Diventare manager più umani, più efficaci e persone migliori

Manager e conduzione d'impresa: esiste molta letteratura e molta tecnica in merito.
A volte, però, si scopre che anche ai livelli apicali mancano i fondamentali.
In queste pagine vogliamo offrire proprio questo: i fondamentali.
Tra tutti gli argomenti possibili né abbiamo scelto solo alcuni: il contesto lavorativo, i bisogni, le motivazioni, il rinforzo e il conflitto.
L'idea è di offrire il kit essenziale, proprio come tutti in casa abbiamo un cacciavite, una pinza e una forbice.
Con gli strumenti base non servono spiegazioni e corsi sofisticati: basta una semplice spiegazione per abilitare ciascuno a usarli correttamente e renderli funzionali in tutte le situazioni di necessità.
Se vi avventurerete nel leggere queste pagine troverete teoria e non pratica (anche se la teoria sarà molto piegata verso la pratica): l'obietto è di abilitare ciascuno ad agire appropriatamente nella propria situazione di lavoro e di gestione.
Buona lettura per diventare manager più umani, più efficaci e persone migliori.
1. Introduzione
I manager hanno bisogno di conoscere la pedagogia anche se non lavorano in un settore educativo?
Ma che centra la pedagogia con il lavoro?
Stando nei pantaloni di un manager di un'attività di comunicazione, piuttosto che di un'impresa edile direi che queste domante sono scontate e altrettanto scontata la risposta: non c'è relazione, non c'è utilità ad apprendere qualcosa in materia.
Spesso, però, per avere la visuale più completa e veritiera bisogna spostarsi un po', per evitare errori grossolani come il noto errore di parallasse.
In questo caso se ci mettiamo ad osservare il lavoro da un punto panoramico ed asettico, rileviamo subito che il gruppo di lavoro è intriso di relazioni squisitamente umane.
Molto spesso l'intervento del manager con il personale non è gestionale, ma di crescita, di motivazione, di persuasione...
Queste rilevazioni ci portano a prendere atto che anche all'interno del mondo del lavoro c'è una componente pedagogica di rilievo. In egual misura dobbiamo anche rilevare che in moltissimi casi i manager si trovano a gestire la componente pedagogica dell'ambiente di lavoro senza specifiche conoscenze.
Negli ultimi tempi sono sorti corsi risvolti a manager, a gestori del personale o a figure apicali che offrono preparazione in questo settore pedagogico. Corsi monotematici piuttosto che master o formazioni on demand testimoniano che esiste una domanda, oltre che a un'opportunità d'impresa.
Questo testo entra in quest'ultimo filone con un'ottica leggermente diversa: offrire conoscenza teorica dei fondamentali della pedagogia visti in un taglio utile all'ambiente di lavoro.
L'intento è di offrire i le conoscenze fondamentali per sostenere la consapevolezza di ciascuno e offrire quel bagaglio di conoscenze utili. Un po' come la cassetta degli attrezzi quando si fanno piccole riparazioni o bricolage.
Da queste premesse prende forma questo primo quaderno che ha l'obbiettivo di offrire una panoramica dei fondamentali partendo proprio dalla relazione lavoro-pedagogia. Successivamente si offre una panoramica sulla persona umana e sul contesto di lavoro visto come luogo di relazioni, luogo abitato da persone. Dopo questo inizio si passa a presentare i bisogni umani e le motivazioni: elementi strutturali delle persone ed energie letteralmente in grado di smuove le montagne o di bloccare gli eserciti. Il rinforzo ed il conflitto sono gli argomenti che seguono con l'intendo di donare alcuni strumenti semplici per sostenere le proprie persone e per interpretare il conflitto e orientarlo.
Questo quaderno, in conclusione, aspira ad essere un tool-kit dei fondamentali, con contenuti utili e che si possa leggere in poco tempo. I successi quaderni approfondiranno, completeranno e amplieranno.
2. Lavoro e Pedagogia?
Può essere utile inquadrare la questione prima affrontare il tema.
Iniziamo con un focus su cosa intendiamo per pedagogia (e andragogia): la pedagogia è la scienza (o la disciplina) che studia i processi di educazione e formazione della persona. In quanto tale non si tratta esattamente di una scienza, ma di un coordinamento di scienze (sociologia, psicologia, didattica, neurologia, ecc...). Per quanto riguarda i processi educativi va considerato che la persona umana cresce per tutto l'arco della vita. A seconda del periodo, però, le esigenze educative cambiano. Alla luce di questi cambi possiamo distinguere fasi diverse. Pertanto, dagli anni 80, si è coniato il termine "andragogia" per identificare l'accompagnamento educativo durante il periodo adulto e lasciando il termine "pedagogia" per indicare l'accompagnamento educativo nel periodo non adulto. Comunque rimane solida l'accezione estensiva di pedagogia per tutto l'arco di vita.
Un altro termine che necessita di un inquadramento è "lavoro": qualsiasi attività umana fatta per gli altri o per la società.
In questo testo non prendiamo in considerazione il lavoro nell'alveo giuslavorista, ma nell'alveo umano, quindi, per usare termini di disambiguazione, il lavoro da un'osservazione sociologica ed antropologica.
A questo punto possiamo porre una domanda: «quale relazione c'è tra pedagogia-andragogia e lavoro?».
A monte del lavoro c'è una persona (che lavora). A monte dell'educazione c'è una persona (che cresce, si evolve). Questa considerazione è la prima risposta alla domanda.
Il lavoro è uno spazio di crescita: la persona in apprendistato cresce nei suoi skill. La persona cresce anche come "persona" (responsabilità, sicurezze di se, dominio di se stessa, ecc...). Questa la seconda risposta: lo spazio di lavoro è uno spazio di crescita della persona.
Negli ultimi anni sono diventati comuni e diffusi i concetti di "crescita continua", "formazione continua" e "lifelong learning": si tratta sicuramente di una risposta allo sviluppo tecnologico compresso (=adeguamento continuo), si tratta di uno sviluppo di maturità del lavoro (=da lavoro a lavoro sicuro a lavoro confortevole), ma si tratta anche di una consapevolezza più matura del lavoro: è uno spazio di crescita continua per le persone. E questa è la terza risposta.
La relazione tra pedagogia-andragogia e lavoro è una relazione solida con più asset: un asset di intervento è la gestione (scientifica) del personale, dell'ambiente (umano) di lavoro e del clima (umano) dello spazio di lavoro.
Quest'ultima affermazione, dopo i lunghi anni del taylorismo, poi del fordismo, è comprovata dai svariati approcci che sostengono, in vario modo, la gestione del lavoro. A titolo di esempio (e di conferma) ricordiamo la psicologia del lavoro, il psico-cognitivismo, la PNL (Programmazione Neuro Linguistica), il team building, la gestione motivazione, il team coaching, ecc...
Prima di tuffarci nel tema concludiamo questo primo capitolo con tre affermazioni:
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il valore aggiunto dell'azienda, dell'ente sono le persone;
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la crescita non è un dovere dell'azienda, ma un diritto della persona umana;
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a seguire useremo solo il termine "pedagogia" per convenzione.
"Volontariato": ultimo concetto su cui spendiamo due parole: è uguale o analogo allo stato lavorativo? Dal punto di vista giuslavorista non c'è discussione: non è un rapporto lavorativo. Dal punto di vista umano è uno stato uguale a quello lavorativo.
John Dewey scriveva: "Per insegnare l'inglese a John, bisogna amare l'inglese, amare John e amare insegnare l'inglese".
Qui sosteniamo che: "Per insegnare a lavorare a John, bisogna amare il lavoro, amare John e amare insegnare a lavorare".
3. La Persona
La persona può essere un insieme di tessuti e organi ben assemblati. La possiamo vedere come una fonte di lavoro, consumi e guadagni. Potremmo considerarla un coordinato di sentimenti e capacità cognitive. Potremmo…
Cos’è la persona?
La pedagogia che qui prendiamo in considerazione pensa alla persona umana come:
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un essere complesso, grande e fragile
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un'espressione dell’universo
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un essere biologico
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un essere razionale
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un essere spirituale
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un essere emozionale
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un essere sociale.
In altre parole si guarda all'essere umano nella sua complessità e integrità: dimensione corporale, razionale, spirituale e sociale.
Detto questo dobbiamo anche subito prendere atto dell'antitesi che caratterizza l'essere umano. Infatti tutti noi percepiamo di essere sempre noi stessi per tutta la durata della nostra vita, ma anche percepiamo un cambio continuo di noi stessi.
In questo continuo e costante cambio possiamo individuare delle stagioni della vita che sono costanti in tutte le persone umane d'ogni cultura, razza, sesso, ecc...
