«Non sprecate parole come i pagani...
i quali credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7)

Gesù stigmatizza la caricatura e richiede l'autenticità.
La celebre affermazione di Gesù, che apre queste paginette, è in un contesto di insegnamento del Maestro. Nello specifico Gesù sta parlando sulla preghiera. Ma l'oggetto è la contrapposizione esclusiva tra caricatura e autenticità. L'insegnamento che ci propone è valido per la preghiera e non solo.
Anche la dimensione del lavoro può beneficiare di questo insegnamento, anche nel caso particolare di Religiosi che vivono in modo completo l'esperienza del lavoro (o come datori, o come dipendenti).
La scelta di una sequela più vicina e intima a Gesù può essere una qualificazione del lavoro, ma potrebbe essere anche un elemento che lo distorce. Inoltre il concetto di lavoro (ed il lavoro stesso) ha assunto in occidente più significati e s'incarna in molteplici forme restando talvolta per alcuni nascosto, non comprensibile, non apprezzabile.
Vediamo cosa può significare "lavoro" e la sua incarnazione da parte dei Religiosi per una pratica autentica.
1. Senso del brano
La frase è nel contesto di un insegnamento di Gesù in merito alla preghiera ed è immediatamente prima della consegna del "Padre nostro".
La condanna della verbosità non nega né la preghiera, ne la recita di formule, ma stigmatizza la pratica comune (soprattutto presso i pagani) di lunghe formule, con la moltiplicazione inflazionistica degli appellativi divini.
Chi praticava questo tipo di preghiera riteneva che pronunciando il nome esatto della divinità invocata ne poteva disporre a piacimento. In questi fedeli non c'era una grande fiducia nelle loro divinità, ma ritenevano di poter così evitare castighi o poter aggirare gli dei per raggiungere un determinato scopo. Parole e formule avevano pertanto un valore magico o di scongiuro.
A questa caricatura della preghiera Gesù contrappone un atteggiamento filiale e di fiducia. Alla verbosità delle formule propone un modello essenziale che estende una pratica di vita.
L'insegnamento va oltre la preghiera intesa come momento verbale e si estende a tutte le pratiche della vita. Ogni istante dell'esistenza diventa o l'incarnazione di una relazione filiale con il Padre, o la caricatura di questa relazione.
Focalizziamo la riflessione sulla pratica del lavoro, con particolare enfasi delle modalità attualmente in atto in occidente. Questa scelta è dettata dal fatto che la tecnologia ha permesso di raggiungere tali livelli di organizzazione, di sovrastrutturazione e di ricchezza che è impegnativo ricreare questa sintesi di incarnazione in opposizione a caricatura.
2. Il lavoro
Il lavoro non è solamente la condanna data da Dio all'uomo in conseguenza del peccato originale, né una pura situazione inevitabile.
2.1. Classificazione
Il lavoro nasce come un bisogno dell'uomo a sostenersi e si qualifica ed evolve proporzionatamente all'intelligenza della persona (soprattutto nella dimensione di persona come "comunità strutturata di persone", ovvero la società).
Una forma più evoluta si ha nel produrre non tanto il bene primario di sostentamento (il pane, la bistecca, ecc...), ma nel creare un bene idoneo allo scambio. Sarà lo scambio, infatti, a permettermi di procurarmi il bene di sostentamento.
Un ulteriore perfezionamento lo abbiamo nella sostituzione del bene di scambio da "oggetto materiale" a "oggetto di valore". Il lavoro mi permette di acquista del denaro (oggetto di valore). La collettività riconosce un valore a questo oggetto. Il valore riconosciuto mi permette di scambiarlo con una contropartita di altra natura a cui viene riconosciuto il medesimo valore.
Oltre al lavoro volto alla produzione di beni materiali (primari o meno), abbiamo tipi di lavori che producono beni di "valore" (materiali e immateriali). Ad esempio opere d'arte, interventi d'istruzione, ecc...
Un'ultima grande classificazione la possiamo riconoscere in quei lavori che non producono beni materiali o immateriali, ma procurano "potenziale". Ad esempio nella dirigenza si costruisce ordine e strutturazione nell'organizzazione di competenza. Questa crea potenza (=il gruppo può produrre) nell'organizzazione. La potenza diventa prodotto non appena arrivano le materie prime e si da inizio al processo lavorativo.
Ben lontano dall'essere una classificazione esaustiva questo titolo vuole semplicemente offrire una classificazione di massima per poter dare una topografia di orientamento.
2.2. Esteriorità del lavoro
Del lavoro percepiamo soprattutto i prodotti.
