imparate a scuola – le regole della buona creanza. Anche la Congregazione ha dato alle stampe due manuali di urbanità, di buona creanza: uno per tutti e uno per gli assistenti. Tanto si sentiva il bisogno che i nostri alunni fossero educati! (Par. VII,117).
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Vorrei raccomandarvi più urbanità, più educazione! Non vi offendete: io e voi in genere, siamo tutti figliuoli di famiglie umili e povere. Di umili famiglie, non che le nostre madri e i nostri padri non ci abbiano dato l’educazione; ma insomma, non si ha mai quell’educazione, quella finezza di modi che di solito hanno quelli che vengono da famiglie di condizione un po’ più civile. E fa tanto male il non essere educati sufficientemente, se si è sacerdoti! Quanto si può fare con l’urbanità, col buon tratto, con molta educazione! Non dico di essere di quelli che passano dall’altro lato. Niente esagerazione! Don Bosco era così educato! Don Bosco era così educato! Il sacerdote educato è sempre gradito! È sempre accolto bene, s’impone sempre. Molte volte quando non vi è sufficiente educazione si fa del male anche alla Chiesa e ne perde anche la religione. Ricordate che una sera, parlandovi, vi ho detto di un Cardinale inglese, prima anglicano, che poi morendo, nel suo testamento morale, lasciò scritto: Se l’Inghilterra non fa verso la Chiesa passi come una volta, è perché il clero cattolico non è sufficientemente educato! (Par. X,75).
Vedi anche: Educazione, Galateo.
Vacanze
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Non date vacanze pasquale ai Chierici – è in opposizione al loro bene spirituale e religioso. Studino e preghino (Scr. 12,229).
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Nessuno di noi può andare a casa unicamente per la consolazione di rivedere i parenti. Il servizio divino della nostra Congregazione ne soffrirebbe molto, (e potrei citare casi recenti e in corso), se noi Figli della Divina Provvidenza ritenessimo di poter andare alle nostre Case o per passarvi delle vacanze o anche per consolazione dei parenti. I nostri stessi di famiglia – cioè i genitori e fratelli – devono, con il divino aiuto, farne il sacrificio, se vogliono essere veri discepoli di Gesù Cristo (Scr. 42,234).
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Non si accettino inviti di pranzi, non si facciano viaggi senza grave necessità e specialmente non si vada a passare il tempo delle vacanze in casa dei parenti. Quelli che non si sentono di sacrificare quest’andata nel secolo, danno indizio di non essere chiamati allo stato religioso. Dove si bevono buone bottiglie e dove si fuma, ritenete che là non c’è la santa e bella virtù (Scr. 52,34).
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Don Bosco chiamava «vendemmia del diavolo» il tempo delle vacanze, passato dai Religiosi presso le loro famiglie. Non bisogna recarsi dai parenti, se non per gravissimi motivi e vi si deve rimanere il meno possibile. Preferisco mi si desse uno schiaffo che una domanda da parte di un mio religioso di recarsi in famiglia anche per un’ora sola. La famiglia del religioso è la sua Congregazione e sua casa ogni Casa della Congregazione, non altre, per quanto care (Scr. 52,52).
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Ai probandi non do vacanze, eccettuati casi speciali di malattie o altri casi singoli o di propaganda, secondo i tipi, le famiglie e i paesi. Una buona crivellata sarà durante le vacanze vedere il loro spirito di attaccamento a noi e alla famiglia (Scr. 63,17).
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Non dare al mondo la soddisfazione di annoverarti fra i suoi; le vacanze sono la rovina, sono l’abisso delle vocazioni ecclesiastiche. Il Signore ricompensi a cento doppi il sacrificio che farai e coroni con il trionfo le lotte e le lacrime che spargerai per riuscire nel tuo disegno (Scr. 65,352).
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Quanto alle vacanze ti è noto che sono contrario al permetterle e avrei desiderato che mai me le avessi chieste. Le vacanze per i Chierici e Religiosi sono sempre di grave danno alle loro anime, et omnium malorum officina. Tu poi ora, non avevi bisogno di vacanze, ma di attendere ad una buona cura spirituale ricostituente. Questo è parlarti a scherzo. Tuttavia ti concedo in via puramente straordinaria e considerato che sono dieci anni che non sei stato al paese e di andare a pregare su la tomba dei tuoi Genitori e a rivedere i tuoi cari, per 10 giorni, compresi i giorni di viaggio (Scr. 105,135).
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Si persuada la necessità di una vita ritirata in tempo di vacanza e si cerchi modo di diminuire ai giovani la dimora fuori di Collegio, dando comodità di continuare le vacanze in alcuna delle nostre Case, con i necessari sollievi. Le vacanze sono fatali alle vocazioni, non solo per i pericoli che sempre si trovano nel mondo, ma anche per quelli che soventissimo di trovano presso gli stessi parenti. 13. Si invitino nelle vacanze autunnali i giovani che danno qualche speranza di vocazione religiosa a fare gli Esercizi Spirituali, o insieme con i Chierici o ad un corso apposito per essi (Scr. 110,239).
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La Missionaria della Carità non ha vacanze; non c’è tempo, non c’è tempo per le vacanze per la Missionaria della Carità! La Missionaria della Carità è come un soldato in campo che non ha tempo, ha la consegna; la Missionaria non ha tempo, non muove un piede dal suo lavoro, non ha riposo; il suo riposo è il Cuore di Dio per raccogliere sé stessa nella preghiera, come i santi nella contemplazione e nella meditazione (Par. II,3).
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Cercate in queste vacanze, di conservare la vostra pietà e di non disperdere quel po’ di bene che potete aver raccolto durante l’anno. Vi raccomando di vegliare e pregare appunto per non cadere nelle tentazioni; vi raccomando di dare buon esempio. Dovunque andrete e in mezzo a chiunque vi troverete, cercate di edificare gli altri e di non dimenticare le pratiche di pietà che sono i mezzi. Vedete di non stare mai in ozio e ricordatevi che ogni ora, che ogni minuto passato in ozio è un’ora, un momento perduto e un momento guadagnato dal diavolo. Raccomandatevi tanto a Maria Santissima che vi aiuti a compiere i doveri; che vegli maternamente sopra di voi; che vi sia scudo per ogni battaglia; vi sia Madre sempre, ma specialmente nel periodo delle vacanze (Par. III,206).
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Il Beato don Bosco era contrarissimo alle vacanze; soleva dire che il religioso non deve avere le vacanze: la Casa religiosa deve bastare, per i Religiosi... Tanto più che i Religiosi hanno Case in montagna e Case, purtroppo, anche al mare. Il Beato don Bosco pianse quando i suoi accettarono una Casa al mare, per il pericolo che vedeva avrebbero incontrato i suoi. Capì che quelle Case erano un pericolo, per i bagni. Era solito dire che le vacanze sono la vendemmia del diavolo (Par. IV,434).
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Non mettersi nelle occasioni perché in esse si cade; mortificare e custodire i sensi perché sono veicoli trasmettitori di malizia. Quelli che desiderano le vacanze o non sanno quello che fanno o non hanno spirito! Quando c’è una vera causa si va a casa... Senza castità non si piace a Dio e non c’è virtù. La vita in comune è di grande aiuto, specie per la bella virtù perché si sente il buon esempio (Par. VI,280).
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Don Bosco era contrarissimo alle vacanze in famiglia e diceva che le vacanze sono la vendemmia del diavolo. Era contrario ai bagni: io in 63 anni ho preso due o tre volte solo i bagni, perché ordinati dal dottore. I migliori bagni sono i bagni di sudore, lavorando: così non ci assaltano nemmeno le tentazioni. Custodite i sensi; i sensi sono tanti veicoli trasmissori di malizia. Se San Luigi è andato a casa per un po’ di tempo per mettere la pace tra le zie e il fratello, se ne andò per obbedienza. Quelli che desiderano le vacanze o non sanno cosa vuol dire, o non hanno vocazione! Quando c’è necessità sì, sì, altrimenti no, no (Par. VI,261).
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Le vacanze scolastiche sono destinate al riposo e al rifacimento delle energie durante il logorio mentale e fisico dell’anno scolastico. Ma le vacanze possono essere un grande pericolo da parte del demonio. Don Bosco, Don Rua, Don Rinaldi e tutti i Successori di don Bosco e di don Rua e anche l’attuale Rettor maggiore dei Salesiani mandano in questo tempo una circolare in tutte le Ispettorie e Case invitando ad avere una cura particolare dei Chierici durante le vacanze, di vigilare molto. Cerchiamo di guardarci dall’ozio e dal non vivere una vita che non sia secondo il buono spirito religioso o che poco giova a mantenere il buono spirito... Io sentivo di dovervi dire stasera queste parole: State attenti a far buon uso del tempo, anche in queste prossime settimane. Quanto sarei contento se durante queste vacanze, per esempio, chi si sente in forza cercasse di far progressi nelle lingue vive (Par. IX,292).
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Non bisogna mai permettere che il Chierico vada a zonzo e non esca dall’Istituto che per una pura necessità Don Bosco diceva che le vacanze sono la vendemmia del diavolo. Ritorniamo in casa sempre con la polvere addosso. Si ascoltano parole, discorsi, si imprimono nella nostra mente immaginazioni che sono in opposizione con lo spirito religioso (Riun. 26 agosto 1937).
Vedi anche: Ozio, Riposo.
Vangelo
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In ogni cosa, in ogni tribolazione, in ogni dolore letizia grande, carità sempre e carità grande sino al sacrificio, in ogni cosa, solo e sempre, Cristo, Gesù Cristo e la Sua Chiesa, in olocausto di amore, in odore dolcissimo di soavità Attuare in noi il Santo Evangelo, applicare a noi Gesù Cristo, invocando ad ogni ora la sua grazia, e la grazia di vivere sempre piccoli e umili ai piedi della Santa Chiesa Romana e del Papa (Scr. 8,209).
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Vi saluto, vi conforto, vi animo a preparare alla Chiesa, alla Congregazione, alla Italia nostra dei figli degni, figli educati alla vita e alla sapienza cristiana: molta umiltà, molta pietà; tutta la sana dottrina: tutto il Vangelo; tutta la carità di Gesù Cristo: tutta la scienza di Gesù Cristo: educate alla verità nella carità e a tutto che vivifica, che fa buoni. che edifica in Cristo, perché, fuori di Lui, non si edifica! (Scr. 26,224).
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In ginocchio, con spirito di fede assoluta all’Evangelo, alla dottrina e alla disciplina di Roma; in ginocchio davanti alle venerande tradizioni cristiane: in ginocchio alle direttive e ai desideri dei Vescovi e del Sommo Pontefice. In ginocchio davanti alle anime, a conforto e a salute delle anime: a tutti servi, conformando spirito e vita allo spirito e alla vita di Cristo, per trarre tutti a Cristo benedetto, con pietà grande, con la verità animata da carità infinita (Scr. 31,257).
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A te, come agli altri, vivamente raccomando di curare sempre più la pietà, di pregare, di alimentare in voi molto la vita spirituale, di non fermarvi all’istruzione ma di andare alla radice divina del Vangelo e a Gesù Cristo, e di fare di Gesù il centro e l’amore della vostra gioventù e della vostra vita, la luce della vostra intelligenza, e la fiamma inestinguibili delle anime vostre (Scr. 33,3).
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Sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni, e partiti, e controversie politiche, si leva il Vangelo e con il Vangelo si leva il Vicario di Gesù Cristo, che predica a tutti ugualmente e in modo generale la giustizia, la carità, l’umiltà, la mansuetudine, e la dolcezza, e tutte le altre virtù evangeliche, riprovando i vizi contrari (Scr. 49,92).
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Se vorrete poi essere sovranamente efficaci nell’arte di educare e di istruire, prendete a modello Gesù Cristo, il Maestro dei Maestri. Badate, o figli miei, che il Vangelo è il più sublime trattato di didattica e di pedagogia che esista. Vedete che metodo pieno di alta e di popolare semplicità, efficacissimo sull’animo delle turbe, tiene mai Nostro Signore nell’ammaestrare alla nuova e divina dottrina quel popolo ebreo che era uno dei più tardi d’intelligenza, tanto che gli Ebrei non ebbero mai un artista un po’ degno, ed erano ritenuti come i Beati della Palestina (Scr. 51,28).
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Vostra cura maggiore sia quella di vivere Gesù Cr., di rivestirvi di dentro e di fuori di Gesù Cristo, di viverne lo spirito, di praticarne i precetti, gli insegnamenti, l’Evangelo, accendendo nei vostri cuori le sode virtù, principalmente la obbedienza e la generosità della carità, nella osservanza esattissima delle Regole, della disciplina e condotta religiosa (Scr. 51,110).
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La carità altro non è che il compendio del Codice di Cristo ossia del Vangelo dal quale le n/ Regole attinsero la loro forza. L’uno e l’altro sono a voi vincolo di perfezione, uno esterno, l’altro interno. l’osservanza della Regola è fondamento dell’obbedienza nella carità: il Vangelo è scuola della Carità per essenza che è Dio, che è Cristo che nella carità fu obbediente fino alla morte (Scr. 56,194).
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Fa’ sentire a tutte le genti che, sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni e parti si leva il Vangelo e con il Vangelo si leva il grande Padre delle anime e dei popoli, «il dolce Cristo in terra»: con il Vangelo si levano i Vescovi, che ne sono i maestri, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio. E il Vangelo è fede, è amore universale, è civiltà: è il codice della verità della giustizia e della pace. O Signore, fa comprendere che solo ispirandosi all’Evangelo la Società non fracasserà, ma avrà ordine, pace e progresso (Scr. 57,301).
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Scorrete appunto l’Evangelo e vedete come il Maestro Divino profitta di tutte le occasioni per mettere nel cuore degli Apostoli i germi di ogni perfezione; l’umiltà del cuore, la purezza del costume, l’ardore della Carità, il fervore dello zelo, la pazienza invittissima, diventano, dopo la Pentecoste, l’unico patrimonio dei banditori del Vangelo (Scr. 64,142).
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Noi vogliamo vivere il Vangelo, formarci sul Vangelo, portare il Vangelo al popolo, agli umili, ai sofferenti e a chi a Lui non crede, perché tutti viviamo di ciò che Gesù Cristo ha insegnato e ci conformiamo alla sua vita Imitare Gesù Cristo, come ci è dato dalla Santa Chiesa, come veramente è, come solo è nostro codice sono gli esempi e la dottrina di Gesù Cristo il Vangelo e il crocifisso come sono dati dalla Chiesa (Scr. 64,319).
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Fa’ sentire a tutte le genti che, sopra tutti gli umani interessi, opinioni, passioni e parti, si leva il Vangelo, e con il Vangelo si leva il grande Padre delle anime e dei popoli, “il dolce Cristo in terra”: con il Vangelo si levano i Vescovi, che sono i maestri, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio. E il Vangelo è fede, è amore universale, è civiltà: è il codice della verità, della giustizia e della pace. O Signore, fa comprendere che solo ispirandosi all’Evangelo la società non crollerà, ma avrà ordine, pace e progresso (Scr. 73,24).
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Il nostro banco è la Divina Provvidenza, ed essa fa e farà tutto per mezzo della carità dei cuori misericordiosi, mossi dal desiderio di fare del bene a quelli che più ne hanno bisogno, come ci insegna il Vangelo, e la Chiesa Cattolica, la Chiesa Romana Madre della nostra fede e delle nostre anime. Ho accennato al Vangelo, o cari fratelli, e voglio che questa parola sacratissima sia l’ultima con la quale io vi saluti, perché quando Gesù mandò i suoi discepoli affidò loro soprattutto la missione di far conoscere il Vangelo, non già la sapienza degli uomini né le dottrine dei filosofi (Scr. 74,140).
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Bisogna tornare al Vangelo, rifarci tutti a questo libro divino, che ci è dato, spiegato e completato dalla viva tradizione della Chiesa di Dio. Perché anche Vangelo senza Chiesa non basta, e contraddirebbe alle ragioni storiche del Cristianesimo, che non è solo stato fondato su un libro (Scr. 79,351).
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Bisogna arare Gesù Cristo in noi e incarnare direi il Vangelo di Cristo per avere la carità in noi. La carità non è realizzabile se non è animata dal soffio ardente della religione, e non d’una religione qualunque, perché solo il Cristianesimo, tutte le altre escluse, seppe realizzare questo ideale: non c’è carità fuori di Cristo e del suo Vangelo (Scr. 80,138).
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L’Apostolato della Carità è poi l’Apostolato del Vangelo, poiché a questo si riduce in sostanza l’Evangelo, tutta la dottrina e la vita di Gesù Cristo, all’amore di Dio e del prossimo. È la carità che non ci lascia vincere dal male. Limitarsi a perdonare il male per la carità è poco, essa ci porta a vincere con il bene il male: essa ci fa comprendere la divina parola e gli esempi di Cristo: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano perché siate figli del P. vostro che è nei Cieli, il quale fa sorgere il sole suoi buoni e sui cattivi, e scendere la rugiada e la pioggia benefica sui giusti e sui peccatori (Scr. 81,92).
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Amici, viviamo Gesù Cristo, ariamo in noi Gesù Cristo e siamo apostoli di carità. Soggioghiamo le nostre passioni, liberiamoci dall’amor proprio, fuori da noi l’egoismo; incarniamo in noi l’Evangelo e la carità, e non consideriamo il bene altrui come danno nostro, ma gioiamone come di un bene nostro e di un vantaggio in cielo sarà appunto così, come ce lo esprime anche Dante con la sua sublime poesia (Scr. 81,93).
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Osservate perfettamente il Vangelo osservanza perfetta del Vangelo. Osservate alla lettera il Santo Evangelo non siate bramosi di scienza e di libri, ma di azioni virtuose, ma di carità e di sapienza della Croce di Gesù Cristo Crocifisso: la scienza riempie d’orgoglio, ma la carità edifica. Tanto un uomo ha di scienza per quanto opera nella carità e sulla croce di Gesù Cristo, e tanto è pio e buon oratore per quanto egli stesso opera amando e servendo Cr. e i fratelli stando in croce e crocifisso (Scr. 81,189).
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Vangelo o Evangelo vuol dire buona novella. Gesù stesso andava attorno, predicando il Vangelo del Regno di Dio (Matt. IV, 25). Il Vangelo contiene le proprie parole di Nostro Signore Gesù Cristo, le quali hanno una soavità e virtù divina; il Vangelo è legge tutta di carità e di mansuetudine. Alle parole di Gesù Cristo ritorniamo sovente con il pensiero, e riposiamo in esse con tutta l’anima (Scr. 82,2).
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Il Vangelo contiene le proprie parole di Nostro Signore Gesù Cristo, le quali hanno una soavità e virtù divina; il Vangelo è legge tutta di carità di mansuetudine, ed è cibo adatto a tutti, ai dotti e agli indotti. Alle parole di Gesù Cristo conviene sempre ritornare con il pensiero, e riposare in esse con tutta l’anima (Scr. 111,108).
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Il Vangelo è dunque un libro divinamente ispirato, e una sorgente infallibile nel seno della Chiesa Cattolica di insegnamenti dogmatici e morali. Basta la Bibbia? No, fratelli, la Bibbia non basta! L’insegnò verità cristiane prima che fosse scritto il Vangelo così non doveva interromperlo dopo; il Vangelo non può sostituire la Chiesa, ma servire alla Chiesa che ce lo ha dato, e ce ne fa conoscere il vero autore Dio. Non è dunque la regola e immediata di fede, ma rimane, come ogni codice, affidato alla interpretazione autorevole della Chiesa che lo possiede Gesù Cristo ci comunicò primamente le verità della fede a viva voce per mezzo suo e degli Apostoli e loro cooperatori i Santi Evangeli e gli altri libri del Nuovo Testamento furono scritti dopo. Il Vangelo non è che un efficace e divino sussidio alla predicazione della Chiesa (Scr. 111,125).
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Affinché l’Evangelo meglio si possa conoscere e osservarlo, è bene sia impresso nelle nostre menti, e non solo a pezzi e bocconi. Perciò vi raccomando, o miei cari, la lettura assidua e lo studio del Santo Evangelo. Ecco perché la Imitazione di Cristo ci dice, sin dal primo capitolo: «sia nostro sommo studio meditare nella vita di Gesù». E non dice meditare la vita, ma nella vita di Gesù, cioè entrare nell’intimo e vivere di Gesù, della vita di Gesù. Noi dobbiamo, dunque, avere il Vangelo sempre davanti agli occhi della mente e portarlo nel cuore, viverlo. Le regole e le costituzioni dei religiosi sono come il succo ed il midollo dell’Evangelo; esse ci insegnano appunto il modo pratico di viverlo; c’insegnano la diritta via per camminare dietro al Signore, e giungere alla più alta perfezione religiosa. E, come nel noviziato si studiano e si spiegano le regole, così desidero, et quidem, anzi, dispongo in Domino che si studi a memoria e si spieghi bene il Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo. Il Signore, con opere e con parole, predicò il Vangelo, ed Esso dalla Chiesa è dato a noi, perché, con le parole e con i fatti, cioè con le opere buone e sante, lo pratichiamo. Perciò, mentre vivamente vi raccomando lo studio e la pratica del Vangelo, o cari miei sacerdoti, ordino che ai nostri chierici si facciano studiare a memoria i Santi Evangeli (Lett. II,280).
Vedi anche: Bibbia, Esercizi spirituali, Messa (santa).
Vanità
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Non tollerare delle formazioni religiose a vernice: non tollerare Chierici che sonnecchino tranquilli: non quelli un po’ alti e un po’ bassi: non quelli né caldi né freddi: non i golosi, non gli avidi di letture, di letteratura, di musica, di fotografie: non i leggeri, non i vanitosi, non gli avvocati. E non ti accontentare, per carità, di certo formalismo né delle pratiche esterne di pietà (Scr. 8,208).
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Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito; tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra e non più. Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? La faccia della terra si rinnovella al calore della primavera ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità (Scr. 20,76).
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So che anche qui e nelle altre nostre Case si usa per i segnali la campana; ma via! I segnali con la campana verranno anch’essi, ma a suo tempo; ora desidero che a Venezia nihil innovetur. E guardatevi dal prurito di tutto riformare, il che, spesso, viene da spirito di vanità o di amor proprio e da una certa megalomania. E, per quest’oggi finirò; ma il mio argomento al riguardo, non è esaurito e ci tornerò su presto (Scr. 20,97b).
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Quanto a te, caro mio Piccinini – che mi sei – per tanti santi motivi – doppiamente caro, se pure ci può esser nel cuore di un padre più o meno amore in Gesù Cristo per le anime e per il bene dei suoi figli, io ti pongo le mani sul capo e particolarmente ti benedico in Gesù Cristo, vita nostra inseparabile. Cresci distaccato da ogni sentimento di te stesso e di vanità e sii di un solo pensiero e di un solo affetto con il padre dell’anima tua e cresci degno di Dio, per la sua Chiesa! (Scr. 26,151).
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Breve è il patire, ma eterno sarà il godere, ed anche il patire è dolce con Cristo! Ma Cristo intanto vuole che voi che studiate non vi lasciate sedurre dalla vanità e superbia del sapere umano «immagini di ben seguendo false, che nulla promission rendon intera» direbbe Dante. Cristo vuole intanto «che noi non siamo più dei bambini, sballottati qua e là e portati via da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per la furberia loro a rendere seducente l’errore; ma che, fedeli alla verità in uno spirito d’amore, noi continuiamo a credere in ogni cosa, per arrivare a Colui che è il Capo, cioè a Cristo». (San Paolo agli Efesini) (Scr. 26,158).
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Lasciamo, o figlioli miei, le vanità della terra ai vani uomini della terra: leviamo su in alto gli occhi a Dio, preghiamolo per i peccati e le negligenze nostre e non finiamo di ringraziarlo di averci cavati fuori dal mondo e serriamo dietro di noi la nostra porta e viviamo nella solitudine dell’eremo e del cuore, dando tutta la vita ad amare e a servire umilmente Gesù e seguiamolo nella orazione, nel silenzio, nella unione (Scr. 30,155).
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Non si parli di riformare di qua e di ritoccare di là, bensì ciascuno di noi riformi la propria condotta e il proprio metodo, se pure talora non avessimo da riformare la propria superbia e vanità. Il ven.le don Bosco e don Rua nulla raccomandavano nulla inculcavano tanto fortemente che di guardarsi dal ticchio delle riforme (Scr. 32,13).
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Per qualche mese osserverai molto e tutti e parlerai pochissimo; ma sempre sarai di lieto animo e di lieto volto, nonché di liete e serene parole, che diano conforto e animo a tutta la Casa ed a ciascuno della Casa. Usa quella dolcezza e carità che San Bernardo usava con i suoi fratelli e imita San Francesco di Sales. Non parlare mai di te; fuggi lo spirito di vanità, come lo spirito di padronanza e di amarezza. L’asprezza e inurbanità dei modi guasterebbe l’opera del Signore che ti affido (Scr. 34,188).
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Quanto amor proprio da sradicare in noi! quanta fatuità nella nostra vita! quanta vanità! e quanta ignoranza! E poi pretendiamo di metterci innanzi a uomini venerandi per virtù, per dottrina e fin di riformare e picconare la Chiesa di Gesù Cristo! Dio mio, che cecità è la nostra! Ah avremmo bene da vergognarcene avanti a Dio e avanti alla nostra coscienza e davanti a tutti gli uomini onesti! (Scr. 40,135).
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Ciò che deve cercare e cercare sempre e solamente è di amare Gesù e abbandonarsi pienamente nelle mani dei superiori perché ne facciano un buon servo di Dio: amare Dio – e tutto il resto è vanità e vanità. Nessuno si deve quindi curare se studierà o se lavorerà, ma solo di avanzare, in qualunque officio sia posto, nell’amore di N. Signore Gesù (Scr. 42,134).
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Mi fa pena di saperti sempre un po’ alto e un po’ basso. Bisogna normalizzarsi. Prega, fa la vita di comunità che fanno gli altri e non il singolare: mettiti davvero e di buona e umile volontà nelle mani di don Cremaschi e cerca di amare il Signore, ché tutto il resto sono fandonie e vanità, che a nulla ti gioveranno, se non a farti un grande male allo spirito (Scr. 42,236).
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La Chiesa e le anime sono i miei grandi amore, ma sono molto impastato di vanità e di superbia. Ora mi sono messo tutto nelle mani della Madonna e voglio stare lieto con la Madonna (Scr. 45,151).
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La radice dei mali che ho notato in alcuni è una certa vanità una certa leggerezza di spirito di contraddizione e di mancanza di carità. Nel vostro parlare dovete essere dolci e mai mai, ma mai usare con i compagni dell’acrimonia e della ostinazione. Alcuni hanno ancora molto del secolaresco e parlate troppo di cose che non sono spirituali e che non edificano per la santità. Siate semplici, miei cari figli: siate sempre come bambini nelle mani del vostro Superiore e non nascondete mai nulla della vostra anima a lui (Scr. 52,193).
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Siate santi! Se avete sempre presente il fine della nostra vocazione, fine sì semplice e sì sublime: se vi metterete subito e tutti a reprimere in voi stessi ogni sentimento di vanità, ogni discorso o parole di vanità, di mondanità di leggerezza secolaresca: se eviterete le questioni e le dispute animate, parlando con grande diffidenza di voi stessi, parlando con semplicità, con dolcezza, con arrendevolezza alla verità e autorità altrui: se bramerete di stare nascosti e di essere veramente disprezzati per lo amore di Cristo Signor nostro benedetto: voi, allora, sì che vi farete santi, Deo adiuvante (Scr. 52,195).
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Finiamola una buona volta di lasciarci attrarre dalle misere soddisfazioni della terra: tutto è vanità – vanità la vita comoda e riporre in essa il nostro diletto; vanità ambire gli onori e le cariche; vanità attendere alla vita presente; vanità amare ciò che passa e non affrettarci a quel gaudio che dura in eterno. Redimentes tempus – affinché scompaiano i rimorsi, le inquietudini, gli affanni (Scr. 55,7).
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Purifichiamo il nostro cuore con il distaccarlo da tutto ciò che non è onesto, che non è cristiano, che non è Dio. Più il cuore saprà distaccarsi da ogni vanità, più sarà pieno dello spirito del Signore, avrà la pace e la libertà santa dei figli di Dio? e sarà pieno di Dio (Scr. 56,87).
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L’amarezza asperge i nostri giorni e la fede ed i dolori ci attestano che vanità è la vita del mondo. Le sue gioie sono fragili o finte e l’abbondanza dei triboli sparsi sul sentiero dei giorni tuoi, ti proveranno che non v’è felicità sulla terra. Sola la rassegnazione alla volontà del Signore e l’amor suo ci fa portare con letizia la croce, che l’incredulo maledice e calpesta! (Scr. 57,140).
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Ritorniamo a Dio! Correggiamo le volontà ribelli e le ingiustizie, se vogliamo pacificare il mondo; ma ricordiamo che solo la religione cattolica riesce a questo con la sua fede e con la sua morale. Ritorniamo a Dio! Smettiamo la superbia, la vanità, l’egoismo le disonestà, l’avarizia e cerchiamo le vie di Dio: l’umiltà la preghiera, la fede, la pace con il Papa, l’educazione cristiana della gioventù, la purezza, la carità e la carità sino al sacrificio! (Scr. 61,106).
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Per adempiere le obbligazioni del proprio stato è necessario conservare costantemente un animo tranquillo e una mente serena. Nessuna perturbazione entri in voi. Prendete le avversità con perfetta rassegnazione; evitate sopra tutto la perturbazione dell’ira, ma non confondete però l’ira con lo zelo, il quale è lodevole, quando sia puro. Distaccate il vostro cuore da ogni vanità: questa rende la donna leggera e scema il merito delle buone azioni. Date buon esempio: è la prima vostra missione. La seconda sarà quella che eserciterete con le parole. Il pensiero precede la lingua. Con la dolcezza del vostro parlare guadagnerete i cuori: con la riservatezza vi procaccerete autorità: con lo spirito di pietà, di ritiratezza e di santità edificherete la vostra casa (Scr. 64,136).