Queste stagioni vengono più correttamente chiamate "fasi di sviluppo". Lo schema qui di seguito le rappresenta.
Ogni fase ha delle caratteristiche ben precise. Gli estremi di età di ciascuna fase sono sfumati e flessibili, non netti. Dipendono dalla persona. Dipendono dal contesto di vita (famiglia, clan, paese, ecc...). Dipendono dalla cultura condivisa. Dipendono dall'organizzazione sociale.
È opportuno citare che lo scopo di queste fasi è adattativo e funzionale. Ciascuna fase comporta una sfida di crescita che, superata, porta ad avere nuove competenze umane e sociali producendo una crescita dell'io. In altri termini servono per diventare grandi e non sono aggirabili. Pertanto un'infanzia negata, o saltata, non viene depennata dalla catena di sviluppo, ma spostata in un altro momento della vita.
Le caratteristiche principali di ciascuna fase sono:
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fase pre-natale: 0-9 mesi prima della nascita. La persona dipende totalmente dalla mamma. Vengono costruiti tutti gli elementi funzionali per la vita indipendente e per la costruzione dell'io;
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fase orale: 0-12 mesi. Viene costruita la fiducia-sfiducia. La persona esplora e conosce il mondo tramite la bocca;
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fase anale: 1-3 anni. Viene costruita l'autonomia: uso del vasino, vestirsi da soli, ritmo circadiano sonno-veglia, progressiva autonomia nell'alimentazione;
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fase genitale: 3-6 anni. La persona diventa autonoma nel gioco, inizia l'esplorazione e inizia ad acquisire-sperimentare il rispetto, la sopraffazione, i diritti, i privilegi, ecc...;
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fase scolare: 6-12 anni. Gli insegnanti sono gli agenti sociali tra la persona ed il mondo. Il giovane si identifica con quanto impara, si confronta con i pari e matura sicurezza in se;
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fase adolescenza: 12-20 anni. Il gruppo dei coetanei diventa il mediatore sociale a tutto campo e tramite un processo di conflitto costruisce la sua identità;
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fase adulto 1: 20-40 anni. L'adultità attraversa 2 stagioni. La prima stagione è caratterizzata dalla stabilizzazione (lavoro, partner, amici, attività, ecc...), da una marcata determinazione e da alti livelli di energia e resistenza;
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fase adulto 2: 40-65 anni. La seconda stagione si caratterizza per la qualità e la produttività nel lavoro, la dedizione all'allevamento della prole e per il raggiungimento di obiettivi sociali;
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fase vecchiaia: 65-= anni. È il periodo delle valutazioni, della pacificazione tra il se dell'infanzia ed il se adulto.
Le fasi di sviluppo sono correlate anche ai cambi fisiologici:
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l'insorgere di alcune facoltà cognitive-psicologiche sono condizionate dal raggiungimenti di livelli minimi (es.: la capacita di astrazione matematica si manifesta salo dagli 8 anni);
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il cambio del fisico crea un conflitto di crescita che scatena cambi dell'io (es.: lo sviluppo fisico durante l'adolescenza);
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eventi fisici traumatici (malattie, menomazioni, deformazioni, ecc...) possono produrre importanti effetti psicologici (es.: infarti e cardiopatie cambiano anche l'io psicologico);
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cambi nei livelli endocrinologici o lesioni-cambi nei tessuti neurologici possono determinare effetti anche importanti sull'io psicologico (es.: lesioni celebrali possono cambiare l'indole).
Questa panoramica evolutiva della persona umana è utile per capire meglio chi abbiamo difronte. È rilevante per valutare più correttamente le persone (es.: non possiamo avere determinazione e stabilità dagli adolescenti). È anche una competenza preziosa per riconoscere e comprendere capacità, limiti e/o sfide ancora in sospeso (es.: scarsità di abilità sociali e alti livelli cognitivi in segmenti specifici). Infine è determinante per essere migliori e capaci nella costruzione della persona lavoratrice, nella costruzione del gruppo di lavoro, nel gestire le sfide come esperienze umane sostenibili, nell'agevolare la mentalizzazione delle sconfitte.
4. Il contesto lavorativo
Spostiamo l'attenzione sul contesto lavorativo.
Osserveremo fondamentalmente tre dimensioni:
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lo spazio;
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il gruppo;
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la cultura.
Inoltre teniamo presente che il contesto di lavoro non è un contesto naturale, ma sintetico:
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la motivazione dominante di aggregazione e collaborazione non è spontanea, ma di produzione;
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il collante sociale nel gruppo (di lavoro) è il prodotto-servizio da realizzare, non la comunità di interessi o di affetti;
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il set operativo non risponde a criteri umani o estetici, ma a criteri lavorativi;
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anche la ritualità è funzionale agli obiettivi di prodotto-produzione, nella consonanza alle abilità sociali condivise, e non alle pratiche di sola socialità ed affettività.
Va anche premessa un'ulteriore puntualizzazione circa le tre dimensioni sopra indicate: lo spazio, il gruppo, la cultura. Ad un'osservazione umana (=antropologica) si tratta sempre di una dimensione di "spazio":
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spazio fisico (=metri cubi);
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spazio sociale (=reti sociali, distanza sociale);
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spazio cognitivo (=conoscenze, meta-conoscenze e skill).
Fatta questa introduzione a mo di premessa analizziamo il contesto lavorativo sotto i seguenti aspetti pedagogici per cogliere la prospettiva oggetto di queste pagine:
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evoluzione del lavoro;
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il lavoro come apprendistato e formazione continua;
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lavoro come realizzazione o alienazione dell'io;
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relazione cultura-lavoro-motivazione;
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il lavoro come co-creazione e divinità della persona.
Già prende spessore ed evidenza che il set lavorativo è multidimensionale e trascende l'attività materiale stessa.
4.1. Evoluzione del lavoro
Nella storia dell'umanità il lavoro ha assunto connotazioni diverse strettamente correlate allo stato di sviluppo dell'umanità stessa.
Possiamo individuare:
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lavoro come migliore adattamento all'ambiente e aumento delle probabilità di sopravvivenza.
È poco più del semplice comportamento animale e riguarda soprattutto le prime lunghe stagioni dell'umanità. L'intervento lavorativo dell'uomo mirava a raccogliere il cibo, a garantire la disponibilità di cibo nei periodi non fruttiferi e di magra, compensare le capacità fisiche per difendersi dagli agenti atmosferici. Il tutto aveva la sola finalità di aumentare le probabilità di sopravvivenza (che diventano opportunità di vita) e di gratifica immediata come migliori condizioni di vita;
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lavoro come vantaggio sociale: rapidamente si sviluppa l'attività dell'homo faber; da un mero aumento delle probabilità di sopravvivenza diventa anche un vantaggio sociale. La persona che produce è più desiderabile e può scegliere il/la partner, ha più riconoscimento sociale che rapidamente diventa potere sulla comunità per diventare governo della comunità attraverso la crescita da produttore-consumatore a produttore-organizzatore;
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lavoro come obbligo sociale: l'abilità produttiva inizia come uno skill personale che si struttura e organizza. L'organizzazione si struttura cristallizzandosi in una forma di obbligo-dovere sociale: il riconoscimento sociale da stato di vantaggio diventa anche definizione dell'io. La persona che produce è persona; si strutturano caselle sociali che predicono l'identità della persona, ma anche instillano nella persona la percezione-obbligo che diventano persona riconosciuta quando fanno il lavoro prestabilito: ciò li rende persone umane;
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lavoro come risposta dell'organizzazione sociale: la costruzione dell'io ed il riconoscimento sociale derivato dal lavoro, organizzato e strutturato in modo diffuso, diventa una risposta dell'individuo alla società. Prende forma una tecnocrazia sociale dove il singolo esiste ed ottiene l'identità dell'io in quanto risponde attuando il suo ruolo (lavorativo) definito dall'organizzazione. Anche l'orizzonte delle attese dell'individuo e le sue aspirazioni di realizzazione si inscrivono all'interno dello spazio organizzato dalla società. L'individuo è un ingranaggio della massa, della mega-macchina sociale;
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lavoro come realizzazione dell'io: un ulteriore passaggio si ha dalla compresenza di tecnologia e organizzazione che svincolano i bisogni primari della persona dai meccanismi naturali (costante disponibilità di cibo, soddisfazione certa dei bisogni, sicurezza stabile, ecc...). In queste condizioni diventano progressivamente dominanti i bisogni dell'io (conoscere, essere riconosciuti, essere stimanti, autorealizzarsi); il lavoro diventa una risposta all'autorealizzazione, il lavoro produce, più che prodotti, servizi di autorealizzazione.