L'operatività non sempre è visibile. Quando è possibile assistervi si manifesta in modi diversi a seconda della natura del processo lavorativo. Ma l'aspetto vero che percepiamo è la presenza. Tanto è vero che per lavori delocalizzati o per il telelavoro sostanzialmente si presume il lavoro in base al prodotto. In questi casi sovente non si ha prova (o visione) della pratica.
È facile soffermarsi sull'aspetto percepito, ovvero solo sulla presenza, scambiandola (o equiparandola) per lavoro. Potrebbe, in alcuni casi, anche configurarsi l'aberrazione che presenza è lavoro.
La presenza non è lavoro. La presenza diviene lavoro in caso di prodotto e di qualità di presenza.
2.3. Essenza del lavoro
Il lavoro è tale in quanto produce qualcosa.
Non sempre è facilmente percepibile e misurabile il prodotto (si pensi a tutti i lavori che producono beni immateriali). Anche il lavoro atto a generare quel risultato necessita di una flessibilità in base alla sua specifica natura. Soprattutto i lavori di alta specializzazione e di ultima generazione richiedono una logica di beast practices, e non di ripetizione fedele e intelligente di una pratica. Anche le conoscenze e abilità connesse richiedono sovente una ristrutturazione-riapprendimento periodico. Quest'ultimo elemento è vero oggi anche per molti lavori tradizionali.
Indice autorevole del lavoro è solitamente il prodotto (per quanto questo possa essere difficile da percepire e/o misurare). Indice primario è la formazione e l'aggiornamento continuo. Un importante indice secondario diventa l'intelligenza operativa (=saper riformulare e reinventare il come si fa, il how to).
Il prodotto è indice ed essenza del lavoro che c'è stato insieme alla flessibilità e all'apprendimento continuo.
2.4. Bottega vs processo
Un paradigma consolidato nella nostra cultura è l'apprendere dal maestro di bottega per affiancamento e accompagnamento.
Questa modalità ha permesso per secoli la sopravvivenza dei saperi e la trasmissione dei mestieri.
Per varie ragioni oggi sovente questa formula è eccessivamente limitata e causa perdita dei saperi e interruzione nella trasmissione dei mestieri. È il caso classico delle organizzazioni con un certo numero di dipendenti (30, 50, 100 e oltre) o dei lavori ad alta specializzazione.
Il meccanismo che si dimostra funzionare meglio per sopperire ai limiti del sistema bottega è quello del processo. Esso prevede:
- strutturazione dell'organizzazione non in base alle persone, ma in base alle competenze e agli skill (=specializzazione) necessari
- identificazione e inserimento degli operatori su misurazioni di merito dei candidati.
Il disegno del processo di lavoro prevede la definizione dei passaggi di lavoro indicando come nodi non persone fisiche, ma le funzioni-competenze necessarie in quella tappa lavorativa.
Guidare il lavoro puntando su singole persone piuttosto che sulle effettive qualità professionali ed umane, pensando a un controllo-conduzione diretta e personale (come era nella bottega) configura una pratica umana ben poco vicina al lavoro e molto più simile ad una attività hobbystica.
La qualità del lavoro si definisce con il prodotto, con una presenza significativa e con un'organizzazione adeguata. Diventa lavoro, e non hobby, quanto questi tre elementi sono compresenti in modo stabile.
3. Il Religioso al lavoro
Il religioso in un posto di lavoro (inteso come relazione professionale) non prende il posto di un laico, ma compie un'attività qualificante, caratterizzandola con elementi specifici. Gli è richiesto di incarna la pratica con criteri di professionalità. Non si tratta di out-out tra spiritualità e attività, ma di un servizio specifico a valore aggiunto. Il lavoro professione del religioso derivante dall'obbedienza è missione e apostolato.
3.1. Missione e mansione
La missione è il concetto abitualmente usato nel gergo religioso per indicare la pratica umana esercitata per incarnare il servizio a Dio e al suo popolo.
Mansione è il termine abitualmente usato nel mondo del lavoro per indicare compiti, doveri e diritti spettanti ad una determinata figura professione all'interno di una organizzazione lavorativa.
L'attività del religioso chiamato ad un'attività professionale è la prima missione che gli viene conferita dall'obbedienza in quel momento. Il lavoro e la funzione specifica (mansione) che gli viene affidata è la sua prima missione.
3.2. Apostolato e servizio
L'apostolato è il concetto abitualmente usato nel gergo religioso per indicare tutte le pratiche umane che realizzano la cura del popolo di Dio e l'annuncio del Vangelo.
Servizio, nel mondo lavorativo, indica la produzione di un bene immateriale a favore di un committente. Normalmente si tratta di attività intermedie o secondarie per il committente.