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Passano le feste del mondo e le gioie umane e lasciano il vuoto: passano gli onori, i divertimenti, i piaceri, le vanità del mondo e lasciano il vuoto; ma le feste cristiane e le gioie pure della fede non passano, no! esse restano come punto luminoso a rischiarare, a confortare il cammino della vita! (Scr. 64,152).
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Qui non si pensa a coprir cariche, ma, finora, per grazia di Dio, si pensa a servire a Gesù Cristo Signor Nostro nei suo orfani nei suoi piccoli e nei suoi poveri e la Chiesa, la Santa Chiesa, di Gesù Cristo e il suo Papa, con amore dolcissimo di figli. Tutto il resto reputiamo vanità e amor proprio e ignoranza e inganno del demonio. E però ci facciamo un’obbligazione di combatterli e di sradicarli da noi, con la divina grazia, non ambendo a dignità nella Chiesa, né a cariche in Congregazione; e ciò lo professiamo pure per Regola, onde benediciamo a Dio, quando ci è dato di stare all’ultimo posto, ove tutti debbono mettersi, secondo l’insegnamento del Vangelo (Scr. 66,223).
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Mi fa piacere il desiderio che avete di raccogliervi, ogni tanto, come in una solitudine. La solitudine è atta a farci conoscere la vanità di tutte le cose e il proprio nulla, a distaccarci dal mondo e a sollevarci a Dio con l’orazione. I Santi Padri paragonano la solitudine al paradiso per la sua dolcezza e felicità (Scr. 74,150).
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La vostra domanda di essere ammesso tra i novizi della nostra Congregazione è stata accolta bene e anche con grande consolazione, vedendo che Dio, nel suo santo lume, vi ha fatto conoscere il pregio del rinunziare alla propria volontà in tutta le cose e vi ha posto nel cuore la risoluzione di conseguire questa umiltà e la vostra santificazione per mezzo della obbedienza in questa nostra vita religiosa. Oh felice quell’anima, che rinunzia a tutte le vanità del mondo e a tutte le cose per Gesù Cristo Crocifisso! Che Nostro Signore e la Vergine SS., Madre del Buon Consiglio, vi assistano sempre e vi diano la grazia di perseverare sino alla fine nel Loro santo servizio (Scr. 101,22).
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Frutto spirituale di questa grande solennità della Madonna sia questo: mettendoci sotto i piedi le vanità del mondo, manteniamo il nostro cuore senza macchie, rivolto sempre e unicamente all’eterna divina luce. Preghiamo la Vergine ad ammetterci fra i suoi santi (Par. I,4).
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La vocazione è la chiamata che il Signore fa sentire a molte anime... una dolce chiamata, l’invito di lasciare il mondo, le sue vanità, i suoi pericoli, per vivere una vita santa, la vita delle comunità religiose. Voi avete sentita questa voce dolce, che vi ha chiamate e vi ha detto: tu non sei nata per vivere una vita misera, terrena, ma sei nata per consacrarti anima e corpo ad un amore che non è terreno, perché tutte le affezioni della terra, ti lasceranno il cuore vuoto. Tu sei nata per la felicità, sei nata per un apostolato di bene; tu sarai la madre spirituale di tante povere orfanelle; sarai l’angelo consolatore di tanti poveri ammalati; sarai il conforto dei derelitti, degli abbandonati (Par. I,220).
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Bisogna che l’affetto si spiritualizzi; considerate se parlate di voi, o se aspettate che altri parlino di voi; come occupate il vostro tempo; se avete rapporti troppo intimi con le vostre Consorelle; se fate bene il vostro dovere; se siete vanitose nel vostro vestito; se siete trascurate; se osservate i comandamenti di Dio; I comandamenti della Chiesa, tutti gli obblighi del vostro stato e su questi dovete esaminarvi bene (Par. II,23).
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Invochiamo oggi l’aiuto di San Giuseppe, perché fino ad oggi non si è fatto niente; facciamo bene per la gloria di Dio, non per la nostra vanità, per la gloria di Dio, sempre per l’amore della nostra Santa Madre Chiesa, che è la nostra Madre visibile sulla terra, per la salvezza dei nostri fratelli, specialmente dei più poveri, dei più abbandonati, dei più derelitti, di quelli che sono qui ricoverati, che non possono essere ricevuti in altri istituti o perché non sono dello scopo o perché, essendo già completi, non possono aprire le porte o ricevere questi nostri fratelli (Par. II,119).
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Spogliare l’abito vuol dire spogliarsi delle consuetudini, dei giudizi, delle vanità del mondo; vestire l’abito religioso vuol dire prendere come una veste nuova di mortificazione, di umiltà, di fervore, di purezza e di candore (Par. II,130).
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Col vestire l’abito religioso intendiamo volgere le spalle alle vanità del mondo, intendiamo volgere le spalle ai piaceri per darci tutti al Signore, per servire la santa Chiesa nella pratica dei consigli evangelici, per menare una vita pura e santa (Par. IV,326).
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Che nessuno compia lo sproposito di ritirarsi dalle promesse fatte a Dio; la vanità del mondo non abbia mai a trascinarci lontani dal Signore. Ricordiamo che la salvezza nostra è legata alla vocazione e chi lascia questa strada è difficile che riceva tante grazie da Gesù (Par. VI,284).
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In Dio solo c’è la pace, la quiete del nostro cuore e il cuore è inquieto finché non ritorni a Dio. La terra è piccola e non ci può saziare. Tutto è misero e ciò che è nel mondo tutto è vanità. Noi vogliamo essere veri seguaci intimi e fedeli di Gesù come gli Apostoli che, anche nella prova suprema, gli erano rimasti fedeli (Par. VI,288).
Vedi anche: Modestia, Umiltà.
Vescovi
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Io non voglio che si litighi con i Vescovi per cose materiali: voglio stare inchiodato ai piedi della Chiesa e dei Vescovi e di ciascun Vescovo; poi loro se la vedranno con il Signore, io non ci voglio pensare né voglio giudicarli (Scr. 14,83).
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Metto me e tutti voi ai piedi della Santa Chiesa di G. Cristo e dei Vescovi; noi, prima di tutto, siamo e vogliamo essere, con il divino aiuto, figli, soldati e stracci della Santa Chiesa, del Papa e dei Vescovi; senza del Papa e dei Vescovi siamo nulla e non vogliamo essere nulla (Scr. 16,122).
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Per divina misericordia noi siamo, cari miei figli, e dobbiamo, vivi e morti, sempre essere servi e figli della Santa Chiesa e dei Vescovi: quello che essi vogliono, e noi lo vogliamo: quello che essi desiderano, e noi lo desideriamo. Il Papa e i Vescovi, e anche i sacerdoti secolari, sono i nostri padroni, ed io voglio essere e sempre mi onorerò di essere per divina grazia, il loro straccio, felice d’essere uno straccio nelle loro mani e ai loro piedi. Sono stato ad Assisi, e questo vorrei almeno avere imparato da San Francesco: uno spirito di illimitata obbedienza e di grandissimo amore e devozione verso l’autorità della chiesa e gli ecclesiastici; con San Francesco voglio ripetere sino alla morte e pur in morte e dopo la morte il mio dolcissimo e affocato amore alla santa chiesa, al Papa, ai Vescovi e ai sacerdoti: Domini mei sunt: sono i miei padroni, diceva San Francesco. Se non fosse superbia, vorrei dire, umilissimamente e con il capo chinato sino a terra: «non tantum domini, sed Patres mei estis». Voi, o Beatissimo Padre, voi, venerabili Vescovi, voi, o sacerdoti tutti, voglio amarvi, obbedirvi e venerarvi tutti perché, più che padroni, siete i Padri della mia fede e dell’anima mia. E questa è la eredità che vi lascio: che nessuno ci dovrà mai superare nell’amore e obbedienza la più piena, la più filiale, la più dolce al Papa e ai Vescovi e nel più grande rispetto e devozione ai sacerdoti. E se anche questi ci perseguitassero, stiamo umili e amanti in Domino ai loro piedi, e abbiamo fede in essi, e onoriamoli, coprendo con ampio manto di carità i loro difetti e mancamenti; né in essi consideriamo alcun peccato, ma vediamo in essi Gesù Cristo e i sacri Ministri dello Spirito e della vita (Scr. 20,300).
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Venerate i Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio, e abbiateli in altissimo concetto: essi sono i pastori costituiti da Cristo, sono i padri della Fede e delle anime nostre. Stiamo devoti ai Vescovi e facciamoci a pezzi pur di aiutarli, e secondarli ove appena sia possibile, e confortiamoli, se non possiamo sempre con le opere, almeno con le preghiere, e vedrete, o miei figli, che facendo così la benedizione del Signore sarà sopra la nostra umile Congregazione, e su noi si avvererà ciò che Dio ha detto: «Vi riuscirà felicemente tutto quello che voi farete». (Salm. I. 3) Anche al Brasile mi sono messo ai piedi dei Vescovi, come ai piedi della Chiesa di Gesù Cristo, poiché per me il Vescovo è incarnazione della Chiesa cui presiede, come insegna Sant’Ignazio Martire, «e conviene riguardarlo come il Signore medesimo». E il Signore per questo ha benedette le mie povere fatiche, e le sue benedizioni discesero su di me dalle mani venerate del Santo Padre, avanti che partissi, e poi dalle mani di questi Vescovi; in meno di due mesi ho avuto grazia di avvicinare ben sette Arcivescovi del Brasile, sua Eminenza il Cardinale Albuquerque di Rio de Janeiro e sua Eccellenza Rev.ma il Nunzio Apostolico, ebbi da tutti grandi conforti e trovai in essi personaggi di carità ineffabile e venerandi per santità, per dottrina, per zelo delle anime (Scr. 26,160).
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Mi conceda Dio di voler sempre, come oggi io voglio, che il nascente Istituto serva umilmente la s. chiesa e i Vescovi, o scompaia. Fermamente credo che i vincoli spirituali e disciplinari che formano l’organizzazione della società cristiana ossia della chiesa di Gesù Cristo, siano le potestà ecclesiastiche, e principalmente il Vicario di Gesù Cristo stesso, il Papa e i Vescovi. E ai piedi del Papa e dei Vescovi metto tutto il mio cuore e tutta la mia vita e il piccolo Istituto. E poiché mi sento molto impastato di umane passioni, e molto cattivo di animo e inclinato a grande superbia, voglio, con l’aiuto che tutto imploro e spero avere dal Signore, e per le sue piaghe santissime e per i meriti infiniti del suo sangue e della sua morte in croce, e anche molto per la celeste intercessione di Maria SS.ma, madre di Dio, ed anche mamma mia dolcissima, voglio per ora e per sempre, che tutte le mie miserie e la mia cervice superba stiano sotto ai piedi della santa madre chiesa di Roma e del Papa e dei Vescovi (Scr. 45,110).
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Noi non siamo per noi, ma per la Chiesa e per i Vescovi; siamo stracci e per gli stracci cioè per i poveri e per ogni miseria...non è per sé, ma per il Vicario di N. Signore Gesù Cristo e per servire d’in ginocchio, in umiltà e carità grande e senza limite devota, la Chiesa e i Vescovi, e stare sotto i piedi di tutti come uno straccio, basta amare Gesù e fare la volontà di Gesù che si manifesta nella Chiesa e nei Vescovi (Scr. 51,191).
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Rispettiamo amiamo obbediamo, amiamo veneriamo i Vescovi che riconosciamo pastori nella chiesa divinamente istituiti ma essi tali sono e fino a che uniti al Papa e in comune con lui che è il pastore dei pastori. I Vescovi sono i successori degli apostoli, sono maestri in Israele, sono i rappresentanti nella diocesi di Gesù Cristo ma Vicario di Gesù Cristo è solo e sempre il Pontefice romano il Papa. Egli è il capo dei Vescovi e capo infallibile di tutta la chiesa: Egli è il padre di tutti, è Gesù Cristo pubblico e visibile per tutti! In lui parla San Pietro, in lui parla Gesù Cristo! (Scr. 52,111).
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Per l’aiuto che mi ha dato nostro Signore io sono sempre stato uno straccio ai piedi dei Vescovi e della Santa Chiesa, e così i miei Sacerdoti. Tutta la mia povera vita e la Piccola Congregazione è consacrata con voto a seguire in umiltà, fedeltà, obbedienza e amore i Vescovi e la Santa Sede (Scr. 67,200).
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Le benedizioni di Dio, in via ordinaria, ci vengono dalle mani dei Vescovi, e la nostra umile Congregazione è particolarmente consacrata ad amare e servire la Santa Chiesa il Vicario in terra di Nostro Signore Gesù Cristo e i Vescovi: non solo il Papa ma anche i Vescovi noi, con la divina grazia, vogliamo amare e obbedire come il Signore, siccome ha detto il grande Martire Sant’Ignazio di Antiochia: “Bisogna riguardare il Vescovo siccome Dio Stesso” (Scr. 68,68).
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In ginocchio ai piedi dei Vescovi, che lo Spirito Santo ha posto a reggere la Chiesa di Dio: sia giorno di festa ogni giorno in cui un Vescovo entri nelle nostre case. Ai Vescovi sommo rispetto, obbedienza sincera e piena, interna ed esterna, con semplicità di cuore, da leali servitori dell’Evangelo e della Chiesa. La Piccola Opera della Divina Provvidenza debb’essere ora e sempre uno straccio, e l’ultimo straccio, ai piedi del Sommo Pontefice, dei Vescovi e della Santa Chiesa. Questa umile nostra Congregazione è per la Chiesa, e non la Chiesa per la Congregazione. In ginocchio, dunque, e sempre in ginocchio, nella più interna, umile e filiale servitù alla Chiesa, e anche all’elemento umano, agli uomini della Chiesa, a costo dei sacrifici più duri: i sacrifici più dolorosi devono essere i più desiderati i più agognati, e diventare i più dolci, nell’amore di Gesù Cristo e della Santa Madre Chiesa. Solo così si ama e si serve davvero ai piedi della Chiesa, Madre amorosa, Colonna e Maestra di verità, di sapienza, di santità: Arca unica e sicura di salvezza (Scr. 69,410).
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Lo stato dei Vescovi è il più perfetto di tutti. Alla testa dell’Episcopato si trova il Vescovo dei Vescovi, il Sommo Pontefice. Il solo Vescovo è il testimonio e il giudice della fede. Come il Papa è il Successore di San Pietro, principe degli Apostoli, così i Vescovi sono i Successori degli Apostoli. Il Papa è il centro dell’unità della dottrina la medesima dottrina degli Apostoli. È la sola vera Chiesa di Gesù Cristo interprete. I Vescovi hanno la potestà di ordine e di giurisdizione con la quale, posti dallo Spirito Santo, pascono e reggono ciascuno, veri Pastori, i greggi che loro sono assegnati (Scr. 90.373).
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Esultiamo perché la vita dei Vescovi è vita di immolazione per le anime. Per questo la Chiesa non vuole che su la Croce pettorale dei Vescovi penda Cristo Crocifisso, perché i crocifissi sono loro, sono i Vescovi! Exultemus! Esultiamo di questo novello Vescovo, vittima viva, santa e accetta a Dio: Egli nella carità del Signore si farà tutto a tutti, e si consumerà per guadagnare tutti a Gesù Cristo! Exultemus! Pensieri di pace sono i suoi pensieri: misericordiosa sempre suonerà la sua voce a chiamare al convito di grazia le anime; umile e paterna si stenderà a tutti gli afflitti, a tutti i caduti la sua mano; il suo cuore sarà aperto a tutti! (Scr. 108,314).
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E supplico la misericordia di Dio di non permettere mai che i Figli della Piccola Opera della Divina Provvidenza abbiano a scostarsi menomamente dalla dottrina apostolica e dai principi e sentimenti verso il Romano Pontefice e verso i Vescovi, magistralmente dichiarati dal Salesio e dal grande Atleta e Martire della fede, Ignazio di Antiochia. Ma che, amantissimi del Papa, «dolce Cristo in terra», dell’Episcopato e della Chiesa, i Figli della Divina Provvidenza siano sempre, unitamente al sottoscritto umili servi e fervidi sostenitori della Santa Sede e dei Vescovi, in obbedienza assoluta, filiale e, senza limite, devota. Sia ognora in cima ai nostri pensieri e affetti la gloria di Dio, del Papa e dell’Episcopato, sicuri di operare così la santificazione nostra e la salute delle anime; sicuri di contribuire così, per quanto modestamente, anche al bene e alla prosperità della nostra Patria. L’attaccamento, l’ossequio, la riverenza, non solo alla dignità del Papa e dei Vescovi, ma anche alle Loro sacre Persone, non saranno mal troppe, o figliuoli miei. Inculchiamone la venerazione ai nostri alunni e ai fedeli, e, occorrendo, prendiamone le difese, da figli amantissimi, con la parola, con gli scritti, con le opere e con il martirio ancora. Sì che, in tutto ciò che faremo, in tutto ciò che diremo, sempre si miri a vivere e a condurci come è più in amore al Vicario di Gesù Cristo e ai Vescovi che «lo Spirito Santo ha posto a governare la Chiesa di Dio» (Act. Apost. XX – 28). Sia questo uno dei canoni fondamentali e legge costitutiva della Piccola Opera. E chiediamo ogni giorno a Dio di prima morire che venir meno a tanto salutare apostolico insegnamento. Sic Deus nos adiuvet! Così Dio ci aiuti, o miei cari Figli, Alunni e Benefattori, e ci conforti sino alla morte et ultra. Amare Nostro Signore, la nostra celeste Madre e Fondatrice Maria Santissima, amare il Papa, i Vescovi, la Chiesa; amare i piccoli e i poveri più abbandonati; mi pare di esser già un po’ in Paradiso; non sento più la stanchezza, non le calunnie, non i dolori, che pur, grazie a Dio, non sono pochi (Lett. II,196–197).
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Cari figliuoli, sono venuto a darvi la Buona Notte: potrebbe essere l’ultima! Vi raccomando di stare e di vivere sempre umili e piccoli ai piedi della Chiesa, come bambini, con piena adesione di mente, di cuore e di opere, con pieno abbandono ai piedi dei Vescovi, della Chiesa! E non vi dico del Papa, perché quando si dice dei Vescovi, a fortiori si dice del Papa, che è il Vescovo dei Vescovi, il dolce Cristo in terra! (Par. XII,136).
Vedi anche: Chiesa, Papa, Parrocchia.
Vestizione (religiosa)
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Faccio seguito alla mia di oggi, che si riferisce alla vestizione dei Chierici. Voi desiderereste conoscere se anche i due del Patronato debbono essere vestiti o no. Vogliate anche per loro tenere pronte le vesti, come per tutti gli altri che sono in noviziato, a meno che qualcuno per condotta cattiva o dubbia vocazione se ne fosse reso indegno, allora no (Scr. 11,73).
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Desidero che con il 15 agosto si faccia la vestizione dei Chierici tanto di quelli che devono cominciare il Noviziato regolare come di quelli che restano nella Casetta di Tortona per il Ginnasio. Ditemi quali credete che non abbiano da essere vestiti; e provvedete a tempo per le vesti e abiti e cappelli, che poi l’urgenza esige maggiore spesa (Scr. 11,185).
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Diamoci tutti al Signore: affinché il Signore possa servirsi di noi peccatori per le sante sue misericordie. È assai facile che prima di ottenere la vestizione, il Signore le presenti molte tazze di mirra: si faccia coraggio in Domino; confidenza grande in Dio e non si stanchi di pregare e di ardere e consumare di carità per Gesù e per le anime. Il nostro capitale è la Divina Provvidenza: la nostra speranza e il nostro conforto è la Divina Provvidenza! (Scr. 54,201).
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Formula della Vestizione per gli Eremiti dell’Opera della Divina Provvidenza In Cappella si canta in Veni Creator Spiritus. Indi Monsignore o qualche Sacerdote autorizzato con cotta e stola bianca terminerà il Veni Creator con i versicoli finali e con l’Oremus. Il popolo (o gli altri eremiti, se è in Chiesa privata) rispondono. Il prelato o il sacerdote, posto a sedere dalla parte dell’epistola, interrogherà chi vuol vestirsi da eremita. D. Figlio, a che fine sei venuto ai piedi di questo altare? R. Per essere ammesso nel numero degli Eremiti della Divina Provvidenza sotto la protezione di San Corrado Eremita. D. Conosci, o figlio, la vita di austerità e di penitenza e le obbligazioni di obbedienza assoluta di povertà e di castità che ti assumi e sei disposto tra gli Eremiti della Divina Provvidenza? R. Le conosco e spero di osservarle fedelmente con l’aiuto di Dio e per intercessione di Maria Vergine Immacolata e di San Giuseppe, dei SS.mi Apostoli Pietro e Paolo, di S. Giovanni Battista e di S. Corrado: di S. Michele Arcangelo e dei Santi Eremiti Paolo e Antonio, del mio Angelo Custode e di tutti i santi monaci e solitari e di tutti i Santi fondatori di Ordini e dei Santi Protettori dell’Opera della Divina Provvidenza. D. Il Signore benedica le tue buone disposizioni. Spero che in tempo del Noviziato proseguirai con esattezza e zelo a mantenere le tue promesse. Sai, o figlio, quale condotta deve tenere l’Eremita della Divina Provvidenza? R. Padre sì, lo so. L’eremita della Divina Provvidenza deve essere giglio di purità, specchio di umiltà, di una cieca obbedienza, morto alla propria volontà, di una grande carità verso il prossimo e lavorare secondo l’obbedienza, vivendo più povero dei poveri. D. Prometti, o figlio, di affaticarti per acquistare queste virtù? R. Prometto di fare tutti gli sforzi necessari per praticarle e prego la carità dei Superiori e dei fratelli, che se per fragilità mancassi ad una di tali promesse, di correggermi con piena libertà. D. Sei pronto a spogliarti degli abiti del mondo per indossare l’abito da Eremita della Div. Provvidenza? R. Sì, padre, sono pronto. D. Sei ancora pronto a lasciarti tagliare i capelli in segno che rinunzi a tutte le vanità del mondo? R. Eccomi pronto! (indi si avanza di un passo verso l’altare, il Prelato o Sacerdote taglia una ciocca di capelli a lui che china il capo e posa la fronte sopra il vassoio e nella palma della mano sinistra del funzionante il quale taglia una ciocca di capelli dicendo: Vanitas vanitatum et omnia vanitas, praeter amare Deum et Illi soli servire! Terminato il taglio dei capelli, asperge gli abiti dicendo: D. Adiutorum nostrum in nomine Domini. R. Qui fecit coelum et terram. D. Domine exaudi orationem meam. R. Et clamor meus ad te veniat. D. Dominus vobiscum. R. Et cum spirito tuo. Oremus. Fate l’atto di consacrazione Atto di Consacrazione. Il Sacerdote che funziona presenta al Romito il Santo abito dicendo: Ricevi fra (tale) questo abito, che ti ricordi sempre dell’abbandono che hai fatto del mondo e sia per te un rimedio a tutte le vanità e ambizioni della terra con l’innocenza e santità della tua condotta. (Si canta Laetatus sum in his quae dicta sunt mihi) Il sacerdote asperge i sandali e nel porli nei piedi del nuovo romito dice: Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini! Il sacerdote asperge lo scapolare (pazienza) e la pone sulle spalle del romito dicendo: Ricevi lo scapolare che ti terrà presente alla memoria che il Romito della Divina Provvidenza deve con pazienza e con amore sottoporre le sue spalle alla fatica e alla tribolazione. Presenta la corda benedetta con aspersione e dice: Ricevi questa fune e ti ricordi sempre stringendo i tuoi fianchi che la tua vita dev’essere una vita di temperanza, di lavoro, di combattimento e di raccoglimento meditando i dolori della passione e morte di N. Sig. e ricordando la fune...ma tua. Ricevi il cappuccio come custodia dei tuoi sensi e simbolo che devi rinunziare ad ogni pensiero di mondo e del raccoglimento e del contegno edificante di servo di Dio che dovrai tenere ...E ti ricordi la vesta candida del Santo battesimo: e ti dica questo mantello che sei pellegrino in questa terra d’esilio avviato alla vera patria nostra che è il Paradiso. Presenta una torcia accesa, dicendo: prendi questo lume che ti significa che ora devi essere morto al mondo e vivo alla grazia. Te Deum e benedizione. Durante il Te Deum, il fratello vestito o i fratelli vestiti vanno a dare la pace a quelli che fossero presenti già vestiti, dicendo: fratello, la pace di Gesù sia teco! E gli altri rispondono: la pace e la misericordia di Nostro Signore sia sopra di noi: Vanitas vanitatum et omnia vanitas, praeter amare Deum et Illi soli servire. Ricevi, o frate e ti ricordi che l’eremita della Divina Provvidenza deve, con pazienza e con amore, sottoporre le sue spalle al lavoro e alla tribolazione! Accetta questa corda, e, stringendo i tuoi fianchi, ti ricordi che la tua vita deve essere sempre stretta a Gesù e deve essere vita di lavoro, di combattimento e di raccoglimento (Scr. 81,204–207).
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Ieri, con l’aiuto del Signore, alcune di voi hanno ricevuto, dalle mani del vescovo Monsignore Albera, il santo Abito Religioso e le altre hanno assistito alla cerimonia molto significativa. Dopo la vestizione e la benedizione del velo, il vescovo vi ha detto qualche parola: oggi dirò anch’io due parole a quelle che hanno ricevuto l’abito. Che grande grazia vi ha fatto il Signore rivestendovi dell’abito religioso che da tanto tempo andavate sognando e desiderando! Ora è bene che riflettiate un po’, che questo abito, che vi separa dal mondo, deve anche staccarvi da tutte le cose del mondo. Come i sacerdoti e i frati vivono separati dal mondo e il loro abito li fa riconoscere come persone che non appartengono più ad esso, così deve essere per Voi. Però non dovete essere attaccate propriamente all’abito, ma allo spirito! Così, come ieri avete avuto l’abito, domani, per un’ipotesi, dovete essere disposte a svestirlo, se così crederanno i superiori. Questo santo abito vi distingue da tutte le altre donne e ragazze: per questo dovete essere diverse alle altre non solo nell’abito, ma nella vita. Avete ricevuto un abito benedetto ed, in certo modo, consacrato dalla Chiesa; ma avrete notato che, prima di benedire l’abito, il vescovo ha benedetto voi, invocando su di voi la benedizione di Dio e non con la mano soltanto, ma con l’acqua lustrale, dicendo nelle litanie: “Ut praesentes ancillas tuas benedicere digneris”. Poi ha benedetto pure l’abito, per significare che d’ora innanzi dovete essere decise a rinunciare a tutto, dovete essere diverse e cambiate dalla testa ai piedi, portando ovunque la pace di Dio e totalmente a lui consacrate. Nel cuore, nella mente e nei modi dovete mostrarvi di essere, in verità, vere spose di Gesù Cristo. Voi andate dove vi chiama il Signore; due continueranno il loro probandato e la terza il noviziato (Par. I,96).
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Il Signore dà a me e a voi, o figliole di Dio, la grande consolazione di poter compiere stamane, ai piedi del Signore e davanti alla Madonna, alla Madre di Gesù Cristo, la vestizione di parecchie di voi che, dopo aver lasciato il loro paese, la casa, le persone più care, la famiglia, guidate da una luce divina, confortate da una grazia speciale, chiamate dalla voce celeste, dalla vocazione celeste, si trovano qui chiamate oggi per emettere i santi voti, per compiere i desideri del loro cuore. Il giorno della vestizione tanto bello e sospirato, è venuto; è venuto il giorno della letizia, del gaudio, della pace, del conforto e dell’adempimento dei loro più santi voti e desideri. È tanto caro a me oggi dare e benedire il santo velo, dare il santo abito a quelle che, qui, ai piedi dell’Immacolata, si trovano per ricevere l’abito religioso dalle mani stesse della loro Madre, della nostra Santa Madre, la Madonna! Sono tanto lieto di poter benedire il velo e dare l’abito nel nome di Dio e della Madonna! (Par. II,122).
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Avete assistito alla vestizione di due vostre consorelle: sono due sorelle che si uniscono al vostro drappello con le sacre divise che oggi indossano. Voi che ancora non avete l’abito, dovete godere e desiderare che anche per voi venga l’ora di Dio, cercando di prepararvi con la virtù: non è l’abito che fa il monaco, ma certo aiuta molto a sostenerci nella virtù, nel sacrificio. Così come uno straccio di bandiera è sacro, perché simboleggia la patria e l’onore; e così anche la divisa del sacerdote, dei religiosi, delle suore (Par. II,132).
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Domani poi, a Dio piacendo, verrò a dirvi la Santa Messa presto e subito o più tardi si farà anche la vestizione delle Sacramentine Cieche. È una funzione un po’ lunga, ma è come la vostra; la vostra è un po’ apostolica, come quando Sant’Ambrogio diede il velo, a sua sorella Marcellina e San Benedetto Abate a sua sorella Scolastica. Presero un velo, glielo misero testa, e, in nomine Patris et Filii et Spiritus Sanctus, Amen e la vestizione è fatta. Eppure si sono tutte e due fatte sante (Par. II,186).