L'evoluzione tratteggiata è da leggere come un percorso umano, non come una timeline evolutiva o una mentalizzazione filosofica:
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percorso umano: i percorsi umani sono definiti da diverse dimensioni, si comportano sostanzialmente come vettori, diverse incognite li rendono parzialmente impredicibili e l'autodeterminazione del singolo rende imponderabili gli esiti ultimi. La ratio dei percorsi umani non segue logiche matematiche;
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timeline evolutiva: le timeline presuppongono un andamento unidirezionale e tappe fisse. L'andamento dei percorsi umani non è unidirezionale con un andamento rigido; pur avanzando costantemente si hanno andamenti a velocità variabili.
Le tappe sono fisse come mete, ma l'intervallo per raggiungerle è elastico;
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mentalizzazione filosofica: l'astrazione dei comportamenti e l'individuazione delle costanti è il processo scientifico che ci permette di comprendere e descrivere il comportamento umano. La costruzione di significato è un'attività del genere umano e viene classificata come filosofia.
I significati costruiti con l'attività filosofica si ricadono nelle persone determinando nuove prassi di pratiche e rimodellando, almeno in parte, ritualità e meccaniche sociali.
Il meccanismo, in ultima analisi, è ibrido: scientifico matematico, ma anche antropologico-filosofico.
Il contesto lavorativo possiamo dirlo quasi coevo all'origine dell'homo sapiens. Se da una parte è una necessità per sostenere la vita umana, dall'altra parte si connota come un'attività con caratteristiche specifiche. Nato come pratica spontanea, da molti secoli è una pratica umana specifica.
4.2. Apprendistato e formazione continua
La storia della trasmissione dei saperi è articolata. Senza alcuna pretesa di esaustività possiamo identificare una prima fase della perpetuazione dei saperi nel meccanismo dell'apprendistato.
L'aumento della complessità delle tecnologie, la complessità dell'interdipendenza reciproca, ha reso poco funzionali i meccanismi di apprendistato. I percorsi di istruzione diventano un obbligo sentito e condiviso e compensano i limiti dell'apprendistato.
L'istruzione tradizionale, però, è afflitta dal limite che immagina la stabilità dei bisogni di competenza durante la vita lavorativa. Anche la crescita del sapere rende inadeguato il concetto tradizionale della staticità dell'acquisizione dei saperi e la stabilità dei bisogni di competenza. Da qui nasce il lifelong learning e la formazione continua.
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Apprendistato: è una forma spontanea di trasmissione del sapere. Si basa sul presupposto che ciascuna persona ha tutte le competenze per apprendere. In secondo luogo presuppone che il sapere va semplicemente mostrato per essere appreso.
Se nelle pratiche semplici questi presupposti sono adeguati (es.: seminare e coltivare), per pratiche più complesse, con tecnologie che richiedono conoscenze previe-precedenti, l'apprendistato non riesce a raggiungere gli obiettivi.
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Istruzione: l'istruzione interviene compensando i limiti dell'apprendistato. Il sapere teorico insieme a metodologie specifiche per trasmetterlo permettono alle persone di ampliare il loro bagaglio di competenze in modo da poter apprendere saperi complessi. Inoltre instilla una capacità di "pensiero critico".
Questa via, però, si fonda sull'idea che completato l'apprendimento non si dovrà continuare a imparare. Inoltre ipotizza che l'evoluzione sia un processo lento, che le innovazioni impiegano generazioni per avvenire. Inoltre non riesce a soddisfare l'apprendimento di abilità pratiche e la domanda lavorativa delle botteghe-aziende.
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Formazione continua: le opportunità ed i limiti dell'apprendistato e dell'istruzione trovano una soluzione nella formazione continua.
L'ulteriore espansione del sapere da origine al concetto di diritto-dovere del lifelong learning: ciascuno ha diritto a imparare per tutta la durata della vita. Consideriamo anche che la persona umana è tale per un continuo e costate ristrutturarsi delle conoscenze. Pertanto, ad una osservazione antropologica, il lifelong learning è la raggiunta consapevolezza di una delle dimensioni costitutive dell'essere umano.
La formazione continua è una delle attuazioni del lifelong learning. Le aziende, forse, introducono la formazione continua (obbligatoria) come risposta agli obblighi normativi. Altre come risposta di crescita all'evoluzione tecnologica. Tutte, in ogni caso, per abilitare i propri dipendenti ad operare con le nuove attrezzature introdotte in azienda.
Il contesto lavorativo, tra le altre cose, si distingue da altri ambienti anche per questa specificità del sapere. Non soltanto perché è necessario un adeguato sapere per accedervi. Non soltanto perché è necessario un saper fare. Non soltanto perché necessita, per più ragioni, una formazione continua. Ma anche per tutto questo è un ambiente con caratteristiche proprie che lo rende diverso dalla scuola, dall'università, dagli ITS e anche dalla bottega-laboratorio di casa.
4.3. Realizzazione o alienazione dell'io
Abraham Maslow ha dedicato gran parte della sua vita allo studio dei bisogni della persona. La sua piramide è nota a tutto il commercio ed è la chiave del marketing attuale.
Qui ci interessa non tanto per gli aspetti della psicologia del commercio, ma perché oggettiva alcuni bisogni specifici: quelli dell'io.
Precedentemente, descrivendo le fasi evolutive della persona, è stato messo in luce il bisogno di realizzazione dell'io che accompagna lo sviluppo della vita della persona.
Nell'excursus "4.2.1 Evoluzione del lavoro" è stata evidenziata un'importante correlazione tra il lavoro, il riconoscimento sociale e la realizzazione dell'io.
Anche in un'osservazione non professionale è facile notare la forte correlazione lavoro-autorealizzazione, fare-consolidamento-dell'io.
Il lavoro è un potente strumento per l'autorealizzazione.
Pertanto possiamo usare questa leva per l'agio e la crescita delle persone. Questa azione, ovviamente, produce effetti diretti sui livelli di qualità e di produttività. Comunque gli elementi che incentivano l'autorealizzazione sono vari; non è sufficiente il solo buon operare del manager del personale.
Gli elementi che interagiscono e interferiscono di più nell'autorealizzazione sono:
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livello di cultura: solitamente le persone più acculturate e che fanno lavori che richiedono alti livelli di conoscenze, sviluppano un senso di autorealizzazione con ritorni immateriali (es.: il riconoscimento di paternità nelle pubblicazioni), il senso di appartenenza al team-azienda (es.: ottenere spille, segni esterni come vestiario, ecc...), avere sfide di crescita adeguate (es.: raggiungere traguardi di conoscenza e consapevolezza più avanzati);
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coerenza (lavorativa) nell'arco della vita: dopo una prima fase di ingresso i migliori risultati di soddisfazione sono dovuti alla permanenza nello stesso campo lavorativo. Ad esempio se una persona fa la gavetta per arrivare ad un ruolo apicale nella sanità, molto probabilmente, continuerà a sentirsi autorealizzata se rimane nello stesso ambito (medicina, ricerca medica, ecc...) con nuove proposte sfidanti. Se è una persona molto capace e passa al settore della meccanica, anche con un ruolo superiore, con maggiore retribuzione, probabilmente non si sentirà autorealizzata;
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coerenza tra aspettative e attività: le aspettative sono quella della persona adulta, non quelle adolescenziali. Le aspettative quando trovano realizzazione in un lavoro coerente con esse, molto facilmente permettono alla persona di vivere uno senso di autorealizzazione stabile;
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pressione sociale: un peso significativo è dato dalla pressione sociale. Il senso di autorealizzazione si può sviluppare quando ciò che la società si aspetta dalla persone viene raggiunto. Il meccanismo funziona sia come reale percezione di realizzazione, ma anche come riflesso della proiezione delle attese sulla persona;
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coerenza esistenziale: infine un altro elemento che in modo particolarmente forte da corpo all'autorealizzazione è la coerenza tra l'io della persona, la attese, le attività, ecc... Insomma quando c'è una forte coerenza esistenziale complessiva.
Se si intuisce la rilevanza dell'autorealizzazione ed è facile anche intuire la forte correlazione tra lavoro e autorealizzazione, c'è da considerare che esiste contestualmente anche una forte componente negativa.
Quando il lavoro, sentito come fortemente realizzante, diventa la vita della persona abbiamo l'alienazione dell'io e una forma di annichilimento della persona.
La gestione del lavoro come autorealizzazione della persona è una potente leva per la cura della persona e per un buon andamento dell'attività.
Il pericolo dell'alienazione dell'io, però, è un grande rischio da gestire con molta attenzione. Quando avviene, l'esito più probabile è il burnout con la perdita dell'unità lavorativa, una corruzione del clima di lavoro, un tragico evento per la famiglia e la società.