Il lavoro fatto da un religioso è, in prima istanza, un servizio a Dio e al suo popolo. Sia in termini di espletamento del comando fondamentale al lavoro, sia in termini di vocazione specifica affidata alla mia persona. Il lavoro derivante dall'obbedienza è servizio a Dio, alla Chiesa e ai figli di Dio.
Il merito aggiunto che può mettere il religioso è di vivere la sua attività con questo spirito e con questa logica.
3.3. Spiritualità e vision
La spiritualità, nel gergo religioso, può indicare la particolare angolatura con cui è interpretato, vissuto e realizzato il Vangelo.
Vision, termine tipicamente aziendale, indica il come l'organizzazione realizza il suo fine. Questo sia per il prodotto stesso, sia in tutto ciò che entra in gioco nel processo lavorativo e non solo.
Il religioso, soprattutto se investito di ruoli di alto livello, interviene aggiungendo alle vision aziendale tocchi specifici che arricchiscono, qualificano e completano.
L'organizzazione si avvale di un insieme di indicazioni che nascono dalle pratiche lavorative e dalle tecnologie. L'intervento personale del religiose si esprime nel completare con una spiritualità, nel qualificare con una giustizia più autentica, nell'arricchire con un calore umano e divino.
3.4. Carità e giustizia
La carità indica l'amore divino.
La giustizia indica la correttezza riconosciuta.
Nel lavoro si organizza il tutto su criteri di giustizia derivanti da vari regolamenti (vedi, ad esempio, compiti, ferie, retribuzione, ecc...).
L'intervento del religioso risponde sia al conformarsi a questa giustizia, sia nel condurre una pratica lavorativa entro questa giustizia.
Un elemento che aggiunge in modo particolare il religioso è la carità. Non come un saltare ciò che è normato in nome di un certo indefinito sentire interiore (questo è ingiusto per antonomasia), ma come completamento e perfezionamento dei limiti presenti nelle regole.
3.5. Valori (religiosi) e valori (aziendali)
I valori per un religioso sono quelli contenuti nella fede.
Anche un'organizzazione orientata al lavoro ha i suoi valori. In questi ultimi anni vengono anche regolarmente dichiarati.
L'attività lavorativa fatto da un religioso va ad arricchire i valori aziendali con un intervento diretto di interpretazione pratica più profonda e autentica. Inoltre arricchisce questo fondo immateriale completandolo con i valori specifici del vangelo.
3.6. Carismi e qualità
I carismi, nel gergo ecclesiale, sono i doni dati dallo Spirito ad un individuo.
Le qualità, per il mondo professionale, sono competenze-conoscenze attive di un operatore.
Il religioso nel mettersi in gioco nel lavoro risponde, in primo luogo, adeguandosi attivamente alle qualità professionali richieste. I carismi che scopre in se stesso sono particolari cesellature date dallo Spirito per estendere e perfezionare i requisiti richieste sul posto di lavoro. In quanto tali sono talenti da investire. In secondo luogo dimensionano le qualità professionali come il "limite minimo" a cui deve conformarsi.
4. Conclusione
«Non sprecate parole come i pagani...»: chi sono i pagani?
A volte sono i religiosi:
- quando equivocano il lavoro professionale con l'attività para-pastorale
- quando i propri orizzonti diventano il confine invalicabile della missione lavorativa affidata
- quando i criteri teologici vengono usati come regole operative del lavoro.
Se uno ha un problema all'automobile non la ripara pregando, ma va in un'autofficina e chiede un meccanico competente.
A volte sono i professionisti:
- quanto i confini delle conoscenze tecniche diventano l'orizzonte dell'umano
- quando la tecnologia diventa la regola di vita
- quando l'ingegneria del lavoro diventa l'unica regola del lavoro.
Se sono un meccanico non animo il rosario con le regole e gli strumenti della meccanica.
A volte sono i disonesti:
- quando i confini dell'attività diventano "il possibile" e non "il giusto"
- quando gli orizzonti dell'interesse personale diventano la regola
- quando i criteri per aver utile scalzano i criteri della giustizia e della sostenibilità.
L'acquisto, la manutenzione, la vendita della mia automobile non è fatta sul criterio del mio interesse ad ogni costo.
Siamo chiamati ad essere diversi dai pagani, cioè:
- essere una presenza che lavora, che è competente, che è capace e che si aggiorna
- essere una presenza che va oltre la tecnica e oltre la giustizia completandola con la carità
- essere una presenza a servizio del lavoro, del popolo di Dio, della Chiesa e non di altri interessi
- essere una presenza pastorale in quanto la nostra prima missione è quella consegna dall'obbedienza.
Abbiamo ricevuto tanto, siamo tenuti a restituire, anche socialmente, molto di più.