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Parlo a quelli che hanno vestito l’abito nel Santuario. Avete l’abito bell’e nuovo eh? Siete già fuori di strada! Siete modernisti. Prima non si metteva mai l’abito nuovo ma, per spirito di povertà, proprio dei Figli della Divina Provvidenza, si metteva un abito già usato e alle volte, vesti che avevano il colore dell’erba. Questa mattina è stato da me don Ghiglione e mi ha raccontato che, quando fece la vestizione lui, misero la veste in 13 ma di fustagno giallo dorato; erano alcune vesti di preti vecchi, morti, avute in eredità. Misero la veste in 12 e non c’erano che tre o quattro vesti: si metteva perciò ad uno e poi se la levava e la metteva un altro; e don Cremaschi ne deve avere ancora di quelle vesti. Così avvenne anche quando mise la veste don Marabotto. I chierici che vengono dalla Moffa, Don Cremaschi me li manda vestiti di nuovo come tanti figurini. Bisogna ritornare alla sorgente, ritornare all’antico e che quest’anno sia l’ultimo anno che quando si fanno le vestizioni si adoperino vestiti nuovi (Par. IV,462).
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Grande e simbolico il significato di questa vestizione. Poco fa, mentre gli toglievo l’abito secolare, io pronunciavo queste parole: Exuat te Domunus veterem hominem cum actibus suis. Ti spogli il Signore dell’uomo vecchio e delle sue abitudini secolaresche; e nel vestirlo, gli ho detto: Induat te Domunus, novum hominem qui secundum Deum creatus est, in iustitia et sanctitate veritatis. La mano del Signore faccia di te un uomo nuovo, un uomo creato secondo Dio, uomo risplendente di virtù, di santità nello stato clericale e religioso. Questo uomo deve risplendere della santità e carità di Cristo (Par. V,175).
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Reciteremo le tre Ave Maria, che dirò storiche, a questo scopo. A tutti i chierici ho sempre fatto recitare le tre Ave Maria, ricordando la mia vestizione, ogni qualvolta ho compiuto questa cerimonia sacra, dal giorno della mia consacrazione alla Vergine fino a questo momento. Così vorrei che anche voi, recitando le tre Ave Maria, prima che vi spogli degli abiti del secolo e vi dia il santo abito, vorrei che anche voi vi consacraste alla Madonna Santissima e vi offriste a Dio per le mani della Madonna (Par. VII,10).
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Avete assistito, o cari miei chierici, alla vestizione di alcuni vostri compagni; ed è tanto naturale che il vostro pensiero sia andato a quel momento nel quale anche a voi è stato dato il santo abito. È sempre uno dei momenti più memorabili e dolci della nostra vita, un momento nel quale, ai piedi dell’altare, si riceve il santo abito, la divisa del Signore. Ed io non dimenticherò mai quel giorno benedetto del quale, per divina grazia, mai, mai, non solo non mi sono pentito, ma mai mi è nato, per divina grazia, nessun dubbio sulla decisione presa e sul passo fatto. Non dimenticherò mai quando un sacerdote, veramente degno e santo, che poi venne elevato alla dignità di Vescovo, dava anche a me, ai piedi dell’altare di una immagine tanto devota di Maria Santissima, là nella Cappella del Seminario di Tortona, il santo abito. Quel Sacerdote, Rettore del Seminario, poi Vescovo di Ventimiglia, non mi disse molte parole; ma mi tradusse la formula liturgica che la Chiesa adopera nel dare l’abito da chierico; e mi disse: “Tu hai già fatto la V. a Ginnasiale – io venivo allora dall’Oratorio Salesiano di don Bosco – tu devi essere capace di comprendere e penetrare bene il significato delle parole che la Chiesa adopera... Ti spogli il Signore dell’uomo vecchio con tutte le sue abitudini secolaresche. Ti spogli di tutte le mondanità, di tutto quello che non è santo, di tutto ciò che non è puro: Exuat te Dominus veterem hominem! Bisogna lasciare l’uomo vecchio e vivere l’uomo nuovo, secondo l’espressione dell’Apostolo San Paolo e bisogna lasciare l’uomo vecchio con tutti gli atti suoi, con tutte le sue abitudini; e il Signore ti vesta dell’uomo nuovo, come il Signore lo creò: induat te Dominus novum hominem... e come il Signore vuole l’uomo nuovo, rinnovato dallo spirito di Gesù, secondo il cuore di Dio, che vive nella carità, che vive della verità, che vive nella giustizia... E poi mi disse, quel pio e santo sacerdote: “Ed ora diciamo tre Ave Maria perché abbia a legarti e a consacrarti al Signore per le mani di Maria Santissima. Ti offro al Signore per le mani di Maria Santissima. Non posso offrirti al Signore per mani migliori, per mani più sante, più pure perché tu abbia ad essere puro e santo sacerdote di Gesù Cristo, perché tu abbia da essere vero devoto e figlio di Maria Santissima”. E le tre Ave Maria che noi in Congregazione sempre recitiamo, ogni volta che si dà il santo abito a qualche nuova recluta, a qualche buon figliolo che il Signore ci manda per accrescere le nostre file e per essere maggiormente confortati nello spirito, sono per implorare su noi le benedizioni di Maria e perché non vi sia, tra noi, mai chi venga meno alla sua vocazione (Par. IX,339–340).
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Oggi sono 50 anni che ho messo la veste da chierico. E oggi, nell’ora stessa che si compivano 50 anni della mia vestizione chiericale, ho benedetto il Signore che mi dava la grazia di trovarmi a Tortona e di poter andare davanti allo stesso altare, dove 50 anni fa mi diede la veste il Rettore del Seminario d’allora, era il Can. Ambrogio Daffra – che fu Vescovo per lunghi anni di Ventimiglia e che chiamò nella sua Diocesi, cioè a Sanremo, i Figli della Divina Provvidenza e dove siamo ancora – Ho benedetto il Signore di trovarmi a Tortona e di poter andare a inginocchiarmi ai piedi di quell’immagine di Maria SS.ma Che troneggia sull’altare della Cappella del Seminario; e là ho ripetuto le tre Ave Maria che Mons. Daffra mi fece recitare quando mi diede l’abito... Più di una volta ho raccontato – e forse anche voi avete sentito raccontare – il momento della mia vestizione, o meglio, mi avete sentito ricordare le tre Ave Maria che quel santo Canonico mi fece recitare, dandomi il santo abito, quando mi disse: “Ecco, sei qui, ai piedi della Madonna e ti metto nelle mani di Essa: recita tre Ave Maria; con questa preghiera ti consegno nelle mani della Madonna perché tu abbia ad essere un chierico pio e un pio sacerdote! Io non ho mai dimenticato quel momento... Voi sapete quale significato abbia la vestizione dell’abito chiericale: vuol dire distaccarsi dalle cose del mondo, spogliarsi dell’uomo vecchio, per dedicarsi al servizio del Signore e della Chiesa, per militare e combattere per il Signore (Par. XI,187).
Vedi anche: Noviziato, Vita religiosa, Voti (canonici).
Viaggi
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Economia! Economia! economia! Economia nel vitto e nel vestito: non facciamo viaggi che per necessità: anche viaggiando ricordiamo che abbiamo fatto voto di povertà (Scr. 4,268).
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Apriremo finalmente due Case, una a La Plata, la Diocesi più importante e popolosa dell’Argentina a due ore da Buenos Aires e un’altra facilmente nella stessa Buenos Aires. Mons. Alberti, Vescovo di La Plata mi paga anche i viaggi che sono 1500 di andata e altrettanti di ritorno (Scr. 28,124).
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Non vorrei mancare di discrezione o delicatezza verso Nostra Eccellenza, ma, fidato nella sua bontà, prendo il coraggio a due mani e le espongo un pensiero che m’è venuto. I viaggi di sola traversata dei due mi verranno a costare oggi almeno undici mila lire, in 2da classe. Non chiedo denaro e francamente non ne accetterei, ma sottopongo umilmente alla saggezza di V. Eccellenza questo pensiero. Avendo Vostra Eccellenza nella sua Archidiocesi parecchi santuari insigni, avrebbe V. Eccell. Rev.ma modo d’aiutarmi assegnando ad es. alla mia povera Congregazione un dato numero di intenzioni di S. Messe, onde noi della elemosina di esse – sia pure la più modesta che danno qui potessimo valercene, con il cambio attuale, per i viaggi di quelli che dovranno venire? Anche questa sarebbe una carità fiorita, dato che le Messe tanto si devono celebrare e Vostra Eccellenza Rev.ma sarebbe anche sicura della loro celebrazione (Scr. 51,161).
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Non si facciano visite inutili né in patria, né presso parenti, né presso gli amici del secolo. Non si accettino inviti di pranzi, non si facciano viaggi senza grave necessità e specialmente non si vada a passare il tempo delle vacanze in casa dei parenti. Quelli che non si sentono di sacrificare quest’andata nel secolo, danno indizio di non essere chiamati allo stato religioso (Scr. 52,34).
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Don Bosco raccomandava lo spirito di economia e io mi fermerei sullo spirito di economia: economia nei viaggi, fare più pochi viaggi che potete. Una volta per andare e ritornare in Calabria hanno speso più di 1.000 lire: non fatelo più! Fate sempre le cose per linea breve per quanto è possibile; fatelo proprio per spirito di povertà, fate i viaggi per pura necessità... Evitiamo, per quanto è possibile, di viaggiare. I viaggi costano tanto; evitiamo le spese, per quanto è possibile; approfittate delle riduzioni, ma non fate le stordite; ci hanno già tolte una volta le riduzioni: siete tanto intontite che qualcuna di voi ha già preso la multa... Queste riduzioni rappresentano un risparmio grande; ma, con certe suore, di queste riduzioni non c’è da fidarsi, non sanno parlare con i controllori. Adesso vedremo con la vostra superiora per saper a chi dare queste riduzioni. Le case di ricovero potranno averle facilmente queste riduzioni di viaggi in terza classe; e, possibilmente, quando si viaggia, si viaggia in abito borghese; sta male in treno l’abito da monaca. Quando si viaggia, prendete possibilmente alloggio e vitto nelle case di altre religiose, non andate in alberghi. In caso di viaggi portare le cose puramente necessarie e spedite tutto il resto a piccola velocità (Par. II,106).
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La Congregazione nello stato in cui si trova, non può pagare i viaggi a tutti; ma ce n’è anche troppo nel pagarli a quelli che viaggiano per ufficio. Non può, non può fare la banca. Ieri ho dato 150 lire ad uno; oggi 50 ad un altro che partiva; solo in due giorni lire 200 di viaggio, poi lettere, telegrammi, gli abbonamenti alle strade ferrate, eccetera. Questo volevo dirvi prima, ma, per senso di delicatezza, non lo dissi ma aspettai fino ad ottobre. La Congregazione, vivendo di carità, sente più che mai gli effetti della crisi; quindi attenti! (Par. V,231).
Vedi anche: Automobile, Economia, Vacanze.
Vigilanza
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Come già sai e come pure ho detto in Cappella, io non sono affatto contento di alcuni che sono alla Moffa – verso di essi ti prego e supplico di esercitare speciale vigilanza e di allontanarli senza remissione, affinché Dio non abbia da punirti come ha fatto con il Sacerdote Eli, per quella mal–intesa tolleranza, che portava al male. La vigilanza è un dovere e una necessità e il sapere allontanare a tempo chi, dopo ripetuti avvertimenti, non fa bene, è pure un dovere (Scr. 3,381).
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Vedi di nutrirti, perché sei cresciuto troppo presto; sta attento però a mortificarti e a vigilare su di te e a pregare molto Cerca di essere un grande e vero amante di Dio e fa di Dio il tuo solo e stabile bene e vigila su di te e non permettere che quanto vi ha in terra sottragga mai neppure un minuzzolo dell’amore tuo pienissimo che solo deve appartenere a Nostro Signore. Sii pieno di fraterna carità verso gli altri, pieno di diffidenza verso te stesso (Scr. 8,5).
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Molte volte non si ottiene che poco o nulla, perché oltre i pregiudizi che i giovani già hanno sul conto nostro, hanno pure, talora, dei veri motivi di diffidare: noi siamo poco sinceri con i giovani, pecchiamo spesso di insincerità, ed è grave sbaglio. Vigiliamoli poi i giovani, vigiliamoli sempre, ma ricordiamoci che la nostra vigilanza non deve pesare, non deve opprimere né soffocare né dobbiamo tenere i giovani come sotto uno strettoio, come sotto una campana di piombo. No! Questo non è sistema preventivo, ma repressivo e odioso. Noi siamo religiosi e non dobbiamo fare né le guardie di pubblica sicurezza, né gli aguzzini, né gli sbirri con i giovani. La nostra vigilanza deve essere come la luce, che penetra per tutto, ma che non pesa: illumina, rischiara il cammino, ma non pesa (Scr. 20,92).
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Molto dipenderà l’avvenire dell’Istituto dalla disciplina, dalla nettezza e pietà e dall’esito negli studi. 10/ Poi entriamo in primavera: periodo pericoloso per la moralità: attenti: vigilate: raccomandate la frequenza dei santi sacramenti. Fate che non stiano oziosi o fermi (Scr. 24,44).
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Bisogna che noi stiamo molto vivi nello spirituale e mortificazione di noi e fervorosi nella vita di religione e nella orazione vigilanti, perché se anche gli Apostoli fuggirono, quando venne l’ora della potestà delle tenebre, perché non pregavano, che sarà di noi se non pregheremo e non staremo vigilanti nella vita di religiosi? Curate che codesta Casa sia di gloria di Dio: che ci sia in tutti la S. grazia di Dio e l’osservanza religiosa e la disciplina nell’amore di Dio (Scr. 25,85).
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Vedete voi in bel modo se ci fosse qualche cosa di vero nei miei dubbi, di vigilare di più, di fidarvi di meno, di curare di più le vocazioni senza farvene accorgere e senza demolire gli altri. Io ai cambiamenti repentini ora che ho i capelli grigi credo più poco: essi avvengono e mi auguro che la SS.ma Vergine della Catena faccia il miracolo, ma andiamo adagio a metterli sul candelabro per non avere delle sorprese poi troppo dolorose o dei disastri morali. Fate che siano anche i primi nella pietà e mortificazione della vita cristiana Vi raccomando ciò tanto tanto e di vigilare senza fidarvi mai di nessuno, se non quando siano morti: finché son vivi, non bisogna fidarsi di questi caratteri (Scr. 25,134).
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Vi scrivo questo non per il bisogno che ne avete voi, o miei carissimi figli, ma per il bisogno che sento che un grande amore penetri e si vada sempre più dilatando nelle nostre file e in tutti che si avvicineranno a noi. Così con i vostri cari figlioli siate la vera immagine di Gesù tutto carità. Vigilate e siate assai esigente in fatto di moralità e di sincerità, ma con grande amore di Dio e degli uomini (Scr. 30,39).
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Anche nella solitudine di S. Alberto, badate che siete in mezzo ai pericoli e il demonio con le sue tentazioni arriva fin lì, perché, permettendolo Dio, quel brutto nemico arriva dappertutto. Dovete dunque vigilare e fare orazione e non fidarvi mai di voi: dovete erigere nel vostro cuore delle mura impenetrabili, delle mura di fuoco, dentro le quali non possa penetrare altro che le spirito di Dio che è santo fuoco di dolcissimo amore di Dio e delle anime (Scr. 30,154).
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Dobbiamo dunque combattere da valorosi soldati di Gesù Cristo; e, a forza di penitenze, di mortificazioni, di preghiera, di vigilanza sopra noi stessi, di assiduità all’orazione e di umiltà, resistere al demonio, al mondo, alle passioni e lottare sino al sangue, fidati in Dio, pur di essere fedeli alla santa vocazione eremitica e rendere frutti di opere buone; poiché ha detto il Signore che «ogni albero che non porterà buon frutto, sarà sradicato e gettato al fuoco» (Scr. 30,216).
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Il giovane deve sentire affetto e stima dei suoi superiori e poi si conduce dove si vuole. E il giovane deve anche sapere e sentire di essere amato e stimato e vigilato con affetto, ma vigilato sempre e non avvilito mai: non mortificato davanti agli altri, se non in casi eccezionalissimi e per togliere il mal esempio (Scr. 32,9).
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E che vogliamo essere noi e che dobbiamo essere se non questi lapides sancti, che s’elevino dalla terra per essere e formare, tutti uniti, il tempio vivo della Divina Provvidenza nella Chiesa di Gesù Cristo? Ma, per essere tali, dobbiamo evitare tutto quello che indebolisce la nostra volontà nel bene, dobbiamo vigilare e pregare e con atti di umiltà, con atti risoluti, dobbiamo confermare ai piedi di Gesù Signor nostro i santi propositi della sublime vocazione con la quale ci ha chiamati. Questa, o figliol mio, è la via eterna di cui parlano i Salmi: la via della pace del cuore e della gloria eterna (Scr. 33,7).
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Per salvaguardare i nostri alunni dai lupi e crescerli a vita onesta e veramente cristiana, ricordo che una delle nostre regole principali e proprie del nostro sistema di educazione è quella di tenere i giovani sempre sott’occhio e di non lasciarli mai e poi mai soli né dì né notte, ma questa vigilanza dovrà essere esercitata quasi in modo che essi non se ne accorgano, onde ogni buon assistente dovrà fare suo, per quanto si riferisce alla vigilanza assidua, questo canone dato per l’arte: «l’arte che tutto fa, nulla si mostra»: vigilare, pedinare, seguire sempre e dovunque i giovani senza mostrarsi, senza farlo intendere. Essi non devono mai pensare che noi abbiamo diffidenza, ma che li amiamo, che li stimiamo (Scr. 51,30).
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Si debbono fuggire i pericoli e fino le apparenze dei pericoli. Nessuna vigilanza è soverchia quando si tratta di custodire la santa virtù. Non si facciano visite inutili né in patia, né presso parenti, né presso gli amici del secolo. Non si accettino inviti di pranzi, non si facciano viaggi senza grave necessità e specialmente non si vada a passare il tempo delle vacanze in casa dei parenti (Scr. 52,34).
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Tutte le virtù, miei figli prediletti, voglio che siano da noi praticate, ma quanto alla bella virtù, alla purità, voglio che sia la virtù speciale nostra e per questo vi esorto alla Comunione quotidiana, alla devozione filiale alla Madonna, alla preghiera, alla fuga da ogni relazione pericolosa e alla mortificazione. Vigilanza, vigilanza, vigilanza su di noi e su gli altri vigilanza paterna, o sacerdoti, ma rigorosa, esatta, continua: in fatto di modestia non si transiga, non si transiga, non si tolleri: o correzione o espulsione. Nessun tratto famigliare anche innocente e sopra tutto o cari miei, diamo buon esempio, diamo buon esempio, diamo esempio (Scr. 52,35).
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Vi raccomando l’unione nella carità di nostro Signore e la buona vita religiosa e il buon esempio e la vigilanza e lo zelo nel fare del bene sia in Chiesa che nell’oratorio – Io non sono malcontento di voi, ma siccome dove vado io porto con me il fardello dei pensieri e del lavoro che si riferisce anche alle altre Case, così vi prego di non lasciarvi divagare dalla via della vita interiore e spirituale del mio movimento (Scr. 52,185).
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La rilassatezza subentra quando viene meno la vigilanza e si lascia che tutti facciano a loro stancheranno e se ne andranno e i cattivi o rilassati finiranno di rovinare la Congregazione: pensate meno alle monache e di più a curare l’osservanza religiosa e ad esigere assolutamente che ci sia spirito di indipendenza di umiltà, di sacrificio e di povertà (Scr. 68,158).
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Le Famiglie cattoliche della Provincia di Messina e delle Calabrie avranno così, lo speriamo per l’aiuto del Signore, nel Pensionato Contardo Ferrini, un Convitto sicuro per Religione e bontà di costumi: per paterna vigilanza nella disciplina e negli studi, cui poter affidare tranquillamente il tesoro dei loro figli (Scr. 107,110).
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Bisogna fuggire le occasioni, bisogna vigilare; e non bisogna essere balorde, bisogna stare attente! State attente! Non ricevete regali da nessuno, fossero anche fazzoletti con le iniziali, niente! niente! Non si accetta niente; bruciate tutto, bruciate tutto, qualsiasi ricordo; basta che non bruciate la vostra anima, mortificate i sensi; fuggite quelle persone che possono essere di pericolo alla vostra anima! (Par. II,60–61).
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Una raccomandazione speciale vi faccio prima che entriate nel clima particolare di questi Esercizi Spirituali. Entrateci con nel cuore quel sentimento che viene chiamato il timor di Dio; il grande dono dello Spirito Santo. Esso corrisponde in pratica alle parole di Gesù: Vigilate et orate ut non entretis in tentationem. Gesù ci raccomanda di non andare con le massime del mondo, ci esorta a disprezzare il mondo, le sue teorie, i suoi falsi insegnamenti. Essi costituiscono il più grande pericolo per un’anima, se questa vi si adagia tranquillamente, uniformando ad essi la propria mentalità, la propria condotta (Par. V,88a).
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In mezzo a voi c’è qualcuno che non fa il suo dovere; c’è qualcuno di voi che sul lavoro ha dato qualche occhiata a qualche ragazza; c’è qualcuno di voi che fa ridere il diavolo. Guai! Guai! Ah, queste ragazzacce! Ma anche voi da parte vostra, se non coopererete e non metterete la vostra parte, cioè se non vigilerete attentamente su di voi stessi, vi dannerete. Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te; non ti salverai se non corrisponderai! Lo sapete! Vigilate, dunque, sopra di voi stessi; vigilate sopra di voi stessi! Questo che vi ho detto mi ha fatto grande dispiacere, tanto più che tale cosa m’è stata riferita da due buone signore coscienziose e sante (Par. V,173).
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Vedete, siete qui in mezzo ai pericoli; so che qui intorno avete delle persone che sanno di poco spirito cristiano; ma voi dovete vigilare su di voi stessi. La primavera è una stagione molto propizia al demonio. La dissipazione è causata dalla poca unione con Dio, dalla poca preghiera e dal poco silenzio, dalla poca occupazione. Vigilate et orate. Dalla dissipazione al peccato, breve è il passo. Dovete vigilare sui vostri sensi e non soffermare il vostro sguardo su ciò che può cagionarvi pericolo all’anima. Vigilate, vigilate, pregate, siate modesti, regolatevi in tutte le vostre cose e soprattutto pregate perché siamo anche nella stagione in cui si fanno più sentire le malnate concupiscenze (Par. VI,61).
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Cari i miei chierici, la lettura di San paolo mi dà l’occasione stasera, di raccomandarvi di vigilare sulle vostre parole e di vigilare sui vostri discorsi. Io non voglio supporre che si trascenda così nel parlare da fare discorsi inverecondi e osceni; mi pare che sarebbe un offendervi. Quando il Signore dice: Vigilate, raccomanda anche di avere molta attenzione alle parole, ai discorsi, ai modi di dire. Quante volte la lingua ci porta a dire parole, ad uscire in certe frasi, in certe espressioni che disdicono e sconvengono e che, essendo sconvenienti per il cristiano, tanto più lo sono per un religioso. E di questi modi di dire, di queste espressioni e di certe parole non devo tacere che, più d’una volta ne ho colte parecchie sul labbro di qualcuno. Saranno parole volgari, paradossali e Dio non voglia, qualche parola equivoca, di doppio senso; altre volte saranno espressioni di malcontento e qui mi fermo (Par. IX,505).
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Cari miei figlioli, vi raccomando di vigilare sui discorsi. Vi raccomando di vigilare sui discorsi di quelli che hanno poco spirito religioso e poco spirito di disciplina religiosa, da quelli che hanno sempre una parola pungente, che hanno sempre da fare delle maldicenze e spargono il malumore. E site molto delicati nel parlare. Non siate dei ricercati, ma non fate neppure dei discorsi che siano sconvenienti al santo abito che portate e al magistero e ministero che vi aspetta. Ora siete giovani chierici; domani sarete anziani e, se piacerà al Signore, sarete sacerdoti anziani. Ricordatevi di quello che sta scritto nelle divine scritture: Adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non recedet ab ea. Le vostre abitudini diventeranno pieghe; le pieghe diventeranno crepe; le scrinature diventeranno spaccature quando sarete vecchi. Vigilate, vigilate su voi stessi! Vigilate sui discorsi, vigilate sulle parole, sui motti, sulle conversazioni e guardatevi da quelli che sono volgari e bassi nel parlare. Corrumpunt bonos mores colloquia prava! (Par. IX,506).
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Vigilare e pregare. Entrando, ormai, con la stagione nei giorni tiepidi e quasi caldi della primavera, bisogna in modo particolare vigilare e pregare: vigilare sui pensieri, sulla fantasia, sugli sguardi. Vigilare, vigilare! Ricordiamo l’antico detto: Principiis costa: I principi del male sono i pensieri, la fantasia e soprattutto, gli sguardi. Bisogna pregare, raccomandarsi spesso alla Vergine Santissima, ed essere pronti a cacciare ogni pensiero cattivo, come sareste pronti a cacciare una favilla di fuoco dalle vostre mani. Pronti, pronti nel mortificare gli sguardi, che sono le finestre per cui entra nell’anima il male. Basta una scintilla per provocare un grande incendio: lo diceva uno scrittore antico e il nostro poeta Dante ha tradotto: parva favilla gran fiamma seconda. Una gran fiamma tiene dietro spesso a una piccola fiamma! Una piccola scintilla e un vento di fantasia che l’agiti, provocano un grande incendio. Vigilare, vigilare, reprimere, reprimere e pregare, pregare, pregare, per rendersi così meno indegni della grazia della vocazione e prepararsi con l’aiuto del Signore a fare quei passi che la Chiesa, la Congregazione dispongono forse fra non molto, di concedere a parecchi di voi (Par. X,149).
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Non mandar fuori il personale se non per un vero bisogno, per ufficio o ministero; vigilate su quei chierici che vanno per servizio nelle Chiese. Attenti che il personale non frequenti altri religiosi. I confessori siano possibilmente della Congregazione, quando non si può, aprir bene gli occhi e consigliare qualcuno (Riun. 13 agosto 1915).
Vedi anche: Corrispondenza, Direzione spirituale, Sistema paterno–cristiano.
Vita religiosa
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Sopra tutto desidero vi sia tra di voi grande vincolo di carità: grande spirito di disciplina e di unione e grande osservanza nella vita religiosa. Fate tutto con carità, ma con decisione. Vegliate, amate in Gesù Cristo Crocifisso, sopportate, perdonate e pascete le anime dei Religiosi a voi affidati con la soave e deliziosa pastura della carità e umiltà. Siate aperto nemico dei vizi, ma medico dei viziosi: vigilate e pregate e cercate nel Cuore di Gesù tutti i mezzi per ridonare ai nostri una sanità spirituale e religiosa vigorosa: la vita religiosa (Scr. 1,97).
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Io non posso più permettere che i nostri Sacerdoti si trovino isolati, senza fare vita religiosa, come avviene di Don Contardi. Per quanto faccia del bene, non si deve fare così. E quindi desidero che egli rientri a far parte di una nostra Casa e viva sottomesso da Religioso, e faccia la vera vita religiosa con gli altri e come gli altri, se no presto la Congregazione andrà in sfacelo. Parlate in questo senso alla Sig.ra Anchorena: dobbiamo, prima di tutto, non svanire noi di spirito, né disperdere le nostre forze né perdere lo spirito religioso. E si accettino solo fondazioni da poter formare Casa Religiosa, e vivere la vita di buoni e veri religiosi. Dove ciò non è possibile, bisogna subito o al più presto ritirarci. Siamo dunque ben intesi. E poi dico a voi, riservatamente, che bisogna, possibilmente, essere in Case nostre, cioè di nostra proprietà perché la Congregazione prenda consistenza e forza; finché saremo e ci sentiremo in casa d’altri, dovremo sottostare sempre più o meno alle direttive di gente estranea che comanda, che ci sfrutta, e che ci vuol governare e far camminare a modo loro, e che finirà di storpiare la vita nostra religiosa, sacrificandola alle loro esigenze, e deviandoci dal nostro spirito (Scr. 1,98).
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Dove non c’è spirito di orazione, dove non c’è pietà, dove non c’è fervore di vera vita religiosa, c’è da aspettarsi catastrofi, scandali e diserzioni. Questo tenetevelo bene in mente, quale criterio direttivo per regolarvi. La presente è anche per P. Cesare al quale la farete leggere: non si ammetta mai ai Voti né a rinnovare i Voti né si dia l’abito, se non a chi ha dato prova di pietà soda, di umiltà, di spirito di sacrificio e di orazione, e sia di vita illibata (Scr. 1,274).
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Le Case vanno come vanno, e parecchi fanno un po’ come vogliono, senza regola, senza nerbo di disciplina, senza un Superiore. È inutile, cari miei figliuoli, questa impressione si è andata, pur troppo, allargando e va diventando l’idea anche di persone che ci erano e ci sono amiche; (come quelli della Card. Ferrari) bisogna dunque stringere di più e mettere a posto la vita religiosa di parecchi, i quali non fanno vita regolare, disciplinata, veramente non da buoni Religiosi, ma vivono come a loro talenta, e sanno di poterlo fare, perché sanno di trovare molle le redini del governo della Congregazione, e così per gli studi (Scr. 1,280).
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Avere in Congregazione dei lunatici, dei salutisti, dei religiosi che sono religiosi solo fin dove loro piace metà sì e metà no, meglio è non averne affatto, e dobbiamo pregare Dio che tenga lontani da noi tutti quelli che cercano l’apparenza non la sostanza della vita religiosa. Io avevo sperato, o miei carissimi figliuoli di Terra Santa, che anche fra di voi non avrei avuto a lamentare mai alcuna mancanza di spirito e di vita religiosa. Ma, pur troppo, appena ritornato dall’America, e poi ultimamente dalla lettera che ho ricevuto dallo stesso Patriarca di Gerusalemme, ho dovuto con profondo dolore sentire che fra di voi non tutti sono di quello spirito di Dio, non tutti siete di tale vita e condotta religiosa da rendermi soddisfatto e da farmi contento. Che dispiacere ho provato e che pena mi fate soffrire! (Scr. 4,259).