IMP
Il contesto lavorativo ha dinamiche diverse dal contesto amicale o famigliare: dedizione, lealtà determinazione e zelo sono parole uguali, ma hanno significati diversi.
4.4. Cultura-lavoro-motivazione
Come precedentemente detto c'è uno stretto legame tra cultura, condotta lavorativa e motivazione.
La radice motivazionale nel lavoro ha una fase iniziale autonoma: si entra nel lavoro con una forte energia motivazionale, il periodo di apprendistato si affronta con energia e forte attesa. Spesso il primo (o i primi) stipendi sono una gratifica sentita che ri-alimenta (in parte) la determinazione e la motivazione.
Durante la fase adulta del rapporto lavorativo, però, le cose cambiano molto (e cambiano anche molto rapidamente, spesso con il completamento della fase di apprendistato): la motivazione perde di smalto, facilmente le novità-cambiamenti si affrontano con atteggiamento passivo, lo stipendio viene sentito più che come gratifica come un "dovuto" e, facilmente, è argomento per la contestazione (sindacale). La motivazione non vive più di una sua energia autonoma.
Se guardiamo alla conduzione della vita lavorativa tra l'inizio e la fase adulta spesso si osserva una buona conduzione formale, un corretto e sicuro ambiente lavorativo. Non di rado, soprattutto quando le dimensioni aziendali sono piccole, si osservano stili famigliari (il caffè, un presente per il compleanno, vicinanza autentica per le gioie o i dolori della vita, ecc...). Eppure in molti casi (soprattutto nelle realtà lavorative medie e grandi) si vede che l'energia e l'entusiasmo iniziale evapora: è mancata un'adeguata sollecitazione e alimentazione della motivazione.
A rinforzo di questa osservazione:
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gestioni multi-nazionali: aziende con queste dimensioni, ma non solo loro, in molti casi hanno un andamento bi-valente su questo fronte. I livelli operativi vivono una parabola come descritta sopra, mentre i livelli apicali mostrano un alto livello energetico, di forte impegno e una motivazione ancora vivace anche nella fase adulta della vita lavorativa.
Se per qualche caso è da ammettere che si tratta di aziendalismo, deontologia e di buona professionalità, ciò non toglie un reale stato di buona vitalità della motivazione che, a volte sotto traccia, opera come forza dominante;
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caso Google: è molto noto nella storia recente delle aziende il caso Google. Fu un'azienda innovativa in tutti i sensi. Uscita dal garage in cui nacque si è rapidamente sviluppata. Nei vari traslochi che hanno caratterizzato il suo primo periodo di vita sono noti gli allestimenti originali: gli ambienti di lavoro erano informali (presenza di giochi, arredi da stanza da collegiale, ecc...); nulla a che vedere con i set abituali di lavoro (formali e funzionali). Anche l'organizzazione del lavoro era innovativa: non c'erano orari rigidi, non c'erano dress code, non c'erano cartellini di entrata-uscita, ecc...
L'azienda ha avuto una crescita iniziale esponenziale, con una dedizione del personale al lavoro altissima e una diffusa e forte volontà di "andare a lavorare li". Spesso i dipendenti lavoravano ben oltre il dovuto senza un equivalente compenso economici diretto o indiretto.
Negli ultimo anni le cose sono (radicalmente) cambiate anche con contestazioni sindacali importanti.
Probabilmente è intuitivo comprendere che la motivazione è la chiave di molti aspetti della vita, tra cui è la chiave anche del contesto lavorativo.
Cosa alimenta o affama la motivazione nel lavoro?
In un ambiente famigliare lo scambio di attenzioni mutua una sorta di sano mercato degli affetti ed è normalmente vissuto come un alimento alla motivazione. Il raggiungimento ed il superamento di traguardi di conoscenza nella scuola è una forte leva che mantiene vitale la motivazione. Nel gruppo di amici, nel gruppo d'interesse, il perseguire l'obiettivo comune è un altro meccanismo che alimenta adeguatamente la motivazione.
Se trasliamo queste dinamiche nel contesto lavorativo, invece, hanno una scarsa efficacia e se c'è un risultato nel breve termine questo svanisce o perde di forza poco dopo (percorso comune nelle piccole aziende).
Il contesto lavorativo ha caratteristiche diverse dagli altri ambienti. In particolare è il senso di appartenenza che alimenta e sostiene la motivazione rendendola, in alcuni momenti, una forza creativa e nella maggior parte del resto del tempo la trave che sostiene la continuità del lavoro e dell'impegno: il contesto del lavoro ha regole motivazionali specifiche.
4.5. Lavoro e divinità della persona
Tra le caratteristiche che rendono specifico il contesto lavorativo crediamo sia da considerare anche la dimensione fattuale che cambia, in certo senso, la natura della persona umana.
Come accennato prima il lavoro permette alla persona umana di trascendere la dimensione animale. Anche l'arte, la cultura, ecc... permettono questa elevazione. A volte, forse, anche in modo decisamente più elevato. Ma il lavoro è l'unica attività che unisce questa trascendenza a un piegare la natura.
Arte, cultura, ecc... restano intrappolate dalle leggi della natura; semplicemente le manipolano con abilità, le incastrano in modo inaspettato dando alla luce prodotti affascinanti e/o inattesi.
Il lavoro ci permette di dominare la natura: un'area paludosa diventa una fertile pianura. Il progressivo sviluppo delle conoscenze con la progressiva creazione di macchine sempre più potenti ci permette di controllare il pianeta: con i satelliti vediamo e prevediamo (quasi) tutto; con il Mose Venezia non è più schiava dell'alta marea. Anche i cieli vengono abitati dalle dall'attività umana: aerei solcano le aerovie, palloni aerostatici volano per mesi, razzi e satelliti popolano le parti più alte del cielo e ruotano costantemente intorno alla terra sotto il costante controllo dell'uomo.
Il lavoro ci permette questo e molto altro. Anzi negli ultimi anni è diventata così raffinata questa capacità che riusciamo a costruire la materia o a dissolverla in energia. Siamo riusciti a creare un'intelligenza artificiale che funziona (qualsiasi cosa essa sia, visto che intelligente non è). Ci serve ancora qualche anno, ma possiamo dar vita a una stella in miniatura qui sulla terra (=fusione nucleare), tenerla accesa senza che esploda e godere del beneficio di energia infinita a tempo indeterminato.
Solo con queste considerazioni non è per nulla esagerato dire che il lavoro permette all'essere umano non solo di migliore le proprie condizioni di vita, non solo di sentirsi realizzato, ma anche di essere un (piccolo) co-creatore con il Creatore: abbiamo anche creato batteri e cellule artificiali!
Con il lavoro le persone diventano veramente divinità come recita il salmo 82: «voi siete dei».
Il contesto lavorativo è decisamente unico e specifico anche per questo aspetto che se riteniamo eccessivo ascriverlo all'essere divinità e al mondo della fede, va preso atto che ci permette di manipolare la vita (salute, medicina, zootecnia), creare vita nuova, manipolare il pianeta e le sue condizioni, manipolare il tempo e in futuro anche di spostarci tra le galassie.
Il contesto lavorativo è del tutto unico e divino.
5. I bisogni
I bisogni della persona umana sono fortemente connessi alla motivazione.
Ad esempio il bisogno ci nutrirsi alimenta anche la motivazione al punto di sostenere la ricerca fino al limite delle forze fisiche e psichiche.
Vediamo di focalizzare con precisione cosa si intente in pedagogia per "bisogno" e per "motivazione":
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bisogno: lo stato interno determinato dalla mancanza di sollievo fisico. È simile alle pulsioni, ovvero quelle spinte ad agire o pensare che hanno origini inconscie e non dipendono dall’intenzione;
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motivazione: l'espressione sentita e vissuta dal soggetto delle esigenze dell’organismo psico-fisico. Designa i fattori interni che determinano la direzione e l’intensità della condotta.
Gli studi sui bisogni della persona umana hanno messo in luce alcuni aspetti di grande interesse:
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i bisogno sono costanti, indipendentemente dalla cultura e dal periodo in cui si è vissuti;
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i bisogno sono ordinati per priorità. Ciascuno avverte che alcuni bisogni sono più urgenti di altri. Solo dopo la soddisfazione dei più urgenti si passa a cercare di soddisfare i meno urgenti. E al ritorno in urgenza di un bisogno precedentemente soddisfatto, la ricerca di appagamento ritorna indietro. In termini più precisi si parla di "emergenza progressiva dei bisogni";
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i bisogni sono controparte della motivazione: il bisogno di sfamarsi è la motivazione della ricerca di cibo.
Maslow ha indagato profondamente i bisogni e le motivazioni ed è riuscito a fare una brillante rappresentazione di sintesi. Si tratta della famosa "piramide di Maslow" riportata qui sotto.