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Animare tutti e ciascuno alla osservanza della vita religiosa e a vivere dello spirito di fede, di umiltà, di carità, di lavoro, di semplicità, di povertà, di illibatezza, di obbedienza, di sacrificio, di grande amore al Papa, ai Vescovi alla Chiesa, ai piccoli ai poveri – spirito proprio della nostra Congregazione. Raccomandare sia ai Direttori che ai Sacerdoti e Chierici che diano in sé stessi exemplum bonorum operum in omnibus: in doctrina, in integritate, in gravitate, in caritate. Avvertire i Direttori che non propongono per le Sacre Ordinazioni, se non quei chierici a) che hanno i voti, b) che hanno dato prova positiva di buono spirito, c) e che danno certezza morale di dare alla Chiesa e alla Congregazione Sacerdoti esemplari e degni (Scr. 5,492).
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Voi occupate una gran parte del mio cuore, e perciò vorrei che, altro a coltivare la mente, vi deste con grande impegno a raggiungere la perfezione della vita religiosa. Non esigo già che voi altri diventiate perfetti ad un tratto, (nemo repente fit summus), ma che, con buona volontà e con l’osservanza esatta della Regola, e con un fervore che sovra ogni altro vi distingua, vi diate a coltivare più intensamente in voi la vita dello spirito, e lo spirito abbiate sempre più deciso, e un amore più dolce e più forte alla nostra cara Madre la Congregazione (Scr. 26,141).
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Io sopra tutto desidero che in codesto convitto si compiano le pratiche di pietà, e quanto è proprio della nostra Congregazione e della vita religiosa in comune, e che davvero, dopo questi S. Esercizi, fioriscano nelle nostre Case lo spirito di pietà e la vita ritirata e religiosa. A questi criteri si informa la risposta che ho inviata a codesta superiora del Carmelo. Se non si può prima fare il nostro dovere, anche ci dessero mille lire al giorno, non si deve accettare, neanche in via provvisoria. La Casa di Sanremo ha avuto dei periodi gloriosi di vita religiosa, ma purtroppo, l’esserci gettati troppo fuori ha affievolita la pietà e ne vennero di conseguenza i dolori più profondi, come quelli dell’anno scorso che hanno aperto in me una piaga non così presto marginabile. Se ci fosse stata la vera vita di religione e di comunità e più vita di casa, quello che avvenne non era possibile, o si sarebbe a tempo scoperto e provveduto (Scr. 28,67).
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La base più solida per ottenere buoni risultati per la nostra vita religiosa, per la nostra santificazione e pel buon andamento delle Case e della nostra umile Congregazione è promuovere in noi e negli altri uno spirito ardente di soda pietà (Scr. 28,104).
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Non puoi immaginare la felicità che io provo nel pensare che, tra qualche settimana, tu andrai a rendere felice e a prolungare la vita di tua mamma. La vita religiosa che, secondo alcuni, i quali non la comprendono, o non la sentono, non la vivono quale essa è, quale essa debb’essere,– la vita religiosa, dico, che agli occhi de’ mondani ha la parvenza di alienare l’anima dei figli dai genitori, è, invece, quella che unisce più strettamente i figli ai loro cari, e trasforma ciò che, nei più dolci affetti di famiglia, vi può essere di umano e di sangue – in santo e spirituale e soavissimo amore (Scr. 31,216).
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Lasciamo le parrocchie, per quanto è possibile, al clero secolare, e noi stiamo alla vita religiosa. Ho sempre sentito dire che quando un religioso diventa parroco, per forza di impegni esterni o per affievolimento di spirito di vocazione, diventa poi un essere a sé, e si fa indipendente dai Superiori, e trascura la vita e la osservanza religiosa: non più povertà, non più obbedienza, non più vita di comunità. Anzi nessuno più li comanda, diventano individui inamovibili, e ossa slogate quasi fuori del corpo morale della Congregazione. Quindi, se appena appena si può evitare, si eviti che la nostra chiesa diventi parrocchia, e nessun nostro religioso diventi mai parroco, ma sia solo e sovrattutto buon religioso (Scr. 32,109).
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Fra tutti i pericoli della vita religiosa, il più insidioso è quello che consiste nell’uso esclusivo del proprio raziocinio. Invece di seguire il vostro sentimento e giudizio, prendete invece a guida la volontà di Dio nell’obbedienza ai vostri Superiori, nell’umiltà a imitazione di G. Cristo e della Madonna, e nella carità fraterna tra voi e usate coi giovani molto compatimento (Scr. 34,5).
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Riferendomi alla tua, vedi che il Signore diede i consigli evangelici per aiutare la nostra tiepidezza e debolezza; quindi non ti spaventino le tue miserie: la vita religiosa ti sarà di grande aiuto a vivere nella purezza e nella santità. Per eleggere lo stato religioso, poi, non fa bisogno che tu chieda consiglio a questi o a quell’altro; San Tommaso dice che sarebbe un tranello del diavolo; non occorre chiedere consiglio agli uomini, quando il consiglio è già dato da Gesù Cristo. L’andar in Religione è cosa evidentemente buona, che non ha bisogno né di lume né di consiglio; né è necessario un miracolo, basta che Dio ti parli interiormente per la via della mente e del cuore. E, ordinariamente, Dio chiama alla vita religiosa non già chi è perfetto, ma chi desidera, (col divino aiuto, e togliendosi dal caos di questo mondo, e da mille inganni e occasioni quotidiane di peccato), di diventare perfetto. Dirò di più, caro mio Renzo: se noi desideriamo sinceramente di uscire dalle nostre imperfezioni, di amare Dio e la sua Chiesa senza misura, e di consacrarci tutti, e con voto, a Gesù Cristo e al suo vicario in terra, è segno che siamo chiamati alla vita religiosa (Scr. 47,137).
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La chiamata di Dio a vita religiosa, cioè di maggior perfezione, è certamente una delle più grandi grazie che Dio può fare ad un’anima – ringraziamone insieme il Signore, e invochiamo il suo aiuto e la assistenza della nostra celeste Madre. Ostacoli e battaglie ci saranno, ma fidando in Dio e in Maria SS.ma vinceremo ogni difficoltà, ogni battaglia. E seguiremo Gesù Cristo e Cristo crocifisso con animo magnanimo, e serviremo in umiltà e fedeltà la sua Chiesa, usquem ad mortem! Con Gesù e per Gesù e ai piedi della sua Santa Chiesa, da figli umilissimi, troveremo, caro don Domenico, la più grande pace interiore e batteremo la strada della più alta vita spirituale, nel rinnegamento di noi stessi, e portando la nostra Croce dietro Nostro Signore, in umiltà, nel silenzio, nella santità della vita, povertà e carità grande (Scr. 47,247).
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Noi dobbiamo amare teneramente la Regola, e portarle il più rispettoso ossequio e la più diligente e scrupolosa osservanza. Dobbiamo amarla la Regola e osservarla in tutto, ma sovra tutto nelle pratiche quotidiane di pietà e di vita religiosa, come la osservò e come la amò San Giovanni Berchmans, che in punto di morte, pieno felicità, se la fece dare, e stringendosela al cuore poteva esclamare: questa è la mia massima penitenza: ecco la mia vita e il mio grande amore! Cercate, o carissimi miei figli, che entri in codesta benedetta Casa di Mar de Espanha un soffio più vivo e più fresco di vera vita religiosa, di vera vita da figli della Divina Provvidenza: una vita più di spiriti umili, più di povertà, più di pietà, vita più di fraterna carità sia in Casa che fuori di Casa (Scr. 51,86).
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State in guardia, cari miei sacerdoti, che tra di voi non ci sia chi, insofferente di disciplina e della vera, umile e santa vita religiosa, lavori subdolamente e con sottile scaltrezza a togliere l’unione dei cuori e la pace della vita religiosa disseminando zizzania nei vostri cuori, e tutto con finzione e apparenza di zelo per il bene della Congregazione. Ma Dio punirà ogni doppiezza e ipocrisia e non benedirà chi vuole sottrarsi alla umile dipendenza del legittimo superiore, per mettersi lui in una posizione orgogliosa di indipendenza onde soddisfare alla sua vanità e ambizione (Scr. 52,118).
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Fondamenti della vita religiosa. Vita comune, Obbedienza, povertà, Castità e custodia dei sensi, Carità fraterna rinnegazione di sé. Cura della vita interiore. Spingersi alla piena rinnegazione di sé stesso, abbraccio d’ogni croce. Procurarsi il massimo disprezzo per amore N. Gesù Cristo. Rendersi indifferente a qualsiasi cosa che accada, e che sia mandata dalla Divina Provvidenza. Unione della volontà nostra col beneplacito di Dio, in modo che per la forza della carità si formi un solo spirito con Lui. I Della pietà, dell’orazione e Santa Meditazione. 3 Ufficio divino e della Madonna. Rosario – 4 Uso del SS.mi Sacramenti e S. Messa. 5 Esami di coscienza rendiconto. Visita al SS.mo Sacramento – Ritiro mensile – Usanze religiose (Scr. 70,301).
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La vita religiosa, o figliuol mio, come, del resto, la santità, consiste nell’annegazione del nostro proprio giudizio e nella perfetta obbedienza ai Superiori, nel gusto di essere contraddetti e umiliati per l’amore di Gesù Cristo. Credi, non c’è altra virtù né altra santità che nell’annegazione e dell’umiliazione e nella carità. Et quod sanctum non est, nihil est (Scr. 71,101).
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E, come bisogna sforzarci di pregare, così bisogna sforzarci di acquistare lo spirito di obbedienza, elemento essenziale della vita religiosa, la quale vuol essere vita di perfezione o non è più vita religiosa né di vere virtù. Ricordiamo ciò che scrisse Sant’Agostino: L’obbedienza è la madre e la guardiana di tutte le virtù (Trat. XI). S. Gregorio Magno: L’obbedienza conduce al possesso di tutte le altre virtù e tutte le conserva. (Moral. 1–35). S. Bonaventura: “Tutta la perfezione religiosa consiste nella soppressione della propria volontà, vale e dire nella pratica dell’obbedienza”. Così che, se noi praticheremo con perfezione l’obbedienza, possiamo essere sicuri di praticare, o miei cari tutte le altre virtù (Scr. 118,101).
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Senza slancio nel bene, senza fervore e generosità, a che si ridurrebbe la vita religiosa? Rianimiamoci, dunque, o carissimi, ed edifichiamoci fraternamente con ogni buon esempio, mentre le nostre file vanno diventando più numerose di quello che noi stessi credevamo; corrispondiamo con fedeltà, con cuore grande, con pietà grande alla celeste vocazione cui fummo chiamati. Rivaleggiamo santamente tra di noi a chi avrà amato di più il Signore, la SS.ma Vergine, la Santa Chiesa e le anime. Gareggiamo nella pratica delle virtù, nell’osservanza dei santi voti e a chi avrà fatto maggior bene, a chi avrà diffuso di più l’amore al Papa ed alla Chiesa, che è proprio in noi il primo, il supremo amore della nostra vita, poiché amare il Papa, amare la Chiesa è amare Gesù Cristo (Lett. II,360).
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Non ho il tempo di farvi un discorso, ma un pensiero sento di dovervelo dire, tanto più che Croce e Vita Religiosa sono due cose che formano una cosa sola. Gesù ha detto a quelli che vogliono seguirlo, che vogliono essere della sua scuola: Chi vuol venire con me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Dunque vuol dire che vita religiosa e croce sono una cosa sola, perché, in fin dei conti, cosa è la vita religiosa? È seguire Gesù più da vicino, sacrificandosi con lui e per lui. Per le persone del secolo basta seguire i precetti per salvarsi; ma per le persone religiose è necessario seguire i consigli evangelici, perché farsi religiosi vuol dire imitare Gesù in modo più perfetto (Par. I,82).
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La vita religiosa è detta per questo vita di perfezione e in questo si distingue dalla vita dei buoni cristiani. I buoni cristiani hanno l’obbligo di osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, fare vita cristiana e fare ciò che ha ordinato Gesù Cristo. Invece la vita religiosa, oltre al dovere che tutti hanno di osservare la sacra legge di Dio, esige di fare un passo avanti, seguire più da presso Gesù, non solo nei comandamenti che egli ci dà, ma anche nei consigli evangelici, povertà, castità e obbedienza (Par. II,220).
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Ieri vi ho detto qualche cosa sull’impegno che deve esserci in ciascuno perché qui si viva la vita religiosa. Don De Paoli vi disse che l’unione dei cuori si ha quando tutti sono impegnati a praticare fervorosamente le Costituzioni, a mantenere il silenzio, quando tutti si compatiscono a vicenda. Egli non poteva dirvi cosa più grande. Una Casa dove tutti siano impegnati ad osservare con spirito buono la vita religiosa, è un piccolo Paradiso. Quando in una Casa uno non tira bene, capita come quei carri che hanno una ruota che cigola. Tutta la Casa sente il disagio morale. Sicuro! Nessuno sente di più il disagio di quelle anime che non seguono generosamente Gesù Cristo. Una Congregazione languida, tiepida, rilassata è come un inferno. Dove c’è invece lo spirito di docilità, di obbedienza, di amor di Dio, in quella Casa si respira un’aria soave, come di paradiso (Par. V,218).
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Vorrei che, uscendo dagli Esercizi, attendeste molto alla vostra vita religiosa! Noi non siamo preti secolari qualunque, o chierici qualunque; noi siamo religiosi. Ciò che può bastare per un prete secolare non può bastare per noi. Voi siete diversi da loro, voi che vi proponete di fare vita religiosa. Ci deve essere un grande spirito di unione; non di uno spirito di corpo né di veder male gli altri, no; ma “cor unum et anima una”, tutti per uno e uno per tutti. Tutte le membra sono collegate per formare il corpo dell’uomo; così noi dobbiamo essere collegati per formare il corpo della Congregazione (Par. VI,153).
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L’amore di Dio è principio di una buona vita religiosa. Com’è bello dove c’è vita religiosa! In tutte le Case ci sia lo spirito, e dove ce n’è bisogno, farlo rinvigorire. Stare attenti all’ordine, che si osservi da tutti. L’anima riposa e si alimenta nel silenzio. Aleggi in tutte le Case l’ordine, lo spirito religioso. Quante vocazioni alla Congregazione! Osservate l’orario e le regole. Quel che è di uno è di tutti. Anche spiritualmente avere la pace dei cuori, serenità di coscienza, e quello che è aiutato da spirito religioso fa tutto ex corde. I borghesi sentono quando un religioso non vive la vita, non palpita lo spirito della vita religiosa. Bisogna dare alla vita nostra e alla Casa la vita serena della famiglia religiosa (Par. VI,295).
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Com’è bella la vita religiosa, la vita di Congregazione quando si sta uniti nell’amore e nella grazia! Tra i grandi favori che Dio ci ha dato, questo è il più grande! San Tommaso dice che, dopo il battesimo, la vocazione allo stato religioso è la grazia più grande; altri saranno canonici; saranno vescovi; saranno anche Papi; ma, noi religiosi, abbiamo una grazia che non hanno nemmeno loro; la grazia della vocazione religiosa. La vita religiosa vuol dire vita più perfetta, vita di grande carità, di spogliamento di tutto e rinuncia di noi stessi (Par. XI,40).
Vedi anche: Orario, Pratiche di pietà.
Vitto
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Vedi – che il ch.co Mogni non sta bene, lo trovai a letto; ho saputo non da lui, ché lui suole tacere, ma da altri che avuto sputi di sangue. Sai che ha sempre un dolore alla spalla. Fa’ che abbiano lui, Nicola, Santella, un vitto molto, molto sostenuto, se no finiranno male e li porteremo sulla coscienza. È gente che non bada a lavorare e che si spende: la Congregazione non spende mai troppo per chi si spende per essa. Oltre al vitto più sostenuto e ad una vera supernutrizione, abbiano uovo con latte il mattino e latte caldo con uovo sbattuto a merenda. E fa che sia subito, da non arrivare troppo tardi (Scr. 23,210).
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Riferendomi a nota di vostra signoria ill.ma N. 1895 del 21–3–1927, assicuro che, in pieno adempimento di essa, fu ripulita e imbiancata l’aula destinata a studio: fu rinnovato e riparato l’arredamento della medesima: gli alunni per lo studio furono distribuiti in due aule: fu rinforzato il voltaggio delle lampadine elettriche. Il vitto venne migliorato, reso più abbondante ed accurato e anche a cena, oltre pane e minestra a volontà, gli alunni hanno pure la pietanza. Non abbiamo più alunni a pensione – propriamente detta: prendiamo quello che le famiglie o gli enti pro orfani possono dare: la grande maggioranza è mantenuta con mezzi caritativi; e i nostri giovani stanno tutti bene e contenti (Scr. 38,247).
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Chi vuol farsi della Piccola Opera, deve fare il suo noviziato e poi, se sarà approvato e il novizio sentirà che quella è la sua vocazione, sarà ammesso ai voti religiosi. Essi sono ad annum, per tre anni e poi perpetui e sono i soliti tre voti. Trattandosi per la levata, che è alle 5 da tutti i Santi a Pasqua e alle 4 da Pasqua ai Santi. Il vitto è caffè o caffè e latte (a piacere), il mattino; a pranzo e cena: minestra vino, pietanza e frutta, da figli della Divina Provvidenza (Scr. 43,264).
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Vi ringrazio della fiducia che dimostrate verso questa povera casa, sì, è proprio la grande e Divina Provvidenza di Nostro Signore che in modo mirabile fa camminare questa Opera che è tutta sua e dà vitto e vita spirituale e istruzione a tutte queste centinaia di ragazzi (Scr. 54,170).
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È mia espressa volontà che il vitto debba essere semplice e sano e in tale abbondanza da sostenere le nostre forze, ma conveniente a chi ha fatto, o dovrà fare, voto di povertà. Si escluda perciò tutto quanto è ricercato o superfluo. Non si prenda nulla fuori di pasto. Nel vestire si sia puliti, puliti sempre, ma non ricercati: siamo i veri, poveri figli della Divina Provvidenza (Scr. 66,369).
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In codesta Casa si curi in modo speciale la mortificazione dei sensi e della volontà e ciascuno cresca nella mortificazione della gola e viva in sobrietà; ma nel vitto non vi deve essere mancanza del necessario e si deve usare prudenza da ciascuno da non mortificarsi talmente da indebolirsi di soverchio le forze. È mia volontà risoluta che ci debba essere pane sano e minestra ben fatta a volontà. A Colazione si prepari caffè e latte o almeno caffè, od altro da prendersi con il pane. A pranzo vi sia oltre la minestra pietanza e la frutta o formaggio e a cena lo stesso. Il vino limitato, a misura discreta (Scr. 84,169).
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Dobbiamo accettare la povertà! Ci sono di quelli che amano chiamarsi poveri e non accettano i disagi della povertà. Tante volte non avrete il vitto che vi piacerà, non avrete quello che voi desiderate. Dovete ricordarvi che avete fatto voto di povertà, che dovete avere spirito di povertà. Mia madre mi dava polenta crotta, cioè sola, tenetelo bene a mente; era polenta schietta e se si facevano capricci, dava il companatico, senz’altro (Par. II,104).
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Quando si viaggia, prendete possibilmente alloggio e vitto nelle case di altre religiose, non andate in alberghi. In caso di viaggi portare le cose puramente necessarie e spedite tutto il resto a piccola velocità. Quando si viaggia e si deve mangiare in treno, state attente. Una volta mi è capitato di vedere delle suore in viaggio con tante valigie; avevano la bottiglia del caffè caldo e tante altre cose e poi una di loro stese una tovaglia e misero fuori un cappone e misero fuori altro e i borghesi guardavano... Attente, attente! (Par. II,106).
Vedi anche: Gola, Mortificazione.
Vocazione
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Noi dobbiamo anzi tutto, umiliarci e ringraziare il Signore, e poi dobbiamo prontamente metterci nelle sue mani con umiltà e generosità; dobbiamo ravvivare in noi la grazia e lo spirito della nostra vocazione: dobbiamo, con il divino aiuto, fare santi propositi, che vengano dal profondo del cuore: dobbiamo, in una parola, corrispondere con fervore e fedeltà alle misericordie di Dio sopra di noi. E così unirci di più a Dio, e specialmente con l’orazione, con più profondo spirito di pietà e di disciplina religiosa prepararci, in umiltà e cuore grande e magnanimo, ai sacrifici che la Div. Provv.za e la nostra Congregazione richiedessero da noi (Scr. 1,167).
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Egli non è già tanto a posto: diffidi di sé, e pensi che l’orazione mantiene la vocazione: chi lascia l’orazione, lascia la vocazione religiosa, che, dopo il Santo battesimo, è, forse, il dono più grande che Dio può fare ad un’anima (Scr. 2,121).
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Ti metti ai piedi della nostra cara Madonna, e poi mi fai tre elenchi: tiepidi, freddi e dubbi nella vocazione. Capisco che sarà un dolore per te come per me e per tutti, ma desidero che codesta Casa sia per chi ha vocazione e per chi corrisponde alla vocazione. Resterete quelli che resterete, pazienza! (Scr. 2,251).
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Chi sa se, per le molteplici cure che avete avuto durante l’annata scolastica, non sia stato un po’ negletto questo tesoro di grazia che Dio ci ha dato? e il dono insigne Della vocazione non sia stato apprezzato o conservato, custodito come meritava? Preghiamo in questi Santi Esercizi la Madonna, nostra Madre pietosa, nostra vera e celeste Fondatrice, perché ci ottenga dalla misericordia di Dio di ravvivare e, occorrendo, di risuscitare in noi la grazia della vocazione alla vita religiosa. Negli Esercizi Spirituali noi possiamo, anzi noi dobbiamo rinforzarci nella volontà di servire Dio con cuore generoso: dobbiamo riconoscere le nostre miserie e piangere di cuore i nostri peccati. E poi si deve, con la divina grazia, gettare il fondamento della nostra santificazione, cominciando con il riparare le negligenze della vita passata e ravvivare, risuscitare in noi la grazia della celeste vocazione religiosa (Scr. 3,378).
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La grazia della vocazione religiosa è grande e grande deve essere la nostra corrispondenza. Mi pare che non tutti abbiano consacrato interamente al Signore sé stessi, senza limitazione né eccezione alcuna, come deve fare chi vuol essere davvero Religioso di vita, di fatto e non solo di abito e di nome. Leggi pure queste parole alla Comunità riunita, e presenti i Sacerdoti della Casa, perché tutti sappiano che cosa penso, perché tutti riflettano e, occorrendo, abbiano a mettersi di proposito a servire il Signore. Dio vuole da me e da Voi grandi cose, esige una grande corrispondenza (Scr. 3,550).
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Amerei essere aiutato di più per le vocazioni: andiamo incontro al vuoto! Aiutatemi tutti di più: aiutatemi tutti di più, pregando e lavorando a cercare vocazioni (Scr. 6,160).
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Quelli di vocazione non ben provata, non distaccati dal mondo e dalle abitudine secolaresche, non alieni affatto dal modo di pensare, di parlare, di vivere mondano e secolaresco, non distaccati dalle famiglie e da amicizie, da letture e da musiche che sapessero di profano o di non conveniente, (e non dico disdicevole), ma anche solo poco conveniente ad un pio e santo Religioso, codesta specie di gente non vera religiosa, non dovrà mai mandarsi né mai tollerarsi alle Sette Sale, né ora né mai più. E di queste disposizioni ringraziatene Dio, e si stia strettamente ad esse, per l’amore del Signore, della Santa Chiesa e della nostra cara Congregazione. E si dica il Te Deum non perché Don Orione è tornato dall’America, ma perché, per la divina grazia, Don Orione è tornato dall’America non americanizzato, non lasso, non ondeggiante, ma fermo, ma deciso, ma risoluto in Dio di mettere a posto sé stesso, sì e come richiede la celeste vocazione religiosa che il Signore misericordiosamente gli ha data (Scr. 8,207).
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Penso in Domino che questa Visita apostolica sia una grazia speciale di Dio anche per sfaldare la Congregazione Piccola Opera di alcuni elementi che sono venuti meno nello spirito della vocazione e che sono come pesi al piede. La vocazione religiosa è una somma grazia ma bisogna darsi a Dio illimitatamente, osservare i santi voti e lasciarsi adoprare per mezzo dei Superiori e formare un cuor solo e un’anima sola (Scr. 19,101).
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Una grande parte della nostra carità esercitiamola nel coltivare le vocazioni. Preghiamo Dio che ci mandi delle buone vocazioni e che susciti dei santi Samueli per il Santuario. Con la pietà si curino le vocazioni, con la preghiera, con il buon esempio, con i santi Sacramenti, con la illibatezza della nostra vita, con l’istituzione di pie Congregazioni, con la devozione tenera alla Madonna SS.ma Ma si dovrà da noi andare con molto tatto, con molta delicatezza con molta prudenza anche nel parlare; dobbiamo prima rinnovare e trasformare nella carità il cuore dei nostri giovani, rinnovarli e trasformarli in Gesù Cristo, e dobbiamo della carità di Gesù ardere noi se vogliamo poi che ardano essi; tutto di ravviverà se porteremo ardente nelle mani e alta e ben alta nel cuore la lampada della carità di Gesù Cristo (Scr. 20,78).
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Conforta i chierici e cura le vocazioni dei giovani. Se la Congregazione non cura con ogni impegno e carità i chierici e non innaffia con ogni sudore le pianticelle delle vocazioni, che la mano del Celeste agricoltore avrà seminato nel nostro campo, la Congregazione stessa sarà presto esposta a morire di anemia Ammaestra anche i chierici a coltivare le vocazioni, senza simpatie però, senza sentimentalismi, senza toccare mai i ragazzi né con carezze, né usando preferenze mai. Io non ti chiederò denaro, ma vocazioni sì! Le Case che non dessero mai vocazioni, sarei dolorosamente obbligato a squalificarle, cioè a non considerarle più quali Case della Congregazione. E come si potrebbe chiedermi personale, se non mi si dà nessun aiuto? Cacciatori come dobbiamo essere di anime, lo dobbiamo essere per conseguenza e tanto più di vocazioni. Dì ai tuoi chierici la consolazione che hai provato alla Casa Madre, nel vederti come in un giardino di vocazioni. Vedi io parto ora da Roma, ma mi porto a Tortona tre vocazioni, e vado felice! Quando potrò venire a Rodi per portarmi via qualche buona vocazione? Non basta istruire i giovani, bisogna pensare notte e giorno ad avviare verso il santuario, verso la Congregazione quelli in cui scorgonsi segni di vocazione, e che sogliono essere i migliori (Scr. 23,148).
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Io non rimprovero voi altri: ma mi lamento di vedere che i chierici non sono coltivati, sono trascurati, e molti perdono lo spirito e la vocazione E noi staremo tranquilli? E poi ci lamenteremo che Dio non manda vocazioni? Io ho ora mandato chierici a San Giovanni, Baldassare e il povero, (abbandonato a sé) Ladislao (che da tanti anni serve la Congregazione e non fu mai aiutato e fa ancora la I ginn.le). Ho tolto qui dalla disciplina e formazione degli studi Celi e l’ho mandato alla Colonia: ho tolto dagli studi e dalla casa di formazione qui il Bruno e l’ho mandato a Sant’Anna – Penso e dico tra di me con tristezza: saranno curati? o capiterà a questi figli di vedersi come sperduti, trascurati, dimenticati, e perderanno la vocazione? Guai a chi fa perdere le vocazioni, guai! Meglio che non fosse nato o che si buttasse in mare, come allo scandalo. Guai a chi fa perdere la vocazione! Guai a chi toglie alla Santa chiesa un sacerdote, e priva Dio di tante Messe e le anime di tanto aiuto per salvarsi! (Scr. 24,128).
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Don Bosco lasciò, come parola d’ordine: «di fomentare e coltivare le vocazioni». Ed io vi dico di più, o cari miei figli: «la nostra vocazione è l’amore al Papa ed è la vocazione di coltivare le vocazioni, con l’aiuto della SS.ma Vergine (Scr. 29,193).
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Dobbiamo pure con tatto, ma incessantemente coltivare le celesti vocazioni che si incontrano tra i nostri allievi. La cura delle vocazioni mi sta grandemente a cuore, né più né meno come mi sta a cuore lo sviluppo e il progresso della nostra cara Congregazione. Questo è il motivo che ognora mi porta a rivolgere, oserei dire, tutti i miei pensieri e le mie sollecitudini alla ricerca e alla cura di santi vocazioni. Senza di esse la nostra cara Congregazione languirebbe, e non corrisponderebbe al fine della Divina Provvidenza nel suscitarla dal nulla. È ben consolante per me il constatare che parecchi zelanti direttori e confratelli – anche tra i miei chierici ed eremiti – si mostrano ognora disposti a secondare i miei sforzi per l’apostolato nostro delle vocazioni ecclesiastiche e religiose. Essi hanno ben capito che – in questa crisi terribile di vocazioni – (pensate che i seminari sono quasi vuoti e le congregazioni prima fiorenti sono in parte disfatte) Dio vuole che la nostra Congregazione sia quella che preparerà e darà sacerdoti ai Vescovi, alle missioni e alle congregazioni religiose ora spopolate (Scr. 32,14).
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Cari figliuoli, aiutatemi per le vocazioni, aiutatemi! Aiutatemi! Voi aiutate la Chiesa di Gesù Cristo, e farete l’opera più santa. Noi siamo gli «arditi», della Chiesa, gli «arditi della carità di Gesù Cristo». Ciascuno di noi deve essere «Venator vocationum! Cacciatore di vocazioni! Apostolo, anzi apostolo di sante vocazioni! Vocazioni per il sacerdozio: avviando al santuario quelli in cui scorgonsi segni di vocazione e che sogliono essere i migliori (Scr. 32,15).
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Se volete darmi delle consolazioni, datemi delle vocazioni. Io non posso avere stima di quelle case che non danno mai vocazioni. Abbiamo giovani pieni di spirito e di buona volontà: basterebbe un soffio per farne dei santi. Ma facciamo dei santi e dei santificatori! Ho quasi 50 anni, ma, per la grazia di Dio mi sento ancora valido e robusto, tanto che posso lavorare benissimo senza ancora avere bisogno di segretario. Ma, se sapessi che, morendo oggi, dalla mia tomba, o dietro di me sorgerebbe una vocazione, vorrei chiedere a Dio di chiamarmi tosto a lui, basta avere un sacerdote di più e più giovane di me, a cui trasmettere la croce e il vangelo di Gesù Cristo, e un incarico: quello di andare a cercare vocazioni, nell’amore al Papa e alle anime. Cari figliuoli miei, «confortamini et non dissolvantur manus vestrae: date a Gesù Cristo, al Papa e a questo vostro fratello e padre nel Signore questa consolazione: amatevi di grande e di divina carità tra di voi e ciascuno poi di voi si faccia cacciatore di anime e di vocazioni (Scr. 32,16).
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La vocazione è dono di Dio; ma si mantiene solo con la preghiera e con la lotta di ogni ora: Dio ci sta vicino, e, secondo la espressione di San Paolo, «omnia possum in eo qui me confortat» Raccomandati alla Santa Madonna, e coltiva, come uno dei più grandi tesori del Signore, la celeste vocazione che Egli ti ha dato, proteggila con tutta la cura, ed evita ogni pericolo (Scr. 42,21).
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Il desiderio della vita perfetta non può venire che da Dio. È una somma grazia che Dio ti fa: la vocazione religiosa è il più grande beneficio di Dio, dopo il battesimo. Per eleggere lo stato religioso non fa bisogno di chiedere consiglio, come bene insegna San Tommaso, perché il consiglio è già stato dato da Gesù Cristo: basta che Dio ti parli interiormente per la via della mente e del cuore. La vocazione religiosa è cosa evidentemente buona, che non ha bisogno né di lume né di consiglio. E la vocazione religiosa non è già di chi è perfetto; ma di chi desidera di diventarlo (Scr. 42,57).
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Ho letto anzi che la vocazione religiosa è d’una preziosità infinita, e forse il più grande benefizio di Dio, dopo il santo battesimo. Offriamoci dunque al Signore illimitatamente per le mani della Santissima Mamma Maria. Chi è chiamato al servizio di Dio, deve però prepararsi alla tentazione, e la vocazione per rassodarsi ha bisogno di avere affrontata e di vincere buone battaglie contro il demonio e contro noi stessi e l’umanità – Per vincere queste battaglie è necessario essere generoso con Gesù Cristo, e darsi a lui interamente e, specialmente per chi comincia come ora voi, mettere ogni confidenza nel Superiore, e aprire a lui con umiltà come di un bambino e con santa semplicità la nostra anima (Scr. 42,81).
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Prego che tu abbia ad essere forte e non mai un debole nella vocazione, ma che, con il divino aiuto, tu abbia a perseverare in quella vita di buon religioso alla quale Dio ti ha misericordiosamente chiamato e ti sei dato, né abbia mai ad essere un figlio disertore. Oh no, figlio mio, mai! È somma grazia che Dio ci ha fatto traendoci fuori da tanti inganni e pericoli del mondo. La vocazione religiosa, ha scritto Sant’Alfonso, è il più grande benefizio di Dio dopo il santo battesimo. Tu vorrai ricordare la terribile condanna di Gesù su quelli i quali, avendo posto mano all’aratro, respiciunt retro. Prega, figliuol mio, e persevererai! Chi lascia l’orazione, lascia la vocazione, ma chi prega vince la tentazione (Scr. 42,118).
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Ciò che ti vuol distogliere dal seguire la vocazione, non può esser altro che una tentazione del demonio, e tu sarai un debole, e tu ti presti? Tutte le difficoltà, tutti i riflessi secondari, sono macchine del nemico, che vuole deviarti e perderti, poiché se c’è cosa che il diavolo odia, questa è: la vocazione religiosa. Non si può riuscire se non con il patrocinio di Maria SS.ma con il pregarla la Madonna benedetta, aprendo sempre e in tutto il tuo cuore al Superiore, e coltivando positivamente la vocazione vivendo umile e fervente e combattendo da valoroso (Scr. 43,176).
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Abbiamo bisogno che la Piccola Opera si metta a posto, e dobbiamo cominciare da noi, da me specialmente, ed io, con l’aiuto di Dio, lo farò. Voi pregate per me, come farò io per voi, che possiamo tutti corrispondere degnamente alla grazia insigne della nostra vocazione Dobbiamo vivere conforme alla nostra vocazione religiosa, a qualunque costo, o miei figli. E chi non si sentisse di essere vero religioso e figlio della Divina P. mi faccia la carità di ritirarsi, ma non devi gli altri, non brighi, non intrighi e non impedisca il cammino degli altri per non gravarsi l’anima (Scr. 52,124).
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Per riuscire buoni sacerdoti è necessaria la vocazione e la corrispondenza alla vocazione. Che è la vocazione? In via ordinaria è un movimento interiore, mediante il quale Dio chiama alcuno al sacerdozio «non vos me elegistis, sed ego». Rimettersi ai superiori. Segni di vocazione – bonitas excellens (Scr. 55,11).
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Cari miei fratelli, io quest’anno ho intenzione di fare almeno 100 mila lire di debito per le vocazioni povere, e poi andrò anche a vendere la mia pelle sul mercato; ma sono sicuro che Dio non mi abbandonerà, e anche voi, lo so, lo conosco il vostro cuore, conosco a prova la vostra pietà – voi mi manderete delle buone vocazioni e poi anche mi aiuterete, e Dio sarà con voi! Cerco vocazioni di ogni genere: vocazioni per il Sacerdozio: vocazioni per frati, vocazioni per Monache, per tutto: basta salvare anime! Vocazioni di giovanetti vocazioni di adulti (Scr. 56,133).
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Le vocazioni di poveri fanciulli al Sacerdozio sono, dopo l’amore al Papa e alla Chiesa, il più caro ideale, il più sacro amore della mia vita. Condotto dalla Provvidenza, è per essi che ho aperto la prima umile Casa di San Bernardino in Tortona: per quelli cioè che il Vescovo non aveva potuto accettare in Seminario. E Dio ha dato incremento: quanti buoni Sacerdoti sono usciti! Per le vocazioni dei fanciulli poveri ho camminato tanto: ho salito tante scale, ho battuto a tante porte! Dio, che mi portava avanti come un suo straccio, Dio solo lo sa. Per essi ho sofferto la fame, la sete, le umiliazioni più dolorose; erano i biscottini di Dio: per essi mi sono coperto di ingenti debiti: ho sudato, ho gelato, ho scongiurato gli uomini e Dio, e solo per la Divina Bontà non ho fatto mai fallimento: per essi per i fanciulli poveri di santa vocazione, io vivo, pronto ad incontrare altri debiti, sicuro che la Divina Provvidenza me li pagherà; e avrò come grande grazia se Gesù vorrà concedermi di andare per essi mendicando il pane fino all’ultimo della mia vita. Pel carattere poi, che è proprio di questa nascente Congregazione, vado anche in questa di vocazioni tardive, di vocazioni, voglio dire, di adulti, sia per il Sacerdozio che per fratelli laici o Coadiutori, dei quali abbiamo grande bisogno, tanto in Italia che all’Estero, nelle Missioni. E ricevo anche uomini fatti, purché liberi; contadini, artigiani, anche fossero vedovi, purché di buona salute e di buona volontà (Scr. 56,135).
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La vocazione alla religione è il più gran benefizio di Dio, dopo il Santo Battesimo. Non bisogna quindi resistere alla chiamata di Dio, ma seguirla senza indugio. (Vedi Capitoli premessi alle Reg. Sales.) Ma ritornando al compito nostro riguardo alle vocazioni, lavoriamo ad aiutarle e quasi come se la loro riuscita dipendesse in gran parte da noi, perché, praticamente, è così. L’amore alla n. Congr. ci deve spronare non solo a donarle tutte le nostre migliori energie, ma anche a sforzarci continuamente ad accrescere il n. dei suoi membri, con una intensa ricerca e cultura di vocazioni, per metterla in condizione di attuare meglio e in una sfera più vasta la gloria di Dio, la difesa della fede nel popolo e nella educazione della gioventù più povera e abbandonata. Perciò dobbiamo lavorare alacremente e senza interruzione a fare seguaci a Gesù Cristo alla Chiesa alla Congregazione onde perpetuare i nostri Istituti e moltiplicare il bene – Il gemito della Congregazione: da mihi liberos alioquin morior – sarebbe il giorno della sua morte: di questi istituti non resterebbe che un freddo ricordo Sulla necessità di coltivar le vocazioni sento di doverne tanto parlare e insistere fino a diventare seccante ed eccessivo (Scr. 56,151).
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Dobbiamo procurare perché il germe della vocazione cresca e maturi in ambiente propizio e circondarlo delle più sollecite cure La Messe dei campi viene a maturità per l’unione delle fatiche dell’uomo e delle benedizioni del cielo, e così le vocazioni non si sviluppano senza l’opera nostra. Quindi dobbiamo lavorare in esse come se la riuscita dipendesse da noi. La vocazione è una grazia, un dono di Dio; ma non si conserva che con la cooperazione nostra: di chi la riceve e di chi la deve coltivare La vocazione è divina, ma noi, se liberamente non la accettiamo e coltiviamo la perdiamo Ogni chiamata a vita religiosa e all’apostolato ha la cena naturale, e feconda sorgente nel cuore di Dio. Grave è dunque il nostro compito e la nostra responsabilità – D. Bosco ¾ «l’accettazione di un giovane in qualche nostra Casa è un segno prezioso di vocazione (Scr. 56,154).
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Segreto per avere molte vocazioni Amore alla bella virtù – orrore al vizio opposto Esemplare condotta Trattare con carità somma gli allievi, insistendo sulla frequente Comunione Escludere i pigri e i golosi Vegliare se vi ha garanzia sulla castità E per quelli che andranno Missionari, studiare e coltivare le vocazioni indigene: i figli di quelle terre – Vedete che se non la vocazione, lo sviluppo però di essa, la formazione di essa dipende molto da noi: ne avremo quante vorremo con la nostra buona condotta e carità Or come va che alcune Case non danno vocazioni? Ah io ho la dolorosa spina nel cuore, ho la persuasione che non pochi di noi lascino perdere ogni anno più di una vocazione! Se tutti fossimo animati dal Sacro fuoco della carità per le anime e per la Santa Chiesa di Gesù Cristo, sapremmo trovare nel cuor nostro tali e tante industrie da superare ogni difficoltà – (Charitas omnia vincit!) Se io specialmente avessi pregato e lavorato di più, la Congregazione si allieterebbe e fiorirebbe oggi di maggior numero di vocazioni Noi poi nelle scuole ci dimentichiamo troppo che dobbiamo coltivare le scienze umane specialmente per aver modo d’insegnar la scienza divina che forma i credenti e soprattutto, suscita, con l’aiuto di Dio, numerose e fervide vocazioni nell’immenso campo giovanile che Dio, ci ha aperto avanti a coltivare (Scr. 56,156).
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Coltivare le vocazioni è uno dei punti essenziali della nostra vita. Non siamo neghittosi e indifferenti, altrimenti i germi o le pianticelle che Dio avrà seminate nel campo appena spuntate moriranno. Ci accontentiamo d’essere Direttori di Case Maestri Professori – se volete diligenti e anche instancabili, di null’altro preoccupati che di far studiare, studiare e poi studiare ancora, come un qualsiasi insegnante laico affinché gli alunni abbiano a riportare i più importanti risultati. E la somma delle nostre opere – S. Be[strappo] Si dà nelle nostre Case la preminenza ai giochi, allo sport, al teatrino, al cinematografo, alla musica, a tutte le altre pratiche esteriori, e alla pietà? e alle vocazioni? Ah se lo studio e la pratica della religione avranno d’ora innanzi nei nostri Collegi il posto d’onore, quale terreno propizio si avrà per svolgere e far fiorire in abbondanza le vocazioni religiose! Le Case, ove la pietà ha il primato, sono semenzai di vocazioni Le vocazioni scarseggiano o non ne fioriscono affatto, dove la pietà languisce – I nostri primi tempi – quanti sacerdoti! Certo bisogna preparare insensibilmente il terreno: aiutare e disporre le anime – il terreno Faciam vos piscatores hominim pescatori di vocazioni seminiamo fede, pietà, e pescheremo vocazioni D. Bosco studiava l’indole, il carattere di ciascuno, le tendenza etc – con più amore che una madre – li preparava con qualche parola – con qualche incarico di fiducia, con il fascino del suo affetto paterno, cosicché, quand’era giunto il momento diceva all’orecchio: Non ti piacerebbe consacrarti al Signore per salvare anime? E il fortunato vedeva già con luminosa chiarezza la propria vocazione – Egli, d. B., aveva coltivato il germe celeste fino al suo pieno sviluppo! Noi siamo i questuanti di vocazioni: di cuori generosi per l’apostolato della carità v/ i fanciulli più poveri: noi facendo risuonare: si vis perfectus esse, destiamo il desiderio della perfezione e prepariamo gli Apostoli del popolo e degli umili Spirito di famiglia: sentirsi fratelli Via quegli ordinamenti rigidi e le disposizioni disciplinari che limitano in qualche modo la libertà propria dei figli di buone famiglie. Non famigliarità, ma spirito di famiglia Ciascuno deve osservare l’orario e il regolamento non già costretto da agenti estrinseci ma di cuore, spontaneamente per libera elezione del proprio volere – Tutto per amore; niente per forza – Conserviamo e accresciamo lo spirito di famiglia: è il più propizio terreno per le vocazioni (Scr. 56,157).
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La Chiesa in questi tempi, va incontro ad una crisi penosissima di vocazioni. Preghiamo Dio che mandi Santi operai per la messe: molta è la messe ma pochi sono gli operai La Chiesa ha sete di buone vocazioni e veri facchini di Dio. Oh! quante vocazioni sventuratamente si perdono per non essere coltivate! Che nessuna vada perduta per nostra negligenza! Deh! che l’occhio intelligente e spirituale dei Sacerdoti, degli amici nostri e di tutti cui giungerà questa voce non tardi a ravvisare quelle anime che Dio avesse segnate coll’aureola di una celeste vocazione (Scr. 57,38).
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Dobbiamo pregare e lavorare a suscitare e coltivare vocazioni: vocazioni non solo per il sacerdozio e per la vita religiosa, ma vocazioni anche di suore. Oh! quante vocazioni sventuratamente si perdono, per non essere state coltivate, o un po’, almeno, un poco aiutate! Che nessuna vocazione vada perduta per nostra negligenza! Deh! che l’occhio intelligente dei nostri fratelli e amici di tutti cui giungerà questa voce, non tardi a ravvisare le anime che Dio avesse segnato coll’aureola di una celeste vocazione! (Scr. 61,182).
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Se voi volete assicurare la vostra salute eterna, bisogna che cerchiate di seguire la divina vocazione, e non di abbandonarla. Dio dà speciali aiuti a chi segue la sua vocazione. Non è lo stesso vivere nello stato a cui Dio ha chiamato e il vivere nello stato eletto dal proprio genio. Se non segui la tua vocazione, dice Sant’Agostino, “curris, sed extra viam”: correrai, ama fuori strada, cioè fuori della via per cui Dio ti ha chiamata a fine di salvarti. Dio minaccia gravi castighi a chi vien meno, tradisce la sua vocazione: Vae, filii desertores! Guai a voi, o figli disertori. E la punizione comincerà fin da questa vita, in cui l’anima star... sempre inquieta. Il grande teologo Habert scrisse: “Non sine magnis difficultatibus poverit saluti suae consulere.” È raro il caso che soffrano umilmente d’essere guidati dagli altri, quelli che si reputano intelligentissimi e sapienti. Essi voglio seguitare il proprio parere, e, ove non abbandonino le loro idee con pieno rinnegamento di sé, ritengo si mettano a rischio di finir male, specialmente quando, piuttosto, si abbandona la vocazione celeste, a cui, per loro stessa confessione, avessero dichiarato d’essere stati, indubbiamente, chiamati – che abbandonare il loro amor proprio e la presunzione (Scr. 66,5).
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Spero vi sentirete in buona salute, e prego Dio per voi, o caro fratello mio, affinché tutto tutto vi diate ad amare e servire Gesù Cristo Crocefisso nella umiltà e povertà della vita religiosa a cui Dio vi ha chiamato. È una buona grazia che Dio ci fa tirandoci fuori dal caos di questo mondo e mettendoci al sicuro da tanti inganni e da tante occasioni di peccato. Ho letto anzi che la vocazione religiosa è d’una preziosità infinita, e forse il più grande benefizio di Dio dopo il Battesimo. Offriamoci adunque al Signore illimitatamente per le mani della SS.ma Mamma Maria. Chi è chiamato al servizio di Dio, deve prepararsi alle tentazioni e la vocazione per rassodarsi ha bisogno di essere affrontata e di vincere buone battaglie contro il demonio e contro noi stessi e l’umanità (Scr. 78,36).
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La vocazione religiosa è il più gran benefizio di Dio, dopo il santo battesimo, e la chiamata del Signore deve sempre seguirsi senza indugio, poiché nel Vangelo non troviamo mai che Gesù Cristo abbia tollerato più di un rifiuto a seguirlo, ogni qual volta Egli si degnò fare ad alcuni la grazia di chiamarli a vita perfetta. Può perdersi un’anima con il tardare un giorno solo a corrispondere alla grazia divina. In fatto di vocazione è quindi doveroso obbedire prima a Dio che agli uomini, e, in via ordinaria, bisogna ritenere gli impedimenti e i riflessi secondarii siccome macchine del demonio per rendere vana la celeste vocazioni e deviarci dalla diritta via del Signore (Scr. 82,186).
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Pel carattere poi che è proprio di questa umile Congregazione accettiamo anche vocazioni tardive sia per il Sacerdozio che per fratelli Coadiutori. Anche i Coadiutori perché non sempre possono essere aiutati e tolti a tempo dai pericoli Ecco dunque lo scopo. Se dunque la Signoria Vostra avesse scorto in qualche buon fanciullo povero, forse dimenticato, i segni della vocazione al servizio di Dio, umilmente La prego nella Sua carità di parlarne al latore della presente e di volermelo indirizzare e indicarlo. La Piccola Opera della Divina Provvidenza farà ogni sacrificio userà ogni possibile agevolezza quanto alla retta mensile e aprirà anche un orso preparatorio per quelli che non fossero sufficientemente maturi per il Ginnasio (Scr. 93,75).
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Le Case ove la pietà ha il primato sono semenzai di vocazioni. Le vocazioni scarseggiano, o non ne fioriscono affatto, dove la pietà languisce. Ai nostri primi tempi, quanti Sacerdoti! Certo, bisogna preparare insensibilmente il terreno: aiutare e disporre le anime, il terreno. – Faciam Vos piscatores hominum; pescatori di vocazioni: seminiamo fede, pietà, e pescheremo vocazioni. Don Bosco studiava l’indole, il carattere di ciascuno, le tendenze, eccetera, con più amore che una madre. – Li preparava con qualche parola, con qualche incarico di fiducia, con il fascino del suo affetto paterno; cosicché, quand’era giunto il momento, diceva all’orecchio: – Non ti piacerebbe consacrarti al Signore per salvare anime? – E il fortunato vedeva già con luminosa chiarezza la propria vocazione. – Egli, Don Bosco, aveva coltivato il germe celeste fino al suo pieno sviluppo. Noi siamo i questuanti di vocazioni, di cuori generosi per l’apostolato della carità verso i fanciulli più poveri; noi facendo risuonare: – Si vis perfectus esse – destiamo il desiderio della perfezione e prepariamo gli apostoli del popolo e degli umili (Scr. 99,114).
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Dobbiamo procurare, perché il germe della vocazione cresca e maturi in ambiente propizio, di circondarlo delle più sollecite cure; la messe dei campi viene a maturità per l’unione delle fatiche dell’uomo e della benedizione del Cielo; e così le vocazioni non si sviluppano senza l’opera nostra. E quindi noi dobbiamo lavorare in esse, come se la riuscita dipendesse da noi. La vocazione è una grazia, un dono di Dio; ma non si conserva che con la cooperazione nostra; di chi la deve coltivare. La vocazione è divina, ma noi, se liberamente non l’accettiamo e coltiviamo, la perdiamo. Ogni chiamata a vita religiosa e all’apostolato ha la sua naturale e fervida sorgente nel cuore di Dio; ma bisogna coltivarla. Grande è dunque il nostro compito e la nostra responsabilità. Don Bosco: Tre quarti degli uomini hanno la vocazione. L’accettazione di un giovane in qualche nostra Casa è un segno prezioso di vocazione (Scr. 99,120).
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Molti giovani vengono a noi che Dio, Celeste Agricoltore, ha già gettato nei loro cuori il seme della vocazione religiosa, ed ha già forse fatta loro sentire, ed ha egli stesso con le sue grazie già sviluppato il germe della santa vocazione: cari giovani: essi sono un grande dono di Dio: bisogna aiutarli con il pregare per essi, coll’animarli ai sacramenti, cogli esempi, con la devozione alla Madonna, ecc. Per il che si danno qui alcune norme pratiche. I. La vita esemplare, pia, esatta dei Figli della Provvidenza: la carità tra di loro: le belle maniere e la dolcezza cogli alunni sono mezzi efficaci per coltivare le vocazioni allo stato religioso, perché verba movent, exempla trahunt. 2. Tutti i Superiori: Laici, Chierici e Sacerdoti, sappiano cogliere l’occasione per proporre esempi edificanti di Santi, di venerandi Sacerdoti, e specialmente di quelli che si resero celebri a giovamento del la Chiesa, del buon costume e della civile società. 3. I Direttori dei Collegi promuovano lo studio della lingua latina, ispirandone agli allievi la stima e l’amore: il latino giova ad aiutare le vocazioni. 4. Si consiglino gli alunni a non parlar della loro vocazione, se non con il loro Direttore Spirituale, e con persone pie, dotte e prudenti (Scr. 110,237).
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Le vacanze sono fatali alle vocazioni, non solo pei pericoli che sempre si trovano nel mondo, ma anche per quelli che soventissimo di trovano presso gli stessi parenti. 13. Si invitino nelle vacanze autunnali i giovani che danno qualche speranza di vocazione religiosa a fare gli Esercizi Spirituali, o insieme con i Chierici o ad un corso apposito per essi. 14. Si allontanino inesorabilmente dalle nostra Case quei giovani e quelle persone che in qualche modo si conoscessero pericolose in materia di moralità e di religione e facessero propaganda ostile alle vocazioni religiose. 15. Il Superiore farà di frequente una visita in ogni Casa, per dare a ciascuno comodità di parlare di vocazione. Il Direttore locale poi, alcuni giorni prima, dia avviso di questa visita ai giovani, e li animi alla confidenza con il Superiore (Scr. 110,239).
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Dopo la guerra, la crisi, in fatto di vocazioni ecclesiastiche e religiose maschili, si è venuta aggravando così che, in parecchie Diocesi, il numero degli operai evangelici non è più sufficiente per la conquista delle anime, e anche nella nostra Diocesi le vocazioni vanno assai diminuendo. Che sarebbe mai dell’Italia il giorno che fosse senza sacerdoti? Rispondeva già il Beato Curato d’Ars: “la società, senza sacerdozio, sarebbe come un serraglio di belve feroci, e il mondo ripiomberebbe nella barbarie” (Scr. 115,288).
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Abbiamo posto la mano all’aratro: niuno di noi si volti indietro, per amore dei parenti o del mondo; niuno vada a perdersi dietro gli affetti e della carne e del sangue; niuno vada a finire con il mondo fallace e ingannatore, ché assai male se ne troverebbe in punto di morte. Ci costerà sacrifici, ci costerà fatica, ci costerà stenti, fame, sete, e forse umiliazioni, resistere e stare fedeli, ma, anche ci costasse la vita nessuno lasci la vocazione! Dio ci aiuterà! «Maneamus in vocatione, qua vocavit nos Dominus; et satagamus, ut, per bona opera vocationem et electionem nostram certiorem faciamus. Nam – quod Deus avertat –, si nos posuerimus manum ad aratrum et respexerimus retro, apti non erimus Regno Dei». E non solo non lasciamola la vocazione, ma ‘viviamola la vocazione! La vocazione non la vivono certo i tiepidi, non i trascurati, non i lontani dallo spirito e dalla vita mortificata, umile, attiva della Congregazione; non la vivrebbero i divagati da idee e sentimenti secolareschi, non degni di buoni religiosi, i rilassati o quelli che rifuggono dall’osservanza delle regole, che sfuggono dallo sguardo dei superiori. Dobbiamo viverla, la vocazione, da religiosi sul serio, da religiosi che vogliano davvero santificarsi e santificare le anime, da religiosi che sanno vincersi e abnegare sé stessi, da religiosi che intendano osservare le sacre promesse e i voti con cui si sono dati e consacra ti. al Signore. Ricordiamo, in questi giorni e sempre, che la vocazione va vissuta e attuata, e che questo è dovere di coscienza; ricordiamo che faremo tanto profitto quanto avremo saputo farci violenza e vincere la nostra tiepidezza; ricordiamo che, senza forza di animo, non c’è virtù. Gesù disse: «Regnum coelorum vim patitur»: il regno dei Cieli, dunque, lo conquista solo chi sa farsi violenza, chi s:ì vincersi e rinnegare sé stesso, con l’aiuto di Dio e pregando. Ricordiamo ancora che, chi fa orazione, mantiene la vocazione, va avanti e si perfeziona nella virtù e arriva a farsi santo, cioè ad un grande amore di Dio; ma chi non facesse orazione fallirà e tradirà la sua vocazione miseramente (Lett. II,266–267).
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Se si ciarla troppo la vocazione svanisce. La vocazione, come la purità, bisogna custodirla bene, e la portiamo in un vaso di vetro. Chi vuol parlar troppo, chi vuol tutto sapere, chi vuol tutto guardare, perde la vocazione. Riflettete un po’ su voi stesse. Siate serie, raccolte, modeste; la vostra testa non giri di qua e di là, come fanno i bachi da seta, quando escono dalle quattro dormite e vanno al bosco; avete mai visto? Se è così per alcune di voi, cambiate, cambiate, per carità, altrimenti la vocazione sfuma. Vi dico una parola cruda, ma necessaria; è il mio dovere. Il Padre celeste che si raffigura nel Vangelo ad un vignaiolo, vi ha chiamate a lavorare nella sua vigna. Bisogna dunque che rispondiate alla chiamata sua, che lavoriate per guadagnare la mercede promessa. Per questo dovete essere umili, umili, ben unite al Cuor di Gesù, per diffondere l’amor di Dio, la carità del Signore in mezzo al mondo (Par. I,226).
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Ringraziamo il Signore della santa vocazione; rispondete sempre ad essa; raccomandatevi in special modo alla Madonna, siate devotissime della Madre nostra; e la Madonna impedirà che facciamo qualche passo sbagliato nella chiamata di Dio a vita più perfetta. La chiamata di Dio ci porta molti vantaggi materiali, la chiamata di Dio ci porta molti vantaggi spirituali. Voi non risponderete alla chiamata di Dio per i vantaggi materiali, però ricordatevi che il Signore non ci ha mai abbandonati. Voi dovete pensare ai vantaggi spirituali, però potete essere tranquille che la Divina Provvidenza non vi lascerà mai mancare il necessario (Par. II,89).
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Considerate la vostra vocazione come un privilegio di Dio, e una grazia singolare; la vocazione il Signore non la dà a tutti, la chiamata a vita di perfezione è un privilegio; ringraziate sempre il Signore di questa grazia singolare, particolare, e cercate di corrispondervi. Considerate la vostra umile Congregazione quale strumento di Dio per la propagazione dell’amore di Dio; ma ricordatevi che niuno può dare ciò che non ha. Se non avete lo spirito buono, come potete diffonderlo nei paesi dove siete, nei bambini, nei malati, dove vi porta la Provvidenza? Considerate la vostra vocazione e la Congregazione: la vocazione come grazia particolare, e la Congregazione come opera suscitata da Dio per la santificazione vostra e per quella delle anime, e abbiate grande amore per l’onore della Congregazione (Par. II,210).
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Per le nostre colpe Dio ci priva di vocazioni. Troviamo il vuoto se ci voltiamo indietro. Dobbiamo essere i questuanti di vocazioni. Metà Apostoli erano cugini tra di loro. Noi dobbiamo cercare le vocazioni anche tra i parenti, ma non superficiali. Aiutare le vocazioni con il buon esempio. Se non avessimo fatto altro che mantenerli morali, onesti, e anche di far loro fare un peccato di meno, avremo già fatto molto. Dobbiamo non perdere quello che abbiamo. Dobbiamo detestare ciò che sa di finzione. Don Bosco diceva che i tre quarti degli uomini hanno vocazione. Il mio paese fu per 80 anni senza vocazioni. Possibile che non vi siano state vocazioni? Dobbiamo essere questuanti di cuore generoso (Par. III,33).
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Non basta avere vocazione, ma bisogna viverla, bisogna renderla fervorosa, ardente, farla crescere, ravvivarla, aumentarla, come fa il floricultore con le tenere pianticelle. Per mantenerla dobbiamo pregare. Chi lascia l’orazione lascia la vocazione e chi lascia la vocazione si danna. Nostro Signore dice nel santo Evangelo: Nemo mittens manum ad aratrum et respiciens retro actus est regno coelorum; colui che mette mano all’aratro e guarda indietro non è degno del regno dei cieli. Chi non prega, la tradisce: è un traditore della vocazione. Vae vobis, filiis disertores! minaccia Dio a chi tradisce la vocazione. La vocazione è come la perla preziosa dell’Evangelo: quindi, bisogna lasciare tutto, anche i parenti. Inimici hominis domestici eius (Par. VI,209).