Il modello a piramide non è vissuto rigidamente dalle persone (bisogni alti possono manifestarsi anche in presenza di inferiori non ancora soddisfatti).
Analizziamo brevemente gli 8 livelli iniziando dalla base della piramide:
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fisiologia: si tratta dei bisogni fisiologici per sopravvivere: respirare, alimentarsi, sesso, sonno;
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sicurezza: si tratta del bisogno di sicurezza a partire da quella personale e poi di occupazione, morale, familiare, di salute, di proprietà;
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appartenenza: sono i bisogni sociali: l’amicizia, i gruppi sociali, l'affetto familiare, l'intimità sessuale.
NB: da non confondere con i bisogni di crescita dell'adolescenza. In questa fase sono bisogni di passaggio; -
stima: si tratta dell’essere apprezzati e rispettati (sia da se stessi [autostima], sia dalla comunità [stima]). In questo livello troviamo l’autostima, l’autocontrollo, la realizzazione (senso di capacità, senso di valere), il rispetto reciproco;
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conoscenza: si tratta del bisogno di informazione, di un adeguato quadro di riferimento e di conoscenza: cioè la conoscenza e comprensione, la curiosità, l'esplorazione, il bisogno di sapere cose nuove;
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estetica: si tratta della bellezza, ovvero l'apparire belli, di essere in un ambiente bello, di vedersi belli. È la ricerca di armonia e bellezza, di apparire gradevoli, di forma estetica;
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autorealizzazione: si tratta della realizzazione di sé e della propria crescita: la moralità, la creatività, la spontaneità, il problem solving, l'accettazione, l'assenza di pregiudizi;
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trascendenza: si tratta della necessità di andare oltre sé stessi e sentirsi parte di una realtà divina-trascendente o di un disegno della natura, intraprendendo un percorso volto al raggiungimento dell’illuminazione spirituale.
Riteniamo rilevante nominare anche i bisogni sociali per la loro rilevanza nella vita della persona e per la rilevanza che hanno nel contesto lavorativo:
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bisogno di amicizia;
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bisogno di stima sociale (status e appartenenza);
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bisogno di dominio e controllo sugli altri.
Il lavoro di Maslow divenne rapidamente noto e ampiamente usato anche dal marketing. Infatti la sua piramide è di facile lettura e comprensione ed è uno strumento molto efficace per predire consumi e condotte delle persone, indurre i consumi, sostenere gli acquisti e aiutare le aziende a produrre beni e servizi che soddisfaranno i bisogni (=domanda).
La piramide è anche uno straordinario strumento per la gestione del contesto lavorativo e dei lavoratori:
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gestire i bisogni significa permettere al dipendente di lavorare e lavorare meglio;
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conoscere l'organizzazione dei bisogni permette di offrire beni e servizi rispondenti;
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diventa più facile e soggetto a meno errori la decodificazione delle situazioni e del clima di lavoro;
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un'intelligente conoscenza della piramide ci permette di fare adeguate offerte di incentivazione alla produttività.
6. La motivazione
Le motivazioni della persona sono fortemente connesse ai bisogni.
Ad esempio il motivo che spinge a procurarsi il cibo è direttamente connesso al bisogno di sfamarsi.
Vediamo di focalizzare con precisione cosa si intente in pedagogia per "motivazione" e per "bisogno":
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motivazione: l'espressione sentita e vissuta dal soggetto delle esigenze dell’organismo psico-fisico. Designa i fattori interni che determinano la direzione e l’intensità della condotta;
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bisogno: lo stato interno determinato dalla mancanza di sollievo fisico. È simile alle pulsioni, ovvero quelle spinte ad agire o pensare che hanno origini inconscie e non dipendono dall’intenzione.
La motivazione, nella persona umana, si presenta come una forma di energia che orienta la selezione tra le condotte possibili e sostiene la persona a mantenere la condotta adottata difronte alle difficoltà, alle resistenze, ai feedback insoddisfacenti o negativi.
La motivazione ha caratteristiche specifiche:
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appropriata: la persona sceglie i mezzi-condotte più adatti per raggiungere il fine;
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persistente: la motivazione sostiene la persona finché non è raggiunto lo scopo e inibisce-esclude i disturbi;
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ricercante: spinge la persona a cercare, a informarsi e a provare alternative per raggiungere lo scopo.
Accanto alle caratteristiche della motivazione è importate conoscere le principali dinamiche che la disciplinano e governano la stessa:
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i motivi nella persona sono molteplici: siamo in presenza di un tessuto di motivi. Tra tutti alcuni risultano dominanti e, in un certo senso, orientano e guidano tutti gli altri;
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i motivi si sviluppano. Pertanto c'è sempre una fase iniziale caratterizzata da motivazioni più generali, con un'energia contenuta. L'evoluzione normalmente porta a maturare motivazioni specifiche, puntuali e con un alto valore energetico;
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i motivi emergono progressivamente: nello sviluppo la persona mostra motivazioni, via, via, sempre più specifiche e sempre più determinanti. Anche nell'adottare una direzione di condotta specifica la motivazione diventa sempre più precisa e con maggior forza di determinazione.
Nel contesto di lavoro la motivazione ha un peso molto importante. Le iniziali teorie tayloristiche, poi le fordistiche, si infrangono poco dopo la soddisfazione dei bisogni primari.
Mano e mano che cresce l'attività lavorativa e l'età lavorativa delle persone le motivazioni vanno alimentate e stimolate perché si perfezionino e si ricarichino.
Alcuni elementi, nella gestione della motivazione, sono particolarmente importanti:
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le motivazioni devono essere percepite "fattibili" dalla persona e "sfidanti" per essere considerate efficaci;
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il livello culturale della persona definisce efficace o inconsistente la stessa motivazione. La consegna di una medaglia è poco motivante per una persona di cultura contenuta, mentre può essere molto motivante per una persona di alta cultura;
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il contesto sociale e di cultura condivisa influenza profondamente sul livello motivazionale di uno stimolo;
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a differenza della popolare idea di un'efficacia enorme dei soldi, questi hanno una capacità motivazionale ambigua.
Generalmente sono efficaci con persone agli inizi del rapporto lavorativo, che si confrontano con bisogni primari. Ma l'energia motivazionale tende a decadere in un mese, circa.
Gli stimoli "nudge" (ovvero di "spinta gentile") non danno effetti di rilievo nel breve termine. Si osserva però, che risultano efficaci e resilienti nel medio e lungo termine. Il contenuto livello di energia motivazionale non è da confondere con inefficacia. Da questa osservazione nascono gli incontri aziendali di motivazione, i benefit integrativi, il welfare integrativo, ecc...; -
altamente rilevante è l'ambiente lavorativo che si costruisce (anche se è fortemente condizionato dalla cultura condivisa del territorio). L'ambiente permette una piena energia motivazionale agli stimoli non se è privo di conflittualità (vedasi il capitolo 8. Il Conflitto), ma se è coerente con la mission dell'azienda, se è stabilmente condotto con giustizia, se i rinforzi sono stabili, costanti e specifici (vedasi il capitolo 7. Il rinforzo);
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ultimo, ma primo come peso, è il riconoscimento della persona, delle sue qualità, dei sui skill, dello sviluppo prossimale (cf.: in appendice 13.2. (Zona di) Sviluppo prossimale). Sentirsi visibili, riconosciuti e ascoltati è un elemento fortemente abilitante che rende efficace gli stimoli motivazionali.
Nel contesto lavorativo è abbastanza intuitivo percepire che la motivazione è fondamentale, come è fondamentale in tutta la vita. La gestione e la promozione della motivazione in un ambiente specifico come quello lavorativo, però, è un'attività complessa che richiede anche un adeguato livello di esperienza e conoscenza.
A valle di questa fatica i risultati sono di grande rilievo e permetto un lavoro molto umano.
7. Il rinforzo
Il rinforzo è un evento che stimola una risposta specifica. La ripetizione dell'evento condiziona il soggetto e dare sempre la stessa risposta fino ad avere un'autonomia della risposta per il solo manifestarsi dello stimolo.
La definizione offerta può essere un po' criptica, ma l'esperimento del riflesso condizionato di Ivan Pavlov la rende semplice.
Pavlov iniziò a condizionare dei cani a cui dava cibo associando l'evento al suono di un campanello. L'esperienza, dopo alcune ripetizioni, iniziò ad essere riconosciuta dai cani che salivavano ancor prima di avere il cibo.
Dopo un certo numero di ripetizioni Pavlov provò a suonare il campanello senza dare loro il cibo: i cani salivavano anche senza ottenere il cibo. Il riflesso condizionato rimaneva stabile anche dopo molte volte che non ottenevano il cibo.