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Quando io ero chierico sognavo la stola, il Crocifisso, il Calice, il Sangue preziosissimo di Gesù, tramandate tutto alle nuove nostre file e a quelle future: coltivate amorosamente le vocazioni e aiutatele perché abbiano a perseverare. Esse saranno i nostri salvatori di anime; spetta a noi e a voi di aiutarle. Diamoci attorno, non pensiamo solo a noi stessi, preghiamo sempre per le vocazioni. Molte sono le vocazioni, ma molte si perdono perché sono trascurate e non sono aiutate. Ricordate bene che uno degli scopi principali della Congregazione è di aiutare le vocazioni (Par. VI,266).
Vedi anche: Direzione spirituale, Noviziato, Preghiera, Sacerdozio.
Volontà
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Se non c’è umiltà e amore di Gesù Cristo e purità di vita e d’intenzione e mortificazione di volontà e di gola e di sensi e formazione profonda di conoscenze religiose convinte non edificheremo per Gesù Cristo, né per la Chiesa, né formeremo figli per la Congregazione (Scr. 2,256).
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Prego nel Signore che siano dimessi, ora o più in là, dalla Moffa quelli che tu, ora o più in là, riconoscessi per mancanti di spirito religioso e di forte volontà di corrispondere alla grazia della vocazione: gli indolenti, i tepidi, gli scrupolosi, i golosi, gli attaccaticci, i fuggi fatica, i deficienti nella pietà, i sentimentali e quelli che non mostrano spirito di umile disciplina religiosa (Scr. 3,397).
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Fare le cose di Dio con grande fervore, non per abitudine Forma le coscienze e la vera vita religiosa e combatti l’amor proprio: via la propria volontà: “qui vult venire post me, abneget semetipsum”. Non avrai mai il religioso, senza il rinnegamento del proprio io (Scr. 3,432).
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Prego perché Dio misericordiosissimo nel Suo santo lume vi dia grazia in questi giorni di conoscere sempre meglio il pregio del rinunziare alla propria volontà e vi ponga nel cuore la risoluzione di conseguire questa umiltà e lo stato dell’apostolato per mezzo della santa obbedienza. Sì, mio caro, l’apostolato per obbedienza e per voto di religione mi pare una gran cosa, un gran bene e che non ci sia altra cosa a desiderarsi fuori di questa. Oh felice quell’uomo che rinunzia a tutte le cose che possiede, per Gesù Cristo! e che va all’apostolato spoglio di tutto, anche della sua volontà, per così dire e della sua libertà, ma vestito di Gesù Cristo, di quella santa obbedienza di cui Gesù era vestito sulla Croce e per cui è detto: fuit obediens usque ad mortem, mortem autem Crucis e per cui Deus exaltavit Illum et donavit Illi Nomen quod est super omne Nomen! (Scr. 4,1).
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Caro figliolo mio, vi esorto proprio nelle viscere di Gesù Cristo Crocifisso di cominciare ad operare in Voi un salutare distacco da tutto ciò che non è Gesù e Gesù Crocifisso Lavorate e martellate voi stesso e la vostra volontà – riempitevi di una grande carità e umiltà e annegazione religiosa – non di Seminario; dedicatevi tutto al Signore crocifiggendovi nel Signore Nostro Crocifisso (Scr. 4,5).
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Sappiamoci adattare alle divine disposizioni; la croce è formata da due sbarre sovrapposte trasversalmente: mettiamo sempre la nostra volontà e la stessa nostra vita in modo che combacino con la volontà e la vita del Signore e le croci scompariranno nell’amore di Dio (Scr. 5,475).
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Voi, però ricordatevi bene, venendo con noi, venite con i più poveri e miseri servi di Dio, dovrete rinunziare a tutti gli interessi di quaggiù a tutte le comodità e rinnegare in perpetuo la vostra volontà. Qui non avete nulla a sperare se non a faticare e patimenti per amore di Gesù Crocifisso, solo cercando l’amore di Gesù e in Gesù, le anime di Gesù che se cercaste altra cosa tradireste al tutto lo spirito della nostra professione (Scr. 24,2).
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Lo scopo degli Esercizi è il conoscimento delle nostre miserie e la compunzione del cuore: conoscere noi stessi e rinforzarci nella volontà di servire Dio con cuore generoso. Pregate la Madonna SS., sotto i cui sguardi ora vi trovate, ed Essa molto vi aiuterà e ve ne sentirete molto, molto consolato (Scr. 24,119).
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Ecco che io vi lascio in questo dolcissimo amore alla Chiesa e vorrei che ogni giorno offriste insieme con me la vostra vita per la dolce sposa di Cristo, con dedizione umile, fedele e filiale dell’intelletto, della volontà, della ragione, del cuore e della intera vita vostra. Dio ha posto da più anni questo esercizio e affocato desiderio dell’anima mia e così prego che sia di voi e in voi: di poter consumare e dare la vita nella Chiesa, cioè ai piedi della S. Chiesa e per la S. Chiesa, che, al dire di S. Anselmo, è la cosa più cara a Gesù (Scr. 26,150).
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Se voi tutti, o miei carissimi figli nel Santo Crocifisso, vi darete a Dio dicendogli: «Dio mio, quello che volete voi, lo voglio anch’io» oh allora sì che vi so dire che, come il sole, la vostra vocazione sarà sempre uguale ed uguale la vostra volontà in ogni cosa che vi succeda, perché il vostro contento è nell’uniformità alla santa volontà del Signore e perciò crescerete nella santa perfezione e godrete sempre una pace imperturbabile quale io con tutta l’anima mia vi desidero e quale si conviene ai veri servi del Signore (Scr. 30,2).
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Venendo qui, o mio caro figliolo, io debbo avvertirvi che voi venite a mettervi nell’ora della prova forte: prova di sacrificio di tutta la vostra volontà per rendervi soggetto meno inabile a servire e amare Dio nella nostra povera Congregazione. Io sono sicuro che, se voi pregherete e sarete umile e tutto vi metterete nelle mani di Maria SS.ma madre della nostra Congregazione, Dio, che vi ha chiamato a noi e ha in voi cominciata l’opera della vostra santificazione, egli la perfezionerà; ma per arrivare fino alla perfezione della vita religiosa è necessario, o caro fratello mio, che voi facciate violenza a voi stesso e tutto vi vinciate nella vostra volontà e vinciate le prove ardue che vi aspettano qui (Scr. 32,140).
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Se hai veramente buona volontà d’essere religioso, fa la tua prova tranquillo. Se hai vera volontà di rinnegare te stesso ogni giorno e di abbandonare ogni giorno te stesso, di abbracciare la tua croce e così servire ed amare Dio veramente, cioè in croce (perché sai che Gesù e la Chiesa si amano e si servono solo restando in croce), se davvero vuoi vivere in umiltà, in povertà in obbedienza e santità di vita e ti vuoi fare santo, ma che vieni dietro cercando, resta e sii benedetto (Scr. 33,155).
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Vi accetto di buon grado, purché abbiate ferma intenzione e forte volontà di rinnegare voi stesso e vivere in santa umiltà e purità e dolce povertà per amore di Gesù Cristo Signore Nostro, abbracciando ogni giorno la vostra croce per vivere crocifisso all’amore di Gesù e del Santo Padre in questa umile e piccola Congregazione, riposandovi per la via della santa obbedienza ai superiori nelle braccia della Divina Provvidenza (Scr. 35,149).
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La prima mortificazione per noi, credetelo, o mio caro fratello, è quella di rinnegare la nostra volontà e di essere sempre bambini per amore di Gesù Cristo e della s. Chiesa nostra madre. Capisco bene che la pratica di questa mortificazione importa una continua lotta con noi stessi; ma preghiamo e combattiamo costantemente contro noi stessi e saremo vincitori. Vincendo noi stessi vinceremo tutti i nostri nemici (Scr. 35,250).
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Mettiti nelle mani della Madonna SS.ma e poi lascia che il Signore faccia di te quel che gli pare e abbandona in lui ogni tua sollecitudine da vero figlio della Provvidenza di Dio. Purché la tua volontà perseveri a stare diritta e ferma, egli sarà sempre con te. Tu dirai al tuo Signore così: «Se mi vuoi nelle tenebre, sii tu benedetto; e se mi vuoi nella luce, sii ancora benedetto. Se ti degni consolarmi, sii benedetto; e se mi vuoi tribolato sii ancora e ugualmente e per sempre benedetto» (Scr. 36,191).
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Quello che molto ti raccomando è di venire per farti santo, per rinnegare continuamente la tua volontà, abbracciare la tua croce e seguire Gesù Crocifisso nell’umiltà, nella povertà, nella purezza della vita, nella obbedienza e pietà, nel lavoro e sacrificio, nella carità di Gesù Cristo, nell’osservanza della Regola (Scr. 42,233).
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Non vi è altro bene a desiderare da noi religiosi che quello di rinunziare alla propria volontà in tutte le cose per amore di Cristo: in questa rinunzia e vittoria di noi stessi sta la nostra felicità. In questa gran parola annegare sé stesso, sta ogni cosa: tutto il resto è vanità, amor proprio, ignoranza, inganno del demonio (Scr. 44,109).
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Vorrei rinnovarvi tutti i momenti tutta l’offerta della mia volontà e di tutta la mia vita nelle vostre mani per la salute mia e per la gloria del mio carissimo Signore e se qualche cosa posso aggiungere a ciò che nelle altre lettere ho già detto, vi dico, o caro padre, che intendo vedere in voi il Signore, come lo vedo e voglio con la grazia di Gesù fare per voi tutto ciò che farei per Gesù, obbedirvi non solamente, ma essere vostro anche in ciò che voi non credete di comandare ma che potete desiderare, precisamente come farei per ciò che vedessi che desiderasse Gesù (Scr. 45,6).
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Adesso che ho detto questo e che dico proprio con tutto il cuore di sacerdote e di figlio vostro nel Signore con la ferma volontà di darmi tutto a Gesù, dovessi fare qualunque sacrificio, pure di essere tutto suo e di poter consumarmi tutto e più presto che sia possibile per Lui: io vi supplico, o caro padre mio di ricevere la mia volontà che pongo nelle vostre mani come nelle mani del mio carissimo Signore e amore Gesù e di volermi umiliare e fare tutto ciò che voi volete e gettarmi dove credete come fango nelle vostre mani, basta che mi otteniate da Gesù che io lo ami e che arda e che mi consumi di amore e che patisca per amore e che mi liquefai di amore e più e più ancora poiché morire di amore è troppo poco, o caro padre (Scr. 45,7).
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Bisognerà prevenire e premunire la gioventù e valerci della scuola per istruirla bene nella Religione, per portarla a vita pratica cattolica e salvarla. La buona riuscita sarà assicurata, anche negli studi, se noi li educheremo a coscienza e se formeremo in essi un solido fondamento di fede e una volontà e un carattere forte e sinceramente cristiano (Scr. 51,21).
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Bisogna i nostri ragazzi portarli alla bontà e alla formazione non solo, ma alla perfezione e grandezza morale, che, come già dissi, sta soprattutto nella volontà e nel cuore. Ed essa deve servire di scala per salire in alto, excelsior! per salire a Dio e all’amore della S. Chiesa di Dio, che è il nostro grande e sacro amore (Scr. 51,24).
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Siccome pianta negletta e abbandonata nei monti, talvolta si abbarbica profondo, così s’è visto più d’una volta che ragazzi non di apparenza, o negletti, aiutati, se forti di volontà, di bontà e d’ingegno, mettono frutti ammirabili di virtù e di sapienza meravigliosi. E tutti ameremo con molto rispetto, anzi con la massima riverenza (Scr. 51,33).
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La forza dei religiosi sta nell’unione, il cui vincolo è Cristo: nell’unione dico dei vostri cuori, nel consenso e armonia delle vostre volontà, nella subordinazione e perfetta obbedienza al superiore e quindi nel rinunziare a tutti gli istinti, ai pensieri e alle passioni che vi tirano alla discordia. Se sarete così uniti, in un cuore e in un’anima sola, come gli Atti degli Apostoli dicono che erano i primi cristiani, Dio benedirà il vostro lavoro, voi sarete fortissimi e cotesto Collegio sarà come una rocca inespugnabile di bene, di educazione veramente cristiana e civile (Scr. 52,99).
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Dal sacrificio della nostra volontà nasce la carità, che è l’olocausto di tutti noi nella volontà di Nostro Signore – Buona madre, ricordate che nostra Madre Maria Vergine avrebbe fatto più che Abramo non facesse con il figlio suo sul Monte Moria: e se Abramo seppe giungere a tale altezza di sacrificio e perché noi servi e figli di Gesù non lo faremo? Il demonio vi ha suggerito il sofisma che voi la dovete difendere per amor di giustizia da tutti quelli che la vogliono bandita; ora io vi dico: allontanatela nel nome del Signore e avrete la ricompensa dal Signore d’aver sottomessa la vostra volontà al desiderio di chi vi parla nel nome del Signore. Non sia essa su di una strada, no, ma in una casa fuori dall’Opera: come direttore, ho bisogno questo per conoscere voi e per conoscere lei. Per carità, vi dico, preferite l’obbedienza nella mortificazione della vostra volontà allo zelo nel compimento della vostra volontà (Scr. 54,217).
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Vi accetto di buon grado, purché abbiate ferma intenzione di farvi membro della nostra Congregazione e vogliate riposarvi nella Divina Provvidenza secondo l’obbedienza dei Superiori, cercando di eseguire bene tutte le opere buone comandate o consigliate per crescere nell’amore di Gesù, con grande umiltà e mortificazione di volontà (Scr. 54,59).
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Permettete che vi dica di imprimervi bene nella mente: bisogna ch’io lasci affatto la mia volontà per essere religioso vero e non finto, perché, vedete, siccome non si può fare che uno sia Sacerdote di Dio, se non è battezzato, così uno, che non lascia la propria volontà, non può essere religioso se non finto e solo di abito e non di virtù (Scr. 54,212).
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Siamo figli di obbedienza! Tutta la perfezione religiosa – uguaglianza di spirito – consiste nell’abdicare alla propria volontà. Tota religionis perfectio in propriae voluntatis abdicatione consistit. (Spec. disciplina S. Bonaventura). Per cui l’unico voto. Il voto più eccellente. Grande è la povertà, più grande la castità, ma l’obbedienza le supera entrambe, se è praticata in tutta integrità. Con la povertà rinunziamo ai beni temporali: con la castità alle basse voglie della carne; ma con l’obbedienza l’uomo rinunzia alla propria volontà, regna sul suo spirito, sul suo cuore. (Papa Giov. XXII) Il voto di obbedienza comprende gli altri due (Scr. 55,259).
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Oltre al buon esempio, gli insegnanti devono cogliere ogni occasione perché l’istruzione serva all’educazione e al perfezionamento morale e a formare la coscienza cristiana e la parte migliore dell’uomo, la volontà, sede della virtù (Scr. 63,70).
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Come gli Angeli e gli eletti del cielo non hanno volontà propria, perché la volontà loro è unicamente piacere a Dio, così voi dovere volere sempre e tutti quello che vogliono le vostre regole, i vostri Superiori, il vostro Vescovo. Come il sole, le stelle, la terra, dal giorno della loro creazione seguono i movimenti loro impressi dal Creatore, così voi dovete parlare e operare sotto la perenne guida della disciplina (Scr. 64,145).
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Non vi è altro bene a desiderare, da noi religiosi, che quello che viene inculcato dalla Imitazione di Cristo: “Ama nesciri et pro nihilo reputari”, intimamente unito alla rinunzia della propria volontà, in tutte le cose, per l’amore di Cristo benedetto. In questa vittoria o rinunzia sta la nostra felicità e ritengo sia l’avvenire e la benedizione di Dio per il nostro minimo Istituto (Scr. 66,224).
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Contro i cattivi pensieri, mortifica la tua volontà, soggioga le ribellanti passioni, trangugia i bocconi amari – segui sempre, in tutto la volontà del tuo confessore e dei tuoi superiori. Odia l’empietà, odia l’indifferenza, odia la viltà e la codardia dei buoni e sii un campione di Cristo. Ama con tutto il cuore Gesù e fatti santo, nascondendo, più che potrai, quel poco di bene che la grazia del Signore farà per tuo mezzo (Scr. 70,198–199).
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Oh felice l’uomo che rinunzia alla propria volontà e a tutte le cose per Gesù Cristo! Felice quegli che, per amore di Gesù, diventa fanciullo! Qui, o cari figli e fratelli, qui deve rivolgersi tutto il nostro studio e tutti i nostri sforzi e le nostre orazioni, a sapere impicciolire noi stessi ai piedi di Gesù e per amore di Gesù fino all’obbedienza dei fanciulli, rinunziare alla nostra propria volontà: allora sentiremo quanto è soave servire il signore; e il cuore fedele proverà la dolcezza di Dio (Scr. 71,89).
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Dovrete, in prima, imprimervi bene nella mente: bisogna ch’io lasci affatto la mia volontà per essere religioso vero e non finto; perché siccome non si può fare che uno che non è battezzato sia Sacerdote di Dio, così uno, che non lascia la propria volontà, non può essere religioso, se non finto e solo di abito e non di virtù... della grande necessità di essere sinceramente santi: compresi della grande missione che Dio vi riserba (Scr. 73,229).
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Preghiamo, vigiliamo su di noi stessi, rinneghiamo il nostro amor proprio e operiamo civilmente e santamente pro Christo ed Ecclesia: in umiltà e fervore, nel sacrificio della volontà, della mente, del cuore, di tutta la vita. Sentiamo in Domino la carità di Gesù che ci incalza e ci preme: “Caritas Christi urget nos! (Scr. 79,90).
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Non è obbediente chi nell’obbedire segue il proprio giudizio. La volontà propria è veleno. Guai a colei che ha più a cuore la sanità che la santità. Non sa piacere a Cristo chi non sa patire per Esso. Chi segue veramente Gesù Crocifisso, studia di essere santo e non di parer santo (Scr. 105,111).
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Dio è pronto a concedere le sue grazie ed è generoso nelle celesti consolazioni a coloro che tengono la volontà di fare il bene. Ma tutti faremo nella umiltà e secondo la volontà di Dio e setto la protezione dei Vescovi che lo Spirito Santo collocò a reggere la Chiesa di Gesù Cristo (Scr. 105,384).
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Dal giorno in cui vorrete fare non secondo l’obbedienza, ma la vostra volontà da quel giorno voi comincerete e non trovarvi più contenti del vostro stato. E se si trovano in Congregazione dei malcontenti e di coloro cui la vita di Comunità riesce di peso, si osservi bene e si vedrà che ciò proviene della mancanza di obbedienza “. il Superiore è l’interprete della volontà di Dio e nessuno è più saggio e prudente di chi eseguisce i voleri di Dio. Agli occhi di Dio l’alzare una paglia da terra per obbedienza, dice il Rodriguez, val più ed è di maggior merito che fare una predica, un digiuno, una disciplina a sangue od una lunga orazione di propria volontà (Scr. 118,105).
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Dolcissima carità nel Signore, stringi insieme tutti i Religiosi e fa che ci amiamo come fratelli, con grande gioia con grande e perfetta letizia: fa, o Signore, che tutti cooperiamo al trionfo della Chiesa Vostra e della Vostra misericordia che tutti ci operiamo, nella carità fraterna, alla perfetta consensione della volontà e dei cuori e delle anime con Gesù Signore nostro, Salvatore e Amore nostro! (Scr. 119,203).
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Nella meditazione sentiamo di respirare in Dio, nella meditazione sentiamo il tocco di Dio. È quando nasce in noi un gran desiderio; la volontà di riformarci; e tutto il nostro interiore si riempie di sommessione e di amore a Dio e tutto il nostro esterno di modestia, di dolcezza, di pace (Lett. I,452).
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Ben altra, o fratelli, è, per la divina grazia, la vocazione nostra e quindi altra deve essere la vita nostra. Vita di perfezione (la quale perfezione, dice Santa Caterina da Siena, principalmente sta, in tutto, in annegare e in uccidere la volontà sua; e più nelle cose spirituali...» (lett. 126). E riponiamo in Nostro Signore ogni speranza e fiducia, rafforzando in Dio la nostra volontà e i buoni propositi, perché, senza Dio, non si edifica (Lett. I,454).
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Avete ora finito i Santi Esercizi Spirituali: ebbene, unite tutti i vostri cuori e tutte le vostre volontà in una volontà sola, in un cuore solo, in un’anima sola, come si legge dei primi cristiani, che erano «cor unum et anima una». E deponete i vostri buoni propositi e la stessa vita vostra, con la vita mia e della nostra cara Congregazione, ai piedi e nelle Mani materne della Santa Madonna (Lett. II,235).
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Per servire non indegnamente Nostro Signore e per amarlo in Croce e crocefissi, poiché Gesù non si può amare, né servire che così, cioè solo in Croce e Crocefissi – è assolutamente necessario, con la grazia di Dio benedetto, avere una grande volontà e generosità di anima. Una volontà ferma nel bene e nel mantenere i buoni propositi: una volontà costante e forte: ché le persone incostanti sono «a Dio spiacenti ed a’ nemici sui». E ci vuole generosità, ma una generosità non comune, una generosità grande e coraggiosa, fondata nel nostro Dio e, accompagnata da vera umiltà, una generosità ardente per spirito di fede e per giovanile ardimento in Domino. La nostra piccola Congregazione deve essere corde magno et animo volenti, una famiglia religiosa di caratteri fermi e di elementi generosi; una Congregazione di umili e di forti nella fede e nella volontà di santificarsi con Gesù Cristo e per Gesù Cristo, ai piedi della Santa Chiesa nel rinnegamento pieno di noi e in olocausto d’amore a Dio, sorretti dalla grazia del Signore, che non lascerà di confortarci (Lett. II,358).
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Santa Agnese! Purezza di fede che accetta fedelmente, umilmente tutto quanto insegna La Santa Madre Chiesa, che mette sotto i piedi la propria volontà, le proprie idee, il proprio giudizio, per non avere altra volontà, altre idee, altro giudizio che quello della Chiesa di cui dobbiamo essere figli devoti (Par. I,51).
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Crocifiggete le vostre passioni, crocifiggete il vostro amor proprio, crocifiggete la vostra volontà, il vostro cuore e fate che la vostra vita sia sempre una lampada ardente come quella delle vergini prudenti che, quando venne lo Sposo erano pronte per andare incontro allo Sposo; e così la vostra lampada sia sempre accesa e getti luce di edificazione in mezzo a tutti! Fatevi sante voi e fate sante tutte le anime che incontrerete sul vostro cammino (Par. II,161).
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Staccate il cuore da tutto. Specialmente nel vestire l’abito religioso incominciate una vita nuova. Abito diverso, vita diversa! Sempre più buone e virtuose! Una vita, in una parola chiara, più santa! Spogliate la vostra volontà dall’io, dal vostro sentimento. Cercate seguire Gesù in obbedienza, perfezione, mortificazione, per vivere una vita edificante (Par. II,221).
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Dice la tradizione che dove Gesù passava, fiorivano le pietre, cadevano infranti gli idoli, le statue. Così, davanti a Gesù, cadano infranti gli idoli del nostro amor proprio, le nostre volontà, il nostro orgoglio, la nostra superbia e ogni nostra passione. Che davanti a Gesù fioriscano nella nostra anima anche le pietre, che dalle passioni infrante nascano dal nostro cuore i fari delle virtù cristiane (Par. III,71).
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Dovete mettervi con ardore, deve essere un lavoro assiduo, un lavoro deciso. In questi tre mesi si vedrà chi ha buona volontà e chi riesce negli studi per essere Sacerdoti e chi nei Laici o Fratelli Coadiutori. Chi poi si vedrà che non studia e ha intelligenza, ossia non vuole far niente, sarà mandato a casa. Chi poi non riesce ma ha buona volontà e si applica, passerà nei Fratelli Coadiutori (Par. IV,250).
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La espressione più sincera del nostro amore verso la Vergine Santissima dobbiamo credere che è la nostra buona volontà di continuare nel bene, di accrescere in noi l’amore di Dio, di santificarci, di perseverare. In questi giorni del maggio mariano coltiviamo nel cuore questo pensiero e animiamoci ad una sempre più fervida volontà di dare alla Madonna questo grande atto di amore, mantenendoci nell’amore del suo Divin Figliolo, nella carità, nella vocazione (Par. IV,296a).
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Preghiamo il Signore che lavi con il sangue suo divino le macchie della nostra anima e rinvigorisca la nostra volontà. San Paolo, scrivendo a Timoteo, gli dice: Vedi di risuscitare la grazia che è un te... Che il Signore rianimi e risusciti in noi la vita spirituale, se mai questa grazia fosse stata seppellita. Una volontà decisa e intransigente di servire Dio fedelmente come vuole lui con cuore grande e generoso. Il Signore ha dato una grande benedizione a Daniele perché era animato da grandi desideri: Vir desideriorum. Volontà decisa di amare e servire Dio con slancio e generosità (Par. IV,430).
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Ecco che sta per cominciare l’anno e per questo ci vuole buona volontà e preparazione. Farete prima un po’ di esercizi spirituali: poco, tre giorni solo, ma è necessario che prima disponiate la volontà e l’animo al sacrificio. Per riuscirci proponetevi di fare qualunque sacrificio per compiere il vostro dovere; impiegandovi tanto più impegno quanto più sentirete ripugnanza verso qualche materia, perché ciò che piace si fa volentieri; ma ciò non basta... ci vuole volontà buona, non per cose umane, ma dobbiamo guardare in alto, molto in alto e allora qualunque sacrificio diventa dolce (Par. V,235).
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Nell’osservanza dell’obbedienza si trova tutto; tutta la perfezione religiosa consiste nell’abdicare alla propria volontà. Don Bosco chiedeva chi si lasciasse tagliare la testa, cioè chi si sentiva di rinunziare alla propria testolina. Stare attenti quando si ha la direzione spirituale delle teste fasciate; adagio, adagio con le visioni. Tutta la perfezione religiosa consiste nel rinunziare alla propria volontà (Par. VI,268).
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Tutti dovete entrare in voi; dovete assorbire e formarvi allo spirito della Congregazione, che è spirito di volontà, di fortezza, di coraggio, di sacrificio, di magnanimità di vera virilità sotto tutti i riguardi. E chi non si sente di essere così, non deve restare da noi, oppure deve piegarsi, plasmarsi e stamparsi così. Esto vir et non frasca. Questo è lo spirito della Congregazione. Noi non vogliamo dei tirapiedi che si lasciano trascinare; ma dobbiamo essere pieni di volontà, di dignità, di dinamismo coraggioso (Par. IX,401).
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Ora che gli Esercizi sono terminati dovete continuare a pregare, perché il Signore vi assista e vi aiuti a mantenere i propositi. Non dovete lasciarvi illanguidire nello spirito e venir meno ai propositi fatti, ma dovete avere volontà risoluta di corrispondere alla grazia che il Signore vi ha fatto e vi farà. Non dobbiamo essere come colui che “vult et non vult”, che oggi propone e domani vien meno, che ha una volontà labile, che ha la leggerezza e non ha il carattere, che non è di volontà forte. Domandate al Signore che vi dia la grazia di una santa volontà, risoluta di non venir meno ai propositi e di perseverare per la diretta via della santa vocazione, in cui la Provvidenza vi ha messo; volontà risoluta di non commettere lo sproposito, dice Don Bosco, di venir meno alla santa vocazione (Par. XI,50).
Vedi anche: Carattere, Fortezza (virtù).
Volontà di Dio
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È l’ora di pregare di più, di tacere, di adorare la Santa Volontà di Dio e di portare con più grande amore e fede la Croce con Gesù Crocifisso. Niente paura, niente timore, niente perderci di fede, ma coraggio ed animo grande, perché Dio è con noi e con i suoi cari poveri e con tutti i più abbandonati (Scr. 9,26).
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L’aurea indifferenza e l’abbandono alla santa volontà di Dio è la più gran prova d’amore che si può dare al Signore. L’unico sollievo ad ogni nostro male è il pensare ai patimenti sofferti da Gesù Cristo. L’amore di Gesù cristo e l’amore a Gesù Cristo sono, credilo, o figlio mio, le due vene della consolazione nostra in ogni pena, in ogni dolore fisico o morale della vita (Scr. 22,221).
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Caro don Quadrotta, non c’è rimedio migliore che aver pazienza e chiedere alla Madonna la grazia di annegarci nella volontà di Dio, felici di vivere e di morire quando e come a Lui piace, benedicendo la sua santa volontà (Scr. 26,44).
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Sia fatta la volontà di Dio, sempre adorabile anche nelle più amare afflizioni! Mettiamoci tutti nelle sue mani e poi non perdiamoci per nulla di coraggio, poiché noi siamo nulla, ma Dio è tutto e caverà bene dalla nostra afflizione e dolore, che ho già offerto a lui e alla Addolorata nostra madre (Scr. 29,64).
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Nella conformità alla volontà di Dio dimora tutta la virtù e anche la felicità delle anime nostre. La volontà di Dio è bene sì grande, che non ve ne può esser altro da mettergli al confronto. Preghiamo e preghiamo con speranza, con fiducia, ma, poi, riposiamo tra le braccia del Padre Celeste, nella volontà del Signore riposiamo, anzi godiamo! (Scr. 31,233).
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La volontà di Dio è proprio la santificazione nostra: bene sì grande, che non ve ne può essere altro da mettergli al confronto: la volontà di Dio è Dio stesso! Che la SS.ma Vergine e San Giuseppe ci aiutino a fare ora e sempre la volontà del Signore, a riposare e a godere nella volontà del Signore (Scr. 33,37).
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Vi ho parlato quella sera per fare la volontà del Signore, vi ho scritto per fare la volontà del Signore: vi dico queste cose per fare la volontà del Signore! Fate la volontà del Signore, o fratelli! Come un figlio quando china la testa dice di sì, di fare la volontà di suo padre e di sua madre, così il primo passo, e l’atto stesso dell’Adorazione è già una rinuncia continua quotidiana, universale e perpetua della nostra volontà nella volontà del Signore: fate la volontà del Signore, o fratelli, e fatelo amare e adorare quotidianamente, universalmente e perpetuamente (Scr. 36,26).
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Nella conformità alla volontà di Dio dimora tutta la virtù e anche la felicità delle anime che seguono Gesù Cristo e la Chiesa. Non v’è bene migliore che quello di spogliarci della propria volontà in tutte le cose per l’amore di Dio. Beati quelli a cui la parola divina «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso», ha penetrato le ossa e le midolla (Scr. 50,181).
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Volontà di Dio, Paradiso mio. 1) Che è la volontà di Dio? Direi che è Dio stesso. 2) Fuori della volontà di Dio (sapientissima, santissima) non v’è più bene, ma illusione di bene. 3) I divini voleri sono sempre adorabili, la volontà di Dio è sempre amabilissima anche quando, direi, ci percuote. 4) Non v’è di amabile che la volontà di Dio sola e non v’è altro bene che il poterla conoscere ed adempiere. 5) È luce per l’intelletto. 6) Nella conformità alla volontà di Dio dimora tutta la virtù e la felicità delle anime cristiane. Volontà di Dio, Paradiso mio. Tutto lo studio nostro deve essere nel pervenire a conoscere la divina volontà. I segni principali, a cui possiamo conoscere quale sia per noi la divina volontà sono tre: 1) la legge di Dio; 2) l’obbedienza alla Chiesa, ai Superiori, genitori spirituali; 3) la voce della Divina Provvidenza: questi tre segni sono subordinati l’uno all’altro: il terzo al secondo, il secondo al primo. La volontà di Dio essendo essenzialmente santa vuole indubbiamente la nostra santificazione: «Haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra». Dio ce la fa conoscere se la cerchiamo con semplicità e la compiamo con esultanza (Scr. 55,13).
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La volontà di Dio si viene a conoscere ove si cerchi non al fosco lume delle nostre passioni, ma al limpidissimo chiarore delle eterne verità, in fondo alla barca, in punto di morte. Talora non vediamo la volontà di Dio perché non la vogliamo vedere, ma la ripetuta orazione, l’orazione fedele e fervente, toglie le tenebre. La vera virtù e la perfezione non consiste in altro che nell’essere sempre contenti della volontà di Dio e nell’uniformarvisi in tutto. Amare la volontà di Dio nelle cose liete è poco amore, ma amarla nelle contrarie è amor puro, è come l’oro affinato. Esempi di Gesù. Non venne che per fare la volontà del Padre. Gesù nell’orto: nel tempo della desolazione e della tristezza spirituale conviene ricordarsi di Gesù agonizzante. La conformità alla volontà divina è l’unica via della pace e della felicità. «Coepit facere». Trasforma in bene tutti i mali, in felici avventure tutte le calamità. Nella volontà di Dio dobbiamo sempre riposare, anzi godere. Nella vita cristiana non si fa mai molto, se non quando si fa molto la volontà di Dio, aurea indifferenza. «Fiat! Fiat voluntas tua!» (Scr. 55,14).
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Nella conformità alla volontà di Dio dimora tutta la virtù e anche la felicità delle anime cristiane. «Volontà di Dio, Paradiso mio», diceva la Beata Paola Frassinetti (Scr. 57,58).
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La volontà di Dio è sempre amabilissima a chi desidera vivere nella mano del Signore ed è bene sì grande, che non ve ne può essere altro da mettergli al confronto. Fuori della volontà di Dio non vi ha più bene, ma solo illusione di bene. La volontà di Dio è luce per l’intelletto che conosce e ama Dio, è bene ineffabile e infinito che supplisce e compensa ogni altro bene (Scr. 58,167).
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La volontà di Gesù Cristo ha il merito dell’ubbidienza e la sua ubbidienza ha il carattere della volontà. Tale sia, o fratelli, la nostra sommessione al Padre dei cieli: sommessione universale, anche dove la volontà di Dio ci possa sembrare ardua e piena di sacrifici, sommessione volontaria, da piegare la nostra volontà a quella di Dio e da ricevere tutto ciò che Egli ci manda, non solamente con rassegnazione, ma con volontaria allegrezza, con quella perfetta letizia di cui nei Fioretti parla a frate Leone il grande Santo che «fu tutto serafico in ardore» (Scr. 82,30).
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Bisogna chiudere la nostra volontà dentro la volontà di Dio. Qualunque sia il nostro tenore di vita e la veste che ci copre, bisogna che ciascuno divenga più che creatura e servo, figlio di Dio. Finché noi esitiamo ad affidarci assolutamente alla guardia di Dio, finché la nostra volontà ha dei capricci di sì e di no, noi resteremo in uno stato d’infanzia e quindi non procediamo come dovremmo, a passi da gigante, nel dominio della carità. Il fuoco del divino amore non ha ancora abbruciato tutto il miscuglio che è in noi, l’oro non è puro: noi siamo ancora i cercatori di noi stessi: Dio non ha ancora vinta tutta la nostra ostilità e l’attacco alle nostre umane passioni (Scr. 91,263).
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Tutta la nostra felicità e beatitudine sta nel compimento della volontà di Dio in noi e nel prossimo: tutto il resto è nulla (Scr. 102,85).
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Non c’è certamente nulla di più amabile della volontà di Dio, anzi non c’è di amabile che essa sola: ora amare la volontà di Dio nelle cose liete è poco amore, ma amarla nelle contrarie, amarla sempre e amarla tanto anche nei sacrifici più gravi alla natura, oh, allora è amore pure, amore che appaga l’anima che amando patisce amore... E il Signore adopera con voi come lo ha adoperato con altre certe anime: è un magistero occulto e, per quanto apparisce di fuori, piuttosto di distruzione che di edificazione, infatti distrugge le cose visibili per creare dentro di noi le invisibili, toglie quasi dal nostro cuore gli oggetti terreni per darcene uno eterno, immenso, infinito, che valga per tutti i terreni e più e più senza misura (Scr. 112,42).
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Alla volontà di Dio ci deve essere da parte nostra la piena dedizione di mente, di cuore, di opere. Colui che avrà consumato in sé la volontà di Dio, «ipse entrabit in Regnum coelorum». Non limitiamoci nella via del bene e non contentiamoci delle apparenze, ma facciamo che la nostra vita sia sostanza di opere buone (Par. VI,125).
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La beata Paola Frassinetti era solita ripetere: «Volontà di Dio, Paradiso mio!». Altro che rassegnazione, altro che uniformità alla volontà di Dio! Per la beata Frassinetti era un Paradiso, la volontà di Dio! Oh, la grande felicità di un’anima che si uniforma alla volontà di Dio! Cari miei chierici, in tutte le pene, in tutte le amarezze, nei disinganni, nelle delusioni, nei dolori della vita, ricordate Giobbe, imitate Giobbe che era Idumeo, non era cristiano! Era prima di Cristo, ma quanto era cristiano! E abbiate sempre usuale anche voi, questa dolce frase che esprime tutta la nostra rassegnazione, tutta la nostra uniformità alla volontà del Signore: «Dominus dedit, Dominus abstulit... benedictum!». Qualunque cosa vi capiti dite sempre dentro di voi: «Dominus est!». Viene la gioia? «Dominus est!». Viene un gaudio? «Dominus est!». Viene una spina? «Dominus est!». Viene una parte della corona di spine che ha coronato la fronte di nostro Signore Gesù Cristo? «Dominus est!». Viene la tribolazione? «Dominus est!». Viene la croce? «Dominus est! Dominus dedit! Dominus abstulit! Sit Nomen Domini benedictum!» (Par. XI,309–310).
Vedi anche: Abbandono (in Dio), Fede, Obbedienza.
Votazioni (canoniche)
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I nostri Sacerdoti dell’Argentina e dell’Uruguay, quelli che hanno i voti, (non chi non avesse ancora i voti) e anche i chierici che fossero già in sacris, dovranno dare segretamente e in coscienza il loro Voto, favorevole o non favorevole su ciascun chierico che è proposto per la Tonsura o per Ordini. Essi manderanno il loro voto a Voi, Don Zanocchi e voi lo manifesterete solo al P. Dutto, perché ci sia un altro al corrente; e trasmetterete poi l’esito di detta votazione a me o a don Sterpi. Quando si dà voto non favorevole, ma negativo, devono darne la ragione, che si esaminerà, perché nessuno sia ritenuto nell’Ordinazione, se non giustamente e per vero motivo. Se il candidato ha avuto pieni voti assoluti, avendo Voi già il certificato, firmato da me, potrete farlo ordinare senz’altro, anche prima di mandare qui l’esito della votazione. Ma, se non avesse avuti pieni voti, o anche gli mancasse un solo voto, si sospenda di farlo Ordinare se si trattasse dei due ultimi Minori, o del Suddiaconato, Diaconato o Presbiterato. Se, invece, si trattasse dei due primi Minori, se anche gli mancasse un voto, potete farlo ordinare; e per la Tonsura, se anche gli mancassero due voti. Però, se le motivazioni toccassero la condotta morale la integrità della fede o dubbi sulla sua vocazione, non sia ordinato, ma si mandi, prima, qui il risultato (Scr. 1,243).
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Dalla votazione, ultimamente avvenuta, risultarono eletti per maggioranza di voti a membri del consiglio provvisorio della nostra cara Congregazione i seguenti: Adaglio sac. Giuseppe, Pensa sac. Carlo, Cremaschi sac. Giulio, Risi sac. Roberto, Cribellati sac. Felice, Sterpi sac. Carlo, Orione sac. Luigi, Zanocchi sac. Giuseppe, L’eremita fra Gaetano Cremaschi. Viene poi assunto, in qualità di segretario del consiglio stesso, chi, per votazione, venne subito dopo, che è il sac.te Giuseppe Montagna. Il Signore ci conforti a corrispondere ad ogni sua grazia e a vivere da figli umili e fedeli ai piedi della S. Chiesa e del Papa e la Madonna Santissima voglia sempre farci da Madre in terra e in Paradiso (Scr. 24,59).
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Allo scopo di dare alla nostra piccola e cara Congregazione una sistemazione sempre più conforme alle norme piene di sapienza date dalla S. Sede, ti prego di segnare una crocetta sull’unito elenco a fianco dei nomi e cognomi di otto nostri Confratelli Sacerdoti e di un Eremita o avente i voti religiosi: nove in tutto. Vorrai prima raccomandarti molto umilmente a Nostro Signore ed alla SS.ma Madre nostra Maria Vergine e ai Santi nostri Protettori e reciterai d’in ginocchio il Veni Creator. Di questa votazione non ne parlerai né prima, né mai con alcuno, sia della Congregazione che estraneo, ma farai da te, scegliendo in coscienza quelli che davanti a Dio reputerai più atti al buon governo della Congregazione. Tieni ben conto del loro spirito religioso e attaccamento al Papa, alla Chiesa e alla Congregazione stessa. Considera la loro pietà e spirito di fede, di abbandono nella Divina Provvidenza: la loro vita di umiltà, di sacrificio, di povertà, di desiderio di molto patire e di consumarsi per l’amore di Gesù Cristo, della Chiesa, delle Anime. Avrai presente che suprema regola dei fratelli maggiori è quella di procurare la santità dei fratelli minori e quindi scopo principale del loro magistero è la carità verso i soggetti e la loro santificazione. Devono essere tali, che non solo preghino e lavorino dì e notte per il bene della Congregazione, ma nell’esercitare la loro autorità siano più che padri e madri, cosicché la loro autorità non sia un peso, ma un conforto: una autorità tutta spirituale e dolcissima. Vedi quindi di scegliere quelli di maggior spirito di discrezione e di carità. Tieni molto presente anche la loro dottrina, ma più la loro prudenza; e siano di prudenza non umana, ma prudenza di spirito, mossi cioè dallo spirito di Gesù Cristo Crocifisso: animati e condotti da quello spirito interiore che sempre riflette e considera bene le cose davanti a Dio. È inutile dirti che non si dà il voto a sé stesso. Mio caro Fratello, pensa al grande atto che stai per compiere e non lasciarti guidare da accettazione di persone, ma eleggi quelli ai quali daresti il tuo voto in punto di morte. Il voto è libero e sarà tenuto segreto. Non devi scrivere nulla sulla scheda dei nomi, neanche il tuo nome. Solo metti una croce a lato dei nomi di quelli che tu vuoi eleggere. E dietro la scheda, che mi manderai al più presto, senza alcuna aggiunta di altri scritti, metterai un tuo segno convenzionale, per cui tu solo potrai, in caso di contestazione, assicurare l’autenticità e che quella scheda è tua. Dio ti benedica e ti illumini. Prega per me (Scr. 101,113–114).
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Per parecchie di voi s’avvicina un’epoca decisiva: pensateci bene, buone figliole del Signore. Non vi debbono essere pietre refrattarie nel piccolo Istituto, no, no. Se finora, nelle votazioni fatte, bastavano la metà dei voti, più uno o due, da ora innanzi non basterà più, ma sarà necessaria la totalità dei voti. Non si fanno alla leggera tali cose. Anche se non vi vedo molto in particolare, io vedo e sento, per quella stella divina che mi sta continuamente innanzi agli occhi e che guida i miei passi...; vedo che per molte di voi non va bene... Il Signore m’ispira, guida la mia mano, lui sa e mi dà la grazia. Non intendo avvilirvi no, ma confortarvi (Par. I,23).
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Ricorrendo oggi la Festa del Papa, onomastico del Santo Padre Benedetto XV, ho pensato di scegliere questo giorno per invitarvi a ripetere la votazione per le Probande e per le Novizie. Voi che eravate già qui, dovete aver sentito e capito a quale delicatezza di coscienza ci si attiene donando o rifiutando il voto. Ma alcune di voi da poco sono qui; per queste ripeterò in breve quel che mi sembra più importante, cioè quale criterio deve guidarvi nel dare o rifiutare il voto. Mettetevi con lo spirito davanti a Dio, dove ora siamo realmente: con una mano sull’Altare e l’altra sulla coscienza, con la giustizia e l’imparzialità che vorreste fosse usata con voi, date o rifiutate il voto. Sotto gli occhi di Dio che attentamente vi guarda, date il voto solamente a quelle che mostrano spirito di pietà e vocazione vera! Non pensate se sono istruite o ignoranti, secondo il mondo, se sono sane o ammalate, se robuste o delicate, se forti o deboli; non guardate se una è avanti negli anni o di giovane età, se è qui da tanto o da poco tempo: in questa votazione date il voto anche se fossero entrate ieri, se conoscete che abbiano queste qualità. Non guardate ai difetti fisici, se una fosse guercia, storpia, vedesse o non vedesse; scusate se parlo così; per questi difetti ci sono i Superiori: voi non dovete badarci: se è stata ricevuta nella casa, è segno che, avendo buono spirito, potete darle il voto. E questo datelo solo a quelle che vedete possono riuscire buone Religiose, buone Suore, non a quelle un po’, sì, un po’ no, a quelle che un po’ vogliono volare, un po’ van giù a terra; no, no, a queste no (Par. I,48).
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Il voto delle probande è consultivo e non deliberativo: quelle per altro che nella votazione avranno riportato i due terzi dei voti, passano ad una seconda votazione: quella delle Novizie. Così si è fatto la prima volta che avete fatto la votazione. Per le Novizie è necessario che abbiano almeno i due terzi dei voti e per l’altro terzo non ci deve essere uno scarto maggiore di tre voti: Per esempio: se fossero in nove a dare il voto e una Novizia ne avesse sei favorevoli e tre contrari non sarebbe ammessa: se fossero quindici e avesse soltanto dodici voti, cioè tre in meno, non sarebbe ammessa. Vedete che per le Novizie stringo molto e io vi dico, alla presenza di nostro Signore che ci guarda, di Maria Santissima, dei Nostri Angeli Custodi, che un giorno per questo mi benedirete, perché faccio il vostro bene...: lo sento proprio, sono convinto di lavorare per il bene del vostro Istituto. Un Istituto di buono spirito fiorirà, mentre deperisce e muore quello, dove questo non regni. Ricordatevi di quel che vi ho detto di frate Elia. Le probande che avranno meno di due terzi di voti nella prima votazione, non saranno ammesse alla seconda (Par. I,55).
Vedi anche: Superiori, Vita religiosa.
Voti (canonici)
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Non si ammetta mai ai Voti né a rinnovare i Voti né si dia l’abito, se non a chi ha dato prova di pietà soda, di umiltà, di spirito di sacrificio e di orazione, e sia di vita illibata (Scr. 1,274).
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Il fine primario e generale della Congregazione è la santificazione delle proprie religiose, mediante la osservanza dei voti semplici di povertà, castità, obbedienza e carità, e di queste costituzioni (Scr. 18,148).
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Non ammetterò, d’ora innanzi, più ai voti, se non quelli che avranno fatto il noviziato regolare, e non ammetterò al suddiaconato, se non chi avrà fatto i voti perpetui. Questo dico a te, per tua norma. Bisogna fare così. I figli della Congregazione devono vivere in povertà castità e obbedienza coi voti, e osservare i voti con delicatezza di coscienza. Chi non ha i santi voti, o non li osservasse, deve essere con carità ma nettamente separato e, quanto prima, allontanato. La Congregazione sarebbe rovinata da chi portasse rilassatezza o facesse borsa di sé, come Giuda (Scr. 32,88).
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I fratelli di questa società faranno tre voti semplici di castità, di povertà e di obbedienza, emessi i quali vengono annoverati fra i coadiutori dell’Opera della Divina Provvidenza. Alcuni sacerdoti poi, scelti fra i coadiutori e nominati dal superiore faranno un quarto voto perpetuo di speciale obbedienza al romano pontefice, dopo il quale vengono chiamati con il proprio nome di presbiteri dell’Opera della Divina Provvidenza e avuti siccome servitori fino alla morte e figli del Papa (Scr. 45,29).
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I membri dell’Opera, dopo un congruo tempo di noviziato, (il quale, secondo le norme date dalla Sacra Congregazione dei VV. e RR. deve durare non meno di un anno), saranno ammessi ai voti temporanei annuali di castità, povertà ed obbedienza per un intero triennio; dopo il quale potranno fare i voti perpetui; e solo dopo questi conseguire, nulla ostando, l’ordine del suddiaconato. Quei sacerdoti poi che, emessi i voti perpetui come sopra, saranno creduti degni dal superiore potranno far parte di una sezione speciale avente obbligo speciale, senza voto però, di servire in tutto e per tutto il romano pontefice, e avuti siccome servitori fino alla morte e figli del Papa. Questi debbono aver fatto un sacrifico continuo e totale di sé stessi alla volontà dei superiori: non vivono che per la s. Chiesa, pronti per essa sempre a morire (Scr. 45,30e).
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L’Opera della Divina Provvidenza è costituita da diversi elementi personali: aspiranti, novizi, professi, anziani. Ha per scopo remoto: la santificazione dei congregati e della società, e per scopo prossimo: la completa esecuzione del programma pontificio. Essi fanno voti perpetui, solenni, assoluti – e costituiscono la gerarchia dell’Opera della Divina Provvidenza e il centro della Congregazione, formando nucleo strettissimo che ha per titolo la Compagnia del Papa. Gli anziani ai tre voti: povertà, castità e obbedienza comuni ai professi, hanno per obbligo il 4° voto: incondizionata obbedienza al Papa. L’azione dell’Opera della Divina Provvidenza e dei suoi capi si sviluppa nella legalità sino a che le sue leggi non urtino volontariamente, direttamente, sensibilmente e costantemente lo spirito della chiesa e gli intendimenti pontifici. I professi oltre i tre voti semplici, fanno apposita promessa davanti al SS.mo Sacramento di eseguire in ogni ordine di idee e di fatti, e con ogni attività dell’intelletto del cuore e quello che al Pontefice piacerà comunicare al padre Superiore dell’Opera della Divina Provvidenza (Scr. 52,5).
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Formula dei voti. Nel nome della SS.ma Trinità, Padre, Figliolo e Spirito Santo. Io, sacerdote Orione Luigi, mi metto alla vostra presenza, o Onnipotente e Sempiterno e Provvidentissimo Dio, e, sebbene mi senta il più grande peccatore e indegnissimo di stare al vostro cospetto, tuttavia, confidato nella vostra somma bontà e infinita misericordia, alla presenza della beatissima madre di Dio, la Vergine Maria Immacolata, misericordiosissima madre e regina dell’Opera della Divina Provvidenza: alla presenza del glorioso San Giuseppe, sposo purissimo di Maria Vergine e patrono universale della s. chiesa cattolica: alla presenza del beato apostolo Pietro, del beato Arcangelo Michele e di tutti gli angeli e di tutti i santi del cielo, e delle anime sante del Purgatorio, faccio voto di povertà, di castità e obbedienza a Dio e a voi Mons. Igino Bandi, Vescovo di questa santa chiesa di Tortona e Vescovo mio e padre mio veneratissimo e dolcissimo nella carità del cuore sacratissimo del Signore e redentore nostro Gesù Cristo crocifisso – e detto voto faccio per un anno, secondo le Costituzioni della Congregazione religiosa l’Opera della Divina Provvidenza. E per voi, eccellentissimo Vescovo e padre, intendo umilmente fare questo voto ai piedi veneratissimi e nelle santissime mani della augusta madre nostra la santa chiesa cattolica apostolica e romana, madre e maestra di tutti i fedeli, di cui voi fate le veci a cui (con amore filiale) per le mani di Maria SS.ma Immacolata e particolarmente e per le vostre sante mani di Vescovo e dei santi Vescovi vostri antecessori e per le mani e del beato apostolo Pietro si consacra in questo istante la minima Opera della Divina Provvidenza (Scr. 52,15).
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In quei santi momenti adunque, vedendo tanta confidenza, tanta paterna e divina carità del Santo Padre verso la Piccola Opera, io ho osato domandargli una grandissima grazia. E il Santo Padre mi disse, sorridendo: sentiamo un po’ cos’è questa grandissima grazia. Allora Gli esposi umilmente come, essendo fine precipuo e fondamentale del nostro Istituto quello di rivolgere tutti i nostro pensieri e le nostre azioni all’incremento e alla gloria della chiesa: a diffondere e radicare nei nostri cuori in prima, indi nei cuori dei piccoli l’amore al Vicario di Gesù Cristo, Lo pregava, dovendo fare i voti religiosi perpetui, di degnarsi, nella sua carità, di riceverli nelle sue mani, essendo e volendo essere questo Istituto tutto amore e tutta cosa del Papa. E il Santo Padre, con quanta consolazione della mia anima non potrò esprimerlo mai, mi disse subito e assai volentieri di si. Lo ringraziai, e l’udienza continuò. Ma, quand’essa era sul finire, domandai a sua Santità quando credeva dovessi io ripassare per i santi voti. E allora il nostro Santo Padre mi rispose: Ma anche subito. Dio mio! che momento fu mai quello! Mi gettai in ginocchio davanti al Santo Padre: Gli strinsi e baciai i piedi benedetti: trassi di tasca un librettino che i piccoli Figli della Divina Provvidenza conosceranno, e che io già aveva portato meco, presentendo la grazia: apersi là ov’è la formula dei santi voti, e dove, avanti, aveva messo già il segno. Ma, in quel momento sì solenne e santo, ricordai che sarebbero occorsi due testimoni, secondo le norme canoniche, e i testimoni mancavano poiché l’udienza era privata. Allora levai al Santo Padre gli occhi, e osai dirgli: Padre santo, come Vostra Santità sa, ci vorrebbero due testimoni, a meno che la Santità vostra si degnasse dispensare. E il Papa, guardandomi dolcissimamente e con un sorriso celeste sulle labbra, mi disse: Da testimoni faranno il mio e il tuo angelo custode! Oh felicità di Paradiso! Caro Signore Gesù come mi avete confuso per quel po’ di amore che, per grazia vostra, ho avuto a voi e al vostro dolce Vicario in terra! Siatene benedetto in eterno, o mio Signore, siatene benedetto in eterno! Prostrato dunque ai piedi del Santo Padre Pio X come ai piedi stessi di nostro Signore Gesù Cristo: alla presenza di Dio Padre, Figliolo e Spirito Santo: invocata la mia dolce Madonna e beatissima madre nostra, la SS.ma Vergine Maria, Immacolata madre di Dio: il glorioso San Michele Arcangelo: il carissimo mio San Giuseppe e i beati Apostoli Pietro e Paolo, e tutti i santi e tutti gli angeli del cielo, ho emesso i miei voti religiosi perpetui, e una speciale e solenne promessa: un esplicito e vero giuramento di amore sino alla consumazione di me e di fedeltà eterna ai piedi e nelle mani del Vicario di Gesù Cristo. E due angeli facevano da testimoni, e l’angelo stesso del nostro Santo Padre! Mi chinai profondamente sino a terra, mentre il Papa stendeva la sua mano benedicente sulla povera mia testa, e io la sentiva la benedizione apostolica scendere e avvolgermi tutto e dentro e fuori, come se Dio scendesse su di me, mentre la voce soavissima e santa del Papa continuava ancora in una ben grande e consolatissima e amplissima benedizione! O Signore, quanto siete mai buono, caro Signore! Sia tutto a onore e gloria vostra! Benedetto sia il Signore per tutti i giorni! (Scr. 52,20i–20l).
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E qui mi è dolce ricordare che i primi voti canonici furono emessi nella gioconda solennità di Pasqua, anniversario della mia prima Messa, nella cappella del palazzo Vescovile di Tortona, e nelle mani del nostro Veneratissimo Mons. Vescovo, Igino Bandi. Furono poi essi rinnovati in Roma, un anno dopo, nella Basilica di San Pietro, e all’altare della confessione, giù, alla cripta e sopra la tomba del beato Apostolo Pietro, sempre nelle mani del nostro Eccell.mo Vescovo di Tortona, e in occasione d’una sua visita ad limina Apostolorum. E furono rimessi là, per il fine suo proprio che ha l’Istituto. La terza volta li ho fatti ancora in Tortona, sempre nelle mani del nostro ven.mo Vescovo [Bandi], in luogo un po’ differente, se volete, dalla Basilica di San Pietro, cioè nella nuda e ben squallida cappella delle carceri, e presenti i poveri prigionieri; nella circostanza che s. Ecc.za rev.ma Mons. Vescovo si era pietosamente recato a distribuire la Pasqua ai carcerati. Domandai di emetterli in quel recinto di dolore e di infelicità, e perché luogo a me carissimo, ove da chierico andava, coll’aiuto di Dio, insieme con il rev.mo canonico Ratti, e dove la bontà del Signore mi aveva largite singolari misericordie (Scr. 52,20m–20n).
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A voi che fate i santi voti – ricordatevi che l’anima si salva e si santifica con il mantenere fedelmente le sacre obbligazioni dei voti, e non mai con il cercarne la soluzione o la poca osservanza. Gioite e date gloria a Dio e a Dio e alla s. chiesa consacratevi con magnanimità d’animo per le mani di Maria SS.ma Immacolata madre di Dio. Voi con i voti riacquistate la innocenza battesimale Avanti in Domino sempre! grati a Dio della insigne grazia che vi ha fatto! (Scr. 52,155).
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L’Istituto è una Società religiosa, i cui membri aspirano alla perfezione evangelica, confortandosi a vicenda con l’esempio e con le esortazioni per conseguirla: suo fine è la santità dei suoi membri. I membri fanno i tre voti soliti di povertà, di castità e di obbedienza, e poi un quarto dopo dieci anni, di essere in tutto umili e fedeli ai piedi della Santa Chiesa di Roma e dei Vescovi. L’Istituto è una scuola di perfezione, non un’unione di uomini perfetti. Esso è stato fondato per formare uomini umili, mansueti e veri imitatori di Gesù Cristo: l’Istituto è tutto fondato sulla semplicità, sul pieno rinnegamento di noi stessi, e il suo spirito vuole essere spirito di fede e di abbandono e piena fiducia nella Provvidenza (Scr. 54,178).
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Chi non dà un sicuro e pieno affidamento, anche io dica che può fare i Voti perpetui, non dovete permettere che li faccia. I Voti perpetui di quelli che vi sono ammessi si dovranno fare con qualche solennità, con molta solennità, e, possibilmente a Claypole, premessi gli Esercizi Spirituali, ma possono valere da Esercizi anche quegli Esercizi che fossero fatti solo da qualche mese; allora basteranno tre giorni, e anche meno se qualcuno proprio non potesse ferne a meno. I Voti perpetui non è necessario che si aspetti a farli quando scadano i voti annuali o perché, senza avere una condotta indegna, non è per altro così sicuro, sia da parte nostra che magari da parte sua, da potergli concedere l’emissione dei Voti perpetui, quando gli scadano i Voti annuali, rinnovi i Voti annuali. Non bisogna assolutamente affidare Chierici a Sacerdoti nostri, se questi non sono di assoluto buon esempio: abbiate questo criterio come un punto fermo ed essenziale, e se qualche Sacerdote chiede aiuto di Chierici per Oratorio festivo o dottrina ecc. bisogna che abbiate il coraggio di dirgli chiaro: “La tua condotta religiosa non è così edificante da poterti dare dei Chierici”. Anzi farete ogni possibile perché i Chierici vengano sottratti alla mala influenza di qualche nostro Sacerdote che mostra poco spirito e che potrebbe danneggiare religiosamente e impedire la buona formazione religiosa dei Chierici (Scr. 68,158).