Successivamente Burrhus Skinner sviluppò ulteriormente gli studi di Pavlov e scoprì che il condizionamento è un primo livello: la ripetizione di stimoli può dar luogo ad un rinforzo che promuove, o reprime, comportamenti: dal riflesso condizionato passiamo al comportamentismo.
Quindi l'apprendimento ed il consolidamento di buone pratiche di vita avviene perché vengono costantemente lodate (=rinforzo). L'apprendimento di pratiche viziose avviene perché vengono costantemente lodate (=rinforzo).
Dopo questa doverosa introduzione, fatta in chiave storica, vediamo quali sono gli aspetti (esecutivi) che qualificano un'azione come rinforzano o come un intervento estemporaneo-naif:
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specificità: l'azione di promozione o repressione deve avere sempre lo stesso oggetto specifico;
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costanza: il rinforzo va fatto ogni volta che si manifesta il comportamento virtuoso o vizioso;
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tempistica: l'intervento deve avvenire contestualmente in un tempo prossimo.
Quando l'intervento ha queste tre caratteristiche la persona lo vive come un rinforzo.
Circa i meccanismi di rinforzo è utile sapere:
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il rinforzo negativo: ha una forza, come intensità ed estensione, maggiore del rinforzo positivo. Quindi un singolo rinforzo negativo (es.: un rimprovero forte) può vanificare un anno di rinforzi positivi (es.: lodi positive costanti).
Ma la stabilità delle condotte acquisite avviene attraverso i rinforzi positivi e non con quelli negativi; -
l'informale: lo spazio d'intervento più significativo è l'informale, cioè l'ordinario. Operare in questo spazio esistenziale costruisce condotte più stabili, più profonde, più durature.
Rinforzi plateali (es.: una sola premiazione pubblica solennizzata) costruisce condotte con scarsa resilienza.
Da qui si comprende la grande forza della cultura condivisa e della società in generale; -
la ritualizzazione: i rinforzi che vengono ritualizzati assumono una maggiore efficacia; la radicazione è più profonda, la duratura tende a proiettarsi in un futuro più lungo.
La ritualizzazione non deve necessariamente avere i carismi della platealità. Sono rilevanti gli attributi ordinari: costanza, pubblico, stabile, formale.
Nel contesto lavorativo il rinforzo è uno strumento semplice, efficace e alla portata di tutti.
Questo capitolo non descrive bene la sua potenza e la sua complessità, ma racconta i suoi lati rilevanti in una chiave di usabilità immediata.
8. Il conflitto
Il conflitto, in pedagogia, non è litigare, ma sono due tendenze della condotta reciprocamente incompatibili con la soddisfazione e che interferiscono reciprocamente. Ad esempio: voglio lavorare con impegno e voglio telefonare alla fidanzata.
Esistono, nella natura umana, diversi tipi di conflitto: di crescita, sociali, di maturità, ecc...
Lo scopo profondo del conflitto è equipaggiare la persona di migliori skill per la sopravvivenza. Pertanto, nella sua radice, il conflitto è un meccanismo positivo di adattamento e crescita.
Il contesto di competenze (cognitive o esecutive) è uno spazio naturale del conflitto. Un primo compito del manager è riconoscere il conflitto, poi gestirlo.
Se insorge un conflitto caratteriale, va gestito perché non esploda e successivamente neutralizzato: nello spazio lavorativo la relazione ed il fine è di produzione, non di simpatia (non si sta insieme per costruire una famiglia). Se un conflitto di crescita si manifesta, va gestito e condotto: nello spazio lavorativo la relazione ed il fine è di produzione e si opera per l'idea migliore, non per il migliore.
Cosa va gestito in un conflitto in un contesto lavorativo?
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In un conflitto la persona coinvolta percepisce come significativi la durata, l'importanza e la complessità. Pertanto modulando queste componenti rendiamo più grave o più leggero il conflitto indipendentemente dal suo peso reale;
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Intensità: nel conflitto le tendenze sono contrapposte. Bisogna intervenire con una mediazione per ridurre le distanze degli opposti;
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novità: una situazione inattesa produce, contemporaneamente, un effetto sorpresa ed un effetto ingestibilità. L'abilità è nel tenere centrate le persone sulla sorpresa e non sull'ingestibilità;
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percezione (personale): ciascuno dimensiona il conflitto in cui è coinvolto in base alla sua esperienza. Formazioni precedenti che descrivono i possibili conflitti permettono di condurre la percezione personale e di restituire il senso di controllo-prevedibilità;
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coinvolgimento dell’io: se le persone coinvolte avvertono se stesse come soggetti coinvolti probabilmente si radicalizzano sulle loro posizioni. Per evitare questo radicamento si sposta il soggetto su un ente astratto impersonale (es: le poste <―> il postino) e si parla in terza persona (es.: i postini <―> quelli delle poste).
La soluzione, in ultima analisi, non è tanto nelle tattiche di gestione adottate, ma nella scelta che la persona coinvolta fa. Quando la persona sceglie si ha la soluzione:
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di una nuova convergenza che porta a riappacificare il gruppo degli io;
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di una radicalizzazione che porta alla riappacificazione dell'io con il se.
Per quanto si possa essere abili negoziatori nel conflitto, in ultima analisi, è l'io individuale il vero soggetto che risolve il conflitto.
Il mantenimento del conflitto, anche se non armato e non esplicito, non è mai positivo perché non permette alle energie positive e creative di riattivarsi (positivamente). Solo la soluzione (tramite rappacificamento del singolo o dell'organismo sociale) permette il ripristino del progetto (=nuova direzione).
Il risultato ultimo nella persona è il raggiungimento di un nuovo stato di adattamento.
A valle di quanto sopra va detto che alcuni elementi hanno un influsso molto rilevante:
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il significato esistenziale della situazione: cioè come ciascuno sente e valuta la situazione in cui è coinvolto;
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la pressione delle norme, la pressione sociale; l'entità repressiva delle norme, la costanza e la tempistica dell'evento repressivo o la pressione sociale rendono il conflitto rilevante o insignificante oppure stressante o irrilevante;
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l'inerzia; lato "ente-azienda" il non prendere posizione è prendere posizione sempre a favore della parte non aziendale. Inerzia, però, significa che le parti coinvolte nel conflitto tendono a restare nella loro comfort zone. Nel contesto lavorativo prendere rapidamente una posizione è creare una soluzione o iniziare lo stato di soluzione indipendentemente dall'aver fatto la scelta più giusta.
Nel conflitto intervengono anche i meccanismi di difesa. L'elemento è intuitivo, ma non è intuitivo che i meccanismi di difesa, in questo contesto, intervengono come elementi tossici. I meccanismi di difesa saranno il tema di un futuro testo.
Per quanto il conflitto è avvertito come un evento spiacevole, non è in se negativo. Le competenze del manager servono in fase preventiva-educativa, sia in fase gestionale durante l'eruzione acuta del conflitto. Naturalmente il manager deve intervenire nella fase sotto traccia nei termini di capacità di riconoscere e nei termini di conduzione.
Annegare il conflitto in un nulla è controproducente.
Farlo esplodere completamente è deleterio.
Il prepararlo e condurlo, per quanto impegnativo e, a tratti, apparentemente non solutivo, è la strada da percorrere. Come nella dimensione antropologica il conflitto è un meccanismo adattativo efficace, anche nel contesto lavorativo lo è, ma le pratiche da attuare non sono spontanee. I risultati di una buona conduzione, invece, sono sempre positivi anche se, apparentemente, non sembrano sedare subito le fiamme.
9. Mode e Scienza
Anche per effetto della democratizzazione dei saperi e per la combinata grande facilità di accesso a molte informazioni si diffondono rapidamente conoscenze che vengono percepite come autorevoli e veritiere, ma hanno una diversa caratura.
Riteniamo che sia importante fare il punto su alcuni elementi specifici che facilmente intossicano una buona gestione pedagogica del contesto di lavoro.
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Amplificazione tossica: quando si inserisce un'informazione in internet ed entra nei motori di ricerca viene amplificata in modo esponenziale; rapidamente diventa reperibile per chiunque e più viene acceduta, più diventa facile per altri ritrovarla.
I social partecipano dello stesso meccanismo aumentando ulteriormente la facilità di reperimento.