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Oggi vi mando i cartellini per la promozione alla Sacra Tonsura di 16 Chierici. Essi dovranno prima fare i Voti Perpetui: chi non ha i Voti Perpetui, non può ricevere le Ordinazioni. Non si devono ammettere a fare i Voti perpetui; se non quelli che ne sono degni e che danno veramente prova di vocazione con una condotta veramente da pii ed edificanti Religiosi. Dunque non vuol dire che dobbiate far dare la Tonsura a chi non se la meritasse, né che si debba ammettere ai Voti perpetui chi non dimostrò di osservare bene i voti annuali. Fatevi coscienza, e pensate alla vostra gravissima responsabilità: non ammettete ai Voti perpetui chi non lo merita, né promovete alla Tonsura chi non ne fosse degno (Scr. 68,161).
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Quelle che emetteranno i santi voti, si ricordino che esse oggi acquistano l’innocenza battesimale come nel giorno che sono state battezzate. Esse si legano, perché voto vuol dire legame, giuramento di tutto ciò che ci è di grande sacrificio, vuol dire vincolo. Voi, dunque, vi legate, vi vincolate, vi unite, vi immedesimate nel Signore per la santa e bella virtù degli angeli, la purezza, la carità, l’umiltà, la povertà, la santa obbedienza. Come le ha praticate queste virtù nostro Signore: essendo Dio le ha praticate in un modo divino (Par. II,123).
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Che differenza c’è fra chi fa i voti e chi non li fa? La differenza è questa, che io osservo: la vita di suora religiosa senza voto è come colei che dà a Dio solamente il frutto, che dona a Dio il frutto della pianta. Chi fa il voto invece non dà solo il frutto, ma dà anche la pianta, cioè si fa tutto di Dio, ed è di Dio nel modo più perfetto, nell’osservanza dei santi consigli evangelici, vale a dire con perfezione, non solamente osservando la legge di Dio, ma anche i santi consigli di Dio, che sono qualche cosa di più. Con l’aiuto di Dio voi certo, anche in avvenire, potrete praticare la vostra vita religiosa con maggior esattezza, con maggior vantaggio dell’anima vostra e anche con maggior merito davanti a Dio. Voi ora, coi santi voti, potrete avanzarvi in meriti, e dunque aspirare alla santificazione dell’anima vostra, con la rinuncia ai piaceri, alle vanità del mondo, con perfetta umiltà, obbedienza e povertà di spirito. Con questi santi voti voi rinunciate a tutte le mondanità, a tutte le agiatezze della vita e date tutto a Gesù, a cui intendete siano consacrate tutte le vostre parole, i vostri atti, i vostri sentimenti, i vostri desideri, le vostre opere, ogni vostro desiderio in vita e tutti i palpiti del vostro cuore. Voi rinunciate al mondo, alle sue promesse, alle sue vanità, voi con questi santi voti, con l’aiuto di Dio, intendete di essere fedelissime a Gesù, di seguirlo più da vicino. Io sono sicuro che nel vostro cuore, o buone figliole del Signore, avete il desiderio di consacrarvi a Gesù con voto perpetuo; ma, poiché i sacri canoni e la nostra regola vogliono che si facciano i voti per un anno, rinnovandoli per tre anni per provare meglio lo spirito della religione, io accetto la vostra domanda e, qui, davanti a Gesù Eucaristico esposto sull’altare, ne prego il Signore che vi conceda la grazia di potervi offrire a Gesù Cristo: Egli vi darà la ricompensa di quanto avrete fatto e avrete patito per lui (Par. II,125–126).
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I voti significano non solo compiere la virtù dell’obbedienza, della povertà e della castità; non significano dare solo il frutto, ma anche la pianta! Ecco perché nel giorno in cui si compiono i voti, si acquista la innocenza battesimale, come il giorno benedetto in cui al Sacro Fonte si ricevette il santo Battesimo. Gaudeamus! Ancora grandi grazie fa a voi il Signore! Grande grazia fa a voi che vestite l’abito religioso, grande grazia fa a voi che fate i santi voti! E voglia Dio concedermi la gioia di dare presto il santo abito a voi che ancora non l’avete; affrettate così con la vostra preghiera e con la vostra buona condotta, da Missionarie della Carità, e da Figlie della Madonna della Guardia, e da vere Sacramentine, il mio voto di potervi dare l’abito religioso. E voi che spogliate l’abito secolare, ricordatevi che non è l’abito che fa il monaco. Deponendo gli abiti civili dovete spogliarvi di tutte le usanze secolari; quelle cose, anche buone nel secolo, non sono più consentanee a chi veste l’abito religioso. Spogliare l’abito vuol dire abbracciare la mortificazione, vuol dire abbracciare la Croce di Gesù Cristo. La vita del buon religioso è croce; così dice l’Imitazione di Gesù Cristo (Par. II,160).
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La vita del buon religioso è croce. Ed infatti il buon religioso deve con i tre voti crocifiggere le proprie passioni e le malnate concupiscenze. I voti sono moralmente rappresentati dai tre chiodi. La vita del buon religioso è la croce; pertanto, se vogliamo essere buoni religiosi, dobbiamo abbracciarla con il disprezzo delle malattie fisiche e morali, dobbiamo portarla, seguendo Gesù, e portarla con pazienza (Par. IV,340).
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Parecchi di voi hanno i Santi Voti Canonici, secondo la regola riconosciuta dalla Santa Sede. Sono i Voti di quelli che hanno fatto il Noviziato, di quelli che hanno lavorato all’assistenza nelle varie Case. Quelli che hanno i Voti, se si sentono di continuare per tutta la vita, facciano domanda; così potrete anticipare di vostra iniziativa i voti perpetui. Però la facciano solo quelli che hanno compiuto i tre anni di voti annuali. Chi ha fatto il Noviziato regolare e non ha ancora compiuti 21 anni, fa domanda di rinnovare i voti, e poi, compiuta l’età, farà domanda di fare i perpetui. Sempre però ci deve essere l’intenzione di farli perpetui: quelli, cioè, che non possono fare i voti perpetui, si ricordino che, chi fa i voti per un anno, deve avere il desiderio di farli perpetui. Quelli poi ai quali i voti scadessero dopo il biennio, sappiano che la Chiesa concede che possono fare i Voti annuali ancora... Chi intende non fare i voti né perpetui né annuali, dopo compiuti i tre annuali, lo dica... Ho la facoltà di far emettere i voti perpetui senza fare i tre anni; così si usa qualche volta anche in altre regioni, per ragioni di età, o altri motivi... I voti di devozione sono veri voti: davanti a Dio hanno lo stesso valore di obbligazione. I voti canonici li posso dispensare io. Il Santo Padre mi ha dato certi privilegi, riservando poi di ricorrere alla Santa Sede. Io consiglio tutti quelli che non hanno fatto il Noviziato per varie ragioni, li consiglio di legarsi a Dio coi voti di devozione. Io potei fare il voto di castità il giorno dell’Immacolata del 1886. Quale grazia mi fece la Madonna di poter fare il voto di castità a 14 anni! Quante grazie mi ha fatto poi la Santa Madonna! Vi invito pure voi a unirvi a Dio coi Santi Voti e a darvi tutti al bene! Attenti a questa grande parola! Meglio non fare i Voti che farli e poi non mantenerli. Se qualcheduno ha avuto delle cadute, non abbiate paura: la misericordia di Dio è grande. Bisogna risorgere. “Tutto posso in Colui che mi conforta. ” Umiliamoci, sì, umiliamoci! (Par. VI,166).
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Parlo a tutti, ma in modo speciale a quelli che stanno per consacrarsi al Signore con i Santi Voti. Ora fate la Comunione e state per ricevere Gesù nel vostro petto. La emissione dei voti è una grande e santa cosa: ma prima ancora di fare l’atto di professione, di pronunciare la formula dei santi Voti, dovete pensare che questo è il momento augusto di darsi tutto al Signore: poi verrà la formula canonica dei Santi Voti, ma noi, ogni volta che veniamo innanzi all’altare, alla Santa Comunione, dobbiamo avere fatto un atto di fede, di adorazione, di donazione totale di noi stessi e di carità: Amerai il tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le forze della tua anima. Datevi tutti al Signore (Par. IX,345).
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Chi fa i voti dà a Dio tutto quello che ha: la libertà, la volontà e tutto ciò che può avere. Il voto di povertà è offerta a Dio di tutto ciò che si ha e si può avere di materiale. Il voto di obbedienza cede a Dio la nostra testa, la nostra volontà. Il voto di purezza dà a Dio anche i nostri pensieri e i desideri che devono essere puri e illibati. Consacrarsi a Dio vuole dire inchiodarci con il corpo, con la mente, con il cuore alla croce. Fare voto vuol dire essere a capite ad talos, dalla testa ai piedi, tutti di Gesù: significa essere roba di Gesù, niente altro volere che Gesù Cristo, che inchiodarci a lui sulla croce coi tre chiodi, coi chiodi di amore. Di amore, s’intende, non per forza, perché i voti devono essere liberi e l’offerta deve essere offerta spontanea. Che grande grazia che ci fa il Signore quando ci porta a fare immolazione, sacrificio di noi stessi a lui coi tre chiodi d’amore! (Par. XII,4).
Vedi anche: Castità (virtù, voto), Costituzioni (FDP e PSMC), Poveri, Noviziato, Obbedienza, Quarto voto.
Zelo
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Vivi di fame e di sete di anime ma di una fame non arrabbiata, ma dolce, ma dolce, ma dolce. Dico così perché molti scambiano un certo zelo per la carità di Nostro Signore, ma non tutto lo zelo è carità di Gesù e amore dolce alle anime. Vivi una vita povera interiormente, ma ti supplico di nutrirti per la carità delle anime Abbi pazienza con tutti, ma specialmente con te stesso, e con me, che sono il tuo tormento in Domino, ma che ti amo tanto in Gesù Cristo (Scr. 4,138).
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Chi non vuole essere e non è facchino della Provvidenza di Dio, è un disertore della nostra bandiera Cari miei figliuoli, fuggite l’ozio e lavorate! Lavorate con umiltà; con zelo, con ardore di carità Don Bosco morì raccomandando il lavoro. E Giobbe diceva: «l’uccello è nato per volare l’uomo per lavorare». Non amate il dormire E non sacrificate la meditazione al letto della vostra pigrizia: guardatevi dal cubiculum otiositatis. Quando in una Casa s’incomincia ad introdurre l’ozio, o la poca voglia di lavorare, o non si è così operosi e alacri come si dovrebbe, quella Casa è bell’e rovinata (Scr. 4,263).
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I divini voleri sono sempre adorabili in tutte le cose: Dio ha voluto che io ti mandassi codesto Sacerdote, al quale tu potrai e farai certo molto bene. Tu cerca di condurlo passo passo nella vita da buon sacerdote con zelo illuminato e discreto. Lo zelo illuminato desidera molto di far tutto quello che può; ma non esige molto dagli altri perché conosce la limitazione e debolezza umana, e sa che troppo difficile è trovare un uomo che non abbia difetti (Scr. 21,4).
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Non ti addossare impegni che ti portino fuori dalle direttive che ti ho dato. Mi raccomando. Fa’ l’obbedienza, e Dio ti benedirà, e, a suo tempo, farai di più. Non è l’eccessivo zelo e il quantitativo, ma il modo di fare il bene e la discrezione nel bene. Lo zelo deve essere fervente costante, ma anche illuminato e prudente Non dobbiamo lasciarci ingannare da uno zelo che non è secundum scientiam. Se dovrai fare di più, lo farai dopo (Scr. 24,52).
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Guardati, o figli mio, dal falso zelo che è frutto di una segreta presunzione. San Paolo rassomiglia il missionario, che lavora mosso da un falso zelo, a chi corre e non sa dove vada: a chi dà dei gran colpi e non fa che percuotere l’aria inutilmente. Non quello che fa grandi cose esterne, edifica la sua casa sulla pietra, ma quello che prega e sta umile e fedele alla sua vocazione. Lo zelo è solamente buono, se è obbediente; e tutto il bene che noi potessimo fare alle anime, per quanto grande fosse, non sarebbe accettevole a dio, se andasse ad offendere l’obbedienza. È meglio conservare nella pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo (Scr. 28,68).
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Tu devi infrenare, o figliuol mio, i tuoi sentimenti sotto la disciplina, e non andare più con leggerezza; lo zelo bisogna prima provarlo su di noi stessi, esercitarlo su di noi stessi. «Talora, dice l’Imitazione di Cristo, siamo mossi da passione, da amor proprio, e si crede zelo». Questo falso zelo è frutto di una secreta presunzione, ed è ingannevole ed apparente, poiché nasce da vanità e da sottile sentimento di orgoglio. Temiamo e temiamo, caro mio, in tutte le cose nostre che hanno il colore della gloria di Dio e di fare un maggior bene, un più largo bene alle anime, temiamo di non rimanere forse un giorno burlati (Scr. 32,123).
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Il vostro zelo sia non volubile, non incostante, non a salti, non indipendente, né insubordinato alla disciplina la più rigida e scrupolosa, quale deve essere la disciplina vera religiosa; ma sia zelo fervente, costante, illuminato: zelo grande e infiammato, ma prudente nella carità (Scr. 32,245).
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Cerca la tua gioia unicamente nella passione del Signore, offrendo a lui quanto, con il suo aiuto, potrai fare per servirlo da fedele religioso e per tirare con zelo anime a Lui. Ma il tuo zelo sia illuminato e discreto, non sia arbitrario, ma sia puro, fervente, costante. Vi è uno zelo che è falso zelo, frutto di secreta presunzione, ed è lo zelo per cui fuori di Casa facciamo mirabilia e in casa miserabilia. Non lasciarti, o caro don Pietro, ingannare da questo zelo, che non è secundum scientiam neque secundum Christum, ma nasce da sentimenti di vanità e di orgoglio. Non quello che fa grandi cose edifica la sua casa sulla pietra, ma quello che sta umile e fedele alla obbedienza. È meglio conservare nella pace della carità il tuo cuore, che credere di convertire il mondo, e alimentare uno zelo torbido e amaro con i tuoi fratelli (Scr. 34,99).
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Alle volte una falsa specie di zelo ci muove a guardar le cose degli altri con occhio nero. Niente di duro: tutto per l’amore di Dio benedetto, e niente per forza. È meglio conservare con la pace della carità il nostro cuore, che convertire il mondo. Prega umilmente, e abbi grande fede nella Divina Provvidenza. Non quella che fa grandi cose esterne, edifica la sua casa sulla pietra, ma quella che sta fedele al Signore, alla Santa Chiesa, all’obbedienza. Lo zelo non deve essere né torbido né amaro: non lasciarti ingannare: lo zelo è solamente buono se umile, dolce e obbediente (Scr. 39,147).
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Sia il nostro zelo illuminato, discreto: non lasciamoci ingannare da uno zelo che non fosse secundum scientiam, ma frutto di presunzione e di vanità; quattro virtù dell’umiltà, della mansuetudine, della pazienza e della carità conserveranno l’unità di spirito, ossia degli animi, che importa unità di pensieri e di sentimenti. E questa umiltà si avrà per mezzo del vincolo della pace. La pace è il dono di Cristo e il fonte di ogni bene: è il frutto della carità, carissimi miei figli e fratelli, sì, è il frutto della carità e si ha quando si vive distaccati da noi e dalle cose terrene e con l’anima in cielo (Scr. 52,125).
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Qualunque bene che facciamo al prossimo è un guadagno per l’anima nostra. Zelo necessario per fare il bene – guardare all’anima. Lo zelo volubile, incostante è contrario allo Spirito di San Vincenzo e dell’Oznam. Zelo fervente – spiritu ferventes – illuminato – costante e discreto – e prudente: dobbiamo salvar altri, ma non esporci a dannare noi stessi. Non zelo torbido, non zelo amaro: fare il bene e farlo bene cantando. Nelle opere di carità cercare quel che farebbe Gesù Cristo e quanto la Confr. decide, non fare la volontà propria. Zelo grande e infiammato... guadagnare sempre anime al Signore. Zelo ingegnosissimo e ardente di San Vincenzo, di Oznam (Scr. 55,329).
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Gesù Cristo non dice: Imparate da me che sono mite e umile di cuore? Non siate di quelle che sono graziose coi superiori, e invece con le consorelle, con quelle che sono sotto di loro, vere furie, che bisogna farsi il segno della Croce per avvicinarle. Senza carità, non c’è virtù! Siate dolci anche nel vostro zelo; abbiate uno zelo che non abbruci, lo zelo di nostro Signore. Cercate di togliere ogni rancore, ogni ripugnanza con le consorelle, per differenza di carattere od altro; vincetevi, vincetevi! (Par. I,207).
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Quando c’è la carità, c’è sempre zelo, come quando c’è il fuoco c’è sempre anche il calore... Il fuoco comunica il suo calore, la carità comunica il suo zelo... Pace e carità sono quasi sinonimi, perché l’una e l’altra sono sinonimi di Dio, dono di Dio (Par. VIII,81).
Vedi anche: Apostolato, Bene, Carità, Lavoro.
Indice delle voci
Abbandono (in Dio).
Abbattimento.
Abito (ecclesiastico): v. Talare.
Accademia filosofica.
Adoratori del Santissimo Sacramento: v. Eremiti Adoratori Perpetui del Santissimo Sacramento.
Adoratrici del Santissimo Sacramento: v. Sacramentine non vedenti.
Adorazione eucaristica.
Adorazione perpetua: v. Adorazione Quotidiana Universale.
Adorazione Quotidiana Universale.
Affabilità.
Afflizioni: v. Dolore, Prove.
Aggregati.
Alighieri Dante.
Allegria: v. Gioia.
Allievi: v. Ex allievi.
Alunni: v. Ex allievi.
Ambizione.
Amicizia.
Amicizie particolari.
Ammalati: v. Malati.
Amministrazione.
Amore: v. Carità.
Angelo custode.
Anime.
Anime! Anime! (motto).
Anime del purgatorio.
Anticlericalismo.
Antico Testamento: v. Bibbia.
Anziani.
Apocalisse.
Apostati.
Apostolato.
Apostolato del Mare.
Apostolicità: v. Apostolato.
Archivio.
Arditi della Chiesa.
Aridità di spirito.
Arte.
Asili infantili.
Astinenza.
Ateismo: v. Materialismo, Socialismo.
Automobile.
Avvilimento: v. Abbattimento.
Azione cattolica.
Ballo.
Banda musicale.
Bandiera.
Battesimo.
Beati: v. Santi.
Bene.
Benedizione eucaristica.
Benefattori.
Beneficenza: v. Bene.
Benevolenza: v. Bene.
Bestemmia.
Bibbia.
Biblioteca Popolare Cattolica: v. Biblioteca.
Biblioteca.
Bontà: v. Bene.
Borse di Pane.
Boy scouts: v. Esploratori cattolici.
Breviario: v. Liturgia delle Ore.
Bugia.
Buona notte.
Buona sera: v. Buona notte.
Calcio (gioco).
Calunnie.
Canto: v. Musica.
Canto gregoriano: v. Musica.
Carattere.
Carcerati.
Carducci Giosuè.
Carissimi.
Carità.
Caritas Christi urget nos.
Carnevale.
Castighi.
Castità (virtù, voto).
Catechismo.
Cecità (spirituale).
Cento Requiem (devozione).
Chiesa.
Chiese separate: v. Ecumenismo.
Cinema.
Collera.
Colonie agricole.
Comandamenti (divini).
Compagnia del Papa.
Compassione: v. Compatimento.
Compatimento.
Comunione dei Santi.
Comunione: v. Eucaristia.
Comunismo: v. Socialismo.
Comunità.
Conciliazione (Stato–Chiesa): v. Concordato.
Concordato (Stato–Chiesa).
Confessione (sacramento): v. Penitenza (sacramento).
Confidenza.
Congregazione (dei Figli della Divina Provvidenza).
Congregazione mariana.
Congresso Eucaristico Internazionale.
Contabilità.
Contemplative (suore): v. Contemplazione.
Contemplazione.
Cooperatori.
Correzione fraterna.
Corrispondenza.
Costituzioni (FDP e PSMC).
Cristianesimo.
Critica.
Croce.
Crocifisso: v. Croce.
Cultura.
D’in ginocchio.
Dame della Divina Provvidenza.
Dante Alighieri: v. Alighieri Dante.
Debiti.
Defunti.
Democrazia.
Democrazia cristiana.
Demonio.
Denaro.
Detenuti: v. Carcerati.
Devozioni.
Diabete.
Diavolo: v. Demonio.
Digiuno.
Direttore spirituale: v. Direzione spirituale.
Direttori: v. Superiori.
Direzione spirituale.
Disabili: v. Malati.
Disciplina (religiosa).
Distacco (virtù).
Divertimenti.
Divina Commedia.
Divina Provvidenza.
Dolore: v. Sofferenza.
Donna.
Ecce quam bonum.
Economia.
Ecumenismo.
Educazione (civica).
Elemosina.
Elezioni politiche: v. Politica.
Eremiti.
Eremiti Adoratori Perpetui del Santissimo Sacramento.
Esame di coscienza.
Esercizi spirituali.
Esercizio della Buona Morte.
Esorcismi.
Esploratori cattolici.
Eucaristia.
Ex allievi.
Ex alunni: v. Ex allievi.
Famigli: v. Famuli.
Famiglia.
Famuli.
Fanfara: v. Banda musicale.
Fascismo.
Fastidi: v. Sette “effe”.
Fede.
Felicità.
Femminismo: v. Donna.
Figlie della Madonna della Guardia.
Figlie di Nostra Signora della Guardia: v. Figlie della Madonna della Guardia.
Filosofia.
Football: v. Calcio (gioco).
Formazione: v. Disciplina (virtù).
Fortezza (virtù).
Fratelli coadiutori.
Fratelli religiosi: v. Fratelli coadiutori.
Fratelli separati: v. Ecumenismo.
Fumo.
G. P. A. M. (sigla).
Galateo.
Gelosia.
Generosità.
Genitori.
Giaculatorie.
Giansenismo.
Gioco.
Gioia.
Giovani: v. Sistema paterno–cristiano.
Girandolone.
Giubileo.
Gola.
Grazia (di Dio).
Gregoriano (canto): v. Musica.
Guerra.
Hallesismo.
I promessi sposi.
Indemoniati: v. Esorcismi.
Indulgenze.
Infermi: v. Malati.
Inferno.
Instaurare omnia in Christo.
Invidia: v. Gelosia
Istituto Catechistico: v. Catechismo.
Italica Gens.
L’Opera della Divina Provvidenza (bollettino).
La Giovane Italia.
La Scintilla.
La Sveglia.
La Val Staffora.
Laboriosità: v. Lavoro.
Lapsi (sacerdoti).
Latino (lingua).
Laus perennis.
Lavoro.
Lealtà.
Letizia: v. Gioia.
Letteratura.
Lettere: v. Corrispondenza.
Lettura a tavola.
Lettura spirituale.
Levata.
Liberalismo.
Libreria Emiliana Editrice.
Libri.
Liturgia delle Ore.
Lotteria.
Lourdes.
Madonna.
Madre: v. Genitori.
Malati.
Malattie: v. Malati.
Mansuetudine.
Manzoni Alessandro.
Maria (madre di Gesù): v. Madonna.
Martirio.
Marxismo: v. Socialismo.
Massoneria.
Mater Dei (rivista).
Mater Dei (titolo).
Materialismo.
Matrimonio.
Meditazione.
Messa (santa).
Metodo paterno–cristiano: v. Sistema paterno–cristiano.
Misericordia.
Missionari: v. Missioni.
Missionarie Zelatrici del Sacro Cuore.
Missioni.
Missioni Italiane all’Estero.
Modernismo.
Modestia.
Monte di Pietà.
Mormorazione.
Morte.
Mortificazione.
Musica.
Natale.
Nobili decadute.
Norme: v. Costituzioni (FDP e PSMC).
Noviziato.
Nuovo Testamento: v. Bibbia.
Obbedienza.
Onestà.
Opera dei Congressi.
Opera del Pane di San Giuseppe.
Operai.
Opere di misericordia.
Orario.
Oratorio.
Orazione: v. Preghiera.
Ordine (sacramento): v. Sacerdozio.
Ordine (virtù).
Orfani.
Ospitalità.
Ossessi: v. Esorcismi.
Ozio.
Pace.
Padre: v. Genitori.
Pane di San Giuseppe: v. Opera del Pane di San Giuseppe.
Papa.
Paradiso.
Parrocchia.
Parroco: v. Parrocchia.
Pasqua.
Passione (di Gesù).
Paternità: v. Sistema paterno–cristiano.
Patria.
Patronato Regina Elena.
Patroni (santi).
Patti lateranensi: v. Concordato (Stato–Chiesa).
Pazienza.
Peccato.
Pedagogia.
Pellegrinaggi.
Penitenza (sacramento).
Penitenza (virtù).
Pentecoste.
Perdono.
Perfezione (virtù).
Persecuzioni.
Perseveranza.
Pettegolezzi.
Pia Unione del Transito di San Giuseppe.
Pia Unione delle Madri Cristiane.
Piccola Opera della Divina Provvidenza.
Piccole Suore Missionarie della Carità.
Piccolo Cottolengo.
Pietà.
Politica.
Politica del Pater noster.
Positivismo: v. Ateismo, Materialismo.
Posta: v. Corrispondenza.
Poveri.
Povertà (virtù, voto): v. Poveri.
Pratiche di pietà.
Predicazione.
Preghiera.
Presepio.
Presepio vivente: v. Presepio.
Prete: v. Sacerdozio.
Privazioni.
Pro Zancla.
Professione religiosa.
Propaganda.
Propositi.
Protestanti: v. Ecumenismo.
Prove.
Provvidenza: v. Divina Provvidenza.
Prudenza.
Pubblicità: v. Propaganda.
Pulizia.
Purezza: v. Castità (virtù, voto).
Purgatorio: v. Anime del purgatorio.
Purità: v. Castità (virtù, voto).
Quarantore.
Quaresima.
Quarto voto.
Questione romana.
Questua delle vocazioni.
Raccoglimento: v. Silenzio.
Radio.
Razionalismo: v. Materialismo, Socialismo.
Réclame: v. Propaganda.
Regole: v. Costituzioni (FDP e PSMC).
Religione.
Religiosi fratelli: v. Fratelli coadiutori.
Reliquie.
Rendiconto (amministrativo).
Ricchezza.
Ricchi: v. Ricchezza.
Riflessi: v. Esercizi spirituali.
Rinnegamento di sé.
Riposo.
Risaiole.
Riscossa (giornale).
Risparmio.
Risurrezione (di Cristo): v. Pasqua.
Ritiro minimo: v. Ritiro spirituale.
Ritiro spirituale.
Rosario.
Rosmini Antonio.
Sacerdote: v. Sacerdozio.
Sacerdozio.
Sacra Scrittura: v. Bibbia.
Sacramenti.
Sacramentine non vedenti.
Sacrificio.
Sacro Cuore.
Salve Regina.
San Francesco d’Assisi.
San Francesco di Sales.
San Giovanni Bosco.
San Giuseppe.
San Giuseppe Benedetto Cottolengo.
San Luigi Gonzaga.
San Tommaso d’Aquino.
Santi.
Santissimo Sacramento: v. Adorazione eucaristica.
Santità.
Santuariani.
Satana: v. Demonio.
Savonarola Girolamo.
Scandalo.
Scienza.
Sconforto: v. Abbattimento.
Scoraggiamento: v. Abbattimento.
Scouts: v. Esploratori cattolici.
Scuola.
Scuola di fuoco: v. Scuola.
Segno della croce.
Sette “effe”.
Siesta.
Silenzio.
Sincerità.
Sindone.
Sistema agronomico Solari: v. Solari Stanislao (sistema agronomico).
Sistema paterno–cristiano.
Sistema preventivo: v. Sistema paterno–cristiano.
Sobrietà.
Socialismo.
Società.
Società Libraria Editrice.
Società San Vincenzo de’ Paoli.
Società sportiva Pro Zancla: v. Pro Zancla.
Sofferenza.
Solari Stanislao (sistema agronomico).
Soldi: v. Denaro.
Somma Teologica: v. Summa Theologiae.
Sordomuti.
Speranza (virtù).
Spirito Santo.
Sport.
Straccio (spiritualità dello).
Studio.
Summa Theologiae.
Suore: v. Piccole Suore Missionarie della Carità.
Suore Sacramentine: v. Sacramentine non vedenti.
Superiori.
Talare.
Tarsiciani.
Teatro.
Temperamento: v. Carattere.
Temperanza.
Tentazioni.
Tiepidezza.
Tipografia Emiliana: v. Libreria Emiliana Editrice.
Tipografia San Giuseppe.
Tirocinio.
Transito di San Giuseppe: v. Pia Unione del Transito di San Giuseppe.
Tre Ave Maria (devozione).
Tribolazioni: v. Dolore, Prove.
Tricolore: v. Bandiera.
Ufficio divino: v. Liturgia delle Ore.
Ufficio stampa.
Umiltà.
Unione con Dio.
Unione delle Madri Cristiane: v. Pia Unione delle Madri Cristiane.
Università popolare.
Urbanità.
Vacanze.
Vangelo.
Vanità.
Vecchiaia: v. Anziani.
Venerabili: v. Santi.
Vergine Maria: v. Madonna.
Verginità: v. Castità (virtù, voto).
Vescovi.
Veste (ecclesiastica): v. Talare.
Vestizione religiosa.
Viaggi.
Viatico: v. Eucaristia.
Vigilanza.
Visita al Santissimo Sacramento: v. Adorazione eucaristica.
Vita comune: v. Comunità.
Vita religiosa.
Vitto.
Vocazione.
Volontà.
Volontà di Dio.
Votazioni (canoniche).
Votazioni (politiche): v. Politica.
Voti (canonici).
Zelatrici del Sacro Cuore: v. Missionarie Zelatrici del Sacro Cuore.
Zelo.