Il meccanismo, però, patisce alcuni importanti limiti:
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in primo luogo le soluzioni tecnologiche non riescono a distinguere il vero da falso, il rilevante dall'irrilevante;
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il potenziamento dei sistemi tramite l'intelligenza artificiale al momento produce diversi problemi: c'è il fenomeno delle "allucinazioni" (i sistemi danno risposte che non esistono, create dalla fantasia delle macchine); le applicazioni "generative" rendono difficile distinguere il reale dal verosimile (esempio: la foto di Papa Francesco modaiolo con il piumino da trapper); i training di addestramento, se fatti con informazioni non veritiere, amplificano la circolazione di errori;
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al momento non esiste, di fatto, una vera ed efficace gestione dell'oblio. Pertanto un'informazione erronea che entra nel circuito tende a persistere a tempo indeterminato;
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infine il meccanismo di circolazione e amplificazione delle informazioni è fondamentalmente guidato dagli accessi degli utenti e dai meccanismi di remunerazione (che operano con gli algoritmi). Il che produce delle crescite spontanee poco aderenti alla verità. Pertanto se l'informazione che il vaccino COVID contiene un sistema di controllo delle persone riscuote una qualche popolarità (magari per un meccanismo di scherzo adolescenziale), spontaneamente sale nei rank acquisendo facilmente sempre maggiore credibilità agli occhi dei lettori (=effetto virale).
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Completezza e capacità non reali: normalmente nella rete le informazioni inserite sono parziali e decontestualizzate.
Ad esempio se troviamo la descrizione dei meccanismo pedagogici di difesa, non troviamo un trattato completo con le altre parti della pedagogia e le altre conoscenze necessarie. Pertanto molto probabilmente il lettore sviluppa una percezione di completezza (=ho una conoscenza completa) con un senso di "potenza" (=sono in grado di fare).
Nella realtà, invece, la conoscenza e le capacità del lettore sono parziali.
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Conferma del complotto: un ultimo deleterio fenomeno osservato è noto come "conferma del complotto".
La grande numerosità degli utenti e l'enorme quantità di informazioni in circolazione rende quasi certo che qualsiasi cosa si cerca sia già stata inserita proprio con il taglio che si intende. Una piccola conferma del meccanismo sono i terrapiattisti, la falsità dello sbarco sulla luna.
Facilmente l'abbondanza di informazioni, la facilità d'accesso e un pizzico di ridotta capacità critica rendono il tutto amplificazione e conferma di fantasie.
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Mode: periodicamente prendono notorietà e fama stili ed approcci gestionali che vengono rapidamente adottati da molti persuasi che siano una sorta di soluzione completa.
A volte restano imponderabili i motivi che portano a questa fama (es.: la conduzione psicologica). A volte ci sono elementi a breve termine evidenti (es.: la delocalizzazione). Tutti mostrano, dopo un po', gli importanti effetti tossici e/o velenosi che hanno.
Se in primo approccio è facile considerare che un pizzico di prudenza non nuoce, dall'altra parte è doveroso ricorrere a solide basi di formazione, di scienza e di etica come efficace e valido antagonista a mode (tossiche) anche a costo di ricavi contenuti e di essere percepiti come démodé.
Infine crediamo che sia doveroso chiudere con l'affermazione che siamo in presenza di una "scienza umana": applichiamo teorie e tecnologie su persone, non su macchine. Pertanto non valgono i principi di algoritmi matematici, ma valgono i principi di saggezza (=scienza completa in un quadro olistico):
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il sonno della ragione genera mostri;
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il sonno del cuore genera morte.
10. Conclusione
La relazione lavoro-pedagogia, lavoro-psicologia è nota e studiata da tempo.
Queste pagine probabilmente non aggiungono nulla di nuovo, né hanno qualità di completezza ed esaustività.
La scelta di offrire solo alcuni focus segue la logica di offrire un kit essenziale di strumenti per operare, senza cadere nel solo fare.
Pur considerando che è necessario possedere alcune conoscenze precedenti la lettura di queste pagine avrà permesso di raggiungere:
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il possesso di una panoramica della persona umana dalla prospettiva pedagogica;
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la conoscenza dei fondamentali meccanismi mentali che costruiscono o decostruiscono i lavoratori e l'ambiente di lavoro.
Il testo non ha offerto un un set di cose da fare o non fare. Questo non tragga in inganno: gli ambienti di lavoro sono troppo diversi per offrire azioni universali, ma se possediamo gli elementi base possiamo facilmente costruire azioni efficaci, anche se elementari.
Diventare manager più umani, più efficaci e persone migliori potrebbe avvenire anche grazie alla lettura di queste pagine.
11. Appendice
Aggiungiamo alcuni approfondimenti come chiusura del cerchio per chi desidera completare qualche idea citata nelle pagine precedenti senza dover cercare altrove.
11.1. La voce di Papa Francesco
Tra quanto Papa Francesco ci ha offerto circa il lavoro il seguente testo può essere come il vademecum del circa il lavoro. Riportiamo, quasi integrale, l'omelia del 1 maggio 2020 "Il lavoro è la vocazione dell'uomo".
[ ... ]
«E Dio creò» (Gen 1,27). Un Creatore. Creò il mondo, creò l’uomo, e diede una missione all’uomo: gestire, lavorare, portar avanti il creato. E la parola lavoro è quella che usa la Bibbia per descrivere questa attività di Dio: «Portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro» (Gen 2,2). E consegna questa attività all’uomo: “Tu devi fare questo, custodire quello, quell’altro, tu devi lavorare per creare con me – è come se dicesse così – questo mondo, perché vada avanti” (cfr Gen 2,15.19-20). A tal punto che il lavoro non è che la continuazione del lavoro di Dio: il lavoro umano è la vocazione dell’uomo ricevuta da Dio alla fine della creazione dell’universo.
E il lavoro è quello che rende l’uomo simile a Dio, perché con il lavoro l’uomo è creatore, è capace di creare, di creare tante cose; anche di creare una famiglia per andare avanti. L’uomo è un creatore e crea con il lavoro. Questa è la vocazione. E dice la Bibbia che «Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). Cioè, il lavoro ha dentro di sé una bontà e crea l’armonia delle cose – bellezza, bontà – e coinvolge l’uomo in tutto: nel suo pensiero, nel suo agire, tutto. L’uomo è coinvolto nel lavorare. È la prima vocazione dell’uomo: lavorare. E questo dà dignità all’uomo. La dignità che lo fa assomigliare a Dio. La dignità del lavoro.
Una volta, in una Caritas, a un uomo che non aveva lavoro e andava per cercare qualcosa per la famiglia, un dipendente della Caritas [ha dato qualcosa da mangiare] e ha detto: “Almeno lei può portare il pane a casa” – “Ma a me non basta questo, non è sufficiente”, è stata la risposta: “Io voglio guadagnare il pane per portarlo a casa”. Gli mancava la dignità, la dignità di “fare” il pane lui, con il suo lavoro, e portarlo a casa. La dignità del lavoro, che è tanto calpestata, purtroppo.
Nella storia abbiamo letto le brutalità che facevano con gli schiavi: li portavano dall’Africa in America e noi diciamo: “Quanta barbarie!”. Ma anche oggi ci sono tanti schiavi, tanti uomini e donne che non sono liberi di lavorare: sono costretti a lavorare per sopravvivere, niente di più. Sono schiavi: i lavori forzati… Ci sono lavori forzati, ingiusti, malpagati e che portano l’uomo a vivere con la dignità calpestata. Sono tanti, tanti nel mondo. Tanti. Nei giornali alcuni mesi fa abbiamo letto, in un Paese dell’Asia, come un signore aveva ucciso a bastonate un suo dipendente che guadagnava meno di mezzo dollaro al giorno, perché aveva fatto male una cosa. La schiavitù di oggi è la nostra “in-dignità”, perché toglie la dignità all’uomo, alla donna, a tutti noi.
[ ... ]
Ogni ingiustizia che si compie su una persona che lavora è calpestare la dignità umana; anche la dignità di quello che fa l’ingiustizia: si abbassa il livello e si finisce in quella tensione di dittatore-schiavo. Invece, la vocazione che ci dà Dio è tanto bella: creare, ri-creare, lavorare. Ma questo si può fare quando le condizioni sono giuste e si rispetta la dignità della persona.
[ ... ]
11.2. (Zona di) Sviluppo prossimale
La "zona di sviluppo prossimale" è stata scoperta da Lev Vygotskij (Orša, 17 novembre 1896 – Mosca, 11 giugno 1934. È stato un psicologo e pedagogista sovietico, padre della scuola storico-culturale) e spiegare alcuni aspetti dell'apprendimento nel bambino.
Possiamo definire la "zona di sviluppo prossimale" come la distanza tra ciò che riesce a fare un bambino da solo e ciò che è in grado di capire e/o di risolvere con l'aiuto di un adulto o di uno più esperto.
Secondo Vygotskij l'educatore deve porre problemi che il bambino non è in ancora in grado di risolvere autonomamente, ma che sono poco sopra la soglia di possibilità del bambino. In questo modo restano comprensibili dal bambino. Successivamente, grazie all'aiuto dell'educatore o di un compagno più esperto, il bambino potrà risolvere il problema, acquisendo una nuova competenza che sposterà l'orizzonte delle competenze più avanti e dando origine, di conseguenza, ad un nuova zona di sviluppo prossimale.
Questo meccanismo permette di acquisire nuove capacità senza sperimentare la frustrazione del fallimento e permette una spirale della conoscenza che può continuare indeterminatamente.
11.3. Abraham Maslow
Psicologo statunitense (New York 1908 - Menlo Park, California, 1970). Fu docente al Brooklyn College, poi alla Brandeis University. È noto per aver proposto una teoria della motivazione detta olistico-dinamica, in cui veniva avanzata una classificazione gerarchica delle motivazioni, a partire da quelle esclusivamente fisiologiche e di base (cibo, acqua, aria, bisogni sessuali, ecc.), per passare poi al bisogno di sicurezza fino a giungere ai bisogni di grado superiore come, per esempio, l'amore e l'autostima. Nel 1961 (in collaborazione con A. J. Sutich) fondò il "Journal of humanistic psychology", dando l'avvio al movimento cosiddetto della psicologia umanistica (conosciuto anche come "terza forza", al di là del behaviorismo dominante e della psicanalisi). Sulla base delle sue teorie della motivazione e della personalità Maslow. Estese il suo approccio alla psicologia applicata (trattamento delle nevrosi, viste come fenomeni di mancata crescita e autorealizzazione; psicologia del lavoro e dell'organizzazione, ecc.), occupandosi da ultimo degli aspetti psicologici dell'esperienza religiosa.
(Tratto da: Maslow, Abraham H, https://www.treccani.it/enciclopedia/abraham-h-maslow/ )
11.4. Burrhus Skinner
Psicologo, nato a Susquehanna, Pennsylvania, il 20 marzo 1904. Ha studiato alla Harvard University, dove è poi tornato come professore (1948) dopo aver insegnato nelle università del Minnesota (dal 1936) e dell'Indiana (dal 1945). È uno dei più autorevoli esponenti del behaviorismo statunitense. Gli si devono importanti ricerche sul comportamento operante o strumentale, forma di condizionamento da lui individuata in contrapposizione al condizionamento classico pavloviano. Skinner, differentemente da Pavlov, si preoccupa esclusivamente delle risposte (non degli stimoli che le provocano) e delle condizioni di rinforzo che ne aumentino significativamente la probabilità di emissione. È largamente usata l'apparecchiatura escogitata a questo scopo da Skinner, la cosiddetta Skinnerbox. Skinner si è occupato anche del comportamento verbale, affrontato secondo un'impostazione rigorosamente behavioristica, e della definizione operazionale dei termini psicologici, nonché dell'avvio di programmi didattici (secondo il metodo dell'istruzione programmata), come applicazione concreta delle conoscenze sperimentalmente acquisite sul processo di apprendimento. Le sue concezioni hanno ispirato un enorme numero di ricerche e applicazioni nei campi più diversi, compreso quello dei disturbi nervosi e mentali. Profondamente convinto dell'impatto sociale e della rilevanza dei suoi studi, Skinner ha esposto la sua "filosofia" in un saggio "utopico" dal suggestivo titolo di Walden two (1948) e, più recentemente, nel discusso saggio Beyond dignity and freedom (1971; trad. it., 1973), dove l'impiego di opportuni programmi di condizionamento (mediante introduzione di adeguati rinforzi-ricompense) viene proposto come strumento di radicale riforma sociale.
(Tratto da: Skinner, Burrhus Frederick, https://www.treccani.it/enciclopedia/burrhus-frederick-skinner_(Enciclopedia-Italiana)/ )
11.5. John Dewey
Filosofo e pedagogista statunitense (Burlington, Vermont, 1859 - New York 1952). Studiò all'università del Vermont e alla "Johns Hopkins" di Baltimora. Dal 1884 al 1894 insegnò in varie università del Middle West, e poi per un decennio all'università di Chicago, dove nel 1896 aprì una piccola "scuola-laboratorio" a livello materno e elementare, atta a fornire possibilità di osservazione e sperimentazione per i corsi di pedagogia che teneva accanto a quelli filosofici. Risale altresì a questo periodo l'inizio della cosidetta "scuola di Chicago". Nel 1904 si trasferì alla Columbia University di New York, dove insegnò fino al 1929, tenendo conferenze e seminari al Teachers College della stessa università e operando anche presso l'annessa scuola sperimentale "Horace Mann".
Secondo Dewey la conoscenza non è altro che la forma più complessa ed efficace di risoluzione delle situazioni problematiche che caratterizzano l'esistenza, in piena continuità con la sua più semplice matrice biologica.
L'influenza esercitata da Dewey in campo politico e sociale fu assai rilevante, soprattutto nel periodo fra le guerre mondiali, in cui, dopo le presto deluse simpatie per la rivoluzione sovietica, fu tra i leader dei "liberali" americani, sostenne l'esigenza di una pianificazione democratica nel campo economico, attuata da una società pluralistica "continuamente pianificantesi" in modo flessibile, anziché rigidamente pianificata dal centro. Ma ben maggiore fu il suo influsso sul pensiero e la pratica educativa non solo in America, ma nel mondo intero.
Dewey sviluppava il principio dell'interesse attivo come movente di ogni reale apprendimento, il concetto della scuola intesa come luogo di attività sociali che congloba in sé gli aspetti più significativi dell'ambiente circostante, il "metodo dei problemi" fondato sulla sua concezione dell'indagine. I processi educativi secondo Dewey devono tendere non tanto a fare acquisire abilità mentali o espressive, quanto a trasmettere capacità operative idonee a favorire la soddisfazione dei bisogni biologici e psicologici degli individui e a facilitarne un'integrazione nella società democratica.
(Tratto da: Dewey, John, https://www.treccani.it/enciclopedia/john-dewey/ )
11.6. Tecnologia
Tecnologia, nella percezione comune, significa ogni elemento nuovo, elettronico o meccanico, possibilmente computer o cellulare di ultima generazione. Oppure l'ultima lavatrice, l'ultimo robot per le pulizie domestiche.
Più correttamente con tecnologia si intente un:
«settore di ricerca multidisciplinare con oggetto lo sviluppo e l’applicazione di strumenti tecnici, ossia di quanto è applicabile alla soluzione di problemi pratici, all’ottimizzazione di procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a dati obiettivi, sulla base di conoscenze scientifiche comprese quelle matematiche e informatiche. La tecnologia riguarda l’uso ottimale, anche e soprattutto da un punto di vista economico, di tecniche, procedimenti e conoscenze tecnico-scientifiche avanzate in un dato settore, e l’insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche applicabili alla pianificazione e alla razionalizzazione dell’intervento produttivo». (Tratto da: Tecnologia, https://www.treccani.it/enciclopedia/tecnologia/ )
In quest'ottica la tecnologia è la conoscenza e la competenza di portare una qualsiasi cosa dallo stato A allo stato B tramite un itinerario intenzionalmente costruito e sotto il controllo della persona che gestisce il il processo di cambio.
Quindi possiamo avere una tecnologia per costruire scope, piuttosto che una tecnologia didattica, oppure educativa o una tecnologia del suono.
In particolare ci interessa la tecnologia educativa: quando il percorso educativo che si intraprende ha una gestione consapevole, intenzionale, in qualche modo pensata e organizzata, allora abbiamo educazione.
Quando il risultato finale di successo deriva da un percorso iniziato casualmente, condotto con scarsa consapevolezza, gestito nei bivi decisionali con la luce dell'intuizione, siamo in presenza di un semplice e solo risultato felice, ma non di tecnologia.
11.7. Burnout
In prima approssimazione si tratta dell'alienazione dell'io trattata al capitolo 4.1.3. Realizzazione o alienazione dell'io.
Ad un'analisi più corretta e completa possiamo definirla come il risultato di un grave e duraturo stress vissuto e causato dal rapporto lavorativo caratterizzato da tre indicatori:
-
deterioramento dell'impegno nei confronti del lavoro;
-
deterioramento delle emozioni originariamente associate al lavoro;
-
un problema di adattamento tra la persona ed il lavoro, a causa delle eccessive richieste del lavoro.
Per queste caratteristiche più correttamente si parla di "sindrome di burnout".
Un tempo la sindrome di burnout era usata per indicare una patologia stressogena di solo alcuni ambiti lavorativi (come gli insegnati, operatori sociali, ecc...). Ben presto ci si è resi conto che la sindrome non colpisce operatori di un settore specifico, ma può colpire chiunque. Pertanto si parla correttamente di burnout indipendentemente dalla propria professione.